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XVII
e
XVI
XV,
secoli
nei
Napoli
in
prostituzione
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Giacomo
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Salvatore
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Universum of TKIlisconsin

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S. DI GIACOMO
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PROSTlTVZIONI
IN NAPOLI

NEI SECOLI XV, XVI E XVII

DOCUMENTI INEDITI

l'INul'ANTA ILLl'STRA/IONI DICI, TI'STn

ìTORr-ii's in m v. la ufi. la inciso da a. p.kkoam'

NAPOLI
R(CCARDO MARC.HJKRI KOITORK
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Stampato nei.i.a Tipocrai ia MKLl'I Xt IOKI.E, in Napoli, nel mdcccxcix.


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MAR 1 8 1930
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.fi questa impersonale opera di ricerca non occorre eh' io mandi


innanzi copiose parole. Quelle de' documenti eh ' io qua dentro raccolgo
a me pare che abbiano efficacia e senso tali da potermi in tutto dispen
sare dall'usato compito d'una prefazione esplicativa.
Si potrebbe, ancora, domandarmi la ragione onde s ' è rivolta a inda
gine cosiffatta l'attenzione mia vigile. Risponderei, se mai, che ho tro
vato degno il soggetto così per la storia del costume come, e ancor più,
per quell'intimo interessamento con cui pervade l'animo d'uno scrittore
oggeltivista lo studio d'una misera folla la quale, come questa che s'è
conceduta al mio sguardo, la socielà ha voluto bollare con antico segno
d'infamia: una folla, che, per altro, ha un'anima anch'essa.
Or, se qui non m ' è stato possibile penelrarla, se la nebbia che il tempo
le ha raddensalo intorno non me ite ha fallo rintracciare la torbida
psiche, basti per ora il documento alle considerazioni del leltore, alle
sue deduzioni sociologiche, a' raffronti che gli potranno suggerir queste
pagine. Appresso, quando già del secolo decimollavo wrò, per somi
gliante materia, avuto chiara conoscenza e pur fornito notizie esatte,
uno studio della prostituzione e della camorra in Napoli nel decimonono
secolo io, se non me ne manca la lena, vorrò presentare, con la stessa
trepida speranza che ora la accompagna, a tutti coloro che, per avven
tura , abbiano scorso benevolmente quest'umile opera mia.

S. di G 'acomo
Masuccio Guardato presenta il suo « Novellino » A Ippolita Sforza.
Illustrazione del tempo.
i,l)a una qualtroceutma della Nazionale di Firenze)
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CAPITOLO PRIMO
CAPITOLO PRIMO

Co.NSTITUZIONl DI RUGGIERO I E DI FEDERIGO SvEVO — II. LUSSO MULIEBRE — EDITTI


svevi per le prostitute — La Cabeila per Ir Meretrici — SUA origine in Na
poli — Carlo Vlii e Gaspare de Toraldo — Le « protette » dagli arrenda-
tori — Il bando di Giovan Villano — Vita popolana partenopea nel secolo
decimoouin io — Due novellieri napoletani — La « marchesa » e il suo Griffo
ne — Camorrista e «souteneur » nel quattrocento —Lo sfregio — Documenti
inediti pel fitto della Gabella — Il malfrancese in Napoli — Medicina, creden
ze, RIMEDII DI QUEL TEMPO — II. RICETTARIO NAPOLETANO.

F.r. suo libro descrittivo del Regno di


Napoli e di Sicilia (i) il Galanti ci narra
che « per la costituzione di Ruggiero
Quae passim (2) era vietato alle meretrici
di abitare con le donne oneste, e que
sto fu ancora un divieto dell' impcrator
Giustiniano (3). Ruggiero proibì che
alle meretrici si usasse alcuna violenza
e Federigo vi aggiunse la pena della morte. Ma perchè le me
retrici non abitassero colle donne oneste d'antico tempo si vuole
che in Napoli si stabilisse un dazio sopra di esse (4) che fu
poi nel governo dei viceré alienato coll' esercizio della giuris
dizione sopra tutte le persone soggette al vcttigale. Ciascuna
meretrice pagava una prestazione in ogni settimana e con
prammatica del 1589 fu ristretta a due carlini al mese, ed a
due presenti di grana 15 per ciascuno nel Natale e nella Pa
squa che in tutto facevano carlini 27 all'anno. Non si era ot
tenuto il fine proposito cioè che l'esattore fusse stato sollecito che
!0 Galanti. — Descrizione geografica e politica delle Sicilie. Tomo II, p. 35.
(2) Quae passim venalem. sotto il titolo : De summota conversatione,
(3) Auth. dr lenonib. lib. III.
(4) Vedi nei Capitoli e grazie della città di Napoli quelli del 1505. Gli Ateniesi anche
avevano un dazio che si esigeva da coloro che tenevano in casa le cortigiane. Pollucis
- Onomasticon- Lib. VII, cap. 33 e lib. IX, cap. 5.
— i, —

le meretrici abitassero nei pubblici prostiboli. L' effetto fu anzi


il contrario perchè, per promuovere il prodotto della gabella, si
era ripiena la città di donne disoneste. In luogo della giustizia i
proprietarii commettevano molte estorsioni. Si ottenne l'abolizio
ne di tali infamie col donativo di un milione fatto nel 1635. »
A udir, dunque, il Galanti la Gabella per le meretrici ori
ginò da tempo antico parecchio nella nostra città di Napoli; altri
la disse degli anni di Federigo imperatore che iniziò quella do
minazione sveva la quale ebbe in lui solamente un riordinator
vero dello Stato. Egli predilesse Napoli, vi fo^idò l'Università
degli Studii, badò al governo con severa e vigile attenzione
e fu della moralità de' suoi sudditi censore inesorabile: si de
vono infatti a Federigo tre libri di constituzioni la cui rude
saggezza ancora sopravvive. E di quale austerità fossero esem
pio le leggi che il sovrano bandiva si può giudicare da queste
due che, tra le altre, vi si riferiscono al lusso femminile del
tempo : I. Mulieres in eorum vestibus quot buttones deferre pos
sini et de quo predo. (ltem quod non audeant portare in vestibus
quas indnerint nisi septem bottonos ad plus: quorum cuiuslibet
pretium non possit transcendere tarenos viginti duos : et quod
nullus aurifex audeat facere bottonos maioris pretti nec pon-
deris ettc. ettc. — Cap. XC. p. 63) II. Quod nulla domina, sive
mulier audeat portare sive induere vestes cujus Jìmbrae , sive
faldae sint ultra palmos qualuor. Et quod nullus sutor audeat
facere vestes habentes majores faldas , seu fimbrias ettc. ettc. —
Cap. XCI. p. 53) (5). Tanto per le onorate donne: però si
potrebbe supporre che per le disoneste si usasse addirittura
di un trattamento feroce. Al contrario : Federigo, come si vedrà
appresso dalle quattordici sue brevi disposizioni le quali ri
guardano il publico meretricio, privava bensì di certi diritti
le sciagurate ma, con saggezza veramente regale e umanitaria,
proteggeva la miseria loro e comminava pene terribili a quanti
ne volessero barbaramente profittare. Anzi ecco, senz' altro, le
enunciazioni degli editti che abbiamo raccolte dal libro comen-
tato da Andrea d' Isernia, da Bartolommeo Capuano e dal ve
ronese D. Gabriele Sarayne (6).
(5) &4&ti Siciliae Capitula etc. etc. Venetiis. D. Guerraus, 1573.
(6) Constitutiones Regni Utriusque Siciliae etc. etc. - Venetiis - 1580.
- 3 -
I. — Meretrices an possint facere elemosinam de male acqui-
sitis. (In additio. ad glo. col. I li. 30 p. 36).
II. — Meretrices an teneantur ad restitutionem acquisitorum in
foro conscienttiae. (In additio. ad. glo. col. I lin. 35 p. 36).
III. — Meretrices et laenones debent habitare in ultimis partibus
ch'ita tis, imo et extra civitatem, quia sunt pestiferae et
comunes vastatores castitatis. (Inglo. col. I lin. 23 p. 277).
IV. — Meretrices non possunt habitare prope honestas matronas
vel circa sacratissima loca et venerabiles domos. (In
glos. col. I. lin. 2.a p. 277).
V. — Meretrici si fiat violentia an puniatur. ( In com. col.
2. li. 58 p. 36).
VI. — Meretricibus violentia illala de jure communi est im
punita jure tamen constiitutionem regni capitaliter mul-
ctatur si meretrix eam clamore testetur, et infra octo
dies conqueratur. (In gl. col. I lin. 2. p. 36).
VII. — Meretrix dicitur miserabilis persona. (In com m. col. I
lin. 67 p. 370).
ViII. — Meretrix non debet punire deluxuria corporis sui etiam si
sit nupta: sed innuptaerit poena adaccusationem alterius,
non mariti retinentis eam. (In com. col. I. li. 58 p. 277).
IX. — Meretrix non debet violenter cognosci quia violentus
capite punitur hoc jure licet de jure civili aliter vi-
deatur. (In com. col. I l. 61 p. 277).
X. — Meretrix non potest petere promissimi pro coitn, licet si
sit solutum repeti non possit. (In com. col. 2. l. 72 p. 36).
XI. — Meretrix potest denegare personam suam cui et quando
et quotiens vult. (In com. col. 2 lin. 80 p. 36).
XII. — Meretrix publìce et palam prostiluitur. (In com. col. II
li. 68 p. 36).
XIII. — Meretrix vetatur habitare inter bonas foeminas. (In com.
col. I lin, 68 p. 277).
XIV. — Meretrix ut conqueri possit de violentia sibi illata, an
hodie oporteat qttod vociferet. (In gl. col. II l. 35 p. 36).
Al paragrafo « De violentia meretricibus illata » è detto:... Mi
serabiles ilaque mulieres quae turpi quaestu prostitutae cernuntur,
nostro gaudeant beneficio : Gratulantes, ut nullus eas compellal
invittas suae satisfarete voluntati : Contra hoc generale edictum
- 4 -
satagentibus, confessis atque convictis, ultimo supplicio inferendis.
Habito tamen considerationis ordine, quod si vis in locis habita-
bilibus fuerit illata, clamor oppressae truculenter emissus , quam
cilius poterit, elucescat. Alioquin non videbitur vis illata, si mora
fuerit octo dierum spatio subsecuta. Nisi forsilan his diebus invita
probabitur fuisse detenta (7).
Al paragrafo « DeLenonibus» (TituIusLXXXIV) è detto: Le-
nas sollicilantes pudicitias uxorum,ftliorum, sororum etpostremo
quarumlibet virginum, vel aliarum honestarum mulierum, quas
vir bonus aliquis intra septa domus suae tenere noscitur, detrun-
catione nasi ipsas, tanquam adulteras, juxta divae memoriae re-
gis Rogerii avi nostri statuta, puniri censemus. Aliarum tamen
mulierum animos attrahentes, quae velui sui arbitrii existentes
a nemine custode vìrorum voluntatibus et voluptatibus se dederunt
aliquando , licet non esset juxte credibile , quod dare se vellent
prima vice: quia lalia perpetrantes, si fuerint legitima probatione
convictae fustigari censemus, et ipsas in recognilionem semel at
tentali facinoris in fronte signari, Scituris firmiter lenis huius-
modi, quodsiattentaverint denuo reiterare commissa, detruncationis
nasi poenae procul dubio subjacebunt (8).
Infine a quello « De poena matris filiam publice prostituendis »
si dice: Matres , quae publice prostituunt filias poenae nasi trun-
cati , a divo Rege Rogerio statutae , subjacere sancimus. Alias
etiam consenttientes , etfilias, quas forte propter inopiam, nedum
maritare , sed etiam mitrire non possunt , alicujus voluptatibus
exponentes, a quo et sustentationem vitae et gratiam praestolantur,
poenae subjacere non tam injustum credimus , quam severum. (9)
Da' documenti sopra riferiti non risulta l'imposizione della
gabella e però non si potrebbe asseverare precisamente in che
tempo ne sorse l'instituzione e se fu proprio Federigo colui
che pensò ad imporla, o fu Guglielmo il Normanno o Ruggiero,
alle cui leggi si attiene parecchio del dettato dello Svevo, come
per esempio nell'ultima citata che tocca della madre la quale
vende la sua figliuola. Ma qui la legge è mitigata : ella tien
conto della povertà della madre, della volontà della figlia, della

(7) Constitutionum Regni Slclliarum — Nespoli — 1773. Voi. I. p. 51.


(S) Ibid. — Lib. III. Voi. II. p. 426-
(9) Ibid. — Voi. II. Lib. IH. p. 426.
— 5 -
necessità di sostentare la vita. E siamo, in fatto di pietà e di
ragione, già bene lontani dagli usi degli antichi Galli, i quali
non pure confinarono le meretrici fuori le mura della città(io)ma
inflissero loro pene selvagge, delle quali nelle constituzioni so
pradette non si ha davvero alcun riscontro.

Or la ricerca assidua, se pur affatica, ottiene assai spesso ri


compensa: e tale è quella soddisfazione la quale penetra lo stu
dioso, quand' egli vede coronato da un successo improvviso le
indagini sue, da non esser superata se non dal piacere, soltanto,
di poter rendere quelle felici indagini publiche. Leggevamo un
giorno, e non per diletto, un codice posseduto dalla Società
Napoletana di Storia Patria (n), alla quale, tempo addietro,
ne fece presente l'illustre Bartolommeo Capasso, e spigolavamo
da quelle carte, qua e là, parecchie interessanti notizie, le quali,
destinate ad aumentare questo nostro lavoro, vi avrebbero poi
preso posto in più conveniente ordine cronologico. Un sollecito
copista, appartenuto certamente a qualcuno de' Tribunali della
città di Napoli, un mastrodatti, probabilmente , vissuto tra il
cinquecento e il seicento, s'è dato cura di trascrivere in quei
fogli , con una minutissima se bene assai chiara calligrafia ,
arresti numerosi, o sentenze, del Sacro Regio Consiglio, quelli
precisamente scegliendo che si riferivano alle Gabelle del giuoco
(Barattaria)e delle meretrici. Siamo al 1495: (i2)davanti al Sacro
Regio Consiglio si sono, recentemente, disputata la Gabella per le
meretrici Gaspare de Toraldo, figlio del quondam Nicola, e i
due falconieri della Casa del « Cristianissimo » Carlo de Monte
Morro, signore di Naddes, e Giovanni deCommalin. (13) « Dice-
bat Gaspar quod tempora b. m. (bonae memoriae) Regis Ladislai,
predecessoris nostri, Gabella Postribuli sive Meretricum Civi-
tatis Neapolis primo ab eodem Rege fuerai introducta et die 12
mensis februarii 1401 fuerat per eumdem Regem Ladislaum con
cio) Rebutìn I. Massurius, col. II qu. ref. Menoch cas. 555 n. 15: In monte Pessutano
ad civitatis pomaeria collocatas esse meretrices.
(11) Ms. segnato XXVI. A. 9., di carte 47 di cui le prime 41 numerate.
(12) Ms. cit. p. 23.
(13) Il Monte Mono e probabilmente uno Charles de Monmours che assieme al de Com-
malin faceva parte del seguito di Carlo Vili.
— 6 —
cessa Loisio de Aldemorisco.(i$) Post vero Ladislai decessimi Al-
fonsus de Aragonia, occupator et detentor Nostri Regni Siciliae,
Loisio de Aldemorisco nepoti d.1 Loisij de Aldemorisco d.am Ga
bellarn conrìrmaverat prout privilegio ei concesso constare as-
serebat et hoc de die 5 mensis septembris 1446. Et post
decessum dicti Alfonsi, Ferdinandus de Aragonia, etiani nostri
Regni Siciliae detentor et occupator » aveva privato dell'officio
della gabella gli Aldemorisco, tale Ulisse Vulcano et nonnulli
alij cognominati de Morisco, ob eorum notoriam rebellioncm. Nel
1489 lo stesso re Ferdinando avea pur, in Castelnuovo, concesso
a Nicola de Toraldo, suo cavallerizzo, il privilegio della gabella
del giuoco e di quella delle meretrici. Morto Nicola de Toraldo
la successione del privilegio era passata al figliuolo, al quale
esso era rimasto fino alla venuta di Carlo ViII.
Da parte loro il Monte Morro e il de Commalin ribattevano
asserendo che tutti gli officii del Regno , con l' avvento del
«Cristianissimo », erano rimasti vacanti : che però, chiamandosi
pure officio la gabella predetta, essi ne avevano ottenuto con
cessione e donazione da Carlo.
L'arresto si chiude con l'ordine, espresso dallo stesso Re Carlo,
di reintegrazione del de Toraldo. Il giovane Carlo ViII , entrato
in Napoli il 12 febbraio 1495, aveva, da' primi giorni del suo
arrivo, spaventato quanti per bisogno o per dovere gli si ac
costassero : « ...sta tanto superbo — dice Passero , ne' suoi
Giornali — che non dà audientia a nullo, anzi tutto lo mundo
ammenaccia ». Ma il de Toraldo tenne duro e non temette della
sua maniera di giudicare. Così, per la sentenza che restituisce
il signore napoletano all'officio, noi sappiamo quel che davvero
ci premeva molto di sapere: quando, cioè, la « Gabella delle me
retrici » sia stata introdotta in Napoli.
Ela sentenza sopra citata ci rende pur noti i nomi di coloro che
godettero del privilegio da quell'anno 1401: Luigi de Aldemo-

(14) Luigi, o Lodovico Aldemorisco, d'antica famiglia nobile del Seggio di Nido, fu, al
tempo di Ladislao, grande Almirante del Reguo. Mori nel 1414, pochi giorni dopo del re.
iviasuccio Guardato (Masuccio Salernitano) dedica alla magntfica ci colendissima Comare
Francischclla de Morisco la ventesimasesta novella del Novellino,
La tomba di Lodovico, (del quale fu moglie Isabella Brancaccio) opera del famoso abate
Antonio Baboccio, e nella chiesa di San Lorenzo. Ve un'iscrizione in parte latina in parte
francese. La famiglia Aldemorisco si spense in un Carlo, su' piiucipii del seicento. Vedi
Ul. Pietri : Delle liisloric Napolitanc. p. 208.
— 7 —

Ferdinando I d'Aragona — Museo Nazionale di Napoli

risco ne usò pel primo, appresso l' officio venne ereditato dal
costui nipote che si chiamava pur Luigi e da'fratelli di lui Nicola,
Francesco e Raniero. Ob corion notoriam rebellionem (si allude
forse alla congiura de' baroni onde si misero contro Ferrante
gli Aldemorisco tra gli altri) i quattro fratelli vennero privati
del beneficio. Succedette loro Nicola de Toraldo, al quale e a' suoi
successori, in feudum , si concesse la gabella con donazione
del 1459. La riebbe, infine, dallo stesso Carlo ViII, nell'aprile
del 1495, Gaspare de Toraldo. fe detto pur di costui nel Som
mario degli Atti della Cancelleria di Carlo Vili (15), publicato
da O. Mastrojanni nell' Archivio St. per le Prov. Napoletane:
« A 28 aprile 1495 re Carlo conferma ereditariamente a Ga-
(15) Regio Esecutoriale n. io, fol. 134.
— 8 -

spare de Toraldo il possesso di Polignano in terra di Bari con


gli annessi diritti , la Terra di Mola , il feudo di Toraldo in
Sessa e la Gabella per le meretrici della città di Napoli con i
suoi distretti. Gli conferma inoltre i casali di Casolla , San
Adiutore e Cannano in pertinenza di Aversa che egli possiede
in parti eguali col fratello Alfonso ». Del de Commalin e del
Monmours non abbiamo rinvenuto traccia in questi preziosi
documenti, ma non è da dubitare che non sieno stati di coloro
che accompagnarono Carlo in Italia e a' quali egli era largo
di favori. Così, per esempio , a un Everardo Buisson , regio
scutifero, il re concede l' officio, nello stesso aprile, di creden
ziere della gabella che si esigeva fuori le mura di Napoli in loco
ubi dicitur Casa Nova, cioè fuori Porta Capuana.
Il Ms. che abbiamo scorso tutto quanto nota , qua e là, i
soliti subaffitti che gli assegnatarii principali, o per dir meglio
gl'intestatarii, si permettevano di stipulare. Così or la Gabella
delle meretrici è in mano di un Nicola Brancaccio, or in quelle
di Giovanni e Francesco Antonio Villano, or nell'altre di un
Francesco Santacroce (Sanctae Crucis), cum suis juris et ju .
risdiclionibus. E qua e là ricorrono i nomi delle meretrici del
tempo: una Carmosina dà parecchio da fare agli Aldemorisco,
da un'altra Carmosina, nel 1 500, il percettore de'provventi della
Gran Corte della Vicaria, Loise Pagano, esige 30 carlini. Nel
1579, arrendatore della gabella Giovan Giacomo Manso, tro
viamo, a' io di maggio: Salvaguardia alli officiali et arr." de
nostra Corte che non diano fastidio a Silvia Scarpetta, che così
è nostra voluntà (16); e un'altra protetta, tale Giulia Genoese,
figlia di Nicoletta, appare nel marzo del 1580.

Gaspare de Toraldo, nel 1517 ha, definitivamente, ceduto


l' officio a Giovanni Villano e a Nicola Brancaccio. L' istru-
mento venditionis gabellae meretr. facta p. Gasparem de Toral
do, Marchionem Pulignani, Io. Villano et Nie. Brancatio è del
febbraio di quell'anno. Nel 1532 (3 settembre) il Villano era
ancor nelle sue giurisdizioni, come dui documento che segue^

(16) Ms. cit. p. 22.


Banno da parte di G. Villano per la Ga
BELLA DELLE CORTESANE CANTONERE ET
MERETRICE DELLA ClTTÀ DI NAPOLI.
/. Che ogni cortigiana fra termine de quat
tro dipoi la pubb.'"- del presente Bando se de-
biano fare scrivere el matriculare a lo quinter
no delti Gabeìloti dì d.a Gabella el pagare la
Gabella solita altrimenti elassi delti quattro
dì incorrerà alla pena de once 4 el pagherà
la Gabella solita. Et chi l'accuserà guadagnerà
la 4 parte della pena el sarà tenuto secrelo.
II. Che nulla Cortesciana, Cantonera, me
relrice et donna de partito biastemi il nome
dì Dio, della Gloriosa Vergine, né dei suoi
Santi sotto la pena contenuta nella A'. Pramm."'
III. Che nessuna delle donne soprad.c pre
suma giocare ne fare giocare in loro casa a
nessuno gioco sotto pena de onze 4.
IT. Che debbia pagare la Gabella alti Ga
beìloti a la pena di once 4.
V. Che nessuna delle suddelte quando fanno
costiuni ira esse debiano andare a cercar gìu-
stitia ad altra Corte eccelto che alla Corte delti
sopr."' se non quando li fosse denegata justitia
da li Gabeìloti el nesciuna debia offendere l'al
tra sotto la pena de onze 4.
I 'I. Che nessuna delle sopri"" donne presu
ma obligarse de quals.'" quantità de denari a
nessuna persona, in nullo Tribunale eccelto in
la Corte delti predetti.
VII. Item si notifica a tutte le predette donne
che quella la quale vorrà essere assente dalla
d.* Gabella have da vivere con un homo solo
el non più , con obligarse in potere di detta
Corte del modo suddetto. Et chi fera lo con
trario pagata lo debito solito pagare a d."a
Gabella el caseha rà a la detta pena de onze
quattro.

ìw^mm
— IO —

Veduta di Napoli con Castel S Elmo {Secolo XV)


Dal suppl. Chronicorum, Venet. 1490).

V'era ancora — nota il nostro copista — la pena di perdere li


vestiti ed era gran danno per quelle sciagurate che spendevano
parecchio in abiti de' quali il Vecellio, tra gli altri, ci offre, più in
là, qualche preciso esemplare (17).
Nel 1567 Fabrizio Villano, presidente del Sacro Regio Con
siglio, fitta a Filippo Villano parte della gabella , per ducati
800 annui. Nel 1575 la vende a don Cesare de Guevara (18) che
offre 8 mila ducati da pagare in due anni e sette mesi. Nel
1576 il Guevara e il Villano cedono la gabella a Camillo Villano,
temporaneamente. Nel 1579 il Guevara la vende a Gian Giacomo
Manso , nell' aprile. E tra coloro che fino al seicento presero
dagli assegnatarii sopra citati tante parti del reddito in subaf
fitto troviamo la vedova di Dionisio Ferrero, Dianora, Cesare
d'Argenzio, Fabrizio Nicodemo , Giov. Francesco d' Alfonso ,
Porzia dell'Oria e Ascanio Vollaro (19).
(17) Vecellio: Costumi antichi e moderni — Venezia, 1598.
hi un quadro del Carpaccio, Museo Correr, di Venezia, e nel quadro VAulea del Parifci-
gianino, nel Museo di Napoli, e in parecchie altre pitture, del secolo XVI, sono modelli
di abiti e acconciature somiglianti.
(18) La famiglia Guevara venne nel Regno con Alfonso d'Aragona. « Perseverando il Re
in farsi benevoli i suoi aderenti a' 19 gennaio 1467 fe' tre Conti e furono Matteo dì Capua
conte di Falena, Scipione Pandone conte di Venafro e don Ferrante di Guevara conte di
Belcastro » Summontb. I voi. p. 484.
119) Per tutto quel che riguarda l'officio degli arreudatori vedi: Decisiones Supremi Tri
bunalis Regiac Camerae Summai ine — Neapoli. 1770.
Il secolo decimoquinto ha ottenuto fin qua, per parecchio
e svariato contributo alla sua storia nel napoletano, un'illustra
zione quasi completa, se pur disordinata. Cosi, ne' Giornali
sincroni del Passero, e d'altri suoi contemporanei, come nelle
monografie più recenti onde gli storici accrescono Ja messe di
somiglianti ricerche, ogni intento lettore potrà cogliere nella
lor "più interessante fisonomia quell' antica vita e quell' abito
e quel costume, se bene un cosiffatto conglomerato non sod
disfi, pel manco d'ordinamento con cui è presentato all'atten
zione degli studiosi, tutte le costoro pretese, e proprio quello
spirito d'unicità di narrazione che si vorrebbe riscontrare nella
storia d'un secolo tutto quanto. D'altra parte la ricerca — non
più come in non proprio remoti anni trascorsi , in cui quasi
bastava rimettersene alla tradizione — or si compie severamente
su' documenti inoppugnabili i quali, a mano a mano, spuntano
fuori da' polverosi fasci degli archivii e delle biblioteche. Però
durante un'opera, che quasi si potrebbe chiamare di sovrap
posizione , il concetto dell'ordine cronologico è vano: oggi
sapremo di quali panni vestiva Ferrante figliuolo di Alfonso I,
domani, avviati a retrospettività più lontana da novelle scrit
ture, conosceremo il costume suntuario di Sancha.
Qui, della maniera di vivere del popolo napoletano nel deci
moquinto secolo ci è suggerimento sommario una delle ultime
e più studiate monografie del chiaro abate Nunzio Federigo
Faraglia (20). E nella nostra mente sorge spontaneo il paragone
tra la Napoli d' oggi .— vogliamo dir la Napoli plebea — con
quella che sotto il regno di Giovanna II non si dava altro pen
siero che di godersi la vita , e facile era godersela , di que'
tempi, con poco denaro. Quanti infelici non ha fatto, con l'avan
zarsi degli anni , la civiltà ? E nella misera plebe de' giorni
nostri, iniziata a ogni sorta d'azioni immorali da' privati in
teressi, quanto non hanno dilagato que' mali dello spirito, quelle
preoccupazioni, que' desiderii che l'hanno mutata in peggio?
A certe ragioni civili, in verità , il popolo napoletano non è
{20) Stndii intarmi al Regno di Giovanna II di Augia. Voi. XXV degli Atti della Acc.
l'oulairiiina — Memoria XIV.
assorto se non da qualche secolo solamente: non ha conosciuto
fino al secolo decimottavo che la piazza e la festa e il suo mare
e i suoi teatri e le sue cuccagne : oggi che sa, per esempio,
come il voto possa e debba essere pagato, questo popolo è un
altro : rimane servile ma chiede , con un amaro sorriso , il
compenso de' suoi servigi. Benediva un tempo la sua continua
felicità, ch'era ignoranza, è vero, ma che non insinuava nello
spirito alcuna preoccupazione: oggi pare che maledica, perchè,
finalmente, ha capito.
Quale diverso modo di vivere se risaliamo a' tempi descritti
dal Faraglia! Nelle città ch'erano quasi tutte del regio demanio
il commercio, le arti, le consuetudini de' cavalieri e dei baroni
che le abitavano rendevano meno ruvida e più umana la vita:
Napoli era detta di que' tempi gentile, i popolani non pagavano
collette ma contribuivano a' pagamenti fiscali co' dazi e non
si vedevano davanti a ogni momento il ceffo del percettore ',
era la città in mano de' patrizii, erano costoro, onestamente,
non divisi da partiti, ma interessati all' utile della patria loro.
Si mangiava bene con pochissima spesa di denaro e tra' cibi
prevalevano le erbe ; i maccheroni erano vivanda di lusso e
scambio di mangiamaccaroni i napoletani venivano chiamati
mangiafoglie : i broccoli, le zucche, le rape, le fave constituivano
il desinare comune ed abituale della nostra plebe, che é stata
sempre frugale. La carne di vitella si vendeva a due grana e
mezzo il chilogramnia, cioè a 30 centesimi il rotolo (13 grana)
il cacio di Sardegna costava 28 centesimi il chilo, e 60 centesimi
valeva un chilo di buon caciocavallo. Il pane 7 centesimi il chilo,
un barile di vino nel 1390 costava una lira e 86 centesimi e
il barile era di 48 litri : frutta ed erbe valevano poco : due
grana di cavoli bastavano a 28 tra frati e monache di un mona
stero promiscuo.
Veniamo — dice il Faraglia — all' uso pratico della vita. Il
monastero de' SS. Pietro e Sebastiano aveva un servo al quale
dava sei tareni mensili (lire 13,92) cioè quattro grana al giorno.
Un povero salario: ma il servo lo poteva spendere assai como
damente giorno per giorno. Con le sue quattro grana poteva
comprare due rotola di carne di vitella, o un rotolo di carne
di maiale ed una caraffa di vino, o un rotolo di maccheroni,
- 13 —
o due rotola di cacio sardo. Coi sei tareni mensili avrebbe
potuto comprare in una volta una piccola vitella, o tre agnelli,
o due maiali, o due staia d'olio o sei tomola di grano.
Fatti dedotti da documenti autentici: eppure sembrano inve
rosimili. E quando era satollo il popolano pensava a darsi buon
tempo : menava la sua vita all'aperto, in riva al mare ed in
piazza. Cento anni appresso , in certe sue stanze famose , un
poeta popolano, Velardiniello, avrebbe vantato il costume di

Cient'anne arreto, ch'era viva vava,

e soggiunto :
Da viecchie antiche aggio sentuto dicere
Ca treccalle valea na chiricoccola ;
Avive pe seie grana, e non t'affricere,
Tridece pulicine co la voccola :
Lo vino ch'era fatto a Parmentiello
Valea no coronato a varreciello !

Vita gioconda, vita spensierata , senza elezioni comunali e


provinciali, senza tassa locativa, senza società operaie. Gli uo
mini si davano bel tempo , giocavano a giochi innocenti , si
riunivano a bere e a mangiare e a raccontarsi fandonie ; le
donne ballavano...
Le fremmene addorose de colata
N' dobretto s' amia vano a no vico
Danzanno tutte 'n chietla, o bonafede !
La Chiatanzana, e po lo Spontapede.
Portavano ora gli zoccoletti, ora le scarpette trapunte. Nei
giorni di festa la fanciulla, in gonna di scarlatto,
Portava perne grosse comm'antrita
La faccia senza cuonce, angelecata,
Che te terava comm' a calamita !

Napoli era stata città festaiola da tempi antichi : rileggete


il Boccaccio, vi ritroverete, additata come un bene nelle sue
gioconde novelle, la vita napoletana del trecento. Feste conti
nue, cavalcate, luminarie, trionfi, tra' quali quello magnifico di
Alfonso d'Aragona, continuarono nei tempi posteriori. La festa
di S. Giovanni dava occasione a curiosi riti e costumanze di
plebe. Nella contrada di S. Eligio e S. Giovanni a Mare erano
— 14 —
mereiai, venditori di coltri, di tele, di bambagia; banchieri,
argentieri, armaiuoli occupavano le vie circostanti. Tutta una
storia nostra s'è svolta laggiù, ove adesso l'opera del risana
mento ha diroccato forse la parte più antica e più caratteristica
della città. Oggi le popolane, alla vigilia di S. Giovanni, lascian
cadere piombo liquefatto nell'acqua e dalle forme che prende il
metallo traggono auspicii per il loro avvenire : in que' tempi
seminavano orzo nei vasi posti alle loro finestrette e quell'orzo
aspettavano che venisse su rigoglioso, per dire alla gente: noi
saremo felici ! E fu, si dice , alla vigilia di S. Giovanni che
Alfonso d'Aragona s'incontrò con la bella Lucrezia d'Alanno.
Alla sera — strana usanza — dopo la visita al santo le donne
andavano a tuffarsi in mare...

Le ffemmene la sera de san Gianne


Ivano tutte 'n chietta a la marina ;
Allere se ne jeano senza panne
Cantanno sempre mai la romanzina.
Po te ne ive pe la rua Francesca,
Pe cchelle porte de le Cantatrice,
(Tanno era vivo Francesco Maresca)
Co ttanta suone, che tiempe felice!
E co cchelle funtane d'acqua fresca.
Co cchelle gente guappe cantatrice,
Tozzoleanno co ffesta, e co gioia
Lo canto se sentea fi a sant'Aloja !..,

Sant'Aloja, ossia S. Eligio: quel vecchio S. Eligio ove ancora


s'affolla una gente che conserva le abitudini antiche, che vive in
certe vecchie case scure, che s'aggira per quei vicoletti e per
quei chiassuoli e in certi fondaci che ancora rimangono impiedi,
come le ombre degli antichi napoletani. Povera Napoli ! Come
ci pare poetica dopo tante vicende, come ce ne arriva la voce
remota tra tanti nuovi dolori e tante miserie! Alla venuta di
Alfonso d'Aragona la città era stretta da una cerchia di mura
che comprendeva — dice il Faraglia — quasi quanta città ora
si stende da S. Giovanni a Carbonara alla via Costantinopoli,
da Foria al mare: molti popolani campavano attorno ai signori
ch'eran molti, parecchi traevano da vivere dai monasteri e dalle
chiese, altri coltivando la terra, pescando, facendo ogni mestiere,
- 15 -
ogni traffico. Erano ignoti il caffè, il tabacco, il liquore : tanti
bisogni di meno, tanti vizii di meno...

Ma, laudalor temporis acti, il Faraglia , che s'incammina per


Napoli durazzesca con sempre in cuore l'entusiasmo de' ricer
catori benevoli, vede tutto roseo e par che s'abbatta a ogni
passo in una quasi virgiliana felicità di tempi. De' quali, in
verità, sarebbe vana impresa ricercare la psiche : le virtù ed
i vizii antichi, nella lor varia forma peculiare , i documenti

Un lettor di novelle al quattrocento. — Da stampa dell'epoca.

scritti non ci renderanno mai noti cosi come a' posteri nostri,
con indagini popolarizzate dall'odierno interessamento e dalla
copia de' libri e dall'agitazione stessa dell'avida scienza de' no
stri giorni, noi potremo far conoscere. Ond'è che la benevo
lenza per cose remote non guasta : certo , se si dicesse che
arride oggi a noi miglior fortuna, nessuno ci crederebbe.
Tuttavia, per l'indole di questo lavoro, che pur non è fatto
d'osservazione ma di semplice indagine, abbiamo voluto pene
trar più addentro in quel movimento cittadino del secolo deci
moquinto a Napoli a cui se non tenne dietro, come or seguirebbe,
la narrazione suggestiva, conferì, quasi inconsciamente , ca
rattere la letteratura novellistica del tempo , la quale ebbe
nel Modino ein Tommaso Guardato — più conosciuto questo
- i6 -
ultimo col nome di Masuccio Salernitano — due seguitatori
di messer Giovanni Boccaccio.
Narrò il primo di costoro, in un latino che tolse in prestito
un po' da tutti, ora dall'Apuleio or da Seneca o da Cicerone,
(senza tuttavia spogliarsi della propria ineleganza e di viziose
locuzioni e ancor di frequenti strafalcioni grammaticali) favole
che oggi nemmanco diletterebbero gli scolarelli , tanto son
grame. Sudice sono molto, è vero: forse quelli imberbi, quando
le ritrovassero tradotte in volgare, vorrebbero torle in pascolo
alla curiosità loro da ragazzacci. E pure Girolamo Modino ,
napoletano, dottore nel diritto civile e nell'ecclesiastico, scrisse
quelle novelle per la buona società del suo tempo l Poco prima,
nella Corte Aragonese — a somiglianza del Pulci , che nella
casa magnifica di Lorenzo de' Medici declamava il suo Morgante,
e del Boiardo il quale, in Ferrara , narrava alle nobili donne
e a' cavalieri infervorati le avventure d'Orlando — un Tom
maso Guardato, signore salernitano, aveva intrattenuto gli ozii
di « Madama Ippolita Sforza , figlia de lo Duca de Milano ,
Duchessa de Calabria , mogliere de don Alfonso d' Aragona
Duca di Calabria, intrata in Napoli a 14 di settembre 1465 » (21)
e delle sue damigelle. Il salernitano era andato loro leggendo il
suo Novellino , rappresentazione sincera ed efficace della vita
popolana e signorile sincrona, de' costumi e delle usanze e delle
credenze di quel volgo, ora turlupinato da monaci e da preti
che in quelli anni si lasciavano addietro i più famosi paltonieri,
ora inteso, quando ne avesse il modo, a sbertucciarli e svillaneg
giarli in casa e nella piazza. Di popolo e di signori il Guardato
s'intendeva ugualmente, da che in mezzo a coloro e alla plebe
era vissuto, ma con desiderio di schietta osservazione e di critica,
non davvero con lo sconcio intendimento che il suo contem
poraneo Modino manifestò, appresso, a ogni tratto del suo su
dicio libro.
Senonché quegli che legga il Novellino, può domandarsi con
meraviglia se Masuccio Salernitano non abbia voluto anch'egli
solleticare il senso de' suoi ascoltatori piuttosto che la lor cu
riosità. E questo proprio si domanda il Settembrini ancora, a
f 21) Passero — Giornali — cil. p. 27 Le nozze si erano celebrate in Milano nel maggio.
Vedi: Carlo de Rosmini; De.'Il'istoria di Milano, Milano 1820 — II. p. 503.
— i7 —
un punto della sua bella prefazione al libro del Guardato. Ma
per ribattere che se costui pur vantava, nella dedicatoria d'una
delle sue licenziose novelle, ]'inaudita pudicitia di Madama Ip
polita si deve intendere che fosse di que' tempi e in quella
principesca e numerosa famiglia comune e solita la libertà del
costume, anzi un certo libertinaggio che dalla Corte corrotta
scendeva alla piazza e diventava brutale oscenità nel popolo (22).
Qui preti e monaci questuanti bazzicavano a piacer loro nelle
case de' cittadini, sollecitando delle costoro donne ora la la
scivia ora la cupidigia , ingannando i superstiziosi o rilassati
mariti, aiutando fin la prepotenza de' signori e le astuzie delli
amanti. Qui — ad esempio — per udito dir dal Masuccio, due
frati « passati un giorno per lo Pendino de' Scigliati e veduta
quivi abitare e contro voglia stare al publico guadagno una
giovenetta siciliana di bellezza assai meravigliosa » subito pen
sarono di condursela in convento pel piacer loro. Ella avea nome
Marchesa, e quello forse era un soprannome. Si concedeva ll,
agli Scillati, per vile e menomo prezzo e stava al comune ser
vizio e dei beccarini di carne umana (23). Ed ecco , in poche
parole, descrittaci la meretrice del quattrocento. Il Pendino degli
Scigliati, o Scillati, o de' Mocci, pigliava nome da quella fami
glia nobile salernitana la quale possedeva case in Napoli, pros
sime alle case dei nobili napoletani Mocci e a poca distanza
dal Rione della Spezieria vecchia, nel quartiere di Portanova,
ove, a'tempi nostri, il risanamento della città quasi ogni pietra
ha fatto sparire di quelle antiche, ove dell'antico or rimane una
chiesa soltanto detta di S. Maria de' Muschini, edificata nel 1178
da Sergio Muschino, nobile del sedile di Portanova, restaurata,
nel 1305, da Giannello Cotogna, nobile del sedile di Montagna,
e riedificata, nel 1569, da' complatearii (24).
(22) Un contemporaneo, Filippo Gerard de Vigneulles, lorenese, che nel 1487 venne in
Italia dalla Svizzera dietro un araldo di Alfonso d'Aragona duca di Calabria, ci dice che
tornato dal Cairo don Alfonso figlio naturale di Ferrante « cominciò a menar in Napoli
la più infame vita di cui mai si fosse sentito parlare : la sua corte era piena di cattiva
gente ed egli si dimenava come un matto. » Più tardi questo bastardo era nominato ve
scovo di una diocesi di Napoli ! — Gedenkbuch dfs Metzen BUrgf.es Philippe von
Viunellles aus den Jahren 1471 bis 1522 etc. Stuttgart, 1852 —Vedi Appendice all'Archi
vio Storico Italiano, 1S53, pp. 224, 38.
(23) Novellino — Novella VII.
(24) Celano. Notizie del Bello dell' Antico e del Curioso della Città di Napoli— Napoli
1859 — Voi. V, p. 129.
— i8 —

Era in questa piazzetta il Seggio detto anticamente di Porta


a Mare, che appresso si chiamò di Porta Nuova per quella che
vi fu aperta dopo una ricostruzione parziale. Dal portico del seg
gio si entrava nella Giudecca, ove gli Ebrei commerciavano specie
d'abiti vecchi e, in anni che di pochi avevano preceduto quelli
ne' quali la siciliana Marchesa impaniava i due fratacchioni ,
s'eran visti sulla soglia delle loro bottegucce con sul capo un
cappelletto tondo senza falde , detto Thau , segno prescritto
agl'Israeliti da Giovanna II , con un diploma del 3 maggio
1427 (25). Nel 1493 l'aragonese Ferrante I, cedendo alle in
sistenze onde i napoletani s'adoperavano contro que' circoncisi,
volle che rimettessero il segno dismesso, e che quello fosse di
color sanguigno ordinò una prammatica del 1509 (26). Vietato
inesorabilmente a costoro qualunque commercio con donne cri
stiane e quello punito, la prima volta, con ammende pecuniarie
gravissime, ne seguiva che spesso erano a torto incolpati : certo
il lor denaro faceva sempre gola all'erario. E parecchie delle
carte del nostro Archivio di Stato son ll a dimostrarlo.
« Magni/ice vir fidelis Regie Amice noster carissime , salu-
tem — dice un di questi documenti — Noviter è comparso in
questa camera (della Sommaria) Abraham de Trano judio, et
gravatose multo de vuj, como, cantra omne justicia, de facto ha
vile piglialo imo suo figliolo nomine Ventura quale havea man
dato alo mercato de quessa cita de Carinolj ad comparare certi
pullti et quillo hauile detenuto et detenite jmpresone sub pretestu
ve sia stato accusato che habia conosciuta carnalmente una mere
trice christiana el che expresse se nega per dicto Ventura con
allegare che mai tale cosa se ponerà in vero : Supplicandonee per
questo essere prouisto ala soa jndempnità per viam gravaminis
et querele : per tanto per tenore della presente ve decimo et ordi-
namo che al recevere de epsa debiate pigliare dalo dicto Ventura
ydonea preziaria de onze cento che se habia jn fra duj dì per
sonaliter presentare in questa Camera et stare ad rasone con la
Regia Corte et de po lo debiate liberare et mandatelo in dicta
Camera una con lo processo et informacione per imi pigliata sopra
tale causa ad ciò che se possa proludere ad quanto serra de

(25) Massonici : Vita del Bealo Francesco da Capùtrano — Venezia, i6j7.


(26) Pragmatica Regni Neapolitani — Tit: De Judaeis.
— 19 -
iusticia : Date in eadem Cammera XVIII maii 1491 : Julius de
Scorciatis loc. Capit.""' Calenj. F. Coronatus pro Mag. Actor (27).
Assai tempo avanti Federigo imperatore aveva bandito ut in
differentia vestium a Christianis discernantur e, nel 1307, Ro
berto Duca di Calabria, vicario di Carlo II d'Angiò, prescritto
che ciascuno ebreo maschio dovesse in publico comparire
con attaccato nel mezzo del petto un disco duorum latitudinis
digitorum, cuius girus duorum palmorum recta divisione clau-
datur : ogni femmina ebrea con l'amitto (28).

Vecchie case e casette, e androni e vichi tortuosi e botteghe


scure e profonde e passaggi ad arco e continuo traffico dal
mare vicino, e lo scampanio dalla chiesetta de' Muschini, e il
chiacchierio monotono e incessante delle fontane, dalle cui vasche
incapaci traboccava l'acqua in qualche cortiletto — ancora ne
ritroviamo una , oggi , che ora accoglie in fresco i recipienti
d'un vinaio — ecco la piazzetta di Portanova, ove la Marchesa
abitava e fornicava , sulla fine del quattrocento. Qui tenta e
ritenta un delirati la donna, ed ella, astuta, fa la preziosa e ri
sponde : « Sono col mio caro omo in tal termine che di me
non oso far quel ch'io vorrei : imperocchè essendo lui un ga
gliardo giovine ricco, amato e molto favorito in questa città
non dubito che vedendosi di me privo poneria mille vite in
periglio per avermi e doppo, per suo onore, guastarmi nella
persona... » (29). Così proprio. Ora, badate: quel caro omo, se
bene vesta panni quattrocenteschi, è il mantenuto, l' alphonse
del secol nostro. Ricco — dice Marchesa : ma che ! Occorreva
che ricco lo reputasse il frate, al quale un miserabile amante
bisognoso avrebbe potuto fare ombra. Gagliardo e amato molto
e favorito — d'accordo : qualità di somiglianti amatori. E ponete
ancor mente a quella frase: per suo onore guastarmi nella persona:
la nota ancor il Settembrini. È del camorrista che oggi taglia

(27) Grandi- Arch. di Siato di Napoli — Partium sommariae 33 (1491-92) e js C.


28) Svllabus membranarum ad Regiae Siciliae Archhnum pertinentium — Tom. II.
Pars. II, pag. 182. Napoli , 1824. Sul Segno degli Ebrei vedi nei Giornale ligustico , anni
1888 e 1889, gl'interessanti scritti di G. Rezasco. L' amictum può dar l'idea d'una so
pravveste a guisa di scialle, o addirittura d'un lungo velo.
(29) Masuccio Salernitano — Novellino, p. 92.
— io —
la faccia all'amante. Infine, il mondo della mala vita partenopea
sempre è stato lo stesso con le medesime abitudini. Or come
chiamerebbe un novelliere del tempo nostro quelli sfruttatori
di femmine ? Masuccio, al suo , li chiama beccarini di carne
umana.
L' amante di Marchesa avea nome Griffone. La sua druda
guadagna di be' denari al convento e ogni volta che torna a
casa, ove Griffone l'aspetta, gli butta la moneta in seno. E il
Settembrini addita: «questo buttar la moneta è proprio di quelle
donne, ed è bello. » Non diciamo di no : bello... e brutto. Certo
Masuccio con parole poche e sapienti non poteva dir meglio
di quell'atto che ora pur si ripete ed esprime tutto lo sprezzo
pauroso di creature, se pur avvilite, non vili.

La favola De juvene et Thayde — (Dalla traduzione di Esopo del Del Tuppo).

Contro costoro, mentre il buon salernitano ammonisce sor


ridendo e quasi impietosendosi, si scaraventa un contempora
neo di lui, Francesco del Tuppo, dottore in utroque come il
Morlino e ufficiale nella segreteria di Ferrante. I bibliofili
conosceranno la rara quattrocentina del suo comento alle Fa
vole a" Esopo, da lui pur tradotte, impresso nell'anno 14858
15 di febbraio , sub Ferdinando Illustrissimo , Sapientissimo
atque Iustissimo , in Siciliae Regno triumphatore. Ecco la fa
vola cinquantunesima : De juvene et Thayde, illustrata ancora
da una xilografia suggestiva , che ci sovviene intorno al co
stume della meretrice del tempo : una gonna lunga che le
donne portavan succinta , un corpetto sgolato , una qualche
penna tra' capelli spartiti e arricciati. Segno nessuno: nel 1347
Giovanna I, regina di Napoli e di Avignone, aveva, è vero, fatto
bandire il famoso decreto con cui si stabilivano importanti di
scipline di Polizia per le meretrici, ma quello — scritto in dia
letto provenzale e dall'Astruc riportato originalmente con la
traduzione latina — non colpiva se non le prostitute d' Avi
gnone soltanto. L'an mil très cent quaranta et set — dice il de
creto — au hueit dau mès d'Avous, nostro Bono Reino /ano à
permès lou Bourdeou dins Avignon ; et voi que toudos las fre-
mos debauchados non se tengon dins la Cioutat , mai que sian
fermados din lou Bourdeau et que per estre conneigudos que
porton uno agullietto rougeon sous l' espallou de la man escai-
ro... « un nastro rosso sulla spalla sinistra ». In Napoli non
s'ebbe tanto zelo. Ma l' odioso costume era, tuttavia, comune
in altre città italiane : in Padova, a esempio, ove le male fem
mine portavano cappuccio rosso e gonna di tela bianca; a Faen
za, che le vedeva passeggiare con sulla testa un velo giallo e,
infilato al braccio, un canestro; nelle terre del Piemonte, ove nel
1480, per decreto di Amedeo ViII, duca di Savoia, le meretrici
si mostravano incappucciate da uno sconcio cuffione armato di
due corna lunghe mezzo piede; a Milano che le conosceva al
copioso e lungo mantello di fustagno nero; a Bologna, infine,
ove nel 1382 s'era publicato un editto che prescriveva alle
sciagurate il cappuccio a sonaglio, affinchè la conoscenza loro
entrasse per /' udire e per lo viso (30). Anche la gabella insti—
tuita in Napoli da Ladislao , come si è visto, vi era entrata
tardi : già ella era usata in Perugia dal 1359, e altrove (31).
Un Legato pontificio ottenne che in Perugia fosse tolta, e fu
nel 1425 : un secolo dopo Pio IV, col medesimo e pulito prov-
vento fabbricava un borgo a Roma e il generoso latino pa
pale ne indicava, enfatico, l'origine, da una lapida a una can-

(30) G. Rezasco — Il segno delle meretrici — Giornale ligustico, anno 1890 , pag. 161
e segg.
(31) FabRetti — Documenti inediti sulla prostituzione in Perugia — Torino. 1885.
22 —

Suonatore di tebec, suonatore di mandolino e prostituta.


Stampa del Secolo XV.

tonata ! E anche in Napoli, se vogliamo starcene a quello che


si diceva fino a un secolo fa, i denari della gabella occorsero
per eccelse opere di fabbrica (32). Senza troppo scrupolo —
come abbiamo visto — gli Aragonesi — appresso la funzione fu
detta arrendamenito (33) — aveano fittato la gabella e permes
so, ovunque, l' esercizio della prostituzione. Dal re Alfonso, nel
14,31, tal Puccio de Simone aveva avuto licenza, tra gli altri,
di impiantare un publico postribolo a Palermo, nel quartiere
della Conceria (34); qui, in Napoli, lo vordiello, come si di-
(32) « ... Castelnuovo è un quadrato lungo con quattro bastioni : dicono che quello più
vicino allo molo fu fabbricato con i denari cavati da una imposizione o sia gabella sopra
le Corteggiane, e quindi sopra parte delle pietre vi si vede intagliata la figura delle parti
vergognose delle donne... » Lettera di A. Matteo Egizio al Signor Langi.et du
Fresnov... Napoli B. e Ignazio Gessari 1750, pai;. 21.
(33) I consegnatarii d'arrendamento, detti anche assegnatarii. erano coloro che assumevano
a partito obligatorio la riscossione di alcuni dazii che riversavano al governo.
(34) Vedi: Sampolo: Storia degl' Istituti femminili di emenda delta città di Palermo —
Arch. Storico Siciliano — Anno II. pp. 289-344.
La seguente nota riguarda anche il quartiere della Conceria : « In un registro del notar
- 23 —

ceva popolanamente, era comunissimo nelle rue , o strade, più


eccentriche, ed era pur comune , verso la metà del quattro
cento, la frase che solevano usar co' clienti le meretrici : Fa to
sto et levate! Malora quando?! (35). Anzi, come quel publico
esercizio principiava a dilagare e a far penetrare l'immoralità
fin ne' luoghi più decenti il re Ferdinando d' Aragona ordinò
« che tutte le femine che viveno hinoneste per la cita de Napoli
se debiano permutare et andare ad loro deputato locho dove tale
deshonestà se fa publicamente. (36) » Nessuna gabella a Vene
zia : in Lucca l' aiuto del gratuito patrocinio detto beneficio
del miserabile; qui in Napoli l' esenzione dal pedaggio (37 ) e
la libertà di farsi vedere in piazza e alla finestra.

Città non meno illustre di altre più vantate d'Italia e della


stessa Milano era Napoli, di que' tempi. Di Napoli scriveva
Carlo ViII a Pietro de Bourbon suo cognato : « Qui ho tro
vato ogni più bella cosa : qui giardini ai quali non mancano
che Adamo ed Eva per farli credere paradisi terrestri: qui i
migliori pittori; e ad essi commetterete di far le più belle sof
fitte ch'è possibile, poi chele porterò meco ad Amboise »
Qui, difatti, sullo scorcio del quattrocento l'accademia Alfon
sina aveva stimolato le più singolari intelligenze. Non è da
credere che il Guardato e il Morlino e il del Tuppo — il quale
salvò dalle fiamme una copia del Novellino per serbarla a Ip
polita Sforza—fossero, nella letteratura del tempo, le celebrità
Pietro Tagliatiti esercente in Palermo leggesi un atto dato a 9 settembre X indizione 1476
pel quale un Michele Grimaldo notinese ed abitante a Palermo appigionava a certa Lucrezia
de Sapienza, meretrici publice, unam pattem ua;is domus site et posile in quarteria con
ciarie, in contrata postribuli publici, secus aliam partem diete domus, camerino mediante
secus domum luliani de Avutami Christo etc. per la pigione di onze cinque annali ( L. 63,75).
Nello stesso giorno il Grimaldo medesimo locava un'altra casa nella contrada anzidetta
a Fior di Messina anche lei meretrice ; più tardi (23 sett. 1476) una casa mobigliata, sempre
alla Conceria, a Garza di Manfredo di Giovan Donato, meretrice della terra di C'cria
e finalmente a 6 febbraio 1476 ne affittava una quarta ad una meretrice solidalmente col
di lei amico. » — R. Starrabba — Appunti per una storia delta prostituzione in Sicilia —
Ardi. St: Sicil. Nuova serie. Anno 1 pag. 478.
(35) De Biasio : Tre scritture napoletane del secolo XV, In Arch. St. Prov. Napol. voi. IV
p. 411. (Ms. di Loisc de Rosa, alla Nazionale di Parigi).
(36) Privilegi et Capitoli con altre gratic concesse alla fidelissima Città di Napoli .... —
Venezia — 1588 — p. 17. Cap. XXIX.
(37) Dccisioncs R. Cam. Summariae : Lena, vel mcretrix non dead solvet e pedasium ....
— 24 -

spiccate. Del Guardato ci rimane un libro scritto, è vero, in


lingua efficace e quasi elegante, non toscana — come osserva
il Settembrini — ma materna. Tuttavia egli s' intrattiene di
cose popolane. Invece il Cariteo e Giovan Francesco Carac
ciolo rappresentavano letteratura ed arte più nobili e pur in
volgare, ch' essi, a differenza de' più dei primi umanisti, non
avevano a dispregio, anche amando comporre il volgare en
tro certe vecchie classiche vesti. Il Sannazaro , Pietro Sum-
monte, Gabriele Altilio, Giovanni Pardo, Antonio de Ferrariis,
detto il Galateo , avevano avuto per mani la cosa publica e
le lettere a un tempo. Il Pardo, di cui nel trattato De convi
venza ragiona con infinite lodi il Pontano, avea servito nella
cancelleria Aragonese come homo docto in greco et in latino ;
Gabriele Altilio, precettore dell' illustrissimo signor Principe
di Capua e suo segretario nel 1495 , era stato colui che per
le nozze d' Isabella Sforza d' Aragona avea composto un clas -
sico epitalamio in 260 versi latini (38); Crisostomo Colonna, pre
cettore e segretario di Ferrantino, sarebbe appresso divenuto
maestro di latino della giovanissima Bona figliuola d'Isabella,
e il Galateo , medico , passato da Napoli ai servigi di Gian
Galeazzo, avrebbe dedicato alla costui moglie religiosa YEspo-
sitione del Pater noster.
Stanza di poeti e di belle e nobilissime donne , di già fa
mosi cavalieri, di letterati insigni e di artefici squisiti la corte
Aragonese non era rimasta addietro alla Ferrarese e a quella di
Milano. Se altrove cantavano lodi di principi e beltà femminili
il Bojardo, Lorenzo de' Medici, il Poliziano, il Tebaldeo, qui le
rime amorose del Cariteo e di Jacopo Sannazaro non meno
si ripetevano sotto il più mite e azzurro cielo d'Italia e al rezzo
delli odorosi cedri e de' lauri di Posillipo.
Maggiore e migliore onore, che prima non avessero avuto,
i letterati e gli artisti ottenevano da quel Ferrantino di cui
fu cosi breve e cosi travagliato il regno. Se il brutale Alfonso II,
convalescente d' una febbre terzana s' era fatto venir d'avanti
il Sannazaro e il Cariteo perchè gli recitassero certe lor farse

(38) Epithalamium in nuptias Io. Goleata Sforziae Ducis Mcdiolaut el Isabeltae Arago-
niae Alph. II. Regis Neap. filiae (Ext. cum Sannazarii opcr. Latin, a Pyrrko Ulamingio
edit. p. 2S5) Biblioteca Brancacciana, Napoli.
— 25 —

buffonesche (39) aveva in appresso Ferrantino dimostrato sti


ma più alta di costoro e della nobiltà e dell' officio del loro
ingegno. Neil' adoperarli e nell' onorarli come alla fama loro
si conveniva egli era stato quel vero gentil principe del Rina
scimento educato da Gian Parrasio e dall' Altilio , severi ed
eleganti maestri.

B
ili ■ I il i f

PIANTA DEL POGGIO REALE DA NAPOLI.

Vedi Sebastiano Srrlio : Nel quale si figurano e descr1vono le antichità di Roma


e le altre che sono m Italia e fuori d'Italia.

D' altra parte allo stesso Alfonso II non era meno piaciuto
di badare a fabbriche sontuose per le quali aveva cercato ar
chitetti e pittori de' più vantati. Tra le battaglie, e gli amori
parecchi ai quali si abbandonava, il marito d'Ippolita aveva
pur trovato il tempo di fare edificar da Giuliano da Majano
la mirabile villa detta del Poggio Reale, ad oriente di Napoli.
Qui convitava signori milanesi e gente sforzesca , qui amba
sciatori e cavalieri e dame illustri , qui si occupava pur col
Pontano, di volta in volta, alle cose dello Stato. E negli stessi
anni—la fabbrica di Poggio Reale principiò intorno al i486 —
(39J V. B. Croce./ teatri di Napoli: secolo Xl'-Xl'III — Napoli — Pievro 1891, p. 18.
... // Duca di Calabria nel tempo die suo padre regnava aveva fallo di crudelissimi insulti
e inquirie al Popolo Napolitano, con violare vergini, prendere per suo diletto le donne alti ni
et dei gentilkomini et dei cittadini, quale a lui piaceva, senza aver rispetto al Sommo Re
dentore... e oltre di questo si dilettava ancora del vizio detestando et abominevole della
Sodomia per qual vizio rovinano gli Slati, le terre e le città... — Muratori : Rei: ltat.
Script, t. XXIV, p. 12. Chronicum Venetum.
— 26 —

nel bel mezzo di Napoli e precisamente ne' paraggi della Porta


Capuana, si poneva pur mano alla costruzione d' un altro pa
lazzo Regio, che fu chiamato Duchesca. Qui ornarono le logge
e i solitarii recessi del giardino Calvano di Padova, Giacomo
Parmense e Luigi della Bella : in Poggio Reale avevano di
pinto Ippolito e Pietro del Donzello. Una lapida in fronte al
palazzo diceva : Alphonsus Ferd. Regis fil. Aragonius , Dux
Calabr. Genio domum hane cum fonte et balneo dicavit, hippo-
dromum constituit, gestationes hortis adiecit, quas myrtis citro-
rumque nemoribus exornatas saluti sospitae ac voluptati perpet.
consecr. E fino alla seconda metà del settecento la Duchesca
rimase impiedi : poi, a poco a poco, il bel palazzo fu sman
tellato. Or a quel posto è un de' ritrovi delle più volgari pro
stitute di Quartier Vicaria. La sontuosa villa di Poggio Reale
era, sulla seconda metà del decimosesto secolo , posseduta da
Bona Sforza, e il prof. Raffaele Parise celo ricorda con due do
cumenti ch'egli publicò, anni addietro, nella sua Lega del Bene :
anzi, nel secondo di essi — che prima era stato publicato da
A. Colombo nell' Archivio Storico per le Provincie Napoletane—
corresse qualche lieve errore d'interpretazione. Si conosce
dai documenti sopracitati che nel 1557 era in possesso di Pog
gio Reale il magnifico Francesco Diaz ; a costui il palazzo
e i giardini erano stati restituiti dopo la morte di Bona , la
quale vi aveva dimorato. Il Diaz vi ritrovò della legna per
ardere, sette sedie de coyro alla imperiale, parecchie travi am
mucchiate in una grotta, e, in una loggia detta la Venetia, una
quantità de legnami de tavoloni et travi de cerqua de bona qua
lità da circa numero cento. Bona aveva lasciato a guardia di
tutto questo tesoro lo schiavo Sforza, diventato Cristian bat
tezzato e assegnato alla cura dei giardini. Lo schiavo aveva
ventotto anni e s' era prima chiamato Mustafà.

*
— 27

°w*itiC--d.cl PalaZ o dì Poq\,o RcatcJar.Oftcf dipórtodaìia.f<.e£ÌnaG<ou.an u

Dalle Vedute del Pietrini. — Fine del Secolo XVII.

Erano munificenti anche i signori, da che la munificenza


avevano — anche un po' per ragione di cortigianeria — appreso
dalla casa d'Aragona. Era, se non in tutto contento, non ostile
il maneggevole popolo napoletano che di publiche feste go
deva ancor sempre e queste rendeva pittoresche assai più col
suo concorso. La canzone popolana accompagnata dal liuto e
dal rebec (40), bagnava nel buon vino schietto l'ala sua palpi
tante e nelle notti serene, dalle rive del Sebeto alle rive di
Mergellina, vibrava per l' aria molle e profumata della divina
Partenope. E alle apostrofi che indirizzava alla placida luna e
alle stelle mescolava di tratto in tratto parole di sincero com-

(40) Alcuni suonatori di rebec, violino primitivo, dilettavano gli ozii di Federigo nel
tempo in cui fu nella sua corte il de Vigneullcs citato sopra.
— 28 —

pianto che, neh" ora del loro fatale tramonto, si rivolgeano


agli astri, impalliditi, del firmamento Aragonese.
Ed ecco, sullo scorcio di questo decimoquinto secolo, gli
ultimi principi d'Aragona che s'apparecchiano a lasciare per
sempre la loro reggia, quel vecchio e nobile Castelcapuano fab
bricato da Guglielmo il Malo che l' abitò e lo lasciò come
sicuro asilo ai suoi successori, ridotto a miglior forma nel 1231
dallo svevo Federigo , e rinnovato dicono , con quasi nuovo
disegno, da quel Giovanni Pisano, architetto fiorentino, che il
Vasari ci addita come occupato in Napoli — intorno al 12.83 —
all'opera angioina del Castelnuovo (41).
In verità non ebbe in Napoli il Pisano, in fuori di quest'ultimo,
altro incarico : però non è da attribuirgli la rifazione del Ca
stelcapuano che invece, come pare che risulti da più attendi
bili tradizioni , fu affidata al Puccio, napoletano vogliono al
cuni, fiorentino dicono altri. La fabbrica migliorò di molto e
gli Angioini la tennero, come quella di Castelnuovo, guardata
da fossati e da ponti levatoi. Succeduti agli Angioini gli Ara
gonesi il castello non diminuì d' importanza. Invece, come Fer
rante I circondava di mura novelle— dal Carmine a S. Giovanni
a Carbonara—la città ove credeva che sarebbe rimasta ope
rosa e indisturbata la sua progenie, esso, più riparato e più
solo parve davvero la%Reggia magnifica e severa che meritava
la popolatissima e irrequieta città di Napoli.

V è chi ancora scrive che gli Aragonesi non lasciarono in


Napoli se non profondi ed inestinguibili odii, che ad ogni lor
mossa ebbero contrario il popolo , che ne rimase impoverita
la città, che lo splendore delle Corti le quali precedettero la
loro non venne superato, nè pur uguagliato, da' discendenti del
primo Alfonso. Ma codeste son parole di troppo facile giudizio.
Per quello altalenare che spesso fa la storia tra i convinci
menti più diversi e le opinioni più disparate — spesso le une
e gli altri immeritevoli, per la lor natura non documentata ,
(4D Bart. Capasso scrive che già nel tempo del Ducato era a quel posto una fortezza
restaurata poi da re Guglielmo — Arch. Stor. i\afiol. XVI. p. $jó, 7.
— 29 —

d'una critica seria—si potrebbe cosi fondatamente credere che


abbia nociuto come si potrebbe stimare che sia stata esem
plarmente ristoratrice d' ogni funzione partenopea e della ci
viltà e della finanza del paese l' illustre casa d'Aragona. Certo
è che nella reggia di Castelcapuano rimanevano tradizioni ari
stocratiche ed abitudini affatto principesche fino agli anni in
cui la figliuola d' Isabella d' Aragona, Bona Sforza, vi torna
va, per la seconda volta, con la madre. E s'era nel 15 17. La
casa d'Aragona, è vero, si poteva dir quasi finita : n' era fi
nito ogni diritto sul regno, e il posto del principe occupava
adesso il vicerè di Ferdinando il Cattolico. Tuttavia, se le don
ne, soltanto, di quelli spodestati ancora trovavano stanza nel
vecchio castello normanno non v' erano meno rispettate e non
ve le onorava meno un'affettuosa simpatia che le loro sven
ture ave^no fatta più viva. Uguale e sincero s' era serbato
per gli antichi padroni quell' attaccamento del quale avean
dato pruova i molti che s'erano trovati a frequentare la Corte
loro a' suoi be' tempi felici.

La strada di Poggiorcale. — Fac simile dalla Gnida del Parrino.

Ma erano passati que' tempi : altri anni erano succeduti a


quelli e ben differenti, cosi che nel loro palazzo, pieno di ri
cordi magnifici ma non più della prima magnificenza, le due
Giovanne non erano a torto designate col pietoso qualificativo
- 30 —
di triste reyna, che ciascuna di loro adoperava quando firmasse
lettere e diplomi e privilegi (42). La prima, sorella di Ferdi-
dinando il Cattolico e vedova di Ferrante I d'Aragona, morì
nel gennaio del 1517, un mercoledì, alle due ore della not
te, e co' feudi di Isernia, Venafro, Teano e Pescocostanzo
lasciò quindicimila ducati alla da lei beneamata città di Na
poli (43). Viveva ancora nel 1 5 17 la seconda , Giovanna
IV, ma il marito di lei Ferrantino non più viveva e della po
tente e geniale e gentil casa d'Aragona non era in quel tempo
più alcun rappresentante maschile in Castelcapuano. Prevaleva
nella corte un elemento muliebre e si componeva esso in non
poca parte di signore spagnuole. Fra le quali donna Maria
Enriquez, donna Angela Villaragut, donna Giovanna Carroz,
Violante Celles e la signora Marusca avean fatto luminosa co
rona alla vedova regina madre (44). E i poeti s'a4operavano
a tener desta l' attenzione popolare intorno all' ammalinco
nita superstite, che non l' arte, non le lettere, non più nem
meno la politica — desolata e svogliata com'era rimasta —
sapevano più rincorare.
In verità, fin da quando i due Aragonesi le avevano sposate,
le due Giovanne assai poco si erano addimostrate tenere di
giostre o di studii. La regina madre s'occupava piuttosto della
casa e dell' amministrazione: a' cavalieri titolati ella preferiva
i suoi tre segretarii Geronimo Ungaro , Antonino Phiodo e
Antonio Vinaya, solerti, accorti e, certo, di conversazione più
pratica ed utile. La figliuola si cuciva a' panni della madre: ne
imitava— firmando anch'ella triste reyna—\e forme ufficiali del
dolore e scambio di mostrarsi a una festa si raccoglieva in
occupazioni d'un innocente materialismo. «Don Ferrante no
stro dilettissimo—scrive, a' 7 di gennaio 1512, la regina ma
dre a don Ferrante d'Aragona (45)—ve rengratiamo grande
mente del porco che ce avite mandato quale in vero fo tanto
bello et bono ch' a poco a poco ce l' havimo mangiato con la
(42) V. Croci: B. La Coite delle tristi tegine a Napoli — Napoli 1S94.
(43) Passero. Giornali, p. 233.
(44) Tutte costoro sono celebrate nell'opuscolo : Lodi di dame napoletane del secolo XVI
di B. Croce e G. Cuci. Napoli, 1894.
U'i) Allude forse a Ferrante Duca di Calabria, figlio di Federigo, che nel novembre
dello stesso anno fu mandato prigione da Ferdinando il cattolico nel Castello di Xativa,
in Ispagna.
— 31 -
Serenissima Regina nostra figlia , et ancora ce n' è alcuno
residuo et ja fecemo dare la- capo -al nostro segretario secondo
ce scrivissimo (46). »
Buone e infelici donne le due Giovanne erano dolcemente
vissute e quetamente in quel palazzo ove il soffio rigeneratore
della Rinascenza aveva risvegliato ogni attività spirituale fin
dal tempo del Magnanimo , raccoglitore di antichi argenti
e di monete e di statue e di vasi , tenero di rari codici che
a mano a mano s' erano andati ordinando nella sua ricca e
severa biblioteca, protettore delle arti e delle lettere (47), il
lustre fin pel suo spregiudicato amor senile che non fece meno
conosciuta e invidiata Ja bella Lucrezia d' Alanno.
Certo , negli anni che seguirono al ritorno d' Isabella da
Milano, quel vergine e gentile entusiasmo che aveva incitato
principi e papi, letterati e artisti alla ricerca d'ogni cosa bella,
e qui in Napoli s' era incarnato nella persona di Alfonso primo,
era venuto lentamente a mancare tra le sciagurate circostanze
dell' odissea Aragonese. Il matrimonio di Bona capitò, dunque,
in tempo per rifar la vita e restituir l'antica magnificenza al
castello secolare, i cui larghi finestroni vide ancora una volta
rilucer, pe' lumi interni , il popolo affollato nella piazza Ca
puana.
*

Delle principesse di casa d'Aragona, o delle imparentate


con quella, qualcuna solamente sfugge alla critica morale della
storia, che le intinge d' una medesima pece : Eleonora, figlia
di Ferrante I e d' Isabella di Chiaromonte , è presa di don
Diego Cavaniglia che foie — dice il maligno cronista delle de
bolezze muliebri di quella schiatta —per la nervosità pessima
prova: Beatrice, sorella dell' Eleonora, ripudiata nel 1501 dal
re di Ungheria , toglie parecchi ad amanti e tra gli altri
un Ramiro Villa che fu poi strangolato con una corda de leuto;
della figliuola d' Alfonso I, Isabella, vedova dello Sforza e te-
1461 Archivio di Stato — Repcrt. Comune della Sommaria, p. 187.
(47) B.' Fazio — De viris illustribus — Mehus — Firenze 1745 — ,< Librorum volumina
prape infinita in bibliothccam suam mirifica ornatimi conjecit... aureis, argenteisque vasis
simulacrisque , tum gentmis et celero regali cultu omnes saeculi nostri reges longe supera*
vii» p. 78.
— 32 —

Bona Sforza *
Dalla Chronica Polonorum di Mattia de Mechovia
(Cracovia — Biblioteca Jagellona)

nuta in grande reputazione di castità, non teme di narrare il


medesimo cronista le scappatelle di cui si susurrava in Corte,
e per Bona, figlia d' Isabella, quel Passero stesso che a ogni
piè sospinto ne celebra lodi neppure dimentica di ripeter la
sconcia frase attribuita a Sigismondo di Polonia che sposò
Bona, pare, quand' ella già aveva passato il Rubicone.
Queste principesse e le lor dame, che le imitavano in tutto,
videro gli anni d'un secolo in cui assieme allo studio della-
tino e del greco —fiorente nelle provincie nostre quel famoso
ginnasio di Nardò che fu la prima palestra del Galateo —ogni
nobile donna si piaceva di sfogliar, sorridendo, qualche altro
codice se pur non più oratorio più dilettevole certo. Tacito,
è vero , e Cicerone ed Erodoto sperimentavano severamente
l' aristocratica filologia femminile : le biografie di Plutarco
* Di Bona Sforza non si conoscono in Italia ritratti che la rappresentino nella sua gio
vinezza. Questo che riproduciamo, e che nel libro di Mattia de Mechovia è illustrato da
un devoto epigramma del Grundelius , abbiamo fatto cavare dal rarissimo esemplare di
quell'opera possedutu dalla Jagellona di Cracovia. Bona è coiffce d'una di quelle barrette
che il Passero ci descrive nella enumerazione del corredo di lei e vestita d'un di quelli
abiti sfarzosi di cui il medesimo cronista ci offre l'elenco completo.
— 33 —
riempivano de' loro epifonemi solenni i quaderni di ciascuna
di codeste illustri signore e ne' costoro discorsi a' lette
rati, alle accademie, agli ambasciatori, quelle ombre gravi ed
antiche apparivan rievocate e riparlavano con singoiar grazia
per bocche colorite da una profumata pasta fiorentina.
Ma, al tempo medesimo , le sottili argomentazioni di certi
poemi spagnuoli già suggestionavano l'amatoria facoltà di tutta
una schiera di lettrici italiane, il cui riso argentino suonò ap
presso e senza alcuna inquietudine a mezzo un passo dello
Aretino. Di Francia il principio del secolo ci avea importato
l' impudenza gioconda di Rabelais : gli ultimi anni d' esso ci
preparavano, rilegate in velluto verde—come l'autore avrebbe
dettato nel suo curioso testamento— le amabili chiacchiere in
time del signor Pietro de Bourdeilles. Cosi la politica si me
scolava all' amore e un trattato di tattica valeva quanto uno
di profumeria (48). E cosi pure, come tanti fiori odorosi
spuntati con vivace colore nel fitto d' una selva dantesca, una
schiera di gentili italiane andava spargendo tutte le sue gra
zie per entro all' austero Umanesimo e vivificando anche più
genialmente la nostra gloriosa Rinascenza. Da' principi e da
queste lor donne fu stimolata l'intelligenza che rese cosi ma
gnifico, cosi illuminato il secolo d'oro. Ebbero da queste signore
sollecito ed attivo incitamento gli artisti, ebbe la poesia una
popolarità aristocratica e gl' illustri e fruttuosi argomenti per
la tela delle sue imagini apologetiche; la scienza e le lettere
ebbero sprone e guiderdone mai più avanti ottenuti e neppur
forse appresso ; l' Amore , finalmente , ebbe un omaggio pe
renne. Mai si è tanto guerreggiato e odiato e amato come nel
bel cinquecento : ogni illustre famiglia italiana s' è gloriata in
quelli anni d' un' eroina in casa e non sai s' ella abbia attinto
celebrità da' suoi virili atteggiamenti o dalle sue vicende amo
rose : egli è che spesso la conquistò da tutte e due cose a un
tempo.
Il cinquecento muliebre va soltanto da poco in qua ricon
quistando miglior fama. In gran parte, adagiandosi comoda-
(48) Alla Nazionale di Napoli (XII. I. 31) è un trattato di Mascalcia (Frenorum nova
et varia exempla elc. Lo libro de la caccia de li uccelli) dedicato a Bona Sforza nel 1543
da Alphonso del quondam Sigismondo Trotti. Legatura del tempo co' ritratti di Bona e di
Sigismondo.
3
- 34 —
mente sulla tradizione, la storia gli aveva affibbiata una cri
minalità che l' inesistenza delle prove snebbia a poco a poco
e spoglia de' suoi foschi colori. Cosi or assumono una nova e
non paurosa fisonomia le apocrife Medee di quel secolo, cosi
per entro alla scura nuvolaglia di tante loro leggende si fa strada
il sole a mano a mano e le ricolora con luce più grata.

Facciata di Castelcapuano — (Anteriore al restauro del Reglier.).

« La Rinascenza—scrive il Gregorovius (49)—resterà eter


namente uno de' più ardui problemi psicologici della civiltà;
causa le profonde contradizioni che nel seno suo accoglie, parte
con spontaneità affatto ingenua, parte con piena consapevolezza
della incompatibilità loro ; e causa pur quel certo elemento
demoniaco onde le individualità sono in quel periodo invasate.
La Rinascenza é stata paragonata ad un baccanale della ci
viltà ».
Noi non possiamo, in questo nostro lavoro, riguardar pecu
liarmente alla singolare espressione ch' ebbero in altre parti
d'Italia gli eccitamenti d' un secolo rimasto memorabile nella
storia del nostro paese: è in Napoli che s'aggirano precisamente
le nostre ricerche. Qui troviamo, è vero, sulla fine del quattro
cento un riflesso pur abbagliante di quelle attività spirituali,
ma non meno v'incontriamo a ogni passo i manifesti segni d'una
corruzione plebea, la quale pel penetrar ch'ella faceva creature
non suscettibili di estetica di vizio , assumeva forme brutali e
(49) Lucrezia Borgia. — Trad. di F. Mariani.
- 35 —
dilagava con impeto. Abbiamo or ora scorso un libro fran
cese (50) — sul quale avremo occasione di soffermarci più
avanti — che d'un flagello onde l'Italia tutta quanta fu colpita
agli ultimi anni del quattrocento, vogliam dire la lue spaven
tosa chiamata mal francese, attribuisce lo scoppio imprevisto
e violento alla disordinata e quasi degenerata vita fisica degli
Italiani in que' tempi. Ma la dimostrazione di questo convinci
mento campanilista — badate che si tratta di liberare i francesi
di Carlo ViII dalla trista accusa che ebbero e quasi di riversar
su'napoletani addirittura, i quali ne sono similmente irresponsa
bili, l'origine del male orrendo—può riescir facile a ogni straniero
moralista il quale avendo per mani e sapendo sciorinare e av
vedutamente disporre documenti che offrono a tutti gli studiosi,
e con solita larghezza, i nostri archivii, intenda di cavar dalla sua
architettazione arbitraria quel meglio che può, a onor deIla re
mota impeccabilità della sua patria. Or penserete voi mai che
negli archivi dello Stato e de'municipii francesi— tanto per rife
rircene alla Francia — non si debbano trovare somiglianti ele
menti sincroni i quali raccolti in gran copia e sapientemente
ordinati valgano a renderci consapevoli di libertà di costumi,
di popolane sregolatezze , di corruzione signorile non minori
di quelle onde negli stessi anni l'Italia ebbe cosi pornografico
vanto? Certo, presso di noi, quel periodo é stato singolarmente
notevole e in senso cosi spirituale quanto — saremmo per dire —
corporale. Più del corpo, tuttavia, s'agitava lo spirito, penetrato
come dal presentimento d'una prossima rovina. Il piacere ac
compagnava ogni Corte sontuosa e illustre mentr'essa, decli
nando, s'avviava alla sua fine e spendeva le ultime sue nobili
forze battagliere in fatali contese. Un tragico soffio percorreva
l'Italia tutta quanta : da un capo all'altro della penisola erano
irruzioni di stranieri e scorrerie pur indigene, d'un frutto peg
giore di quelle altre : e i popoli d'Italia riguardavano, esterre
fatti, a tanto sommovimento di cose.
Alle quali quello di Napoli pareva che si fosse più facilmente
avvezzato. Usciva, anzi, il cittadino napoletano dalla patria per
far mostra della sua leggerezza o della indifferenza o della ozio-

(50) Hesnaut. — Le mal francais à Tepoque de texpédition de Charles Vili en Italie -


Paris, 1886.
- 36-
sità del suo carattere. Lo si ritrovava un pò da per tutto e a
ciascuno che ne valesse la pena s'inchinava — dice l'Aretino —
con una reverenza a la spagnuola annapolittanata (51 ) ch' era
proprio un bel vederla. Il medesimo Aretino, in un discorso fra
due meretrici, soggiunge: I napolitani son fatti per cacciar via
il sonno , o per torne una scorpacciata, un dì del mese, quando
tu hai il tuo tempo nel cervello o sendo sola overo accompagnata da
alcuno che non importa. Ti so dire che le frapperie vanno al cielo:
favella de cavalli, essi gli hanno de primi di Spagna, di vestimenti,
due o tre guardarobbe, denari in chiocca e tutte le belle del Regno
gli muoiono drieto : e cadendoti o il fazzoletto 0 il guanto lo ri
colgono con le più galanti parabole che s'udisser mai ne lo Seggio
capuano... (52). E il senese Fortini, prima dell'Aretino, racconta:
« ... in Siena fu un prete napolitano il quale s'era invaghito de
certe gentildonne al modo di suo paese, quali qua a noi sonno
donne di partito, al modo di Roma, cortigiane di Ponte Sisto, o
per dir meglio sgualdrine, le quali stavano da Santa Maria de
le Grazie, luogo già dove altri che simili non abitavano... Or
questo prete... come napolitanesca usanza, mai si partiva di quella
contrada, passeggiando tutto il giorno da la casa loro con tutte
faceva l'amante nè posseva negare in questo suo amore di non
essere napolitano, cotanto faceva il prosontuoso, lo sfacciato...
e facendo il Cupido, sicome solgono fare tutti li napolitani che
di continuo con li occhi vanno sagittando le donne talchè dalle
finestre le fanno cadere... » (53). La satira toscana pungeva
i nostri fin da' primi anni del quattrocento: aperto il Regno
al traffico de' mercanti specie fiorentini — e già l'abbiamo visto
agli anni del Boccaccio — costoro si pigliavano spasso delle
nostre usanze, del nostro dire, d'ogni nostro costume. Qualche
caudato sonetto del Pulci, che fu a Napoli nel 1471, altre molte
invettive de' suoi concittadini letterati, il personaggio napole
tano introdotto nelle scene che abbisognavano d'un intervento
goffo e ridevole, ecco le grazie di cui, per dovere d'ingratitudine
a una città dove facevano i migliori negozii, e per naturai senso

(51) Aretino. — Capricciosi e piacevo1i ragionamenti — Giornata I, p. 24.


(52) Idem. — Ibid. p. 29.
(J3) Fortini. — Le Giornale delle novelle dei novizii— Nov. XIX.
— 37 -
ironico ci erano larghi coloro. E non si parlava a Firenze
che di
quel baciar di mani
e sospirar sì forte alla spagnuola,
ch'ora è sì proprio de' napoletani... (54).

Castelcapuano
Angolo meridionale. — Litografia del principio del Secolo XIX.

*
S'è visto come gli Aragonesi non avessero troppo a scrupolo
l' autorizzare aperture e affitti di postriboli. Lo stesso Al
fonso I, nel 1451, aveva conceduto a un suo protetto Auxia
Milani, di famiglia originaria di Valenza, ampia facoìtà che in
una casa che il Milani avea presa nel mercato presso al Ponte
di Santa Maria del Carmine, che doveva essere hosteria, potes
sero senza essere molestati dalla Corte ripararsi lutti gli sgherri
e fuorusciti di quel tempo i quali erano compresi sotto nome di
ruffiani (55). E il cronista soggiunge : Questa è certo cosa de
gna di meraviglia! Fra tanto la Gabella prosperava. Le clausole

(54) Mauro. — Opere burlesche — Capitolo del Letto.


(55) S. Ammirato. — Delle famiglie nobili napolilane — Firenze, 1651, voi. II, p. 338.
- 38 -
numerose le quali compongono un somigliante contratto coi
suoi assegnatarii del quattrocento sono davvero caratteristiche :
noi ci adoperavamo con ogni cura per ritrovarne documento sin
crono quando la vigile perseveranza d'uno studioso amico nostro,
per quanto modesto cosi colto , il signor T. de Marinis, ci
venne opportunamente in soccorso. E cosi possiamo presentare
al lettore una scrittura non prima d'oggi apparsa per le stampe:
essa è stata con ogni diligenza cavata dal protocollo di quel
famoso Cesare Malfitano, notaio del secolo XV, che senza certo
volerlo ci ha lasciato nelle sue carte la più doviziosa copia di
notizie suntuarie del quattrocento napoletano.
La scrittura, conservata nell'Archivio Notarile di Napoli, è
la seguente :

* -tLodem die eiusdem ibidem (i° sett. 1493 in Napoli) Con-


stituiis jn nostra presenzia nobilj viro judice Ursino de Anna
de cava factore et negociorum gestore, ut dixit, magnìfice domine
francesce del Mila de neap. mulierjs vidue relicte condam
magnificj domini Nicolay de toraldo matris tutricis et legi-
time amministratricis honorum filiorum pupillorum et heredum
dicti condam dominiì Nicolay agente ettc. ex una parte. Et
Anello de bonello de neap. et Joanne lamero cathalano , agen-
libus ettc. ex parte altera. Prefatus vero judex Ursinus factor
ut supra sponte coram nobis locavit et vendidìt et locacionis et
vendicionis tituto dedit et concessìt dicto Anello et Johanni ibidem
presentibus ete. gabellam meretricum civitatis Neap. suique di-
strictus cum omnibus et singulis juribus et rationibus ad di
ctatn gabellam spectantibus et pertinenttibus ac percipj solitis et
consuetis et pro ut actum et consuetum est una cum proventibus
meri et misti imperij Reservatis tamen carcere et magistractia
pro presenti anno secunde inditionis pro untiis quinquaginta de
carlenis argentj ete. et uncia una pro potagio graciose donato. Quas
quidem uncias quinquaginta de dicti carlenis argenti ete. prefati
Anellus et Johannes et quilibet ipsorum insolidum promiserunt ete.
eidem judici Ursino quo supra nomine presenti ettc. integre etc. dare
traddere solvere et assignare etc. eidem domine francesce seu dictis
pupillis vel eorum heredibus et successoribus seu eorum procuratori
vel dicto judici Ursino eorum nomine in pagis et terminis ac
— 39 —
modo subscriptis videlicet ducatos viginti quinque ex eis per to-
tum lercium diem presentis mensis septembris et restantem quan-
titatem pecunie mense quolibet ratam durante dicto tempore in
fine cuiuslibet mensis. Nec non in festivitate Santi Martini car-
rafonos duos plenos de clarera necta absque nefa et picias duas
de copeta ponderis librarnm viginti. Infesto Carnis brivii cia-
brellum unum et caponos quatuor, et in in festo resurrectionis
domini Crastatum unum vivimi portandum ad domum dicte do
mine francesce in pace ettc. Itaque libere liceat et licitum sit diclis
Anello et Johanni dictam gabellam meretricum cum iuribus et
pertinenciis suis habere ipsamque manutenere regere et guber-
nare tempore sup?adicto durante fructus prouentus et tura per-
cipi solitas et solila ex dicta gabella et juribus predictis petere
consequi percipere et habere et de eis facere et disponere pro
eorum arbitrio voluntatis. Rescrvata tamen dicte dominefrancesce
meretrice una eligenda per ipsam dominam francescam seu alium
sui nomine franca ab omni solutione gabelle predicte durante
dicto tempore. Nec non promiserunt ettc. dicti Anellus et Iohan-
nes dicto indici Ursino presenti ettc. solvere pensionem domus
ubi curia dicte gabelle regitur. Et versa vice prefatus judex
Ursinus quo supra nomine promisit ettc. eisdetm Anello et Joanni
presentibus etc. Ipsos Io'iannem et Anellum vel eorum here-
des et successores tempore supradicto durante a dicta vendi-
tione et locatione non ammovere etc. Immo ipsos defendere ettc.
ab omnibus ettc. ac eis dare omnem favorem debitum et consue-
ium nec non ad expensas dictorum pupillorum dare ete. eisdem
Joanni et Anello curiam ordinatam ut decet. Et in super prefatus
judex Ursinus sponte coram nobis non vi dolo etc. confessus
fuit etc. se quo supra nomine presentialiler et manualiler rece
pisse et Imbuisse a dicto Anello et Iohanne sibi quo supra no
mine dantibus ete. dictam unciam unam ut supra pro potagio
graciose donato. Tali quidem declaratione et pacio Inter partes
ipsas nominibus quibus supra coram nobis habito et expresse
firmato quod ubi et in casu quo infra lempus predictum super-
venerit pestis seu guerre quod absit in civitate Neap. et districio
gabelle quod tunc et in co casu dicti heredes dicti condam do
mini Nicolay leneantur et debeantur (Jjet sic ipse index Ursinus
quo supra nomine sponte promisit diclis Anello et Ioìianni pre
— 40 —

sentibus etc. facere exscompuìum dictis Iohanni et Anello de


omni et loto eo quod fuerit sentenciatum et declaratum per unum
probum virum eligendum per ipsas partes. Cui declarationi par-
tes ipse et quelibet ipsarum quibus supra nominibus ex nunc
pro ut ex fune et ex tune pro ut ex nunc stare parere et obedire
voluerunt. Et nichilhominus prefati Anellus et Johannes ad
majorem cauthelam et securitatem dictorum pupillorum fideìus-
sorem ex promissorem et principalem pagatorem dederunt et po-
suerunt penes eosdem pupillos bernardum de monserat cathala-
num ibidem presentem et pro eisdem Alleilo et Iohannem fideiu-
bentem oc suo proprio privato et principali nomine et insolidum
promictentem dicto indici Ursino presenti etc. integre et ad ple
num ete. dare ete. eosdem pupillos seu dicte domine francesce etc.
dictas pecuniarum et rerum quantitates in term inis ac modo predicto
in pace etc. Renuncians expresse dictus bernardus corani nobis
autentice presenti codice de fideiussoribus ac legi de primo et
principali conveniendo et compellendo sub tali poeto et conditione
quod ubi et in casu quo dicti Anellus et Iohannes vel alter ipso-
rum decederunt infra tempus predictum quod lune et eo casu
dictus Bernardus, talis decentis (?) in presenti contractu locum ca-
piat et obligetttr mm onere et honore ac comodilate et in comoditate
pro ut ipsi decedentes vel alter ipsorum tenetur et obligatus est vi
gore presentis instrumenti. Pro quibus omnibus et eorum sin-
gulisfirmiter tam predictos Anellum et Ioannem principales aedic-
tum Bernardum fideiussorem ex una quatn per prefatum Iudicem
Ursinum quo supra nomine ex altera ac erutn et cuiuslibet
ipsorum heredes et successores actendendis ete. pro ut ad unam
quamque ipsarum partium spectai et pertinet. Ambe partes ipse
et quaelibet ipsarum sponte oblipavetunt se ipsas et quamlibet
ipsarum nominibus antedictis ac earum et cuiuslibet ipsarum
heredes successores et bona earum et cuiuslibet ipsarum omnia
mobilia et stabilia presentia et futura ete. una pars videlicet al
teri et altera alteri presenti ete. Sub pena et ad penam dupli etc.
Medietate ettc. Cum potestate capiendi ete. Cosìitucione precarii ete.
Et Renuncians ettc. presentibus indice paulino de golino de nea-
poli ad contractus dompno francisco paulillo , dompno luliano
Auliva, Rencio de Ligorio et Iesue lamera de ncap. ».
— 41 —

E da notare ancora che la legislazione la quale colpi fin dal


1255, anno in cui se ne ha traccia evidente, i giocatori di giuo
chi d'azzardo tenuti d' occhio da Federigo II, appresso andò
assieme a quella che rincorreva la prostituzione. Giocatori e
meretrici bazzicavano in taverne, velut naturales lares, fin dal
tempo Angioino: nel cinquecento e nel seicento le prostitute
publiche addirittura diventaron frasca da osteria. Introdotta in
Napoli da Ladislao la gabella per le meretrici ne venne che la
concessione di essa s'accompagnò quasi sempre in seguito, at
tribuita al medesimo arrendatore favorito, con quella della ga
bella sul giuoco. Nel 1422 Giovanna II crea gabelliere delle
meretrici e de' giocatori in Gaeta tal Leopardo de Fornariis.
Il Ceci, nel suo opuscolo molto interessante sul Giuoco in Napoli
nel medioevo, publica alle ultime pagine, tra gli altri, il docu
mento della concessione di Giovanna. E da esso caviamo la
formula principale della cessione :
« ... Sane lune sincere devocionis et Jidey ac gratorum utilium
fructuosorum et acceptorum obsequiorum per te nostri Majestati
liberaliter prompte costante et fideliler in opportunis temporibus
prestitorum et impensorum merita actendentes ex quibus te spe
ciali gratia dignum et benemeritum reputanms tibi et tuis utriusque
sexus heredibus ex tuo corpore legitime descendentibus et natis
jam et in antea nascituris imperpetuum omnem juridictionem jus
arbitrium auctoritatem potestatem et facuitatem ac lucra comoda
et emolumenta curie nostre debita per meretrices, lenones ingan-
nulos baracterios et lusores ad aczardum et ad mirellam ac fos-
sectam seu restaczium in civilate nostra Cayete commorantes et
confluentes ac commoraturos et conflnxuros eo modo et forma qui
bus ipsa curie nostre debentur in omnibus et singulis civitatibus
terris et castris et locis nostris demanialibus prefati Regni nostri
Sicilie tenore presentium de certa nostra scientia liberalitate mera
proprique nostri motu instinetu auctoritate potestaque dominica
damus tradimus concedimus et donamus tam polestate auctoritate
et facuitate omnimoda atque plenaria.premissa exequendi exigendi
et percipiendi per te et dictos tuos heredes vel alios lui et dictorum
tttorum heredum parte ad id propterea aefiutandos quos deputandi
earumdem serie libi et diclis tuis heredibus plenariam concedimus
potestatem ».
— 42 —

Delle due Gabelle a un tempo godettero ancora quelli Alde-


morisco a' quali per i primi fu concessa la Gabella delle meretrici
da Ladislao. Nel 1457 Alfonso I, con decreto del 15 novem
bre, riconfermagli Aldemorisco nel privilegio: nel 1500 — per
un altro documento del quale è detto pur nel libro più sopra
citato (56) — Gaspare de Toraldo che, in fuori di quella delle
meretrici, era in possesso pur della gabella de' giuochi dona
metà di quest'ultima alla SS. Annunziata di Napoli, metà alla
SS. Annunziata di Aversa.

Cortigiana «fuor di casa ». — Dal Vecellio— (Sec. XVI).

La topografia del libero amore in Napoli non potremmo, per


quanto riguarda il quattrocento, precisamente additare. Ma è
da ritenere che — a somiglianza della Marchesa — nella parte

(56) Giuseppe Cuci. — Il giuoco a Napoli nel medioevo— Napoli, 1896.


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— 44 —
bassa della città e specie in vicinanza del mare le meretrici po
nessero casa. Chi ha letto con qualche interessamento il Deca-
tnerone — specie se è stato lettor napoletano — ricorderà d' un
Andreuccio, perugino, al quale il narratore giocondo fa incoglier
disgrazie a carrettate. Venuto a Napoli con que'mercanti che vi
si recavano per le fiere famose di Capua, di Salerno, di Bari (57)
il povero Andreuccio cascò nelle mani d' un' allegra donnetta la
cui fanticella « a casa di costei il condusse la quale dimorava
in una contrada chiamata Malpertugio (58) la quale quanto sia
onesta contrada il nome medesimo il dimostra » (59). E in casa
della bella donnetta l'Andreuccio, accontentandosi, da quel bravo
figliuolo ch' egli era, di passar tutta la sera in discorsi volle
ancora passar la notte che gli fu fatale. Poi che avventura
tosi , per un corporal suo bisogno , in uno stanzinetto della
mala casa, a un tratto si senti mancar la terra sotto a' piedi
e, seminudo, precipitò, fortunatamente da poca altezza, in un
chiassuolo ch'era di sotto. Cadde lo sciagurato sopra qualcosa
onde si ritrovò tutto insudiciato e puzzolente , e quando si
levò e chiese, invano, i suoi denari e gli abiti suoi a un ma
scalzone che s'era affacciato alla finestra della bella , e invano
picchiò e ripicchiò a quella porta, stanco, finalmente, e di
sperato « si torse a man sinistra e su per una via chiamata
la Ruga Catalana si mise ».
La via che il Boccaccio chiama del Malpertugio sarà fra
poco, se pur non l'è mentre ne scriviamo, distrutta dall'opera
del risanamento della parte bassa della città. Al tempo del
Boccaccio , compresa in assai minore spazio di quel che a'
tempi nostri la raccoglie , Napoli , specie dal lato del mare ,
s' intersecava di stradicciuole tortuose e strette, ma non meno
quelle , che fino a pochi giorni addietro furono i vicoli più
luridi, si dicevano vie. Però non è da meravigliare se, pros
sima a Rua Catalana, la via del Malpertugio, dalla quale ori
ginò , forse , il vico detto Pertusillo , sia stato quel budello
che fu sino a ieri. Piuttosto è da notare l' antichità porno-

(57) Vedi G. De Blasiis. — // Boccaccio a Napoli —Arch. Stor. per le Prov. Nap. voi. IV.
(58) Boccaccio. — /7 Decamerone — Giornata II, nov. V.
(59) Nel 1359 era in Perugia un luogo detto Malacucina, di fama uguale alla nostra con
trada di Malpertugio. E in Pavia un luogo simile detto Malnido.
45 -
grafica di que' luoghi i quali, nel quartiere di Porto, accolsero
prostitute e Griffoni dagli anni durazzeschi a' nostri anni. É
dal trecento che nella Rua Catalana e ne' suoi pressi com
merciano meretrici. Le case infami del vico Pertustrilo, or ora
demolite, ne hanno fin qua radunato come chi dicesse il fior
fiore.
Il vico Pertusillo sarebbe dunque derivato dal Maipertujno
del secolo decimoquarto. Verso la fine del decimoterzo i Fio
rentini, per non restare addietro a' Pisani, a' Genovesi, a' Ve
neziani — che già dal XIII secolo avevano ottenuto concessione
di comprare e vendere in Napoli e di tenervi fondaci e log
ge — cominciavano a trafficar nel meridionale a'mercati e alle
fiere e, a proposito d'un Niccolò da Cignano , appunto parla il
Boccaccio medesimo, in un'altra delle sue novelle, della frequenza
de' suoi conterranei nella nostra città « dilettevole , o più come
ne sia altra in Italia ». Qui, ;id esempio, un medico Tommaso
insegnava, fiorentino, nello Studio nostro illustre (60), qui, pre
posto alla Zecca de' nuovi carlini d'oro in Castelcapuano, viveva,
ben guadagnando, il suo concittadino Francesco Formica (61),
e logge e fondaci parecchi qui pur vedevano appresso, abitati
da que' mercanti avidi e operosi, il giglio ghibellino in fronte
a' loro palazzetti.
Caratteristica di questa via mercantile e popolata, come di
tutte quelle che fin dal tempo angioino accoglievano quanti
da mare entrassero in Napoli a trafficare (62), furono i fon
daci, anzi fu il parecchio numero d'essi che a manca e a de
stra della strada la penetravano a somiglianza di tanti vicoli
chiusi, in fondo a' quali, ov'era un larghetto e si radunavano
a cicalare , indisturbate , le donne , ora si vedeva un albero
fronzuto al cui rezzo piaceva alle comari d'intrattenersi, ora,
più petulante, chiacchierava una fontana per bocca d'un ma
scherone smussato. Il fondaco di que' tempi, abitato da gente
(60) Minihri Riccio. — Regno di Carlo I etc. ad an. Reg. n. i, f. i7o t.
(61) Sambon A. I. — Monnayage de Charles I d'Anjoa — Paris, 1891. Vedi pure: G. Dk
Blasiis. — // Boccaccio a Napoli — In Arch. Stor. per le Prov. Napol. voi. XVII, p. 77.
(62) « Vien detta con questa voce francese Rua perchè la regina Giovanna 1 francese,
per introdur nezpzii nella città v'introdusse parecchi mercatanti forastieri assegnando a
ogni nazione la sua strada: ai Catalani assegnò questa; ai Francesi quella presso S. Eli
gio e si disse Rua Francese ; quella dove è ora la Selleria ai Toscani e si disse Rua To
scana... « Celano— cit. — voi. IV, p. 299-
- 46 -

Cortigiana « conosctuta all'abito » al tempo di Pio V. — Dal Vf.cellio.

non povera, non era, com'è divenuto appresso, luogo di mi


seria e di vizio: de' giardinetti, qua e là, prosperavano in
quella Rua Catalana ove ne' giorni festivi i mercanti si riface
vano della fatica loro tra gli ozii solatìi delli orticelli o sotto il
frascame d'un pergolato. Nel 1478 , siamo alla fine del deci
moquinto secolo, ancora vanno dati in fitto que' verdi recessi:
a 13 maggio tal Amadore de Romanutiis « loca a Berlingerio
Cavalerio una « ostulania seu viridario » posta in ruga ca-
thalanorum , e il citato notaio napoletano Cesare Malfitano (63)
ne stende l'atto.
Qualche volta da' rioni marini le prostitute si avventura
vano a quelli alti. Vedremo appresso come , ne' principii del
cinquecento, tutto un luogo montuoso ad occidente della città

(63) Arch. Notarile di Napoli. — Protocollo di Cesare Halfìtauo 1498-80 a. e. 73 C.


- 47 -
si sia popolato di meretrici e di soldati : or in parte ci soc
corre , a pruova di somiglianti ascensioni nel secolo decimo
quinto, un documento sincrono (64) che si riferisce al passaggio
delle Monache della Maddalena nel convento di Santa Cate
rina a Formello e de' monaci di Santa Caterina in S. Pietro a
Majella. Nell'istrumento stipulato il 28 novembre 1489 tra que'
frati ed il duca di Calabria è, tra gli altri, questo patto : « Item
che dello contorno de dicto monasterio (di S. Pietro a Majella) se
aiiano ad removere donne inoneste le quali danno malo nome ad
dicto monasterio ». A Porlo, al Pennino della Sellaria, a Porta-

Cortigiama Bolognese — Dal Vecellio — (Secolo XVI).

nova, a Rua Catalana e più giù nelle strettole di Capuana e del


Mercato la prostituzione libera sceglieva , nel quattrocento, i
suoi poco nobili recessi. Qui la povertà delle sciagurate non
poteva sollevarle a quella stretta partecipazione che altrove, dagli
ultimi anni dello stesso secolo decimoquinto al primo ventennio
(64) Archivio di Stato. — Monasteri soppressi, voi. 1679.
- 48 -
del cinquecento, le avea fatto penetrare addirittura nel costume
e nell'intellettuale indirizzo dell'epoca. La cortesana honesta che
il Burcardo, diarista cerimoniere di Sisto V, distingue da quelle
che presso di noi si chiamarono umilmente cantonere, già pre
tende a Roma onori che solo a' principi, a' prelati e agli amba
sciatori sono concessi, e Lucrezia matrema non vole sdegna fin
l'amicizia di Giovanni de' Medici. Napoli non ancora si fa avan
ti ; è una grande città impoverita, ove il meretricio definisce

Meretrici di Rua Catalana sulla via del Rettifilo — Epoca moderna.

piuttosto il bisogno che il vizio : forse a' giorni nostri è cosif


fatta come fu in quelli ultimi anni del quattrocento, durante
i quali, per altro, l'ammiserirono ancor più le carestie — memo
rabile quella del 1496 — la guerra e perfin quella screditata
moneta che fu detta cinquina, origine dell'improvviso e pauroso
arrestarsi d'ogni industria e d'ogni commercio cittadino (65).

(65) Vedi, a proposito, l'interessante libro di N. F. Faraclia : I prezzi di Napoli,


— 49 —

I.uCA GAURICO.

Era, nel 1422, dopo aver percorsa tutta quasi l'Italia su


periore, scoppiata in Napoli e in Sicilia la peste. Apparve in
Napoli nell'aprile, e nel settembre ebbe fine; ma Simone da
I.entini dice, nella sua cronaca (66), che già vi sarebbe stata
dal 1421. Peste, forse, bubbonica, della quale facevan regalo
alla penisola le irruzioni de' turchi, continuate pur nel secolo
decimosesto. Le vittime furono anche in Napoli , numerose :
predicava in Roma fra tanto il monaco Bernardino da Siena
(66) In Gregorio. — l1ib1. Sicuia Aragtn. II, p. 314.
— 5o —
e attribuiva alla ira celeste quel flagello ed esortava il popolo
e i signori a mutar vita; però si bruciavano all' aperto gl'istro-
menti dei giuochi, le vesti delle donne da partito, ogni cosa
che puzzasse di vizio o d'oscenità. Nel 1479 l'epidemia, che
durò per l' Italia fino al 1487 , riapparve con maggiore vee
menza nel napoletano, e in Napoli « la moria fo grande. Tutta
Napoli sfrattò che non ce pareva nullo homo per le strate (67). »
Dopo, in meno d' un anno, si ripopolò la città come per in
canto e il commercio interrotto vi fu ripreso e ancora vi ri
chiamò forastieri d' ogni parte. Si sperava di chiudere il se
colo in pace : non si prevedeva la discesa di Carlo ViII , il
rovinar della casa Aragonese, il dissesto economico e politico
lungo e disastroso, la furia, infine d'una malattia novella che
i maghi apocrifi dell' astrologia giudiziaria, tra tante predizioni
spaventose, avevano scordato d' annunziar cosi prossima.
Le idee astrologiche , in un secolo nel quale dal concetto
pagano della fortuna rampollavano mostruose credenze, già
diffondevan dottrine delle quali principi e condottieri, artisti
e letterati e signori e popolo eran penetrati, ciascuno secondo
la misura della sua intelligenza, tutti, nondimeno, con ugual
superstizione paurosa. Dottrine somiglianti avevano accettato
qui, se bene in parte, il Pontano medesimo (il quale poi ridusse
l' influsso de' pianeti soltanto alle cose corporali ) il Sanna
zaro, l' Altilio. Già dai tempi di Federico II aveano bazzicato
astrologi in corte ed egli se n' era stato, pensoso e rispettoso,
alle chiacchiere enfatiche e oscure d' un Teodoro, indovino di
Palazzo , arbitro costui , più che non lo fosse il signor suo,
del destino delle genti soggette o delle combattute. Una cate-
dra d'astrologia giudiziaria era nel quattrocento a Bologna (68);
ne' primi anni del cinquecento, continuando l' infervorata esu
mazione del mondo antico a turbar cervelli paganizzati, una
cieca fiducia faceva rivolgere, ancor più inconcepibilmente, i
papi stessi verso i misteriosi aforismi d' una scuola di turlu
pinatori o di pazzi : così al tempo dell' ultimo astrologo na-

(67) Tommaso da Catania. — Cronaca.


(68) Vedi il bel saggio di Ehasmo Percopo nella memoria Pomponio Gàurico umanista
napoletano. Atti dell'Accademia Reale. Voi. XVI (1891-93). Nell'appendice: Luca Gàmico
ultimo degli astrologi (Voi. XVII. Parte II).
— 51 —
poletano, Luca (làurico, Leon decimo e Pio III e Alessandro
Farnese, del quale ultimo Luca fu consigliere prediletto, s'in
fiammavano anch' essi delle dottrine di moda. Gli affari quando
non seguisse, in aprile , combustione di luna si rimandavano :
i principi reputati savil' — e di costoro era quel Lodovico il
Moro che si mostrava sempre con dietro un codazzo d'indo
vini — non s' arebbono calzato un par di scarpe nuove , non si
sarebbono mutati di camisa, non che congiunti con le loro moglie
senza lo astrolabio in mano ! (69).
Il cronista Passero scrive a 4 di novembre del 1448: Et nato

Cortigiana Romana — Dal VeceLLIO

don .Alfonso figlio primogenito di don Ferrante d'Aragona figlio


del re Alfonso... et in questo tempo ci apparso uno travo di fuoco
per l'aria (70). E al 1465 annunzia, a proposito dell'arrivo a
Napoli d'Ippolita Sforza : In questo dì ci scurato lo sole in colore

(69) Saba da Castiglionr. — Ricordi, n. 76, f. 34, Venezia, 1555.


(70) Passero. — cit. p. 25.
52 -

azzurro et oro et durò così per tutta la domenica seguente (71).


D'una cometa multo oscura lo stesso Passero nota l'apparizione
a' 20 di agosto del 1468; ella fu chiamata Dominus absconditus
e chissà di quale influsso la si tenne dotata.
Diffusa da' popoli orientali nel mondo greco latino, Yastro
logia giudiziaria cosi pretendeva di conoscer da' fenomeni mete-
reologici il destino degli uomini e di leggere negli astri, quando
mostrassero d'avere il tale o il tal altro colorito o la tale viva
luminosità, la chiara sorte della gente. Nè, per quanto aves
sero fatto il concilio di Trento, la bolla famosa di Sisto V, la
sfrontatezza de' ciarlatani medesimi, i quali senza volerlo, ave
vano pur contribuito alla fine di quella scienza, la si potette
dire scomparsa del tutto fino al seicento. Ancora, nel seicento,
andavano per mani de' borghesi e di signori libri come quello
del noto don Antonio Carnevale da Ravenna (72), ne' quali si
poteva leggere come, per esempio, il « segno della sesta Casa
che è lo scorpione domilla de' membri del corpo le parti pudende,
la vessica, le natiche e parti poco lontane. In queste verranno —
soggiunge l'astrologo — mali irreparabili, ulcere, dogliose in-
fiamagioni e pessimi mali di pietra... » E alle ultime pagine, egli
raccomanda : « Doveranno i Signori medici osservare i giorni
notati che sì trovano in fine di questo libro... »

Giuliano Passero ne' suoi giornali, che si conservano mano


scritti alla Nazionale di Napoli, narrando de' fatti che seguirono
nel gennaio del 1496 racconta come in quel tempo , mentre
Federigo d'Aragona moveva con trentacinque navi et sessanta
galere ben armale alla volta di Gaeta ov'erano sbarcati i francesi,
una gran carestia colpiva Napoli, dove che lo tumolo de lo grano
vale nove carlini et dieci lo tumolo de farina, et questo ei per lo
grandissimo male tiempo de pioggia che non fu mai simile. In
quisti tempi — soggiunge — incomenzai ad venire in Napoli lo
.male franzese, et veneva con gran doglie. E nelle sue Chroniche
antiquissime Tommaso da Catania, con precisione ancor mag
- (71) -Id. ibid. p. 27.
(72) Gli arcani delle stelle intorno a' più notabili eventi nelle cose del mondo, per l'anno
1661, discorso astrologico di D. Antonio Carnevale, da Ravenna. Firenze, 1661,
— 5} —
giore , scrive : A 1496 , a dì 19 gennaio , incomenzò lo niale
franzese in Napoli, con le doglie. Or Carlo ViII, dopo essersi
fermato in Roma dal primo giorno di gennaio 1495 al 9 febbraio
dello stesso anno, era entrato in Napoli il 12 di questo ultimo
mese : Hoggi che sono li 12 di febraro 1495, dì domenica, alle
22 hore è intrato in Napoli lo re Carlo de Franza de casa de
Valois et alloggia a lo Castiello de Capuana et subito ha fatto
indrizzare l'artegliarià contro lo castiello nuovo... (73).
Però noi domandiamo : Si deve prestar fede a' due cronisti
sopracitati ?
Nel qual caso non sarebbe da credere che la sifilide sia scop
piata in Napoli dopo — e non prima — la venuta di Carlo ViII
fra noi? Già i due cronisti la chiamano mal franzese : ed essi
hanno pur già parlato di tante e tante calamità che preceden
temente afflissero Napoli senza , proprio , addebitarle se non
alle vere cause, a' veri colpevoli dell' averle addirizzate alla
volta nostra. Gli stessi Aragonesi non certo sono sfuggiti alla
rapida critica, spesso non benevola, del loro governo, talvolta
fin acerba per le lor donne , come quando si parla di quella
nipote di Alfonso II, in un di codesti diarii, e in suo poco onore
è citata la frase da carrettiere di Sigismondo di Polonia. Il
Guardito, il Morlino, novellatori popolari del secolo decimo-
quinto e scrittori veristi, come si direbbe oggi, non ricordano
l' epidemia venerea del loro tempo null' affatto : e pur essi
vissero e scrissero nella seconda metà del quattrocento e, specie
il Guardato, non ebbero ritegno d'offerire alla curiosità de' loro
contemporanei soggetti scabrosi. Anzi il Guardato interpose
proprio fra le parecchie del suo libro suggestivo una novella
che racconta di due amanti capitati, fuori della città , in un
accampamento di lebbrosi, i quali — e qui il racconto è mira
bile per colorito e per tragicità — uccidon l'amante e abusano
della fanciulla. Con la medesima forza narrativa pensiamo dun
que ch'egli avrebbe descritto , ove mai si fosse abbattuto in
qualcuno d'essi, i colpiti da un morbo che, a somiglianza della
lebbra —la cui terapeutica è ancor oggi incerta —riduceva l'orga
nismo e l'aspetto degl' infermi allo stato più orrendo e pauroso.

i 73) Passhko, cit. p. 6».


5-4

Donne di Venezia che si fauno biondi i capelli.


(Dal Vecellioi

Ma l'Hesnaut, nel libro che abbiamo avanti citato, standosene


a quanto sull' origine della sifilide scrive il Fulgosi, dice che
già due anni avanti che scendesse in Italia Carlo ViII quel
male vi faceva vittime e sviava la scienza medica. Il Fulgosi
narra, difatti: Biennio antequam in Italiam Carolus venirel,
aegritudo inter morlales detecta, cui nomen nec remedia Medici
ex veterum auctorum disciplina inveniebant, varie , ut regiones
erant, appellata : In Gallia Neapolitanum. dixerunt morbum, at
in Italia Gallician appellabant , alii autem aliter... (74) Cosi
— continua l'Hesnaut — nel 1492 l'esistenza della sifilide era
conosciuta in Italia; l'anno seguente la si segnalava in Ispagna,
in Germania, nella Lombardia: nel 1494 si manifestava a Berlino,
a Halle, a Brunswick, nel Mecklemburg, nella Lombardia (?)
nell'Alvergnate e in altri paesi.
1 74) Flxgosi : De diciis factisque. — L. I. Capii. VI.
— 55 —
Ripetiamo , a questo punto , quel che abbiamo detto più
sopra: il lavoro dell'Hesnaut, pregevole per parecchi riguardi,
scritto con quel persuasivo e snello stile francese per ove fin
la riproduzione del documento è un accordo di buon gusto con
la narrazione e la dimostrazione, ha, d'altra parte, la caratteri
stica, onorevole certo ma parziale, della difesa nazionale. Prima
di tutto, fino a qual punto — seguitiamo a chiederci — s' ha
da ritenere come sicura l'asserzione del Fulgosi ? Ella, se non
gratuita , potrebbe esser fondata sopra notizie non del tutto
esatte, e se l'Hesnaut se ne vuole stare a quello che scrive il
Fulgosi l' opinione — oramai fondata sopra i documenti più
certi — che il male ci sia venuto dall'America assieme a' soldati
di Cristoforo Colombo, sarebbe addirittura distrutta. E noto
che il Colombo toccò l' isola Hispaniola , o di S. Domingo ,
soltanto nel 6 dicembre del 1492 : nè prima del gennaio del
1493 di là fece vela per la Spagna, ove giunse nell'aprile dello
stesso anno. L'asserzione del Fulgosi, che fa seguire lo scoppio
del mal venereo in Italia fin dal 1492, fa credere ch'esso non
sia di quella provenienza americana, mentre il medico spagnuolo
Rui Diaz de Isla afferma che nella Spagna , e precisamente
a Barcellona, la quale fu la prima delle città europee ad esserne
infetta, il morbo fu osservato nel 1493. « Esso ebbe origine
dall'isola Hispaniola (S. Domingo) come è stato accertato da
lunga esperienza e fu ivi contratto dall'equipaggio di Cristoforo
Colombo quando i suoi marinari ebbero contatto con quelle
donne. E poichè i reduci dall'America che già soffrivano pel
morbo durante il viaggio di ritorno , si recarono subito a
Barcellona la prima volta che vi si restituì il Colombo nel
1493, cosi immediatamente e largamente si diffuse il male fra
quelli abitanti ». Il de Oviedo rafferma la medesima opinione
e dello stesso suo avviso e di quello del de Ruiz sono il Mo-
nardes, G. B. Montano, Pietro Martire, I. B. du Tertre, Lopez
de Gomard e moltissimi altri scrittori forestieri : in Italia il
Summonte, l'Aquilano, il Guicciardini, per dir de' più noti e
attendibili, confermano la notizia e la tengono sicura. Gli stessi
scrittori francesi non la mettono in dubio: ma il Garnier (75)

175) Hùtoire de Frunce. Tome X. Paris, 1770, p. 523.


- 56 -
scrive: « Une maladie honteuse . intonnne jusqu alors , acheva
d'en graver un cruel souvenir dans la mdmoire des hommes : les
Francois qui en fureni infectés par des Napolitaines, la nommerent
mal de Naples : les ltaliens, chez lesquels les Franfois la rdpan-
dirent à leur retour, Vapelerent le mal Franfois. Ces dénomina -
tions injurieuses soni également injustes : cetie maladie étoit étran-
%ere à notre continent : la nature I avoit réléguée dans les ìles
de l' Amerique oh elle c'toit moins dangereuse , par'e que les
naturels du pays y trouvoient un remede facile dans le sue du
gaiae. Cristophe Colomb, Gdnois de naissance, qui s'cloil mis à
la solde d'Jsabele, reine de Castille, pour découvrii de nouveles
terres, et qui avoit composé son équipage d ' Italiens beaucoup plus
expérimentés dans la navigation qu 'aucun autre peuple de
l'Europe, avoit le premier pénètré dans le Nouveau Monde, avoit
soumis des peuples inombrables , avoit rapporté beaucoup d- or :
mais il ne s' étoit pas apercu qu 'il raportoit en meme-temps un
fleau terrible que tout l'or du Perou et du Mexique ne pouvoil
compenser , puisqu 'il semble tendre plus directement qu 'aucun
autre à la destruction de l'espece humaine, en l'ataquant dans le
principe de la réproduction. » Ed ecco additata Napoli come
il focolare da cui presero il male i Francesi. Evidentemente
il Garnier, a somiglianza d' altri parecchi suoi connazionali ,
se ne è stato alle tradizioni: e in Francia la tradizione ripete
lo stesso da parecchi secoli. Ma che davvero — scrive il pro
fessore Orazio Comes in una recente sua monografia (76) —
la lue sia apparsa in Francia fin dal 1493 e che vi si sia poi
rapidamente diffusa nel 1494 è provato da un documento di
una incontestabile evidenza. Sei mesi prima del ritorno di
Carlo Vili il nuovo morbo ch'era designato allora in Francia
col nome di Grosse vèrole arrecava tanto danno agli abitanti
di Parigi che il Senato francese fu costretto a publicare un
editto per arginarlo. E la traduzione letterale dell'editto francese
è la seguente: « Oggi 6 marzo 1496, atteso che in questa città
di Parigi si trovano infermi di una certa malattia contagiosa,
denominata grosse vèrole , che da due anni in qua , ha molto
percorso questo regno tanto in questa città di Parigi che in
(76) La lue americana , il mal francese , il mal napolelano iti tempi di Carlo Vili, —
Napoli, 1897.
— 57 -
altri luoghi... sarà fatto publico bando da parte del Re affinchè
tutti gli ammalati di grosse vèrole, stranieri, così uomini come
donne... partano da Parigi e si restituiscano in patria o altrove
sotto pena del capestro e non ritornino se non interamente
guariti. Alle donne ammalate saranno date le case per la lor
dimora, i viveri e altre cose loro necessarie (77) ».
Come , dunque , si può ancora parlar di mal di Napoli in
Francia ? Non dobbiamo piuttosto prestar fede al Ruiz Diaz
che scrive : « Nel 1494 re Carlo VIIi dovendo scendere in
Italia con esercito numeroso accolse nelle sue schiere molti Spa-
gnuoli. E poi che di questi alcuni erano già infetti cosi il nuovo
morbo fu introdotto dagli Spagnuoli in Francia e quindi anche
nell' esercito francese. Ma ignorandosi la origine del male fu
creduto ch' esso dipendesse dal clima stesso della regione. I
francesi più tardi lo chiamarono male napoletano, gl' Italiani ,
invece, mal francese... » ?
Fino a quando non appariranno documenti nuovi è al più
recente e attendibile d'essi che ci tocca di credere. L'opuscolo
del Comes è l'ultima parola sopra una controversia antica, la
quale seguiterà forse, per anni moltissimi ancora, a sperimentar
gli argomenti più disparati. Quello principale che mette avanti
l'Hesnaut per provare l'origine italiana del male venereo per
quanto riguardi la Francia ci par davvero arrischiato. La sifilide
è un contagio e presuppone il contagiato, l'ammalato locale
onde altri, a mano a mano, s'inquinano. Il lusso, la dissolutezza,
la depravazione de' costumi italiani della fine del decimoquinto
secolo e del principio del decimosesto c'entrano , crediamo,
come i cavoli a merenda. Si può piuttosto pensare che la lue
sifilitica sia stata conosciuta dagli antichi, che il suo fatai cam
mino l'abbia finalmente portata in tutto il mondo, ch'ella sia stata
da remotissimi tempi, malattia, se non designata per le cause
e combattuta per la terapeutica, conosciuta dovunque. Ma — os
serva il Corradi, ne' suoi Nuovi documenti per la storia delle
malattie veneree in Italia — quando anche sia messo fuori di
dubbio che i popoli antichi, siccome quelli del medioevo, eb
bero non solamente mali venerei locali , ma anche generali ,

1.77) Atti del Siìnato di Parilìi. — Registra du Couscii 1496-97, n. XL, f. 74.
- 5» -
cioè la vera lue o sifìlide costituzionale, rimarrebbe però sem
pre da dimostrare come e per quali accidenti nel tempo anzi
detto succedesse per siffatti morbi mutazione tanto profonda.
Del che la cagione vera tuttora rimane ascosa.

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~J3iCrrìj^ljrj.
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Meretrici publiche — I>al Vecellio.

Oli astrologi giudiziarii ebbero buono in mano — scoppiata


che fu in Italia l'epidemia — per sentenziare alla loro maniera
bizzarra. La scienza medici partecipava di quelle credenze e
annebbiava ancor più le menti paurose e ignoranti. Mentre
'l'omaso Rangoni poneva nell'anno 1488 il cominciamento del
morbo gallico e, con le immaginose sue deduzioni, sosteneva che
seguisse tanta sciagura per via della congiunzione de' tre pianeti
nel segno del Cancro, Pietro Mainardo, veronese, pronosticava
a sua volta che il male dovesse cessare nel 1584, fatta contraria

N
— 59 -
la posizione dei pianeti pel cui maligno influsso era nato (78).
Scrittori venuti appresso, tra'quali il Sanchez (79),l'Heusler (80),
il Gruner (81) sostennero che fosse peste venerea : a costoro op
pongono il parer loro il Simon e l' Hecker. Nelle sue opere
mediche il Mercati scrive a proposito : « Suni qui ex India
apportatimi fuisse ferant, sunt etiam qui in obsidione Neapolita -
norum, cum Galli provinciam hane expugnare tentarunt, prin-
cipium duxisse fetant... sunt etiam qui referant ex His/ianorum
luxu in eodem bello ortnin duxisse... (82) »
Nelle sue Terze rime, al Capitolo del mal franzese, Messe r
Bino scriveva :

Che principio non ha si può provare


Da' versi che ne ha latto il Fracastoro,
Che son sì dotti, e non !o san trovare...

E intanto la medicina empirica e cpiella letterata preparavano


e proponevan rimedii. L'uso del mercurio fu presto instituito :
il Sommariva, nel suo Capitolo scritto nel 1495 e stampato in
Venezia dal Botto nel 1496, ne descrive la preparazione :

... e quest'unguento
Alle juncture, ut infra, preparato
E ben composto cum el vivo argento
Kxtincto prima et possa col butyro
Lavato, incenso, muschio et therebento
Mixti nell'ola et cum fervente giro
In el eneo mortar pixto et contrito
Nell'ola poi serbato é al morbo diro.

Dell' idrargirio come lo chiamavano, i Greci (i latini Aqua


argenti o Argentimi vivum) ossia mercurio, e dell'uso suo antico
presso que' popoli e poi presso gli Arabi, che lo adoperavano
per la scabia, per l'erpete e per ogni altra malattia della pelle,
discorre a lungo l'Astruc (83), Quindi parla della sua intro-

178) Traetatus de morbo gallico — II, e. 3, In Luisini Collect, I. 397.


(791 Examfn historique sur /' apparition de la malattie vc'nirienne en Europe et sur la
nature de celle epidemie — Lisbonne. 1774.
(801 Heusler Ph. Gabr. l'eber den tvestindisch. Ursprung der Luslsenchr.Hatltburg, r79o.
(8i) Gruner Christ. Gothofr. — Morbi gallici origincs Maranicae — Progr. Jenae 1793.
182) Dn. Ludovicus Mercati — medicus a cubiculo Philippi II et III — Opera — T. IIpp.
899. Venetus, 1612.
(83) De morbis vencriis. Venetiis 1760. Lib. II. Cap. VII.
— 6o —

CORTIGIANE VENEZIANE
Quadro del CARPACCIO — Museo Correr j.i Venezia.
- 6r —
duzione nella cura del mal venereo assieme agli altri rimedii
che si componevano, come il guaiaco, di semplici, e ci venivan
dall'America stessa : Initio quidem Medici mercurium in unguen-
tis caldissime adhibuere, post convenientem preparationem et dosi
parassinna , ut qui aegrotantibus metuerent a remedio nondum
satis explorato. Sic in unguento , quod a Torrella proponitur ,
Mercurius vix cedebatin quadragesimamparlem reliquae materici:
in decimam quintam vel decimam quartam ad summum in un-
guentis, quae a Gilino aut Aquilano proferuntur; demum in un-
guentis quae prostuuì apud Wendeliniun Hock, ad octavam, quod
maximum erat. Parcior ea quidem erat Mercurii quantitas, sed
quae poluisset prudenter deinde augere duci experientia, ut auc-
lam fuisse certum est , atquc ea ratione pedetentim ad debitam
dosim deduci. Sed placuit Empiriris improbissimo et inconsidera-
tissimo nominimi generi , praecipitantia omnia perdere , nullis
praemissis universalioribus remediis Mercurìum temere illinendo:
Imo cum Mercurium a Medicis parcius illitum ad curandam luem
veneream plerumque inefficacem esse deprehenderent, in contrario
peccanda aegrotantes nimia etpraecipiti hydrargyrosi ita opprimere,
ut remedii vehementia mortem obirent non pauci, ceteri vero, qui
valentissimi velfelicissimi erant, pryalismo, diarrhoea, oris ulceri-
bus, marasmo confetti, macilenti, luridi, squallidi, edentati, balbu-
tientes, ore obligato capistratis, post miserias diuturnas et miser
rima^ lente convalescerent. La plebe, come quella ch'era a un
tempo più ignorante e men denarosa e s'affidava alle ciarlatanerie
della piazza, ebbe a soffrire le maggiori asprezze del male e
dette di se spettacolo miserando. S' era alle porte del secolo
decimosesto : una vita novella pareva che dovesse ripristinare
ogni cosa; si rianimava ogni spirito, il denaro correva le piazze,
Roma, la grande città de' papi, era come nel fior della sua vita
intellettuale e liberale , la scienza accresceva le sue scoperte,
l'arte disseminava capolavori per chiese e palazzi e case princi
pesche. E pur nessuno potette , di que' tempi , legare il suo
nome a quella che sarebbe stata la più nobile vittoria del Ri
nascimento: la lue venerea, che si diffondeva con rapidità spa
ventosa, trovò impotente la medicina, deboli o poche le misure
di polizia, falsi i concetti dell'origine del male, pericolosa la
terapeutica. A' suffumigi si ricorse poco dopo il 1506; furono
— 62 -

i primi a proporli nella cura del male Angelo Bolognino e


Jacobo Cataneo, quello insegnante chirurgia nell'Accademia di
Bologna, quest'altro medico a Genova. L'Astruc parla di due
generi di suffumigi: In universa suffìmenta erant duplicis generis.
Benigna alia, alia malizna pro diversa conditione specierum ex
quibus constabant. Priora componebantur ex rebus quae primis
injectae oleosa et pingui natura fumo plurimo emittendo pares
essent, aut suavitale odorum quos spirabant ad refocillandos spiri-
tus valerent egregie. Tre sorti di benigni suffumigi egli ricorda
a questo punto : Ex resinis et gummatis : Thus , Olibanum ,
Mastiche, Aloe, Myrrha, Styrax, Benzuinum, Opopanax, Suc-
cinum, Sandaracha Arabum seu Gummi Junsperinum, Gummi
Anime, Gummi Hederae, Ladanum, Ammoniacum, ettc. etc; hx
aromatisi Cinnamomum, Nux moschata, Macis, Caryophilli', Spie a
Nardi, Gallia Moschata, Schoenantus, Baccac Lauri, Juniperi,
/'olia Sampsuchi seu Majoranae , tie. ete; Ex Lignis pinguiori-
bus: Xyloaloe, LignumJuniperi, Pini, Buxi, Santala omnia, ete. ete.
I suffumigi detti maligni eran quelli pe' quali alle sopradette
materie si aggiungevano farmachi velenosi, ut Sandaracha Grae-
corum, ossia arsenico rosso, ut Auripigmentum seu Risigallum
vulgo Arsenicum citrinum, vel quae pro venenis ea aetate habe-
bantur, ut Cinnabaris factitia. Tutte queste materie, ridotte in
polvere minutissima e separate in tante cartelle, si gettavano,
una dopo l'altra, sugli ardenti carboni : al paziente era da prima
incisa una vena e cavato sangue, lo si faceva purgare ad hu-
mores contemperandos , e appresso lo si cacciava in una cella,
optime clausa, di un bagno o sudatorio publico o privato. Qui
— seguita l'Astruc — aegrotum, nudimi vel interiore dumtaxat
retenta tunica, sedentem vel stantem , concluso vel exerto capite
constituebant, pro ratione virium. In appositum ad pedes cruci-
bulum primis plenum , per Jenestram ad hunc usimi paratam ,
aliquot suffumiga trochischos vel tabellas per vices conjicìebant,
ita ut fumo exalato aeget tandiu totus exponeretur, dum sudor
eliceretur copiosus, nisi forsan immineret deliquii pericnlum, cui
ut occurrerent , jubebant atgrimi os applicare foramini in hunc
usum fabrefacto, vel spiritimi ducere ex fistula, cujus extremum
foris extaret, ut aeri frigido et sincero liber esset aditus in pul-
mones. Era , quindi , tolto di là il poverino e posto in letto
- 63 -
caldo ove lo si copriva con panni di lana e lo si faceva stare
per una o due ore ancora, durante le quali egli sudava forte.
Infine , rasciugatolo tutto , gli si dava a bere del buon vino
poderoso. Dopo due ore l'infermo poteva mangiare.
Le stufe, o bagni publici, erano piene di gente cosiffatta: le
botti , scambio delle camerette ne' bagni , servirono pur alla
stessa bisogna e se ne videro da per tutto specie nelle case
de' poveri, terminate in su, come tante moderne buche da sugge
ritore , da una cupoletta di legno o di tela incatramata , di
sotto alla quale spuntava la testa del suffumigato. Nella botte
medesima, sul fianco, si praticava la finestretta per l' entrata
del piccolo braciere sul quale ardevano le droghe. Or chi guardi
la stampa secentesca, riprodotta in questo libro a pagina 43,
potrà, badando alla triste e buffa illustrazione e a' particolari
de' suffumigi del povero spagnuolo , conoscere che un somi
gliante metodo di cura era in uso ancor nel seicento. Che segui
tasse ancor nel secolo decimottavoè risaputo: Francesco Cerlone,
il quale compone commedie nella seconda metà del settecento,
descrive la botte tradizionale, parecchie volte, per bocca di quel
vecchio femminiero Don Fastidio , che vi s' è dovuto spesso
ricoverare.

Tra le cure mediche del decimosesto e quelle del decimoset-


timo secolo è poca differenza. Spigolando ne' trattati di medicina
di que' tempi troviamo diagnosi, rimedii, ricette che farebbero
ridere i sifilografi de' nostri giorni ma che raccolsero agli anni
loro l'attenzione e la considerazione generale. Cristoforo Gua-
rinoni veronese , medico della Cesarea Maestà di Rodolfo II
imperatore, nelle sue Consultationes medicinales racconta d'uno
che da piccolo ebbe il male e se ne curò con ripetere due
volte l'anno la ricetta seguente: «.Recipe: Ligni guaiaci in
scobem redacti 36. cortie. mycrobalanor. Metui j. 1. Acquae
communis lib. 6. Fiat infusio per 24 horas et deinde decoctio
ad consumptionem dimidij , quae coletur cam expressione et
servetur pro syrupo ». Or se, a esempio , al mal della gola i
medici ponevano rimedio con far bere all' infermo un' acqua
ove fosse stato il capo d'una vipera soffocata con seta cremisina;
- 64 -
è da immaginare che altre diavolerie escogitassero per disgrazie
maggiori. Una ricetta napoletana per la gonorrea gallica era
quella che insegnava a comporre la cosi detta Bevanda del
Quercetano e diceva : « Piglia di herba Vermicolari^, manipolo
uno, semi di Cotogni, di Ruta, di Agnocasto , di Piantagine
ana oncia una , radici di Tormentala oncia mezza, Rose rosse
parte due, fiori di Verbasco parte una, su%o di limoni oncie sei,
acqua di fiori di malva arborea libra mezza. Si macera il tutto
per tre o quattro giorni in Bagno maria lento , poi si tra
scola. La dosa è di due o tre cucchiari la matina e la sera
continuando per molti giorni. Il medico vederà cose di stu
pore ancorchè la Gonorrea sia antiquata » (84).
Appena si sviluppasse adenite si ricorreva a un empiastro
come questo: « Piglia di cime di malva e d' Althea Radiche
d' Althea , Frondi di Violata , ana manipolo uno , grasso di
gallina once due, assogna di Porcello once quattro, sterco de
colombi e Fermento vecchio ana oncia una e mezza — si me-
schiano assieme tutte le suddette cose in un mortaro riducen
dole in forma di cataplasma. Questo cataplasma matura in par
ticolare i Tinconi fra lo spatio di ventiquattr' hore ma bisogna
rinovarlo ogni sei hore ».
L''Unguento bianco canforato occorreva alle ulcerazioni che
non fossero d'indole maligna : « Piglia d'olio Rosalo libra una,
cera bianca once tre, Cerusa oncie sei, bianchi d'ava numero tre,
Canfora drama due. Si facci unguento secondo l'arte-». Alle
veneree la causticazione, Yacqua mercuriale , la pietra medica
mentosa, la viola lutea. La gonorrea gallica virulenta era cu
rata con iniezioni delle quali ritroviamo ancor la ricetta : « Pi
glia d'acqua di rose rosse, acqua di piantagine ana oncie nove,
vetriolo di Cipro dramme due. Si meschia finchè il vetriolo si
scioglie e si faccia inietione tepida ». Un' altra composizione
per lo stesso uso era di Lacerta verde e di precipitato verde,
(acqua forte , mercurio e rame). Roba da mandare all' altro
mondo un cavallo ! Il capelvenere impiastrato , il mastice , lo
spicanardo erano adoperati per l' allopecia ; sulle sopraciglia
che si spelavano si poneva pelle di vipera abbrusciata e per
(84) Giuseppe Donzelli — Teatro farmaceutico, dogmatico e spagirico. Venezia per
Andrea Potetti, p. 444.
- (55 -
far ricrescere il pelo si beveva Radice di Nenufaro. Della pre
parazione de' fomenta Marco Aurelio Severino scrisse nel deci
mosettimo secolo riducendo a poche le sostanze medicamentose
e sudatorie (85): pel flusso contagioso, tra gli altri opportuni
rimedii consiglia il Decoctum Spartae , del quale la ricetta è
questa che segue :
« Ree. Rad, Spartae paril, concisae une. III. infundatur in
sex lib. aq. fontis 24 horas, deinde fiat decoct. secundum artem
ad consumpt. duanim part, aquae , et adde fot. senae orient.
une. '— fior, borag. viol. cichor. fumit. lupul. malvae atia p. i.
Semiae melon une. HI. In singolos usus hauri de colatura
lib. —'— viginti diebus, assidue, mane. » Altri rimedii per essa
erano V Acqua di Petroselio, il Bezoartico venereo, la Conserva
di Cassia, il Dittamo eretico, Y Olio de canfora destillato, le Pil
lole di terebentina, lo Spirito de vetriolo, il Turpeto minerale.
E pel morbo gallico: Y Acqua di Camedrio, Y Acqua di Carvo,
Y Acqua di Fumaria, Y Acqua di Jaccea, Y Acqua di Mercurio
del Libano, Y Antimonio diaforetico, YArcano corallino del Frol-
lio, il Bezoardico Solare, il Puliro di solfo, il Croco di Me
talli, il Dittamo bianco, Y Estratto di legno Santo, YEstratto di
Meccioacan , i Fiori d 'Antimonio , la Manna di Mercurio, il
Mercurio Aurato, Y Oglio di legno santo distillato , le Pillole de
Tribns di Galeno con mercurio, la Polvere del Cornacchino , il
Sale d' imperatrice, il Sale di stagno, lo Sciroppo di Fumaria
semplice, lo Sciroppo Svessano, lo Sciroppo vomitivo del Grulin-
gio e chi ne ha più ne metta.

Così, tra guerre e guerriglie e interni sommovimenti e fla


gelli di peste e di carestie, si chiudeva in Napoli quel secolo
decimoquinto che pur avea visto la invenzione della stampa
render più note e più cospicue le lettere, la magnificenza dei
principi incoraggiarle assieme alle arti e alle scienze.
Per quello che s'attiene al nostro argomento noi non possiamo
dire d'aver ritrovato senza governo di leggi certe e palesi la li
bertà del costume in que' tempi. Già da quelli di Federigo II la
giurisprudenza romana aveva acquistato incremento: le scienze

(85) M. Aurei. 11 Severini Terapeuta Neapolltamus — Napoli, A, Tanni 1653, p. 242.


5
— 66 —

giuridiche longobarde , che Luca di Penna chiamò porcine e


asinine a un tempo, smesse quasi durante la dominazione an
gioina, furono, appena seguita quella di casa d'Aragona, addi .
rittura obliate. Potrà parere, quando si riguardi al quattrocento,
che sia stata poca, o poco utile, o quasi arbitraria l'interpreta
zione del diritto per qualcuna delle classi più umili della società
di que' tempi: ma non è. Non si dimentichi che una legisla
zione meglio fermata e intesa di quella che s' era avuta pel
passato doveva constituire quasi un bisogno in quelli anni nei
quali già le morali e politiche condizioni del regno preparavano
larga materia di litigio. La prostituzione ebbe norme di polizia,
tra registrate e bandite, parecchie : i bisogni dell' erario , fin
dal governo durazzesco, imposero quella Gabella che or potrebbe
sembrare nelle mani d'un governo civile una losca e immorale
speculazione. Se una immane barriera separava il popolo dai
signori e da' principi, se il concetto delle plebi era in questi
ultimi vilissimo , nessuna meditata oppressione colpi tuttavia
l' amor libero , al quale invece — come potrà apparire dalle
pagine che seguono —- mentre il cinquecento preparava in sulle
prime una più larga e più profittevole espansione non meno
appresso il medesimo secolo era per opporre una reazione di
esagerata pruderie e di provvedimenti addirittura feroci.
CAPITOLO SECONDO
CAPITOLO SECONDO

Il CINQUECENTO — BANDI PE1 RUFFIANI— DEfINIZIONI DELLE RUFFIANE — IL NUOVO QUAR-


tiere delle « Celze » —G-J « Incarnati >— Costumi napoletani — Prammatiche—
Ancora la « Gabella » — Aggettivi insultanti per le prostitute — Documenti
dell'Archivio Municipale di Napoli sulla topografia cinquecentesca dell'amor
libero — Vestiti — Canzoni e cantanti — La taverna del « Crispano ».

A femina — sentenzia il
del Tuppo — è uno ani
male imperfecto, una rosa
fetente, uno veleno dolce,
instabile più che lo aere
vagabundo ». E nella sua
morale alla favola delgio
veene e di Thayde, misogi
no arrabbiato, egli con
siglia a' giovani di star
quanto più possano lon
tani dal pericoloso e fre
quentissimo contatto.
Dalla fine del quattro
cento s'era visto crescere
in Napoli il meretricio a
vista d'occhio e dopo Ro
ma e Venezia, ne' primi anni del secolo decimosesto, veniva Na
poli, e a Roma stessa — chi voglia credere all'Aretino'— si molti
plicavano le prostitute per opera principale d'una napoletana :
« Hor di quelle tante napolitane — scrive messer Pietro — sa
rebbe troppo a contar tutta la genealogia, perchè sono più di
quaranta tra le madri, le sorelle ele nipoti: e de la antiquità
— 72 —

loro con effetto meritano lode e provisione, che infino al tempo


di Alessandro conobbi la madre con le sue tre figliuole Laura,
Bona e Bernardina quali erano cortegiane ll in fronte al Banco
et a canto de Sauli, e da l'hora in poi crescendo la quantità
delle figliuole e supplendo a tutta la Corte son venute in tanto
numero che hanno fornito Roma e mantenuta l'abondantia al
tempo di sette Papi e credo anche ne sarà per sette altri » (i).
Appresso Papa Alessandro VI ve le divise in Puttane da lume
o da candela e in Cortigiane oneste, avveduto pontefice anche
costui ! E fra tanto cresceva il ruffianesimo , lordura che fu
particolare del cinquecento ma che pure nel secolo precedente
aveva impegolato parecchie città italiane, specie quelle del set
tentrione. In Ferrara, a esempio, s' era dovuto ricorrere, nel
1462, a pene esemplari : taglio del naso, o del piede, o della
mano, (2) e d' un Brachino, mantovano, grandissemo ruffiano
de donne nobili, un codice magliebechiano narra l'orribile fine (3):
costui fu squartato da quattro cavalli, sulla publica piazza. Nei
primi anni del cinquecento Roma formicolava di mezzane :
parecchie, da Roma, e da città più lontane ancora, già avevano
migrato a Napoli e però nel 1480 Ferrante d' Aragona s'era
preoccupato maledettamente del caso. Anzi , desiderando non
solum lenones expellere sed, addirittura, lenonum nomen extin-
guere aveva firmato in Castelnuovo un severissimo editto. Egli
stesso, a 29 ottobre 1483, scriveva da Foggia al Capitano di
S. Severo:
« Magnifici vir ettc. devete sapere quanto havemo in odio che
non siano roffìani in questo n.ro regno perchè non habiano ad
tenere donne de partito in lo pubblico, et per obviare ad questo
più volte havemo facto publicar bannj da parte de n.ra M.'a
In più parte de questo n.ro Regno che nullo Ruffiano possa
ne debia tenere donne de partito socio pena de star in galea per
petuamente, secundo nelj dicti bannj, ali qualj ne referimo , se
contene. Novamente havemo noticia corno in quessa terra sonno
multi ruffianj the tengono dicte donne al publico incontento n.ro,
et incapando . nela dicta pena contenta nelj dicti bannj , al che
(1) P. Aretino. — Capricciosi e piacevoli ragiouameuitì — Cosmopoli (Amsterdam) 1660.
Giornata I, p. 445.
(2) E. N. Cittadella : Notisti di Ferrara, p. 283.
13; Il codice e intitolato: Oroscopi. È alla Magliabechiana di Firenze, serie Nelli.
— 73 —
volendo debitamente providere , et ad tal (he dicti ruffianj non
vadano impuniti de loro excessi et delicti : volimo et ve dicemo
et comandamo che li dicti ruffiani quaìj se trovassero in questa
terra et per lo advenire ce veneranno , li debìate de contenente
pigliar de persona et quilli detenile in carcere cautamente et ad
panezino nostro major algoczino o vero ad soì nomini li consignarite
li quali con vostre lettere li habiano da conducere ad n.ra MJ" ad
tale possamo provedere ad quanto se deve iustamente in tale causa :
et non fate altramente per essere questa nostra voluntà et si ha-
vile nostra gratta cara et pena due. mille desiderate evitare.
Dat. in terra nostra Fogie penultimo octobre MCCCCLXXXIfl,
Rex Ferd. A, Secret. Capit.0 S.'i Severi/. Fi in simili forma
scriptum fuit Cap." Lucerìe saracinorum. » (4)

La via e il largo della Carità nel seicento

Più tardi, nel 1505, i cittadini della « Fedelissima » facevan


pervenire a Ferdinando il Cattolico la supplica seguente (5) :

(4} Gr. Ardi, di Stalo ili Napoli — Amministrazione interna — Collaterale Curiae ! . 1481 -54.
e. 70 a. Rex Siciliae.
'51 Privilegi el Capitoli con altre grafie concesse alia fedelissima citta di .Xapoli... pet
it serenissimi A'/ de Casa d'Aragona — Venetia i.s8.*, p, 46.
- 74 —
« ... Considerato ancora che per causa de le meretrice et
inhoneste femine so in questa cità molti ruffiani , citatini et
forestieri, se supplica però Vostra Cath. Ma. che se digne ordi
nare et comandare al regente de la gran corte dela vicaria ,
li debia cacciare, perseguitare et punire, et non permetta per
respecto, ne causa alcuna, sia alcuno ruffiano in dicta cità, et
ad majora efficacia Vostra Catho. Ma. per lo presente Capitulo
conceda facultà ad li electi de dicta cità che possano revedere
lo regente ad la executione contra li dicti ruffiani et ditto re
gente lo debba exeguire sub pena privationis offieij. »
Il re non si fece pregar molto. Assieme a questa sopra riferita
egli aveva avuta un'altra supplica che qui ancora trascriviamo:
« Item supplicano, che attento le constitutione del regno di-
sponeno, che le meretrice, non habbiano ad habitare in li lochi
dove habitano le persone honeste , et da bene et ad quisto
effetto fo antiquitus in la cità de Napoli indutta una certa
gabella, per la quale lo gabelloto exige da omne meretrice uno
certo pagamento, omne septimana, et deve essere sollicito ad
fare che tutte le meretrice debbiano habitare in li postribuli
publici ad cio deputati , et perchè ditta gabella è de privato
et da certo tempo in qua lo gabelloto no se è curato, ne cura
fare andare le dicte meretrice in li ditti postriboli publici pure
che li pagano la gabella, per questo, se digne Vostra Chatolica
Maiestà ordinare et commandare che dicta gabella non se possa,
ne debia exigere si non da quelle meretrice che habitaranno
in ditti postribuli publici, et questo ad effetto che dicto gabel
loto sia sollicito ad andare ad fare andare ad habitare dicte
meretrice in li ditti lochi etc. etc. »
Ancora più tardi il primo vicerè per Ferdinando il Cattolico,
Consalvo Ferdinando di Cordova e d' Aguilar (6) bandiva a
29 giugno 1507 :
« riavendo i tempi addietro Sua Maestà fatte fare provvisioni
e Bandi che in questo suo Regno non presumesse alcuno, di
qualsivoglia Nazione, esser Ruffiano e che niuna meretrice seu
donna da partito , presumesse di tener Ruffiano publico nè
secreto: Volendo Sua Illustrissima Signoria che tali ordinazioni
(6; Ferdinando il Cattolico Re di Napoli dal 1503 ebbe in moglie Isabella regina di
Castiglia. Mori a' 23 di giugno 1516 di anni 64 avendone regnato 52 in Ispagna e 12 iu
Napoli.
- 76 -
totalmente si osservino e per fare questo Regno di tale abomi
nazione libero: Si ordina e comanda a tutti i Ruffiani , che
tengono donne da partito di qualsivoglia Nazione si siano, che
fra il termine di dieci dì dopo l'emissione e publicazione del
presente Bando in avanti computando si debbano partire ed
uscire da questa città di Napoli e questo Regno, ed in quello
non tornare senza espressa licenza di Sua Maestà sen di detto
Illustre signor vicerè, alla pena di esser posti in galea ed in
quella stare ad arbitrio di detta Maestà ovvero di detto Illustre
vicerè. E le dette meretrici seu donne da partito non osino nè
presumano per qualsivoglia modo publico nè secreto tenere
Ruffiani, nè a quei sovvenire nè sostentire sub poenci di esser
vituperosamente frustate per Napoli o altro luogo di questo
Regno dove si troveranno e d'esser perpetuamente scacciate
da detto Regno e bollate in fronte. Datum Neap. In Castro-
novo die 29 Junii 1507. » (7)

Non avremmo, certo, potuto discorrere di questo periodo di


gran voga delle meretrici senza badare alla triste importanza di
quell'elemento corruttivo che pur giovando alle sciagurate se ne
giovava e si moltiplicava, accrescendo con ogni sorta d' incita
menti il numero e le ambizioni e la dissolutezza di quelle. Gli
scrittori del tempo non arrossirono di consacrare al ruffianesi-
mo la lor prosa fiorita: (8) l'argomento fu trattato anche in versi
e se ne impegolò, sboccata e uggiosa, fin la canzone popolana.
Si stampavano in Firenze , a' tempi di Cosimo de' Medici ,
libercoli ne' quali eran versi come questi :
Io sono il diciannove e fui puttana
Nella mia gioventù multo honorata,
Perfino ai trentott'anni stetti sana,
Poi venni come gazzera pelata.
17,1 Fragm. Voi. II, p. 496.
18) Tra costoro, nel seicento, lu Ferrante Pallavicino, giustiziato in Avignone ove sn
d'un palco lasciò la testa e la reputazione. Il Pallavicino fu autore della Rettorica delle
puttane composta conforme li precelti di Cipriano e dedicata all' università delle cortigiane
più celebri. In Villafranca, 1673. Nel Corriero svaligiato, altro suo scritto, si trova una
Lettera sopra l'uso di pagar le puttane (pag. 201). Qui l'autore benedice il decreto dei
Sacri Canoni che prefigge per paga a una meretrice quanto le possa bastare per vivere
un giorno. Un'altra lettera parla delle moltissime meretrici ch'erano in Venezia nel 1636.
Al volume della Reltorica, libro d'un cinismo ributtante, va avanti la vita del Pallavicino
scritta Ha\V Aggiralo, Accademico Incognito.
— 77

Don PtBTKO D[ Toledo Marchesi-: ni Vm.lafranc.ì vicerè nel 15.12.


Hai Teatro eroico dei viceré del Parrino

Per sostentarmi mi feci ruffiana


D'una figliuola ch'i m'ero allevata,
E perché male ella non capitassi
La presto a chi la vuole e meco stassi (9).

E l'Aretino scriveva col suo solito spiritaccio : « Bella in


dustria è quella d'una ruffiana, che col farsi ognun Compare
e Comare, ognun figliozzo e santolo, si ficca per ogni buco ;
tutte le forgie nuove di Mantova, di Ferrara e di Milano pi
gliano la sceda (io) da la ruffiana: ella truova tutte le usanze
de le acconciature de capi del mondo , ella al dispetto de la
natura menda ogni difetto, e di fiati e di denti, e di ciglia e
di poccie e di mani e di faccie e di fuori e di drento , e di
drieto e dinnanzi : dimandale come sta il Cielo lo sa cosi bene

(9) « ì Germini sopra quaranta meretrici della città di Fiorenza dove si conviene quattro
ruffiane le quali danno a ciascuna il trionfo clic è loro conveniente, dimostrando di ciascuna
il suo essere. » in Fiorenza, appresso Bartolomeo di MiclielauKelo. 15S3. [Biblioteca Pu
laiina —' Firenze),
( io) Modello.
- 78 -
come il Garico strologo, e lo abisso è tutto suo, e sa quante
legne vanno a far bollire le caldaie, dove si lessano le anime
de' monsignori... S'intoppa in un birro e gli dice: da paladino
ti portasti hieri nel pigliar quel ladro ; imbattendosi in un
mariuolo si gli accosta a l'orecchio con dirgli: tagliale destra
mente ; dà di petto in una monaca e le fa di capo dimandando
de la Badessa e de' digiuni che fanno ; ecco che vede una
puttana e fermatasi seco la prima cosa le dà del voi sete più
bella che meni la testa : s'incontra in uno hoste dicegli : trat
tate bene i forastieri ; ad uno spenditore : comprate buona
carne ; ad un sarto : non rubbate il panno ; ad un fornaio :
non abbrusciate il pane; ad un fanciullo: tu se' fatto un homic-
ciuolo , impara bene ; ad una bambina : tu vai alla maestra ,
eh? or fatti insegnare il punto incrociato; a quel de la scuola:
date le palmate et i cavalli con discretione perchè dove non
son gli anni non vi può essere intelletto... Hora ella ha in
contrato un giovene, dettogli: io ho trovato una bella cosetta
che se ne contenteria un Conte; appena scorge un Romito che
ella dice sospirando : Iddio a voi à tocco il cuore et a noi le
mondanità; s'imbatte in una vedova et si mette a piagner seco
il marito che le mori dieci anni fa ; vede uno sbricco e gli
dice: lascia star le quistioncelle; trova un frate e domandagli
se la quaresima viene alta l'anno seguente... (n)» Trentamila
meretrici a Roma, su' principii del secolo; ventimila mezzane!
Da Napoli, di volta in volta, si recavano a Roma — vero El
dorado del meretricio — napoletane a squadre. In una nota di
ricche prostitute di Roma al principio del secolo decimosesto
troviamo le due Napolitane alla Piazza di Spagna , le quali ,
come le lor compagne, avevano carrozza propria. Altre posse
devano case e vigne, altre luoghi di mante , e tutte stanno in
casa con argenti et addobbi da principesse (i2j. Lesi conosceva
co' lor nomignoli e le si chiamava la Popazzera, la Cipolletta,
la Cicoraria, Martucchia , Barbara siciliana , Cilecca spiritata ,
Nina Barcarola. Famosa quella Lucrezia matrema non vole che
aveva a mente tutto il Petrarca e il Cento del Boccaccio e versi

(ir) P. Aretino. — Capricciosi e piacevoli ragionamenti. Giornata III. Parte II, p. 344
e segg.
(12) R. Archivio di St. di Firenze. — Filza Medicea, n. 4033.
- 79 -
di Virgilio perfino e di Orazio e di Ovidio ! A Venezia pur
altre napoletane allegramente emigrate trovavano chi le ad
ditasse in sudici panegirici :

Letizia è l'altra di Napoli gentile (sic)


Che al mondo fu di se troppo cortese :
Quell'altre tre di Napoli pur furo,
Diana, la Lucrezia, la Viola. (13)

Rimanevano nella Fedelissima poche cortigiane elette, se si


può dire, con le quali, ponendole in moda — oggi si direbbe
lanciandole — bazzicava la nobiltà. Le altre moltissime si da
vano un gran da fare per trovar posti ove non le rincorres
sero gli sbirri, sguinzagliati loro alle calcagna dalla insaziabilità
degli arrendatori della Gabella. E una buona occasione si
presentò finalmente alle perseguitate e agli scavezzacollo par
tenopei.

•^ul principio del secolo i certosini cospicui di San Martino


possedevano in Napoli tutto quanto quel tratto che dal loro,
per un terreno montuoso e incolto, declinava fin quasi a rag
giungere l'altro convento di Monteoliveto. Tra le mura di questo
non meno illustre monastero (14) e la delimitazione bassa del
territorio certosino la via che or si chiama via Roma e che
prima, e assai più acconciamente, s'è chiamata di Toledo, non
era ancora tracciata nel 1509, anno in cui que' monaci mar-
tiniani censirono, per pochi ducati , al conte di Cariati don
Giovanni Battista Spinelli il loro «pendio di 16 moggia incirca».
A quel che ne riferisce il Celano venne, appresso, il pendio
denominato Le Celze, quando, cioè, don Giovanni Battista l'ebbe
con molta cura messo a gelsi per la cultura de' bachi da seta (15).

(13) Trionfo della Lussuria, pasquinata stampata in Vineggia per Francesco Bindom
et Mapheo Pasini compagni , ad instantia de Hippolito detto ci Ferrarese a di XXVII
gennaro 1S37-
(14) « Jl monastero di Monteoliveto sorse nel 1400; con un trattato con l'abate di Montecas-
sino si ebbe un sito fuori delle muraglie di Napoli detto l' Ampuoro... » B. Tondi : L'Oli
veta dilucidato. Venezia, 1686. p. 60.
(15) C. Celano. « Nel principio del 500 i padri Certosini di S. Martino possedevano tutto
il territorio della montagna principiando dal di loro monistero fino alla strada di Toledo.
Essi crnMiarono una parte di questo che principia dalla casa già detta di Suor Orsola e
proprio dalla casa dei signori Spinelli dei principi di Cariati e tirava addirittura fino ove
— So —
Invece uno studioso di cose patrie che a' nostri giorni ha scritto
copiosamente, e con molta novità di notizie, della via di To
ledo (16) crede che fosse chiamata de gelsi , anche prima di
toccare in censo allo Spinelli , quella ubertosa collinetta. Certo
è che alla nuova cultura essa rispose in maniera insospettata (17)
e divenne, quando il bel verde giocondo vi rampollò e la sparse
d'un pittoresco disegno d'alberi e di capanne, il più noto e più
frequentato luogo di scampagnate plebee. Lì , al rezzo delle
piante odorose e sull'erba molle, tavole bandite ogni giorno;
lì canti e suoni di colascione e di salterii; lì, davanti alle comitive
intenerite dalla dolcezza del tramonto e dal bianco vinello, Masto
Lonardo e Giovanne de la Carriola e Compare /unno Cecala
e il Re de ll'attcielle (18): improvvisatori e filarmonici ambu
lanti che accompagnavano su' lor istromenti la lirica estempora
nea delle « villanelle » (19) e delle ariette più arcadiche. Di
una delle quali, (20) rimasta famosa per lungo tratto, il ritor
nello diceva :
Amor, ch'io viva più non è possibile /...
E davvero per la fiorita campagna più l'amore trascorreva
che altro: davano i gelsi prosperanti frutti ora mori ora bianchi
a' primi giorni di giugno e quel dolce loro odore e l'aria già
ora stanno i macelli della Carità non più che per 60 scudi d'annuo canone al conte di
Castrovillari ed ora principe di Cariati.
Era questo luogo incolto e selvaggio: principiò il conte a farlo riduire in coltura; e vi
fece piantare una quantità d'alberi di celsi e mori e bianchi per alimentare i bombici per
la seta. Con questa coltura il luogo riuscì delizioso in modo che i napolitani vi si portavano
a ricrearsi: ed in queste ricreazioni si dava in molle scialacquate e laidezze, in modo che
si introdusse in Napoli un adagio ed era come finora va attorno ehe quando si vede in un
luogo onorato qualche lasciva e sfacciata azione si dice : E che si sta ai celsi ? p
(16) A. Colombo: La via di Toledo. In Napoli nobilissima. Anno IV, fase. I e segg.
(17) Tra i deputati dell' Arte della seta troviamo nel 1647 , pel quartiere Delle Celze :
Jacovo Antonio Tortora, Stefano Burgonuovo, Masillo Giordani e Battista Bove. Per le
Celze erano quattro, per gli altri quartieri due soltanto. — Capecelatro — Diario. Voi. I.
p. 239. Il Tribunale dell'Arte della seta fu instituito da Ferrante I d'Aragona nel 1474.
Giulio Cesare Capaccio — // Forastiero, p. 306.
(18) Vedi Lo cuuito de li eunte di G. B. Basile, annotato da B. Croce. Giornata IV.
Tratt. 6, pag. 14, nota 86. '« Addove si tu mo Junno Cecala? Torna o Giovanne de la
Carriola!» Sgruttendio — La Tiorba a taccone — Son. Vlii. Corda I.
(19) « Le villanelle erano canzoni dettate sì in italiano come nel dialetto le quali sin dal
secolo XVI avevano acquistato tanta faina che si desideravano e si ripetevano anche nei
paesi stranieri. Il Costo, dal quale cavo questa notizia, riporta pure il principio di alcune
di esse, come: Napolitani, non facile folla ele, Sii suttanielle, donna, che portate, o ac
cenna al pensiero di altre come quella del trasformarsi in pulite (pulce) per mozzecar le
gambe alla signora » — B. C apasso : La famiglia di Masaniello — Na|>oli 1875, p. 76 . nota 60,
(201 La Carii.de. — Ms. di Antonio Muscettola.
— 81 —

tepida rimescolavano le giovani popolane e i loro accesi amanti,


e costoro, a dispetto delle prammatiche, ne pigliavan baci anche
a forza. (21) Così, a volte, pareva che un soffio boccaccesco per
corresse la gioconda collina ove, tra gli altri, i soldati spagnuoli
o cercavano o donchisciottescamente conducevano a spasso le
lor poco scrupolose innamorate.
Don Pietro di Toledo, vicerè per Carlo V, entrò in Napoli,
com'è risaputo, nel 1532. E appena le cure di Stato gli conces
sero des loisirs egli s' occupò d' abbellire e rincivilir Napoli ,
città che gli pareva degna più d'ogni altra d'ornamento edi
lizio e di vie capaci e pulite. Così quella che fino a pochi anni
a dietro s'è sottratta alla retorica patriotica e ha degnamente
portato il nome di lui, la via di Toledo, fu principiata nel 1544
e « appena fatta » dice il Celano « si cominciò ad abitare dalli
Spagnuoli e Ministri », In quelli anni stessi il fiorito monte dei
gelsi s'andava pure coprendo d'edificii privati e s'allineavano
questi in ordine parallelo alla novella strada principale. Ma già
quel ch'era stato un piccolo monte, ed era adesso un'area che
s'affollava di fabriche , la presenza delle donne di mala fama
aveva designato come un altro e propizio quartiere della pro
stituzione assai diffusa e copiosa del tempo. Le oneste fami
glie popolane e le borghesi si guardavano bene dal frequentarlo
e chi davvero vi bazzicava o era V indisciplinato fantaccino
spagnuolo o era lo studente o il cosi detto guatano , che ai
nostri giorni, sfruttatore, anche più tristo, delle publiche fe-
mine, i francesi chiamano souteneur e noi, con un' aggettiva
zione sebezia della quale non siamo fin qua pervenuti a renderci
conto dell'origine, chiamiamo ricoitaro : (22) infine il Griffone
di cui parla Masuccio. Le imprese de' gualani , più ardite e
frequenti nel decimosesto secolo che non fossero a' tempi dei
beccarini de carne umana, denunziano a' singoli vicerè (che a
loro volta ne rimettono le pene a' Tribunali) i rapporti de' cosi

(21) « ... Considerando quanto sia detestabile e gravissimo il delitto di baciar le donne
per forza nelle loro case, nelle Chiese, nelle strade publiche... » il Re Roberto, con suo
editto, dette pena di morte. Fu riconfermata questa pena, con piamm, di Don Perafan
de Rivera, nel 1563, a 9 marzo. V. Pragmaticae , edicla , decreta , interdicta Regiaeque
sanctìones Regni Ncapolitani — Neap. 1772. A. Gervonii. Voi. Ili, p. 591. (De osculanti-
bus mulieres).
(22) In una città delle Puglie, ci dicono, si chiaman gualani i fabricatori di ricotte.
6
— 82 —

detti publici scrivani, offiziali della polizia investiti d'un potere


ch'essi parecchie volte adoperavano con ingiustizia o di cui per
lo meno si servivano con parecchia leggerezza, cosi da provo
care bandi come quel del Duca d' Arcos, il quale ordinò tra
l'altro, nell'agosto del 1647, che gli scrivani fiscali della Vicaria
debbiano essere nativi di Napoli et oriundi tantum e siano nati
da legitimo matrimonio e non inquisiti di delitti, ne privati, per
causa, di ofiìcii (23). D'altra parte come la. protezione alle più
illustri etère veniva dall'alto e spesso si manifestava per ordini
espressi da' medesimi vicerè, la colpa de' costoro agenti poteva
sembrare, ed era forse, men grave.

La Piazza della Selleria nei. seicento.

Il lettore che segue pazientemente le nostre ricerche e rin


corre i documenti che qui sono sparsi ci accompagni adesso per
la Napoli cinquecentesca con lena più vogliosa : ora è la volta
di soffermarci per qualche tratto su' suoi costumi , sulla sua
publica vita, in alcune sue strade, ancora, ove palpitò di quelli
anni l'attività svariata del tempo e si videro animate e parlanti

(23) Capecelatro. — Diario. Voi. I, p. 208. Sugli scrivani vedi l'interessante capitolo
nella Descrizione geografica e politica delle Sicilie del Galanti, Tomo II, p, 319.
- 83 -
quelle figure le quali a noi di tre secoli posteriori appaion
ritratte su per le stampe ingiallite o sulle tele.
Il vago e signoril Poggioreale, veramente regal poggio e giar
dino era sempre nel cinquecento, e lo fu ancora nel decimoset
timo secolo, luogo d'ogni piacere, e cosi aristocratico luogo
come borghese:

A un miglio sol di strada


Fuor de la porta Capuana a pena
Sen va chi vuol far cena
A questa piaggia amena....
scrive il del Tufo nel suo zibaldone poetico, destinato a indi
care alle signore forestiere capitate a Napoli quanto di più
esquisito e singolare la città possedesse (24). Chi legge quella
caterva spropositata ed enfatica di versi quando non cerchi
senso letterario e forma corretta ne apprenderà notizie parec
chio interessanti pel costume del tempo e gli usi signorili e
popolani. Cominciava il lusso, sull'esempio di Roma e di Vene
zia, a diventar quasi una preoccupazione delle più alte nella
vita muliebre: le signore s'imbellettavano e si conciavano, ri
correndo a que' Frati Pensanli di Milano i quali distillavano ad
esse acque miracolose per ringiovanire e serbar fresca la pelle
e componevano belletti sopra ricette antiche, gelosamente cu
stodite. Le cortigiane di Venezia avevano generalizzato in quasi
tutta Italia l'uso del farsi biondi i capelli: le napoletane non
furono l'ultime a profittar della lezione:

A far biondi i capelli


lacci d'amor così leggiadri e belli
ai raggi di quel sole
se ciascuna di voi biondir li vuole
(24} Il manoscritto di Giambattista del Tufo appartenne a Fabio Albertini, Principe di
Cimitile, che s'era composta una scelta biblioteca la quale fu venduta alla morte di lui.
La Nazionale di Napoli comprò il ms. in parola e Scipione Volpicelli lo illustrò in una
Memoria letta alla R. Accademia di Archeologia Lettere e Belle Arti nella tornata del
7 gennaio lfc8o e nelle seguenti. Il del Tufo visse nella seconda metà del decimoseslo
secolo: nel 1571 « con una compagnia di Fanteria Italiana servi Sua MaestàCattolica, sotto
il generalato di don Giovanni d'Austria con molto valore» scrive il Dottor Giovanni
Battista Testa del Tufo nella sua Cronologla deila Illusirissima famiglia del Tufo stampata
a Napoli nel 1627. Nel 1588 il del Tufo era a Milano , ove scrisse i sette Ragionamenti
per i sette giorni della settimana, ragionando con le Gentildonne Milanesi... dove gli descrive
ogni picciolissimo particolare della città (di Napoli) con quanto di buono e bello si vede e
gode in così felicissima patria ete. etc.

/""-
- 84 -
come portar li suole
del cui color ciascun ne sta amirato
che illustra il volto e il capei fa indorato.

Cosi al solito sproposita, sull'argomento, il del Tufo. Il Ve-


cellio (25) ove s'intrattiene della cortigiana di Venezia e del
suo costume d'abbiondirsi scrive un poco più cristianamente:
« Usano in Venetia sopra i tetti delle case alcuni edificii di
legno quadri in forma di logge scoperte i quali edificii in terra
ferma sono in uso di muro et coperti come si vede in Fiorenza,
dove sono chiamati terrazzi. Et nella città di Napoli anchora
usano sopra le case alcuni luoghi scoperti che ivi si chiamano
battuti et sono composti di sabbia grossa et di calcina tanto
ben battuta che regge ad ogni grossa pioggia. Hora per tornare
al proposito nostro conciosia che tutte le donne si mostrino
desiderose d'accrescer la bellezza naturale con l'arte ; deside
rosissime fra l'altre se ne mostrano le Venetiane. Nel che fanno
elle non poco torto a se stesse, si perchè forse manco dell'altre
hanno bisogno dell' arte ; si anche perchè risapendosi questa
loro diligenza fanno che anche la bellezza naturale perde nelle
menti altrui gran parte della sua fede et è giudicata artificiale.
Con questo pensiero adunque hanno fra l'altre cose l'artificio
che noi dicemmo di farsi bionde il quale è cagione ch'elle
frequentino l'altana (che cosi chiamano l'edificio di legno già
detto) al par della camera, o più, tenendo la testa esposta le
giornate intere al sole per questo effetto. A questo ministerio,
nel quale bisogna ch'elle stesse sieno le servite et le serventi,
se ne stanno ordinariamente su queste altane, quando il sole
è più cocente, et quivi sedendo si bagnano con una picciola
spogna legata in cima d'un fuso et intinta in un'acqua ch'elle
ò comprano ò fanno elle medesime in casa; tutti i capelli più,
et più volte lasciando che 'l sole asciughi quanto elle bagnano
et cosi riducendo i capelli biondi quanto si veggono avergli
tuttavia. In quest'atto usano sopra la vesta un rocchetto bian
chissimo di seta o di sottilissima lensa che chiamano Schiavo-
netto, et in capo tengono un cappello di paglia senza fondo,
il quale chiamano Solana et questo con l' ampiezza della sua
(25) Sebastiano Vhcellio : Costumi antichi e moderni . pag. 145. Vedi illustrazione a
pagina 54 di questo libro.
- 85 -
ala ò piega sostenta i capelli distesi et difende il volto dal sole
mentre che elle attendono a biondeggiarsi ».

Bbbardina Pisa, moglie di Masaniello


(Dal ms. di Sebastiano Molino cit.)

La tintura pei capelli, i buoni guanti, gli specchi puliti non


mancavano in Napoli. In Napoli — continua il del Tufo — si trova
tutto: il Padre Eterno ha voluto fare di questa città un vero
emporio per tutti i gusti e per tutti i bisogni. Mettetevi a cam
minar per la Fedelissima e in ogni sua strada, in ogni piazza,
in ogni fondaco , o vico, o strettola vi accorgerete che all'occasione
potrete fornirvi di tutto quanto v'abbisogni. I cavalieri « hanno
ciò che lor bramano agli Armieri»:

telette d'oro fin, tele d'argento


velluti d'ogni fogia et armesini,
damaschi, rasi e taffetà divini
con ogni altro contento ,
e le telette ancor ben lavorate
in mille guise in mille sorti e modi
che gl'inventor ne portan mille lodi !
— 86 —
Cosi a San Pietro Martire ad ogni ora
nerbate dentro o fuora anco spiegate
a vista di ehi ha voglia di comprare
di bei color di seta variati,
e mille para di calzette ancora

Gli orefici , detti argentieri , hanno pur essi la loro strada


famosa e ricca. (26) E più d'uno

... vi tien tesoro


di Gemme pretiose e di fin oro,
in cui vedrian le mie madonne altiere
di perle e di rubin cent'Indie intiere.

Pe' letterati e studiosi indicatissime le vie di 5". Lorenzo e


di Nido , che poi fu detta di .S. Biagio alli librari. E ll , e
anche

più abbasso,
se andrete a vostro spasso
ritrovarete cento librarie.

In vie vicine pettini e specchi, e in quella detta de' Ferri


vecchi sproni, briglie e ogni altro finimento equino. E giù giù

trovarete i Gipponari,
e dietro lor i buon Matarazzari,
et un vichetto pien di Cortetìari.
E propriamente que' che fan bottoni
(oltre in cento cantoni)
al Pennino il botton mai n'è mancato
cosi di Santa Barbara chiamato :
dove vedrete quelle
maestre di botton legiadre e belle.

Alla Loggia di Genova zuccaro, cannella, cera, spezie d' ogni


sorta più che non vi dà fior la primavera ;

et alla Settaria, mie care amiche,


le selle e le lettiche ;
e scarpe grosse a la Zabattaria
gionto a la strada de la Conciaria :
però, per trovar meglio Cordavana
chi la vuol vada a la Rua Catalana.

(26) La via e la strettola degli Orefici sono state abbattute dal Risanamento.
- 87

.IN el cinquecento Rua Catalana, che ha già tanta fama d'atti


vità e di commercio, è diventata addirittura uno dei quartieri
di Napoli. Ma son finiti i tempi angioini ed aragonesi : ecco
in Napoli il primo vicerè , per Ferdinando il Cattolico , don
Consalvo di Cordova e d'Aghilar, ecco appresso i vicerè per
Carlo V e quelli per Filippo II. Vogliamo dire ecco il principio
d'una novella schiavitù e balzelli e vessazioni e soprusi. Balzelli,
sopra tutto: il popolo, meravigliato, si chiedeva se proprio lo
volessero, a mano a mano, spogliare fin de' panni che vestiva,
ma era allo stesso tempo cosi amabile e ingannevole il modo
della continua privazione che nessuno se ne inveleniva : da una
parte, è vero, Wjus prohibendi di questo o quello, ma dall'altra
giuochi in piazza, cuccagne, il maio a Porto, comici, come li
chiama il Bartoli, castelleggianti e taverne a ogni cantonata. Il
quartiere di Rua Catalana ne aveva nove, ch'eran quelle del
Pontone di Rua Catalana con cocina, del Fondaco del Cetrangolo,
del Fondaco Lungo, del Magazzino dì Zeza a S. Jacovo, di Santa
Margaritella, del Cerriglio piccolo , del Cerriglio grande , del
Magazzino di S. Felice e del Pisciaturo.
Dunque, spassi, teatri e taverne. Quella del Cerriglio era fa
mosa per la sua cucina e per un suo conosciuto avventore che
abitava poco discosto e a casa e alla taverna, per poche grana,
offriva il suo consiglio. Si chiamava il dottor Chiaiese (27) e fu
a' suoi tempi quel ch'era a' suoi don Michele Viscusi, lepido,
volgare e volgarizzatore : a Napoli non ha mai fatto difetto
un qualche buffone. Appartenne il Cerriglio, fino a' primi anni
del secolo decimottavo, al monastero di S. Chiara: nel 1740 —
caviamo questa notizia da uno scritto di quel povero buon
Vincenzo d'Auria che si piaceva tanto di vecchie cose patrie —
era conduttore della taverna tal Bartolomeo Pompilio, il quale

(27) « Il Dottor Chiaiese era una celebrità de' suoi tempi (XVI-XVII Sec.) Per pochi
soldi dava il suo bizzarro parere sulle questioni che gli si sottoponevano. » (Croce in
Basile cxii). Vedi Cortese: « Conziglio dato da lo Chiajesc ad una persona che l'addi-
mannaie qual fosse meglio nzorarese o stare senza mogliere. » (Questo compon. si trova
in qualche esemplare del L'unto 50 volumetto, stampato il 1036, dopo la dedicai.
- 88 —

fa i/uxdZjyu* ,~&&
- 89 -
pagava 180 ducati annui di fitto (28). Il del Tufo consacra ad
essa un'infilzata di versi laudativi :

....Potreste andar da quel de lo Cerriglio


Dove politamente in un balcone
Vi vien portato ogni gentil boccone
E quivi ancor, per l'onorata gente,
V'è l'uscio per entrar secretamente

Le quali ultime parole vi possono far credere che al Cerriglio


bazzicasse gente non del tutto morigerata e che il padrone della
taverna chiudesse un occhio volentieri o magari tutti e due.
Cosi proprio ; il Basile, che pure scrive di quel luogo , dove
trionfa Bacco , dove se scarfa Venere , (29) lo addita con più
sincere parole a' contemporanei :

Lloco le Corlesciane
Fanno lo sguazzatono :
E all' nocchie de corrive,
A spesa de perdente
Ne spo?pano tanl'ossa...

La strada del Cerriglio prese nome, secondo il Celano, da una


famosa osteria posta in piedi da un tale per soprannome detto
Cerriglio — oppure perchè colui che le dette quel nome potette
ben essere quaccuno de la Cerra (30), suppone il Basile. Comun
que, non vi fu cittadino partenopeo che non conoscesse la van
tata osteria, la quale penetrò la letteratura vernacola perfino
ed incitò metri poetici d'ogni sorta. Chi volesse ritrovar quel
posto ora non potrebbe più : la via larga e nuova del Rettifilo
ha ingoiato il Cerriglio grande ov'ella principia, a manca, da
S. Giuseppe. Il piccolo Cerriglio è murato, e i tempi nuovi e
il novello commercio milanese in Napoli gli han piantato da
vanti il negozio del signor Carsana.

(28) V. d'Auria — In Napoli nobilissima — A. II, n. il.


(19) Basile. — Op. cil,
(30) Idem — Ibidem.
- go —

Presso Rua Catalana — continua il del Tufo — è la via del


l'Incoronata (il poeta scrive Incornata ! L'abbreviazione gli serve
pel verso : e uscendo all' Incornata...') ove
avrete volentieri
balice, balicion, casse e forzieri
e per i cavalieri
che cavalcar vorran fino a Milano
tutti più che perfetti
di velluti o di pelli i coscinetti.
E pur
di mano in mano
e in più d'una bottega
i panni usati havrete a la Giudega
per vestire ad un punto
quel forastier che a la mia patria è giunto.
E conclude :
Ma se tu cerchi o brami,
Donna gentil, i mastri de legnami
detti da noi Mandesi
a la sua propria via ti son palesi,
dentro o fuor le botteghe
che fan seggie a Milan dette cadreghe.
Ma con più facil prova
quelle di coiro avrete a Portauova
e l'opre di bambacia e lana fina
più immiti havrete a Santa Caterina,
come anche le trenette e passamano
con le camice havrete a mano a mano.

Intanto agli alfonsini, a' ferrantini, a' coronati , monete del


tempo aragonese, succedevano a mano a mano quelle della
nuova dominazione; le patacche o cianfroni , da cinque car
lini l'una, faceva coniare don Pietro di Toledo, nel 1552 ; il
duca d'Alba, più tardi, metteva in uso le zannette, da mezzo
carlino l'una, nel 1567. Alla bassa prostituzione era serbata la
moneta della soldatesca che andava a finir sempre nelle mani
di quelle donne, il cui numero cresceva, specie in que' rioni
della città dov'erano caserme esotiche. A Venezia — scriveva
Vecellio — le « publiche meretrici che stanno nei luoghi infami
— gì —
non sono negli habiti loro uniformi perchè se bene tutte sono
d'un esercitio medesimo nondimeno l'inequabilità della fortuna
fa che non tutte vanno pompose ad un modo: Ma non si può
già facilmente descrivere come che s'acconcino la testa, nè si
veggono alle finestre frequentando elle piuttosto la porta et la
strada per tirar nella ragna gli uccellacci che passano. Quivi
si trattengono cantando canzonette amorose ma con poca gratia
et conforme alla lor vile conditione facendosi di più quasi tutte
sentir con la voce roca. » A Napoli, nella maniera di vestire,
costoro spagnoleggiavano : un certo verdugato che gli spa-
gnuoli avevano introdotto e ch'era una gonna « cosi aggiustata
e sostenuta da più cerchi sodi cuciti in essa, che la vita della
donna pareva sottile » prima usata dalle libere donne sali
appresso in onore e dette origine, parecchio tempo dopo , al
guardinfante signorile. Il crespo sulle spalle — uno scialle di
seta giallina o bianca, a frangia — le rosette agli orecchi, gli
zoccoletti, un mazzetto di ruta ne' capelli (31), una villanella
sulle labbra e le mani in cintola : ecco, sull'angolo d'una stra-
dicciuola , o allo sbocco d' un vico , la meretrice partenopea
del cinquecento.
*

La villanella o villotta era sempre una canzone popolare,


spesso accompagnata dal ballo. Musicalmente era una compo
sizione polifonica, ma questo non impediva alle cantatrici di
renderla monodica. Ella andava, come tutta la musica profana,
sotto il nome di madrigale : ma il madrigale è uno stile che
s'adatta a diversi argomenti. Quanto alla musica del cinque
cento è da notare che in quel secolo Napoli non fu seconda
ad alcuna regione d'Italia : il d' Arienzo, che ha compiuto im
portanti ricerche su quella musica, se pochi lavori di quelli
antichi compositori ha potuto rinvenire ci assicura tuttavia
ch' essi « sono bastevoli a mostrare come l'arte musicale del
(31) Nobilis est ruta, quia lumina reddit acuta.
Auxilio rutae vir lippe videbis acute.
Cruda contesta recens oculos caligine purgat.
Ruta facit castum, dat lumen, et iugerit astimi;
Ruta viris minuil venerem, mulieribus addit
Cocta et ruta facit de pulicibus loca tuta.
(La Scuola di Salhhnoi.
— 92 -

secolo XVI, pur secondando il gusto allora dominante , era


sempre informata alla facile e larga cantilena con un colore
di serenata, ed era molto patetica » (32). E già si rendevano
popolarissime le villanelle di Giovanni Leonardo Primavera,
che era di quella camerata di musicisti i quali riuniva nel suo
palazzo don Carlo Gesualdo , principe di Venosa , musicista
famoso egli stesso e amico del Tasso.
Del Primavera, compositore cosi popolare che fu detto Gian
l^eonardo dell' Arpa , parlano Luigi Dentice nel suo Secondo
Diario della Musica (33) e, naturalmente, anche il del Tufo,
che non se lo fa scappare. Ma udite in che modo:

Or chi potria già mai scioglier la scarpa


a quel granduom Gianlonardo dell'Arpa ?
Che lui quasi in effetto
Col ingegno, valor, arte e giuditio
Cosi bello esercitio
Ha dimostrato fuore
Le grandezze del caro
Suo celeste divin stromento raro !
La donna che l'ascolta
Dal corpo si vedrà l'anima tolta.

Suonava talvolta in concerto col Primavera tal Compare


/unno (34) il quale più spesso avea l'abito di suonar da solo
in Piazza del Castello (35) : un altro suonatore ambulante ,
adorato dalle donne da partito , si chiamava Pezillo (36). Lo
Sgruttendio lo dice musechiero de sfuorgio: costui si conten
tava di raccattar tutto quel che avanzasse da tavole bandite
e cantava mirabilmente , emulo di quel Fortunato (37) cante
rino romano suo contemporaneo e di quel veneziano Gobbo di
Rialto (38) che mandava in solluchero le cortigiane di Venezia.
Una serie di villanelle abbiamo trovato alla Nazionale di Napoli,
tra parecchi libri di musica ch'erano, prima della soppressione

I32) N. d'Arienzo — Un predecessore di Scarlatti e lo stile madrigalesco — Ricordi,


Milano 1891.
l33)/« Napoli, per Matteo Canger, 1552.
(34) Cortese — Viaggio di Parnaso, I. p. 42.
(35) Id. Ibid. X. p. 31.
(36) Sgruttendio — Sonetti. C. VII p. r<fi.
(37) Trc canzoni di Fortunato — In Menohini : Canzoni antiche del popolo italiano.
138) Nel libro dello stesso Menchini.
— 93

Le « VILLANELLE ».

Ófeffg'IfSMtfìi Riccioli na O Signorina 0 Patroncina

plOiiiiilIIIIigl
fa li ti u Ecco t'it core Che per te mo re

liìUlMiliiillI
Se non foccor te la tua bel t» fa li h U la

mmm—
fc U la l' 1> fa .1 13 li la fa li la U.
O Ricctntma t O Signorina ! O Patrone ina !
I.AMRARDI — Op. t'it.

16 ALTO

IlillllSIlill Or» pof i'hjuer più vi ta Se morte non mai ta

ÉìIIììéIIIIeSìI
Ho. mi ra te che forre Per ha uer vi ta de fi ir la

Hglfilil^IiilIII
CO"i ce.'

Non posso havtr più vita...


Trabaci — Op. cit.
— 94 —
de' monasteri, nella biblioteca di quello della Concezione. Ve
ne sono del Lambardi (39) dello Spano (40), del napoletano Gio-
van Domenico Montella, morto nel 1604 (41), del Trabaci (42)
e d' altri ancora.
Del Trabaci era, tra le molte, questa :

Dimmi, ò donna crudele,


se tu sei bella come sei fedele,
perchè si bella sei
fedele a chi t'adora esser pur dèi !
Mi promettesti aita
arciò godessi una perpetua vita,
et hor tu mi dai in sorte
una perpetua e così cruda morte!
Che giova la beltade ?
se seco unita sta
l'infedeltade ?..

Dello stesso Trabaci era pur nota quest'altra :

Hoi me ! Non so che far ! Questa crudele


mi guarda un poco e poi mi burla e ride.
Cosi... così m'uccide !
E conoscendo che mi dà martello
s'affaccia un poco e poi subito fugge...
Così... così mi strugge!
E mostra far con più anco all'amore,
e non sta salda alle promesse un'hora...
Così... così m'accora !
Et io perchè di lei son fatto schiavo
con riverenza la miro et honoro...
Cosi... così mi moro !...

(39) Villanelle a tre et a quattro voci et arie di Francesco Lambardi , musico della
Regia Cappella di Palazzo in Napoli — Napoli, stamperia di Gio. Battista Sottile, 1607.
(Biblioteca Nazionale di Napoli, 186. E. 2.)
Uo> Il primo libro de Madrigalelti et Villanelle a quattro voci di D onato Antonio Spano
discepolo del signor Giovanni dh Macqub maestro della Regia Cappella di .Xapoli— In
Napoli, per Scipione Bonino 1607. (Biblioteca Nazionale di Napoli, 186. E. 21.
(41) Settimo libro dei madrigali a cinque vuci — Nella prefazione è detto: « L'autore
spinto dalla vivacità del suo ingegno jn questo 2° libro ha per maggior commodità di chi
canta latta questa nova (atiga che ogni principio di verso comincia sempre in battute pari ».
(42) Villanelle et arie alla napolitana, a tre et a quattro voci, con un dialogo nel fine,
di Gio. Maria Trabaci, nanamente da lui composte et date in luce — In Napoli, appresso
Gio. Jacomo Carlino, 1606. (Biblioteca Nazionale di Napoli, 186. E. 2).
— 95 —
Dello Spano questa:
Non posso aver più vita
se morte non m'aita :
or mirate che sorte,
per haver vita desiar la morte !
Non posso più gioire
se non provo martire :
mirate il stato mio,
per haver gioia sospirar degg'io !...

E Pezillo cantava nel Vico Travaccari:


O Ricciolina !
O Signorina !
O Patroncina !
Fa li la la !
Eccoti il core
che per te more,
se non soccorre
la tua beltà !
Fa li la li la fa li la li !
La fa li la là !
La fa li la là !
Tu mi vuoi morto,
(che me n'ho accorto)
Et hai gran torto
Fa li la là !
Per te finita
sarà mia vita
se non l'aita
La tua bontà !
Fa li la lì
La fa li la là !...

*
1 orniamo al nostro principale argomento. Abbiamo visto
dalle constitu/.ioni del tempo svevo , dagli editti aragonesi ,
dall' instituzione medesima della Gabella, la quale se tornava
a total beneficio dello Stato aiutava pur co' suoi registri in
famanti le ricerche della Polizia e la sentenza del magistrato,
come fin da tempi antichi abbastanza sia stata in Napoli re
golata da vere leggi la prostituzione e sorvegliata da quel
tribunale che gli scrittori patrii ci dicono appositamente creato
- 96-
per essa. Tribunal gabellai: meretricum huius civitatis Neap. quod
cognoscebat si meretrix describi deberet in gabellae libro, et sol
vere , ac etiam contro, lenones, suum habebat judicem ; et a de-
cretis ipsius Tribunalis appellabatur ad S. C. (Sacrimi Consì-
liumj et ejus superintendens esse solebat Preses ipsius S. C.
Hodie vero Tribunal hoc , et gabella abrogata atque extincta
sunt (43). Come la stampa dell' opera in cui troviamo le pa
role sopra riferite seguiva nella prima metà del seicento è da
ritenere che la gabella sia stata soltanto in quelli anni sop
pressa. Vedremo, più in là, in quali precisamente e per che
modo. Essa, intanto, aveva accresciuto di un'altra denomina
zione la spregevole serie di quelle onde il popolino usava di
designar le sciagurate contribuenti : giusto le si chiamava
ngabbellate e la voce si trova nel Basile (44) e negli scritti
de' suoi predecessori e contemporanei. Il Basile le definisce
pur co' nomi di Prubbeca (45) , Spitalera (46) e Sbriffia , il
qnale ultimo indicativo dialettale vuol dire civetta. Nelle Muse
Napolitani, egroche de Giannalesio Abbattutis (pseudonimo del
Basile medesimo) si trova un' aggettivazione anche più varia
e copiosa. La donna publica v'è chiamata Scalorcia, Caiorda,
Perchia, Ceuza e Scrofa. E nel vocabolario del d'Ambra leggia
mo a proposito « Scalorcia: Cavalla faticata e stecchita. Donna
alta, magra e strapazzata ; Caiorda: s. f. Zool. mustela putorius,
Puzzola. Donna vile ed abbietta, donnaccia, feminaccia ». La
voce Perchia risponde a quella con cui ancora è nominato
in Napoli un pesce assai comune , di molta mediocrità e di
pochissimo valore. E il Serranus hepatus, dalla bocca larga e
dal ventre grosso e floscio (47). Bisogna , se si consideri la
similitudine popolana , convenire davvero che a certe rasso
miglianze i partenopei son portati da una pittoresca e felice
immaginativa! Quanto a Scrofa non è difficile ricorrere al ter
mine di paragone, e, infine, per la voce Ceuza basterà ricor-

(43) Toppi: De origine omnium tribunalium. — T. II. p. 35.— Napoli, 1655, 1659. Vedi
Prammatiche nov. 1589. Til. CLXVII. De meretricibus, 6. Coli. Giustiniani, T. VII.
(44) G. B. Basile. - Lo eunto de li cunte. Ntroduz sione.
.;-) Publica — donna publica. O forse dalla moneta con cui si pagava la meretrice di
bassa sfera. La moneta era detta prubbeca e valeva tre tornesi.
(46) Cioè femmina da spedale. — Jornata I. Tratt. II.
(47) Cario L. Principe Bonaparte : Iconografia delta fauna italiana. Tomo III. p. io.
- 97 -
dare il famoso quartiere pornografico sorto , come abbiamo
detto avanti, sul « pendio » de' monaci di S. Martino.
Tornando alla Gabella è da notare che già dalla prima metà
del cinquecento essa aveva obbedito a qualche riforma pecu
liare non lieve per le saccocce delle ngabellate. Prima, ricorde
rete, esse pagavano due carlini al mese: ora sono — e si vedrà
da qualcuno de' documenti dell'Archivio Municipale che publi-
chiamo appresso — costrette a recarsi a soddisfare al loro tri
buto una volta per settimana. Continuando gli arrendamenti la
licitazione si faceva a lume di candela. « Se allume la candela
all' arrendamento — dice una carta della fine del decimosesto
secolo — sopra l'offerta di Paolo Capoccia il quale offere du
cati io lo mese per anni tre con pagare lo salario del giodice
et del Algozino. » Su relazione dell' incantatore Tummeriello
quella candela si estinse per ducati 12 e l'arrendamento fu ag
giudicato a tal Giovan Battista d' Andriotta. Chi otteneva la
Gabella pagava, di solito, quattro scudi al mese a un giudice,
salariava un coadiutore d'esso, compensava con 20 carlini al
mese per ciascuno, due agozzini : (48) dava, poi, un tanto per
le spese della possessione e ungeva, di volta in volta, i mastro-
datti e gli scrivani (49).
Da parte di costoro era continuo e insopportabile l'abuso
dell'autorità. Con l' avvento della dominazione spagnuola già
dal primo quarto del secolo decimosesto era cominciata come
una reazione alla libertà del costume : appresso, trovando nel
popolo medesimo il desiderio d'una repressione severa, le leggi
divennero draconiane, la delazione divenne un abito di vendetta,
la corruzione degli officiali adoperati alla sorveglianza andò di
pari passo con l' uso smodato e arbitrario del poter loro. I
documenti che appresso publichiamo, a illustrazione non pure
della topografia dell' amor libero nel cinquecento ma di quel
soffio di puritanismo iberico il quale scese dalla Reggia alla
piazza e scompigliò per buon tratto e quasi rese convulsivo

(48) Algozino, corruzione di alguazil voce spagnnola che vuol dire birro. È voce antica.
In una domanda che ianno a Ferdinando d'Aragona quelli Aldemorisco arrendatori della
Gabella leggiamo : « ac Joannem Marezilla Regentem sive ludicem Curiae Regionan Al~
guaziriorum etc. etc. »
(49) Manoscritto citato a pagina 5, »'"/» ". Presso la Società di Stor. Patr. Nap.
7
- 96 -
il traffico di quelle sciagurate, dimostreranno che se in Vene
zia e in Roma il mal costume pareva oramai quasi una ne
cessità sociale (50) in Napoli, nello stesso secolo decimosesto,

Il venerabile Carlo Carafa

non era cosi tollerato e incoraggiato come in quelle altre città.


Ed eccoci a' documenti.

(50) Tra1 manoscritti della Biblioteca Nazionale di Parigi è, in un Codice miscellaneo,


(1051), una Lettera scritta da Incerto al Papa Pio l' « acciocché gli Hebrei et le meretrìci
non si scaccino da Roma ; con le ragioni allegate per il medesimo effetto per li Romani »
Vedi V. Marsand : / manos. ita!, della Regla Bibliot. Parigina, p. 630. Parigi 1838.
- 99 -

ARCHIVIO MUNICIPALE DI NAPOLI

ìsee xa&ez
Tribunale di S. Lorenzo

Voi. I. Atti Civili, (n. 1664)

1566, 19 aprile — Sono sfrattati, a istanza del marchese


Mensorace, parecchi studenti dalle case del marchese medesimo.
Lo studente Antonio Monito, per la sua buona condotta , vi
resta.
1 567 , 24 gennaio — I complatearii della strada de' Pistasi
chiedono e ottengono lo sfratto, da quelle case, di studenti e
meretrici. (Ursillo, consultore) (51).
1567, 30 gennaio — Dalla strada di S. Giorgio Maggiore sono
sfrattati studenti che abitano nelle case de li Gramatici (52).
I567, 30 luglio — Gli Eletti ricevono la supplica seguente:
« Li Governatori e Maestri della Venerabile Ecclesia e Claustro
de le Vergini del Spirito Santo et altri particulari de la strata
che sta drieto la detta Ecclesia supplicano le S. V. Ecc.me che
per ritrovarsi quel luogo convicino habitato da alcuni studenti,
meretrice et donne inhoneste, contro li Capitoli di questa Fede
lissima Città di Napoli et in prejudicio della clausura et honestà'
di detto Sacro Luogo, vogliano le S. V. servirsi che debiano
subito sfrattare. » E difatti furono scacciati. Giulio Abate, por-

(51) Nel quartiere ed ottina della Vicaria Vecchia. Il vico di Pistaso era cosi chiamato,
secondo il Tutini, da' pistores, o molinari, che vi abitavano. Si ha memoria di esso fin
da' tempi ducali. In un documento del 1118 si ricorda la platea publica per quam decumt
eloaca maxima que venti de Pystasia regione Furcillense. (Regest. Neap. u. 6iy). Era ag
gregato al sedile di Forcella o Montagna. Vedi : Capasso: La Vicaria Vecchia p. 98.
Nella Platea delle acque (1498-1626) in Archivio Municipale troviamo che sulla fine del
quattrocento lo molino de Pistase ei de la signora Lucrelia Arcamone. A' principii del
secolo XVI faceva di macina al giorno sacchi tre, tomola quindeci, con 40 onze di utile.
Era a' ristasi, dal quattrocento, uno. fontana Reale abbeveratora alla quale andava l'acqua
d el formale Reale, che alimentava pur una. fontana a cavalletto alla casa de Luyse de
Raimo à Pestase. (Archivio Municipale. Platea delle acque) Nel 1498 la città di Napoli
.aveva 23 molini. (Ibid.).
(52) Le case de' Grammatici erano nel vico detto oggi ancora delle Paparelle, dal nome,
diminutivo o vezzeggiativo che ha, delle sorelle Paparo che ivi fondarono un Conservatorio.
Nel secolo XVI il vico si disse pur de' Ciceri o dei per le case, ivi poste, della famiglia
de' Cicini. I Grammatici vendettero le loro case ai PP. di San Severo i quali cosi am
pliarono il loro convento. V. Capasso: Vic. Vecchia, p. 108.
— too —
tiero degli Eccellentissimi Eletti , acclude al processo l' atto
intimato e vi fa pur i nomi degli studenti e delle meretrici
ch'eran con loro.
1567, 17 giugno — Un'altra supplica agli Eletti. Gli habitanti
della strada de S. Maria Donna Regina in le pertinentie de Ca
puana si lagnano di studenti calavrisi et pottane innamicate et
altre vecchie quali fanno offigio de rojffiane et conduceno de mezo
giorno altre puctane con le seggie in detta strata ad detti studenti,
non senza scandalo e vergogna di tutti i cavalieri capoani. Gli
studenti abitavano nella casa seu funnico che se dice de Mosto
Aurelio de Curte. Erano le donne : Rosa, Jacova et Violante,
Luisa e Locretia. Lo sfratto segui due o tre giorni dopo la
supplica.
1567, 4 agosto — Il capitano di strada (53) e i complatearii
della Piacza de Forcella si lagnano, in una supplica agli Eletti,
del permesso concesso a tal Vicenzo Barbato, quale al presente
tene in sua casa schola de scholari, tanto in lo membro de bascio
como in lo membro superiore. Ed è sfrattato anche il Barbato.
1567, 18 agosto — In piazza della Carità, verso S. Martino,
abita una Agnola Acanfora, donna sospetta a' vicini. Costoro
tentano di liberarsene ma l'Agnola protesta e rimane in quel
posto.
1567, 19 agosto— Due forastieri soldieri, (cioè senza moglie)
vanno ad abitare nella strada delli paladini dereto li miroballi.
I complatearii invocano laforma del Capitolo, ossia la Pram
matica (54) con cui non deve essere lecito a' soldieri forastieri di
abitare in certi luoghi della città. E que' poveretti sono subito
sfrattati.

(53) I popolani avevano avuto il loro Seggio, o sedile, alla Selleria. Nel -1456. quando
essi tumultuarono, Alfonso d'Aragona fece abbattere il Seggio. Carlo Vlii lo restituì al
popolo e volle che si riunissero i popolani in S. Agostino. Appresso il luogo di riunione
delli Eletti fu il monastero di S. Lorenzo e qui essi composero pur un Tribunale che ,
giusto, fu detto di S. Lorenzo, Era presieduto da un grassieto, ministro del re e prefetto
dell'annona. I consultori erano dieci: i capitani di strada ventinove, uno per ogni rione
o ottina della città.
(54) Soldiero da soldero , spagnuolo. A Napoli si dice oggi , e da un pezzo, scuitato
per dire scapolo. I Miroballi avevano case alla Selleria, a Portauova e a Rua Catalana,
con fontane parecchie. A Rua Catalana era il fondaco delli Miroballi e nel fondaco
una fontana publica con un cavallo d'acqua. (Platea delle acque ("1498-1626.) nell'Archivio
Municipale di Napoli). A' CalderariaX Pendino avevano botteghe provviste tutte di on-
tanelle.
1567' zo settembre — Dalla piazza dell' Olmo, di Forcella,
è spedita agli Eletti la supplica seguente : « Illustrissimi et
Ecc.mi Signori : Li subscripti cap.° et nomini dela piaza del
lulmo fanno Intender a V. E. como in deta piaza per una
donna nomine Laura Vineciana se tene casa de alloggiamento
donde albergano pottane , marioli et altri homini di malissi-
ma condicione che non ostante le baie et le forfantarie ch' in
quella fanno de matina et sera cum Reverentia si sbracano
nelle fenestre de dicto alloggiamento in frontespicio delle per
sone honorate et dabene, fandono poco caso dellor vergogna,
et ultra di questo standono li citadini artesciani honorati et
dabene al fresco la sera com' è Uor solito sotto di dette case
avante de lor poteche , da le feneste de detto alloggiamento
se li menano brutticie come pisciazza, broda et acqua fetente.
Et l' altra sera per volersi advalere uno de detti artisciani per
esserli stata buttata certa pisciazza da detto Alloggiamento et
solo havendo detto : che creanza è questa ? uno ch' alloggiava
in detta casa scese in detta strata et li donò un cortellata con
struppio d' un braccio, sin coni' appare per l'Informatione pi
gliata per la Gran Corte della Vicaria. Per tanto ricorrendo
a V. E. conio a fonte de Justicia questa supplicano che resti
servita, per evitar alcuni scandoli che di continuo possono soc-
cedere, ordinare che da detta piazza se levi dicto Alloggiamento,
per essere strata come V. E. sa pulita et honorata, et ultra
sia giusto se reputera a gratia singularissima de V. E. Ut
Deus. » La supplica è firmata dal capitano della Piazza del
l'1 Olmo (55) Afineco Spasiano e da parecchi cittadini che ll
abitavano , tra' quali : Francesco Naclerio , Damiano Franco ,
Vincenzo di Gennaro, Giansimone de Tommaso, Pietro Jacobo
Rocho , Jacobo Monteforte. Il capodiece della strada è Vicienzo
Afarro. Il 22 settembre fu fatto decreto di sfratto dal consul
tore della Fedelissima Jacobo Loterio e il mandato fu eseguito
un giorno dopo. Assieme alla Laura erano Lisa Marocta, che
pure fu sfrattata, e parecchie altre donnacce.
1567, 8 ottobre — Torna, dopo qualche anno che se n' è
allontanata , una meretrice, Speranza Pappalardo, nella ottina
155) Nella Piazza dell' Olmo troviamo il Fondaco di Giovan Battista dello Docc, su' priu-
cipii del 1500. La costui casa e il fondaco avevano due fontane. {Platea delle acque cit.).
— 102 —

di Santa Caterina di Portanova. Grandi proteste del vicinato.


Le si fa il processo. Il segìaro Filippo Gargiulo, teste, dichia
ra : « Ho visto continuamente molti homini basare detta Spe
ranza et fanno altri acti insieme dishonesti, talchè esso teste
ad fine che le donne sue no avessero visto questa dishonestà
se redutto ad tenere le fenestre chiuse. » Un altro testimone,
tal Giovanni Cimino , dichiara : « Have visto saglire multe
persone in casa de la dicta Speranza et serrare poi le sue fi
nestre et doppo s' è visti li suoi innam morati sudati et Spe
ranza scapillata... » Si ottiene lo sfratto.
1567, 12 ottobre — Nelle case dei Mocci , eredi di Jacobo
Mocci (56) , viene ad abitare una Siciliana Margarita, alias gam-
barotta, femina impudica et dishonestà, quale sta inomicata con
uno Scrivano de la Vicaria... E sfrattata.
1567, ij ottobre — Sono sfrattati studenti dai fondaco delle
Colonne (ottina di Forcella) e dalla Strada de' Piscicelli.
1568, 14 gennaio — «Gì' infrascripti padroni di case et habi-
tanti nel Vico Zuroli alias de Boccapianoli (57) nelle pertinen-
tie de Capuana fanno intendere alle S. V. Ecc.nle qualmente
in una casa del magnifico Francesco Maturantio habitano due
femine , una nominata Lucretia fiorentina et l' altra Aurelia
sua figliuola le quali vivono dishonestamente ». Si comincia
a pigliar gl' informi dagli scrivani e si appura che il Maturan
tio desiderava di fittare ad altri la sua casa. Non sapendo in
che maniera disfarsi di quelle donne le aveva accusate. La Lu
crezia aveva 65 anni ! Non si procede a sfratto.
1568, 15 gennaio — Il capitano delle guardie e i completa-
rii de la strada de Capuana de la piacza de don Pietro deside
rano che sia sfrattata tale Caredonia ( Caradonna ) publica

(56) Presso la così detta Speziena Vecchia. Ne' primi anni del cinquecento uno spetiale
alia piacza de Sancta Caterina della Corona , o di Portauova , era Santillo Vitaglìano.
Aveva nella sua bottega una fontana con un cavallo d' acqua imbronzato. (Platea delle
acque cu.).
(57) I Boccapianola erano signori nobili del sedile di Capuana. Sì chiamava de* Boccapia-
noli, prima del cinquecento, il vico che poi fu detto de' Zurli. Era in questo vicolo la casa
del famoso medico e chirurgo napoletano Colanello Pacca , figlio del sarto Bartolomeo
che aveva bottega alla Sellaria. Il Capasso, nel suo libro sulla Vicaria Vecchia, ricorda
le case esistenti, in questo vicolo, di Giuliano e Francesco Boccapianola. (poi del vescovo
Galeota, infine di Zenobia Caracciolo vedova di Giovanni Zurlo) di Sigismondo Carduino
e delli eredi Seripaudo.
— 103 —

meretrice , la quale è ll venuta nuovamente ad abitare. Ed


ella è sfrattata.
1568, 16 gennaio — Vanno ad abitare in Piacza Santo Mar
tino de Capuana, vicino alle case del signor Hettorre Pellegrino
tre meretrici : Laudomia, calabrese, Giulia e Prudenzia. Subito
alcuni studenti scelgono casa in quei pressi — e son cacciati
studenti e meretrici dopo quattro giorni.
1568 , 29 maggio — Altri studenti sono cacciati via dalla
Diuhesca.
1568 , 29 maggio — Don Vincenzo de Maxo (?) fitta una
sua casetta nel vicho de panettieri (58) a due uomini, che in
vece mettono in quella casa le prostitute Margarita et Laura
Mallarda. Si ottiene lo sfratto.
1568 , 20 luglio — Il cap. delle guardie e i complatearii
della Strafa di Santa Loya (S. Eligio) per la quale si va alla
Conzieria si lagnano di alcuni studenti calavrisi che, venuti ad
abitare in quella via , si conducono donne in casa , di notte.
Sfratto agli studenti.
1568 , 8 giugno — Sfratto a studenti e donne disoneste che
abitavano assieme nelle case dei magnifici Tullio , Scipione e
Giambattista de Luca , nel fondaco detto l' Isola , a S. Gio
vanni a Carbonara. Il portiere degli Eletti fornisce l' elenco
degli sfrattati : Madonna Lucenta moglie di Fabritio scarpet-
taro , una sua figliuola amicata , Caterina Rossa co due figlie
dì vita disshonesta , Sabella , publica , che è stata all' Hosteria
della Campana , Caterina lavandaia di Sant' Agata , Antonia ,
co un panettero, Abundantia, amicata co un calavrese.
1568, 27 agosto — Il capitano delle guardie Aniello Crispo
e i convicini de la strada apreso a la Ecclesia de Sancta Maria
de la Speranza ('oggi Speranzella) sopra la strada dì Toledo
dove stanno le case de lo doctor Molon riferiscono agli Eletti
come in que' pressi ce allogeno puttane per le quali sono perfin
morti alcuni uomini. Erano quelle donne: Vicentia calabrese,
puttana, (cum Reverentia) , Clara frangesa, Cornelia de Cusenza,
Margarita , Angela Sanchez , Catalina calabrese, Donna Juana
espagnola. Segue lo sfratto.
(58) Cosi denominato dal principio del secolo XVI. Forse per la vicinanza de' molini
della via di fistaso eran qui forni publici e venditori di pane.
— 104 —

1568 , 2j agosto — Alla via Ferri vecchi (59) e proprio ai


Corallari (Selleria) abita una donna contro la quale, accusan
dola di disonestà, protestano i complatearii. Si viene alle ci
tazioni pel processo e si appura che la calunniata è la nobile
Beatrice Scioarra (Scioares) legittima moglie del nobile Josè
di Aloscia, come appare da' capitoli matrimoniali. Gran puti
ferio. Il marito vuol dare querela. Infine la cosa s'accomoda.
1568, 30 agosto — Quella Speranza Pappalardo che fu cac
ciata via da Fortanova e che di là si recò ad abitare in casa
d'una Dianora (Eleonora) la quale teneva donne lascive abbandona
la Dianora per andare ad abitare e commerciare alla Piazza
della Carità. La sua casa è sempre piena di scrivani e lo scan
dalo è enorme. Tutti gli abitanti della piazza protestano ed
ecco Speranza novellamente sfrattata.

Tribun. di S. Lorenzo.

Voi. II. Atti Civili. ( n. 1665 )

1569 , 12 agosto — Gli Eletti ricevono la supplica seguente:


« Noi capitano de la strata de la rua Cathalana facciamo piena
et indubitata fede a chi la presente etc etc como in la piaza
publica detta de la piazzetta et proprio a lo largo ove stanno
il percaccio de Calabria et quello de Apruzzo se nge ritrova
et nce habbita una donna nominata Pascha Venetiana allog-
giatrice et benchè habbia vivito per certo tempo honestamente
tuctavolta , da poco tempo in qua et hogi , persiste et vive
molto inhonesta et da cortcsciana matricolata nel libro de la
gabella». È interrogato, a proposito, Alfonso Cangiano, ma-
strodatti della Gabella, e costui dichiara : « Perqnesita la ma
tricola de detta gabella dove se annotano le predette mere
trice in detta matricola ho trovata matricolata Pascha venetiana
allora habitante alla pedagna di Santo Eramo die 22 juni 1564
et de poi se fe scassare de detta gabella ». Un testimone di
chiara che madamma Pascha da lui conosciuta da 4 anni se
fa montare da chi si trova. Ella aveva finito per metter tenda
(59) In documenti del 1425 e 1538 trovasi nominata la platea Pistasiseu de liferri vecchr
li vico de' Pistasi scendeva fino alla Selleria, includendo quello de1 Ferri vecchi. Capasso
cit. p. 99.
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Don Innico ite Gurvara, conte ni Ognatte.


— io7 —
alla Piazzetta dì Porto, abitata da cittadini honorati — dicono
quei complatearii — come sonno ferrari, spetiali, vetturini, sel
lati et altri !
1569 , 21 ottobre — È spiccato un mandato di sfratto per
Faustina Miniello da Sarno, venuta ad abitare a .S". Giovanni
a Carbonara.
1570 , ir dicembre — Alle Celze continua il viavai delle me
retrici. Gli abitanti onesti accumulano suppliche agli Eletti e
Prospero dell' Indivino capitano delle guardie del rione tem
pesta a ogni momento. A 1 1 dicembre del '70 scrive : « Io
capitanio de Santo Guseppo (S. Giuseppe) fo fede como alla
Regia Sfrata che saglie ad S. Martino ove sono le case del
magnifico duchesino (?) ci habita molte persone da bene et
honor. Ora però esserci venute ad habitarci Prudentia , Isa
bella, Lucretia et Grafia et altre meretricie. Perciò si supplica
V. S. Ecc.mc sieno servite per evitare altri inconvenienti et
per lamore de Dio fare ordine che dette meretricie sfrattino,
oltre ch'essere cosa giusta la ricevaremo a gratia singularis-
sima ». Nello stesso giorno sono sfrattate dalla via di Forcella
Aurelia e Dianora.
157 1 , io ottobre — Mandato di sfratto a certi studenti che
abitano ove se dice lo pertuso (a Montesanto) in le case de ma
stro Pierro Joane de Criscemo et Alfonso de Piriello.
1571 , 7 giugno — Sfratto a istanza dell' ottina della Selice
a Lucretia Gagliardo, Porzia, calabrese, et altre.
1571, 20 agosto— Sfrattate dalla via di. Mezzo cannone : Bea
trice Brancia et altre. Dagli Armieri : una Aurelia della Monica.
1571 , 14 settembre—Il nobile Rinaldo Miroballo fa sfrattare
dal quartiere di S. Giuseppe, e proprio dalle Celze, Lucrezia
Spadafora e Tommasina Falcone. Nel giorno 30 dello stesso
mese è sfrattata dalla via di Toledo Vicenza Gaitana.
1571 , 9 settembre La strada di Toledo e le vicine Celze
sono sossopra a causa di molte meretrici che la mettono a
romore tutto il giorno e la notte. Strepiti, scandali, botte—di
cono i complatearii — un' ira di Dio. Nelle taverne, o alloggia
menti, sono soldati e prostitute tutta la santa giornata: tutte
le taverne hanno letti. E le prostitute più impertinenti sono :
Donna Francesca, spagnnola, Portia, Gaetana, Fabia, ciciliana,
— io8 —
con sua sorda, Camilla, calabrese, Beatrice Portugarrera, Au
relio, tarantina , Franceschella, calabrese , et Aurelia, calabrese.
A tutte costoro si dà sfratto senza pietà.

Tribun. di S. Lorenzo.

Voi. III. Atti Civili. (1666)

1572, 28 febbraio — Sfratto di alcuni studenti abruzzesi da


S. Giovanni a Carbonara.
1572, 22 agosto — Sfratto dal vico di S. Anna a S. Chiara
della meretrice Geronima, pugliese.
1572, 28 agosto — Nella ottina di Fistola e Baiano Ferrante
de Nino e Giulia de Benesseto piantano una locanda di molto
mal odore. Teneno lo rotiello di sopra la porta, per alloggiare
ogni sorta de gente — scrivono i complatearii agli Eletti. Nelle
case dell' Abate Gramatico , nella stessa ottina, sono studenti
e donne da partito , che s' industriano pur con la baractaria
(gioco). E queste donne sono: Gelorma, Laura e Martia. Gli
Eletti provvedono allo sfratto e fanno piazza pulita. Sono pure
sfrattate Prudentia de Casandrino detta faccia tagliata, Andriana
et altre che abitavano le case di Angiola Ferraiola, pur nell'ot-
tina di Fistola e Baiano. Il provvedimento colpisce ancora quat
tro o cinque meretrici venute a stare alla via dei SS. Apostoli.
1572, 19 settembre — I maestri della Chiesa dello Spirito
Santo Ascanio Capece, Giovan Filippo Capocefalo , Giovanni
Antonio Terracina e Giovan Mauro De Baucio, ( del Balzo )
ottengono che siano sfrattate dalle case della moglie del quon
dam Vincenzo Antonio Nastaro due cortigiane, una chiamata
Palma e l'altra Antonia, le cui finestre danno incontro al Con
servatorio della Ecclesia del Spirito Santo. Dalle Celze sono
sfrattate nello stesso giorno Angelella e Antonella.
1573> 9 gennaio — Il capitano e i cittadini di Santo Spirito
denunziano tre meretrizze molto desoneste: Juditta, Belardìna et
Gratla.
Dieci studenti calabresi sono scacciati dalla contrada di Santa
Patrizia.
Da S. Giovanni a Carbonara ha lo sfratto Isabella Armata,
- lo$ —
1573» 9 febbraio — È sfrattata da Santa Sofia la meretrice
Giulia Rossa con la madre e le sorelle.
1573, 14 novembre — I complatearii della Piazza dell' Olmo
tornano alla carica e ricordando agli Eletti lo sfratto di Pa
squa venitiana li pregano di sfrattare adesso una Caterina Sco
lora alias Mantua, detta pur la greca ch' è venuta ad abitare
in una casa sopra lo supportico de lo fundaco de la piazzetta
dove abita uno delli procacci di Calabria.
l573. 2& aprile — Sono sfrattate dall'Ottina di Pozzo bianco
molte donne di mal affare che hanno fatto venire molti micidii.
1574, 14 luglio — Al Borgo dei Vergini dove se dice la Vi
gna di Bartolomeo di Benevento son donne poetane che si affer
rano con le honorale et diceno gran vigliaccarie. Tra queste
donne è una Prudentia, amica del servitore del magnifico Ot
taviano Villano. Segue lo sfratto.
1574, 28 agosto — Studenti e meretrici in gran numero ven
gono ad abitare nell'ottina di Fistola e Baiano. Uno studente
si mette tre di quelle donne in casa et fa il pascià. Le donne
sono Faustina, Portia e Vittoria : lo studente è Vincenzo Cuorvo
da Maddaloni. Sfratto a tutti.
1574, 27 settembre — Lucrezia Schìavone, meretrice, è sfrat
tata dalla piazza del Carmine.
1574, 8 dicembre — Nella Piazza e ottina di Santo Spirito
« dentro una camara delle case di Giovan Domenico Cimmino,
jepponaro, vicino al R. Palazzo nce abita una donna nomine Giu
lia Genovese giontamente co Geronima genoese sua madre la
quale Giulia è publica meretrice posta alla gabella delle meretrici
dove ancora è stata posta la predetta Geronima come ruffiana. »
I complatearii supplicano per lo sfratto. (60)
1574, 2 dicembre — Nei quartieri spagnuoli sopra Toledo è
gran ressa di meretrici. Sono alle C«lze: Angelica e Serafina,
valenziane, Vittoria, Isabella, Dianora de Cordua, le costei so
relle , Clara , candiota, e donn' Anna di Toledo. Interrogati i
complatearii dicono che in tutte le case son puttane et ce stanno
compagnie espagnole et ce sono abitate dache fofacta detta strata

(60) Questa Giulia Genoese, nel marzo del 1580, cioè sei anni dopo, appare, nel ms. citato
a pagina 8 , protetta dall' arrendatore della Gabella Giovan Giacomo Manso. E , forse ,
cambia di madre.
— no —
de le Ceke il che ei notorio et manifesto a tutti. Et hoggì , in
casa del teste Colaniello Cappuccio, ce sta una compagnia espa
gnola per ordine della Regia Corte.
È interrogato il capitano della strada, spagnuolo anche lui,
e risponde che è vero. Oltre alle nominate las mugeres que
hay cortesanos en aquella calle sono, soggiunge: Dona Bea-
trix Sarmiento, Francesca la guiega. su hermana. Haurelia e su
sobrina.

Tribun. di S. Lorenzo.

Voi. V. Atti Civili, (n. 1668)

l575i fo gennaio — Dal capitano e dai complatearii di Santa


Caterina Spina Corona £\j> li Eletti : « Facemo fede nui sub
scritti capitaneo et citadini della strada et optina de Sancta
Catarina Spina Corona del Seggio de Portanova ad chi la
presente serrà presentata qualmente in la strectula de Porta-
nova nce abita Cassandra pugliese persona dishonesta et vive
dishonestamente senza marito et habbita alle case della sig.a
Joannella Mormile ; per questo ce pensano che sia discazzata
dalla detta piazza per esservice persone da bene et essa Cas
sandra vivere dishonestamente et da femina scandalosa. Etc. »
A 16 gennaio l' usciere Stoppa dichiara d' aver presentato
il mandato alla Cassandra : « A dì 16 de gennaro 1 575 in Na-
pole io Alfonso Stoppa portero delli Ecc."11 signori Eletti di
questa Fed.ma Cita di Napole refero avere fatto mandato ad
madamma Cassandra che sfratta da la casa della sig.a Joa-
nella per ordine delli Sig. Elleti. In fra dui dì de poie lo dicto
mandato ut modo et forma ut supra in persona de dicta Cas
sandra, personaliter. » 1
1575- ó marzo — Dall'Ottina di S. Giorgio Maggiore : «Noi
infrascripti Capitano et complatearii della ottina di S. Gior
gio Maggiore faciamo fede a chi spetta quomodolibet ne la
sudetta ottina nei habiti una donna nomine Portia Sorrentina
donna dishonesta la quale vive de manera che dona scandolo
a detti complatearii, et per ovviare a molti inconvenienti che
a la giornata ne potriano soccedere: supplicano che conforme
— Ili —

alli Capitoli de questa Città li si faccia ordine che da quella


sfratta... » Segue a questa supplica il processo e in due o tre
giorni è affare finito. Il solito portiero Stoppa si reca a ese
guire il mandato di sfratto.
1575, 22 marzo — Molte prostitute, rincorse da parecchi
studenti, vanno a star nel fondaco del vico delle Colonne nel-
l' ottina di Forcella. In meno di tre giorni sono tutti sfrattati:
Erano le donne : Lucrezia Gagliarda , Jeronitna Guacirella ,
abrozzese, Carmosina, calabrese, Portia, de Arzano et altre. Le
prime tre s' eran poste nelle case di Aurelio di Roggiero.
1 575. 7 aprile — « Nui Marco de Montella, Francisco Ca-
lifano, Laura Guarino, Colamarino del Petro etc etc, compla-
tearii de la strata de Santa Maria de lo Rito et proprio nelle
vicinanze de la casa del barone Cuomo et de le robbe che so
state del quondam Cicco de Fiorillo et dove habiU Valeriana
Piaza, dicimo che in una camera delle case de detta Valeriana
nce habita una donna che se domanda Andriana la quale fa-
cemo fede a chi la presente spetta o serrà quomodolibet pre
sentata insieme con il infrascripto nostro capodiece magni
fico Joan Carlo Cepollaro, ei una donna de mala condizione,
mala lengha , scaveza cuollo , iniuriatrice , che dice male del
terzo et del quarto et injuria de tutte sorte e tanto che in
detta strata non ce se potè vivere ne habitare ».
1575, 2 maggio — Un'altra supplica dalla gente abitante
alla via S. Giovanni a Mare: « Noi su " capitanio et particu-
lari homini della strata de Sangiovan ad mare de questa nobma et
fedelissima città di Napoli facimo plena et indubitata fede a
chi la presente spetta o quomod. Sarrà presentata como in la
nostra ottina in la Strada della rua Francesca dentro del fun-
daco detto de li carbuni nce è una donna nomine Auleria Cam-
mardella moglie de Andrea bastaso de vino la quale cum
Revia vive dishonestamente et tene multe prattiche de varii
et diverse sorte di gente et di continuo per essere ripresa da
altre persune honorate de detto fondaco la detta Auleria se
la mette con qualsevoglia persona con dire quello che fa essa
et con tutti se la vole apparagiare et per esser donna disho-
nesta et scandalosa non è bene che habbia da stare con le
altre persune da bene et honorate etc etc ». Seguono le firme:
— 112 —

Io Rafaele Porcaro cap" de la sub1" strala. Io Simone Casanova


capo diege de la strafa de la rofagesca ( Rua Francesca ). Io
Aniello Savio. Io pietreacono genoino, etc ». Come spesso acca
deva l'incolpata protestò. Si chiamava Aurelia Oliva: e disse
che la si voleva fare sfrattare a suggestione e ch'ella era donna
maritata e onorata. Anzi questo fa dir precisamente dal par
roco, il quale scrive: fuit Aurelia et est honesta mulier et hono
rala, quae vintin habet. Al processo è aggiunto l'atto matri
moniale ancora. Ma dall'intimazione di sfratto che a 5 mag
gio reca alla Oliva il portiero Francesco Cappiello si appura
che la poveretta non cavò un ragno dal buco.
1575; * luglio — Da sopra i quartieri : « Noi capitano et
complatearii della Ottina di Santo Gioseppo di questa Fidma
Città di Napoli faciamo fede come in la piaza reale che sa-
glie a Santo Martino ci habita Isabella Capilla donna inhone-
sta inquieta et di vita scandalosa, la quale chiamando marito
suo un certo ruffiano vive dishonestissimamente ». Firmano,
tra gli altri : Palombo Angelone, capitano, Scipione Burgarello,
Horatio Vilagno. Fu assodato che il ruffiano era proprio ma
rito della Capilla e si chiamava Nicola Campanino. Ma di
mariti somiglianti ce n' eran parecchi anche allora. Così, a 9
luglio, il portiero Alfonso Stoppa sfratta moglie e marito.
1575, 5 settembre — Mastrodatti della Gabella è tale Al
fonso Cangiano. A proposito di due donne sul conto delle
quali gli si chiedono informazioni , Porzia Rossi e Francesca
Quaturzia, egli assicura di aver trovato i loro nomi registrati
nel libro dove se anoleno le donne inhoneste. Sono sfrattati in
questo mese alcuni studenti da Via Regina Coeli (uno degli
studenti era chiamato Senofonte) e da 6". Caterina a Form-ello.
Dalla via S. Giovanni a Carbonara è sfrattata Isabella Troyse
che dà scandalo a que' curiali.
1575, 7 ottobre — Il mastrodatti della Gabella Aniello Co-
cozza assicura che nel libro sono inscritte Diana Malachiereca
madre, Aurelia, Antonia e Anna de Fiore figlie, abitanti in
via de' Tarallari a Forcella, ove scandalizzano tutto il vici
nato e di dove poi sono scacciate.
1 575, 17 dicembre — Geronina Cappella va ad abitare nel
fondaco della Piazza de li Mandesi. Ella , dice l' esposto , è

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mal condizionata et meretrice publica. Have habbitato in la strafa
de vico Panetlieri et poi a Santo Pietro ad Ma/ella , ove have
tenuto casa da alloggiare. Ed è sfrattata Geronima.

La prostituzione che in Napoli, in questa seconda metà del


cinquecento, non diminuiva per bandi o per prammatiche oc
cupava dunque la pettegola attenzione borghese nella quale
s'era come infiltrata quella ipocrita gravità iberica, sermoneg-
giante a ogni circostanza più lieve. Le prammatiche e i bandi
eran leggi, conveniamo, ma leggi e provvedimenti occasionali;
che lasciavano il tempo che trovavano e tanto più dovevano
sembrare incompleti ed elastici quanto la loro esecuzione si
affidava, come avanti abbiamo osservato e come avrà desunto
il lettor medesimo da' documenti qua sopra trascritti, a offi-
ziali d'ordine de' quali non diciamo la saggezza ma era assai
dub'a l'onestà. Essi occorrevano spesso , e talvolta anche a
nome o a incarico de' lor superiori, a' controbbandi dell'onore,
più spesso alle private vendette, quasi sempre all'intimità del
menage di quelle sciagurate, le quali si eleggevano qualcun di
codesti agozzini o scrivani a opportuno amante di cuore. Il bi
sogno accresceva il numero delle ngabellale : è memorabile il
principio del secolo decimosesto per l'aumento di prezzo d'ogni
cosa necessaria alla vita, per le carestie, per le pestilenze, per
le rivoluzioni popolari come quella seguita, precisamente per
la fame, a' tempi del viceré Conte di Ripacorsa. Un'altra ca
restia sopraggiunse nel 1558, un'altra ancora nel 1565 e tale
che si vendevano come fresche le foglie di cavolo stantie di
quattro giorni. Torme di mendicanti si rovesciaron su Napoli,
dalle provincie, nel 1570: un frate, Giovanni Vollaro, additò
come alimento provvido a tanti affamati la pianta aron, con cui,
diceva, s'eran confortati nell'Epiro, stretti dall'esercito di Pom
peo, le indebolite legioni di Giulio Cesare. Pene esemplari erano
applicate a' venditori colti in fallo: nudi fino alla cintola costoro
cavalcavano un asino e procedevano per le vie col boia da un
lato, che li frustava a sangue, col trombetta dall'altro: e l'ese
cuzione si faceva di sera, al lume delle torce, per provocare
spavento maggiore.
— 114 -

Singolare ancora, nel decimosesto secolo, la persecuzione


ond'erano presi di mira gli studenti. La lor corporazione im
penitente e randagia assumeva agli occhi viceregnali la fisono-
mia stessa, preoccupante, che aveva assunta quella delle fem
mine da partito, e perfin lapide ammonitive e minacciose eran
piantate a ogni cantone e vietavano la stanza e il passo ancora
agli sciagurati, i quali, come potevano, facevan le fiche all'au
torità. Lo studio napoletano, intanto, succeduta alla dominazione
aragonese la spagnuola, aveva perso ogni sua autonomia: nel
suo governo e nella sua amministrazione s'era ficcato pian piano
lo Stato: ogni cosa d'esso dipendeva dal vicerè. Rettore dello
studio il Confessore del re, o Cappellano maggiore, costui —
nelle nomine de' lettori, nell'instituzione di nuove letture, nella
ripartizione delle provisioni — faceva al vicerè soltanto delle
proposte, che or venivano accettate, altra volta respinte. Affidate
a un prete bisogne somiglianti si deve comprendere come e
quanto costui dovesse adoperarsi a contemperar la scienza coi
sacramenti: i criterii inquisitorii spagnuoli non mancavano di
aiutarlo quando occorresse.
Si parla, in qualcuno de' documenti dell'Archivio Municipale
qua dentro raccolti , di publici lettori sfrattati anch' essi coi
loro scolari : è da notare che fino agli ultimi anni del decimo
quinto secolo lo Stato pagava le pigioni delle case private in
cui si teneva lettura. Dal 151 1 lo studio generale di Napoli
stette nel Monastero di S. Domenico e lo Stato stesso pagò da
30 a 50 ducati annui di pigione : le letture private non furono
più tollerate, nemmeno si permise a qualche povero maestro
di scuola, come or si direbbe, elementare, di raccogliere i suoi
giovanetti discepoli in qualche casa privata. Già dal 1505 un
bando aveva proibito a « li studianti et Uomini forestieri senza
moglie , et femine senza mariti che vivono inhonestamente » di
abitare co' galantuomini. Gli Eletti — a' quali si rivolgono ,
ricordando questo bando, i complatearii della strada delli pa
ladini nell'istanza del 19 agosto 1567, da noi riportata -' ac
cadendo el caso che ditti studianti se trovaranno habitare intra
et appresso li gentiIhomini, dovevano e potevano scacciarli senza
ripugnantia diquilli, nè di quilli li havessero allogate le case (61),
(61) P?ivilegi et capitoli, etc. ete, Milano, 1720, p. 73,
— H5 —

Nel 1578 si publica la seguente edificante ordinazione:


« Perchè l' insolenza delli studenti che constituiscono alli
studii publici di Napoli è ridotta a termine che pare sia in-
coregibile impedendo, con fischi, gridi, vociferationi et tirare
di pietre, citrangoli et altri modi, li lettori di leggere contra
il rispetto che devono tenere alle pubbliche Cathedre per S. M.
stabilite... et secondo a nostre orecchie è pervenuto, detto ec
cesso è augumentato, intanto che detti Lettori hanno fatto poco
progresso nelli pesi et carichi ad essi commessi contra loro
desiderio et intentione... et non ha bastato rimediare a questo
l'havere noi ordinato al Regente del Consiglio Collaterale che
navesse fatto carcerare molti di detti scholari, volendo prove
dere si ordina che nissuno delli scholari ardisca, fino a tanto
che li lettori leggeranno , dal principio della lettione fino al
l'ultimo, fare rumore o strepito alcuno, piccolo o grande, con
fischi, gridi, vociferationi, tirando pietre o citrangoli, sotto pena
di galera 0 relegattione o esilio per il tempo da declararsi da
noi, dando potestà alli lettori che possano pigliare presoni quelli
che vederanno contravvenire al pres. Banno e farli menare cosi
prigioni nelle carceri della Gran Corte della Vicaria » (62).
Finalmente — e chiudiamo la parentesi studentesca — nel 1591,
a 25 di settembre , il Conte di Miranda fa publico il bando
che segue :
« Per molte giuste cause havemo deliberato che li studenti
di qualsivoglia scientia che vogliono venire per intendere le
lecture et vacare neli studii justa il solito non venghino altri
menti in questa città di Napoli et che li studii cessino a re-
specto loro per questo presente anno et per tutta l'estate del
anno venturo 1592 et che quelli studenti così regnicoli ceme
forastieri che si ritrovano in questa città si debiano partire
come per banni di mio ordine fatti et pubblicati. Per questo
vi ordiniamo che debiate usare ogni diligentia che se al tempo
si continuaranno le lecture intrassero alcuni studenti non na
politani orti o che con loro padre et famiglie vivano et habiano
vixuto per avante in questa città di Napoli, quelli debiate subito
fare carcerare et darne aviso a noi, il che etiam exeguereti a

(63) In Carlo Tappia — lus Regni ete. Najx1li, 1631, p. 148.


— n6
respecto di quelli studenti che vanno ad intendere lectioni neli
studii del collegio del Jesu o altri studii privati. »
Nè abbiamo potuto sapere la ragione di cosi severo prov
vedimento.

Già otto anni avanti che don Giovanni di Zunica, Conte


di Miranda , sospendesse addirittura per più di 16 mesi gli
studii il Duca d'Ossuna don Pietro Giron, signore della Casa
e Stato d'Uregna, Cameriere Maggiore di S. M., Viceré e Luo
gotenente Capitan Generale del Regno di Napoli— continuando
lungo tutta la via di Toledo il traffico delle meretrici recidive —
avea fatto bandire :
« Essendo informata l' Eccell. del signor Vicerè di questo
Regno che nella Piazza di Toledo di questa Fedelissima città
di Napoli cominciando dal Regio Palazzo per dirittura infino
a Porta Reale, per lo passato vi hanno abitato ed oggidì abitano
e vengono ad abitare persone disoneste , e meretrici le quali
oltre il disonesto vivere hanno dato e danno occasione di mal
esempio con grande indecoro di detta piazza essendo da' prin
cipali frequentata e praticata ed ancora ornata di molti palazzi
ed abitata da diverse qualità di persone onorate ed accasate
le quali attendono a vivere quietamente ed onorate, dall'abita
zione delle quali donne disoneste e meretrici ne sono causati
e causano ogni giorno, oltra il mal esempio, romori, questioni
e delitti ; ci ha commesso che in nome dell' Eccellenza sua
dobbiamo provvedere, che nella piazza predetta niuna qualità
di dette donne disoneste e meretrici ci debba, al presente, nè
per l'avvenire abitare ; onde in virtù del presente Bando per
ordine dell'Eccellenza predetta s'ordina, e comanda, che dopo
della pubblicazione di esso tutte le donne disoneste e meretrici,
che al presente si ritroveranno abitare in detta piazza, incomin
ciando dal detto Regio Palazzo infino a Porta Reale fra il ter
mine di giorni tre debbano sfrattare ed andare ad abitare ad
altri luoghi sotto pena della frusta; nel quale Bando s'inten
dano, siccome vogliamo, che sieno comprese tutte quelle donne
meretrici che in essa piazza avranno case proprie ; ordinando
— 117 —

a' diretti Padroni delle case predette dove oggi abitano dette
donne meretrici e disoneste , che fra il detto termine di tre
giorni proccurino il di loro sfratto con effetto da dette loro
case e non facendolo incorrano e sieno incorse nella pena di
once quattro ed altra ad arbitrio dell'Eccellenza Sua, e nella
medesima pena incorrano detti Padroni di casa, ogni volta, che
infuturimi locheranno dette loro case a dette donne disoneste,
e meretrici, e che non possano allegare ignoranza di non averlo
saputo. Le quali pene si eseguiranno irremisibilmente contra
de' trasgressori. Datum Neap. die 16 Augusti 158j. Cadena
Proreg. Joannes Vincentius de Juliis Regius a mand. scriba. »
Qualche anno appresso il medesimo Zunica fa noto :
« Tra gli altri Capitoli, ed ordini, che per la Maestà del Re
Nostro Signore ci sono stati mandati con Real lettera sua della
data del 6 di luglio prossimo passato del 1592 vi sono gl'in
frascritti :
I. Mando assi mismo, que, de aqul addante, el Juez, que es,
ò fuere de la Gabela de las Meretrices, no compona, ni habilite
ninguna persona inquisida de blasfemia, ò lenocinio, ni otros
delitos atroces, fino que los castigue, y execute en los inquisidos
las penas, en las Pramaticas contenidas.
II. Y porque el Juez de la dicta Gabela de las Meretrices
ha llevado algunos pagamientos indevidos por las sentencias,
y autos que ha dado, mando, que, de aqui addante, no lleve
mas de dos carlines por el decreto interlocutorio, y quatro por
el difinitivo en causas criminales , y por las, que pronuncia
en las civiles, no llevo derecho alguno, pues el Arrendador de
la dicha Gabela le dà de salario quatro scudos cada mes.
E veduto per Noi il tenore de' preinserti Capitoli, ed ordini
della predetta Regia Cattolica Maestà, acciocchè con effetto si
guardi, ed osservi quanto per quella viene ordinato, e coman
dato; ci è partito farvi la presente, per la quale « Vi diciamo,
ed ordiniamo, che intesa per voi la forma, contenenza e tenore
dei preinserti Capitoli, ed ordini della Maestà Sua , dobbiate
quegli, e quanto in essi si contiene, osservare ed eseguire senza
replica, contraddizione, nè diminuzione alcuna, e farete la pre
sente publicare nel detto Tribunale della Gabella delle Mere
trici, a tal che ognuno in futurum ne abbia notizia, e non si
— n8 —
possa allegare ignoranza; non facendosi il contrario per quanto
si ha cara la grazia, e servizio della predetta Maestà ». Datum
Neap. die 3. ìnetisis Novembris 1593. El Conde de Miranda, Vid.
Moles. Reg. Vid. Ribera Reg. Vid. Gorostiola. Reg. Torres
Prosecret. Al Giudice della Gabella delle Meretrici per l'osser
vanza, ed esecuzione de' preinserti Capitoli, ed ordini di Sua
Maestà ».
S'era saputo — come il lettore avrà visto — che lo stesso
magistrato il quale presiedeva alla Gabella s' era fatta lecita
cosa precisamente contraria alla legge , con pretendere , per
le sentenze e per altro , compensi che non gli toccavano. Il
provvedimento fu opportuno e quasi ripagò le ngabellate delle
persecuzioni alle quali eran fatte segno.

La miseria partenopea non toglieva, di que' tempi, alla città


viceregnale il suo pittoresco aspetto, la perenne agitazione di
quasi seicentomila persone, la romorosa gaiezza de' suoi mer
cati e delle sue vie principali. Cominciava la piazzetta napole
tana del cinquecento a romoreggiar dall' alba. Nella notte vi
erano arrivati dalle campagne vicine i carretti della frutta e
delli erbaggi; dal mercato vi si raccoglievano, provvisti d'ogni
sorta di generi alimentari, venditori che li rifornivano alle bot
teghe e alle case: il pesce, in copia svariatissima, v'era por
tato dalla marina del Carmine, dalla spiaggia della Maddalena,
da Posillipo perfino. E le voci dei venditori gridavano : So' si-
gnurile sti Jfiche ! — 'A cerasa de Sanf Anastasia ! — Nu buono
piro crestiano!— ' O piro bergamutto !— E p' 'o conte e p' 'o mar
chese, stu fico sarnese! — Io tengo l'uva a curnicella!— Accat-
tateve 'e fimge! — Chi cole la lattuca nconocchiata f — Lo piro
paccone e lo piro mastantuono !— Li ccstrole a nove a grana!—
Lo pierzeco apreturol—Lo pruno cascaveglia ! . . .. Nel pomerig
gio estivo, sotto alle finestre de' borghesi e de' signori , da
vanti alle case del popolo e alle botteghe che si chiudevano a
metà per difender dal sole la mercanzia e le persone, passavano
venditori ambulanti e s' udivano, con patetiche o allegre ca
denze , altre voci conosciute : Oi chi concia caudare e canne
— 119 —
liere !— Chi vo' sola chìanelle!— 'E seggiolelle chi se l'accatta !—
Oi lazzi e spingale!— 'O llino pe la sposa! — 'A ramma nova!—
'E zurfarielle ! 'E scope!— Fuse e cucchiate!—Ah! W uoglio!—
A ccagno a vrito rutto 'o ssapone!—Belli venfaglie!—Spazza
camino !—' E bicchiere !—'E ccarrafe!... (63) Nelle farmacie delle
piazzette la controra occupava in chiacchiere il farmacista e
qualche medico o un di que' paglietti ai quali il cardinale di
Altan avea posto pel primo il nome che ancor è tradizionale
nella nostra città (64). Una comitiva di dottori fisici si racco
glieva nella bottega di Ferrante Imparato, gran segretista; i per
ditempo aspettavano il tramonto per andarsi a sedere in quelle
de' barbieri e con la scusa di farsi radere saper dei fatti della
gente (65), mentre sulla soglia della varvaria s'affacciava qual
che mendicante per piagnucolare: Prencepe mio, nu turnese!
Che puozz' addeventà conte! Damme nu « cavallo», faccia bella!
A mano a mano scendevan l' ombre e di casa, ove il tedio
le aveva tenute solitarie e sonnecchianti , le meretrici canto-
nere, che si piantavano allo sbocco d' ogni stradicciuola e co
minciavano a sorridere ai passanti. La sera faceva tornare ai
loro accampamenti gli zingari ch' erano stati tutto il giorno
in città a vender paioli e a dir la ventura; una zingara, tal
volta, s'arrestava davanti a qualcuna di quelle povere donne e
costei, macchinalmente, le stendeva la mano aperta. — Mostra
un po' la mano e statti senza paura — diceva l' indovina alla
cantonera — che ti voglio indivinare la tua sorte! Ti voglio
dire tua morte , quanto tu hai a campare , quanti cuori pas
serai nella vita tua e se il tuo favorito ti vole bene perfetta
mente....
E la poverina stava a udir le parole magiche, forse aspet
tando ancor di sapere se mai qualche soldato o uno studente,
per buona fortuna di lei, fosse per passarle davanti e invitarla
a pranzo agl' Incarnati, nella bella taverna del Crispano.
(63) Dei. Tufo. Ms. cit.
(64) Vedi Giornale degli eruditi e curiosi—Anno II, voi. IH.
(65) Ciarlano comunemente come le gaze perchè tutte le nuove anzi tutte te carotte
corrono in baroaria e beato colui che le dice più sfiondate! Garzoni — La piazza uni
versale, p. 856.
L origine della Taverna del Crispano va di conserva con la
origine d'un rione che occorse pur tutto quanto — e occorre
ancora —all' amor libero, nel cinquecento.
Nella parte bassa e orientale della città, sulla via che menava
a Poggio Reale, tal Fabio, della famiglia degli Incarnao, che il
volgo chiamava Incarnati, giuocando un giorno alle palle con
Ferrante d'Aragona, in quel tempo Duca di Calabria, gli gua
dagnò sulla parola settecento scudi, ch' era allora una somma
considerevole e che il Duca non poteva subitamente pagare.
Ottenuto, scambio del denaro, il territorio sul quale avevano
giuocato, ricco di ben cinquanta moggia, Fabio v'edificò una
bella casa di campagna e questa circondò di giardini in mezzo
a' quali fece passar l' acqua che veniva dalla città. Cosi che
in poco tempo essi prosperarono e coprirono di alto e lieto
verde il terreno. Morto Fabio gli eredi sciupnron presto le sue
sostanze: i giardini furono dati a fitto e « cominciarono i Na
politani a venirvi a diporto. Ed a poco a poco poichè in breve
il vizio s' ingigantisce, si cominciò a dare in mille scialacqua-
tissime licenze, in modo che diede un adagio, ed era quando
si commetteva qualche scandalosa e laida azione o pure si di
cevano parole che non avevano dell' onesto , si diceva: questi
crede di stare agi'Incarnati » (66). Nè il luogo migliorò appresso.
Dagli « onorati Napoletani ».— seguita lo stesso scrittore— « era
abborrito e restò un laido lupanare: benchè oggi per Dio gra
zia sia quasi estinto, vedendosi abitato da gente onorata e cu
riale. »
Stampava il suo libro il Celano nel 1692 e però bisogna
credere che intorno a quelli anni la grande suburra degYIn
carnati fosse cominciata ad essere men folta. Certo è che nel
1603, quando il conte di Benavente, don Giovanni Alfonso Pi-
mentel d' Herrera, vicerè per Filippo III, aprì la strada nuova
che a dirittura arriva fin al Poggio Reale, gl' Incarnaii acco
glievano quanto di più sozzo e misero componesse quella Corte
de' Miracoli della gioconda Partenope. E diciamo Corte de' Mi-

(66) Chlano—op. cit. Voi. V. p. 459-


— 121 —

racoli poi che le luride tane, e umide e scure, quando non lo


fossero dalle ngabellate erano abitate da una quantità di strac
cioni a' quali non mancava un Clopin Trouillefeu, nè manca
vano apocrife Esmeralde, da che, poco discosto, era un luogo
detto delli Zingari, che vi dimorarono fino alla prima metà del
secolo decimosettimo e vi tennero il loro capo, il quale appunto
chiamavano Capitanio (67). Parecchie e severe prammatiche li
avevano colpiti dal loro primo apparire nella città « per gli
arrobbi e cose male che commettono, rapine, furti e mileficii »:
tra l'altre della seconda metà del secolo furon quelle del 1568
e del 1575, per le quali gli Zingari erano cacciati dal Regno
con pena di 6 anni di galera a chi non tenesse conto del ban
do. Nel 1585 don Pedro Giron de Ossuna ripetette il bando e
volle che proprio fosse letto a suon di tromba , fuori Porta
Capuana, alle tende delli Zingari (68). •
Confinava con quel dell' Incarnati il luogo detto in quel
tempo del Guasto, che è il Vasto ai giorni nostri. Era stato,
fino al 1251, un grande giardino, un boschetto piuttosto, cir
condato da muri alti e spessi. Poi lo Svevo Corrado, penetrato
in Napoli, che gli si era resa a patti, smantellò quella fabbrica
e devastò que' giardini, ch' erano stati « la delizia della cac
cia, e de' Re e de' Napolitani. » Da quel tempo il luogo fu
detto Guasto e cosi si alluse alla sua sorte sciagurata. Rico
struite le mura in appresso da un Carlo Stendardo, fatto ricco
di fontane e di peschiere e provvisto daccapo a" un casino, il
Guasto riottenne quasi la sua magnificenza antica. Ma la per
dette ancor una volta a gli anni ultimi della dominazione ara
gonese, durante i quali cadde nelle mani del Fisco. Dispar
vero le fontane e le peschiere e sparve pure il lieto palazzetto
degli Stendardo : furono abbattuti i muri e dal terreno cavato
dal fosso che quelli lasciarono venne alzata una strada nuova
le cui traverse stradicciuole spuntarono agl' Incarnati e al Borgo
di Sant' Antonio Abate.

(67) Celano — op. cit. Voi. V. p. 461.


(68) « Resta ch' io vi dichi un' altro particolare de gli habitatori di Napoli, che sono
quei che chiamano universalmente Zingari, o Cingari, habitatori per fuor le mura della
città, e 'loco dove dimoravano non tiene altro nome che di Cingari. »> G. Cesare Ca
paccio — // ForastUrv — Napoli, 1634 — p. 690. — Vedi pure Pragmaticae Edicta, ete. cit.
Voi. IV: De Zingaris seu Acgyptiis — p 311 e 1
— 122 —

Chi, entrando qua dentro dal Largo Carriera Grande, che


sta d' avanti la Porta Capuana, visitasse a uno a uno i vicoli
che sono sulla sua destra lungo il Borgo sempre affollato (69),
riconoscerebbe, dall'aspetto caratteristico che ne conserva an
cor oggi, l'antica diramazione pornografica degl' Incarnati. Quei
vicoli sono abitati da prostitute della più bassa sfera e or peg
gio che mai la loro fama è tristamente nota, poi che del pop0
latissimo quartiere Vicaria, di cui fa parte principale il Borgo
di S. Antonio, lì si raduna e s'agita e prospera la pericolosa
mala vita maschile.
Fu in uno di questi vicoli a far copia di se per vilissimo
prezzo, nell'anno 1648, una povera donna che i soldati spagnuoli
frequentavano più per deriderla che per goderla. E pur quando
ella, costretta e paurosa, si concedeva alle lor voglie i soldati
le negavano ogni compenso e la percotevano per giunta. Povera
donna ! Costei, qualche anno avanti, vestita di seta, coperta di
gioielli , era stata portata trionfalmente in giro dal popolo e
d'avanti a lei s'era inchinata, tremante, la viceregina medesima,
la superba duchessa d'Arcos, e le aveva detto a Palazzo: Sea
Vostra S. Illustrissima muy bien venida / E l' altra le si era
buttata al collo e abbracciando la duchessa e baciandola , al
l'uso napolitano, con due bacioni scoccanti, le aveva risposto:
E sia Lei la ben trovata ! Vostra Eccellenza è la viceregina delle
Signore e io sono la viceregina delle popolane. Era Bernardina
Pisa, moglie di Masaniello d'Amalfi. Nata a' 26 di luglio del
1625 (70) la sciagurata aveva appena ventitrè anni quando ,
per campare la vita, si prostituì (71) al Borgo di Sant'Antonio,
ove, finalmente, mori della peste del 1656 (72) e lasciò di se
non obbrobriosa ma pietosa memoria.

(69) « Ma siegue appresso il Borgo di S. Antonio al qual si va pei la Porta Capuana,


copioso di abitatori, di palazzi, horti , giardini, habitato da curiali, gentilhuomini e da
molte persone di qualità » G. Cesare Capaccio — // Forastiero — Napoli, 1634, p. 811.
Nel 1634 i due quartieri di Capuana e S. Antonio Abate davano 56 mila anime.
(70) Registri della Chiesa Parrocchiale di Santa Caterina in Foro Magno. Libro XII
dei Mainmomi, f. 151, n. 183.
(71) Capecelatro. — Diario, cìt. Cap. II, p. 360.
(72) Pollio. — Afa. f. 48. € ... la sua moglie di poi la morte di esso 1 Masaniello) fu cercata
et spoliata di quanto havea et non avendo come t-ampare si pose al vordello et, quello che
più importa molto, venevano da lei molti spagnoli a ciarli la burla, da poi havcrla goduta
li facevano molti mancamenti... Cosi passò il negotio fatta meretrice publica al comando
di tutti, vista da me al vortello, con molta maraviglia e scandalo dei contemplativi. »
- 123 -

Fuori le mura della città, nella sua parte che declina al mare,
eran dunque agl' Incarnati e al Borgo di Sant'Antonio Abate
altri quartieri di meretrici e la taverna del Crispano, come tutte
le altre della Fedelissima, a costoro offriva il più giocondo e
più facile ritrovo. Il del Tufo non la dimentica : vanno alle
stelle, a onor del panciuto ostiere del Crispano, le lodi del biz
zarro verseggiatore. Il Crispano è il paradiso democratico: l'oste
vi offre tutto quel che di meglio e di più saporoso si possa
cercare e
Se non sazio è bene
La donna o l'uomo a cui pur voglia viene
D'altro mangiar corre al medesmo istante
E vi pon l'oste cento pesci avante.
Tolte le carne, i pesci e l'altre cose
Rimaste avanti a chi cenando siede.
Con parole amorose
Alza con fretta il piede
E tosto torna e reca innanzi a tutti
Cento sorte di frutti :
Mele, pere, uva, passi, antrite e nuce.
Castagne verdi, dattili e nocelle,
Fichi secchi e soscelle,
E di più poi v'adduce
Senza troppe parole
Oltre il buon cacio, vallane e verole,
Carcioffole e cardon con pepe e sale
Terratufol, finocchi e caviale...
E qua e là, per la copiosa letteratura dialettale del secolo
del Marino e del geniale Cortese or la descrizione, or se ne
ritrovano lodi pur solenni e rimate. In questa produzione quasi
patriottica è — cosa interessante e curiosa per gli studii che si
fanno oggi del costume e delli abiti regionali — uno specchio
della vita popolana del tempo e l'eco piacevole della sua poesia,
che disseminava le imagini sue più colorite fin d' avanti alle
case infami , ove , seduta ad aspettar compagnoni o soldati ,
qualche bella bruna degl' Incarnati soleva canticchiar sulla sera :
Aggio perduto lo galluccio mio !
Titi ! Titillo mio !
- 124 —

A donne cosiffatte gli uomini porta van liete serenate e, come


s'usa pur oggi , si provvedevano del cantatore più in voga e
della sua compagnia di musici esperti. Un di que' cantori si
chiamava Muchio ed era il beniamino di Borgo S. Antonio e
degYIncarnati...

lette co Muchio a cantare na sera


Addò de casa Ceccuzza mia sta... (73)
E Muchio , che suonava cosi bene la cetola (74) come la
tiorba a taccone (75) quand'ebbe cantato la prima parte d'una
canzonetta popolana che pel suo senso doppio era adattatissima
a que' luoghi e a quelle donne...
Fare mine voglio na scoppetta a miccio
E de palle la voglio carrecare,
Pe la tirare a Tolla ch'ha lo riccio
Che m'ha feruto e non me vo' sanare...
Muchio — soggiunge lo Sgruttendio — all'ultimo
... dicette accossì :
Tubba catubba, la tubba tubbella !
Tubba tubbella e lo chicherichi !
Un'altra canzonetta che era il cavai di battaglia di Sbruffa-
pappa, Ange Pitou del fondaco e delle strettole, principiava coi
versi seguenti :
Aiemmè, che fosse ciaola !
E te decesse nviento na parola,
Ma che tu nime mettisse a la gajola ! (76)
E un'altra — per occasioni e per femmine più sentimentali —
con codesti :
Vaga, bella Sirena,
Se potete col canto
Farmi dolce la pena...
E Tolla, Gomma, Zeza, Ciccuzza, Cecca, Renza, Leila, Perna,
Nora, Cenza, Menella , Limpia — per dire de' più comuni —

(73) SgRUttEndio. — Tiorba a taccone, s. XLV, corda I.


(74) Cetra.
(75) La Tiorba era il colascione. Il taccone era quel pezzo di suola con cui si usava
suonate l'istromento a corda.
(76) Sgruttendio. - Tiorba a taccone, corda VII. E Basile nelle Muse napolitani
IX, 2. Vorria ch'io fosse ciaola e che volasse a ssa fenesta a dirle na parola, eie, eie
Ciaola voleva dir gazza. Oggi i contadini chiamano ciaota il corvo.
— 125 —

erano i nomi delle castellane democratiche sotto alle finestre


delle quali sospiravan que' dami. Usati fin al settecento, oggi
risponderebbero a' nomi di Vittoria, Girolama, Lucrezia, Fran-
ceschina, Francesca, Lorenza, Angiolina, Margherita, Eleonora,
Vincenza, Domenica, Olimpia.
Con una rosa ne' capelli o pur con un mazzetto di ruta ,
ch'è l'erba dichiarata contraria a ogni male (77) quelle povere
Carmencite, nella taverna del Crispano, esercitata da un allegro
Mastro Donato Zino, ballavano la ntrezzata (78) o la ceccona (79)
o lo torniello (80) , davanti agli Escamillos dell' epoca. Dalle
botteghe di barbieri ch'eran dette varvarie gl'indigeni uscivano
con barba alla Portoghese e mostaccio a taccone (81) e per le
mani unte e bisunte di quelli Sfregia , tra' quali era famoso
tal Mastro Cola, si facevano belli per le compatriote. Al tra
monto, come scendevano sul labirinto degl' Incarnati e de' vichi
di S. Antonio Abate le ombre, la maggior suburra della Fe
delissima si popolava e cominciava a vibrare di suoni e di canti
e di risate. Gli smargiassi, guappi del tempo , con Valbernuzzo
di teletta sulle spalle, con cosciali e calze di stamma legate con
cioffe e sciscioli, col cappello impennacchiato e ricco di passa-
volanti (82) si pigliavano a braccetto or le donne or gli amici
soldati e in comitiva si scantonava laggiù al Crispano, ove di
tra la verde rete d'un pergolato brillavano fiammelle di lucerne
appese e di parattelle — (ch'erano scodellette pieno di sego nel
quale si reggeva un grosso stoppaccio acceso) — illuminazione
primitiva di cui si giovavano pur i teatri, specie per le ribalte.
Già dal tramonto la taverna pantagruelica s'era affollata: le
tavole rustiche, piantate qua e là davanti alla porta affumicata,
occupavano il vico per buon tratto: al muro di rimpetto pen
devano altre lucerne attaccate a un riflettore di latta lucente.

(77) € L'aruta è chella c'ogne male stuta! >. Id., son. 53. E nello steBso son.: « Cecca,
pecche l'aruta te mettiste, ncopp' a ssa trezza jonna de natura... ».
(78) Danza simile alla tarantella. Si ballava col fazzoletto, al suono del colascione.
(79) La ceccona era un ballo accompagnato da suono di tamburello e da cantilena. Nel
Patro' Tonno del Saddumene troviamo una di queste cantilene : A lo mare ca vatte 1l'onna :
Foglie, cappucce, cocozze torme ! A lo mare ca vatte vatte: Fromu cappucce, cocozze chiatte !
Terzo atto.
(8o) Ballo in giro : tour de femmes.
(81) Sgruttendio, corda VII.
(82) Basile: Le Muse napolltane, II, p. 328. Cortese: Opere, II, p. 233 e 234.
— 126 —

e la luce pioveva sulle tavole e tra la luce e l'ombra era una


misteriosa e continua battaglia. Dentro e fuori s'affaccendavano
i garzoni : i suonatori accordavan gl'istromenti al buio, in un
angolo, tra gli urli, le risate, il tintinnìo de' bicchieri e il fracasso
d'un boccale che si spezzava per terra o quel d'una tavola che si
rovesciava durante una discussione calorosa o calorosi assalti
à la belle etoile. Stava sulla scena pittoresca il cielo puro e
stellato delle notti estive napoletane : il colascione e la cetra
principiavano, a un tratto, uno dei lor passionati preludietti e
subito si faceva silenzio intorno. In quel momento lo smargiasso
e il soldato viceregnale, seduti in un cantuccio a trincar fa-
lanchino (83) si scambiavano profondi aforismi sulla donna: e
lo smargiasso — ragionando del sesso debole e risovvenendosi
dell'edera che sale e s'attorciglia — diceva allo spagnuolo, col
proverbio del tempo, che la donna è colonna e ll'ommo è fronna...

(83) Leggero vin bianco.


S E C O L O

D IL C I M () S E T 1 I M o
CAPITOLO TERZO
CAPITOLO TERZO

li. Seicento — «Occuzza» — Prostitute vestite «alla maschile» — Acconciature —


li. Duca d'Ossuna Guanti, « sirici.ie, pennacchie e franfeli.icchb » — Sfide
assassini1, processioni — Eruzioni del Vesuvio — Don Gianvincenzo Imperiale-
Don Carlo Cara-fa — I Conservatorii — La peste — Storia di « Ciuli.a de Caro» —
SOPPRESSIONE DELLA GAKELLA — VESTITI 1! PARRUCCHE — INTEMPERANZE VICEREGNALI —
li. vico dei Greci — Conclusione.

alla seconda meta del cinquecento


uno de' quartieri più affollati di
donne da partito fu quello delle
Ceke. Il seicento lo vide non meno
folto, ma sempre più popolato di
femmine somiglianti : la soldatesca
spagnuola s'era addirittura allog
Il marcuf.se d'Asporta
giata nelle case delle meretrici.
Agl'iberici, poco meticolosi , non bastavano le cosi dette guar
diole, posti di guardia sparsi in que' pressi , come nella via di
S. Brigida e nella piazza del Castello.
Cresciuti, dunque, di numero e di pretese i soldati s'erano
insediati una buona volta e comodamente nelle abitazioni di
qucile donne le quali, alla volta loro, s'erano in tutto votate
all'esercito. Oggi, lassù, quartiere tradizionale della prostitu
zione partenopea, canti cosi detti a figliole e smancerie musicali
in cui è tutta la rilassatezza morbida de' cantori, delle canta
taci , degli stessi musicisti popolari nel lupanare e nel basso
sospetto: in que' tempi canzonette canailles che si chiamavano
— 132 —

la sfacciata, Varia nova e la varchetta (i) e s'accompagnavano,


succedute alle villanelle, col tamburello , o con la chitarra di
quelli hidalghi, tra libazioni frequenti di lagrima e di mangia-
guerra, piacevoli vini insidiatori. Di volta in volta gli sbirri,
che il popolo chiamava laminare (2), facevano di quelle femmine-
una retata e le chiudevano alla Vicaria dove il giudizio e la
condanna seguivano con sollecitudine esemplare. La frusta, il
marchio, l'esser costrette a cavalcare un asino per le vie più
affollate erano ancora pene abituali e vi s'incorreva per poca
colpa. Per più gravi era preparato un carcere muliebre, detto
Casa della Penitetnza, (3) nell'edificio stesso della Vicaria. E a
proposito d'esso troviamo che nel 168 1 il carceriere maggiore
della Casa di Penitenza era tal Giulio Perdio, succeduto a un
altro che la sentenza del Tribunale aveva rimosso dall'officio,
poi che questi, del dover suo poco diligente, s'era lasciato infi
nocchiar da un suo servitore il quale, furtivamente penetrato
nelle carceri delle donne, « aveva usato carnalmente con una
di esse » e però era stato « frustato et era andato in galera » (4).
Sessant'anni avanti il vicerè Cardinale Zapata recatosi in Vicaria
a far grazia ne rimandava libere nove donne publiche, che si
chiamavano Dorotea Milano, Meneca Promese, Laura Perrone.
condennaia ad lemfins in domo poenitentiae , Livia Lombardo ,
Laura a" Antonio, Giulia Cavaliero, Maria Cavaliero, Amia Va
gano e Menechella Catonia. Fece pur grazia a una tale Lucretia
condannata alla frusta (5). Qualche paio di mesi prima lo stesso

(1) So ben io che cantasti la sfacciata,


et anco l'aere novo e la varchetta....
MuscettoLA — La Caiilde: Canto I.
(2) n Pareva pottana nlorniata tla lammare... » — Basii. e. Lo cunlo de li ctnite. Ioni. l.
Tratt. II.
(3) € Che s'osservi inviolabilmente la forma con che fu istituita, di che solo si mettano
in quella le donne condannate, alle quali si taglino i capelli per mortificazione ; e si faccia
vestire una veste cli lana, non permettendo a quelle parlare con ninno, detenendole con
molta strettezza e riconoscimento, e con ubbidienza a chi le governa, senza perdersi il
rispetto ; acciocche vengano in conoscimento di Dio, e cerchino misericordia eperdono
delle loro colpe, e che niun Giudice ne Tribunale senza ordine particolare di S S. Il
lustrissima mandi là ninna in luogo di deposito : e della detta casa della Penitenza tenga
cura e protezione il Giudice che assisterà in Vicaria : visitandola le volte, che gli parrà ne
cessario ; facendo che s'osservi la detta istituzione, 22 di Settembre del 1621. Ivan Bel-
Iran de Ocacta. (Vicerè il Duca d' Alba). Pragmaticae , edicla elc. cit. Voi. I. Prag.
XVII. Paragr. XXIII, pag. 372.
(4j Conforto. — Ms. Voi. III.
(5) Diario di Sciiione Guerra, p. 121.
- 133

Figura JeU* Mcgna.

x e x 3<
l,v G l IO..
D. R M.
19*13. P.M*

Dal itbro del LAneLLI sull Eruzione del Vesuvio del zóji.

cardinale avea fatto rinnovare le prammatiche per le prostitute,


ordinando che « non potessero andare per la città in cocchio,
nè per la costiera di Posillipo in felluca » prammatiche già
« lacerate dal Signor Duca di Ossuna » (i). L'ardimento dei
soldati spagnuoli cresciuto oltre ogni misura il cardinale, ch'era
severissimo, cominciò a dar esempio di terribile giustizia. Un
lunedi di maggio del 1622 « fu carcerato uno spagnuolo quale
era andato in casa d'una donna libera, come sua amica, et es
sendo tardi l'ammazzò: et alli gridi uscì un povero huomo con
una candela accesa in mano, et egli similmente l'occise; al cui
romore giunta la ronda spagnuola e volendolo pigliare prigione,
(6) Iv. paR. 119.
— 134 -

egli al primo che se li ffè all'incontro li diede una coltellata


in testa e se lo fe' cadere a' piè: finalmente fatto prigione lo
martedì io di agosto fo fatto morire, tagliandole prima la testa
e poi le mani, uscendo la giustizia da S. Giacomo delli Spaglinoli,
nelle cui carceri si ritengono carcerati li Spagnuoli delin
quenti (7) ». Un'etera celebrata fu negli stessi anni la 'faida
(Zaida) che aveva per cognata una Maddalena, peccatrice e bella
non meno di lei. Della Maddalena s'era invaghito un barone
amico del Reggente della Vicaria , della Taida don Cicco di
Loffredo, marchese di Trevico. Il Duca d'Alba, vicerè, sfrattò
le donne e impose anche a Cicco di partire da Napoli. (8) Al
23 di marzo del 1623 furono arrestati due abati, o mezze sot
tane (9), Titta Mazzola e Ottavio Cavaneo, assieme a parecchi
« pirati e falsi monetarii » tra' quali era pur un frate chiamato
Marco Aurelio Solderio. Amante dell' abate Cavaneo era una
siciliana, prostituta, detta Ciccuzza (io). D'un'altra meretrice
pur chiamata Ciccuzza era stato amante il Principe di Conca
verso il 1620, vicerè il Cardinale Borgia che non potette riescire,
come neppur vi riesci il Duca d' Alba , a far rappaciare col
Principe donna Sueva d'Avalos , moglie di costui , che s' era
ritirata nel monastero di S. Sebastiano assieme alla madre, donna
Margherita d' Aragona (nj. Editti, prammatiche, bandi non
bastavano a diminuir null'aflatto il numero delle meretrici in
Napoli durante i tre secoli che precedettero al nostro. Non pure,
quanto in nessun modo potettero di quelle sciagurate — alle
quali giovava il mutar di governanti a ogni tratto — cambiare
le abitudini e frenar la licenza. La nobile via di Toledo or le
vedeva andar su e giù alla caccia de'merli, pettinate alla moda
e, al pari di que\V Antonia alla quale lo Sgruttendio dedica un
de' suoi sonetti salaci, belle, vestute a lo pontefecale, cioè con
lunghi e svolazzanti e ricamati mantelli addosso. Che più ?
Vicerè il marchese de Los Veles nel 1676, solennizzandosi per

(7) Id. Pag. 121-122.


(8) Id. p. 153-54. Poi al Loffredo fu fatta grazia.
(9) Chierici che per godere del Foro Ecclesiastico vestivano la cosi detta mezza sottana
ed eran detti comunemente abati. Gente facinorosa e adoperata so\ ente per le private
vendette. Caikcei.airu. Diario, voi. 1, pag. 5S.
Ilo) IHaiiu di Scll'IONH GuKKKA, p. UH.
(11) ld. p. 145.
— 135 —
Toledo il carnevale « le Temine, cioè meretrici , si sono viste
caminare vestite da uomini di campagna con giamberga, spada
e parrucca ed anche con cappe di campagna all' uso odierno
come vestono i cavalieri: qual uso si è preso dal Vicerè il quale
da che venne in Napoli da Roma sempre è andato e va cosi
per Napoli ». (12).
Era, per concludere, lassù alle Celze e in que' pressi, una
suburra non precisamente plebea , la quale, a mano a mano ,
rampollandovi dalla seconda metà del cinquecento, vi mise cosi
salde radici che tuttora germogliano e conservano all' antico
quartiere spagnuolo la sua lurida fama.

La toilette delle ngabellate diventava ancora più sfarzosa nel


seicento : in questi anni se qualcosa distingueva dalle oneste
le male femmine egli era lo sfarzo singolare del loro abbiglia
mento, che non temeva di sciorinarsi nelle vie più frequentate
della città per ove scorazzavano, seguite da signori debosciati
e spesso pur da lenoni, le cocottes del tempo. Seguitava a squin
ternare invano, ogni tanto, la Gran Corte della Vicaria e proprio
la Corte delle meretrici che n'era una particolare sezione, i suoi
volumi di prammatiche. Ma il magistrato si vedeva spesso co
stretto a rinserrarli poi che spesso seguiva che di mezzo a
quelle carte subitamente spuntasse un qualche viglietto del
vicerè stesso che raccomandava alla ruota di chiudere un oc
chio o ancor tutti e due. Tuttavia, per accontentar le incessanti
pretese della morale publica pur qualcuno de' vicerè usava, di
volta in volta , in publica forma o in privata , di recarsi nei
luoghi assegnati alle prostitute, l'eco delle cui gesta perveniva
tino al Palazzo.
Così, un Sabato di ottobre del 1616 S. E. il Duca d'Ossuna
« andò curiosamente in seggia scorrendo tutte le strade del
Quartiero sopra la strada di Toledo volgarmente detto le Celse;
e si dice per rinserrarlo coni' è solito per le altre città che

i,i2) Da un Ms. che è presso di noi, intitolato: Narrazione contemporanea dei giornaiteri
avvcmmenti occot si nel celebie tumulto eccitato in Napoit da Tommaso Aniello fisci (sic)
da Amalfi, vuiro deito Masaniello.
- 136 ~
vogliono vivere honoratamente. Ma qui non sarà possibile; bi
sognando, per volere rinchiudere tutte le cortegiane di Napoli,
chiudere più della metà della città! » (13) E nello stesso mese
tanto per mostrare che faceva qualcosa , il medesimo duca ,

Don Rodrigo Pons db Lhon, duca d'Arcos, vicerh nel 167*


(Dal Teatro eroico liei vicerè del Parrino).

comandando che s'accomodasse « la mattonata della città » e


che « sonate le dua ora di notte non si possa caminar per la
città senza lume » proibiva infine « agli uomini ammogliati di
andar di notte per case di cortigiane e ad osterie per man
giare. » (14) Un anno appresso (giugno 1617) S. E. « si pose
in carrozza con la signora viceregina e molte altre dame alla
volta di Poggioreale ove si era apparecchiato un convito pu-
blico nel quale erano concorse diecimila persone, e di più. La
tavola di S. E. fu di ventiquattro posate, ove mangiarono di
(13) Zazzera. — Narrazione tratta dai giornali del governo di don Pietro Girone Duca
di Osiuna. Arch. St. II. Serie I, voi. IX, p. 4S7.
114) Zazzera, cit. p. 492.
— 137 —

molte dame con S. E. nelli camerini di sopra. Fu bellissima


vista in vedere, in un altro camerone di sopra, esserne unite
a mangiare venticinque cortegiane le più famose di Napoli ed
essere servite regolatissimamente ; e fu tale che volle S. E. an
dare a vedere e burlare con loro... » (15).
Dentro e fuori casa queste semiaristocratiche della prosti
tuzione si governavano come principesse: pranzi, cene, scam
pagnate e, in giro, a certi ricevimenti che avrebbero tentato
pur un romito, sorbetto (innevata, cioccolatte e frutti di Genova,
e perfin paste ripiene e sfogliatelle fatte fare in monastero !
Continuavano a farsi far biondi i capelli e ad asciugarli al
sole, come la Petrusinella del Basile; si facevan liscia la fronte
con una palla di vetro, e quest' uso era sceso fin alla bassa
prostituzione (16) come l' altro dell' imbellettarsi , per cui lo
Sgruttendio esclamava :
De russo avite nfaccia doie scotelle !
Portavan calze di capisciola argentina, o di seta cremisina,
come quelle degli Eletti della città quando si recavano al Te
deum. Talvolta dalla copia degli ornamenti veniva fuori in
mostra un' acconciatura goffa e barocca , anche più imbaroc-
chita dal guardinfante e dalle maniche a prosciutto e da' guanti
che salivano fin al gomito (17). La moda spagnuola prescriveva
luppo alla catalana , fiocchetti , nastrini a bizzeffe , (zagarelle)
. merletti e merlettini a carrettate. Il popolo chiamava tutto co
desto con sostantivi ridicoli e diceva che le alte ngabellate si
acconciavano ll' una e ti'ala chiocca (tempia) co ntruglie, co pen-
nacchie e franfellicche.
Spagnoleggiavano specie le abitatrici delle Gelze, e le imi
tavano quelle degl' Incarnati e di Borgo Sant'Antonio: ma qui
eran calze di saietta nera della costa o di lana a righe mul
ticolori, e pantofan ielle (pantoffble) di velluto a fiori, o zuoccolc
addirittura (zoccoletti) , al cui tic-tac incitante i soldati non
sapevan resistere.

(15) Id. cit. p. 513.


nò) « l'e te fare menare lo vrito a Faustina. IT ato iuorno Ile diste la farina, e pe lo
ghtanco e russo ca te mannaie Nanella.... » Rtdiculuso contrasto tra Anuuccia e Tolta.
1 17) « Le mane ve coprite co li gnante, a li scianchc l'ascelle ve mcttite, ma so ascelle
mutate uKuardinfanlc ». Scìruttenmo, cit. Corda lII. Sou. Il,
i;vS

Siamo al primo trentennio del seicento. Un manoscritto


conservato alla Nazionale di Napoli (18) ci fornisce qualche
curioso documento di quelli anni.
A 28 agosto 1626 — narra il cronista — « essendosi prima
buttati li bandi soliti quando entra Reggente nuovo di Vicaria
tra' quali è che le Corteggiane non possano andare in car
rozza nè in sedia , e perchè certi giorni prima due di esse
sorelle seceliane una chiamata Mattia (?) et l'altra Paula sotto
colore di essersi date allo spirito et vivere honestamente si
erano vestite giesuite cioè con abito nero di lana senza seta
et con copercieri com'è l'uso d'esso modo di vestire et perchè
havevann guadagnato assai si tenevano carrozza in casa
essendo uscite in carrozza » furono fermate dagli sbirri i quali
le « visitorno et sotto quell' abito trovarono calzette di seta
incarnatina et ligacce con pezzillo d'oro». Le due siciliane,
arrestate subito, furono cacciate nella Casa della Penitenza in
Vicaria (19), perdettero i vestiti e la carrozza e si sentiron
domandare 2000 ducati dal Reggente, per la loro liberazione.
Il cronista soggiunge che da sue particolari informazioni gli
risulta che le siciliane offrirono 1000 ducati e che il Reggente
non s'accontentò. A 31 agosto, delegata dal Vicerè al Reg
gente, si fa la causa delle siciliane. Si dice che saranno fru
state. E il cronista soggiunge : « Si aspetta di vedere ». Ma
non si vide nulla: e delle due sciagurate non è più detto nel
giornale. Forse il Reggente ottenne il denaro che chiedeva.
Nel gennaio 1630 il cronista noti la publicazione della
Prammatica « continente che li lettori così de leggi come di
tutte altre scienze non possono leggere in casa loro privata
nò li studenti possono andare ad udirli sotto gravi pene »;
nel marzo, e proprio a' 25 del mese « alcuni di casa Vaaz (20)

(iS) Giornali Hisloi ici delle case accadute nel Regno di Napoti nel governo di D. Fer
dinando Afan de Ribera Enriquez Duca d'Alcalà. X. B. 50.
119) Per la Casa d<!lla Penitenza vedi: S. DI Giacomo: La prigionia del Marino e le
carccii della tirario. Napoli, 1899. Per le taverne autiche napoletane v. pure: S. Di Gia
como: Tavcrne famose napolelane. Trani, Vecchi ed. 1899.
'ìoi Banchieri portoghesi molto ricchi e temuti in Napoli.
— 139 —

P ..
-f ' ° f-v iMi;''!ln(i-^-n^rrt"iit

Costume dei medici durante tu peste vt .\apoli.

stando in casa eli una corteggiami chiamata Angelina Mila


nese a strata Toledo, lo seppe un capitano di fanteria porto
ghese » il quale senz' altro sali a sorprendere i Vaaz in casa
dell'Angelina. I Vaaz senza molti complimenti ammazzano il
capitano , ch' era protetto dal Duca d' Alcalà perchè — nota
malignamente il cronista —- parecchie volte gli aveva prestato
denaro. Accorre gente, accorrono soldati e la casa dell'Ange
lina è saccheggiata.
Un anno appresso accade un altro fatto tragico. Il principe
di Conca, grande Almirante, uscendo, a cavallo, dalla casa di
una cortigiana chiamati donna Francesca Calderon . prende
per la via di Toledo. A un punto il cavallo inciampa in un
sasso, si spaventa, guadagna la mano al cavaliere e lo trascina
— 140 —

fino a Monte-santo ove lo sbatte a terra. Il principe muore il


giorno appresso.
E a proposito del principe di Conca e di una circostanza
non meno drammatica la quale segui a quella della morte di
lui troviamo ne' Giornali di Giovan Vincenzo Imperiale (21),
un patrizio genovese che fu a Napoli nel 1632 , la seguente
nota: « Giovedì, 2 settembre, nel cammino alla casa dell' av
vocato fiscale, m'imbattei nei funerali che accompagnavano il
Prencepe di Conca. Dio voglia ch'egli morto non sia nell'altra
come nella presente vita. Certo è che della riconciliazione sua
col suo fattore non si ha da religioso alcuno testimonianza
certa. Questo giovinetto, a pena è l'anno, festeggiò per la morte
di chi gli diè vita. L'ambizione del dominio, che gli fece ab-
borrire il superiore, l'indusse a tal crudeltà che gli fece odiare
i! padre: il compiacimento dell'occaso di lui tanto più ritenne
di sceleraggine, quanto men fu ritenuto da simulazione: onde
quel di il mal ragazzo pubblica senza vergogna l' empietà
senza ritegno. Ecco frate Matteo da Marigliano, tra' riformati
franciscani uomo divino, che per parte dello Spirito Santo lo
avvertisce , come quel riso ch' egli faceva sulla sepoltura del
proprio genitore generava già le risa che altri, a capo di un
anno , avrebbe fatto sul cadavere di lui. Fu dunque castigo
di quel sempiterno Giudice che nei suoi giudizii mai non erra
il permettere che costui nella crescente età e nella cresciuta
fortuna illustremente ammogliato e di titoli e di danari non
mediocremente arricchito , d' una vii femminella incapricciato
e da lei non compiaciuto uccider la facesse; e che per occa
sione di questo enorme delitto dell' altra enormità maggiore
egli portasse l' intimata pena. Onde nelle antiche fondamenta
del Castello Novo per Decreto di Sui Divina Maestà non men
che per ordine di questa Maestà Regia imprigionato , quivi ,
o da febre tossicosa , o da tossico assalito , il mal nato morì
e con la pia morte ai menatori di trista vita ricordò che Tan
dem facinora in supplicium vertuntur ». All'Imperiale non,
forse , eran note la triste fine del padre di costui , la poca
virtù del vecchio Conca, le sue sregolate abitudini. Avrebbe
(21) De' Giornali di Giov. Vincenzo Imperiale dalla partenza dalla patria. Anno
Primo. Atti dell» Società Ligure di Storia Patria. Voi XXIX fase. II. Genova, 1898. p. 399.
— HI —
forse soggiunto talis pater talis Jìlius : e davvero fra padre e
figlio, in fatto di debosciatezze, non era differenza alcuna. Nè
la società aristocratica del tempo dava migliori esempii: en
trato appena il Monterey vicerè succede un putiferio in casa
di certa 'folla Bove, cortigiana che abitava allo Spirito Santo
e che parecchi nobili frequentavano. S'incontrano, a 2 di gen
naio 1632, nelle stanze di lei don Titta d'Alessandro e Tonno
Capece, vengono alle mani, cavano le spade e il d'Alessandro
rimane ucciso. Duelli, baruffe, schioppettate ogni giorno. « A
14 ottobre 1632 — nota il cronista — passando uno sbirro ,
detto Caporal Giuliano, per la Selleria in un vicolo intese un
gran rumore et essendovi anco chiamato, si disse, da una cor-
teggiana maltrattata da un monaco in sua casa , et volendo
salire lo sbirro il galante monaco li consegnò due stoccate che
li tolsero la vita in un subito ». Così , nel primo trentennio
del secolo decimosettimo la prostituzione, scambio di scemare,
gloriosamente cresceva nella fedelissima. Parve a un tratto
che fosse per rallentarne il corso impetuoso un avvenimento
che mise il terrore in tutta Napoli, vogliamo dire la memo
rabile eruzione vesuviana del 1631. Molte meretrici indurite
et invecchiate nel peccalo si convertirono abbandonando le lascivie
e i lussi, alcune maritandosi , altre ritirandosi fra chiostri per
mutar vita e cercar perdono dei passati errori..... (22). Il mer
coledì 17 dicembre già s' erano uditi per la città i tamburi
de' banditori. Costoro gridavano: Per ordine del signor Vicerè
è proibito a tutti sotto pena della galera il dormire con donne
lascive! E i dodici tamburi strepitavano con grande spavento
delli cittadini (23). Il Vicerè fece chiudere trenta donne pen
tite « nel Conservatorio eretto di prossimo all' incontro di
S. Giacomo delli Spagnuoli, con averli (alle donne) assignato
duemila scudi di previsione l'anno, sotto la protezione del
signor don Francesco Salgado peritissimo consigliero del Con-
glio per S. M. in questo Regno (24) ». Altre convertite furono

(22) Tra le belle la bellissimo, esquisita ei intiera e desiderata Kelatione dell' incendio
del monte Vesuvio publicata in Xapoli da Pielro Paolo Orlandi Romano, Napoli. Se
condino Roncaglielo, 1632.
(23) Distinta Relatione dell' Incendio del Sevo Vesuvio alti 16 dicembre 16j1 successo
scritta dal dott. Michelangelo Masino di Calvello. Napoli, 1632.
(24) Id. ibid.
— 142 —

ricevute nel Conservatorio retto dal P. Francesco Cordone


« verso la Chiesa della SS. Trinità delle Monache » altre an
cora trovarono in Carlo Carafa, prete, il lor protettore e col
locatore. Infine « tutte le cortegiane pentite e serrate in diversi
luoghi sono di numero dugento » scrive il Masino, che a dif
ferenza di parecchi altri e specie del Lanelfi (25) non s'indugia
in ragioni astrologiche ma narra soltanto, intorno all'eruzione
tutto quello ch'egli vide o udì in Napoli terrorizzata.

Carlo Carafa era nato nel 1561, a Mariglianella, da Fabrizio


e da Caterina di Sangro che lo avviarono al sacerdozio e gli
fecero quasi a forza vestir l'abito talare. Al meglio il pretino
lo gettò alle ortiche e si fece soldato e combattette valorosa
mente e fu perfino due volte ferito. Tornato a Napoli vi cominciò
a menar vita d'una grande dissolutezza : la sua casa accoglieva
giocatori e donne da partito, egli stesso vi teneva una corti
giana delle più celebri, i suoi servitori lo imitavano e si di
sputavano le serve del quartiere e si ammazzavano per esse con
enorme scandalo e con terrore del vicinato. Un bel giorno don
Carlo che passeggiava nella via di Regina Coeli si fa animo e
entra in chiesa, non per pregare ma per meglio udir la dolcis
sima voce d'una di quelle monache. Costei — una signora di
casa Guindazzo-— cantava un salmo, dietro la grata del coretto.
Don Ciarlo si senti preso e vinto, cadde ginocchioni e pianse
e rinsavì. Da quel tempo, mutato come per incanto, egli fu un
altro, tornò prete e cominciò a predicare e a confessare. Visita
il quartiere delli Egettiaci, o zingari, e quelli istruisce a mano
mano nella fede cristiana : al venerdì tutta Napoli si reca a
udire i suoi sermoni e in tale maniera egli predica che restano
convertite alcune Meretrici e tutte le altre compunte e disf>oste a
mutar vita (26). Parecchie ne chiude nel monastero delle Pentite
agl'Incurabili, ad altre anche promette ricovero. Nella chiesa
di Santa Maria Ognibene gli accade un fatto curioso. Va a con-

(25) Incrinila del Vesuvio del Lanelfi. Napoli. Ottavio Beltramo. 1632. Il I. anelli spiega
l'eruzione col fatto che Venere si ritrova in Tauro elc. elr.
(26) Pietro Gisoi.fO. — Vita dei P. Don Carlo Carafa. Napoli, 1667.
- »43 —
lessarsi da lui una prostituta bellissima e gli narra come sia
presa d'un che non l'ama e pel quale volentieri ella darebbe
la vita. Incalza con sospiri, con lagrime, con parole di fuoco.
E a un tratto esclama : Signor Don Carlo, io di te parlo! E
per te mi... Ma non può continuare : don Carlo ha fatto sbatac
chiar la porta del confessionile , s' è levato a precipizio ed è
scappato. (27) Più tardi lo ripaga di tanta mortificazione un
singolare avvenimento. « Teneva — scrive il biografo panegirista
del Carafa — publico mercato in Napoli della lasciva sua bellezza
Caterina Valente Siciliana, che per vendere a più caro prezzo
se stessa non a plebei ma a nobili e ricchi con lusinghevole
affetto si discopriva. La moltitudine de' ciechi amanti cagio
nando confusione e tumulto comprava molte volte coi proprii
denari la morte... Or costei venne insieme con alcune altre alla
chiesa di Santa Maria d'Ogni Bene per vederlo, per udirlo. E
quel Signore che da vaso immondo in vaso d'elettione cam
biarla voleva pose in bocca del predicatore parole si vive ed
efficaci che , a guisa d' una tagliente spada , l'intimo del suo
cuore penetrando, la ferì, la sanò. » Don Carlo, in quel tempo,
meditava di accogliere in un novello ritiro le pentite della lor
mala vita : la Vitale lo aiutò, devota e zelante. Un gentiluomo
di Milano, Ortensio Magnocavallo, (28) offerse al Carafa il suo
palazzo ne' pressi di S. Maria Ognibene e di là sloggiò con
Elisabetta dei conti di Montevecchio , sua moglie , quando il
Carafa accettò l'offerta. Nell'aprile del 1602 il novello ricovero
fu inaugurato e don Carlo celebrò la messa in una vicina chie
setta. Il Conservatorio fu detto delle Illuminate. Poi, nel 161 1,
don Carlo trasferì in un altro fabricato quelle donne e chiamò
Conservatorio del soccorso quest'ultimo, di cui pian piano chiuse
l'entrata alle meretrici, per accoglier là dentro le vergini sol
tanto. E queste, dalla lor camicia di lana, dall'abito greve che
portavano, dal governarsi che facevano con la regola di Santa
Chiara furono volgarmente dette Cappuccinellc. Più in là il non
mai stanco sacerdote fonda un terzo ospizio e lo intitola dei

(27) Idem. Ibid. p. 82.


(28Ì Dal costui cognome s'aggettivò la strada che da Via Roma, già di Toledo, sale al
Corso V. Emmanuele. Della l'ia Magnocavallo parla, in Napoli nobilissima, il signor Lo
renzo Salazar.
— 144 —

TAVKRNA DEL CERRIGLIO

Visitapoveri, e lo destina a orfanelle : converte nel 1631, anno


della terribile eruzione vesuviana , altre meretrici e per esse,
con elemosine che raccoglie da ogni parte, inaugura poco prima
di morire, il Conservatorio delle Pentite, (29) ove, tra le altre
espiatrici. muoiono in quasi odor di santità, Suor Maria Fran
cesca, Suora Taide, Suora Agnese, la quale ultima condiva con
cenere le sue minestre (30). Nel 1633 Carlo Carafa il cui tra-
(29) Nel 1657 il prete Andrea Peruonto spese 5 mila ducati per trasferire alla Pignasecca,
in certe case ch'egli comprò, le Pentite che prima erano a S. Giorgio.
(30) Gì solfo. — Ihid. p. 159. Sui Conservatoril vedi: Capitoli detta S. Cusa delta Mad
dalena del Rifugio. Ms. Bibt. ri i S. Martino, 132 bis. Capitoli del Venei abile Luogo di
S. Maria Succiare Misrris. Ms. Bibl. di S. Martino. Constitutioni delle venerabili monache
coni-ertile di Napoit — Ìbidem. Fundacion ordeu y estatutos del Recogimento y Convento de
las Arrepentidas espanolas de la Madatena desta Ciadad de Napoles, Ms. S. Martino n. 204
Per le pentite spagnuole il Conservatorio era stato fondato dal Conte di Olivares. Poi
donna Leonora Maria de Gusman, moglie del Vicerè Conte di Monterey, saputo che donna
Isabella de Kipavinda. che curava le cose del Conservatorio, aveva bisogno di aiuto le
venne in sussidio nel 1634 e il Conservatorio fu stabilito con titolo e regola domenicani.
E al 25 marzo 1634 vi s' celebrò la prima messa. Le donne che v' entravano dovevano
essere mujeres pecadoras publicas espanolas por linea masculina, non dovevano avere più
di 30 anni , non dovevano essere inferme di mali contagiosi e specie di venere , o di
bubas, (sifilide).
— 145 —

passo è — come narra il suo biografo — accompagnato da canti


paradisiaci che il confessore di lui dichiara d'aver udito palpi
tante, si spegne dolcissimamente e lascia, vive memorie della
sua pietà e del suo zelo, quattro o cinque pii instituti di cui
qualcuno ancor oggi è governato com'egli volle e destinato a
coloro a' quali si rivolse l'animo suo compassionevole.

(gualche anno appresso alla morte del Carafa la famosa


(ìabella sulle meretrici fu tolta. ll Capasso nota questo, che fu
davvero un avvenimento, senza tuttavia conferirgli l' impor
tanza che, pel soggetto dell'opera nostra, noi siamo tenuti a
dargli e che per quello della sua (31) non ha che un valor
relativo. K dice che nel 1635 « finalmente s' impose in Napoli
un terzo grano a rotolo sopra tutti quei commestibili sui quali
si pagavano gli anzidetti grani aggiungendovi l'olio ed eccet
tuandone il pesce fresco, il baccalà e le salacche. Nello stesso
anno questo terzo grano al carlino a staio di olio fu dato
dalla Città in soluium alla Regia Corte , pel donativo di un
milione fatto al re, ottenendone in cambio l'abolizione della ga
bella sulle meretrici (32) ». Ma le sciagurate alle quali veniva
in soccorso il novello provvedimento non potettero precisa
mente goderne se non cinque o sei anni dopo che fu bandita
la legge: nel 1637 una Geronima Rossi, moglie di Domenico
Fello , molestata continuamente da tal Giuseppe de Milano il
quale pretendeva ch'ella sfrattasse dalla casa che abitava, ri
corre al Presidente del Sacro Regio Consiglio perchè punisca
il de Milano. Costui, avendo tentato invano tutti i mezzi per
liberarsi della Rossi « per non sapere più che fare volse ascri
verla nella gabella delle meretrici » (33). E a dimostrazione
maggiore di quanto abbiam detto più sopra ecco proprio il
documento dal quale appare come tino al 1640 la gabella non
sia stata di fatto soppressa. Gli Eletti scrivono in quell'anno
(31) Capasso B. Catalogo ragionato dei libri, registri e scritture esistenti nella sezione
antica dell' Archivio Municipale di Xapoli. Napoli. 1876. (Parte prima).
(32) V. Istr. del 20 marzo per Notar Giovai] Marino Slinca e dei 14 sett. 1635 per
Notar Mnssimino Passaro. Cautele, voi. 39 f. 306, voi. 45 f. 267. Patr. della Città, n. 583
Ardi. Mun.
(331 Arch. Mi-nicipai.e — Mise. rS — p. 67. Sezione antica.
IO
— 146 —

al Vicerè: « La Fedelissima Città di Napoli espone a V. E.


come essendoli pervenuto in suo dominio l'affitto della Corte
seu Gabella delle meretrice e Ruffiani e pagato il prezzo in
tegro alli diretti padroni di quello e volendo oggi ponere in
esecutione la gratia fattali da S. M. et extinguere totalmente
l'arredamento della Corte predetta a tar sopra ciò publicare
li baimi per li lochi soliti di detta Città è necessario prima
ottenere ordine di V. E. che il Giodice di detta Corte il quale
tiene patente di Ministro e R. Cons. che desista e non eserciti
più il detto giudicato. Perciò si supplica V. E. che sia servita
di dare ordini che cosi si esegua etc. etc. (34) ». Gli ordini
furon dati subito e l' intimazione fu portata dal portiere della
Piazza di Montagna, Giambattista Piano, a tal d'Amato che
era, in quel tempo, giudice della Corte delle meretrici. Allo
stesso tempo il Reggente del Consiglio Collaterale Mattia Ca-
sanate ordinò agli officiali di desistere dal compito ch' era
stato loro assegnato: e questo seguì nel 6 di luglio del 1640,
che è, ci pare, la data esatta della soppressione della Gabella.

I gesuiti continuavano fra tanto l'opera del Carafa, e an


davano per la città , e gli animi de' popolani e de' signori
percotevano con lo spettacolo pauroso delle lor processioni.
Durante una delle quali « un gentil homo venne in una seggia
tutta ferrata ma egli ignudo , però vestito solo per honestà
dalla centura a basso di stoia e scalzo , e disse ad un Padre
che voleva andare cosi , scoverto di faccia, nella processione.
Però il padre non acconsenti alla seconda condizione onde
coverto solo il viso seguitò la processione con grandissima
ammiratione et edificatione de' spettatori (35) ». In quelli
stessi giorni , spaventate e confuse , « cambiorno in miglior
stato la vita da venticinque publiche donne le quali detestando
le passate offese al Santo Crocifisso publicamente gridavano
nella Chiesa interrompendo il Predicatore mentre predicava ,

(34) Arch. Municipale di Napoli. Ibid.


(35) Relatione della missione fatta in Napoli nella Chiesa di S. Nicola Maggiore nel
mese di ottobre 1642 dalli RR, PP. della Compagnia di Giesù con licenza dell' Emineu-
tissimo Cardinal I-'ilomarino elc. eic. Napoli, Francesco Savio, 1643, p. 21.
— 147 -

fortemente piangendo : e dicevano che non volevano più ri


tornare nelle loro case infernali dentro le quali navevano tanto
posto in croce Giesù figliol di Dio. Di queste alcune furono
poste in lochi serrati ritirate , altre collocate in matrimonio ,
altre riconciliate e ricondotte alle case de' loro parenti...» (36)

II. MRD1CO BOZZUTt

Lina delle pentite, « benissimo vestita » fu presa nel tempio


ove un «esilità predicava, da tale impeto che « si spogliò tutta,
e il spettacolo fu tale che commosse tutta l' audienza et il
Predicatore stesso a farle compagnia con abondantissime la
grime di tenerezza... » (37). Che tempi ! Da un pezzo questo
non succede più ! Intanto fra le lagrime , le processioni , le
(36) Ibid. p. 25.
(37) Ibid. p. 26.
— 148 —

conversioni e simili, ai notari, per ordine dell' Eletto del po


polo, si suggeriva di indurre i testatori a lasciare il lor de
naro a' poveri, e a' capitani di strada era affidata una cassetta
perchè la portassero, piena, alla missione, una volta per set
timana (38).

La Posillecheata di Pompeo Sarnelli, il quale in fronte al


piccolo suo libro di Cunte muta il suo nome in quello di Masillo
Reppone, ha una fiaba intitolata La Gallenelìa. Una piccola
gallina fatata conduce, nel 1656 , in un palazzo abbandonato
una giovanetta popolana, e ve la fa ricca e felice. Col verna
colo adoperato nel secolo decimosettimo dailetterati partenopei —
ognuno dei quali era pastore in qualche accademia e pasto-
relleggiava a suo talento — sono riassunti nella Posillcchcata
tutti gli orrori della terribile infezione che colpi Napoli nel
1656: drillo brutto male che arrasso sia da nuie e nfunno de
mare vaga, azzoè la pesta.
Il Sarnelli, nato nel 16 gennaio del 1649, era stato tirato su
per prete; studiò Diritto e Teologia, publicò parecchie opere,
ottenne cariche molte e nell'ottobre del 1691 fu fatto vescovo
di Bisceglie. Era venuto a Napoli, ragazzetto, nel 1663, sette
anni dopo la peste, quando il ricordo della tremenda epidemia
non era ancora svanito e la città non s'era rifatta in tutto delle
conseguenze di quel flagello, e dalle altre, non meno funeste,
della rivoluzione del 1647. Per otto anni appresso, dichiarata
delitto di lesa divinità la rivoluzione e poste sotto lo scudo
della religione le oppressioni degli spagnuoli, Napoli fu pur
gata, con le forche, con l'esilio e con le prigioni, di tutti co
loro ch'erano tenuti nemici di Spagna. La peste continuò que-
st' opera distruttiva. Corse voce che gli spagnuoli l'avessero,
con meditato disegno di vendetta , fatta allignare in Napoli
dalla Sardegna; ma se non fu disegno d'oppressori la causa
di tanto male fu certamente una interessata lor imprudenza.
Una nave carica di cuoi e di pelli fresche s'era fermata nel
luglio del 1647 a Valenza. Nello stesso mese, spartiti i cuoi
per varie botteghe di calzolai , si cominciò a udire che tutti

138) Ibid. p. 36.


— H9 —
costoro erano stati colpiti da una febbre altissima, alla quale
teneva dietro la morte, con una spaventevole rapidità. Da Va
lenza, ove il male fece in quattro mesi più di ventimila vit
time , la peste passò ad Origuela , ad Alicante , Mesquinez ,
Murcia, Cartagena, Cadice e Siviglia. E da tutta quasi la Spa
gna si diffuse rapidamente nella Provenza, in Maiorca e nella
Sardegna. Il Frari nel suo libro Della peste e della pubblica
amministrazione sanitaria — Venezia 1840 — scrive che dal 1650
fino al 1655 il morbo fece scempio continuo nella Sardegna: il
Gastaldi (Tractatus de avertenda et profìiganda peste, ecc.
Bononitf 1682) vi sapeva ancor a suo tempo sussistere monu
menti tristissimi di tanta calamità. Or nel 1652, con decreto
del Conte di Villamediana, la Sardegna, la Linguadoca e altri
luoghi erano stati, come si diceva, banditi. Il bando ammo
niva: « Ordiniamo e comandiamo a tutti e qualsivogliano Pre
sidi di Provincie, ecc. Auditori et Capitani tanto Regii come
di Baroni, Masti Portolani e Portolanoli et praesertim a' Sin
daci, Eletti e Deputati della sanità della Città, terre e luoghi
del presente Regno, ciascheduno nel suo tenimento , che ca
pitando in qualsivoglia modo in loro giurisdittione vascelli ,
gente , robbe , mercanzie e lettere che venissero dai suddetti
luoghi, loro porti e territorii, li debbano discacciare lontano
dai luoghi habitati e non dar loro nè far dare pratica, senza
espressa licenza in scriptis sotto pena di morte naturale »
Ma fra tanto, come la Spagna, ch'era impegnata in una guerra
accanita in Lombardia , abbisognava di soldati e di porti si
curi che li l'accogliessero per farli movere in Liguria, il Vi
cerè che bandiva la pena della morte per tutti coloro i quali
provocassero il temuto avvento della peste in Napoli , non
temeva di lasciarvi pigliar pratica , nel porto ben guardato ,
alle navi che portavan soldati dalla Spagna.
E la peste non si fece aspettar molto.

*
Viveva in quelli anni un medico chiamato Giuseppe Boz-
zuto e abitava nel popoloso quartiere del Mercato, ll ove pochi
anni avanti era scoppiata la rivoluzione masaniellana, lì ov'essa
era stata soffocata, lì ove proprio — nel chiostro della chiesa
— i5o —

del Carmine — Masaniello medesimo era stato ucciso a schiop


pettate.
Il Bozzuto era un uomo alla buona. Soleva amministrar
peripateticamente i suoi consigli , correggere la superstizione
plebea, poco chiedere per compenso delle sue visite, non chieder
nulla, talvolta, quando una povera famiglia, o qualche vecchio
marinaro, qualche operaio ammiserito avessero bisogno di lui.
— Signor dottore — partendosi da un crocchietto di popo
lani che confabulavano nella piazzetta del Carmine , disse al
Bozzuto che passava un ili coloro — che vi pare ili tante
morti subitanee che avvengono al Lavinaio , nel nostro scia
gurato quartiere ?
Il Bozzuto s'arrestò. Guardò il popolano e gli altri che gli
stavano attorno. Cavò dalla saccoccia una tabacchiera di legno,
vi ficcò l'indice ed il pollice e prese tabacco silenziosamente.
— Qualcuno è stato portato allo spedale dell'Annunziata —
continuava il popolano — ma v' è morto in poche ore. Si dice
che sia tal Masone...
— Lo conosco — interruppe il Bozzuto — È stato dei vo
stri capipopolo del '47. Poi scappò, mi pare, e riparò in Sar
degna. Tornava di là, non è vero ?
— Così si dice. È morto assistito da Carluccio de Fazio ,
servente all'Ospedale. E de Fazio ha raccontato che il povero
Masone s'era tutto coperto di lividori e di pustole
— Piano — disse il dottore — Non è costui quel pezzo di
giovanottone alto che abita qui accanto con la madre, al vico
Pero ?
Il popolano faceva per rispondere quando alcune femmine
che dal Lavinaio avanzavano verso quel crocchio della piaz
zetta si misero a urlare:
— De Fazio è morto ! E morto de Fazio ! E morta pure
sua madre !
La folla ingrossò: il Bozzuto s'era fatto pallido ma con
servava tutta la sua serenità pensosa e dolce. Levò la mano:
fece atto come per chiedere ascolto. E segui un profondo e
pauroso silenzio nel quale la voce chiara del medico s' udì
distintamente ammonire :
— Chiunque di voi ama la sua vita , e tutti voi ci tenete.

~-\
— i5i —

Don Pietro Giron duca d'Ossuna iunioee — vickre niìl 1616


Dal Teatro civico dei Vicerè del Parrino

son sicuro , non pratichi nella casa del de Fazio. Nemmeno


s'accosti al palazzetto ov' egli abitava. Nè raccolga roba che
gli sia appartenuta. Vi è il contagio. E appresso v'è la morte !
Un mormorio pauroso passò nella folla. S'udiva, fra tanto,
continuare il vocio confuso laggiù , allo sbocco del Lavinaio.
Di volta in volta qualcuno si spiccava da quella gente agitata
e s'appressava al capannello che chiudeva in mezzo il Bozzuto,
o da questo gruppo qualche altro moveva alla volta del La-
vinaio e si mescolava a quell' altra gente. Nel va e vieni le
notizie si succedevano , e la folla cresceva. Il padrone della
casa del de Fazio, al quale quel poveretto doveva due mesate
di pigione, era sceso al secondo piano e si portava via la roba
de' morti: due o tre materassi, un canterano e gli utensili
della cucina. Poco dopo lui e tutta la sua famiglia — abita
vano all' ultimo piano della trista casa — erano colpiti da
freddo e febbre. Il protomedico del quartiere s' era recato al
— 152 —

vico Pero, o vico Rotto. C'era andato anche un ex eletto della


città, don Donato Grimaldi, ora creatura del Vicerè, anzi spione
devotissimo.
— A far che cosa ? — disse il Bozzato, con un sorriso amaro.
Già troppo egli ha fatto e non bene ha fatto. Onesti son mali
che non si curano a parole !
— Dimmi — lo interruppe dalla folla la voce del Grimaldi
dimmi tu, dunque, con che si curano ?
— Vossignoria è qui ? — disse il Bozzuto — Se Vossignoria
ha qualche rimedio se ne giovi. Io non so indicarne alcuno.
Quella che affligge Napoli in questo momento , lo sappiano
tutti : è la peste !
La stessa sera Giuseppe Bozzuto era tratto nelle carceri
della Vicaria. L' ex eletto lo aveva accusato al Vicerè. E si
credeva , sopprimendo il Bozzuto , di soffocare il male , che
avanzava come una di quelle fiumane che non incontran riparo...

S'era nel febbraio. Un medico della città di Sala, nella Lu


cania, tal Gerononimo Gatta, si trovava a Napoli dal gennaio
del 1656. Un gentiluomo aquilano che lo conosceva e n'era co
nosciuto lo fece chiamar nelle prigioni della Vicaria , dove quel
gentiluomo era carcerato per contrabbandiere.il Gatta l'osservò:
l'aquilano aveva una febbre acuta e si lagnava d'un forte dolore
sotto l'orecchio sinistro. Il medico disse che non c'era da far
proprio nulla, e l'ammalato morì quattro giorni appresso. Altri
quattro carcerati manifestarono i medesimi sintomi qualche
giorno dopo la morte del loro compagno, e soccombettero: la
peste prese radici nelle prigioni e lo stesso Bozzuto ne fu colto
e ne fu vittima.
Al Lavinaio, a Porto, al Mercato, alla Vicaria, quartieri popo
losi e sudici si moriva ch'era uno spavento. Il Vicerè mandò
per medici e protomedici, li raccolse, domandò loro che opi
nione avessero d'un cosi triste avvenimento e se si potessero
scansar guai maggiori con solleciti e opportuni rimedii. Un dei
cronisti della peste, il Pasquale, dice che da quelle consulta
zioni di barbassori nfrn altro si ottenne che il bando di tuta
— 153 —
quantità di animali immondi alle selve e la rimozione della spaz
zatura chc s'ammucchiava nelle strade. Morirono tutti coloro clic
avevano accompagnato sul monte Tifata, all'abbadia di S. An
gelo , quelli animali immondi, cioè i maiali che i monaci di
S. Antonio Abbate possedevano in Napoli a mandrie numero
sissime e tiravan su per la provvisione del cardinal Barberini,
loro abate. Al popolo bisognò lasciar intendere altre ragioni
e si disse che i francesi del Duca di Guisa , che minacciava
Napoli ila Castellammare, andassero spargendo polveri venefiche
dappertutto. Da questa novella — scrive il de Renzi nella sua
interessante opera Napoli nell'anno 1ójó — derivarono uccisioni
feroci : bastava esser forestiero per esser reo. Il Pasquale sog
giunge : Caddero vittime innocenti di mille mani sacrileghe non
solo svenate ma da crudeltà disumana con sanguinosi scempii fatte
in pezzi e sparse fuori della città per pasto ai cani ! Tra gli altri
un certo Vittorio Angelucci fu fatto morir sulla ruota, al Mercato.
Si moriva sempre e il numero dei morti aumentava spaven-
tevolmente. Nel maggio il Vicerè fece affiggere dei cartelli coi
quali si permetteva al popolo di credere, senza rischio del car
cere, che in città fosse un certo morbo corrente. Gli Eletti della
città nominarono una Deputazione di Sanità che fu composta
da Fabrizio Capece Bozzuto, Conte di Santangelo , Annibale
Capece, Marchese di Brienza, Principe di Atina Caracciolo, Luigi
Maria Macedonio, Duca di S. Teodoro, Carlo Caracciolo, Fran
cesco Dentice , marchese di Pisciotta Pappacoda , Ignazio de
Maio, Francesco Dentice, Francesco Antonio de Ligupro, Ca
millo Sanfelice, Tommaso Guindazzo, Gennaro Muscettola, Mi
chele Muscettola e Giulio Cesare Moccia. Tutti costoro, meno
qualcuno, morirono di peste man mano e furono sostituiti da
altri volenterosi che si riunivano nella chiesa di S. Lorenzo.
Oui, appena composta, la Deputazione aveva dato incarico ai
piìi famosi niellici di studiar su' cadaveri le ragioni del male:
però Marco Aurelio Severino e Felice Martorella, quest'ultimo
rinomatissimo chirurgo . si unirono ad altri per la bisogna e
presentarono alla Deputazione, il 2 di giugno, una lunghissima
Consullalio medicorum praevia sectione cadaverum pro praeser-
vatione el curatione pestis. Essa è un documento curioso del
l'epoca, delle medicine, del ricettario, cfclle opinioni scientifiche
— 154 —

di que' tempi. Comincia col sommario dell' osservazione :


« Nella sezione fatta ieri di due cadaveri, l' uno di maschio e
l'altro di una donna per ordine di S. E. e degli Illustrissimi
signori deputati di questa Fedelissima Città sopra i mali correnti
dai peritissimi anatomici Marco Aurelio Severino e Felice Afarlo-
rella, coll'assistenza del signor Protomedico e di altri Medici si
sono osservate le viscere tutte infettate di macchie negre : cioè il
cuore, i polmoni, il fegato, lo stomaco e gl'intestini : inoltre la
vescica del fiele si trovò ripiena di bile negra viscida e molto grassa
a segno che pertinacemente stava attaccata la membrana di essa :
ma sopratutto i vasi del cuore si vedevano colmi di sangue, grumoso
e negro. » E si chiude con le prescrizioni per allontanare il
terribile morbo consigliate dai suddetti scienziati, di accordo
con gli altri medici Domenico Coccia, Onofrio Riccio, Carlo
Pignataro, Francesco Carfaro, Giangiacomo Carbonello, Carlo
Jovene , Andrea di Mauro e Salvatore Borrello .-
« Per prima : far fuoco nelle Case con fumo di rosmarino ,
bacche di lauro, di ginepro, incenso e simili.
Secondo : l'acqua teriacale, la teriaca, il mitridate, le pillole dì
Rufo contro la peste, la mistu?a di fichi secchi, ruta, noce e sale,
preservativo dì Mitridate, ritrovato nei suoi santuarii scritto di pro
pria mano; Aceto magistrale bezzicar io (da comporsi con solfo, ruta,
agli, garofali, zafferano e noci) l'uso del quale è bagnarci una fetta
di pane e prenderla a digiuno: polvere di bolo armeno, terra sug
gellata, terra di nalca, seme di cedro pestato, seme di basilicone,
polvere di scordio, di contrerba, di bezzoarro, orientale ed occidentale,
che si piglieranno o con agro o con mollica di cedro, o con melo
arancio, o con succo di limone. In bocca si porti zolfo vergine ,
zedoaria, aristolochia, genziana, carlina, dittamo bianco, imperato
ria, angelica, verbena, vincetossico, ruta capraria, grani di ginepro,
di lauro, d'edera terrestre : cioè una di queste.
Per odorare (oltre le palle usuali) si loda una spugna bagnata
di aceto e teriaca, o formar palle di legno di cipresso, incavaie,
o dì ginepro o di lauro e dentro porvi teriaca, aceto, ruta, olio
d'ambra gialla, olio di canfora.
Ungansi le tempia, le narici, i polsi e il cuore con l'olio del
Mattioli, o con acqua teriacale, succo di limone, croco, dittamo e
i ariina bollite insieme. Si potrà anche fare un aceto composto per
— 155 —

li. VlCKKft MAKCHKSK DI MoNTERKY

bagnarsi le mani, i polsi e le narici pigliando guantila di giunchi


odorati, radici di cartina, noce moscada, garofali, belgioino, croco,
calamo odorato e bollirgli un poco con quantità d'aceto. La mede
sima virtù di preservare lianno Velisire antipestilenziale di Frolliti,
relettuario magno del Mattioli, l'olio di scorpione del medesimo,
l'aceto benzoarrico di Etne, il diascordio di Fracastorio, e sopra
tutti la polvere del padre fra Giovanni Battista Eremitano, spe
rimentata nella peste che fu in Napoli nel secolo passato ed oggi
osservata con felicissimo evento ».
■5<S

Marco Aurelio Severino era nato in Tarsia piccolo paese


della Calabria citeriore, nel 1580. Apprese filosofia da Tom
maso Campanella , matematiche dal famoso Niccolò Antonio
Stelliola; da Giulio Cesare Romano, da Latino Tancredi e da
Quinto Buongiovanni la medicina. Giulio Tazolino, gl'insegnò
chirurgia, Cesare Scarlato la Giurisprudenza. Aveva ottenuto
la Cattedra di Anatomia in Napoli, per concorso, ma preferì
appresso quella di Medicina. Scrisse di medicina e di letteratura,
scrisse pernii di scacchi, scrisse di tutto, così da lasciar dire
al Volchomero ch'egli cercasse acquistar faina piuttosto dalla
moltitudine che dalla bontà delle sue opere. Tuttavia il Peye,
il Graaf, il Leutand si valsero delle sue scoperte anatomiche :
fuori d'Italia fu conosciuto e stimato ancor più che non lo fosse
in patria. Qui — nemo propheta! — ebbe a soffrire calunnie
feroci e perfin sofferse la prigionia; ma dalle carceri uscì con
umiliazione de' suoi detrattori, egli stesso rafforzato nell'animo
da quella disgrazia , e più fervido , più volenteroso che mai.
Nel 1656 aveva 79 anni: i migliori spesi nello studio e nella
ricerca, volle spender gli ultimi nella vigile e coraggiosa as
sistenza degl'infermi del terribile male e non fu casa aristocra
tica od oscuro tugurio ch'egli non. visitasse. A' 15 di luglio,
mentre, come scrive il Parrino nel Teatro eroico de' vicerè di
Napoli, morivano ben cinquantamila persone al giorno, Marco
Aurelio Severino fu colto dal male nella via di Forcella per
ove passava insieme co' suoi discepoli. La morte sopravvenne
subito. I discepoli affettuosi ravvolsero in un lenzuolo il ca
davere del loro maestro e, scesi in una sepoltura della chiesa
di S. Biagio de' Librai, ve lo lasciarono, inorriditi.
Il vecchio illustre era caduto e morto, come parecchi soc
combevano in que' giorni di maggiore strage , in un respiro
dice uno dei molti cronisti della peste. A udir i quali si ha
delle spaventevoli scene che seguivano in que' mesi una ter
rorizzante impressione. V'eran di quelli che, assaliti a uh tempo
dal male e dalla improvvisa pazzia, salivano sulle terrazze e
di là si precipitavano a capofitto : altri correvano disperata
— 157 —

mente al mare e vi si affogavano : altri si gettavano in pre


cipizi e vi morivano sfracellati . Ne' pozzi e nelle cisterne si
nascondevano coloro i quali credevano di scampare alla furia
del male con cacciarsi nell'acqua potabile che alla fine, benchè si
fosse nell'estate, gl'intirizziva e li preparava talvolta a diversa
morte, quando non li cogliesse laggiù quel medesimo implaca
bile morbo al quale avevan creduto sottrarsi. Gli Eletti crea
rono, fra tanto, alcuni deputati di secondo ordine che « verifi
cavano le malattie ed anche con la forza strappavano gli
ammalati dalle proprie case e fino i più teneri bambini dalle
braccia delle madri, e co' cocchi o con portantine segnate di
color rosso e provvedute di campanelli per distinguerle dalle
altre li portavano negli ospedali e nei Lazzaretti. Distaccavarsi
così le sorelle dai fratelli, da' mariti le mogli, i genitori dai
tìgli, sul principio senza proprie coverture e poscia con le loro
coverture di lino, di cotone o di lana ». Da una testimonianza
giurata di Filippo Dura, governatore del Lazzaretto di S. Gen
naro , sappiamo che solo quell' ospedale raccoglieva « non
meno di settemila ammalati, de' quali morivano non meno di
settecento al giorno ; ed altrettanti nuovi vi entravano... »
I medici, de' quali una gran parte era scomparsa e di cui
si assottigliava giorno per giorno la schiera, accorrevano da per
tutto ove si credesse abbisognar l' opera loro. Attraverso le
silenziose e spopolate viuzze del basso Napoli si vedeva ogni
tanto un di costoro, vestito d'un costume preservativo che ha
del lugubre e del comico. Ne abbiamo ritrovato la rara stampa
nel Traité de la Peste recueilli des meilleurs auteurs anciens et
modernes et enrichi de remarques et observations thc'oriques et
pratiques, par le Sr. Manget, D. en M. à Genève, chez Phil.
Planche, 1821 ; a illustrazione della stampa che si trova in fronte
a questo interessante volume sono le parole seguenti :
« /, ' habit exprimé dans cette figure n 'est pas une chose de
nouvelle invention, et dont 011 aìt commencé l'usage dans la der-
nière Pest de Marseille : Il est d'une plus vieille dalle et Afes-
sI'eurs les Italiens on fourni à peu près de semblables figures ,
depuis fort longues années. Le nés en forme de bec , rempli de
parfums , et oint interieurement de matières balsamiques , n' a
veritablement que deux tròus, un de chaque còte, à l'endroit des
- 156

Marco Aurelio Severino era nato in Tarsia piccolo paese


della Calabria citeriore, nel 1580. Apprese filosofia da Tom
maso Campanella , matematiche dal famoso Niccolò Antonio
Stelliola; da Giulio Cesare Romano, da Latino Tancredi e da
Ouinto Buongiovanni la medicina. Giulio Tazolino, gl'insegnò
chirurgia, Cesare Scarlato la Giurisprudenza. Aveva ottenuto
la Cattedra di Anatomia in Napoli, per concorso, ma preferì
appresso quella di Medicina. Scrisse di medicina e di letteratura,
scrisse perii n di scacchi, scrisse di tutto, così da lasciar dire
al Volchomero ch'egli cercasse acquistar fama piuttosto dalla
moltitudine che dalla bontà delle sue opere. Tuttavia il Peye,
il Graaf, il Leutand si valsero delle sue scoperte anatomiche :
fuori d'Italia fu conosciuto e stimato ancor più che non lo fosse
in patria. Qui .— nemo propheìa! — ebbe a soffrire calunnie
feroci e perfin sofferse la prigionia; ma dalle carceri uscì con
umiliazione de' suoi detrattori, egli stesso rafforzato nell'animo
da quella disgrazia , e più fervido , più volenteroso che mai.
Nel 1656 aveva 79 anni: i migliori spesi nello studio e nella
ricerca, volle spender gli ultimi nella vigile e coraggiosa as
sistenza degl'infermi del terribile male e non fu casa aristocra
tica od oscuro tugurio ch'egli non. visitasse. A' 15 di luglio,
mentre, come scrive il Parrino nel Teatro eroico de' vicerè di
Napoli, morivano ben cinquantamila persone al giorno, Marco
Aurelio Severino fu colto dal male nella via di Forcella per
ove passava insieme co' suoi discepoli. La morte sopravvenne
subito. I discepoli affettuosi ravvolsero in un lenzuolo il ca
davere del loro maestro e, scesi in una sepoltura della chiesa
di S. Biagio de' Librai, ve lo lasciarono, inorriditi.
Il vecchio illustre era caduto e morto, come parecchi soc
combevano in que' giorni di maggiore strage , in un respiro
dice uno dei molti cronisti della peste. A udir i quali si ha
delle spaventevoli scene che seguivano in que' mesi una ter
rorizzante impressione. V'eran di quelli che, assaliti a uri tempo
dal male e dalla improvvisa pazzia, salivano sulle terrazze e
di là si precipitavano a capofitto : altri correvano disperata
— 157 —

mente al mare e vi si affogavano : altri si gettavano in pre


cipizi e vi morivano sfracellati . Ne' pozzi e nelle cisterne si
nascondevano coloro i quali credevano di scampare alla furia
del male con cacciarsi nell'acqua potabile che alla fine, benchè si
fosse nell'estate, gl'intirizziva e li preparava talvolta a diversa
morte, quando non li cogliesse laggiù quel medesimo implaca
bile morbo al quale avevan creduto sottrarsi. Gli Eletti crea
rono, fra tanto, alcuni deputati di secondo ordine che « verifi
cavano le malattie ed anche con la forza strappavano gli
ammalati dalle proprie case e fino i più teneri bambini dalle
braccia delle madri, e co' cocchi o con portantine segnate di
color rosso e provvedute di campanelli per distinguerle dalle
altre li portavano negli ospedali e nei Lazzaretti. Distaccavarsi
così le sorelle dai fratelli, da' mariti le mogli, i genitori dai
figli, sul principio senza proprie coverture e poscia con le loro
coverture di lino, di cotone o di lana ». Da una testimonianza
giurata di Filippo Dura, governatore del Lazzaretto di S. Gen
naro , sappiamo che solo quell' ospedale raccoglieva « non
meno di settemila ammalati, de' quali morivano non meno di
settecento al giorno ; ed altrettanti nuovi vi entravano... »
I medici, de' quali una gran parte era scomparsa e di cui
si assottigliava giorno per giorno la schiera, accorrevano da per
tutto ove si credesse abbisognar l' opera loro. Attraverso le
silenziose e spopolate viuzze del basso Napoli si vedeva ogni
tanto un di costoro, vestito d'un costume preservativo che ha
del lugubre e del comico. Ne abbiamo ritrovato la rara stampa
nel Traité de la Peste recueilli des meilleurs auteurs anciens et
modernes et enrichì de remarques et observations tìiéoriques et
pratiques, par le Sr. Manget, D. en M. à Genève, chez Phil.
Planche, 1821 ; a illustrazione della slampa che si trova in fronte
a questo interessante volume sono le parole seguenti :
« /.' habit exprimé dans eette figure n'est pas une chose de
nouvelle invention, et dont 011 aìt commencé l'usage dans la der-
nière Pest de Marseille : Il est d'une plus vietile dalle et Mes-
sieurs les Iialiens on fourni à peu près de semblables figures ,
depuis fort longues années. Le nés en forme de bec , templi de
parfums , et oint interieurement de matières balsamiques , n' a
vcritablement que deux tr'mis, un de chaque còle, à l'endroil des
- I5« -

ouvertures du ne"s naturel ; mais cela peni suffìre pour la respi-


ration, et pour porter avee l'air que /' un respire l' impression
des drogues renfermces plus avant dans le bec. Sous le manteau,
on porte ordinairement des Bottines a peu prés à la Polonaise,
faits de Maroquin de Levant ; des Culottes de Peau unte, qtd
s'attachent aux dites Bottines; et une Chemisette aussi de Peau
unte, dont on renferme le Bas dans les culottes, le Chapeau et
les Gans sont aussi de mime Peau ».
In una nota de' morti in Napoli di contagio quest'anno r6$6 (39)
è detto: « Sono morti di mal contagioso in Napoli nel presente
anno trecentocinquantamila persone in tutto. Sono rimasti vivi,
compresivi i Borghi e quelli che son tornati di fuori, cento-
quarantamila ». Fra' morti furono 500 Domenicani, 1000 Fran
cescani, 150 Gesuiti e 150 Teatini. I Padri della Crocella , i
Minoriti, i Ceroni mini gli Agostiniani Scalzi, e i Terziarii mo
rirono quasi tutti. La Compagnia dei Bianchi perdette trenta
confrati. La nota continua: « Morirono settanta musici, venti alti
magistrati, dieci giudici, un gran numero d'avvocati, il prin
cipe d'Atena, il principe di Carpignano, i duchi di Santovito
Caracciolo, di Ostuni, di Montenero, di S. Agabito, il principe
di Frascia, il principe di Cruccoli, il duca di Campochiaro, il
duca della Guardia, la principessa Lupino, la duchessa di Cep-
paluni, la contessa di Nola, la marchesa di Belmonte, la mar
chesa di Brienza , la marchesa di Polignano Brancaccio , la
principessa di Carpignano, la moglie del Reggente Sofia, donna
Brigida de Sangro, ecc. » Morirono monsignor Capecelatro, il
vescovo di Vico, il vescovo di Ariano e il vescovo di Sora con
tutti i nipoti.
Una pioggia torrenziale, a' 14 di agosto, cadde su Napoli,
inaspettata. Le acque si riversarono nella grande fogna posta
presso il Largo della Carità, in via Toledo, e trovandola oc
cupata da masserizie e da cadaveri che i becchini vi avevano
accumulati, fecero forza contro le pareti laterali e le sfondarono
e penetrarono sotto le case che erano a' lati della strada e che
rovinarono in parecchie. Dopo quest'acquazzone la peste finì.
Era durata otto mesi !
(39Ì Mh, nella Biblioteca Chigiana di Roma.
'59

Una novella eruzione del Vesuvio fece tornare i napoletani,


nel 1660, appena quattro anni dopo la peste, alle vecchie abitu
dini delle preghiere publiche e delle conversioni e delle penitenze.
Toccò questa volta alle meretrici delle Gelze: « Questa stessa
notte — dice il Fuidoro (40) 6 luglio 1660 per opra del Padre
Palma , frate di S. Pietro Martire che andò con processione
sopra li Quartieri si convertirono a Dio tredici femmine libere,
sette delle quali furono portate in una casa a Piazza Larga,
nel Fundaco Bianco, dove furono ricettate e la matina seguente
venne un giovane con la spada a ponere paura ad una di esse
perchè li voleva bene e li fece fare ambasciata che si sarebbe
andato a pigliare tutte le robbe di essa: fu subito fatto car
cerare in Vicaria volendo questo infame impugnare la Divina
volontà in tanta buona inspiratione di quella povera Anima
convertita. » Due giorni appresso se ne convertirono altre quin
dici e « furono portate ad una casa di un ferraro che abitava
alla fontana di Tre cannoli, quale li raccolse con ogni carità
Christiana e due di esse si diedero fede con due persone di
sposarsi e nella Corte Arcivescovale non si vidde cooperare col
zelo di vera carità cosi nel far portare l'altre in qualche mo-
nasterio come nel sposare alle poverette; et alcuni devoti ha-
bitanti in quelle strade fecero alcune elemosine per sovvenzione
di esse et per farle sposare, et alcuni PP. di S. Pietro Mar
tire faticorno assai per detta Corte. (41) Nello stesso mese di
luglio il Padre Maria Gianvalle, domenicano, detto « lo fran-
zesiello » spedì al Vicerè una supplica perchè « stesse inteso
delle donne convertite nella missione, quali havevano bisogno
d'aiuto temporale. Diede S. E. una elemosina di scudi 50 per
farle prontamente alimentare e delegò per detto fine il Cons.
Antonio Fiorillo Capo di Rota nella Vicaria Criminale acciocchè
procurasse di collocare quelle povere donne a luoghi sicuri.

(40) Giornali dInnocenzo Fuidoro sotto il Governo dcll' Eccellentissimo Signor Don Gu-
sparro de Bracamonte*, conte di Pignorando l'icerè del Regno di .\apoli cominciati a
serivere. Ms. Bibl. Naz, X, B. 13.
141) Ibidem.
— i6o —
Obedì il Ministro e diede soccorso di denaro alle Pentite et
a quelle che già erano maritate diede dieci docati per una, et
li PP. Domenicani, con ordine suo dato a più scrivani crimi
nali , recuperarono diversi mobili dati a nota ad essi che si
ritrovavano nelle case dove esse erano prima nel postribolo ,
e trovorno varii intoppi di gente poco timorosa di Dio quali
tacevano la mercantia sopra l'honore e carni de quelle pove
rette dalle quali esiggevano usurariemente l'affitto de' vestiti
e si conobbe che la maggior parte erano in postribolo per il
mangiare, che non possedevano niente... » (42) E un'ultima nota
del Fuidoro medesimo conclude sull'argomento : « Essendono
state portate le Donne Convertite nella occasione della missione
fatta dalli PP. Domenicani nel Conservatorio dell'ospitio, fon
dato da P. Cordone Giesuita, dal Cons. Antonio Fiorillo e don
Pietro Carrafa a fine di poterle maritare o monacare com' è
l'institutione di d." Conservatorio, il Padre Blanditio Giesuita
successore del Padre Cordone fu di parere che non vi si entrasse
senza licenza sua e negandoli , che alcuni buoni christiani
auttori nel tempo della missione fatta in questo mese di
quest'opra, che portavano il mangiare a queste poverette, ven
nero con questo padre giesuita a disdette intrinseche poi che
la raggione era evidentissima, mentre la missione era de Do
menicani e non di Giesuiti, perciò quelle non trovorno cortesia
da questi mercanti di opre spirituali. Fu perciò risoluto che
havendono li Domenicani più Conservatorli della loro Religione,
come il Rosario a Porta Medina, che vi fece fare la porta che
prima si chiamava il Pertuso atteso era un forame fatto alla
muraglia della città, che si portassero in detto luogo. »

Ma le disgrazie, le eruzioni, le epidemie, le prediche, le


processioni, le pene stesse non riescirono a mettere argine alla
smodatezza de' tempi e a quella, specie, delle donne da par
tito. « Io posso testificare — scrive sempre il Fuidoro — die
in questo Regno di Napoli ci era assai più timore di Dio e

l.|2) IbillerU.
- i6i -
della Giustizia prima della guerra del 1647 e della peste del
1656. Hora tutto è lusso e pompe e senza sostanza, e la gente
della Giudecca fin tengono schiavi!... » Gli stessi Gesuiti, tra
una predica e una flagellazione, avevano aperta , nel maggio
del 1660, una grande osteria nel loro convento del Mercato,
detto il Carminello, e nelle taverne, che perfino davano allog
gio notturno alle prostitute, tutto il giorno era un va e vieni
di studenti e di soldati, di ruffiani e di smargiassi. Il perso
naggio della meretrice non mancava nelle commedie e pur
in quelle rappresentate a Palazzo : appunto in una di queste
commedie che fu data davanti al vicerè troviamo che Gero
nimo Bucca d' Aragona fa la parte della cortigiana Lavinia
e Rinaldo Miroballo quella del ruffiano Ambrosino. La com
media fu YAlvida, di Ottavio d' Isa, di Capua.
Del lusso e del vestire il Fuidoro medesimo ci fornisce pa
recchi curiosi particolari: nel 1660 il «vestire che si usa è
cosa inconsiderata perchè nelli rigori dell' inverno si portano
le calzette trasparenti di un filo di seta come rete e le scarpe
sottili, le maniche sfenestrate et aperte et ogni manica di ca-
misa grande come calzonetti di tela. Le manizze o manichitti
sono di prezzo, e capilliere posticce; così vestono quelli che
cingono spade. Altri portano le maniche ricamate o d'argento
o d'oro. Ed io ho visto venire ad impegnarsi un paro di queste
maniche al monte di Pietà per un creato vestito di nero che
cercò 20 docati per dette maniche pel suo Padrone et non
si fece il pegno ».
Anni avanti, nel 1630, le prostitute avevano usato ima sorta
di guaniti di rella di seta negra, e il costume era stato imi
tato da una sorella di Filippo IV che venne in Napoli , ma
ritata a don Fernando d' Austria. Nel 1669 arrivò in Napoli
dalla Francia «una cassa grande assai di capilliere posticce,
che chiamano penicene, nella Dogana. Ed è, perchè in questa
città tutti li nobili et altri zerbini portano simili capillere le
quali fanno calare due ali di capelli fino allo stomaco... (43)».

(43) « ... Louis XIII est donc le premier de nos Rois qui a repris de grands chevaux et
c'est proprement sous son Regne vers l'an 1629 que Ics homines ont commencé en Franee
de porter des Perruipies. suivant le temoignage de M. de Mezeray ». Iean Bait. Tim-RS :
Histoire des Perruquts etc. Avignon. 1777. p. 21.
11
- 1*2 -

Nel vestire il lusso voleva aver V aria di far concorrenza a


quello della Francia medesima: abiti maschili di raso fiorito
alla damaschina, di velluto riccio sopra riccio, o a millefiori,
cappelli coperti di raso di Francia o di taffettà rasato, scarpe
da donna, calzette trasparenti che ogni mese ce ne vuole un paio.
E pure, osserva il cronista, v' è qualcuno di questi eleganti
che non fa tavola e non può pagare il pigione ! Qualche anno
appresso egli nota: « Il lusso non cessa di crescere nel vestire
da tutte sorti di persone , e si sono aumentati li cappelli di
paglia coperti di raso di Fiorenza, scarpe sottilissime e trin
ciate, capilliere posticce e folte oltre misura che passano sino
alle spalle et al petto pendolonè... ».

Viveva — e ben viveva — in questi anni una bellissima donna


nata a Viesti, presso il Gargano, e a Napoli capitata non si sa
come. Era figliuola d' un cuoco e si chiamava Giulia de Caro.
In Napoli, caduta nella più svergognata dissolutezza e passata
per mani di parecchi di quelli osti e albergatori che pigliavano
in fitto da' lenoni donne somiglianti e le offerivano a' lor de
bosciati clienti (44), da uno degli ultimi suoi padroni ella fu
(44) « Considerato che a notizia di detta Maestà è pervenuto, coinè la felice memoria
del Signor Re Alfonso padre di detta Maestà, volendo ovviare ai mali portamenti trat
tamenti e crudeltà quali fanno i Ruffiani alle donne che tendono al publico, con impe
gnarle, e con danno venderle agli ostieri ed altre persone clic tengono alberghi, in tanta
gran baratteria, che dette donne eran serve, e schiave di detti ostieri il più tempo di lor
vita, prima che potessero restituire il debito, et multoties, se dette donne non volevano
obligarsì a quelle quantità che volevano pigliar detti Ruffiani da' detti ostieri, numeravano
dette donne di bastonate, et rtiam le ferivano: Statim ordinò e fece bandire, publice, che
nè ostiere o altro albergatore potesse improntar a donna di partito, ovver public», oltre
un'oncia e per mangiare e vivere suo e del Ruffiano o per vestire o che etiam qualsivoglia
obligazione che facessero o contraessero dette donne ad istanza di detti Ruffiani , sub
quovis quaestio colore oltre detl'oncia quomodocumque si provasse dette donne aver fatto
obligazioni per causa di Ruffiani fossero nulle e gli ostieri ed altre persone che contra detta
obligazione avessero fatta incorressero ad altra pena ad arbitrio della corte ». Considerato
he al presente si abusava detta ordinazione ed editto. « La detta Maestà vuole e co
manda che la detta ordinazione fatta per lo detto Signor Re suo padre quale esso per lo
presente Bando ordina e di nuovo fa che sia osservata. E qualunque persona che farà il
contrario d'improntare oltre d'un 'oncia per altro che per detta causa perda l'azione e il
credito ed incorra in pena arbitraria della Corte, qual'oncia abbia a servire per malattia
o mangiare o vestir della donna, e non per altro modo il quale impronto se l'abbla da fare
con licenza th scriptis della Corte della detta Maestà». Daium in Castro novo Neap. die
25 Aprilis 1470. Rex Ferdinandus. Paschas. O'arbon. Fe. Secrel. Valentinus Daveo Vice-
Cancelt. Man. Regais.—Tragmaticae, Edktaelc.De Meretricibus. Titulus CXL1X. Voi. II.
pag. 49° e segg.
- i63 -
sposata a un mascalzone di ciarlatano , saltimbanco e burat
tinaio romano che per poco tempo aveva piantato la sua ba
racca in Piazza del Castello. Sulle prime la Giulia poco gua
dagnò e questo segui nel tempo della sua luna di miele, povera
luna, che si dovette velare per la vergogna. Però, mancati i
provventi, Cappello d' oro, che era quel saltimbanco, abbandonò
la sposina. E la sposina tornò lietamente a fornicare , prima
alla Pignasecca, appresso alla strada della Concordia , una di
quelle delle quali s' era andato a mano a mano spargendo il
pendio famoso de Gelsi.
Era bella, aveva un certo spirito, una certa grazia elegante
che la mettevan su e la indicavano all' estimazione di don-
naiuoli abituati a pagar qualcosa più d'un testone (45) i favori
momentanei delle veneri della sua risma. Ed ebbe fortuna poi
che di lei s'innamorò da prima il Duca di Maddaloni, poi fu
preso don Antonio Munitolo (un altro aristocratico che met
teva in moda e lanciava le cortigiane), infine divenne svisce-
ratissimo amante il Duchino della Regina nipote dell' allora
Reggente Gian Giacomo Galeota. Il Reggente , seccatissimo ,
la fece carcerare in un Conservatorio dove la Giulia , che vi
moriva di noia, giurò all' inflessibile zio del suo amante che
subito avrebbe rotto ogni relazione con costui. E cosi ottenne
d' essere scarcerata , ma di restare in Napoli non potette ot
tenere il permesso e ne fu sfrattata intorno al 1670.
De' renseignements sulla prostituzione dorata di questo se
colo, intinti d' un' osservazione e di apprezzamenti tra burle-
voli e flagellanti, si trovano — a proposito della de Caro — nei
manoscritti, inediti fin qua, del Fuidoro, del Conforto e del
duca di Spezzano don Antonio Muscettola (46). Anzi questo
ultimo ha proprio dedicato alla Giulia un poemetto che volle
intitolar La Carilde (47) e ch' è una satira vivace della dis
soluta vita del tempo. Cosi sappiamo come avesse accompa
gnata la de Caro a Napoli una sua zia chiamata dal Muscettola
Perla di Micillo , come, ancora, una Maddalena Piselli, pur
zia della de Caro, fosse una schiava epirota di costumi sver-
(45) Moneta che valeva un tari e più, cioè quasi quindici soldi.
(461 Nato in Napoli nel 1628. Morto il 1679.
(47) Il poemetto fu publicato in gran parie nella Lega del Bene (Anno IV) dal chia
rissimo A. Broccoli che ne possiede una copia.
— 164 —
gognati non meno e come, infine, tutta quanta la famiglia della
Giulia, si fosse tinta e si tingesse della medesima pece (48).
E tra l'altre che il Muscettola onora troviamo la popolarissima
Isabella Mellone , ch' era una bacchettona famosa per le sue
turpitudini (49), eroina degna d' esser glorificata dal marchese
de Sade.
Altri nomi e nomignoli di secentesche sacerdotesse della
Venere pandemia occorrono qua e là or ne' manoscritti me
desimi, or nelle opere poetiche de' letterati del tempo, ora in
qualche Diario messo a stampa come quel delle Narrazioni di
Francesco Zazzera, tratte dai Giornali del Governo di don Pie
tro Girone Duca de Ossuna , vicerè di Napoli (50). Qui , a
esempio , è detto della Maltese « donna libera però famosa »
alla quale, celebrandosi nella chiesa degl'Incurabili la festa di
Tutti i Santi, fu vietato di penetrare nel tempio. Ella ci ve
niva per veder quelle monache le quali « havevano menato
vita libera » uscire dal noviziato e « andare a rinchiudersi » :
e quello era forse un suo sentimentale desiderio. Ma gli sbirri,
che la riconobbero, non permettendo ch'entrasse, la Maltese
« diede uno boflfettone allo sbirro ». Era presente il duca di
Ossuna e subito lo schiaffeggiato gli andò a riferir dello scan
dalo , e il duca « comandò che la maltrattassero a loro pia
cere, e gli sbirri le diedero di molte botte ». La Maltese ur
lava e strepitava: le dame, gelose de' lor mariti, si pigliavano
spasso e ridevano e per non farsi veder ridere « stavano con
li manichetti nei loro musi (51) ». Un altro giorno lo stesso
duca, ch'era un indemoniato coureur de femmes, passando per
Santa Lucia « entrò in una carrozza con Giovanna Maria
donna pubblica e ambedue passeggiavano per (sic) la detta

(48) « Carilda ha nome : e non pensar che sia


La prima di sua stirpe a te sacrata :
Fir puttana la madre e fu la zia,
La suora, la cugina e la cognata...
Muscettola : La Carilde cit. Canto II.

(49) li Cerlone , nelle sue Comtfledie , cita una Sabellona tra le usuraie del settecento
Rosa Percnoco, Càpodevacea, Pezz' a Il' nocchie eie. V. Francesco Cerlone. Commedie.
Napoli. 1778 V. S. di Giacomo : Cronaca del teatro San Carlino. Trani. V. Vecchi. 1895
Pag 52-
(50) NeWArchivio Storico Italiano. Serie ì. voi. XI.
(51) Arch. Si. Hai. cit. pag. 562.
- i65 -

carrozza in presenza di multe persone honorate che loro sta


vano mirando (52) ».
Nel 1620 il commercio di simili sciagurate avea sorpassato
ogni segno : una Dorotea , citata pure dallo Zazzera , faceva
« cose per rispetto delle quali tutti quanti hanno paura che
s' apra la terra ! » e andavano in giro notte e giorno per le
vie le prostitute in carrozza, e andavano per mare in barche
e si praticava « in parecchie case il crescite ed anche in pub
blico, con scandalo universale » (53). L'infame e infelice Do
rotea — cosi la chiama lo Zazzera — era un'altra di quelle che
godevano della protezione del vicerè duca d' Ossuna , prote
zione che spesso veniva a mancare d' un subito e capricciosa
mente non sapeva o non voleva liberar d' una sconcia pena le
meretrici cadute in disgrazia (54). Ma torniamo alla de Caro :
i lettori avran forse voglia di conoscere com' ella andasse a
finire. Non lugete, Veneres ! Ella, come vedranno, fini ricca...
ed onesta.

A somiglianza di parecchie delle donne publiche de' no


stri giorni che faute de mieux diventano di punto in bianco
canzonettiste la de Caro, che chiamavan dulla con un vezzeg-
giativo-storpiatura, tornata che fu in Napoli si dette al pen
tagramma. Prese in fitto una casa a Meigellina (55) e lei pre
sero in fitto altri signorotti impenitenti tra' quali furono un
veneziano cavalier del Vallo e il Duca della Torre Filomarino.
Fu fischiata a teatro ove improvvisamente le mancò la voce :
si mise in mano d' un certo medico Pignataro, riprese voce e
fama ed amanti, recitò e cantò alla presenza del vicerè duca
(52) Ib. pag. 616, par. XII.
(53) Ib. p. 578 capit. II, pag. 318.
(54) Diman mattina Sull'asinelio incoronata andrai... Muscettola : La Carilde. Canio II.
Nei Diurnali di Scipione Guerra, publicati a cura di Giuseppe de Montemayor, troviamo
citata una Dorotea Mitano, condennata in l'ita in carcere , alla quale il vicerè Cardinal
Zapata fe' la gratta, esiliandola, tuttavia, per sette anni da Napoli, — p. 121.
(55) « Ciulla de Caro Comedianle Cantarinola Armonica Puttana habita a Mer1;ogliuo nel
palazzo de Haccarella dov'è il concorso di tutto il passeggio delle Dame l'estate cosi per
mare come per tèrra et è salutata e corteggiata nel fervore del passeggio. rVfa perchè è
protetta dal cav. Vallo Comm. Gen, della Can. in Napoli (non si sa perchè essendo dello
Stato Venetìano) e dal Duca della Torre Filomarino nipole che fu del Cardinale di tal
nome non si parla di tarla sfrattare ». Fuiuoro. clt. Voi. I. p. 202. (Agosto del 1671).
— 166 —

d' Asterga (56), riebbe il Ducllino della Regina e si tirò ad


dosso un' altra volta i fulmini dello zio di costui. Un'altra volta
dovette lasciar Napoli (57) , ma ne rimase lontana per poco
tempo, tornandovi nell'ottobre del 1675. N'era partita — scrive
il Fuidoro—nel marzo dello stesso anno, per Roma « accom .
pagnata da molte carrozze e con ventidue persone armate tra
le quali un suo antico eunuco e uno sgherro o smargiasso ».
Il Fuidoro medesimo, al 2 di febbraio, aveva scritto nel suo
diario e con la sua curiosa maniera di scrivere :
« Per gare di rivalità d'amanti della Principessa delle Put
tane ricchissima e recitante in scena riavendo anche ell' appal
tato l' affitto della comedia, Ciulla di Caro: non si è palesato
qual cavaliere prudente con farne certiorato il vicerè riavesse
evitato qualche pronto scandalo tra il Duca della Regina Ne-
pote del Regente Galeota (ostinato amante) con don Dome
nico di Gusman Nipote del Vicerè, rivale e amante di questa
Signora la quale essendo vivo il marito e vivente in Roma, e
viene ogni spatio di tempo a pigliar grosso lucro dalla ven
dita doviziosa che fa sua moglie: potria inquirersi d'adulterio
dal Fisco et apportare un guadagno alla Camera Regia (se
caminasse la Giustizia) di centomila docati di facoltà che tene
questa brutta puttana, di capitali suppellettili argenti e gioie
senza scrupolo. »
Era, difatti, accorso in Napoli quel tal Cappello d'oro, ma
rito della Giulia, come appena aveva udito dei tanti guadagni
della sapientissima sposa. Ma un anno appresso il povero dia
volo la lasciò vedova: si disse ch' ella lo aveva fatto ammazzare,
e la trista voce si sparse per la città, ove pur andava in giro,
manoscritto, il poemetto d'Antonio Muscettola. Fra tanto la
(56) La sera del 2 sett. 1674 il Principe di Cursi Cicinelli fa rappresentare una Commedia
a Mergellina, e vi canta Ciulla e si reca a Mergellina anche l'Astorga. Le signore non ci
vanno dicendo che nessuna le poteva licevere. Cosi il Cicinelli si rappacia con la moglie,
e costei riceve le signore — Fuidoro. cit. Voi. II.
(57) « Si è publicato che S. E. riabbia dato lo sfratto a Ciulla di Caro chiamata la Princi
pessa per soprannome tra le Puttane per la sua ricchezza, essendo cascata dalla gratia
di S. Ecc. et anco si dice che il Regente Galeota per rispetto della prattica tiene il Duca
della Regina suo nipote con questa con la quale ha dissipato gran robba e fra l'altro il
Regente deplora una ricca cortina di letto di gran valore che fu di suo fratello e donata
da suo nipote a questa Puttana fortunata Altri dicono che Prospero Brisani havesse in
terceduto gratia da S. E. di farla partire decentemente senza che si'fusse palesato lo sfratto
e cosi si è sparso voce che vada per voto a Bari a visitare Santo Nicola... ». Partì nel
l'aprile del 1764. Id. ibid.
- i67 -
vedova si consolava con un secondo marito, tal Carlo Mazza (58),
giovanissimo, di buona famiglia napoletana. E visse col Mazza
venti anni ancora, recandosi ad abitare, a gli ultimi, ne' pressi
di Capodimonte ove mori nel novembre del 1697. Il suo elo
gio funebre si legge nel Diario di Domenico Conforto e
proprio in quel quarto volume che ricorre dal 1696 al 1699
e si trova, nell'unico suo esemplare, alla Biblioteca di S. Mar
tino. E dice il Conforto :
« È morta nel casale di Capodimonte, ove abitava col suo
marito Luccio (Michelaccio) Mazza sin dal tempo che si ma
ritò, la famosa un tempo puttana e cantarina Giulia di Caro,
che pria di maritarsi fu il sostegno del Bordello di Napoli
con suo grandissimo proveccio (essendo stata dopo che si ma
ritò col Mazza persona assai civile molto onesta e dabbene)
e ha lasciato ricca facultà ascendente a molte decine di mi
gliaia di scuti non vi essendo altri che l' unica sua figliuola
procreata col detto suo marito d' età nubile , ed è stata sep
pellita miberamente nella Parrocchia del suddetto casale, solo
con quattro preti, una che al tempo del suo puttanesimo do
minava Napoli et sic transit gloria mundi / Il Mazza si è im
possessato del tutto col nome di padre e legittimo ammini
stratore della figliuola ».

L'Astorga medesimo, come s'è visto, aveva protetto dulla.


Le signore della nobiltà , scandalizzate, protestarono alla lor
maniera non più recandosi a passeggiare a Posillipo e come
l'Astorga, il quale ogni sera cenava laggiù, pareva che si me
ravigliasse del fatto, le belle damine gli fecero rispondere che
elle non andavano ov'erano meretrici. Allora l'Astorga proibì
a tutte le cortigiane la passeggiata a Posillipo , e invano un
cavaliere lo supplicò perchè almeno facesse eccezione per la

(58) € ... È stato mandato carcerato a Baia Carlo Mazza giovinetto e nuovo marito di
Ciulia di Caro che si pose in bordello e si dice che facesse ammazzare il primo marito
come serissimo a suo luogo J>. Ciò accadde nel maggio 1676. Nel luglio dello stesso anno
« il signor Carlo seu Luccio Mazza è stato posto in liberta dal Castello di Baia, e cosi gode
la sua Principessa Ciulla de Caro che si sposò con esso li mesi passati, la quale può es
serli madre a questo giovinetto ». D. Conforto, Giornali cit.
— 168 —

De Caro la quale era commediante di Palazzo e quasi aveva


il diritto di mostrarsi in carrozza alla passeggiata; il vicerè
si negò , e si mise un deto sulle labbra come per dire al ca-
valier mezzano: Tacete. E dovette, crediamo, fare uno sforzo
singolare per resistere alla tentazione di farla passar liscia
alla sua Giulia carissima. Era questo spagnuolo un viveur im
penitente al quale nè il suo nè importava il decoro de' suoi
governati: il Fuidoro gli dedica brani parecchi del suo Gior-
nale e tra l' altro dice che « sotto il marchese di Astorga
trionfò il bordello col suo esempio e si propagò la corruttela
di ogni honesto vivere facile ad apprendersi dalla nobiltà e
giovini Nobili et altri cervelli sfaccendati Napolitani : la cra
pula, il gioco illecito et il vestire smoderatissimo alla francese
e spagnola insieme fanno un misto laido e scomposto al ve
dere ». Il Vicerè s'era fatto venir da Roma nani ed eunuchi
che gli componevano una piccola corte musicale: una quantità
di schiavi, col capo raso e con un ciuffetto di capelli in mezzo
al capo, affollava il Palazzo, ove il sessantenne debosciato co
stumava « la mattina di fare l'Albonzo cioè di far collatione,
costume inveterato fra gli spagnuoli. Et il suo Albonzo è la
cicolatte , ò talvolta un pollo di Latte , indi spolpatolo bene
bagna le mostaccere nel vino freddo e poi beve il medesimo
calice con tutti li frantumi di esse che vi son cascati dentro.
Et havendosi talvolta gravato lo stomaco di tanta robba che
vi potrebbono comodamente mangiar due persone cerca sca
ricarsene vomitando et se per avventura non è abbastanza
suppliscono i Christieri seu servitiali. Qual' or si trova flem
matico usa di pigliare il tabacco in fumo et ad ora di pranzo
si carica di nuovo col mangiare che per ordinario sono dodeci
et talvolta sedici piatti ! » E ai disturbi dello stomaco s'aggiun
gevano altri e diversi disturbi di volta in volta : il cronista
nota a 17 giugno 1673:
« Il signor vicerè è uscito ieri la prima volta , guarito di
due Tinconi regalatili da una Dama di Bordello, Romana di
Natione, alla quale, sotto colore che suo nipote v' havesse pra
tica, ha fatto dare il distierro da Napoli. Andò al Carmine in
Carrozza et si è veduto asciuttato di persona, essendo grasso
di faccia e di corpo ». E soggiunge : « Non si e visto mai

A
— 169 —

trionfare il bordello come in questo governo. Il signor Vicerè


non fa vita con la propria moglie : tiene un ridotto di femine
particolari dentro la sua casa, all' uso del gran signore Otto
mano e raduna nani vestendoli in forma religiosa e profana, e
schiavi maomettani. Alcuni staffieri si vedono per mare spesso
con conversatone di Donne Libere , pigliando esempio dalla
Corte del Padrone e dal Padrone istesso , che permette alle
Puttane di andare a passeggiar in Carozza, tra quali quattro
portano carrozze proprie à fronte d' ogni Titolato, il che non
si è osservato cosi nelli predecessori Governatori di questo Re
gno». A una festa a S. Antonio Abate, con la licenza dello
Astorga, si recaron meretrici in gran numero e perfino vestite
da uomini : a una celebrazione religiosa del giovedì Santo, se
guita in Palazzo , mentre si cantava l' officio apparvero diece
o dodece puttane espagnole, cosa mai più vista / Il vicerè ven
deva le cariche e gli onori (59), abbisognava ogni giorno di
denaro e non sapeva più che mezzi adoperare per raccoglier
ne. Gli avevano consigliato di « inquirere d' adulterio la Prin
cipessa Giulla de Caro ch' ha marito , e toglierli le sue ric
chezze che ascendono a 100 mila docati, di mobili, contanti,
gioie e compre... » ma l' Astorga non ebbe tanto coraggio. Fi
nalmente, nell'ottobre del 1675, egli dovette lasciar Napoli,
dove veniva a sostituirlo nel viceregnato il marchese de los
Velez. Sulla nave che lo imbarcò alla Darsena egli si fece por
tare vini , salami , « cose dolci, sciroppati , formaggi et altre
cose, e quattro botti di acqua di S. Pietro Martire tirata da
quel pozzo che è nel chiostro del convento ».

Sulle mode dei tempi dell' Astorga ecco qualche curiosa


notizia del Fuidoro :
« Le foggie di Cappelli che si usano hoggi dall' innobilità
di questa Terra Napolitana sono tre perciocchè si prende sem
pre diletto di far le scimie agli stranieri. La prima è detta
(59) « Il dottor Francesco Antonio Salernitano di bassissimi natali da Procuratore della
Casa Santa dell'Annunziata è stato fatto Governatore di detto Sacro Luogo col favore di
cento doble pagate alla Principessa Ciulla de Caro del Bordello, hora ha pagato docati
due millia e più per ottenere la Toga di Giudice... » Fuidoro cit.
— 170 —
alla Ciamberga, et viene usata da Francesi, Preti e soldati et
alcuni spagnuoli : disdice non poco poichè quest' uso va col
vestire alla Tedesca e perciò li Francesi le portano hoggi assai
più larghi di Falda. La seconda chiamano alla Pignoranda
come se detto Conte quando fu vicerè l'usasse, ma quelli usò
il garbo più grande cioè più alto et non cosi basso a segno
tale che andava dentro di esso la testa per intiera. La terza
dicono alla Targona come lo porta il Vice Re Marchese di
Asterga et in siffatta guisa viene usata dalla nobiltà, da spa
daccini e da alcuni dottori Zerbini poi chè tutti costoro vo
gliono essere dei primi a far le scimie Le maniche che si
portano son di taglio come un presciutto e v' ha chi pone
più e chi meno de drappi: vi son di quelli che ce ne vogliono
dodeci e più palmi con guernirli di merletti di Fiandra al
d' intorno et sopraposti siccome è lo stato et la conditione
delli huomini et cònforme anco all' humore da cui vengono
assaliti... » Il vicerè Conte d'Asterga vestiva « di campagna alla
giamberga e voleva che i suoi amici del buon gusto pur così ve
stissero, cioè: calzone chiuso e non aperto al ginocchio, giusta-
corpo quasi sino al ginocchio di colori che ognuno cerca di farsi.
E guemito tutto il drappo di trezze o merletto d' oro di lavori
stravagantissimi con mezze maniche e per Collaro un pezzo di
tela con merletto bianco come una ligaccia di gamba, e il cap
pello alla Giamberga ». Più tardi si usarono scarpe de cordovana,
vacchetta, marrocchino, co' le sole rosse spanttate a la franzesa ,
co lo tallonetto a la pisciavinola , scarpe chiuse a la spagnola ,
sgaviglìale co li coirielle, chianelle e scarpe arracamate pe dinto
a li chianelle (60). I signori portavan calze all' inglese, alla
napoletana, o alla romana lavorate di seta e d' oro , fatte coi
ferri o a telaio : le donne portavano vonnelle , todeschine, sut-
tanielle, cammesole, corpiette ricamate, sciammerlucche, cavardine,
fardiglie e guardinfante (61). Le cortigiane spendevano parec
chio in abiti di velluto e di seta e in biancheria, e si fornivano
da mercanti forestieri d'una certa finissima tela da camicie detta
sciosciala ca vola: la volgare tela della Cava occorreva alle dit-
teriadi di poco conto. Fra tanto dei nostri costumi e delle no-

(60) Sarnblli: Posillccheata, cil. Cunto I,


161; Ibidem.
- 171 —

stre usanze e della bellezza della città cominciavano a molto


occuparsi gli stranieri: il Colbert, giunto in Napoli nel 167 1,
incognitamente andò osservando le curiosità et cose notabili, l'Im
periale, che vi rimase, nel 1632, parecchi mesi e ne scrisse un
poco interessante giornale, vi nota, tra l'altro, la superbia della
contessa di Monterey, moglie del vicerè, e le sei famose bel
lezze aristocratiche che a Napoli chiamavano las matadoras ed
erano la duchessa di Cantalupo donna Tolla (Vittoria) moglie
del giudice Andrea di Gennaro, la principessa di Satriano, la
duchessa di Sant' Elia, la principessa di Belmonte, la duchessa
di Campochiaro e la contessa di Chiaromonte. « Queste — egli
dice — sono quelle istesse che in uno stesso cocchio sempre
mai sono vedute, nei medesimi luoghi ritrovate e delle divise
medesime vestite ». La Basile, quell'Adriana famosissima can
tante, invitava a casa il signor genovese e assieme a Leonora,
figliuola di lei , suonava l' arpa e cantava, e si passava con
molti aristocratici una divinissima notte. Al giorno appresso
si reca a far visita all' Imperiale tal Filippo Fenella e gli
legge un suo libro su' nei. L' ozio, il vaniloquio, le pastorel-
lerie, abbandonato il popolo alla sua ignoranza, la nobiltà sa
lita a maggior boria, ogni arte imbarocchita , ecco le carat
teristiche della fine di questo secolo decimosettimo. Gran ric
chezza non era se non presso i nobili : la plebe ammiseriva ognor
più. Intorno al 161S4 leggiamo, a esempio, nel Conforto: « In
questi giorni dalli R. R. Preti missionarii si è fatta un'opera
molto pia : poichè essendo cresciuta per la città molta quan
tità di figliuole sperte quali per la loro povertà s'erano date
alla lascivia e con scusa di cercare la carità andavano per le
stalle e dietro le porte delle case fornicando; li d. Preti ne pre
sero quante ne trovarono e le racchiusero a modo di mona
stero in uno palazzo preso a detto effetto a pigione vicino a
Ponte Nuovo sotto il titolo delle figliuole sperte di S. M. della
Purificazione dove sono ammaestrate e disciplinate da due mo
nache professe prese da altri monasterii e le danno a vivere
con le continue carità che fanno processionalmente per la cit
tà. » (62) Da parte loro gli scrivani, de' quali abbiam detto

(62) Conforto. Ms. cit. Anno 1682. E. di mano di un annotatore del ms. è soggiunto
a questo passo : « Quest'operazione fu principiata da un laico benchè vestito da prete che
— 172 —

avanti come di una classe pericolosa e facinorosa d' alphonses,


non avevano persa la lor mila abitudine di spidroneggiare sulle
meretrici : a io di giugno r684 , narra lo stesso Conforto ,
« uscì d;dla Vicaria la giustizia di un giovane scrivano cri
minale de' Borghi chiamato Antonio Fanelli per avere am
mazzato con coltello Nicola Vecchione giovane di anni 1 8, fi
glio unico maschio di Cianne Vecchione in rissa fra loro avuta
nel vico degl' Incarnati per causa d' una Puttanella...» (63).
Nello stesso anno era chiusi nel monastero di S. Antoniello
alla Vicaria, con alcun! aìlre puttane , una commediante detti
la Scarlatti; uno sbirro s' era vendicato del suo rifiuto. E di
quel che sbirri e scrivani osassero fare è testimonianza, tra gli
altri, il documento che segue, cavato dagli stessi giornali del
Conforto: « A 6 di luglio 1685, furono mandati in galera al
cuni sbirri smargiassi dell' Auditor Generale per causa che
con astuzia furbesca travestivano uno schiavo bianco da gen-
til'uomo con perucca all' usanza e ben vestito quello facevano
salire in case di Puttane come volesse trastullarsi con esse e
poi venendo essi con la scusa di voler fare qualche diligenza
in quella casa per ordine del Regio Auditore entravano in esse
e mostrando di meravigliarsi di veder lo schiavo travestito gli
levavano la perucca facendogli mostrare il ciuffo de capelli che
li schiavi sogliono tenere in mezzo la testa: per lo che tìngendo
di volere carcerare la Puttana per essersi giaciuta con lo schiavo
e perciò essere incorsa nelle pene statuite in simili casi, la quale
per non essere carcerata e svergognata bisognava che l'accor
dasse o con somma di denari se l' aveva o con vesti o con altra
cosa simile. » E il Conforto medesimo continua : « A 20 di
agosto 1687 di mercordì uno sbirro al Ponte di Tappia si uc
cise da se stesso volontariamente tirandosi un'archibuggiata,
si dice per sdegno havuto con la sua Puttana; però per mi
sericordia di Dio non morì subito ma pentito del suo errore
si confessò e cercò perdono a Dio. — A 12 maggio 1688 nelli

allessi che scmo nell'anno 1716 ancora vive chiamato per nome fratello Gaetano alquanto
di corta vista e quasi cicco il quale avendo con queste figliuole buscato molte limosine
per la città dopo vi s'introdussero i Preti come dice l'A. ».
(63) Di mano dell'annotatore al ms: « Questo Cianne hì esercito a fare lo sbirro durante
il contagio (la peste del 16561. Il Fanelli era fratello di Don Cesare buon poeta, che ha
dato molle opere a stampa ».

""\
- 173 ~
gradoni di S. Maria della Nova, ove stanno alcune puttanel
le, uno sbirro ammazzò con un archibugetto due soldati spa
gnoli e lui fu indamente ferito e ciò successe per causa di ge
losia di puttana quale era stata prima bagascia d' uno di
detti spagnuoli e poi dello sbirro il quale è stato cosi ferito
carcerato in Vicaria con tutte quelle puttane che stavano ivi
le quali andorno ligate a due a due in Vicaria. — A 25 di mag
gio 1693 è ritornato a Napoli da Roma ov' era andato fin dal
mese di dicembre passato don Alessio d' Alesio prete sacer
dote collo storto. Costui dopo la peste del 1655 aveva — con
essere scrivano di Vicaria — inhonesta pratica con una pub
blica meretrice chiamata danna la foretana che habitava die
tro le mura di S. Catarina a Formiello » (64).

A tempi del de los Velez, che avea assunto il viceregnato,


succedendo all'Asterga, s' eran publicati bandi coi quali il
de los Veles (65) voleva addirittura posare a Torquemada del
meretricio. La stessi sua moglie la quale — dice un contem
poraneo — non vuole conversatione di dame ma è di continuo
nelle chiese di monache, ristibill l'osservanza de' passati editti
e Prammatiche , che queste signore del Bordello non debbiano
andare in simili passeggi ne' in nessun modo, il che à dato edi-
ficattione a tutta la Città di questo zelo christiano. Ma nel 1678,
per la famosa processione del Battaglino « fu dato ordine in
iscritto, con viglietto della segreteria di Guerra, al Decano dei
Capitani di Giustizia che trovando donne libere e pubbliche
in carrozza non facesse molestarle nelle pene contenute nelli
ordini Regii : et in particolare furono nominate la Malaghe-
gna e la Messinesella. Questa ha per Galano Peppo Velli, e la
prima che è una strega e di tempo d'età ha per Galano Boni
facio d' Andrada, entrambi officiali di detta Segreteria.... » Nel
1679 si torna alla severità e S. E. il Vicerè « con il parere
dell' Ecc.mo Don Geronimo della Marra, che è della Congrega

(o^ « Lunedi mattina 6 di febbraro 1679 nella Casa della sua Puttana uno scrivano mori
di morte improvvisa, assaltato da apoplessia due volte... » Fuidoro, cit. voi. V.
(65j « Il de Los Veles era assai corpulento et amico di vini poderosi et anualmente beve
Vernotico di Nola di due anni riposato ». Fuidoro. cit.
- 174 -
tione dei concubinati e della Missione Apostolica e Maggior Cap
pellano di S. Maria Cattolica in questo Regno, dà il Bando a
trenta meretrici pubbliche , le più combinate con particolari
persone cospicue, fra le quali anco vi sono uomini casati che
le mantenevano... » (66). Ai soldati era stato proibito di fre
quentar case di male femmine ma ne accadevano sempre di
belle e a' Gelsi, specie, ove i militi spaguoli si sbizzarrivano
maggiormente: « Fu pochi giorni sono da un altro capitano
Spagnuolo di detta Armata (di Spagna) alloggiando in casa
di una meretrice a chiamare un Barbiero e fattali la barba ,
il spagnolo poi fece la barba al Barbiero, quale fù necessitato
con violenza fattali di minacce di lasciarvi la vita dentro quella
casa ritenendosi quel spagnolo il bacile d' argento e vaso della
lesciva similmente d' argento di valore circa di docati cento
cinquanta » (67). Un ultimo documento ci dà notizia di un
altro secentesco luogo di prostitute, frequentato da gente so
migliante ancor oggi. « A 27 di Aprile 1688, fu appiccato un
tal Nicola Barone alias Cesuriello lo Cocchiero, il quale fù uno
di quelli marioli, che furono l' anno passato appiccati per na
ver fatte molte rubbarie , e particolarmente nelle Chiese , e
costui essendosi salvato nella Chiesa de Greci (68), fù preso
pochi giorni sono in casa d' una puttana vicino a detta Chie
sa, et essendosi difeso nel prenderlo, feri malamente con uno
stiletto il Capitano de' birri; finalmente fù preso e gravemente
ferito, e tale, che se non l' appiccavano presto, poco più po
teva vivere, e fù portato al patibolo in seggia. »

Dal decimoquinto al decimosesto secolo la prostituzione


crebbe in Napoli con facile aumento e da plebea ch' era, sol
tanto, e spregiata agli anni della dominazione aragonese, si
costituì appresso , da' primi del viceregnato spagnuolo, come

(66ì Fuidoro, cit. Voi. IV.


(67; Lega dal Bene. Anno I, n. 5. Indicato a piedi della citazione: C. 95 v Seg. Ili
a 23 agosto 1675.
(68) « ... Sono quei Greci che dopo la rovina che diede Baiazette imperatore dei Turchi
a Corò e Modone nella Morea nel 1507... hebbero ricorso al pietosissimo Carlo V. et ot
tennero in favorito privilegio di poter ricoverarsi in Napoli, et fu loro assegnato un loco
per habitare ». Giulio Cesare Capaccio. // Forastiero. Napoli 1634, p. 6-7.
- 175 -
una vera e tolta corporazione del costume, o meglio, del mal
costume suntuario. Il seicento fece il resto e quella che era
stata, nel secolo precedente , da parte de' publici officiali una
frequente e pericolosa intromissione in queste losche faccende,
divenne addirittura, per la scandalosa opera loro, una mani
festazione continua della corruttela più smodata e cinica e del
l' impotenza civile di que' governi oppressori. Conseguenza ,
del resto, come la sarebbe ancor oggi, della fatai comunione
di due elementi quasi l' uno all' altro necessario.
Da' primi anni del secolo decimosesto a questi anni nostri
l' amor libero ha avuto in Napoli una topografia stabile, una
specie di relegazione in quei luoghi eccentrici della citta i
quali erano , or nell'alta sua parte , or fuori delle sue mura,
in borghi frequentati , per lo più , dalla soldatesca atten
data o acquartierata in que' pressi. La fine del nostro secolo
ha fatto, come nel borgo famoso che fu degl' Incarnati, crol
lare gli antichi baloardi che separavano dall'onesta gente quella
che la società condanna e spregia : il Risanamento ha purgato
in gran parte quella regione e dalle sue materiali demolizioni
e sistemazioni è quasi sembrato, in sulle prime, che dovesse
rampollare nelle vie nuove e spaziose —le quali mettevano l'aria
e la luce ove fino a quel punto i rituali misteri di quelle sacer
dotesse s' eran compiuti nella semioscurità di fondaci e chias
suoli — una civiltà novella e una morale più tollerabile. Ma co
me dilaga dal letto incapace d' un fiume l' acqua, e si spande,
e trascorre per tanti rivoli nuovi e ne abbevera intorno il terreno,
così, ricacciate da que' luoghi ove il loro commercio le aveva
perfin viste invecchiare, centinaia di miserabili sciagurate si
sono sparse ne' pressi della più vecchia suburra e han popo
lato tutto un rione ch' era stato de' primi a sorgere, per opera
de' risanatori, accanto alla Stazione Ferroviaria, sull'area ster
minata di terreni paludosi e deserti. Qui pareva che si doves
sero raccogliere pacifiche e oneste famiglie di borghesi decaduti,
di poveri operai, di ferrovieri , di quelli oscuri professionisti
dei grandi centri, afflitti da prole copiosa e da tribolazioni pe
renni. Qualcosa che somigliava a un sentimento pietoso aveva—
mentre si levavano, alti e capaci, i nuovi palazzi — additato
ai cittadini , con ipocrita retorica di gazzette e di discorsi
- i76 -
pronunziati in sale municipali, il provvido e civil destino d'un
rione che avrebbe dovuto ospitare gli umili eroi della fatica
giornaliera e dar loro un tetto che non usurpasse tutto quasi
il loro guadagno.
Cosi non è stato. E, come per una fatalità etnografica, la cui
dimostrazione è nei documenti di topografia che abbiamo rac
colto, la stanza del meretricio non si è più mutata a Napoli da
quei tempi antichi. Han mutato nome, non abitatori, gY Incarnati:
il quartiere dei Gelsi, con quasi somigliante aggettivazione,
continua a raccogliere quanto vi ha di più vile ed abbietto
nella mala vita: prospera ancor sempre la pianta del griffone,
e pare una flora notturna fecondata dalla tenebra.
E i due grandi mali che hanno conquistata la nostra plebe
dai tempi più remoti a questi d' oggi continuano, lentamente,
a roderla.
L' ignoranza, la miseria.
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