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Ferdinando I cercò di non demolire del tutto il sistema scolastico, egli dichiara
la sua volontà di migliorare lo stato delle finanze e dell’amministrazione della
giustizia. I provvedimenti portarono ad una politica di alleggerimento fiscale e di
severo controllo sulle spese pubbliche. Da ciò derivò l’idea di un primo periodo
del regno di Ferdinando II, positivo e animato da idee riformatrici, interrotto
dalla svolta reazionaria del 1848. Vi era una nuova apertura verso le idee
letterarie, scientifiche e filosofiche alla quale contribuirono personalità come
Bertrando e Silvio Spaventa per la filosofia. Fondamentale fu anche la presenza di
riviste e di giornali, di salotti, di circoli e di scuole. Ma la situazione cambia
quando si sposta l’attenzione sullo stato dell’istruzione pubblica primaria
nell’ultimo trentennio del regno borbonico, lasciato totalmente nelle mani del
clero. Per quanto riguarda la scuola privata a Napoli, questa ebbe una gloriosa
tradizione: Girolamo Nisio nel suo saggio, individua la causa principale nel
difetto dell’insegnamento pubblico e della domanda di istruzione da parte delle
famiglie agiate. Egli, sottolineando lo stretto rapporto tra esigenze delle
famiglie civili e le scuole private, evidenzia caratteristiche peculiari
dell’istruzione privata, come l’estrema varietà dei metodi didattici, delle materie
d’insegnamento e dell’organizzazione scolastica. Per Nisio uno dei meriti
principali delle scuole private napoletane è nel fatto che in esse l’istruzione
primaria non costituisce un corso separato di studi, ma s’integra con quello medio.
Numerose furono le scuole private di medicina, ma anche gli studi di
giurisprudenza, con numerosi studenti attratti sia dall’insegnamento teorico, sia
dalla possibilità dell’esercizio di avvocatura. Ma la repressione del 1849 troncò
l’esperienza delle scuole universitarie, soprattutto quelle di lettere, diritto e
filosofia. Durante il regno di Ferdinando II si rafforzò il carattere
dell’istruzione pubblica. Un aspetto significativo di questo atteggiamento della
monarchia è costituito dalla mancanza di iniziative per favorire la formazione
della figura del moderno insegnante laico, cosa che invece era stata tentata da
Gioacchino Murat, quando aveva istituito una scuola per maestri, abolita nel 1815
col rientro dei Borbone. Vi era la convinzione che alla scuola pubblica non
spettasse altro che il compito di frenare la diffusione di idee politicamente
pericolose nel popolo.
CAP. 2
Nel 1850 il Piemonte era ancora in guerra al fianco dei francesi di Napoleone III
quando venne approvata la prima legge riguardante il sistema scuola. In seguito
dopo Casati, bisognerà infatti aspettare la riforma Gentile del 1923. In realtà le
riforme scolastiche di grande rilievo politico, educativo e pedagogico, si sono
avute solo in tempi recenti. La legge Casati, cosi indicata del responsabile del
ministero della pubblica istruzione, Gabrio Casati, venne promulgata da Vittorio
Emanuele II di Savoia nel 1859 per gli avvenimenti politici e militari di
quell’anno. Essa costituisce l’atto di nascita del sistema scolastico italiano e ne
rappresenta tuttora la base fondamentale.La legge Casati prevede l’organizzazione
di un sistema scolastico di tipo piramidale, ispirata alla riforma di Napoleone in
Francia: il consiglio superiore della pubblica istruzione, gli ispettori generali,
un provveditore agli studi in ogni provincia, il consiglio provinciale.
L’ordinamento degli studi prevedeva l’istruzione superiore nelle università,
l’istruzione secondaria (classica, tecnica, normale) e l’istruzione elementare,
gratuita e divisa in due grafi, inferiore e superiore della durata di 2 anni
ciascuno.Il paese aveva bisogno di una scuola severa avviarsi ad un’unità che non
fosse solo formale, dunque l’istruzione di base doveva saldare i vincoli dell’unità
nazionale. La leggi Casati rappresenta uno strumento di importanza per la vita del
nuovo stato. Con la legge Casati viene confermata ancora una volta l’intenzione di
privilegiare gli studi classici per formare la classe dirigente che guida il Paese.
La legge Casati fu una legge fatta di vantaggi e svantaggi: ebbe il merito per
esempio di essere stata approvata ancora prima dell’unità d’Italia; ebbe il
demerito di non aver considerato i vari bisogni socioculturali ed educativi delle
popolazioni locali, l’eccessiva autonomia ed ignoranza di molti istituti religiosi,
la scarsa possibilità da parte delle classi popolari.Un ulteriore passo in avanti
vi fu con l’approvazione della legge Coppino, la qualestabiliva sanzioni per chi
scappava dall’obbligo scolastico, anche se i più sanzionati furono coloro che non
potevano permettersi il lusso della frequenza scolastica dei loro figli. In seguito
il regolamento di tale legge fu costretto a chiarire che l’obbligo non poteva
essere preteso da coloro che erano poveri, coloro che erano malati o troppo
distanti dalla sede scolastica. Cominciava ad essere forte l’attacco alla scuola e
l’istruzione da parte degli agrari e del clero, i quali si sentivano minacciati nei
loro privilegi. Gli agrari affermavano che l’istruzione distoglieva i giovani dal
lavoro; il clero si preoccupava dell’esito delle cattive letture. Entrambi si
ribellarono e seguirono manifestazioni sociali e politiche all’istituzione della
scuola dell’obbligo e alla crescita dell’istruzione.
CAP. 3
Come scrive lo stesso Genovesi, che la vera scuola la fa tale un tipo di “modello”,
che contenga un progetto autonomo, libero, educativo, che sia valido per tutto il
territorio. Vi era un divario enorme per quanto riguarda l’alfabetismo che divideva
il nostro Paese; un divario già presente all’interno della Penisola tra Nord e Sud,
in particolare tra il Lombardo#Veneto e la Toscana, da un lato, e lo Stato
Pontificio e il Regno delle Due Sicilie, dall’altro. Vi è un tasso di analfabetismo
più elevato al Sud rispetto che al Nord. Il 1859 è l’anno delle intese tra Italia e
Francia, della Seconda Guerra d’Indipendenza, dell’approvazione in Parlamento della
legge Casati che ricostruisce la scuola. Due anni dopo, con la spedizione dei Mille
e, nel 1870, con il completamento dell’Unità, si chiude il processo di unificazione
dell’Italia. Una conclusione a livello geografico-territoriale, ma non a livello
politico, economico, sociale e culturale. Ed è in quegli anni che si vuole arrivare
ad un’integrazione e maturazione di una identità unitaria, guidati dal motto di
D’Azeglio: Fatta l’Italia, bisogna fare gli Italiani.
Fare gli Italiani significa pensare ad una loro formazione unitaria. La risoluzione
del problema era determinata dalle difficoltà economica e dalla mancanza di
maestri. D’altra parte, la legge Casati aveva previsto solo un biennio obbligatorio
di studi. La questione centrale rimase per molto tempo quella dei docenti, i quali
lavoravano, tra ostilità delle popolazioni, infatti il loro lavoro si svolgeva tra
l’ostilità delle famiglie, ma anche degli stessi Comuni che usavano nei loro
confronti politiche restrittive, facendo mancare anche materiali didattici da parte
dei Comuni alle maestre. Le maestre ricevevano dai Comuni stipendi inferiore
rispetto ai loro colleghi maschi. Ma nonostante il peggio trattamento economico, il
numero delle maestre aumentò. Un “esempio eroico” di una condizione difficile è la
storia della maestra Italia Donati che riesce a diplomarsiItalia Donati era la
giovane figlia dei contadini di una città in provincia di Pistoia, la
quale,diplomata maestra, era andata a insegnare in un paese vicino. Il sindaco
l’aveva obbligata sotto ricatto ad abitare nella sua stessa casa, (le maestre
dipendevano dai comuni non dallo Stato), la gente subito si convince che fosse
diventata la sua amante. Lei cercò di dimostrare la propria innocenza e non
riuscendoci si era suicidata. Le maestre hanno avuto il grande merito di insegnare
a leggere e scrivere, tra enormi disagi e difficoltà, a generazioni di scolari
dell’Italia unitaria. La storia personale della Donati si inserisce nella storia
del nostro paese: un paese chiuso, arretrato e pieno di pregiudizi.
CAP. 4
Nella storia della scuola italiana, le grandi riforme scolastiche sono state
attuate attraverso un dibattito politico-civile, a questa procedura ricordiamo la
riforma Casati del 1859 e la riforma Gentile del 1923. Nominato da Benito
Mussolini, Giovanni Gentile tentò di realizzare i suoi progetti educativi
conservatori grazie all’appoggio del regime fascista. Il primo compito che si
assunse Gentile fu quello di riportare l’ordine e la disciplina nellascuola; egli
precisava che la scuola doveva essere considerata una degli organi più delicati
dello Stato, il cui compito consisteva nell’assicurare l’obbedienza nei confronti
dell’autorità statale. Ancora prima delle leggi speciali del 1925 cominciò ad
essere autoritaria la scuola dopo l’omicidio di Matteotti in quadro di politica che
condusse alla fascistizzazione della scuola.La scuola materna assunse la
denominazione di “grado preparatorio dell’istruzione elementare” e venne istituita
facoltativamente per i bambini dai 3 ai 6 anni. La scuola elementare della durata
di 5 anni, fu divisa in grado inferiore (I, II, III classe) ed in un grado
superiore (IV e V classe). A sua volta la scuola media superiore fu organizzata in:
La “politica dei ritocchi” va inquadrata anche sui rapporti tra Stato e Chiesa, tra
regime fascista e Vaticano. Mentre il regime necessitava di una legittimazione
politica e morale che poteva ottenere grazie all’appoggio delle istituzioni
ecclesiastiche, queste, a loro volta, tramite un’alleanza col fascismo, avrebbero
potuto contrastare i suoi nemici. Il ministro Casati introdusse l’insegnamento dei
pensatori cattolici nei programmi di filosofia e pedagogia. Vi furono degli
ispettori scolastici autorizzati che avrebbero dovuto accertare la correttezza
dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole.
I Patti Lateranensi: l’introduzione nelle elementari del libro unico di Stato pose
fine ad un periodo di progressi dell’editoria scolastica, stimolata dalle
iniziative di Giuseppe Lombardo Radice. Il pedagogista siciliano scrisse a Gentile
che con il decreto del libro unico era crollata la riforma della scuola. Con i
Patti Lateranensi, stipulati l’11 febbraio del 1929, lo Stato fascista realizzò
l’obiettivo di rafforzare la propria posizione con alcune concessioni anche nel
campo dell’istruzione scolastica procurandosi un largo consenso tra le gerarchie
cattoliche. I Patti Lateranensi ottennero dunque lo scopo di rafforzare la
posizione dello Stato fascista.
CAP. 5
La riforma della scuola aveva come obiettivo quello della riforma dell’intero
sistema scolastico. Nella cultura pedagogica e didattica si è svolto lo scontro tra
due concezioni del mondo, dimostrato dal fatto che, già nell’immediato dopoguerra,
quando vi era il compito della ricostruzione del paese circolava l’idea che
soltanto una “soluzione cattolica” avrebbe potuto dare adeguata risposta ai
problemi della società e che le élites cattoliche fossero le uniche in grado di
rispondere alle catastrofi delle ideologie moderne.
CAP. 6
Gli anni Sessanta assumono un profilo di marca preparatoria a quello successivo,
anticipatorio del Sessantotto, anno emblematico non solo del cambiamento e della
trasformazione bensì di un vero e proprio capovolgimento di modi di essere e di
pensare la vita, di considerare le persone, le istituzioni, la scuola e la
formazione. Si può affermare che gli anni Settanta sono un periodo ricco di
rivoluzioni istituzionali e culturali che riguarderanno una nuova concezione della
politica e della società, ma anche una nuova considerazione della famiglia,
dell’amore, della sessualità e della moda. Sono gli anni della lotta e nel nostro
Paese, vengono esaminati i fatti in profondità, dando vita ad unmetodo che darà
luogo a nuove interpretazioni del mondo per il tempo presente e per il futuro come
grazie ai filosofi della scuola di Francoforte. Dunque, i nuovi metodi sposteranno
l’attenzione verso nuovi protagonismi e verso nuovi problemi, per esempio,
l’attenzione al protagonismo femminile, la considerazione di nuove esperienze
giovanili ma anche lo studio di autori trascurati da decenni come da Dewey a
Montessori ecc..
Per il sorgere del 68 ricordiamo alcuni testi importanti come: L’uomo a una
dimensione di Marcuse e la Lettera a una professoressa di don Milani. Nel primo
saggio il filosofo mette sotto accusa la società del suo tempo, la sua
organizzazione culturale, le sue università, i suoi modelli educativi. Don Lorenzo
Milani mette in luce l’arretratezza dei metodi selettivi della scuola italiana, in
particolare della scuola media, denunciando lo “spreco dei talenti” in quanto era
abituata a “bocciare” i ragazzi provenienti dal mondo operaio e contadino,
piuttosto che seguire una didattica di recupero e di integrazione. Franco Cambi
parla di un “processo” complesso che aveva dato luogo ad una rivoluzione giovanile
e culturale. Il 68’ rappresentò un momento di rottura con il passato, una vera e
propria epoca di protesta e di cambiamento, ma anche di proposta e di progettazione
di un futuro differente dall’oggi e dall’ieri. Il Maggio francese vide studenti
medi e universitari scendere in piazza per manifestare non solo per la
trasformazione degli studi ma anche per sostenere un cambiamento della politica e
della società. In Germania, invece, il Sessantotto fu creativo e libertario dando
luogo alla cosiddetta “rivoluzione sessuale”. In Italia, il movimento riguarda la
politica di sinistra e che si fece portavoce sindacale per il rispetto dei diritti
delle persone e dei lavoratori. Nasceva,in quegli anni, anche la cosiddetta
“pedagogia del territorio”, che sosteneva l’importanza della cultura locale posta
al fianco di quella nazionale. Le idee del ’68 in Italia erano quelle del
cambiamento e della trasformazione educativa e scolastica, politica e culturale.
Nel giugno del 1973 per la prima volta nel nostro Paese, i sindacati dei lavoratori
proclamarono uno sciopero generale su tematiche inerenti i problemi della scuola e
della formazione. Proprio all’inizio degli anni Settanta, si inizia a parlare di
educazione permanente come ricorda Vincenzo Sarracino. L’educazione permanente
veniva così addirittura enfatizzata in forma di slogan: un’utopia in grado di
avviare, un processo di tipo integrativo tra scuola e territorio, per giungere ad
una “società educante” o “comunità educativa”.
Se, da un lato, tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio del Settanta
continuarono le lotte studentesche, si manifestava il dissenso, nelle famiglie e
persino nella Chiesa, dall’altro il Parlamento, cercava di approvare alcune riforme
scolastiche, tra queste era ormai ritenuta indispensabile l’approvazione di una
legge che istituisse finalmente la scuola materna statale. Ci furono però posizioni
differenti: i democristiani volevano che la nuova istituzione educativa si
chiamasse “scuola materna”, sostenendo che bambini così piccoli dovessero
incontrare in tale luogo figure accoglienti e protettive, “materne” per l’appunto.
Chi, al contrario, come gli esponenti del Partito Comunista, sosteneva la
denominazione “scuola dell’infanzia”, con la necessità di considerare tale luogo
educativo come proprio dei bambini; infatti, non solo ritenevano non fosse il caso
di usare l’aggettivo “materno”, ma che andasse evitata anchel’espressione “scuola
per l’infanzia”, dal momento che diventava il luogo preparato dall’adulto per
l’educazione infantile. Ma comunque nel 1968 fu approvata la legge e due sono i
dati fondamentali di tale legge. La scuola materna nasce come preparatoria
all’obbligo scolastico, ma la sua frequenza non è obbligatoria. Ciò determinò uno
stato quasi di abbandono di tale grado scolastico. Il secondo dato è che al
Provveditore locale agli studi, spettava il compito di stabilire la necessaria
copertura scolastica, dopo avere accertato le maggiori condizioni di bisogno.I
Comuni avevano l’obbligo di fornire i terreni su cui costruire gli edifici
scolastici. Nel 1971 venne approvata la legge sull’istituzione degli asili nido;
l’anno precedente nello Statuto dei lavoratori, i lavoratori poterono tornare sui
banchi di scuola, e finalmente la pedagogia poteva farsi sentire, essere presente,
nella stesura stessa delle norme.Da qui, vengono emanate nuove leggi sulla
valutazione, legati non più al voto, ma ad un giudizio che raccolga le notizie
sull’alunno e sulla partecipazione alla vita della scuola. Lo strumento della
valutazione ha il compito di mantenere il controllo e la qualità della scuola..
Essa è:
a)scuola della formazione dell’uomo e del cittadino, in quanto promuove la
formazione dell’alunno in tutte le sue direzioni; b) scuola che colloca nel mondo,
poiché la scuola media concorre alla acquisizione di una immagine sempre più chiara
della realtà sociale;
c)scuola orientativa, poiché, nel favorire l’iniziativa del soggetto, lo mette in
condizione di conquistare la propria identità nel suo contesto di vita; d) scuola
secondaria nell’ambito dell’istruzione obbligatoria: la scuola media, che si pone
in continuità con la scuola primaria, ha il compito di consolidare la preparazione
culturale di base.
Inoltre, i programmi puntano all’unità dell’intervento formativo, unità intesa come
continuità d’intervento tra la scuola elementare e la scuola media con la legge nel
1962. Il vero obiettivo di questa legge è quello di essere una scuola aperte a
tutti, pubblica e gratuita, con programmi unici, che non discrimini tra realtà
urbana e rurale, tra aree economicamente sviluppare e aree povere. Viene però a
mancare una scuola veramente democratica, libera dai dogmi della pedagogia
tradizionale, che stimolasse negli alunni processi di crescita individuale e di
consapevolezza dell’esistenza degli altri.
CAP. 7
La scuola italiana, a partire dalla Legge Casati del 1859 che ne segna la nascita
ufficiale, è stata sempre caratterizzata da lunghe fasi che, sotto il profilo
politico, economico, sociale, culturale hanno investito l’Italia. L’ultima riforma
che ha coinvolto il sistema scolastico è quella di Giovanni Gentile, “la più
fascista delle riforme”, come fu da più voci definita. Una vera riforma, unica ed
organica, dell’intero sistema scolastico italiano risale solo 1 5 anni fa quando il
Ministro della Pubblica istruzione Luigi Berlinguer prova a riorganizzare in ogni
ordine e grado scolastico ritirata in seguito da Moratti.
Per quanto riguarda la scuola media di primo e di secondo grado, la sua struttura è
rimasta uguale a se stessa, superando i cambiamenti sociali, economici e politici
del nostro Paese. Si tratta, tuttavia, di una scolarizzazione malata, in quanto
legata soprattutto alle difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro da parte dei
giovani, che li spinge a cercare nel diploma la soluzione ad ogni problema
lavorativo
CAP. 8
A partire dagli anni Settanta la scuola veniva affiancata nel suo compito da altre
istituzioni pubbliche e private (famiglia, associazioni), le quali prendevano a
loro carico, l’iter formativo del soggetto, come un viaggio articolate in tappe e
traguardi. Le idee di educazione permanente sono state, tuttavia, modificate nel
corso degli anni Ottanta e Novanta. Una formazione ed un apprendimento, cioè che
durino tutta la vita ed abbiano luogo e svolgimento attraverso la maturazione di
una soluzione sia politico-culturale, sia pedagogico-didattica. In particolar modo,
all’interno di un tale modello, politico e pedagogico va chiarito il significato
sia di progettazione che di Sistema Formativo Integrato. La progettazione di
interventi di educazione permanente rivolta ai bisogni formativi dei soggetti e
della comunità e ad un utilizzo frequente di indagini di mercato. Il Sistema
Formativo Integrato non può essere pensato come un modello stratto, ma va costruito
tenendo conto di parametri che, si adattino alle condizioni economiche, sociali e
culturali delle realtà locali. La formazione nei complessi scenari socio-politici e
culturali contemporanei: La scuola dovrebbe diventare scuola di autonomia e
consentire ai soggetti l’esercizio della capacità di operare scelte. Per questo
motivo la scuola è flessibile e non può che essere una palestra di socialità. Per
la scuola, stabilire un progetto, significa assumere la responsabilità di operare
scelte. Una scuola di autonomia, può consentire ai soggetti l’esercizio alla
capacità di esprimere di sé, di vari modi, relativi ai contesti, di essere un io.
Immaginare il futuro è stato per secoli uno degli esercizi più interessanti, ma
anche più difficili per l’uomo. Il futuro del mondo è forse in buona parte già
scritto nei resti del passato e nelle trame del presente, in quello che gli uomini
pensano debbano essere gli ideali da seguire, le politiche da scegliere, le scelte
etiche, economiche e tecniche da sviluppare e seguire, gli obiettivi da individuare
e raggiungere. L’educazione, come progetto ideale e come pratica formativa, non può
tradursi in atteggiamenti di vita, in contenuti da conoscere e da apprendere, in
quella deweiana common way of life cioè il modo nostro di vedere, l’essenza degli
essere umani: vivere per apprendere, per conoscere e stessi gli altri e il mondo,
per progredire, innovare e per confrontarsi con il cambiamento.
Valori, contenuti, metodi formativi, variano con il variare del tempo e della
storia e rispondono alle esigenze concrete degli uomini:
-diacronicamente, a seconda delle epoche;
-sincronicamente, a seconda delle situazioni
e degli ambienti nei quali ha luogo e si sviluppa un progetto educativo;
-utopisticamente, con l’azione umana del miglioramento, del cambiamento, della
trasformazione.
Nel futuro la situazione difficilmente potrà maturare. Pensare ai modelli di
formazione per le generazioni giovanili, significa riuscire a “leggere” la realtà.
Ci sembra possibile immaginare per la società del domani alcuni scenari possibili:
a)il lavoro ridotto quantitativamente, muterà completamente dal punto di vista
qualitativo;
b)nuove esigenze economiche, sociali, culturali e politiche contribuiranno a
cambiare
l’assetto organizzativo dei singoli soggetti e delle società, per cui sarà
necessario ricercare
soluzioni nuove;
c)richieste di sperimentazione di nuove macchine e strumenti, di nuovi linguaggi e
di nuove tecnologie.
“Oggi siamo in un momento di mutazione profonda”, spiegava Nicola Cacace. Negli USA
è in fase il downsizing continuo, che vuol dire licenziamento perenne. Una vera e
propria profezia che oggi è diventata comune prassi in molti Paesi
industrializzati. Le aziende negli ultimi anni, spiegava Cacace, hanno scelto come
obiettivo prioritario quello di far quadrare i bilanci. Ma tale scelta ha provocato
la perdita di molti soggetti creativi, la creatività ha fatto posto alla
produttività. Quella del nostro Millennio sarà una società al cui interno i pochi,
specialisti, ingegneri e tecnologi della conoscenza, esperti della comunicazione,
lavoreranno full-time; tutti gli altri svolgeranno compiti part-time. La nostra
sarà una società asimmetrica.
La comunità che apprende: l’educazione alla democrazia oggi avviene attraverso
progetti di apprendimento e di conoscenza della comunità. Gli attori della comunità
sono le diverse generazioni nei luoghi in cui vivono e nelle posizioni che occupano
nella vita: giovani, genitori, insegnanti. La Comunità della conoscenza e
dell’apprendimento permanente è chiamata a svolgere una molteplicità di funzioni:
capire per programmare l’intervento specifico, i bisogni, le attese, le esigenze
dell’altro; deve occuparsi di educare il pensiero; sostenere la maturazione di un
pensiero autonomo; educare i sentimenti che sono speso trascurati.