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TRE MELE CADUTE DAL CIELO
56 fiabe popolari armene
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Finito di stampare nel mese di marzo 2018
presso Creative 3.0 - Reggio Calabria
ISBN 978-88-7728-432-7
www.aebeditrice.com
gebonanno@gmail.com
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Tre mele sono cadute dal cielo:
una per il narratore di questa storia,
una per chi ti ha ascoltato,
e un’altra per chi ha seguito le parole del narratore.
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Il teatro della vita
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Tre cose necessarie
La Quercia e la Zucca
L’avido
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Il Mullah troverà la legge nella Sharia
Il ricco e il ladro
Dio e l’uomo
La casa
Il benefattore
Il calunniatore
Dissero a uomo:
“Lo sai che il tuo amico dice di te calunnie dovunque?”
Lui rispose:
“Un minuto, per favore. Lasciatemi ricordare cosa gli
ho fatto di bene”.
Fu detto a un uomo:
“Tuo fratello ti va calunniando malignamente e spar-
ge pettegolezzi su di te, al contrario, uno straniero ti va
lodando”.
Lui rispose:
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“Nessuno ha mai visto un piatto più caldo della zuppa
che contiene”.
Il parente e il nemico
La ragione e la fortuna
L’avaro e il facchino
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Il canto degli animali
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26
L’elefante e il leone
L’asino e il lupo
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Il gatto e i topi
La paura dell’orso
Il lupo affamato
La volpe e il cane
L’asino ha un puledro
La pulce interrogata
Gli indifesi
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fatto di legno di quercia con uno fatto di carpine e lo pose
sul collo del bue.
Il bue ne soffriva ancora. Il lavoro andava oltre le sue
possibilità, perché il giogo di legno di carpine era pesante
come quello fatto con la quercia.
Così dopo un po’ il bue tornò a dire:
“Dicono che il legno di noce sia più leggero, per favo-
re, costruisci un giogo di legno di noce!”
L’uomo fece ancora quello che il bue gli aveva chiesto,
costruì un giogo di noce e glielo pose sul collo.
Il bue, tutto sudato, tentò allora con tutte le sue forze
di andare avanti per fare i solchi, ma non ne fu capace.
Dio, che era rimasto a guardare dall’alto tutto il tem-
po, disse:
“Il giogo è sempre pesante: non è importante se è fatto
di legno di quercia, di carpine o di noce. E un giogo va
sempre avanti con una frusta”.
Il cane disse:
“Spero che il mio padrone abbia sette figli e che ognu-
no di essi mi dia un pezzo di pane”.
La gallina disse:
“Spero che la casa del mio padrone sia abbattuta co-
sicché io possa raccogliere il granoturco tra i rifiuti a mio
piacimento”.
Il gatto disse:
“Spero che tutta la famiglia si ammali, così potrò avere
una più grossa porzione di cibo”.
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Sfrutta il tuo vitello
Il cane e il vecchio
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Il mondo dei re
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L’ex-re
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Certa gente scava la sua stessa tomba
Quando il re dorme
Le mele dell’immortalità
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L’orafo stava aspettando fuori, non osando entrare pri-
ma che il suo apprendista lo avesse chiamato.
“Maestro, potete entrare, è tutto pronto”.
Allora l’orafo entrò nel negozio e non poteva credere ai
suoi occhi quando vide i tre vassoi d’oro. Baciò il suo ap-
prendista sulla fronte e gli disse: “Mi hai salvato il collo!
Ti darò una grande ricompensa per questo”.
Era l’ultimo giorno del mese. L’orafo prese i vassoi d’o-
ro e corse a palazzo. Il re ne fu deliziato e l’orafo tornò al
suo negozio con una grande ricompensa avuta dal tesoro
del re.
Il re chiamò la sorella più giovane al suo fianco e le chie-
se: “Bambina mia, sono questi i vassoi che desideravi?”
“Sì, mio sovrano”.
Lei si morse il dito pensando: “È tornato, il mio fidan-
zato è vivo! Gli ho dato il mio talismano e so che nessun
altro tranne lui avrebbe potuto fare questi vassoi”. Tirò
un gran sospiro di sollievo e disse al re che il suo giovane
figlio era ancora vivo e che stava lavorando molto proba-
bilmente presso la bottega dell’orafo.
Il re allora fece chiamare l’apprendista. Il ragazzo ven-
ne a palazzo, baciò la mano di suo padre e gli raccontò
tutto.
“Boia!”
I boia entrarono e si chinarono di fronte al re.
“Prendete quei fratelli traditori e tagliate loro la testa!”
Ma il giovane figlio del re si inginocchiò e implorò il
padre di risparmiare le loro vite. “Padre, non voglio che i
miei fratelli soffrano alcun male, possa essere Dio il loro
giudice”.
“Risparmierò le loro vite per amore tuo”.
Il re scese dal trono e fece in modo che ci salisse il fi-
glio. Annullò il fidanzamento del figlio del ciambellano
con la sorella più giovane due giorni prima che fossero
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celebrate le nozze, e quella splendida vergine sposò il gio-
vane ragazzo e divennero la nuova regina e il nuovo re,
per la gioia di tutti. La festa di matrimonio, alla quale
tutti i sudditi vennero invitati, durò sette giorni e sette
notti ed essi realizzarono i loro desideri.
Possa tu allo stesso modo realizzare tuoi.
Tre mele sono cadute dal cielo: una per il narratore di
questa storia, una per chi ti ha ascoltato, e un’altra per chi
ha seguito le parole del narratore.
Il guardiano di porci
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indietro al tramonto. Lui dormiva in una piccola catapec-
chia puzzolente vicino al porcile.
Il mattino seguente si svegliò presto, raccolse un tron-
co da terra e salì sulla loggia del re cominciandolo a batte-
re insistentemente sulla balaustra come fosse un bastone
da passeggio, svegliando tutti con quel rumore.
“Cosa vuoi?”, gli chiesero i servi del re.
“Datemi una moneta di rame per comprarmi qualche
noce”, disse.
Il re disse: “Ecco, ragazzo, prendi questa moneta d’ar-
gento e comprati tutte le noci che vuoi”.
“Non voglio una moneta d’argento. Dove posso an-
dare a cambiarla per avere degli spicci? Tutto quello che
voglio è una moneta di rame”.
Prese la moneta di rame, andò al mercato e bussò alla
porta di un negozio dopo l’altro per avere delle noci.
Dopo aver preso esattamente una moneta di noci,
condusse la mandria ai pascoli reali. Quando riportò i
porci indietro a sera, salì dal re e gli disse: “Oh re, ordina
un bastone di ferro per me”.
“Non è grande abbastanza il tuo tronco?”
“Oh, questo è niente, solo un esile germoglio. Ho bi-
sogno di un bastone che pesi almeno mille libbre”.
Il re gli promise che ne avrebbe ordinato uno per lui.
Il mattino successivo il ragazzo svegliò di nuovo tutti
con il suo rumoroso bussare, mentre marciava sulla bal-
conata con il suo ceppo battendo sulla balaustra.
Chiese di avere un’altra moneta di rame per comprare
le noci.
Gli diedero la moneta, comprò una moneta di noci, e
condusse la mandria al pascolo.
Il suo bastone di ferro fu pronto il mattino seguente. Il
ragazzo lo soppesò tra le mani. “Proprio ciò che volevo”,
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disse, se lo mise sulle spalle e condusse la mandria al pa-
scolo fino alle terre del Demone gigante.
La porta della dimora del Demone era chiusa. La ri-
dusse in frantumi con due colpi del suo bastone di ferro, i
pezzi volavano a destra e a manca, e condusse i suoi porci
a pascolare dentro al giardino del demone. Li rese liberi
di cibarsi dei meloni e si sdraiò sotto un albero di frutta
molto ombroso per schiacciare un pisolino.
Il demone nero tornò all’ora di pranzo e vide che qual-
cuno si era introdotto dentro la sua casa e che i porci
avevano rovinato il suo giardino.
“Chi ha osato fare tutto ciò?”, ruggì, e corse furioso
nel giardino, cercando il trasgressore. Trovò il porcaro che
dormiva sotto un albero.
“Ehi, tu, mortale terrestre, svegliati!”
Il ragazzo faceva intanto finta di non sentirlo.
“Il serpente non osa strisciare nel mio giardino, nessun
uccello osa sorvolarlo e tu osi sconfinarvi?”
Il ragazzo sbadigliò.
“Non puoi essere un po’ più discreto, così da farmi
godere il mio pisolino prima di combattere?”
“Quando ti avrò sovrastato, non sarai altro che carne
macinata, e il pezzo più grosso che rimarrà di te sarà il
tuo orecchio”.
Il porcaro allora si rizzò in piedi. “A noi due!”, ordinò.
“Chi colpisce per primo?”, chiese il demone.
“Colpisci tu, io sono tuo ospite”.
Il demone lanciò la sua mazza e il porcaro si perdette
nella tempesta di polvere sollevata dal colpo clamoroso.
“Sarebbe stato meglio avere il braccio rotto, prima di
lanciare la mazza”, disse il demone. “Almeno avrei potuto
mangiare le sue orecchie”.
“Adesso è il mio turno”, disse il porcaro quando la pol-
vere venne giù. “Non sono ancora morto”.
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Colpì il mostro con il bastone di ferro alla base del
collo così forte che la testa del demone sta ancora volteg-
giando in cielo.
Il porcaro gli girò intorno roteando il bastone, fino a
quando entrò dentro alla casa del mostro, dove vide dieci
cavalieri armati nella stalla, tutti vestiti di nero.
“Chi siete?”, gli chiese.
“Siamo prigionieri del demone nero”, risposero. “Se ci
lasci liberi, ti promettiamo che ti verremo in aiuto ogni
volta che vorrai”.
“Ma ricordate che il cavallo del demone nero è mio”,
disse il porcaro. E così legò un completo di abiti neri sul-
la sella del cavallo del mostro, pensando che li avrebbe
potuti indossare un giorno. Dopo strappò un crine dalla
criniera di ciascun cavallo nella stalla e disse a quei cava-
lieri che erano liberi. Questi lo ringraziarono e galopparo-
no via, portandosi dietro il cavallo del mostro. Il porcaro
tornò a casa con i porci e si accorse che l’intera città stava
festeggiando al suono di zampogne e tamburi.
“Che succede?”, domandò.
“La figlia del re sta per sposare il figlio del re che è
arrivato qui recentemente da un’altra terra”, gli risposero.
Allora condusse la mandria nel porcile e andò nella sua
camera. Fu allora che arrivò la giovane figlia del re.
“Che cosa vuoi?”, le disse.
“Sono venuta solo per parlarti”.
“Io non sono altro che un porcaro, perché dovresti vo-
ler parlare con me? O sei venuta perché ti piace il fetore
dei porci? Vattene via”.
La giovane figlia del re se ne andò via piangendo, e
poco dopo tornò con un vassoio ricolmo di cibo e bussò
alla porta. Lui si alzò e andò ad aprirle.
“Che c’è adesso?”
“Ti ho portato delle buone pietanze. Ceniamo insieme”.
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“Ti ho già detto di non preoccuparti per me”, e così
dicendo prese il vassoio e la spinse fuori dalla baracca. Lei
se ne andò piangendo.
Il mattino seguente, il porcaro era di nuovo sulla bal-
conata del re a battere la sua bacchetta di ferro.
“Che vuoi, ragazzo?”
“Datemi un’altra moneta di rame per comprare le
noci”.
Gli diedero la moneta di rame che voleva, e lui portò
la mandria al pascolo.
Quando tornò al tramonto, trovò l’intera città nel panico.
“Che cosa è successo adesso?”, domandò.
“I demoni sono arrivati in forze e hanno richiesto la
figlia maggiore del re. Il re sta radunando le sue truppe
per combatterli”.
La giovane figlia del re tornò alla sua porta piangendo
rumorosamente.
“Per cosa sono queste lacrime?”
“I demoni stanno portando via mia sorella”.
“Perché lo vieni a dire a me? Che cosa posso fare?”
“Puoi salvarla”.
“Guarda che io sono solo un guardiano di porci e ho
molto da fare al momento, cercando di prendermi cura
dei maiali del re. Perché non chiedi a suo marito di salvar-
la. È il figlio di un re”.
“Lui non può combattere”.
“Vattene, lasciami solo, non mi seccare con questa fac-
cenda dei demoni”.
E la principessa se ne andò via piangendo.
Il mattino seguente, il porcaro stava ancora battendo
sulla balconata, mentre tutti erano in lacrime: “I demoni
sono qui, che cosa potremo fare?”
“Ho fretta”, disse ai servi del re, “Datemi la mia mone-
ta che mi devo avviare”.
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Si mise in tasca la moneta, comprò le sue noci e se ne
andò verso i pascoli con la mandria. Lasciò i porci liberi
nel prato, tirò fuori i crini dalla tasca e li bruciò. I dieci
cavalieri che aveva lasciato liberi galopparono verso di lui
con il cavallo del demone nero e il completo di vestiti
ancora legato sulla sella. Il porcaro si cambiò di abito e
vestì in nero come gli altri, balzò sullo splendido stallone
e condusse i guerrieri in battaglia. Il re stava muovendo
contro i demoni con tutte le sue truppe, ma i mostri era-
no troppi per lui, prima che il porcaro guidasse l’attacco,
sbaragliando il nemico con la velocità della luce. Solo un
mostro sopravvisse al macello. Il porcaro lo catturò, gli
strappò i denti e glieli infilò in testa come una corona di
perline dicendogli: “Adesso vallo a dire al tuo padrone”.
Il re voleva ricompensare questi guerrieri valorosi, ma
essi girarono i cavalli e sparirono prima che quegli potesse
scoprire chi fossero.
Il porcaro smontò da cavallo, si cambiò i vestiti, conge-
dò i suoi uomini, radunò i suoi porci, e ritornò al porcile.
Tutta la città intanto si rallegrava della vittoria con
danze e canti al suono delle zampogne e al ritmo dei tam-
buri.
Il porcaro si ritirò nella sua fetida baracca e di nuovo
la giovane figlia del re venne a bussare alla sua porta, por-
tando un bel vassoio di delizie da bere e da mangiare.
“Bene, che c’è adesso?”
“Mi sei mancato tanto. Ti ho portato la cena. Mangia-
mo insieme”.
“Ti ho già detto di non seccarmi. Vattene”.
Prese il vassoio, la spinse fuori dalla baracca e chiuse
la porta.
La principessa andò via piangendo.
Il mattino seguente il porcaro ricevette un’altra mo-
neta di rame, si riempì la tasca di noci, condusse i porci
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al pascolo, ed entrò nelle terre del demone rosso. Sfondò
la porta della dimora del mostro con due colpi della sua
bacchetta di ferro e spedì i pezzi volanti verso Aleppo e
Chi-Ma-Chin. Dopo lasciò i suoi porci liberi di pascolare
nel giardino e si buttò sotto un albero di frutta per schiac-
ciare un pisolino.
Il demone rosso tornò per pranzo e gli ribollì il sangue
quando vide la porta sfondata e il suo giardino rovinato
dai porci. Corse in giro alla ricerca del colpevole e vide il
porcaro dormire sotto un albero.
“Ehi tu, mortale terrestre, svegliati!”
Il porcaro aprì gli occhi e vide il demone rosso torreg-
giare su di lui.
“Ho bisogno di riposare, sciocco. Perché mi hai sve-
gliato, stupidone?”
“Tu osi parlarmi con questa voce seccata dopo i danni
che mi hai provocato? I miei denti desiderano ardente-
mente un po’ di carne umana e tu potresti essere un pasto
perfetto”.
Il porcaro balzò in piedi imbracciando il suo bastone
di ferro: “Stai indietro e colpisci!”, gli ordinò.
Il demone rosso lanciò la sua mazza e il porcaro sparì
in una nube vorticosa di polvere.
“Peccato”, si lamentò il mostro. “Non rimane niente
di lui e non posso masticarmi le sue orecchie”. Quando
la polvere si depositò e il porcaro poté di nuovo vedere,
disse: “Adesso è il mio turno”.
Allora roteò il suo bastone di ferro e colpì il mostro
così forte alla base del suo collo che lui stesso sentì la sua
testa pesante volare in aria e fracassarsi sul monte Ararat,
che per l’urto cominciò a oscillare.
Il porcaro entrò nella casa del demone e vide un altro
gruppo di dieci cavalieri nella stalla, tutti vestiti di rosso.
“Chi siete?”
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“Siamo prigionieri del demone rosso. Liberaci e verre-
mo in tuo aiuto ogni volta che sarai in pericolo”.
Il cavallo del demone rosso, un focoso destriero, lo re-
clamò per lui il porcaro. Legò sulla sella un completo di
abiti rossi, pensando che li avrebbe potuti indossare un
giorno, staccò un crine dalla criniera di ogni cavallo e li
lasciò andare. Al tramonto tornò al porcile con i porci.
Trovò allora tutta la città che stava celebrando il fidan-
zamento della seconda figlia del re. La più giovane delle
figlie andò a casa sua e gli disse: “Vieni, andiamo a casa
mia. Stanotte tutti mangeranno, berranno e faranno alle-
gria. Che fai qui tutto solo?”
“Vattene via. Cosa ho a che fare io con te? Sono solo
un guardiano di porci, non adatto a stare con la famiglia
del re”.
“Tu sei il mio re! Ti amo!”
“Io rimango qui”. La spinse fuori dalla baracca e chiu-
se la porta.
Lei tornò con un altro vassoio di cibi, e aprì la porta
senza bussare.
“Andiamo! Alzati! Mangiamo questo cibo e godiamo-
ne insieme!”
E ancora una volta lui prese il vassoio e la spinse fuori
dalla porta.
“Vattene! Non è posto per te!”
Il mattino seguente lui era di nuovo sulla balconata a
battere con il suo bastone. E sgranocchiando le sue noci
era di nuovo ai pascoli con i porci. A sera trovò tutta la
città nel panico.
“Che è successo?”
“I demoni torneranno domani mattina per prendersi
la figlia mezzana del re”, gli disse la gente.
La giovane principessa si recò alla sua baracca con le
lacrime agli occhi.
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“Mi affido a Dio in cielo e a te sulla terra”, gli disse.
“Lo so che hai salvato la mia sorella maggiore dai demoni.
Adesso puoi salvare la mia sorella mezzana”.
“Esci fuori! Perché non te ne vai dai tuoi cognati? Io
sono solo un guardiano di porci! Lasciami solo”.
“I miei cognati! Non possono fare niente. Tu solo puoi
salvare mia sorella”.
Lui la fece uscire dalla stanza e lei se ne andò via pian-
gendo.
Il giorno successivo prese i porci e li portò nei campi
aperti, bruciò i crini che aveva in tasca, e il cavallo del
demone rosso arrivò al galoppo con venti cavalieri alle
calcagna. Dopo aver indossato il completo rosso, il por-
caro guidò gli uomini in battaglia.
Il re, aspettando l’attacco dei demoni, vide una nube
di polvere sollevarsi sulla pianura e disse alle sue truppe:
“Rallegratevi, uomini, siamo salvi. Questi valorosi cava-
lieri stanno venendo in nostro aiuto”.
Passarono oltre l’esercito del re come strisce di fuoco. Il
nemico fu immediatamente annientato. Il porcaro tagliò
le orecchie dell’ultimo sopravvissuto e gli disse: “Adesso
vallo a dire al tuo padrone!”
I ventuno guerrieri girarono i cavalli e galopparono via
prima che il re li avesse potuti ringraziare per il loro valore
in battaglia.
“Mi piacerebbe sapere chi sono…”, sospirò.
Quella sera, mentre il porcaro tornava con i porci, tut-
ta la città stava celebrando la vittoria. La giovane figlia del
re andò correndo alla sua baracca e gli disse: “Vieni a casa
mia. Andiamo a mangiare, a bere e a far festa. Non vedi
che tutta la città mangia, beve e fa baldoria?”
“No, so dove stare. Sono solo un guardiano di porci.
Non cercare di trascinarmi nelle tue stanze. Non andrò
da nessuna parte. Me ne starò qui”.
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“Ti amo con tutto il mio cuore. Perché te ne stai in
questa sudicia baracca?”
“Lasciami solo. Un porcaro non è degno della tua
compagnia”.
La principessa allora se ne andò via versando lacrime
amare, ma tornò con un vassoio di cibi.
“Se tu non vuoi venire nei miei appartamenti, allora
potremo mangiare nei tuoi”.
“Vattene via, ti ho detto. Non puoi mangiare in questo
fetido posto”.
“Caro, non m’importa quanto puzzi questo posto fin-
tanto che posso stare con te”.
Lui la spinse fuori e chiuse la porta. E la principessa se
ne andò via piangendo.
Il mattino seguente portò i porci al pascolo e si inoltrò
nelle terre del demone bianco. Squassò la porta della casa
del mostro con il suo bastone di ferro che pesava mille
libbre, e lasciò che i porci pascolassero nel giardino. Poi
si lavò presso una fonte e si sdraiò sotto un albero per un
sonnellino.
Il demone bianco venne all’ora di pranzo e gli girò la
testa quando vide la porta fracassata e i porci che si stava-
no cibando dei suoi meloni. Questi avevano combinato
un putiferio e stavano ancora scavando nel suo giardino.
Il demone bianco andò a cercare il trasgressore e lo trovò
mentre dormiva sotto un albero.
“Ehi, mortale terrestre, svegliati!”
La terra tremava a ogni passo del mostro.
“Potresti avere un po’ più di considerazione e lasciarmi
dormire ancora un po’?”, disse il porcaro. “Perché sei così
nervoso, perché gridi?”
“Non mangio un uomo da sette anni. Alzati e combatti”.
Il porcaro si rizzò in piedi, impugnando il suo bastone
di ferro.
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“Prenditi la distanza e colpisci!”
Il demone bianco fece qualche passo indietro e lanciò
la sua mazza. Il porcaro scomparve nella polvere.
“Peccato”, sospirò il mostro. “L’ho seppellito e niente
rimane per deliziarmi i denti”.
“Basta vantarsi!”, disse il porcaro quando la polvere si
abbassò.
“Adesso è il mio turno”.
Roteò il suo bastone di ferro sopra la testa e colpì il
mostro alla base del collo, tagliandoli la testa. Sta ancora
rotolando… Si introdusse nella casa e vide dieci cavalieri
bianchi.
“Chi siete?”
“Prigionieri del demone bianco. Lasciaci liberi e torne-
remo ogni volta che avrai bisogno di noi”.
Legò un completo di abiti bianchi sul dorso del cavallo
del demone bianco, staccò un crine dalla criniera di ogni
cavallo e li lasciò andare. Poi tornò a casa con i porci.
La giovane figlia del re venne allora correndo alla sua
baracca e si lamentava dicendo: “Ti prego, vieni nei miei
appartamenti”.
“Quante volte ti devo dire che non verrò? Sono un
guardiano di porci, tu sei la figlia del re e non posiamo
fare coppia”.
“Oh mio amato, mi sei più caro di mio padre e di mia
madre. Sarei felice di sacrificare la mia vita per te. Ti amo
così tanto che tu sei l’intero mio mondo”.
“Vattene, non darmi il mal di testa con queste parole”.
La spinse ancora una volta fuori di casa e la principessa
andò via piangendo.
Tornò però con un altro vassoio di cibi, pieno di deli-
zie da mangiare.
“Lasciami il vassoio qui e vattene”, le disse lui.
“Non me ne andrò fino a quando mi ucciderai”.
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Ma lui la spinse ancora una volta fuori.
L’indomani, mentre tornava dai pascoli, la città era nel
panico. La giovane figlia del re corse al porcile in lacrime,
aprì la porta e si gettò ai suoi piedi.
“Hai salvato le mie sorelle, ma adesso devi salvare me
dai demoni!”, piangeva.
“Non mi importa se i demoni sono tornati. Non è af-
far mio quello che fanno”.
“Tu sei il solo che può salvarmi”.
“Perché vieni da me? Perché non chiedi ai figli del re
di salvarti?”
“I figli del re sono senza valore. Tu hai il tuo bastone di
ferro e so che puoi combattere. Loro no”.
Lui la spinse fuori ancora una volta e chiuse la porta.
Lei tornò con un altro vassoio di cibo.
“Bene, ora devi mangiare, e io voglio mangiare con
te”.
E così lui acconsentì di sedersi e mangiare con la prin-
cipessa.
Lei ingoiò il suo orgoglio e mangiò il suo cibo con le
lacrime agli occhi.
“Perché piangi adesso?”
“Ti ho già detto che i demoni verranno a prendermi
domani mattina”.
“Come hanno portato via le tue sorelle…”
“Non vuoi salvarmi?”
“Certo che ti salverò, ma tu non devi spifferarlo a nes-
suno. Devi tenerlo per te”.
La principessa tornò allora a casa, e la regina si rallegrò
di vederla sorridente e giuliva. “Che è successo?”, le chie-
se. “I demoni verranno a prenderti domani mattina per
portarti via, ma tu non sembri preoccupata”.
“Madre, non sono più preoccupata, sono salva. Lui ha
promesso di salvarmi”.
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“Chi te lo ha promesso?”
“Colui che ha salvato le mie sorelle”.
“E chi è?”
“Non lo dirai a nessuno?”
“No”.
“Il nostro porcaro”.
“No! Ma cosa dici, figlia mia?”
“Dio mi è testimone se dico il vero. Le ha salvate il
nostro porcaro”.
“Andrò a parlare con lui. A chiedergli aiuto”.
“No. Se sa che te l’ho detto, mi ucciderà, e ucciderà
anche te. Questo deve rimanere un segreto tra di noi”.
Il mattino seguente il re marciò contro i demoni con
tutto il suo esercito e guardava ansiosamente le monta-
gne per vedere se qualche cavaliere stesse venendo in suo
aiuto. Anche questa volta non dovette attendere a lungo.
“Rincuoratevi, uomini, e fate largo. Fate largo a questi
valorosi cavalieri!”, gridò il re alle sue truppe. I cavalieri
passarono oltre le truppe e si diressero verso i mostri. Che
strage! Solo uno dei demoni rimase in vita alla fine della
battaglia. Il comandante tagliò le orecchie del mostro e
anche il naso e gli disse: “Adesso vallo a dire al tuo pa-
drone”.
I guerrieri girarono i cavalli e galopparono via prima
che il re potesse fermarli, ma il loro valente condottiero
restò dietro, rallentando il galoppo. Il re corse a baciare il
muso del cavallo bianco e poi tirò giù la testa del cavaliere
e gli baciò la fronte.
“Il mio regno è tuo”, gli disse. Vide che il braccio del
cavaliere sanguinava. Tirò fuori il suo fazzoletto e glielo
legò alla ferita.
Il porcaro vestito di bianco spronò allora il suo cavallo
bianco e volò via prima che il re potesse riconoscerlo.
Lasciò libero il cavallo, radunò i porci e andò a casa.
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Vide grande gioia in città, e tamburi e zampogne, e fuo-
chi d’artificio, e feste, e canti e balli. La giovane figlia del
re gli portò un vassoio di pietanze e di bevande che gusta-
rono insieme con grande gioia.
Il re raccontò alla figlia di come un prode cavaliere
bianco fosse venuto con trenta guerrieri e avesse stermi-
nato i demoni. Le disse anche di aver fasciato il braccio
di questo guerriero, e che infine questo eroe senza paura
era scappato via prima che lui avesse potuto sapere il suo
nome.
La regina rideva fragorosamente.
“Perché ridi?”
“Il tuo guerriero valoroso è il tuo porcaro”.
“No. Ma cosa dici?”
“È la verità. Chiamalo domattina e chiediglielo”.
Il re mandò a chiamare il porcaro immediatamente e
vide che il braccio del porcaro era legato con il suo fazzo-
letto, sotto i vestiti.
“Cos’è questo? Non capisco”, disse il re.
“Quando il figlio di un re diventa un guardiano di por-
ci, e il figlio del ciambellano diventa il figlio del re, allora il
figlio del re si comporta come un pazzo, come ho fatto io.
Se non mi credi, chiama il tuo regale genero che è arrivato
qui con me e guarda se non indossa il mio bracciale”.
Il re convocò suo genero e vide che il bracciale che
indossava era infatti del porcaro. Batté allora le mani.
“Boia!”
I boia entrarono e si inchinarono.
Il re rimosse il bracciale regale e lo restituì al porcaro.
“La mia figlia più giovane ti appartiene”, gli disse. “Con-
siderala un regalo da parte mia”.
I festeggiamenti nuziali durarono sette giorni e sette
notti. Cinque giorni dopo, il figlio del re prese la sua spo-
sa e tornò al suo paese.
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Suo padre era morto ed egli ascese al trono come nuo-
vo re.
Essi realizzarono i loro desideri, possa anche tu realiz-
zarli.
Tre mele sono cadute dal cielo: una per il narratore
di questa storia, una per chi l’ha ascoltata, e un’altra per
colui che ha dato retta alle parole del narratore.
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