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XVII
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Masuccio Guardato presenta il suo « Novellino » A Ippolita Sforza.
Illustrazione del tempo.
i,l)a una qualtroceutma della Nazionale di Firenze)
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(14) Luigi, o Lodovico Aldemorisco, d'antica famiglia nobile del Seggio di Nido, fu, al
tempo di Ladislao, grande Almirante del Reguo. Mori nel 1414, pochi giorni dopo del re.
iviasuccio Guardato (Masuccio Salernitano) dedica alla magntfica ci colendissima Comare
Francischclla de Morisco la ventesimasesta novella del Novellino,
La tomba di Lodovico, (del quale fu moglie Isabella Brancaccio) opera del famoso abate
Antonio Baboccio, e nella chiesa di San Lorenzo. Ve un'iscrizione in parte latina in parte
francese. La famiglia Aldemorisco si spense in un Carlo, su' piiucipii del seicento. Vedi
Ul. Pietri : Delle liisloric Napolitanc. p. 208.
— 7 —
risco ne usò pel primo, appresso l' officio venne ereditato dal
costui nipote che si chiamava pur Luigi e da'fratelli di lui Nicola,
Francesco e Raniero. Ob corion notoriam rebellionem (si allude
forse alla congiura de' baroni onde si misero contro Ferrante
gli Aldemorisco tra gli altri) i quattro fratelli vennero privati
del beneficio. Succedette loro Nicola de Toraldo, al quale e a' suoi
successori, in feudum , si concesse la gabella con donazione
del 1459. La riebbe, infine, dallo stesso Carlo ViII, nell'aprile
del 1495, Gaspare de Toraldo. fe detto pur di costui nel Som
mario degli Atti della Cancelleria di Carlo Vili (15), publicato
da O. Mastrojanni nell' Archivio St. per le Prov. Napoletane:
« A 28 aprile 1495 re Carlo conferma ereditariamente a Ga-
(15) Regio Esecutoriale n. io, fol. 134.
— 8 -
ìw^mm
— IO —
e soggiunto :
Da viecchie antiche aggio sentuto dicere
Ca treccalle valea na chiricoccola ;
Avive pe seie grana, e non t'affricere,
Tridece pulicine co la voccola :
Lo vino ch'era fatto a Parmentiello
Valea no coronato a varreciello !
scritti non ci renderanno mai noti cosi come a' posteri nostri,
con indagini popolarizzate dall'odierno interessamento e dalla
copia de' libri e dall'agitazione stessa dell'avida scienza de' no
stri giorni, noi potremo far conoscere. Ond'è che la benevo
lenza per cose remote non guasta : certo , se si dicesse che
arride oggi a noi miglior fortuna, nessuno ci crederebbe.
Tuttavia, per l'indole di questo lavoro, che pur non è fatto
d'osservazione ma di semplice indagine, abbiamo voluto pene
trar più addentro in quel movimento cittadino del secolo deci
moquinto a Napoli a cui se non tenne dietro, come or seguirebbe,
la narrazione suggestiva, conferì, quasi inconsciamente , ca
rattere la letteratura novellistica del tempo , la quale ebbe
nel Modino ein Tommaso Guardato — più conosciuto questo
- i6 -
ultimo col nome di Masuccio Salernitano — due seguitatori
di messer Giovanni Boccaccio.
Narrò il primo di costoro, in un latino che tolse in prestito
un po' da tutti, ora dall'Apuleio or da Seneca o da Cicerone,
(senza tuttavia spogliarsi della propria ineleganza e di viziose
locuzioni e ancor di frequenti strafalcioni grammaticali) favole
che oggi nemmanco diletterebbero gli scolarelli , tanto son
grame. Sudice sono molto, è vero: forse quelli imberbi, quando
le ritrovassero tradotte in volgare, vorrebbero torle in pascolo
alla curiosità loro da ragazzacci. E pure Girolamo Modino ,
napoletano, dottore nel diritto civile e nell'ecclesiastico, scrisse
quelle novelle per la buona società del suo tempo l Poco prima,
nella Corte Aragonese — a somiglianza del Pulci , che nella
casa magnifica di Lorenzo de' Medici declamava il suo Morgante,
e del Boiardo il quale, in Ferrara , narrava alle nobili donne
e a' cavalieri infervorati le avventure d'Orlando — un Tom
maso Guardato, signore salernitano, aveva intrattenuto gli ozii
di « Madama Ippolita Sforza , figlia de lo Duca de Milano ,
Duchessa de Calabria , mogliere de don Alfonso d' Aragona
Duca di Calabria, intrata in Napoli a 14 di settembre 1465 » (21)
e delle sue damigelle. Il salernitano era andato loro leggendo il
suo Novellino , rappresentazione sincera ed efficace della vita
popolana e signorile sincrona, de' costumi e delle usanze e delle
credenze di quel volgo, ora turlupinato da monaci e da preti
che in quelli anni si lasciavano addietro i più famosi paltonieri,
ora inteso, quando ne avesse il modo, a sbertucciarli e svillaneg
giarli in casa e nella piazza. Di popolo e di signori il Guardato
s'intendeva ugualmente, da che in mezzo a coloro e alla plebe
era vissuto, ma con desiderio di schietta osservazione e di critica,
non davvero con lo sconcio intendimento che il suo contem
poraneo Modino manifestò, appresso, a ogni tratto del suo su
dicio libro.
Senonché quegli che legga il Novellino, può domandarsi con
meraviglia se Masuccio Salernitano non abbia voluto anch'egli
solleticare il senso de' suoi ascoltatori piuttosto che la lor cu
riosità. E questo proprio si domanda il Settembrini ancora, a
f 21) Passero — Giornali — cil. p. 27 Le nozze si erano celebrate in Milano nel maggio.
Vedi: Carlo de Rosmini; De.'Il'istoria di Milano, Milano 1820 — II. p. 503.
— i7 —
un punto della sua bella prefazione al libro del Guardato. Ma
per ribattere che se costui pur vantava, nella dedicatoria d'una
delle sue licenziose novelle, ]'inaudita pudicitia di Madama Ip
polita si deve intendere che fosse di que' tempi e in quella
principesca e numerosa famiglia comune e solita la libertà del
costume, anzi un certo libertinaggio che dalla Corte corrotta
scendeva alla piazza e diventava brutale oscenità nel popolo (22).
Qui preti e monaci questuanti bazzicavano a piacer loro nelle
case de' cittadini, sollecitando delle costoro donne ora la la
scivia ora la cupidigia , ingannando i superstiziosi o rilassati
mariti, aiutando fin la prepotenza de' signori e le astuzie delli
amanti. Qui — ad esempio — per udito dir dal Masuccio, due
frati « passati un giorno per lo Pendino de' Scigliati e veduta
quivi abitare e contro voglia stare al publico guadagno una
giovenetta siciliana di bellezza assai meravigliosa » subito pen
sarono di condursela in convento pel piacer loro. Ella avea nome
Marchesa, e quello forse era un soprannome. Si concedeva ll,
agli Scillati, per vile e menomo prezzo e stava al comune ser
vizio e dei beccarini di carne umana (23). Ed ecco , in poche
parole, descrittaci la meretrice del quattrocento. Il Pendino degli
Scigliati, o Scillati, o de' Mocci, pigliava nome da quella fami
glia nobile salernitana la quale possedeva case in Napoli, pros
sime alle case dei nobili napoletani Mocci e a poca distanza
dal Rione della Spezieria vecchia, nel quartiere di Portanova,
ove, a'tempi nostri, il risanamento della città quasi ogni pietra
ha fatto sparire di quelle antiche, ove dell'antico or rimane una
chiesa soltanto detta di S. Maria de' Muschini, edificata nel 1178
da Sergio Muschino, nobile del sedile di Portanova, restaurata,
nel 1305, da Giannello Cotogna, nobile del sedile di Montagna,
e riedificata, nel 1569, da' complatearii (24).
(22) Un contemporaneo, Filippo Gerard de Vigneulles, lorenese, che nel 1487 venne in
Italia dalla Svizzera dietro un araldo di Alfonso d'Aragona duca di Calabria, ci dice che
tornato dal Cairo don Alfonso figlio naturale di Ferrante « cominciò a menar in Napoli
la più infame vita di cui mai si fosse sentito parlare : la sua corte era piena di cattiva
gente ed egli si dimenava come un matto. » Più tardi questo bastardo era nominato ve
scovo di una diocesi di Napoli ! — Gedenkbuch dfs Metzen BUrgf.es Philippe von
Viunellles aus den Jahren 1471 bis 1522 etc. Stuttgart, 1852 —Vedi Appendice all'Archi
vio Storico Italiano, 1S53, pp. 224, 38.
(23) Novellino — Novella VII.
(24) Celano. Notizie del Bello dell' Antico e del Curioso della Città di Napoli— Napoli
1859 — Voi. V, p. 129.
— i8 —
(30) G. Rezasco — Il segno delle meretrici — Giornale ligustico, anno 1890 , pag. 161
e segg.
(31) FabRetti — Documenti inediti sulla prostituzione in Perugia — Torino. 1885.
22 —
(38) Epithalamium in nuptias Io. Goleata Sforziae Ducis Mcdiolaut el Isabeltae Arago-
niae Alph. II. Regis Neap. filiae (Ext. cum Sannazarii opcr. Latin, a Pyrrko Ulamingio
edit. p. 2S5) Biblioteca Brancacciana, Napoli.
— 25 —
B
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D' altra parte allo stesso Alfonso II non era meno piaciuto
di badare a fabbriche sontuose per le quali aveva cercato ar
chitetti e pittori de' più vantati. Tra le battaglie, e gli amori
parecchi ai quali si abbandonava, il marito d'Ippolita aveva
pur trovato il tempo di fare edificar da Giuliano da Majano
la mirabile villa detta del Poggio Reale, ad oriente di Napoli.
Qui convitava signori milanesi e gente sforzesca , qui amba
sciatori e cavalieri e dame illustri , qui si occupava pur col
Pontano, di volta in volta, alle cose dello Stato. E negli stessi
anni—la fabbrica di Poggio Reale principiò intorno al i486 —
(39J V. B. Croce./ teatri di Napoli: secolo Xl'-Xl'III — Napoli — Pievro 1891, p. 18.
... // Duca di Calabria nel tempo die suo padre regnava aveva fallo di crudelissimi insulti
e inquirie al Popolo Napolitano, con violare vergini, prendere per suo diletto le donne alti ni
et dei gentilkomini et dei cittadini, quale a lui piaceva, senza aver rispetto al Sommo Re
dentore... e oltre di questo si dilettava ancora del vizio detestando et abominevole della
Sodomia per qual vizio rovinano gli Slati, le terre e le città... — Muratori : Rei: ltat.
Script, t. XXIV, p. 12. Chronicum Venetum.
— 26 —
*
— 27
(40) Alcuni suonatori di rebec, violino primitivo, dilettavano gli ozii di Federigo nel
tempo in cui fu nella sua corte il de Vigneullcs citato sopra.
— 28 —
Bona Sforza *
Dalla Chronica Polonorum di Mattia de Mechovia
(Cracovia — Biblioteca Jagellona)
Castelcapuano
Angolo meridionale. — Litografia del principio del Secolo XIX.
*
S'è visto come gli Aragonesi non avessero troppo a scrupolo
l' autorizzare aperture e affitti di postriboli. Lo stesso Al
fonso I, nel 1451, aveva conceduto a un suo protetto Auxia
Milani, di famiglia originaria di Valenza, ampia facoìtà che in
una casa che il Milani avea presa nel mercato presso al Ponte
di Santa Maria del Carmine, che doveva essere hosteria, potes
sero senza essere molestati dalla Corte ripararsi lutti gli sgherri
e fuorusciti di quel tempo i quali erano compresi sotto nome di
ruffiani (55). E il cronista soggiunge : Questa è certo cosa de
gna di meraviglia! Fra tanto la Gabella prosperava. Le clausole
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— 44 —
bassa della città e specie in vicinanza del mare le meretrici po
nessero casa. Chi ha letto con qualche interessamento il Deca-
tnerone — specie se è stato lettor napoletano — ricorderà d' un
Andreuccio, perugino, al quale il narratore giocondo fa incoglier
disgrazie a carrettate. Venuto a Napoli con que'mercanti che vi
si recavano per le fiere famose di Capua, di Salerno, di Bari (57)
il povero Andreuccio cascò nelle mani d' un' allegra donnetta la
cui fanticella « a casa di costei il condusse la quale dimorava
in una contrada chiamata Malpertugio (58) la quale quanto sia
onesta contrada il nome medesimo il dimostra » (59). E in casa
della bella donnetta l'Andreuccio, accontentandosi, da quel bravo
figliuolo ch' egli era, di passar tutta la sera in discorsi volle
ancora passar la notte che gli fu fatale. Poi che avventura
tosi , per un corporal suo bisogno , in uno stanzinetto della
mala casa, a un tratto si senti mancar la terra sotto a' piedi
e, seminudo, precipitò, fortunatamente da poca altezza, in un
chiassuolo ch'era di sotto. Cadde lo sciagurato sopra qualcosa
onde si ritrovò tutto insudiciato e puzzolente , e quando si
levò e chiese, invano, i suoi denari e gli abiti suoi a un ma
scalzone che s'era affacciato alla finestra della bella , e invano
picchiò e ripicchiò a quella porta, stanco, finalmente, e di
sperato « si torse a man sinistra e su per una via chiamata
la Ruga Catalana si mise ».
La via che il Boccaccio chiama del Malpertugio sarà fra
poco, se pur non l'è mentre ne scriviamo, distrutta dall'opera
del risanamento della parte bassa della città. Al tempo del
Boccaccio , compresa in assai minore spazio di quel che a'
tempi nostri la raccoglie , Napoli , specie dal lato del mare ,
s' intersecava di stradicciuole tortuose e strette, ma non meno
quelle , che fino a pochi giorni addietro furono i vicoli più
luridi, si dicevano vie. Però non è da meravigliare se, pros
sima a Rua Catalana, la via del Malpertugio, dalla quale ori
ginò , forse , il vico detto Pertusillo , sia stato quel budello
che fu sino a ieri. Piuttosto è da notare l' antichità porno-
(57) Vedi G. De Blasiis. — // Boccaccio a Napoli —Arch. Stor. per le Prov. Nap. voi. IV.
(58) Boccaccio. — /7 Decamerone — Giornata II, nov. V.
(59) Nel 1359 era in Perugia un luogo detto Malacucina, di fama uguale alla nostra con
trada di Malpertugio. E in Pavia un luogo simile detto Malnido.
45 -
grafica di que' luoghi i quali, nel quartiere di Porto, accolsero
prostitute e Griffoni dagli anni durazzeschi a' nostri anni. É
dal trecento che nella Rua Catalana e ne' suoi pressi com
merciano meretrici. Le case infami del vico Pertustrilo, or ora
demolite, ne hanno fin qua radunato come chi dicesse il fior
fiore.
Il vico Pertusillo sarebbe dunque derivato dal Maipertujno
del secolo decimoquarto. Verso la fine del decimoterzo i Fio
rentini, per non restare addietro a' Pisani, a' Genovesi, a' Ve
neziani — che già dal XIII secolo avevano ottenuto concessione
di comprare e vendere in Napoli e di tenervi fondaci e log
ge — cominciavano a trafficar nel meridionale a'mercati e alle
fiere e, a proposito d'un Niccolò da Cignano , appunto parla il
Boccaccio medesimo, in un'altra delle sue novelle, della frequenza
de' suoi conterranei nella nostra città « dilettevole , o più come
ne sia altra in Italia ». Qui, ;id esempio, un medico Tommaso
insegnava, fiorentino, nello Studio nostro illustre (60), qui, pre
posto alla Zecca de' nuovi carlini d'oro in Castelcapuano, viveva,
ben guadagnando, il suo concittadino Francesco Formica (61),
e logge e fondaci parecchi qui pur vedevano appresso, abitati
da que' mercanti avidi e operosi, il giglio ghibellino in fronte
a' loro palazzetti.
Caratteristica di questa via mercantile e popolata, come di
tutte quelle che fin dal tempo angioino accoglievano quanti
da mare entrassero in Napoli a trafficare (62), furono i fon
daci, anzi fu il parecchio numero d'essi che a manca e a de
stra della strada la penetravano a somiglianza di tanti vicoli
chiusi, in fondo a' quali, ov'era un larghetto e si radunavano
a cicalare , indisturbate , le donne , ora si vedeva un albero
fronzuto al cui rezzo piaceva alle comari d'intrattenersi, ora,
più petulante, chiacchierava una fontana per bocca d'un ma
scherone smussato. Il fondaco di que' tempi, abitato da gente
(60) Minihri Riccio. — Regno di Carlo I etc. ad an. Reg. n. i, f. i7o t.
(61) Sambon A. I. — Monnayage de Charles I d'Anjoa — Paris, 1891. Vedi pure: G. Dk
Blasiis. — // Boccaccio a Napoli — In Arch. Stor. per le Prov. Napol. voi. XVII, p. 77.
(62) « Vien detta con questa voce francese Rua perchè la regina Giovanna 1 francese,
per introdur nezpzii nella città v'introdusse parecchi mercatanti forastieri assegnando a
ogni nazione la sua strada: ai Catalani assegnò questa; ai Francesi quella presso S. Eli
gio e si disse Rua Francese ; quella dove è ora la Selleria ai Toscani e si disse Rua To
scana... « Celano— cit. — voi. IV, p. 299-
- 46 -
I.uCA GAURICO.
1.77) Atti del Siìnato di Parilìi. — Registra du Couscii 1496-97, n. XL, f. 74.
- 5» -
cioè la vera lue o sifìlide costituzionale, rimarrebbe però sem
pre da dimostrare come e per quali accidenti nel tempo anzi
detto succedesse per siffatti morbi mutazione tanto profonda.
Del che la cagione vera tuttora rimane ascosa.
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~J3iCrrìj^ljrj.
^S
Meretrici publiche — I>al Vecellio.
N
— 59 -
la posizione dei pianeti pel cui maligno influsso era nato (78).
Scrittori venuti appresso, tra'quali il Sanchez (79),l'Heusler (80),
il Gruner (81) sostennero che fosse peste venerea : a costoro op
pongono il parer loro il Simon e l' Hecker. Nelle sue opere
mediche il Mercati scrive a proposito : « Suni qui ex India
apportatimi fuisse ferant, sunt etiam qui in obsidione Neapolita -
norum, cum Galli provinciam hane expugnare tentarunt, prin-
cipium duxisse fetant... sunt etiam qui referant ex His/ianorum
luxu in eodem bello ortnin duxisse... (82) »
Nelle sue Terze rime, al Capitolo del mal franzese, Messe r
Bino scriveva :
... e quest'unguento
Alle juncture, ut infra, preparato
E ben composto cum el vivo argento
Kxtincto prima et possa col butyro
Lavato, incenso, muschio et therebento
Mixti nell'ola et cum fervente giro
In el eneo mortar pixto et contrito
Nell'ola poi serbato é al morbo diro.
CORTIGIANE VENEZIANE
Quadro del CARPACCIO — Museo Correr j.i Venezia.
- 6r —
duzione nella cura del mal venereo assieme agli altri rimedii
che si componevano, come il guaiaco, di semplici, e ci venivan
dall'America stessa : Initio quidem Medici mercurium in unguen-
tis caldissime adhibuere, post convenientem preparationem et dosi
parassinna , ut qui aegrotantibus metuerent a remedio nondum
satis explorato. Sic in unguento , quod a Torrella proponitur ,
Mercurius vix cedebatin quadragesimamparlem reliquae materici:
in decimam quintam vel decimam quartam ad summum in un-
guentis, quae a Gilino aut Aquilano proferuntur; demum in un-
guentis quae prostuuì apud Wendeliniun Hock, ad octavam, quod
maximum erat. Parcior ea quidem erat Mercurii quantitas, sed
quae poluisset prudenter deinde augere duci experientia, ut auc-
lam fuisse certum est , atquc ea ratione pedetentim ad debitam
dosim deduci. Sed placuit Empiriris improbissimo et inconsidera-
tissimo nominimi generi , praecipitantia omnia perdere , nullis
praemissis universalioribus remediis Mercurìum temere illinendo:
Imo cum Mercurium a Medicis parcius illitum ad curandam luem
veneream plerumque inefficacem esse deprehenderent, in contrario
peccanda aegrotantes nimia etpraecipiti hydrargyrosi ita opprimere,
ut remedii vehementia mortem obirent non pauci, ceteri vero, qui
valentissimi velfelicissimi erant, pryalismo, diarrhoea, oris ulceri-
bus, marasmo confetti, macilenti, luridi, squallidi, edentati, balbu-
tientes, ore obligato capistratis, post miserias diuturnas et miser
rima^ lente convalescerent. La plebe, come quella ch'era a un
tempo più ignorante e men denarosa e s'affidava alle ciarlatanerie
della piazza, ebbe a soffrire le maggiori asprezze del male e
dette di se spettacolo miserando. S' era alle porte del secolo
decimosesto : una vita novella pareva che dovesse ripristinare
ogni cosa; si rianimava ogni spirito, il denaro correva le piazze,
Roma, la grande città de' papi, era come nel fior della sua vita
intellettuale e liberale , la scienza accresceva le sue scoperte,
l'arte disseminava capolavori per chiese e palazzi e case princi
pesche. E pur nessuno potette , di que' tempi , legare il suo
nome a quella che sarebbe stata la più nobile vittoria del Ri
nascimento: la lue venerea, che si diffondeva con rapidità spa
ventosa, trovò impotente la medicina, deboli o poche le misure
di polizia, falsi i concetti dell'origine del male, pericolosa la
terapeutica. A' suffumigi si ricorse poco dopo il 1506; furono
— 62 -
A femina — sentenzia il
del Tuppo — è uno ani
male imperfecto, una rosa
fetente, uno veleno dolce,
instabile più che lo aere
vagabundo ». E nella sua
morale alla favola delgio
veene e di Thayde, misogi
no arrabbiato, egli con
siglia a' giovani di star
quanto più possano lon
tani dal pericoloso e fre
quentissimo contatto.
Dalla fine del quattro
cento s'era visto crescere
in Napoli il meretricio a
vista d'occhio e dopo Ro
ma e Venezia, ne' primi anni del secolo decimosesto, veniva Na
poli, e a Roma stessa — chi voglia credere all'Aretino'— si molti
plicavano le prostitute per opera principale d'una napoletana :
« Hor di quelle tante napolitane — scrive messer Pietro — sa
rebbe troppo a contar tutta la genealogia, perchè sono più di
quaranta tra le madri, le sorelle ele nipoti: e de la antiquità
— 72 —
(4} Gr. Ardi, di Stalo ili Napoli — Amministrazione interna — Collaterale Curiae ! . 1481 -54.
e. 70 a. Rex Siciliae.
'51 Privilegi el Capitoli con altre grafie concesse alia fedelissima citta di .Xapoli... pet
it serenissimi A'/ de Casa d'Aragona — Venetia i.s8.*, p, 46.
- 74 —
« ... Considerato ancora che per causa de le meretrice et
inhoneste femine so in questa cità molti ruffiani , citatini et
forestieri, se supplica però Vostra Cath. Ma. che se digne ordi
nare et comandare al regente de la gran corte dela vicaria ,
li debia cacciare, perseguitare et punire, et non permetta per
respecto, ne causa alcuna, sia alcuno ruffiano in dicta cità, et
ad majora efficacia Vostra Catho. Ma. per lo presente Capitulo
conceda facultà ad li electi de dicta cità che possano revedere
lo regente ad la executione contra li dicti ruffiani et ditto re
gente lo debba exeguire sub pena privationis offieij. »
Il re non si fece pregar molto. Assieme a questa sopra riferita
egli aveva avuta un'altra supplica che qui ancora trascriviamo:
« Item supplicano, che attento le constitutione del regno di-
sponeno, che le meretrice, non habbiano ad habitare in li lochi
dove habitano le persone honeste , et da bene et ad quisto
effetto fo antiquitus in la cità de Napoli indutta una certa
gabella, per la quale lo gabelloto exige da omne meretrice uno
certo pagamento, omne septimana, et deve essere sollicito ad
fare che tutte le meretrice debbiano habitare in li postribuli
publici ad cio deputati , et perchè ditta gabella è de privato
et da certo tempo in qua lo gabelloto no se è curato, ne cura
fare andare le dicte meretrice in li ditti postriboli publici pure
che li pagano la gabella, per questo, se digne Vostra Chatolica
Maiestà ordinare et commandare che dicta gabella non se possa,
ne debia exigere si non da quelle meretrice che habitaranno
in ditti postribuli publici, et questo ad effetto che dicto gabel
loto sia sollicito ad andare ad fare andare ad habitare dicte
meretrice in li ditti lochi etc. etc. »
Ancora più tardi il primo vicerè per Ferdinando il Cattolico,
Consalvo Ferdinando di Cordova e d' Aguilar (6) bandiva a
29 giugno 1507 :
« riavendo i tempi addietro Sua Maestà fatte fare provvisioni
e Bandi che in questo suo Regno non presumesse alcuno, di
qualsivoglia Nazione, esser Ruffiano e che niuna meretrice seu
donna da partito , presumesse di tener Ruffiano publico nè
secreto: Volendo Sua Illustrissima Signoria che tali ordinazioni
(6; Ferdinando il Cattolico Re di Napoli dal 1503 ebbe in moglie Isabella regina di
Castiglia. Mori a' 23 di giugno 1516 di anni 64 avendone regnato 52 in Ispagna e 12 iu
Napoli.
- 76 -
totalmente si osservino e per fare questo Regno di tale abomi
nazione libero: Si ordina e comanda a tutti i Ruffiani , che
tengono donne da partito di qualsivoglia Nazione si siano, che
fra il termine di dieci dì dopo l'emissione e publicazione del
presente Bando in avanti computando si debbano partire ed
uscire da questa città di Napoli e questo Regno, ed in quello
non tornare senza espressa licenza di Sua Maestà sen di detto
Illustre signor vicerè, alla pena di esser posti in galea ed in
quella stare ad arbitrio di detta Maestà ovvero di detto Illustre
vicerè. E le dette meretrici seu donne da partito non osino nè
presumano per qualsivoglia modo publico nè secreto tenere
Ruffiani, nè a quei sovvenire nè sostentire sub poenci di esser
vituperosamente frustate per Napoli o altro luogo di questo
Regno dove si troveranno e d'esser perpetuamente scacciate
da detto Regno e bollate in fronte. Datum Neap. In Castro-
novo die 29 Junii 1507. » (7)
(9) « ì Germini sopra quaranta meretrici della città di Fiorenza dove si conviene quattro
ruffiane le quali danno a ciascuna il trionfo clic è loro conveniente, dimostrando di ciascuna
il suo essere. » in Fiorenza, appresso Bartolomeo di MiclielauKelo. 15S3. [Biblioteca Pu
laiina —' Firenze),
( io) Modello.
- 78 -
come il Garico strologo, e lo abisso è tutto suo, e sa quante
legne vanno a far bollire le caldaie, dove si lessano le anime
de' monsignori... S'intoppa in un birro e gli dice: da paladino
ti portasti hieri nel pigliar quel ladro ; imbattendosi in un
mariuolo si gli accosta a l'orecchio con dirgli: tagliale destra
mente ; dà di petto in una monaca e le fa di capo dimandando
de la Badessa e de' digiuni che fanno ; ecco che vede una
puttana e fermatasi seco la prima cosa le dà del voi sete più
bella che meni la testa : s'incontra in uno hoste dicegli : trat
tate bene i forastieri ; ad uno spenditore : comprate buona
carne ; ad un sarto : non rubbate il panno ; ad un fornaio :
non abbrusciate il pane; ad un fanciullo: tu se' fatto un homic-
ciuolo , impara bene ; ad una bambina : tu vai alla maestra ,
eh? or fatti insegnare il punto incrociato; a quel de la scuola:
date le palmate et i cavalli con discretione perchè dove non
son gli anni non vi può essere intelletto... Hora ella ha in
contrato un giovene, dettogli: io ho trovato una bella cosetta
che se ne contenteria un Conte; appena scorge un Romito che
ella dice sospirando : Iddio a voi à tocco il cuore et a noi le
mondanità; s'imbatte in una vedova et si mette a piagner seco
il marito che le mori dieci anni fa ; vede uno sbricco e gli
dice: lascia star le quistioncelle; trova un frate e domandagli
se la quaresima viene alta l'anno seguente... (n)» Trentamila
meretrici a Roma, su' principii del secolo; ventimila mezzane!
Da Napoli, di volta in volta, si recavano a Roma — vero El
dorado del meretricio — napoletane a squadre. In una nota di
ricche prostitute di Roma al principio del secolo decimosesto
troviamo le due Napolitane alla Piazza di Spagna , le quali ,
come le lor compagne, avevano carrozza propria. Altre posse
devano case e vigne, altre luoghi di mante , e tutte stanno in
casa con argenti et addobbi da principesse (i2j. Lesi conosceva
co' lor nomignoli e le si chiamava la Popazzera, la Cipolletta,
la Cicoraria, Martucchia , Barbara siciliana , Cilecca spiritata ,
Nina Barcarola. Famosa quella Lucrezia matrema non vole che
aveva a mente tutto il Petrarca e il Cento del Boccaccio e versi
(ir) P. Aretino. — Capricciosi e piacevoli ragionamenti. Giornata III. Parte II, p. 344
e segg.
(12) R. Archivio di St. di Firenze. — Filza Medicea, n. 4033.
- 79 -
di Virgilio perfino e di Orazio e di Ovidio ! A Venezia pur
altre napoletane allegramente emigrate trovavano chi le ad
ditasse in sudici panegirici :
(13) Trionfo della Lussuria, pasquinata stampata in Vineggia per Francesco Bindom
et Mapheo Pasini compagni , ad instantia de Hippolito detto ci Ferrarese a di XXVII
gennaro 1S37-
(14) « Jl monastero di Monteoliveto sorse nel 1400; con un trattato con l'abate di Montecas-
sino si ebbe un sito fuori delle muraglie di Napoli detto l' Ampuoro... » B. Tondi : L'Oli
veta dilucidato. Venezia, 1686. p. 60.
(15) C. Celano. « Nel principio del 500 i padri Certosini di S. Martino possedevano tutto
il territorio della montagna principiando dal di loro monistero fino alla strada di Toledo.
Essi crnMiarono una parte di questo che principia dalla casa già detta di Suor Orsola e
proprio dalla casa dei signori Spinelli dei principi di Cariati e tirava addirittura fino ove
— So —
Invece uno studioso di cose patrie che a' nostri giorni ha scritto
copiosamente, e con molta novità di notizie, della via di To
ledo (16) crede che fosse chiamata de gelsi , anche prima di
toccare in censo allo Spinelli , quella ubertosa collinetta. Certo
è che alla nuova cultura essa rispose in maniera insospettata (17)
e divenne, quando il bel verde giocondo vi rampollò e la sparse
d'un pittoresco disegno d'alberi e di capanne, il più noto e più
frequentato luogo di scampagnate plebee. Lì , al rezzo delle
piante odorose e sull'erba molle, tavole bandite ogni giorno;
lì canti e suoni di colascione e di salterii; lì, davanti alle comitive
intenerite dalla dolcezza del tramonto e dal bianco vinello, Masto
Lonardo e Giovanne de la Carriola e Compare /unno Cecala
e il Re de ll'attcielle (18): improvvisatori e filarmonici ambu
lanti che accompagnavano su' lor istromenti la lirica estempora
nea delle « villanelle » (19) e delle ariette più arcadiche. Di
una delle quali, (20) rimasta famosa per lungo tratto, il ritor
nello diceva :
Amor, ch'io viva più non è possibile /...
E davvero per la fiorita campagna più l'amore trascorreva
che altro: davano i gelsi prosperanti frutti ora mori ora bianchi
a' primi giorni di giugno e quel dolce loro odore e l'aria già
ora stanno i macelli della Carità non più che per 60 scudi d'annuo canone al conte di
Castrovillari ed ora principe di Cariati.
Era questo luogo incolto e selvaggio: principiò il conte a farlo riduire in coltura; e vi
fece piantare una quantità d'alberi di celsi e mori e bianchi per alimentare i bombici per
la seta. Con questa coltura il luogo riuscì delizioso in modo che i napolitani vi si portavano
a ricrearsi: ed in queste ricreazioni si dava in molle scialacquate e laidezze, in modo che
si introdusse in Napoli un adagio ed era come finora va attorno ehe quando si vede in un
luogo onorato qualche lasciva e sfacciata azione si dice : E che si sta ai celsi ? p
(16) A. Colombo: La via di Toledo. In Napoli nobilissima. Anno IV, fase. I e segg.
(17) Tra i deputati dell' Arte della seta troviamo nel 1647 , pel quartiere Delle Celze :
Jacovo Antonio Tortora, Stefano Burgonuovo, Masillo Giordani e Battista Bove. Per le
Celze erano quattro, per gli altri quartieri due soltanto. — Capecelatro — Diario. Voi. I.
p. 239. Il Tribunale dell'Arte della seta fu instituito da Ferrante I d'Aragona nel 1474.
Giulio Cesare Capaccio — // Forastiero, p. 306.
(18) Vedi Lo cuuito de li eunte di G. B. Basile, annotato da B. Croce. Giornata IV.
Tratt. 6, pag. 14, nota 86. '« Addove si tu mo Junno Cecala? Torna o Giovanne de la
Carriola!» Sgruttendio — La Tiorba a taccone — Son. Vlii. Corda I.
(19) « Le villanelle erano canzoni dettate sì in italiano come nel dialetto le quali sin dal
secolo XVI avevano acquistato tanta faina che si desideravano e si ripetevano anche nei
paesi stranieri. Il Costo, dal quale cavo questa notizia, riporta pure il principio di alcune
di esse, come: Napolitani, non facile folla ele, Sii suttanielle, donna, che portate, o ac
cenna al pensiero di altre come quella del trasformarsi in pulite (pulce) per mozzecar le
gambe alla signora » — B. C apasso : La famiglia di Masaniello — Na|>oli 1875, p. 76 . nota 60,
(201 La Carii.de. — Ms. di Antonio Muscettola.
— 81 —
(21) « ... Considerando quanto sia detestabile e gravissimo il delitto di baciar le donne
per forza nelle loro case, nelle Chiese, nelle strade publiche... » il Re Roberto, con suo
editto, dette pena di morte. Fu riconfermata questa pena, con piamm, di Don Perafan
de Rivera, nel 1563, a 9 marzo. V. Pragmaticae , edicla , decreta , interdicta Regiaeque
sanctìones Regni Ncapolitani — Neap. 1772. A. Gervonii. Voi. Ili, p. 591. (De osculanti-
bus mulieres).
(22) In una città delle Puglie, ci dicono, si chiaman gualani i fabricatori di ricotte.
6
— 82 —
(23) Capecelatro. — Diario. Voi. I, p. 208. Sugli scrivani vedi l'interessante capitolo
nella Descrizione geografica e politica delle Sicilie del Galanti, Tomo II, p, 319.
- 83 -
quelle figure le quali a noi di tre secoli posteriori appaion
ritratte su per le stampe ingiallite o sulle tele.
Il vago e signoril Poggioreale, veramente regal poggio e giar
dino era sempre nel cinquecento, e lo fu ancora nel decimoset
timo secolo, luogo d'ogni piacere, e cosi aristocratico luogo
come borghese:
/""-
- 84 -
come portar li suole
del cui color ciascun ne sta amirato
che illustra il volto e il capei fa indorato.
più abbasso,
se andrete a vostro spasso
ritrovarete cento librarie.
trovarete i Gipponari,
e dietro lor i buon Matarazzari,
et un vichetto pien di Cortetìari.
E propriamente que' che fan bottoni
(oltre in cento cantoni)
al Pennino il botton mai n'è mancato
cosi di Santa Barbara chiamato :
dove vedrete quelle
maestre di botton legiadre e belle.
(26) La via e la strettola degli Orefici sono state abbattute dal Risanamento.
- 87
(27) « Il Dottor Chiaiese era una celebrità de' suoi tempi (XVI-XVII Sec.) Per pochi
soldi dava il suo bizzarro parere sulle questioni che gli si sottoponevano. » (Croce in
Basile cxii). Vedi Cortese: « Conziglio dato da lo Chiajesc ad una persona che l'addi-
mannaie qual fosse meglio nzorarese o stare senza mogliere. » (Questo compon. si trova
in qualche esemplare del L'unto 50 volumetto, stampato il 1036, dopo la dedicai.
- 88 —
fa i/uxdZjyu* ,~&&
- 89 -
pagava 180 ducati annui di fitto (28). Il del Tufo consacra ad
essa un'infilzata di versi laudativi :
Lloco le Corlesciane
Fanno lo sguazzatono :
E all' nocchie de corrive,
A spesa de perdente
Ne spo?pano tanl'ossa...
Le « VILLANELLE ».
plOiiiiilIIIIigl
fa li ti u Ecco t'it core Che per te mo re
liìUlMiliiillI
Se non foccor te la tua bel t» fa li h U la
mmm—
fc U la l' 1> fa .1 13 li la fa li la U.
O Ricctntma t O Signorina ! O Patrone ina !
I.AMRARDI — Op. t'it.
16 ALTO
ÉìIIììéIIIIeSìI
Ho. mi ra te che forre Per ha uer vi ta de fi ir la
Hglfilil^IiilIII
CO"i ce.'
(39) Villanelle a tre et a quattro voci et arie di Francesco Lambardi , musico della
Regia Cappella di Palazzo in Napoli — Napoli, stamperia di Gio. Battista Sottile, 1607.
(Biblioteca Nazionale di Napoli, 186. E. 2.)
Uo> Il primo libro de Madrigalelti et Villanelle a quattro voci di D onato Antonio Spano
discepolo del signor Giovanni dh Macqub maestro della Regia Cappella di .Xapoli— In
Napoli, per Scipione Bonino 1607. (Biblioteca Nazionale di Napoli, 186. E. 21.
(41) Settimo libro dei madrigali a cinque vuci — Nella prefazione è detto: « L'autore
spinto dalla vivacità del suo ingegno jn questo 2° libro ha per maggior commodità di chi
canta latta questa nova (atiga che ogni principio di verso comincia sempre in battute pari ».
(42) Villanelle et arie alla napolitana, a tre et a quattro voci, con un dialogo nel fine,
di Gio. Maria Trabaci, nanamente da lui composte et date in luce — In Napoli, appresso
Gio. Jacomo Carlino, 1606. (Biblioteca Nazionale di Napoli, 186. E. 2).
— 95 —
Dello Spano questa:
Non posso aver più vita
se morte non m'aita :
or mirate che sorte,
per haver vita desiar la morte !
Non posso più gioire
se non provo martire :
mirate il stato mio,
per haver gioia sospirar degg'io !...
*
1 orniamo al nostro principale argomento. Abbiamo visto
dalle constitu/.ioni del tempo svevo , dagli editti aragonesi ,
dall' instituzione medesima della Gabella, la quale se tornava
a total beneficio dello Stato aiutava pur co' suoi registri in
famanti le ricerche della Polizia e la sentenza del magistrato,
come fin da tempi antichi abbastanza sia stata in Napoli re
golata da vere leggi la prostituzione e sorvegliata da quel
tribunale che gli scrittori patrii ci dicono appositamente creato
- 96-
per essa. Tribunal gabellai: meretricum huius civitatis Neap. quod
cognoscebat si meretrix describi deberet in gabellae libro, et sol
vere , ac etiam contro, lenones, suum habebat judicem ; et a de-
cretis ipsius Tribunalis appellabatur ad S. C. (Sacrimi Consì-
liumj et ejus superintendens esse solebat Preses ipsius S. C.
Hodie vero Tribunal hoc , et gabella abrogata atque extincta
sunt (43). Come la stampa dell' opera in cui troviamo le pa
role sopra riferite seguiva nella prima metà del seicento è da
ritenere che la gabella sia stata soltanto in quelli anni sop
pressa. Vedremo, più in là, in quali precisamente e per che
modo. Essa, intanto, aveva accresciuto di un'altra denomina
zione la spregevole serie di quelle onde il popolino usava di
designar le sciagurate contribuenti : giusto le si chiamava
ngabbellate e la voce si trova nel Basile (44) e negli scritti
de' suoi predecessori e contemporanei. Il Basile le definisce
pur co' nomi di Prubbeca (45) , Spitalera (46) e Sbriffia , il
qnale ultimo indicativo dialettale vuol dire civetta. Nelle Muse
Napolitani, egroche de Giannalesio Abbattutis (pseudonimo del
Basile medesimo) si trova un' aggettivazione anche più varia
e copiosa. La donna publica v'è chiamata Scalorcia, Caiorda,
Perchia, Ceuza e Scrofa. E nel vocabolario del d'Ambra leggia
mo a proposito « Scalorcia: Cavalla faticata e stecchita. Donna
alta, magra e strapazzata ; Caiorda: s. f. Zool. mustela putorius,
Puzzola. Donna vile ed abbietta, donnaccia, feminaccia ». La
voce Perchia risponde a quella con cui ancora è nominato
in Napoli un pesce assai comune , di molta mediocrità e di
pochissimo valore. E il Serranus hepatus, dalla bocca larga e
dal ventre grosso e floscio (47). Bisogna , se si consideri la
similitudine popolana , convenire davvero che a certe rasso
miglianze i partenopei son portati da una pittoresca e felice
immaginativa! Quanto a Scrofa non è difficile ricorrere al ter
mine di paragone, e, infine, per la voce Ceuza basterà ricor-
(43) Toppi: De origine omnium tribunalium. — T. II. p. 35.— Napoli, 1655, 1659. Vedi
Prammatiche nov. 1589. Til. CLXVII. De meretricibus, 6. Coli. Giustiniani, T. VII.
(44) G. B. Basile. - Lo eunto de li cunte. Ntroduz sione.
.;-) Publica — donna publica. O forse dalla moneta con cui si pagava la meretrice di
bassa sfera. La moneta era detta prubbeca e valeva tre tornesi.
(46) Cioè femmina da spedale. — Jornata I. Tratt. II.
(47) Cario L. Principe Bonaparte : Iconografia delta fauna italiana. Tomo III. p. io.
- 97 -
dare il famoso quartiere pornografico sorto , come abbiamo
detto avanti, sul « pendio » de' monaci di S. Martino.
Tornando alla Gabella è da notare che già dalla prima metà
del cinquecento essa aveva obbedito a qualche riforma pecu
liare non lieve per le saccocce delle ngabellate. Prima, ricorde
rete, esse pagavano due carlini al mese: ora sono — e si vedrà
da qualcuno de' documenti dell'Archivio Municipale che publi-
chiamo appresso — costrette a recarsi a soddisfare al loro tri
buto una volta per settimana. Continuando gli arrendamenti la
licitazione si faceva a lume di candela. « Se allume la candela
all' arrendamento — dice una carta della fine del decimosesto
secolo — sopra l'offerta di Paolo Capoccia il quale offere du
cati io lo mese per anni tre con pagare lo salario del giodice
et del Algozino. » Su relazione dell' incantatore Tummeriello
quella candela si estinse per ducati 12 e l'arrendamento fu ag
giudicato a tal Giovan Battista d' Andriotta. Chi otteneva la
Gabella pagava, di solito, quattro scudi al mese a un giudice,
salariava un coadiutore d'esso, compensava con 20 carlini al
mese per ciascuno, due agozzini : (48) dava, poi, un tanto per
le spese della possessione e ungeva, di volta in volta, i mastro-
datti e gli scrivani (49).
Da parte di costoro era continuo e insopportabile l'abuso
dell'autorità. Con l' avvento della dominazione spagnuola già
dal primo quarto del secolo decimosesto era cominciata come
una reazione alla libertà del costume : appresso, trovando nel
popolo medesimo il desiderio d'una repressione severa, le leggi
divennero draconiane, la delazione divenne un abito di vendetta,
la corruzione degli officiali adoperati alla sorveglianza andò di
pari passo con l' uso smodato e arbitrario del poter loro. I
documenti che appresso publichiamo, a illustrazione non pure
della topografia dell' amor libero nel cinquecento ma di quel
soffio di puritanismo iberico il quale scese dalla Reggia alla
piazza e scompigliò per buon tratto e quasi rese convulsivo
(48) Algozino, corruzione di alguazil voce spagnnola che vuol dire birro. È voce antica.
In una domanda che ianno a Ferdinando d'Aragona quelli Aldemorisco arrendatori della
Gabella leggiamo : « ac Joannem Marezilla Regentem sive ludicem Curiae Regionan Al~
guaziriorum etc. etc. »
(49) Manoscritto citato a pagina 5, »'"/» ". Presso la Società di Stor. Patr. Nap.
7
- 96 -
il traffico di quelle sciagurate, dimostreranno che se in Vene
zia e in Roma il mal costume pareva oramai quasi una ne
cessità sociale (50) in Napoli, nello stesso secolo decimosesto,
ìsee xa&ez
Tribunale di S. Lorenzo
(51) Nel quartiere ed ottina della Vicaria Vecchia. Il vico di Pistaso era cosi chiamato,
secondo il Tutini, da' pistores, o molinari, che vi abitavano. Si ha memoria di esso fin
da' tempi ducali. In un documento del 1118 si ricorda la platea publica per quam decumt
eloaca maxima que venti de Pystasia regione Furcillense. (Regest. Neap. u. 6iy). Era ag
gregato al sedile di Forcella o Montagna. Vedi : Capasso: La Vicaria Vecchia p. 98.
Nella Platea delle acque (1498-1626) in Archivio Municipale troviamo che sulla fine del
quattrocento lo molino de Pistase ei de la signora Lucrelia Arcamone. A' principii del
secolo XVI faceva di macina al giorno sacchi tre, tomola quindeci, con 40 onze di utile.
Era a' ristasi, dal quattrocento, uno. fontana Reale abbeveratora alla quale andava l'acqua
d el formale Reale, che alimentava pur una. fontana a cavalletto alla casa de Luyse de
Raimo à Pestase. (Archivio Municipale. Platea delle acque) Nel 1498 la città di Napoli
.aveva 23 molini. (Ibid.).
(52) Le case de' Grammatici erano nel vico detto oggi ancora delle Paparelle, dal nome,
diminutivo o vezzeggiativo che ha, delle sorelle Paparo che ivi fondarono un Conservatorio.
Nel secolo XVI il vico si disse pur de' Ciceri o dei per le case, ivi poste, della famiglia
de' Cicini. I Grammatici vendettero le loro case ai PP. di San Severo i quali cosi am
pliarono il loro convento. V. Capasso: Vic. Vecchia, p. 108.
— too —
tiero degli Eccellentissimi Eletti , acclude al processo l' atto
intimato e vi fa pur i nomi degli studenti e delle meretrici
ch'eran con loro.
1567, 17 giugno — Un'altra supplica agli Eletti. Gli habitanti
della strada de S. Maria Donna Regina in le pertinentie de Ca
puana si lagnano di studenti calavrisi et pottane innamicate et
altre vecchie quali fanno offigio de rojffiane et conduceno de mezo
giorno altre puctane con le seggie in detta strata ad detti studenti,
non senza scandalo e vergogna di tutti i cavalieri capoani. Gli
studenti abitavano nella casa seu funnico che se dice de Mosto
Aurelio de Curte. Erano le donne : Rosa, Jacova et Violante,
Luisa e Locretia. Lo sfratto segui due o tre giorni dopo la
supplica.
1567, 4 agosto — Il capitano di strada (53) e i complatearii
della Piacza de Forcella si lagnano, in una supplica agli Eletti,
del permesso concesso a tal Vicenzo Barbato, quale al presente
tene in sua casa schola de scholari, tanto in lo membro de bascio
como in lo membro superiore. Ed è sfrattato anche il Barbato.
1567, 18 agosto — In piazza della Carità, verso S. Martino,
abita una Agnola Acanfora, donna sospetta a' vicini. Costoro
tentano di liberarsene ma l'Agnola protesta e rimane in quel
posto.
1567, 19 agosto— Due forastieri soldieri, (cioè senza moglie)
vanno ad abitare nella strada delli paladini dereto li miroballi.
I complatearii invocano laforma del Capitolo, ossia la Pram
matica (54) con cui non deve essere lecito a' soldieri forastieri di
abitare in certi luoghi della città. E que' poveretti sono subito
sfrattati.
(53) I popolani avevano avuto il loro Seggio, o sedile, alla Selleria. Nel -1456. quando
essi tumultuarono, Alfonso d'Aragona fece abbattere il Seggio. Carlo Vlii lo restituì al
popolo e volle che si riunissero i popolani in S. Agostino. Appresso il luogo di riunione
delli Eletti fu il monastero di S. Lorenzo e qui essi composero pur un Tribunale che ,
giusto, fu detto di S. Lorenzo, Era presieduto da un grassieto, ministro del re e prefetto
dell'annona. I consultori erano dieci: i capitani di strada ventinove, uno per ogni rione
o ottina della città.
(54) Soldiero da soldero , spagnuolo. A Napoli si dice oggi , e da un pezzo, scuitato
per dire scapolo. I Miroballi avevano case alla Selleria, a Portauova e a Rua Catalana,
con fontane parecchie. A Rua Catalana era il fondaco delli Miroballi e nel fondaco
una fontana publica con un cavallo d'acqua. (Platea delle acque ("1498-1626.) nell'Archivio
Municipale di Napoli). A' CalderariaX Pendino avevano botteghe provviste tutte di on-
tanelle.
1567' zo settembre — Dalla piazza dell' Olmo, di Forcella,
è spedita agli Eletti la supplica seguente : « Illustrissimi et
Ecc.mi Signori : Li subscripti cap.° et nomini dela piaza del
lulmo fanno Intender a V. E. como in deta piaza per una
donna nomine Laura Vineciana se tene casa de alloggiamento
donde albergano pottane , marioli et altri homini di malissi-
ma condicione che non ostante le baie et le forfantarie ch' in
quella fanno de matina et sera cum Reverentia si sbracano
nelle fenestre de dicto alloggiamento in frontespicio delle per
sone honorate et dabene, fandono poco caso dellor vergogna,
et ultra di questo standono li citadini artesciani honorati et
dabene al fresco la sera com' è Uor solito sotto di dette case
avante de lor poteche , da le feneste de detto alloggiamento
se li menano brutticie come pisciazza, broda et acqua fetente.
Et l' altra sera per volersi advalere uno de detti artisciani per
esserli stata buttata certa pisciazza da detto Alloggiamento et
solo havendo detto : che creanza è questa ? uno ch' alloggiava
in detta casa scese in detta strata et li donò un cortellata con
struppio d' un braccio, sin coni' appare per l'Informatione pi
gliata per la Gran Corte della Vicaria. Per tanto ricorrendo
a V. E. conio a fonte de Justicia questa supplicano che resti
servita, per evitar alcuni scandoli che di continuo possono soc-
cedere, ordinare che da detta piazza se levi dicto Alloggiamento,
per essere strata come V. E. sa pulita et honorata, et ultra
sia giusto se reputera a gratia singularissima de V. E. Ut
Deus. » La supplica è firmata dal capitano della Piazza del
l'1 Olmo (55) Afineco Spasiano e da parecchi cittadini che ll
abitavano , tra' quali : Francesco Naclerio , Damiano Franco ,
Vincenzo di Gennaro, Giansimone de Tommaso, Pietro Jacobo
Rocho , Jacobo Monteforte. Il capodiece della strada è Vicienzo
Afarro. Il 22 settembre fu fatto decreto di sfratto dal consul
tore della Fedelissima Jacobo Loterio e il mandato fu eseguito
un giorno dopo. Assieme alla Laura erano Lisa Marocta, che
pure fu sfrattata, e parecchie altre donnacce.
1567, 8 ottobre — Torna, dopo qualche anno che se n' è
allontanata , una meretrice, Speranza Pappalardo, nella ottina
155) Nella Piazza dell' Olmo troviamo il Fondaco di Giovan Battista dello Docc, su' priu-
cipii del 1500. La costui casa e il fondaco avevano due fontane. {Platea delle acque cit.).
— 102 —
(56) Presso la così detta Speziena Vecchia. Ne' primi anni del cinquecento uno spetiale
alia piacza de Sancta Caterina della Corona , o di Portauova , era Santillo Vitaglìano.
Aveva nella sua bottega una fontana con un cavallo d' acqua imbronzato. (Platea delle
acque cu.).
(57) I Boccapianola erano signori nobili del sedile di Capuana. Sì chiamava de* Boccapia-
noli, prima del cinquecento, il vico che poi fu detto de' Zurli. Era in questo vicolo la casa
del famoso medico e chirurgo napoletano Colanello Pacca , figlio del sarto Bartolomeo
che aveva bottega alla Sellaria. Il Capasso, nel suo libro sulla Vicaria Vecchia, ricorda
le case esistenti, in questo vicolo, di Giuliano e Francesco Boccapianola. (poi del vescovo
Galeota, infine di Zenobia Caracciolo vedova di Giovanni Zurlo) di Sigismondo Carduino
e delli eredi Seripaudo.
— 103 —
Tribun. di S. Lorenzo.
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Tribun. di S. Lorenzo.
(60) Questa Giulia Genoese, nel marzo del 1580, cioè sei anni dopo, appare, nel ms. citato
a pagina 8 , protetta dall' arrendatore della Gabella Giovan Giacomo Manso. E , forse ,
cambia di madre.
— no —
de le Ceke il che ei notorio et manifesto a tutti. Et hoggì , in
casa del teste Colaniello Cappuccio, ce sta una compagnia espa
gnola per ordine della Regia Corte.
È interrogato il capitano della strada, spagnuolo anche lui,
e risponde che è vero. Oltre alle nominate las mugeres que
hay cortesanos en aquella calle sono, soggiunge: Dona Bea-
trix Sarmiento, Francesca la guiega. su hermana. Haurelia e su
sobrina.
Tribun. di S. Lorenzo.
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mal condizionata et meretrice publica. Have habbitato in la strafa
de vico Panetlieri et poi a Santo Pietro ad Ma/ella , ove have
tenuto casa da alloggiare. Ed è sfrattata Geronima.
a' diretti Padroni delle case predette dove oggi abitano dette
donne meretrici e disoneste , che fra il detto termine di tre
giorni proccurino il di loro sfratto con effetto da dette loro
case e non facendolo incorrano e sieno incorse nella pena di
once quattro ed altra ad arbitrio dell'Eccellenza Sua, e nella
medesima pena incorrano detti Padroni di casa, ogni volta, che
infuturimi locheranno dette loro case a dette donne disoneste,
e meretrici, e che non possano allegare ignoranza di non averlo
saputo. Le quali pene si eseguiranno irremisibilmente contra
de' trasgressori. Datum Neap. die 16 Augusti 158j. Cadena
Proreg. Joannes Vincentius de Juliis Regius a mand. scriba. »
Qualche anno appresso il medesimo Zunica fa noto :
« Tra gli altri Capitoli, ed ordini, che per la Maestà del Re
Nostro Signore ci sono stati mandati con Real lettera sua della
data del 6 di luglio prossimo passato del 1592 vi sono gl'in
frascritti :
I. Mando assi mismo, que, de aqul addante, el Juez, que es,
ò fuere de la Gabela de las Meretrices, no compona, ni habilite
ninguna persona inquisida de blasfemia, ò lenocinio, ni otros
delitos atroces, fino que los castigue, y execute en los inquisidos
las penas, en las Pramaticas contenidas.
II. Y porque el Juez de la dicta Gabela de las Meretrices
ha llevado algunos pagamientos indevidos por las sentencias,
y autos que ha dado, mando, que, de aqui addante, no lleve
mas de dos carlines por el decreto interlocutorio, y quatro por
el difinitivo en causas criminales , y por las, que pronuncia
en las civiles, no llevo derecho alguno, pues el Arrendador de
la dicha Gabela le dà de salario quatro scudos cada mes.
E veduto per Noi il tenore de' preinserti Capitoli, ed ordini
della predetta Regia Cattolica Maestà, acciocchè con effetto si
guardi, ed osservi quanto per quella viene ordinato, e coman
dato; ci è partito farvi la presente, per la quale « Vi diciamo,
ed ordiniamo, che intesa per voi la forma, contenenza e tenore
dei preinserti Capitoli, ed ordini della Maestà Sua , dobbiate
quegli, e quanto in essi si contiene, osservare ed eseguire senza
replica, contraddizione, nè diminuzione alcuna, e farete la pre
sente publicare nel detto Tribunale della Gabella delle Mere
trici, a tal che ognuno in futurum ne abbia notizia, e non si
— n8 —
possa allegare ignoranza; non facendosi il contrario per quanto
si ha cara la grazia, e servizio della predetta Maestà ». Datum
Neap. die 3. ìnetisis Novembris 1593. El Conde de Miranda, Vid.
Moles. Reg. Vid. Ribera Reg. Vid. Gorostiola. Reg. Torres
Prosecret. Al Giudice della Gabella delle Meretrici per l'osser
vanza, ed esecuzione de' preinserti Capitoli, ed ordini di Sua
Maestà ».
S'era saputo — come il lettore avrà visto — che lo stesso
magistrato il quale presiedeva alla Gabella s' era fatta lecita
cosa precisamente contraria alla legge , con pretendere , per
le sentenze e per altro , compensi che non gli toccavano. Il
provvedimento fu opportuno e quasi ripagò le ngabellate delle
persecuzioni alle quali eran fatte segno.
Fuori le mura della città, nella sua parte che declina al mare,
eran dunque agl' Incarnati e al Borgo di Sant'Antonio Abate
altri quartieri di meretrici e la taverna del Crispano, come tutte
le altre della Fedelissima, a costoro offriva il più giocondo e
più facile ritrovo. Il del Tufo non la dimentica : vanno alle
stelle, a onor del panciuto ostiere del Crispano, le lodi del biz
zarro verseggiatore. Il Crispano è il paradiso democratico: l'oste
vi offre tutto quel che di meglio e di più saporoso si possa
cercare e
Se non sazio è bene
La donna o l'uomo a cui pur voglia viene
D'altro mangiar corre al medesmo istante
E vi pon l'oste cento pesci avante.
Tolte le carne, i pesci e l'altre cose
Rimaste avanti a chi cenando siede.
Con parole amorose
Alza con fretta il piede
E tosto torna e reca innanzi a tutti
Cento sorte di frutti :
Mele, pere, uva, passi, antrite e nuce.
Castagne verdi, dattili e nocelle,
Fichi secchi e soscelle,
E di più poi v'adduce
Senza troppe parole
Oltre il buon cacio, vallane e verole,
Carcioffole e cardon con pepe e sale
Terratufol, finocchi e caviale...
E qua e là, per la copiosa letteratura dialettale del secolo
del Marino e del geniale Cortese or la descrizione, or se ne
ritrovano lodi pur solenni e rimate. In questa produzione quasi
patriottica è — cosa interessante e curiosa per gli studii che si
fanno oggi del costume e delli abiti regionali — uno specchio
della vita popolana del tempo e l'eco piacevole della sua poesia,
che disseminava le imagini sue più colorite fin d' avanti alle
case infami , ove , seduta ad aspettar compagnoni o soldati ,
qualche bella bruna degl' Incarnati soleva canticchiar sulla sera :
Aggio perduto lo galluccio mio !
Titi ! Titillo mio !
- 124 —
(77) € L'aruta è chella c'ogne male stuta! >. Id., son. 53. E nello steBso son.: « Cecca,
pecche l'aruta te mettiste, ncopp' a ssa trezza jonna de natura... ».
(78) Danza simile alla tarantella. Si ballava col fazzoletto, al suono del colascione.
(79) La ceccona era un ballo accompagnato da suono di tamburello e da cantilena. Nel
Patro' Tonno del Saddumene troviamo una di queste cantilene : A lo mare ca vatte 1l'onna :
Foglie, cappucce, cocozze torme ! A lo mare ca vatte vatte: Fromu cappucce, cocozze chiatte !
Terzo atto.
(8o) Ballo in giro : tour de femmes.
(81) Sgruttendio, corda VII.
(82) Basile: Le Muse napolltane, II, p. 328. Cortese: Opere, II, p. 233 e 234.
— 126 —
D IL C I M () S E T 1 I M o
CAPITOLO TERZO
CAPITOLO TERZO
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D. R M.
19*13. P.M*
Dal itbro del LAneLLI sull Eruzione del Vesuvio del zóji.
i,i2) Da un Ms. che è presso di noi, intitolato: Narrazione contemporanea dei giornaiteri
avvcmmenti occot si nel celebie tumulto eccitato in Napoit da Tommaso Aniello fisci (sic)
da Amalfi, vuiro deito Masaniello.
- 136 ~
vogliono vivere honoratamente. Ma qui non sarà possibile; bi
sognando, per volere rinchiudere tutte le cortegiane di Napoli,
chiudere più della metà della città! » (13) E nello stesso mese
tanto per mostrare che faceva qualcosa , il medesimo duca ,
(iS) Giornali Hisloi ici delle case accadute nel Regno di Napoti nel governo di D. Fer
dinando Afan de Ribera Enriquez Duca d'Alcalà. X. B. 50.
119) Per la Casa d<!lla Penitenza vedi: S. DI Giacomo: La prigionia del Marino e le
carccii della tirario. Napoli, 1899. Per le taverne autiche napoletane v. pure: S. Di Gia
como: Tavcrne famose napolelane. Trani, Vecchi ed. 1899.
'ìoi Banchieri portoghesi molto ricchi e temuti in Napoli.
— 139 —
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(22) Tra le belle la bellissimo, esquisita ei intiera e desiderata Kelatione dell' incendio
del monte Vesuvio publicata in Xapoli da Pielro Paolo Orlandi Romano, Napoli. Se
condino Roncaglielo, 1632.
(23) Distinta Relatione dell' Incendio del Sevo Vesuvio alti 16 dicembre 16j1 successo
scritta dal dott. Michelangelo Masino di Calvello. Napoli, 1632.
(24) Id. ibid.
— 142 —
(25) Incrinila del Vesuvio del Lanelfi. Napoli. Ottavio Beltramo. 1632. Il I. anelli spiega
l'eruzione col fatto che Venere si ritrova in Tauro elc. elr.
(26) Pietro Gisoi.fO. — Vita dei P. Don Carlo Carafa. Napoli, 1667.
- »43 —
lessarsi da lui una prostituta bellissima e gli narra come sia
presa d'un che non l'ama e pel quale volentieri ella darebbe
la vita. Incalza con sospiri, con lagrime, con parole di fuoco.
E a un tratto esclama : Signor Don Carlo, io di te parlo! E
per te mi... Ma non può continuare : don Carlo ha fatto sbatac
chiar la porta del confessionile , s' è levato a precipizio ed è
scappato. (27) Più tardi lo ripaga di tanta mortificazione un
singolare avvenimento. « Teneva — scrive il biografo panegirista
del Carafa — publico mercato in Napoli della lasciva sua bellezza
Caterina Valente Siciliana, che per vendere a più caro prezzo
se stessa non a plebei ma a nobili e ricchi con lusinghevole
affetto si discopriva. La moltitudine de' ciechi amanti cagio
nando confusione e tumulto comprava molte volte coi proprii
denari la morte... Or costei venne insieme con alcune altre alla
chiesa di Santa Maria d'Ogni Bene per vederlo, per udirlo. E
quel Signore che da vaso immondo in vaso d'elettione cam
biarla voleva pose in bocca del predicatore parole si vive ed
efficaci che , a guisa d' una tagliente spada , l'intimo del suo
cuore penetrando, la ferì, la sanò. » Don Carlo, in quel tempo,
meditava di accogliere in un novello ritiro le pentite della lor
mala vita : la Vitale lo aiutò, devota e zelante. Un gentiluomo
di Milano, Ortensio Magnocavallo, (28) offerse al Carafa il suo
palazzo ne' pressi di S. Maria Ognibene e di là sloggiò con
Elisabetta dei conti di Montevecchio , sua moglie , quando il
Carafa accettò l'offerta. Nell'aprile del 1602 il novello ricovero
fu inaugurato e don Carlo celebrò la messa in una vicina chie
setta. Il Conservatorio fu detto delle Illuminate. Poi, nel 161 1,
don Carlo trasferì in un altro fabricato quelle donne e chiamò
Conservatorio del soccorso quest'ultimo, di cui pian piano chiuse
l'entrata alle meretrici, per accoglier là dentro le vergini sol
tanto. E queste, dalla lor camicia di lana, dall'abito greve che
portavano, dal governarsi che facevano con la regola di Santa
Chiara furono volgarmente dette Cappuccinellc. Più in là il non
mai stanco sacerdote fonda un terzo ospizio e lo intitola dei
*
Viveva in quelli anni un medico chiamato Giuseppe Boz-
zuto e abitava nel popoloso quartiere del Mercato, ll ove pochi
anni avanti era scoppiata la rivoluzione masaniellana, lì ov'essa
era stata soffocata, lì ove proprio — nel chiostro della chiesa
— i5o —
~-\
— i5i —
(40) Giornali dInnocenzo Fuidoro sotto il Governo dcll' Eccellentissimo Signor Don Gu-
sparro de Bracamonte*, conte di Pignorando l'icerè del Regno di .\apoli cominciati a
serivere. Ms. Bibl. Naz, X, B. 13.
141) Ibidem.
— i6o —
Obedì il Ministro e diede soccorso di denaro alle Pentite et
a quelle che già erano maritate diede dieci docati per una, et
li PP. Domenicani, con ordine suo dato a più scrivani crimi
nali , recuperarono diversi mobili dati a nota ad essi che si
ritrovavano nelle case dove esse erano prima nel postribolo ,
e trovorno varii intoppi di gente poco timorosa di Dio quali
tacevano la mercantia sopra l'honore e carni de quelle pove
rette dalle quali esiggevano usurariemente l'affitto de' vestiti
e si conobbe che la maggior parte erano in postribolo per il
mangiare, che non possedevano niente... » (42) E un'ultima nota
del Fuidoro medesimo conclude sull'argomento : « Essendono
state portate le Donne Convertite nella occasione della missione
fatta dalli PP. Domenicani nel Conservatorio dell'ospitio, fon
dato da P. Cordone Giesuita, dal Cons. Antonio Fiorillo e don
Pietro Carrafa a fine di poterle maritare o monacare com' è
l'institutione di d." Conservatorio, il Padre Blanditio Giesuita
successore del Padre Cordone fu di parere che non vi si entrasse
senza licenza sua e negandoli , che alcuni buoni christiani
auttori nel tempo della missione fatta in questo mese di
quest'opra, che portavano il mangiare a queste poverette, ven
nero con questo padre giesuita a disdette intrinseche poi che
la raggione era evidentissima, mentre la missione era de Do
menicani e non di Giesuiti, perciò quelle non trovorno cortesia
da questi mercanti di opre spirituali. Fu perciò risoluto che
havendono li Domenicani più Conservatorli della loro Religione,
come il Rosario a Porta Medina, che vi fece fare la porta che
prima si chiamava il Pertuso atteso era un forame fatto alla
muraglia della città, che si portassero in detto luogo. »
l.|2) IbillerU.
- i6i -
della Giustizia prima della guerra del 1647 e della peste del
1656. Hora tutto è lusso e pompe e senza sostanza, e la gente
della Giudecca fin tengono schiavi!... » Gli stessi Gesuiti, tra
una predica e una flagellazione, avevano aperta , nel maggio
del 1660, una grande osteria nel loro convento del Mercato,
detto il Carminello, e nelle taverne, che perfino davano allog
gio notturno alle prostitute, tutto il giorno era un va e vieni
di studenti e di soldati, di ruffiani e di smargiassi. Il perso
naggio della meretrice non mancava nelle commedie e pur
in quelle rappresentate a Palazzo : appunto in una di queste
commedie che fu data davanti al vicerè troviamo che Gero
nimo Bucca d' Aragona fa la parte della cortigiana Lavinia
e Rinaldo Miroballo quella del ruffiano Ambrosino. La com
media fu YAlvida, di Ottavio d' Isa, di Capua.
Del lusso e del vestire il Fuidoro medesimo ci fornisce pa
recchi curiosi particolari: nel 1660 il «vestire che si usa è
cosa inconsiderata perchè nelli rigori dell' inverno si portano
le calzette trasparenti di un filo di seta come rete e le scarpe
sottili, le maniche sfenestrate et aperte et ogni manica di ca-
misa grande come calzonetti di tela. Le manizze o manichitti
sono di prezzo, e capilliere posticce; così vestono quelli che
cingono spade. Altri portano le maniche ricamate o d'argento
o d'oro. Ed io ho visto venire ad impegnarsi un paro di queste
maniche al monte di Pietà per un creato vestito di nero che
cercò 20 docati per dette maniche pel suo Padrone et non
si fece il pegno ».
Anni avanti, nel 1630, le prostitute avevano usato ima sorta
di guaniti di rella di seta negra, e il costume era stato imi
tato da una sorella di Filippo IV che venne in Napoli , ma
ritata a don Fernando d' Austria. Nel 1669 arrivò in Napoli
dalla Francia «una cassa grande assai di capilliere posticce,
che chiamano penicene, nella Dogana. Ed è, perchè in questa
città tutti li nobili et altri zerbini portano simili capillere le
quali fanno calare due ali di capelli fino allo stomaco... (43)».
(43) « ... Louis XIII est donc le premier de nos Rois qui a repris de grands chevaux et
c'est proprement sous son Regne vers l'an 1629 que Ics homines ont commencé en Franee
de porter des Perruipies. suivant le temoignage de M. de Mezeray ». Iean Bait. Tim-RS :
Histoire des Perruquts etc. Avignon. 1777. p. 21.
11
- 1*2 -
(49) li Cerlone , nelle sue Comtfledie , cita una Sabellona tra le usuraie del settecento
Rosa Percnoco, Càpodevacea, Pezz' a Il' nocchie eie. V. Francesco Cerlone. Commedie.
Napoli. 1778 V. S. di Giacomo : Cronaca del teatro San Carlino. Trani. V. Vecchi. 1895
Pag 52-
(50) NeWArchivio Storico Italiano. Serie ì. voi. XI.
(51) Arch. Si. Hai. cit. pag. 562.
- i65 -
(58) € ... È stato mandato carcerato a Baia Carlo Mazza giovinetto e nuovo marito di
Ciulia di Caro che si pose in bordello e si dice che facesse ammazzare il primo marito
come serissimo a suo luogo J>. Ciò accadde nel maggio 1676. Nel luglio dello stesso anno
« il signor Carlo seu Luccio Mazza è stato posto in liberta dal Castello di Baia, e cosi gode
la sua Principessa Ciulla de Caro che si sposò con esso li mesi passati, la quale può es
serli madre a questo giovinetto ». D. Conforto, Giornali cit.
— 168 —
A
— 169 —
(62) Conforto. Ms. cit. Anno 1682. E. di mano di un annotatore del ms. è soggiunto
a questo passo : « Quest'operazione fu principiata da un laico benchè vestito da prete che
— 172 —
allessi che scmo nell'anno 1716 ancora vive chiamato per nome fratello Gaetano alquanto
di corta vista e quasi cicco il quale avendo con queste figliuole buscato molte limosine
per la città dopo vi s'introdussero i Preti come dice l'A. ».
(63) Di mano dell'annotatore al ms: « Questo Cianne hì esercito a fare lo sbirro durante
il contagio (la peste del 16561. Il Fanelli era fratello di Don Cesare buon poeta, che ha
dato molle opere a stampa ».
""\
- 173 ~
gradoni di S. Maria della Nova, ove stanno alcune puttanel
le, uno sbirro ammazzò con un archibugetto due soldati spa
gnoli e lui fu indamente ferito e ciò successe per causa di ge
losia di puttana quale era stata prima bagascia d' uno di
detti spagnuoli e poi dello sbirro il quale è stato cosi ferito
carcerato in Vicaria con tutte quelle puttane che stavano ivi
le quali andorno ligate a due a due in Vicaria. — A 25 di mag
gio 1693 è ritornato a Napoli da Roma ov' era andato fin dal
mese di dicembre passato don Alessio d' Alesio prete sacer
dote collo storto. Costui dopo la peste del 1655 aveva — con
essere scrivano di Vicaria — inhonesta pratica con una pub
blica meretrice chiamata danna la foretana che habitava die
tro le mura di S. Catarina a Formiello » (64).
(o^ « Lunedi mattina 6 di febbraro 1679 nella Casa della sua Puttana uno scrivano mori
di morte improvvisa, assaltato da apoplessia due volte... » Fuidoro, cit. voi. V.
(65j « Il de Los Veles era assai corpulento et amico di vini poderosi et anualmente beve
Vernotico di Nola di due anni riposato ». Fuidoro. cit.
- 174 -
tione dei concubinati e della Missione Apostolica e Maggior Cap
pellano di S. Maria Cattolica in questo Regno, dà il Bando a
trenta meretrici pubbliche , le più combinate con particolari
persone cospicue, fra le quali anco vi sono uomini casati che
le mantenevano... » (66). Ai soldati era stato proibito di fre
quentar case di male femmine ma ne accadevano sempre di
belle e a' Gelsi, specie, ove i militi spaguoli si sbizzarrivano
maggiormente: « Fu pochi giorni sono da un altro capitano
Spagnuolo di detta Armata (di Spagna) alloggiando in casa
di una meretrice a chiamare un Barbiero e fattali la barba ,
il spagnolo poi fece la barba al Barbiero, quale fù necessitato
con violenza fattali di minacce di lasciarvi la vita dentro quella
casa ritenendosi quel spagnolo il bacile d' argento e vaso della
lesciva similmente d' argento di valore circa di docati cento
cinquanta » (67). Un ultimo documento ci dà notizia di un
altro secentesco luogo di prostitute, frequentato da gente so
migliante ancor oggi. « A 27 di Aprile 1688, fu appiccato un
tal Nicola Barone alias Cesuriello lo Cocchiero, il quale fù uno
di quelli marioli, che furono l' anno passato appiccati per na
ver fatte molte rubbarie , e particolarmente nelle Chiese , e
costui essendosi salvato nella Chiesa de Greci (68), fù preso
pochi giorni sono in casa d' una puttana vicino a detta Chie
sa, et essendosi difeso nel prenderlo, feri malamente con uno
stiletto il Capitano de' birri; finalmente fù preso e gravemente
ferito, e tale, che se non l' appiccavano presto, poco più po
teva vivere, e fù portato al patibolo in seggia. »