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CAP.

Il quadro dell’istruzione pubblica negli Stati preunitari italiani può essere


diviso in due grandi aree. Nel Regno di Sardegna, nel Lombardo-Veneto e nel
Granducato di Toscana, durante la prima metà dell’Ottocento, si affermano varie
spinte rinnovatrici, che passano sia attraverso l’iniziativa di istituzioni
private, sia attraverso quella dello Stato. Nello stato pontificio e nel regno
delle due Sicilie la politica dei governanti è ispirata da una ostilità verso
l’istruzione popolare. Nel granducato di toscana la svolta reazionaria di Leopoldo
II, che nel 1849 revoca la costituzione, era stata preceduta da un lungo periodo di
tolleranza verso le idee liberali. Durante questi anni la Toscana è al centro di
una fitta rete di iniziative promosse da intellettuali che dettero un rilevante
contributo al rinnovamento della cultura e della società. Di grande interesse fu la
fusione che si realizzò in toscana tra le società che promuovevano gli asili
infantili con quelle di mutuo insegnamento. Alla base di questo ci furono fattori
economici, poiché in entrambe le istituzioni si basavano sullo spirito di carità
privata. Ma vi furono anche motivi di opportunità politica e ragioni di ordine
educativo. Le scuole di mutuo insegnamento avevano trovato un ambiente favorevole
nel granducato di toscana, dove le autorità governative non posero quegli ostacoli
che invece vi furono per la diffusione dello stato pontificio e nel regno di
Napoli. La Lombardia è nel 1846, la regione d’Italia con un numero di asili
infantili maggiore. Ciò è dovuto anche all’azione svolta da Ferrante Aporti che
fondò il primo asilo infantile in un
paesino in provincia di Mantova. Il suo obiettivo fu quello di migliorare le
condizioni della vita d’infanzia più disagiata, favorendo l’inserimento sociale
mediante la formazione morale e l’insegnamento del leggere, scrivere e del far
conto, secondo lo spirito del cattolicesimo liberale. Da qui ne seguirono la
fondazione di molti altri, gli asili dell’Aquila e di Napoli costituirono due casi
eccezionali in tutto il Sud.La politica scolastica dell’Austria, alla cui base
c’erano le riforme di Maria Teresa e di Giuseppe II, che avevano contribuito a
porre la Lombardia all’avanguardia di tutti gli stati italiani, non subì svolte
rilevanti neppure nell’età della restaurazione. La restaurazione porta un clima
oscuro nel regno Sabaudo. Il principio dell’istruzione elementare obbligatoria non
trovò mai attuazione. Tutta l’istruzione rimase nelle mani del clero, non solo
perché era sottoposta al rigido controllo dell’arcivescovo di Torino, ma anche
perché la maggior parte degli insegnanti erano sacerdoti. In pochi anni altre città
come Genova, chiesero e ottennero l’istituzione di scuole di metodo per la
formazione dei maestri elementari. L’opposizione del clero fu decisa perché vi si
riconosceva l’intenzione di sottrarre alla chiesa l’insegnamento elementare. La
legge Boncompagni conferma che quei timori non erano infondati, dal momento che
essa toglieva al clero la gestione della scuola e la metteva nelle mani dello
stato. Nel giugno del 1858, la Legge Lanza interviene a regolare la formazione dei
maestri con l’istruzione delle Scuole normali. Con il rientro a Roma, il papa
abolisce il ministero della pubblica istruzione, da lui stesso istituito, e a
reintegrare la congregazione degli studi, l’organo nelle cui competenze doveva
ricadere l’attività della pubblica istruzione e l’emanazione di un Regolamento
delle scuole private elementari. Quello che manca nello stato pontificio in materia
scolastica è la convinzione che il ruolo della religione e della chiesa cattolica
potesse tradursi in un impegno educativo. Ciò spiega perché anche iniziative di
ispirazione cristiana provocarono la condanna del governo pontificio; un esempio
sono le scuole dell’infanzia promosse da don Ferrante aporti, il quale considerava
il cristianesimo come un grande evento educativo e attraverso l’educazione esprime
il suo amore per il Creatore ed operare per il regno di Cristo.

Ferdinando I cercò di non demolire del tutto il sistema scolastico, egli dichiara
la sua volontà di migliorare lo stato delle finanze e dell’amministrazione della
giustizia. I provvedimenti portarono ad una politica di alleggerimento fiscale e di
severo controllo sulle spese pubbliche. Da ciò derivò l’idea di un primo periodo
del regno di Ferdinando II, positivo e animato da idee riformatrici, interrotto
dalla svolta reazionaria del 1848. Vi era una nuova apertura verso le idee
letterarie, scientifiche e filosofiche alla quale contribuirono personalità come
Bertrando e Silvio Spaventa per la filosofia. Fondamentale fu anche la presenza di
riviste e di giornali, di salotti, di circoli e di scuole. Ma la situazione cambia
quando si sposta l’attenzione sullo stato dell’istruzione pubblica primaria
nell’ultimo trentennio del regno borbonico, lasciato totalmente nelle mani del
clero. Per quanto riguarda la scuola privata a Napoli, questa ebbe una gloriosa
tradizione: Girolamo Nisio nel suo saggio, individua la causa principale nel
difetto dell’insegnamento pubblico e della domanda di istruzione da parte delle
famiglie agiate. Egli, sottolineando lo stretto rapporto tra esigenze delle
famiglie civili e le scuole private, evidenzia caratteristiche peculiari
dell’istruzione privata, come l’estrema varietà dei metodi didattici, delle materie
d’insegnamento e dell’organizzazione scolastica. Per Nisio uno dei meriti
principali delle scuole private napoletane è nel fatto che in esse l’istruzione
primaria non costituisce un corso separato di studi, ma s’integra con quello medio.
Numerose furono le scuole private di medicina, ma anche gli studi di
giurisprudenza, con numerosi studenti attratti sia dall’insegnamento teorico, sia
dalla possibilità dell’esercizio di avvocatura. Ma la repressione del 1849 troncò
l’esperienza delle scuole universitarie, soprattutto quelle di lettere, diritto e
filosofia. Durante il regno di Ferdinando II si rafforzò il carattere
dell’istruzione pubblica. Un aspetto significativo di questo atteggiamento della
monarchia è costituito dalla mancanza di iniziative per favorire la formazione
della figura del moderno insegnante laico, cosa che invece era stata tentata da
Gioacchino Murat, quando aveva istituito una scuola per maestri, abolita nel 1815
col rientro dei Borbone. Vi era la convinzione che alla scuola pubblica non
spettasse altro che il compito di frenare la diffusione di idee politicamente
pericolose nel popolo.

CAP. 2

Nel 1850 il Piemonte era ancora in guerra al fianco dei francesi di Napoleone III
quando venne approvata la prima legge riguardante il sistema scuola. In seguito
dopo Casati, bisognerà infatti aspettare la riforma Gentile del 1923. In realtà le
riforme scolastiche di grande rilievo politico, educativo e pedagogico, si sono
avute solo in tempi recenti. La legge Casati, cosi indicata del responsabile del
ministero della pubblica istruzione, Gabrio Casati, venne promulgata da Vittorio
Emanuele II di Savoia nel 1859 per gli avvenimenti politici e militari di
quell’anno. Essa costituisce l’atto di nascita del sistema scolastico italiano e ne
rappresenta tuttora la base fondamentale.La legge Casati prevede l’organizzazione
di un sistema scolastico di tipo piramidale, ispirata alla riforma di Napoleone in
Francia: il consiglio superiore della pubblica istruzione, gli ispettori generali,
un provveditore agli studi in ogni provincia, il consiglio provinciale.
L’ordinamento degli studi prevedeva l’istruzione superiore nelle università,
l’istruzione secondaria (classica, tecnica, normale) e l’istruzione elementare,
gratuita e divisa in due grafi, inferiore e superiore della durata di 2 anni
ciascuno.Il paese aveva bisogno di una scuola severa avviarsi ad un’unità che non
fosse solo formale, dunque l’istruzione di base doveva saldare i vincoli dell’unità
nazionale. La leggi Casati rappresenta uno strumento di importanza per la vita del
nuovo stato. Con la legge Casati viene confermata ancora una volta l’intenzione di
privilegiare gli studi classici per formare la classe dirigente che guida il Paese.

Relazioni sullo stato dell’insegnamento pubblico: La legge Casati stabiliva che il


consiglio superiore della pubblica istruzione ogni cinque anni dovesse presentare
al ministero una relazione sullo stato dell’insegnamento pubblico. Dall’inchiesta
del 1864 risulta aumentato il numero delle scuole, dei maestri e degli alunni. Vi
sono comunque condizioni di assenteismo scolastico provocato dalle precarie
condizioni di miseria delle classi popolari e dal fenomeno del lavoro infantile.
Un ulteriore difetto riguarda anche i contenuti troppo poveri per garantire
un’autonomia culturale alla maggior parte degli allievi appartenenti a ceti
economicamente e socialmente svantaggiati. Infatti l’articolo 315 della legge
prescrive: l’istruzione comprende l’insegnamento religioso, la scrittura,
l’aritmetica elementare, la lingua italiana. Alle materie saranno aggiunti nelle
scuole maschili superiori, i primi elementi della geometria; nelle scuole
femminili, i lavori donneschi. Per la povertà ed incapacità dei comuni, a malapena
veniva garantita l’istruzione elementare di grado inferiore, si può capire come
fossero insufficienti due anni per fornire all’allievo adeguate competenze
linguistiche attraverso lettura, scrittura e aritmetica.
I programmi del 1867: il quadro dell’istruzione pubblica emerso nel 1864 fu
preoccupante soprattutto per i dati sull’analfabetismo e sull’impreparazione dei
maestri. I programmi del 1867 costituiscono un tentativo per una lotta contro
l’analfabetismo. Si ribadisce la necessità che all’istruzione vada unita
l’educazione.

La legge Casati fu una legge fatta di vantaggi e svantaggi: ebbe il merito per
esempio di essere stata approvata ancora prima dell’unità d’Italia; ebbe il
demerito di non aver considerato i vari bisogni socioculturali ed educativi delle
popolazioni locali, l’eccessiva autonomia ed ignoranza di molti istituti religiosi,
la scarsa possibilità da parte delle classi popolari.Un ulteriore passo in avanti
vi fu con l’approvazione della legge Coppino, la qualestabiliva sanzioni per chi
scappava dall’obbligo scolastico, anche se i più sanzionati furono coloro che non
potevano permettersi il lusso della frequenza scolastica dei loro figli. In seguito
il regolamento di tale legge fu costretto a chiarire che l’obbligo non poteva
essere preteso da coloro che erano poveri, coloro che erano malati o troppo
distanti dalla sede scolastica. Cominciava ad essere forte l’attacco alla scuola e
l’istruzione da parte degli agrari e del clero, i quali si sentivano minacciati nei
loro privilegi. Gli agrari affermavano che l’istruzione distoglieva i giovani dal
lavoro; il clero si preoccupava dell’esito delle cattive letture. Entrambi si
ribellarono e seguirono manifestazioni sociali e politiche all’istituzione della
scuola dell’obbligo e alla crescita dell’istruzione.

Alcuni affermano che il positivismo cominciò ad esercitare un’ influenza sulla


scuola fin dai programmi elementari del 1867 e chi invece nega che non si sia mai
verificato un aspetto positivistico sulla cultura italiana. Bisognerà attendere al
1888, quando Aristide Gabelli porterà un’impronta culturale di stampo
positivistico, nella stesura dei programmi elementari dell’epoca. Si assiste in
questi programmi ad un relativo incremento del numero delle discipline
d’insegnamento: dalle tre indicate da Casati (religione, lingua, aritmetica), si
passa alle cinque del 1888 (lingua, scrittura e disegno, geografia, storia e
aritmetica), alle sette del 1894(lingua, scrittura e disegno, geografia, storia e
aritmetica, lavori e ginnastica).
L’istruzione popolare e i governi della sinistra: Pasquale Villari fu uno dei pochi
che s’interrogarono sulla causa dell’insuccesso della lotta contro l’analfabetismo,
soprattutto nel sud, individuandola nella miseria della popolazione. Michele
Coppino, sostenendo il principio della gratuità dell’istruzione elementare, tentò
di rendere effettivo l’obbligo scolastico. Il Gabelli (vero movimento educativo
positivista) non dava tanta importanza all’istruzione in sé, alle nozioni apprese,
ma agli effetti e ala conseguenze prodotte dall’istruzione stessa: la capacità di
farli ragionare con la testa propria, la cura del corpo attraverso l’educazione
fisica.
Le istruzioni e i programmi del 1888: la riforma di Gabelli: l’attuazione della
legge Coppino del 1877 impose l’esigenza di un riordinamento dell’insegnamento
elementare, prolungato da 4 a 5 anni. Il modo di cui parla Gabelli è quello
oggettivo e si collega la convinzione che la scuola non deve deviare dalla vita con
un formalismo ambizioso al contrario deve preparare l’alunno. L’istruzione
continuava ad essere criticata dalle classi al potere e dalla chiesa. Con
Gabelli viene preso in considerazione l’aspetto psicopedagogico dell’educazione e
la conseguente necessità di rispettare i ritmi di apprendimento dell’allievo.
Importante fu anche la cura del corpo attraverso l’educazione fisica e l’aver
introdotto l’educazione civile.
I programmi Gabelli: i programmi di Gabelli incontrarono molti ostacoli. Un
elemento fondamentale di queste difficoltà era costituito dalla diffidenza dei ceti
dominanti nei confronti di un progetto di istruzione che intendeva offrire
all’alunno attraverso il metodo, lo strumento per diventare maestro. La scuola
voluta dal Gabelli e dai positivisti, si era alleata e aveva sostenuto i movimenti
progressisti volti alla trasformazione del paese. Inoltre, le vicende della vita
italiana non permisero che le prospettive dei programmi Gabelli si realizzassero in
un accordo tra scuola e politica. L’organizzazione operaia cominciava a far paura;
i disordini e le proteste si moltiplicarono per la condizione di miseria che le
classi lavoratrici erano costrette a sopportare. Nello stesso periodo vi fu anche
la prima organizzazione unitaria dei maestri, e la U.M.N (unione magistrale
nazionale). Al suo interno si svilupparono due tendenze: una di tipo borghese-
moderata, e l’altra di carattere proletario.

CAP. 3

Dopo la risalita di Garibaldi dalla Sicilia lungo la Penisola fino al Volturno e


poi fino a Gaeta, e dopo l’incontro con Vittorio Emanuele, oltre al problema tra
politiche e fedi, non poteva non assumere nell’Italia unita un posto centrale come
la questione dell’organizzazione del nuovo Regno, dunque, della relativa
amministrazione civile, militare, sanitaria, educativa e scolastica. La difficoltà
principale era per giungere all’alfabetizzazione, quindi vi era un alto tassi di
analfabetizzazione. Vi è la necessità di costruire la “scuola degli italiani”, per
costruire una identità culturale unitaria con l’aiuto delle istituzione in
particolare la scuola. Non bisogna dimenticare che è soprattutto un compito
politico fai sì che la scuola sia uno dei settori sociali fondamentali affinché
diviene il centro di un progetto formativo non solo per cittadini del Nord o del
Sud, ma per uomini di tutto il mondo.

Come scrive lo stesso Genovesi, che la vera scuola la fa tale un tipo di “modello”,
che contenga un progetto autonomo, libero, educativo, che sia valido per tutto il
territorio. Vi era un divario enorme per quanto riguarda l’alfabetismo che divideva
il nostro Paese; un divario già presente all’interno della Penisola tra Nord e Sud,
in particolare tra il Lombardo#Veneto e la Toscana, da un lato, e lo Stato
Pontificio e il Regno delle Due Sicilie, dall’altro. Vi è un tasso di analfabetismo
più elevato al Sud rispetto che al Nord. Il 1859 è l’anno delle intese tra Italia e
Francia, della Seconda Guerra d’Indipendenza, dell’approvazione in Parlamento della
legge Casati che ricostruisce la scuola. Due anni dopo, con la spedizione dei Mille
e, nel 1870, con il completamento dell’Unità, si chiude il processo di unificazione
dell’Italia. Una conclusione a livello geografico-territoriale, ma non a livello
politico, economico, sociale e culturale. Ed è in quegli anni che si vuole arrivare
ad un’integrazione e maturazione di una identità unitaria, guidati dal motto di
D’Azeglio: Fatta l’Italia, bisogna fare gli Italiani.

Fare gli Italiani significa pensare ad una loro formazione unitaria. La risoluzione
del problema era determinata dalle difficoltà economica e dalla mancanza di
maestri. D’altra parte, la legge Casati aveva previsto solo un biennio obbligatorio
di studi. La questione centrale rimase per molto tempo quella dei docenti, i quali
lavoravano, tra ostilità delle popolazioni, infatti il loro lavoro si svolgeva tra
l’ostilità delle famiglie, ma anche degli stessi Comuni che usavano nei loro
confronti politiche restrittive, facendo mancare anche materiali didattici da parte
dei Comuni alle maestre. Le maestre ricevevano dai Comuni stipendi inferiore
rispetto ai loro colleghi maschi. Ma nonostante il peggio trattamento economico, il
numero delle maestre aumentò. Un “esempio eroico” di una condizione difficile è la
storia della maestra Italia Donati che riesce a diplomarsiItalia Donati era la
giovane figlia dei contadini di una città in provincia di Pistoia, la
quale,diplomata maestra, era andata a insegnare in un paese vicino. Il sindaco
l’aveva obbligata sotto ricatto ad abitare nella sua stessa casa, (le maestre
dipendevano dai comuni non dallo Stato), la gente subito si convince che fosse
diventata la sua amante. Lei cercò di dimostrare la propria innocenza e non
riuscendoci si era suicidata. Le maestre hanno avuto il grande merito di insegnare
a leggere e scrivere, tra enormi disagi e difficoltà, a generazioni di scolari
dell’Italia unitaria. La storia personale della Donati si inserisce nella storia
del nostro paese: un paese chiuso, arretrato e pieno di pregiudizi.

CAP. 4

All’inizio del Novecento, numerosi fattori andavano nella direzione di un profondo


processo di rinnovamento della scuola. D’altra parte, tra i gruppi politici vi fu
la convinzione che il modo migliore per evitare i rischi del conflitto sociale
fosse quello di allargare l’aree del consenso per migliorare le condizioni di vita
e di lavoro delle masse popolari. Molti, come Giolotti, videro nella diffusione
dell’istruzione una condizione indispensabile per lo sviluppo dell’Italia. La legge
Nasi del 1903 riconobbe il diritto delle maestre a percepire lo stesso stipendio
dei maestri. Successivamente con la legge Orlando, si riportò il corso scolastico
alla durata di quattro anni per gli alunni che intendevano proseguire gli studi. La
legge poi, estese l’obbligo scolastico fino a dodici anni di età, stabilendo per
gli evasori nuove sanzioni. Con la legge Daneo- credaro del 1911 vi fu la decisione
di lasciare l’autonomia nel campo dell’istruzioni elementare solo ai comuni
capoluoghi di provincia. Con il nuovo ordinamento della scuola primaria introdotto
dalla legge Orlando vi furono anche nuovi programmi. Nel 1905, l’anno in cui furono
approvati i nuovi Programmi per le scuole elementari, il ministro della Pubblica
Istruzione Leonardo Bianchi nominò la Commissione reale d’inchiesta con il compito
di seguire un lavoro preparatorio e di riordinare l’istruzione secondaria. Essa era
divisa in tre canali: il ginnasio e il liceo, la scuola e l’istituto tecnico, la
scuola normale per la formazione dei maestri. Gaetano Salvemini riteneva che alle
esigenze dell’istruzione popolare avesse già provveduto la riforma della scuola
elementare, istituita con la legge Orlando. La Commissione reale concluse i lavori,
presentando una relazione finale in cui si proponevano tre tipi di scuola
secondaria inferiore: ginnasio, scuola tecnica e scuola complementare, ma con la
raccomandazione che il programma delle prime due avessero in comune molte
discipline. Ma per Salvemini si trattava di un pessimo compromesso.

La “Grande Guerra” (1914-1918) e tutti gli avvenimenti come la disfatta di


Caporetto (1917), la cui responsabilità fu attribuita anche alla scuola, che,
secondo alcuni, non aveva saputo formare una sana e robusta coscienza nazionale,
provocarono nel Paese nuovi fronti di antagonismo. La scuola era ormai considerata
una struttura incapace di formare e selezionare un’adeguata classe dirigente e
dunque del tutto incapace di contribuire alla creazione di uno “Stato etico”. Il
movimento dei lavoratori aveva tentato di imprimere nuove svolte nel campo
educativo e scolastico, conducendo battaglie in Parlamento per la creazione di una
scuola per il popolo, lottando per l’elevazione dell’età dell’obbligo scolastico;
inoltre le organizzazione operaie crearono delle strutture per combattere
l’analfabetismo. Nel campo socialista, c’era anche chi riteneva che il problema
scolastico non dovesse limitarsi alla soluzione della questione dell’obbligo.

Nella storia della scuola italiana, le grandi riforme scolastiche sono state
attuate attraverso un dibattito politico-civile, a questa procedura ricordiamo la
riforma Casati del 1859 e la riforma Gentile del 1923. Nominato da Benito
Mussolini, Giovanni Gentile tentò di realizzare i suoi progetti educativi
conservatori grazie all’appoggio del regime fascista. Il primo compito che si
assunse Gentile fu quello di riportare l’ordine e la disciplina nellascuola; egli
precisava che la scuola doveva essere considerata una degli organi più delicati
dello Stato, il cui compito consisteva nell’assicurare l’obbedienza nei confronti
dell’autorità statale. Ancora prima delle leggi speciali del 1925 cominciò ad
essere autoritaria la scuola dopo l’omicidio di Matteotti in quadro di politica che
condusse alla fascistizzazione della scuola.La scuola materna assunse la
denominazione di “grado preparatorio dell’istruzione elementare” e venne istituita
facoltativamente per i bambini dai 3 ai 6 anni. La scuola elementare della durata
di 5 anni, fu divisa in grado inferiore (I, II, III classe) ed in un grado
superiore (IV e V classe). A sua volta la scuola media superiore fu organizzata in:

a) istituto magistrale superiore (3 anni), con la possibilità di proseguire gli


studi universitari
iscrivendosi alla Facoltà di Magistero;
b) liceo scientifico (4 anni);
c) liceo femminile (3 anni);
d) liceo classico (3 anni);
e) istituto tecnico superiore (4 anni).
Fu dichiarata obbligatoria anche la scuola per i giovani ciechi.
La selezione e il meccanismo degli esami nella riforma Gentile: Il carattere
selettivo della scuola doveva essere garantito anche dal meccanismo degli esami. Un
esame era necessario per il passaggio alla scuola secondaria superiore e, alla
conclusione di questa, quello di maturità. Per l’accesso all’Università era
richiesta la maturità liceale.Strutturato come una brutta copia del ginnasio-liceo,
l’istituto magistrale prese il posto della vecchia scuola normale per la
preparazione dei maestri. Secondo i gentiliani, il metodo d’insegnamento era del
tutto secondario rispetto ai contenuti e alle regole da impartire. Ernesto
Codignola ha osservato il migliore insegnante è chi ha più agilità e aperta
intelligenza.

L’attuazione della riforma Gentile fu condotta negli anni in cui il fascismo si


impose come un vero e proprio regime dittatoriale, nel tentativo di costruirsi come
uno Stato totalitario. Il 10 giugno del 1924 il deputato Giacomo Matteotti,
segretario del Partito Socialista Unitario, avendo denunciato in un suo discorso
alla Camera il clima di violenze e di imbrogli elettorali alimentato dai fascisti,
che avevano vinto le ultime elezioni, fu prima sequestrato e poi ucciso da un
gruppo di squadristi del Partito Nazionale Fascista. Ritrovato il corpo ed
arrestati gli assassini, il brutale omicidio di un deputato politico suscitò in
tutto il Paese un vasto movimento d’indignazione, culminato nella secessione
dell’”Aventino”, ossia l’abbandono delle Camere da parte dei parlamentari
appartenenti ai partiti dell’opposizione. Vi era la speranza di un’azione da parte
di Vittorio Emanuele III, che, però, non tolse mai a Mussolini l’incarico di capo
del governo. La situazione di crisi si sbloccò nel 1925 quando gli oppositori
aventiniani continuavano la loro protesta mentre in un discorso alla Camera
Mussolini si assunse la responsabilità dell’omicidio di Matteotti minacciando di
ricorrere alla forza contro gli oppositori politici. La crisi seguita al delitto
Matteotti favorì il passaggio da un governo autoritario alla costruzione di un vero
regime dittatoriale all’emanazione delle leggi fascistissime che eliminavano la
libertà di espressione, stampa, associazioni e opposizione.Differentemente dagli
Stati autoritari del passato quello fascista non intese solo reprimere le masse, ma
una “rivoluzione delle masse contro le masse”. Un ruolo fondamentale fu ricoperto
dal controllo della scuola e della cultura, ma soprattutto dei mezzi di
comunicazione di massa, quali il cinema e la radio. Dopo l’omicidio Matteotti,
l’opposizione fu ridotta al silenzio. Tra coloro che decisero di continuare ad
opporsi attivamente al regime fascista furono i comunisti tra i primi, i quali si
impegnarono attraverso la pubblicazione clandestina di fogli, giornali, opuscoli e
volantini. La finalità del regime fascista era la realizzazione di un progetto
incentrato sull’utopia dell’uomo nuovo e modificare non solo lo Stato ma anche la
società. Il fascismo si configurò nei termini di un totalitarismo imperfetto, i cui
punti di forza furono: il culto della personalità del duce, la burocratizzazione
del PNF, la creazione di organizzazione extrascolastiche per il controllo dei
giovani; il regime fascista vide il consesso dell’alta borghesia e la classe
popolare che vide diminuire il suo salario e consumo. A partire dal 1925 in campo
economico, il regime fascista passò da una politica liberista ad una statalista e
protezionista. L’isolamento internazionale, seguito dall’impresa di Etiopa,
contribuì a riavvicinare l’Italia alla Germania, prima aiutandola nella guerra di
Spagna (1936-39) poi con la firma dell’Asse Roma-Berlino (1936) e con il Patto
d’acciaio (1939). E’ il preludio della 2 guerra mondiale (1939) che vide l’ingresso
dell’Italia in guerra il 10 giugno 1940.

Già a partire dell’anno scolastico 1923-1924 cominciarono a manifestarsi gli


effetti della riforma Gentile: le iscrizioni nelle scuole medie pubbliche
diminuirono, facendo registrare un vero e proprio crollo per le scuole normali. In
tutto il paese si registrarono lamentale e proteste per la diminuzione del numero
delle scuole.
I “ritocchi” alla riforma Gentile: Si trasformò la scuola italiana in uno strumento
del regime fascista. I “ritocchi” incominciarono con i provvedimenti del ministro
Pietro Fedele che ridusse il numero dei docenti universitari. Mussolini, non avendo
nessun interesse ad avere una classe dirigente veramente colta, volle fare della
scuola lo strumento principale dell’educazione fascista delle nuove generazioni e
rafforzare i sistemi di controllo e costruzione del consenso. Inoltre vi fu un
Testo unico sulla legislazione universitaria. Per gli studenti, De Vecchi diminuì
il numero degli esami tra i quali introdusse l’insegnamento di Storia e dottrina
del fascismo, e aumentò quello degli esami obbligatori.

La “politica dei ritocchi” va inquadrata anche sui rapporti tra Stato e Chiesa, tra
regime fascista e Vaticano. Mentre il regime necessitava di una legittimazione
politica e morale che poteva ottenere grazie all’appoggio delle istituzioni
ecclesiastiche, queste, a loro volta, tramite un’alleanza col fascismo, avrebbero
potuto contrastare i suoi nemici. Il ministro Casati introdusse l’insegnamento dei
pensatori cattolici nei programmi di filosofia e pedagogia. Vi furono degli
ispettori scolastici autorizzati che avrebbero dovuto accertare la correttezza
dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole.
I Patti Lateranensi: l’introduzione nelle elementari del libro unico di Stato pose
fine ad un periodo di progressi dell’editoria scolastica, stimolata dalle
iniziative di Giuseppe Lombardo Radice. Il pedagogista siciliano scrisse a Gentile
che con il decreto del libro unico era crollata la riforma della scuola. Con i
Patti Lateranensi, stipulati l’11 febbraio del 1929, lo Stato fascista realizzò
l’obiettivo di rafforzare la propria posizione con alcune concessioni anche nel
campo dell’istruzione scolastica procurandosi un largo consenso tra le gerarchie
cattoliche. I Patti Lateranensi ottennero dunque lo scopo di rafforzare la
posizione dello Stato fascista.

Il riconoscimento dello Stato Vaticano e delle associazioni cattoliche insieme al


rafforzamento e all’insegnamento della religione cattolica nella scuola statale,
limitarono il regime fascista. Tuttavia, il fascismo tentò lo stesso di costruire
un regime totalitario. È in questo clima che si collocò l’introduzione del
giuramento dei professori universitari che giurarono di essere fedele al re e al
regime fascista. In questo modo Mussolini intese vendicarsi del manifesto
antifascista promosso da Croce nel 1925 al quale aderirono numerosi universitari.
Si ritenne che la scuola dovesse formare l’uomo fascista nella sua integralità.Le
classi fasciste si articolarono in: Figli della Lupa (6-8 anni), nei Gruppi Balilla
(8-14 anni), nelle Avanguardie Giovanili Fasciste (14-17 anni) e nella Gioventù
Universitaria Fascista. Caratteristici furono i giochi della gioventù, che, col
passare del tempo, assunsero un carattere paramilitare. I docenti furono
selezionati dai quadri della Milizia Volontaria Fascista per la Sicurezza Nazionale
e godettero di un prestigio sociale.

Nell’ambito della politica di Mussolini la diffusione fascista dei libri di testo


ricoprì un ruolo fondamentale sia per la scuola elementare che per la scuola
secondaria. I libi di testo per la scuola elementare dovessero essere sottoposti al
giudizio delle Commissioni regionali. Il Testo unico si caratterizzò per un uso e
per una propaganda, veicolando, mediante l’uso di approcci e linguaggi di solito
molto efficaci, un’immagine del regime fascista, che fece pressione sulla retorica
eroica e militare. Grazie all’emanazione della Carta della scuolavenne confermato
il Libro unico per le scuole elementari.

Dopo la firma del Concordato (1929), il regime fascista regolamentò giuridicamente


i suoi rapporti con le comunità religiose non cattoliche; riconobbe a tutte le
minoranze linguistiche la libertà di culto e il godimento di tutti i diritti civili
e politici. Tuttavia, dopo la conquista dell’Etiopia e con la nascita dell’asse
Roma-Berlino, il regime si fece promotore di una politica di discriminazione
razziale nei confronti della comunità ebraica. Nel 1938 fu pubblicato il Manifesto
del razzismo italiano, in cui scienziati sostenevano l’esistenza di una “razza
italiana” di origini ariane, tutelandola da ogni contaminazione di razze inferiori.
Iniziò, così, una campagna propagandistica per costruire il consenso verso la nuova
politica razzista inaugurata dal regime. Fu ribadita l’esclusione degli ebrei da
parte di Bottai, non solo all’insegnamento ma anche da tutte le altre funzioni che
si svolgevano presso le scuole statali; si vietò l’uso di libri i cui autori
fossero ebrei. Inoltre, vennero negati ai liberi docenti universitari di “razza
ebraica” i principali diritti. Le leggi razziali si abbatterono sulle comunità
ebraiche, generando una situazione drammatica sul piano psicologico, sociale,
economico e culturale.

Giuseppe Bottai fu un determinato promotore dell’applicazione delle leggi razziali


nella scuola in qualità di responsabile del Ministero dell’Educazione nazionale. In
ambito scolastico cercò di unire l’esigenza fascista di fare della scuola uno
strumento del regime. Se alla scuola spettava il compito di formare il cittadino
fascista, invece, secondo Bottai, spettava il compito di formare i lavoratori alle
esigenze della società fascista. Dopo avere attuato alcune riforme di carattere
amministrativo, Bottai presentò al Gran Consiglio del fascismo la Carta della
scuola. Richiamandosi direttamente alla Carta del lavoro, il ministro intese dare a
quella della scuola lo stesso carattere programmatico. La Carta fu articolata in
tre parti: la prima illustrava i principi ideologico-programmatici; la seconda
esponeva le linee essenziali del nuovo ordinamento scolastico; la terza si
soffermava sui corsi di studio speciali, sull’educazione delle donne, sulla
formazione dei docenti e sui libri di testo. L’ordinamento scolastico prevedeva
quattro gradi: elementare, medio, superiore, universitario. L’ordine della scuola
superiore era costituito dal liceo classico, scientifico, dall’istituto magistrale
e tecnico commerciale, dalla durata quinquennale. Per quanto riguarda l’Università,
Bottai previde ad un nuovo raggruppamento delle varie facoltà, dalla durata
compresa tra i quattro ed i sei anni. A causa dello scoppio della Seconda guerra
mondiale (1939) e della successiva entrata dell’Italia nel conflitto (1940), tra le
numerose innovazioni previste dalla Carta della scuola, soltanto poche ne vennero
realizzate. L’unica riforma duratura introdotta dalla Carta fu la scuola media.

Il Fascismo aveva marginalizzato e strumentalizzato qualsiasi interesse. In primis


l’idealismo gentiliano veniva considerato pericoloso.
Carleton Wolsey Washburne e i programmi del 1943: nelle vicende della scuola
italiana tra il 1943 e il 1945 un ruolo importante ebbe Washburne, il pedagogista
statunitense, legato alle esperienze condotte nella scuola di Winnetka quando fu
nominato membro della Commissione e consigliere per la politica scolastica del
nostro Governo. Entrato in contatto con Gino Ferretti, un pedagogista che insegnava
all’Università di Palermo, Washburne gli affidò il compito di stendere i Programmi
di studio ed indicazioni didattiche per le scuole elementari. Il lavoro di Ferretti
fu un tentativo innovatore per la finalità democratica e per un insegnamento
individualizzato.Con la caduta del regime fascista furono numerosi le correnti di
pensiero (quella cattolica, quella deweyana e quella marxista) sia gli esperimenti
didattico-educativi.

CAP. 5

Con il secondo governo De Gasperi 1946, la Pubblica Istruzione viene affidato a un


cattolico.La nomina di Guido Gonella è il risultato non di accordi o compromessi
tra le differenti forze politiche che sostenevano il governo, ma di una precisa
scelta politica di De Gasperi, che intende rinsaldare i legami con le gerarchie
ecclesiastiche. Secondo Gonella “lo Stato fa le veci della famiglia” ossia, se alla
Chiesa spetta il compito di indicare i contenuti etico#religiosi dell’insegnamento,
allo Stato si riconosce quello di svolgere una funzione di supplenza senza mettere
in discussione il ruolo della Chiesa cattolica. Il clima di guerra fredda che ne
seguì fu una condizione favorevole al rafforzamento del partito democristiano.
Sindacati e associazionismo nel secondo dopoguerra: nel 1945 nacque la Federazione
Italiana Della Scuola, nella quale confluirono tutti i sindacati della scuola,
compresi quelli degli istituti privati. Ma, in breve tempo, questo quadro unitario
si frantumò. Infatti, ci fu l’abbandono della C.G.I.L da parte dei sindacati della
scuola, che dettero vita ad organizzazioni autonome. Nel secondo dopoguerra risorse
l’associazionismo. La Federazione Nazionale degli Insegnamenti Scuola Media, che
era stata fondata da Gaetano Salvemini, si dichiarò estranea alle divisioni
ideologiche.

L’azione svolta da Gonella non risultò svalutata. L’alta burocrazia ministeriale


sentiva quasi come un suo dovere quello di impedire che si producessero nella
scuola squilibri e fratture.

La scuola ha come suo fondamento l’insegnamento della dottrina cristiana secondo la


forma ricevuta dalla tradizione cattolica. Con i programmi del 1955 si tenta di far
passare l’istituzione di tre classi postelementari. Queste classi rappresentano un
modo per mantenere in piedi una distinzione tra gli alunni che sarebbe stata
cancellata con la legge istitutiva della scuola media unica. Gli orientamenti per
l’attività educativa della scuola materna, del 1958 confermano ed enfatizzano
l’immagine di una scuola materna fuori dalla realtà, felice dove vi sono figure
angeliche di bambini, madri ed educatrici.

Codignola è la figura fondamentale del processo di rinnovamento della pedagogia


italiana, e del costituirsi di un pensiero laico, ben distinto da quello cattolico,
con il quale sviluppò una violente polemica ma anche lontano dal pensiero marxista,
rinnovato attraverso la pubblicazione del quaderni del carcere di Gramsci.
La crisi epistemologica della pedagogia: nella seconda metà dell’Ottocento si era
diffusa la convinzione che la pedagogia avesse ormai conquistato un solido statuto
epistemologico. Col passaggio al Novecento, la pedagogia vede la debolezza di
questo statuto di certezza epistemologica. Il quadro in cui avviene tale
cambiamento coincide con la “cultura della crisi”, che sconvolse il campo della
letteratura e delle arti. La visione pedagogica di Dewey attribuisce grande
importanza alle ricerche delle scienze sperimentali, perché esse forniscono un
modello di comunicazione, di democrazia, che sono propri della scienza e che
attraverso l’educazione devono estendersi a tutta l’esperienza. Tuttavia, Dewey ha
un profilo epistemologico diverso da quello della “pedagogia positivista”, poiché
non poggia sulla soggettività e sulla assolutezza delle conoscenze scientifiche,
bensì sul riconoscimento del loro carattere problematico, aperto alla comprensione.
Insieme con Lucio Lombardo radice, Jovine, diresse la rivista Riforma della scuola
che costituì un punto di riferimento della cultura di sinistra sulle questioni
pedagogiche, didattiche e di politica scolastica.

La riforma della scuola aveva come obiettivo quello della riforma dell’intero
sistema scolastico. Nella cultura pedagogica e didattica si è svolto lo scontro tra
due concezioni del mondo, dimostrato dal fatto che, già nell’immediato dopoguerra,
quando vi era il compito della ricostruzione del paese circolava l’idea che
soltanto una “soluzione cattolica” avrebbe potuto dare adeguata risposta ai
problemi della società e che le élites cattoliche fossero le uniche in grado di
rispondere alle catastrofi delle ideologie moderne.

CAP. 6
Gli anni Sessanta assumono un profilo di marca preparatoria a quello successivo,
anticipatorio del Sessantotto, anno emblematico non solo del cambiamento e della
trasformazione bensì di un vero e proprio capovolgimento di modi di essere e di
pensare la vita, di considerare le persone, le istituzioni, la scuola e la
formazione. Si può affermare che gli anni Settanta sono un periodo ricco di
rivoluzioni istituzionali e culturali che riguarderanno una nuova concezione della
politica e della società, ma anche una nuova considerazione della famiglia,
dell’amore, della sessualità e della moda. Sono gli anni della lotta e nel nostro
Paese, vengono esaminati i fatti in profondità, dando vita ad unmetodo che darà
luogo a nuove interpretazioni del mondo per il tempo presente e per il futuro come
grazie ai filosofi della scuola di Francoforte. Dunque, i nuovi metodi sposteranno
l’attenzione verso nuovi protagonismi e verso nuovi problemi, per esempio,
l’attenzione al protagonismo femminile, la considerazione di nuove esperienze
giovanili ma anche lo studio di autori trascurati da decenni come da Dewey a
Montessori ecc..

Per il sorgere del 68 ricordiamo alcuni testi importanti come: L’uomo a una
dimensione di Marcuse e la Lettera a una professoressa di don Milani. Nel primo
saggio il filosofo mette sotto accusa la società del suo tempo, la sua
organizzazione culturale, le sue università, i suoi modelli educativi. Don Lorenzo
Milani mette in luce l’arretratezza dei metodi selettivi della scuola italiana, in
particolare della scuola media, denunciando lo “spreco dei talenti” in quanto era
abituata a “bocciare” i ragazzi provenienti dal mondo operaio e contadino,
piuttosto che seguire una didattica di recupero e di integrazione. Franco Cambi
parla di un “processo” complesso che aveva dato luogo ad una rivoluzione giovanile
e culturale. Il 68’ rappresentò un momento di rottura con il passato, una vera e
propria epoca di protesta e di cambiamento, ma anche di proposta e di progettazione
di un futuro differente dall’oggi e dall’ieri. Il Maggio francese vide studenti
medi e universitari scendere in piazza per manifestare non solo per la
trasformazione degli studi ma anche per sostenere un cambiamento della politica e
della società. In Germania, invece, il Sessantotto fu creativo e libertario dando
luogo alla cosiddetta “rivoluzione sessuale”. In Italia, il movimento riguarda la
politica di sinistra e che si fece portavoce sindacale per il rispetto dei diritti
delle persone e dei lavoratori. Nasceva,in quegli anni, anche la cosiddetta
“pedagogia del territorio”, che sosteneva l’importanza della cultura locale posta
al fianco di quella nazionale. Le idee del ’68 in Italia erano quelle del
cambiamento e della trasformazione educativa e scolastica, politica e culturale.
Nel giugno del 1973 per la prima volta nel nostro Paese, i sindacati dei lavoratori
proclamarono uno sciopero generale su tematiche inerenti i problemi della scuola e
della formazione. Proprio all’inizio degli anni Settanta, si inizia a parlare di
educazione permanente come ricorda Vincenzo Sarracino. L’educazione permanente
veniva così addirittura enfatizzata in forma di slogan: un’utopia in grado di
avviare, un processo di tipo integrativo tra scuola e territorio, per giungere ad
una “società educante” o “comunità educativa”.

Se, da un lato, tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio del Settanta
continuarono le lotte studentesche, si manifestava il dissenso, nelle famiglie e
persino nella Chiesa, dall’altro il Parlamento, cercava di approvare alcune riforme
scolastiche, tra queste era ormai ritenuta indispensabile l’approvazione di una
legge che istituisse finalmente la scuola materna statale. Ci furono però posizioni
differenti: i democristiani volevano che la nuova istituzione educativa si
chiamasse “scuola materna”, sostenendo che bambini così piccoli dovessero
incontrare in tale luogo figure accoglienti e protettive, “materne” per l’appunto.
Chi, al contrario, come gli esponenti del Partito Comunista, sosteneva la
denominazione “scuola dell’infanzia”, con la necessità di considerare tale luogo
educativo come proprio dei bambini; infatti, non solo ritenevano non fosse il caso
di usare l’aggettivo “materno”, ma che andasse evitata anchel’espressione “scuola
per l’infanzia”, dal momento che diventava il luogo preparato dall’adulto per
l’educazione infantile. Ma comunque nel 1968 fu approvata la legge e due sono i
dati fondamentali di tale legge. La scuola materna nasce come preparatoria
all’obbligo scolastico, ma la sua frequenza non è obbligatoria. Ciò determinò uno
stato quasi di abbandono di tale grado scolastico. Il secondo dato è che al
Provveditore locale agli studi, spettava il compito di stabilire la necessaria
copertura scolastica, dopo avere accertato le maggiori condizioni di bisogno.I
Comuni avevano l’obbligo di fornire i terreni su cui costruire gli edifici
scolastici. Nel 1971 venne approvata la legge sull’istituzione degli asili nido;
l’anno precedente nello Statuto dei lavoratori, i lavoratori poterono tornare sui
banchi di scuola, e finalmente la pedagogia poteva farsi sentire, essere presente,
nella stesura stessa delle norme.Da qui, vengono emanate nuove leggi sulla
valutazione, legati non più al voto, ma ad un giudizio che raccolga le notizie
sull’alunno e sulla partecipazione alla vita della scuola. Lo strumento della
valutazione ha il compito di mantenere il controllo e la qualità della scuola..
Essa è:
a)scuola della formazione dell’uomo e del cittadino, in quanto promuove la
formazione dell’alunno in tutte le sue direzioni; b) scuola che colloca nel mondo,
poiché la scuola media concorre alla acquisizione di una immagine sempre più chiara
della realtà sociale;
c)scuola orientativa, poiché, nel favorire l’iniziativa del soggetto, lo mette in
condizione di conquistare la propria identità nel suo contesto di vita; d) scuola
secondaria nell’ambito dell’istruzione obbligatoria: la scuola media, che si pone
in continuità con la scuola primaria, ha il compito di consolidare la preparazione
culturale di base.
Inoltre, i programmi puntano all’unità dell’intervento formativo, unità intesa come
continuità d’intervento tra la scuola elementare e la scuola media con la legge nel
1962. Il vero obiettivo di questa legge è quello di essere una scuola aperte a
tutti, pubblica e gratuita, con programmi unici, che non discrimini tra realtà
urbana e rurale, tra aree economicamente sviluppare e aree povere. Viene però a
mancare una scuola veramente democratica, libera dai dogmi della pedagogia
tradizionale, che stimolasse negli alunni processi di crescita individuale e di
consapevolezza dell’esistenza degli altri.

CAP. 7

La scuola italiana, a partire dalla Legge Casati del 1859 che ne segna la nascita
ufficiale, è stata sempre caratterizzata da lunghe fasi che, sotto il profilo
politico, economico, sociale, culturale hanno investito l’Italia. L’ultima riforma
che ha coinvolto il sistema scolastico è quella di Giovanni Gentile, “la più
fascista delle riforme”, come fu da più voci definita. Una vera riforma, unica ed
organica, dell’intero sistema scolastico italiano risale solo 1 5 anni fa quando il
Ministro della Pubblica istruzione Luigi Berlinguer prova a riorganizzare in ogni
ordine e grado scolastico ritirata in seguito da Moratti.

La scuola dell’infanzia è la scuola del gioco, della tecnica, dell’esperienza, del


vissuto del bambino; è una scuola nella quale il bambino deve sentirsi inserito,
proprio perché essa deve far parte del suo mondo. E’ scuola per un bambino, che,
secondo gli insegnamenti della Montessori, chiede di essere aiutato a fare da solo,
a scoprire, la realtà nella quale vive. Si giunge, infine, ad una scuola che
costituisce il primo grado della formazione.

Il compito della scuola elementare è quello della “alfabetizzazione culturale”;


essa ha l’obiettivo di costituirsi come “ambiente educativo e di apprendimento”,
non vuole essere un meccanismo di sola trasmissione di nozioni e abilità. È una
scuola, dunque, rivolta ad un soggetto che, immerso in percorsi educativi nuovi,
relativi, ad esempio, all’educazione motoria o al suono, apprende non in maniera
passiva, ma creativa, manipolando egli stesso la cultura. I programmi Fassino hanno
l’obiettivo di abituare a lavorare e a giovare in gruppo, favorendo la
socializzazione e la maturazione individuale.Tuttavia, dopo varie innovazioni, il
Ministro Gelmini propone un ritorno al passato. Nel 2008 prevedeche torni in vigore
la figura del maestro unico. Tale decisione ha suscitato un ampio dibattito. La
legge 309 introduce la valutazione del comportamento dei bambini nella scuola
elementare, da esprimere con un voto numerico in decimi.

Per quanto riguarda la scuola media di primo e di secondo grado, la sua struttura è
rimasta uguale a se stessa, superando i cambiamenti sociali, economici e politici
del nostro Paese. Si tratta, tuttavia, di una scolarizzazione malata, in quanto
legata soprattutto alle difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro da parte dei
giovani, che li spinge a cercare nel diploma la soluzione ad ogni problema
lavorativo

La scuola italiana, è rimasta a lungo scuola gentiliana. Si ricordano due


importanti innovazioni che hanno riguardato la scuola: con la legge 341 si prevede
la formazione universitaria per tutti gli insegnanti, anche per quelli della scuola
dell’infanzia e elementare conseguendo la laurea in Scienze della formazione
primaria. Vi è poi la legge sull’autonomia- legge Bassanini 1997. Ciò significa che
l’autonomia scolastica è consente ad ogni istituto scolastico, tra l’altro, di
redigere un proprio Piano dell’Offerta Formativa, a seconda delle richieste e delle
opportunità formative del territorio. Questo è il quadro normativo all’interno del
quale si inserisce la riforma dei cicli scolastici voluta da Luigi Berlinguer. La
legge 30 del 2000 prevede che l’obbligo scolastico cominci con i sei anni e termini
a 15, con un obbligo di frequenza di attività formative fino ai 18 attraverso un
apprendistato lavorativo.Vi è una suddivisione nei vari gradi scolastici: la scuola
di base ha durata di sette anni, racchiudendo in sé il percorso della scuola
elementare e della scuola media. La scuola secondaria, di durata quinquennale, si
articola nel seguente modo: classico-umanistico, scientifica, tecnica e tecnologia,
artistica e musicale, che assumono tutti la denominazione di licei. Entro il primo
biennio, è data agli studenti la possibilità di passare da un ordine scolastico ad
un altro. Tale riforma prevede che i gradi scolastici siano organizzati così: la
scuola dell’infanzia, non obbligatoria, dura tre anni. Il primo ciclo prevede la
scuola primaria, che dura cinque anni e la scuola secondaria di primo grado, della
durata di tre anni. Il secondo ciclo, che inizia dopo il superamento dell’esame di
Stato, si articola in cinque anni e prevede un sistema di licei, di durata
quinquennale. Due sono i punti di forza di tale riforma: il primo è il ricorso alla
formazione laboratoriale; il secondo è il principio dell’alternanza scuola-lavoro,
grazie al quale gli studenti tra i quindici e i diciotto anni possono frequentare
periodi di studio e di lavoro, sotto la responsabilità dell’istituzione scolastica.
Tale riforma è stata poi in parte “superata” dai decreti proposti dal Ministro
Mariastella Gelmini. Novità importanti introdotte dalla Gelmini riguardarono la
formazione degli insegnanti: vengono istituiti i Corsi di Laurea specialistica per
l’insegnamento, ai quali si può accedere a seguito del conseguimento della laurea
triennale.

CAP. 8

A partire dagli anni Settanta la scuola veniva affiancata nel suo compito da altre
istituzioni pubbliche e private (famiglia, associazioni), le quali prendevano a
loro carico, l’iter formativo del soggetto, come un viaggio articolate in tappe e
traguardi. Le idee di educazione permanente sono state, tuttavia, modificate nel
corso degli anni Ottanta e Novanta. Una formazione ed un apprendimento, cioè che
durino tutta la vita ed abbiano luogo e svolgimento attraverso la maturazione di
una soluzione sia politico-culturale, sia pedagogico-didattica. In particolar modo,
all’interno di un tale modello, politico e pedagogico va chiarito il significato
sia di progettazione che di Sistema Formativo Integrato. La progettazione di
interventi di educazione permanente rivolta ai bisogni formativi dei soggetti e
della comunità e ad un utilizzo frequente di indagini di mercato. Il Sistema
Formativo Integrato non può essere pensato come un modello stratto, ma va costruito
tenendo conto di parametri che, si adattino alle condizioni economiche, sociali e
culturali delle realtà locali. La formazione nei complessi scenari socio-politici e
culturali contemporanei: La scuola dovrebbe diventare scuola di autonomia e
consentire ai soggetti l’esercizio della capacità di operare scelte. Per questo
motivo la scuola è flessibile e non può che essere una palestra di socialità. Per
la scuola, stabilire un progetto, significa assumere la responsabilità di operare
scelte. Una scuola di autonomia, può consentire ai soggetti l’esercizio alla
capacità di esprimere di sé, di vari modi, relativi ai contesti, di essere un io.

Immaginare il futuro è stato per secoli uno degli esercizi più interessanti, ma
anche più difficili per l’uomo. Il futuro del mondo è forse in buona parte già
scritto nei resti del passato e nelle trame del presente, in quello che gli uomini
pensano debbano essere gli ideali da seguire, le politiche da scegliere, le scelte
etiche, economiche e tecniche da sviluppare e seguire, gli obiettivi da individuare
e raggiungere. L’educazione, come progetto ideale e come pratica formativa, non può
tradursi in atteggiamenti di vita, in contenuti da conoscere e da apprendere, in
quella deweiana common way of life cioè il modo nostro di vedere, l’essenza degli
essere umani: vivere per apprendere, per conoscere e stessi gli altri e il mondo,
per progredire, innovare e per confrontarsi con il cambiamento.
Valori, contenuti, metodi formativi, variano con il variare del tempo e della
storia e rispondono alle esigenze concrete degli uomini:
-diacronicamente, a seconda delle epoche;
-sincronicamente, a seconda delle situazioni
e degli ambienti nei quali ha luogo e si sviluppa un progetto educativo;
-utopisticamente, con l’azione umana del miglioramento, del cambiamento, della
trasformazione.
Nel futuro la situazione difficilmente potrà maturare. Pensare ai modelli di
formazione per le generazioni giovanili, significa riuscire a “leggere” la realtà.
Ci sembra possibile immaginare per la società del domani alcuni scenari possibili:
a)il lavoro ridotto quantitativamente, muterà completamente dal punto di vista
qualitativo;
b)nuove esigenze economiche, sociali, culturali e politiche contribuiranno a
cambiare
l’assetto organizzativo dei singoli soggetti e delle società, per cui sarà
necessario ricercare
soluzioni nuove;
c)richieste di sperimentazione di nuove macchine e strumenti, di nuovi linguaggi e
di nuove tecnologie.

“Oggi siamo in un momento di mutazione profonda”, spiegava Nicola Cacace. Negli USA
è in fase il downsizing continuo, che vuol dire licenziamento perenne. Una vera e
propria profezia che oggi è diventata comune prassi in molti Paesi
industrializzati. Le aziende negli ultimi anni, spiegava Cacace, hanno scelto come
obiettivo prioritario quello di far quadrare i bilanci. Ma tale scelta ha provocato
la perdita di molti soggetti creativi, la creatività ha fatto posto alla
produttività. Quella del nostro Millennio sarà una società al cui interno i pochi,
specialisti, ingegneri e tecnologi della conoscenza, esperti della comunicazione,
lavoreranno full-time; tutti gli altri svolgeranno compiti part-time. La nostra
sarà una società asimmetrica.
La comunità che apprende: l’educazione alla democrazia oggi avviene attraverso
progetti di apprendimento e di conoscenza della comunità. Gli attori della comunità
sono le diverse generazioni nei luoghi in cui vivono e nelle posizioni che occupano
nella vita: giovani, genitori, insegnanti. La Comunità della conoscenza e
dell’apprendimento permanente è chiamata a svolgere una molteplicità di funzioni:
capire per programmare l’intervento specifico, i bisogni, le attese, le esigenze
dell’altro; deve occuparsi di educare il pensiero; sostenere la maturazione di un
pensiero autonomo; educare i sentimenti che sono speso trascurati.

La società del terzo Millennio dovrà rispondere, da un lato, all’esigenza di


costruire laboratori sempre più sofisticati, per curare la produttività, dall’altro
dovrà provvedere a rispondere alla necessità di destinare adeguate risorse e
strumenti. La comunicazione, non riguarderà la vera trasmissione di conoscenze, ma
contribuirà al decollo di un settore di attività lavorative già da tempo in
espansione: il settore telematico e multimediale.
La testa ben fatta di Morin: L’analisi della società complessa che ha condotto
Morin a teorizzare una riforma dell’educazione che sostiene una “riforma del
pensiero”. Il pensiero, secondo lo studioso, deve adattarsi alle sfide del
presente, della conoscenza, della complessità, della stessa “globalità” dei saperi
e del mondo. La testa ben fatta è una testa dell’uomo del presente ben organizzata,
ispirata a un nuovo spirito scientifico, critico e rivolta a ricomporre i sapere.
Una cultura orientata alla “comprensione” dei saperi e dell’uomo. Così facendo ogni
uomo diventa cittadino universale, orientato ad assumere una “identità terrestre” e
non più solo nazionale o continentale. Gli itinerari formativi per pochi con
elevati livelli di istruzione, saranno costruiti tenendo conto dello sviluppo della
scienza e della tecnica. I pochi saranno esperti della complessità sociale e
saranno in grado di autoformarsi. Quella del Terzo Millennio può essere definita,
in altre parole, la “società dell’apprendimento diffuso” (wide learning society):
essa muoverà in direzione di una “ricerca di senso”, che può essere definita
vecchia e nuova nello stesso tempo: vecchia, perché riprende l’antico obiettivo
dell’educazione di aiutare l’uomo a “vivere per apprendere” e non ad “apprendere
per vivere”; nuova, perché tenta di capire e riorganizzare i saperi e i metodi
della formazione tenendo conto dei nuovi aspertti della società.

L’obiettivo educativo della nuova epoca diventa quello di contribuire alla


formazione della società civile. Il ‘900 è stato il secolo dell’alfabetizzazione,
centrata sull’istruzione e sulla
scuola.L’uomo in cui dobbiamo guardare oggi, è un uomo universale, che deve essere
formato attraverso “un’ideale pienezza” e “come libero soggetto del proprio
divenire”. Alle religioni corre il compito di dar vita all’uomo planetario. “L’uomo
planetario non è di sé ‘anti-religioso’, ma si oppone alle chiusure del sacro e si
apre, attraverso la critica e l’analisi storica”. “L’uomo planetario è l’uomo
postcristiano” che
si oppone in un’ottica universale. Il 2000 sarà caratterizzato da un apprendimento
diffuso tra i vari gradi della scuola e le varie classi di età. La formazione, non
sarà sinonimo di scuola o di istruzione, bensì di capacità di “apprendere ad
apprendere”, di acquisire conoscenze in maniera modulare e flessibile, nel corso
della vita intera nei vari contesti. Il modello educativo che ne discende è,
allora, quello di Sistema Formativo Integrato, cioè, di una rete di possibilità
culturali e formative. Il Sistema Formativo Integrato sarà la sede dell’intreccio
tra conoscenza scientifica e conoscenza comune, tra le istituzioni del territorio e
le esperienze della comunità.

La didattica, come insieme di saperi sempre più specializzati, acquista


un’importanza nuova superiore al passato. Essa, infatti, non è più riferita solo
alla scuola e, quindi, alla formazione dei bambini e dei giovani, ma anche a quella
delle donne e degli anziani>. L’ambito della didattica, nel corso degli ultimi
decenni, si è andato ampliando e sviluppando sempre più, seguendo le richieste
della società. Se la didattica può essere considerata la scienza che studia le
pratiche d’insegnamento, essa non può più essere ristretta al solo campo
dell’insegnamento, ma va estesa all’intero ambito dei processi formativi dei
giovani e degli adulti. Essa diventa così motore della formazione: una formazione
che considera il passato e il presente ed è attenta al futuro, dunque attenta alla
contestualizzazione.

La sostenibilità sociale non riguarda solo la scuola o l’educazione in età adulta,


ma vuol dire riprendere il tema della “città educativa” e tradurlo in “progetto
educativo locale”. Negli ultimi anni sono stati avvertiti in Italia numerosi
segnali di sfiducia verso la politica e i politici, verso una politica scarsamente
attenta ai mutamenti socio-economici e culturali e verso politici attenti a dare
risposte al loro “partito”, piuttosto che a darle per rispondere ai bisogni della
società e delle comunità. Sostenibilità sociale, vuol dire, dunque, rivedere i
curriculi formativi, avvicinandoli, da un lato, ai bisogni del territorio e
dall’altro, renderli più efficaci ai livelli nazionali e internazionali.

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