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Ernesto Sergio Mainoldi

Artibus purgatur platonicus oculus.


La ricezione di Porfirio in età carolingio‑ottoniana
e la tradizione eriugeniana

I cataloghi di biblioteche medievali redatti in epoca tardo-carolingia


testimoniano di una consistente presenza dell’Isagoge di Porfirio tra i testi per
l’insegnamento delle arti del trivium. Pur circolando già durante la prima
rinascenza carolingia, come attesta la datazione del più antico codice che ne
trasmette la versione latina, il « Codex Leidradi », l’Isagoge sembra tuttavia essersi
affermato come testo scolastico solo alla fine del IX secolo, in concomitanza con una
più generale diffusione di commentari sotto forma di glosse ai testi dialettici.
I codici superstiti del IX secolo mostrano un canone testuale che vede affiancati
all’Isagoge altri trattati per lo studio della dialettica, tra cui spiccano le Categoriae decem
dello ps.‑Agostino o la Dialectica di Alcuino. I codici del X-XI sec. mostrano invece
come si fosse andato affermando un canone di testi della Logica Vetus che vede la
consolidata presenza, a fianco dell’Isagoge, dei due commentari boeziani allo stesso
testo porfiriano e del commentario boeziano alle Categoriae (Praedicamenta).


Informazioni codicologiche sulla diffusione dell’Isagoge e dei suoi commentari sono date dal
catalogo di manoscritti dell’Aristoteles Latinus, ed. L. Minio Paluello, voll. 1-3, codices descripsit G.
Lacombe, A. Birkenmajer, M. Dulong, E. Franceschini adiuvantes, Libreria dello Stato, Roma, [poi]
Desclée, Bruges ‑ Paris, 1939-1961, da G. Becker, Catalogi bibliothecarum antiqui, Bonn 1885 (repr.
Hildesheim 1973) e in J. Marenbon, Medieval Latin Commentaries and Glosses on Aristotelian Logical
Texts Before c. 1150 A.D., in C. Burnett ed., Glosses and Commentaries on Aristotelian Logical Texts :
The Syriac, Arabic and Medieval Latin Traditions, Warburg Institute, London 1993 (Warburg Institute
Survey Texts 23), pp. 77-127, p. 99.

Questo codice (oggi conservato a Roma presso la Casa Generalizia dei Padri Maristi) è così
denominato per essere appartenuto a Leidrat, vescovo di Lione ed esponente della prima generazione
di maestri carolingi, nonché amico di Alcuino.

Il canone della Logica Nova vedrà poi prevalere nei manoscritti di logica l’Isagoge come introduzione
ai testi dell’Organon aristotelico, a fronte di una decisamente minore frequenza dei commentari boeziani.
In merito alla diffusione dei testi boeziani di dialettica Margaret Gibson ha notato che i mss. che li
tramandano costituiscono una « solid evidence that texts which had been available but rare in the
ninth century were being studied more widely in the tenth, and (I would argue) studied in class » (M.
Gibson, Boethius in the Tenth Century, in W. Berschin ed., Lateinische Kultur im X. Jahrundert. Akten
des I. Internationalen Mittelateinischerkongresses. Heidelberg, 12.-15.IX.1988, Anton Hiersemann,
Stuttgart 1991 [= Mittellateinisches Jahrbuch, 24/25, 1991], pp. 117-124, p. 119).
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« Documenti e studi sulla tradizione filosofica medievale » XXIV (2013)
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La recensio che proponiamo qui di seguito (basata su quella dell’Aristoteles


Latinus), vale a esemplificare quanto detto, senza pretese di completezza :

– Roma, Casa Generalizia dei Padri Maristi, sec. VIII‑IX (795-814), Lyon, « Codex
Leidradi » : Isagoge, Ps-Augustinus Cathegoriae X, [Alcuino] Dialectica, Apuleius
Periermeneias, Boethius in Periermeneias editio prima.
– Vercelli, Bibl. Cap. Sant’Eusebio, cxxxviii (143), IX sec. : Isagoge, Liber Cathegoriarum
X, [Ps.-Augustinus] Cathegoriae X, Augustini Dialectica, Aurelii Augustini De musica.
– Paris, BN, lat. 12949, sec. IX, Corbie : Periermenias ; Augustinus De dialectica, Prologus
Alkuini in Categorias metrice ; Categoriae ab Augustino translatae [Heirici Autissiodorensis
cum glossis] ; Varia mathematica et computistica ; Sermo Anon. ; Isagoge [Israelis Grammatici
cum glossis, saec. IX ex./X sec.] ; Boethius De trinitate ; Praefatio in Periermenias ; Periermenias
Apuleii ; Boethius in Periermenias editio prima [incompl.].
– Sankt-Petersburg, Rossijskaja Nacional’naja Biblioteka, Cl. lat., F.v. 7, sec. IX-X, Corbie :
[Ps.-Augustinus] De dialectica, Isagoge, Praedicamenta, [Ps.-Augustinus] Cathegoriae X.
– Einsiedeln, Stiftsbibliothek 315, sec. X : BIs II.
– Einsiedeln, Stiftsbibliothek 338, sec. X : BIs II.
– København, Kongelige Bibliotek, Thott, sec. X, 167 fol., Francia : Isagoge, BIs II.
– København, Kongelige Bibliotek, Thott, sec. X, 168 fol., Francia : BCat.
– Avranches, BM, 229, sec. X e XII (Mont Saint‑Michel) : BIs I, BCat, Isagoge
(fragm.).
– Città del Vaticano, BAV, Ross. 537, sec. XI [le iniziali imitano lo stile tipico della
scuola di Tours del IX sec.1/2] : BIs I, BIs II, BCat.
– München, Clm 14516, sec. XI [foll. 74-130 provenienti da un ms. del sec. X], St.
Emmeram (Regensburg) : Isagoge, BIs II, BCat (foll. 50r‑130v).
– München, Clm 6403, sec. XI, Frisingia : BIs I, BIs II, BCat.
– Orléans, BM, 269, sec. XI ex., Fleury : BIs I, BIs II, Schemata logicalia, BCat.
– Paris, BN, lat. 8672, sec. XI ; Bis I.
– Paris, BN, lat. 11129, sec. XI, S. Willibrod (Echternach) : BIs I, BIs II, BCat.
– Oxford, BL, Laud. lat. 49, sec. XI (Hildesheim ?) : Isagoge, BIs I, BIs II, Dialogus regis
Karli et Albini magistri eius de Praedicamentis, Praedicamenta, BCat.
– Sankt Gallen, Stiftsbibl. 831, sec. XI : Isagoge, BIs I, BIs II.
– Firenze, Bibl. Med. Laur., Gadd. Plut. LXXXIX sup. 80, sec. XI‑XII : Isagoge, BIs II,
[Ps.-Augustinus] Cathegoriae X.


Nella lista qui riportata, che segue l’ordine cronologico dei mss., adottiamo le seguenti
abbreviazioni : Boethius in Isagogen commentarius editio prima = BIs I, Boethius in Isagogen
commentarius editio secunda = BIs II, Boethius in Cathegorias [uel Praedicamenta] commentarius =
BCat, Isagoge secundum translationem quam Boethius fecit = Isagoge.
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Se tra gli innumerevoli meriti della cultura carolingia deve essere annoverato
anche il contributo alla diffusione del manuale porfiriano, alla cui lettura la
storiografia ha ricollegato — tanto in epoca medievale quanto in epoca moderna
— gli inizi del dibattito medievale sugli universali, non ancora trasparenti allo
sguardo della Textgeschichte risultano i percorsi e i momenti che hanno determinato
la diffusione dell’Isagoge nell’alto‑medioevo latino e, in particolare, carolingio.
Questa incertezza intorno alle origini e alle prime fasi della tradizione carolingia
dell’Isagoge non manca peraltro di richiamare un’analogia con un’altra opera che
ebbe a svolgere un ruolo didattico essenziale nelle scuole franche, il De nuptiis
Mercurii et Philologiae di Marziano Capella.
Nelle pagine che seguono ci proponiamo di raccogliere ed esaminare alcuni
dati utili a fare luce intorno a queste origini, cercando in particolare di valutare
il ruolo avuto nella diffusione dell’Isagoge dall’autore a cui va riconosciuto uno
dei più notevoli contributi allo sviluppo dello studio delle arti liberali in epoca
carolingia, e al quale va nondimeno ricondotto — sebbene in modo non esclusivo
— l’inizio della fortuna del De Nuptiis, ossia Giovanni Scoto Eriugena.
Tra alto‑medioevo e prima età carolingia, Porfirio, piuttosto che come maestro
di dialettica, è stato ricordato soprattutto per la sua posizione apologetica
anticristiana. Autori come Beda, Wigbodo, Giona di Orleans, Rabano Mauro,
Walafrido Strabone o Aimone di Halberstadt lo menzionano come avversatore
della Chiesa, associandolo a eretici e apostati della caratura di Simon Mago, Ario,
Eunomio o Giuliano l’Apostata. Simili riferimenti non devono stupire, dacché
conseguenti al tradizionale topos paolino-patristico — ancora ben vivo in età


Ermanno di Tournai, in particolare, riferiva di due approcci alla dialettica, riconducendo la
peculiarità e la novità dei vocalisti alla lettura dei filosofi che si sono allontanati dall’insegnamento
di Boezio e degli antichi esegeti latini : « Sciendum tamen de eodem magistro <Odo>, quod eandem
dialecticam non iuxta quosdam modernos in voce, sed more Boetii antiquorumque doctorum in re
discipulis legebat. Unde et magister Rainbertus, qui eodem tempore in oppido Insulensi dialecticam
clericis suis in voce legebat […] in Porphirii Aristotelisque libris magis volunt legi suam adinventitiam
novitatem quam Boetii ceterorumque antiquorum expositionem » (Liber de restauratione monasterii
sancti Martini Tornacensis, in MGH SS. XIV, 275) ; passi citati e commentati da W. J. Courtenay,
Nominales and Nominalism in the Twelfth Century, in J. Jolivet, Z. Kaluza, A. De Libera edd., Lectionum
varietates. Hommage a Paul Vignaux (1904-1987), Vrin, Paris 1991, pp. 11-48, p. 14, nn. 17 e 18.

Una fonte per la diffusione della memoria del Porfirio apologeta del paganesimo è da identificarsi
nel Contra philosophos, testo composto da sentenze tratte dalle opere di Agostino e opposte a sentenze
attribuite a Porfirio (ed. CCSL 58A). L’opera di Porfirio Contro i cristiani venne distrutta per ordine
dell’imperatore Teodosio II.

Limitandoci a una breve crestomazia di passi, cfr. Beda Venerabilis, Allegorica Expositio in
Parabolas Salomonis, PL 91, 949A ; 984A ; Wigbodus, Quaestiones in Octateuchum, PL 96, 1126A ; Ionas
Aurelianensis, De cultu imaginum, PL 106, 382C ; Hrabanus Maurus, Commentarium in Matheum, PL
107, 874C ; Expositio in Proverbia Salomonis, PL 111, 691D ; Walafridus Strabo, Liber Proverbiorum,
PL 113, 1097D ; Haymo Halberstatensis, Expositio in Apocalypsin, PL 117, 1116A.
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alto-medievale e carolingia — che vede la filosofia pagana contrapposta alla sapienza


cristiana, tuttavia bisogna rilevare che tra tutti i filosofi pagani, più o meno noti agli
autori altomedievali, il nome di Porfirio ha incarnato l’esempio per eccellenza della
militanza anticristiana della filosofia gentile. Forse questo aspetto può aiutare a capire
i motivi che hanno dettato una certa prudenza nell’utilizzo esplicito dell’insegnamento
dialettico di Porfirio tra le prime generazioni di autori carolingi.
Sensibilmente meno animato dei suoi contemporanei da preoccupazioni
apologetiche nei confronti della filosofia, Alcuino di York riporta nei suoi scritti
alcune citazioni dall’Isagoge che valgono ad attestare la sua conoscenza del
manuale porfiriano. In Alcuino si assiste inoltre, per la prima volta tra gli autori
carolingi, all’equivoco sineddotico per cui il contenuto del manuale di Porfirio
viene indicato con il suo titolo : l’Isagoge parla dei categoremi, quindi i cinque
categoremi sono detti isagogae :

« Dialectica dividitur In Isagogas In Categorias Topica In Periermenias In


Diffinitiones. Isagogae sunt introductiones ; et sunt earum species quinque.
Categoriae sunt praedicamenta, quae in decem verbis constant. Topica sunt
sedes et fontes argumentorum, et sunt numero sedecim. Periermeniae sunt
interpretationes specierum orationis. Diffinitiones sunt circumpositiones sensuum,
et sunt quindecim ».

Lo stesso fenomeno ricorre invariabilmente in tutti gli autori carolingi e ottoniani


che mostrano di aver conosciuto per qualche via l’Isagoge, come, ad esempio,
Pascasio Radberto10, Sedulio Scoto11, Ermenrico di Hellwangen12, Giovanni


« Haec commentario sermone de isagogis Porphyrii dicta sufficiant. Nunc ordo postulat ad
Aristotelis categorias nos transire » (Alcuinus Eboracensis, De dialectica, PL 101, 654C).

Alcuinus Eboracensis, Disputatio de rhetorica et de virtutibus sapientissimi regis Caroli et Albini
magistri, PL 101, 947.
10
« Suisque, ut ita loquar, utens argumentis, non in humana sapientia persuasibilibus verbis,
nec secundum introductiones dialecticae artis, quas Graeci Isagogas vocant, sed miro et ineffabili
modo introducit ad se, nunc inspirationibus ad divina intelligenda, nunc quae humanitatis ejus sunt
demonstranda, nunc se venturum repromittens in gloria Patris » (Paschasius Radbertus, Expositio in
Matthaeum, PL 120, 556C).
11
Cfr. inoltre Sedulio Scoto : « Antequam hanc definitionem euisceremus, prius sciendum est,
quinque species esse isagogae (id est introductionis), sine quibus nullae definitiones constare possunt :
genus species differentia accidens proprium » (Tractatus in Donati Artem minorem, ed. B. Löfstedt,
1977, CCM 40c, p. 8).
12
« Diuiditur etiam dialectica in ysagogas, in cathegorias, in topycas, in periermenias, in
diffinitiones : isagoge sunt introductiones, et sunt species earum V » (Epistola ad Grimaldum abbatem,
ed. E. Dümmler, MGH Epistolae V, Ep.Kar.Aev. III, pp. 534-579).
la ricezione di porfirio in età carolingio -ottoniana 35

Scoto13 e Israele Grammatico14. L’origine dell’equivoco deve probabilmente


essere fatta risalire alle fonti patristiche da cui gli autori carolingi potevano
trarre informazioni storiche circa l’Isagoge, come le Etymologiae di Isidoro15 o le
Institutiones di Cassiodoro16.
Il commento di Giovanni Scoto al De Nuptiis di Marziano Capella ci offre
ulteriori dettagli utili a comprendere le dinamiche della diffusione carolingia
dell’insegnamento porfiriano, mostrando in particolare come il termine isagoge
fosse consolidato nel vocabolario tecnico dell’insegnamento della dialettica, seppure
sempre con il significato equivocato di cui abbiamo detto. Nelle Annotationes in
Marcianum il maestro irlandese appone in calce a una glossa a un passaggio del IV
libro (dedicato alla dialettica), nel quale vengono enumerati i cinque categoremi,
il lemma ‘isagoge’, termine assente nel testo di Marziano17.

13
Cfr. infra.
14
Cfr. C. Baeumker, B. S. von Walterhausen edd., Frühmittelalterliche Glossen zu des Angeblichen
Jepa zur Isagoge des Porphyrius, Münster i. W. 1924 (Beiträge zur Geschichte der Philosophie des
Mittelalters, XIV, 1), p. 28, lin. 23 s.
15
« De Isagogis Porphyrii. Post Philosophiae definitiones, in quibus generaliter omnia continentur,
nunc Isagogas Porphyrii expediamus. Isagoga quippe Graece, Latine introductio dicitur, eorum scilicet
qui Philosophiam incipiunt : continens in se demonstrationem primarum rationum de qualibet re
quid sit, sua que certa ac substantiali definitione declaretur » (Isidorus Hispalensis, Etymologiarum
siue Originum libri XX, II, 25, 1, ed. W. M. Lindsay, Clarendon Press, Oxford 1911). Il riferimento
storiografico sulla fortuna latina dell’Isagoge fornita nel prosieguo del medesimo passo dallo stesso
Isidoro non valeva certo da solo a dissipare l’equivoco : « Isagogas autem ex Graeco in Latinum
transtulit Victorinus orator, commentum que eius quinque libris Boetius edidit » (Isidorus Hispalensis,
Etymologiarum siue Originum libri XX, II, 25, 9).
16
« Philosophiae divisionibus definitionibus que tractatis, in quibus generaliter omnia continentur,
nunc ad Porphyrii librum qui Isagoges scribitur accedamus. Isagoges Porphyrii tractat de partibus
quinque — de genere, de specie, de differentia, de proprio, de accidenti » (Cassiodorus, Institutiones,
II, 3, 8, ed. R. Mynors, Clarendon Press, Oxford 1961, p. 112). « Isagogen transtulit Victorinus orator ;
commentum eius quinque libris vir magnificus Boethius edidit » (ibid., II, 3, 18, p. 128). È probabile
che quest’ultimo passo di Cassiodoro abbia ispirato l’epiteto magnificus che leggiamo in riferimento
a Boezio nel Periphyseon di Giovanni Scoto (cfr. PP IV, 769C).
17
Citiamo il passo dalla seconda serie di glosse eriugeniane alla dialettica marzianea contemplata
dall’edizione di Cora Lutz, serie che a nostro avviso può vantare maggiore plausibilità di essere
autenticamente eriugeniana ; per i problemi critici comportati dall’edizione delle Annotationes
rimandiamo a E. S. Mainoldi, Iohannes Scottus Eriugena, in P. Chiesa, L. Castaldi edd., La trasmissione
dei testi latini del medioevo. Mediaeval Latin Texts and their Transmission, SISMEL-Edizioni del
Galluzzo, Firenze 2005 (Te.Tra. 2), pp. 186-263, pp. 212-215.
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Martianus Capella, De nuptiis Philologiae I o h a n n e s S c o t t u s , Annotationes in


et Mercurii, ed. J. Willis, Teubner, Leipzig Marcianum, p. 101, lin. 9-20 :
1983 (Bibliotheca Teubneriana), 398, pp.
134-135 :

sed propter duo proloquia, quae diximus I sagoge . Diffinitio id est speties. Cur
non necessario converti, debemus intendere differentiam post genus in secundo loco
omnia, quae proloquiis attribuuntur, per posuit, cum non sit fecit in ordine
quae recte aut non recte proponi possunt, isagogarum ? […] Ideo proprium in fine
ut verum aut falsum possint ostendere. isagogarum ponitur.
haec autem quinque sunt iam superius
demonstrata : genus, differentia, accidens,
definitio et proprium.

È importante notare che il termine isagoge è sempre usato nella forma


latinizzata al plurale. Questo dettaglio potrebbe suggerire l’identificazione della
fonte di Eriugena nelle Etymologiae di Isidoro, il quale, nel riferire il termine a
Porfirio, lo dà sempre al plurale.
L’altra definizione eriugeniana di isagoge come « prima pars dialecticae »,
che leggiamo nella sezione dedicata alla dialettica del commentario di Giovanni
Scoto al De Nuptiis, potrebbe invece risalire alla trattazione dedicata da Marziano
stesso ai cinque predicamenti :
Martianus Capella, De nuptiis Philologiae et I o h a n n e s S c o t t u s , Annotationes in
Mercurii, ed. Willis, 339, p. 109 Marcianum, p. 93, lin. 2-6

in prima autem parte quaeritur quid sit genus, ‘isagogae’ introductiones et est prima pars
quid forma, quid differentia, quid accidens, artis dialecticae et sunt quinque numero :
quid vero proprium… genus species uel forma differentia proprium
accidens.
isagogae autem dicuntur introductiones,
quia sine illis diffinitio non potest esse et
per notitiam earum peruenitur ad decem
cathegorias, id est praedicamenta.
La conoscenza dell’Isagoge da parte di Giovanni Scoto, quale trapela dalla
Annotationes in Marcianum, può dunque essere spiegata attraverso fonti indirette,
come i testi di Isidoro o Cassiodoro, oltre ai quali si può aggiungere l’insegnamento
dialettico di Marziano Capella. Tuttavia in altre opere di Giovanni Scoto ricorrono
espressioni testuali tali da avvalorare l’ipotesi che il maestro palatino abbia
avuto una più circostanziata, sebbene non dichiarata, conoscenza della materia
la ricezione di porfirio in età carolingio -ottoniana 37

porfiriana, come mostrano, ad esempio, le locuzioni genus generalissimum e species


specialissima nel Periphyseon18, senza contare il fatto che Giovanni Scoto, nella
stesura della sua più antica opera a noi nota, il De praedestinatione, ebbe modo
di attingere direttamente al testo di un commentatore cristiano tardo-antico di
Porfirio, probabilmente Elia Filosofo (o forse Davide l’Armeno), di cui abbiamo
notizia soltanto attraverso una più tarda tradizione dell’originale greco19.
Oltre a queste occorrenze ci sembra tuttavia possibile addurre nuove
concordanze testuali — finora non rilevate — tra alcuni passi del Periphyseon
e l’In Isagogen Porphyrii editio secunda di Boezio, in base alle quali è possibile
avanzare l’ipotesi che il maestro irlandese ebbe accesso ai commentari boeziani
al manuale porfiriano. L’analisi di questo utilizzo inesplicito vale a fare luce
sulle modalità di ricezione delle problematiche porfiriane da parte di Giovanni
Scoto al di là di quanto i parallelismi terminologici finora rintracciati abbiano
consentito di fare.
Il locus dell’Isagoge indiziato di essere oggetto di una ripresa nel Periphyseon
è il passo destinato ad avere una lunga fortuna esegetico‑filosofica nel medioevo,
ovvero il preambolo (I, 10) in cui Boezio commenta la posizione di Porfirio intorno
al problema dell’esistenza degli universali, problema che — com’è noto — non
trova qui risposta da parte del filosofo neoplatonico. Il passo del Periphyseon in cui
questa sezione del commentario boeziano sembra aver agito da ipotesto mostra
inoltre tracce della lettura di un altro commentario logico boeziano, quello alle
Categorie di Aristotele.

18
Per l’analisi di tali contatti terminologici e dottrinali tra Giovanni Scoto e Porfirio rimandiamo
a C. Erismann, Processio id est multiplicatio. L’influence latine de l’ontologie de Porphyre : le cas de
Jean Scot Erigène, « Revue des Sciences Philosophiques et Théologiques », 88, 2004, pp. 401-460.
Il Conspectus auctorum dell’edizione del Periphyseon curata da Édouard Jeauneau riporta una
concordanza con l’Isagoge, una con il primo commentario boeziano all’Isagoge e due con il secondo
commentario boeziano all’Isagoge.
19
Per la discussione di questa fonte, utilizzata da Eriugena in De praedestinatione, cfr. G. Théry,
Scot Érigène traducteur de Denys, « Bollettin du Cange. Archivium latinitatis medii aevi », 2, 1931,
pp. 222‑224 ; E. S. Mainoldi, Le fonti del De praedestinatione di Giovanni Scoto Eriugena, « Studi
Medievali », 45, 2004, pp. 651-697, pp. 692-694.
38 ernesto sergio mainoldi

Periphyseon, V, 882C D, Boethivs, In Porphyrii Isagogen commentorum B oethivs , In


ed. É. Jeauneau, Brepols, editio secunda, I, 10, ed. S. Brandt, CSEL 48, categorias
Turnhout 1996-, CCM pp. 159.3-161.11 Aristotelis, PL
165, p. 33 64, 2020B-C
« Mox — inquit [Porphyrius] — de generibus
ac speciebus illud quidem, siue subsistunt siue
in solis nudis que intellectibus posita sunt siue
subsistentia corporalia sunt an incorporalia et
utrum separata a sensibilibus an in sensibilibus
posita et circa ea constantia, dicere recusabo.
Altissimum enim est huiusmodi negotium
et maioris egens inquisitionis ». […] Quod si
NVT. In natura rerum esse quidem constiterit et ab his quae sunt,
tria rationabilis inquisitio intellectum concipi dixerimus, tunc alia maior
inuenit. Omne enim quod ac difficilior quaestio dubitationem parit,
est aut corpus est, aut in- cum discernendi atque intellegendi generis
corporeum, aut medium, ipsius naturam summa difficultas ostenditur.
quod corporale dicitur et Nam quoniam omne quod est, aut corporeum
neque corpus est neque in- aut incorporeum esse necesse est, genus
corporeum, in corporibus et species in aliquo horum esse oportebit.
tamen sentitur, et propte- Quale erit igitur id quod genus dicitur,
rea corporale dicitur. Et est utrumne corporeum an uero incorporeum? Omne enim
quidem corpus omne quod Neque enim quid sit diligenter intenditur, corpus ut
longitudine et latitudine nisi in quo horum poni debeat agnoscatur. sit, tribus
et altitudine extenditur, Sed neque cum haec soluta fuerit quaestio, dimensioni-
siue naturale sit siue geo- omne excludetur ambiguum. Subest enim bus constat,
metricum. Incorporeum aliquid quod, si incorporalia esse genus ac longitudine,
est omne quodcunque species dicantur, obsideat intellegentiam latitudine, al-
praedictis spatiis omnino atque detineat exsolui postulans, utrum titudine : ut
caret, ut est uita omni circa corpora ipsa subsistant an et praeter vero sit corpus
materia carens. Corporale corpora subsistentiae incorporales esse cum qualitate,
uero est ut color et forma uideantur. Duae quippe incorporeorum formae tunc erit aut
[= qualitas in Boezio] et sunt, ut alia praeter corpora esse possint et album, aut
similia, quae neque corpus separata a corporibus in sua incorporalitate nigrum [cfr.
sunt quia circa corpora perdurent, ut deus, mens, anima, alia uero color, forma
intelliguntur, neque incor- cum sint incorporea, tamen praeter corpora in Eriugena],
porea sunt, quia semper esse non possint [= corporales in Eriugena], aut quodlibet
corporibus adhaerent. Si ut linea uel superficies uel numerus uel aliud ; et quo-
ergo lux color est et formas singulae qualitates, quas tametsi incorporeas niam prius est
rerum sensibilium detegit, esse pronuntiamus, quod tribus spatiis [= esse corpus,
quid impedit ne dicatur longitudine et latitudine et altitudine] minime post vero esse
la ricezione di porfirio in età carolingio -ottoniana 39

neque corpus esse, neque distendantur, tamen ita in corporibus sunt, corpus album,
incorporeum, sed medium ut ab his diuelli nequeant aut separari prius erit cor-
quoddam, quod corporale aut, si a corporibus separata sint, nullo pori tribus
dicitur atque sensibile ? modo permaneant. quas licet quaestiones constare di-
arduum sit ipso interim Porphyrio renuente mensionibus
dissoluere, tamen adgrediar, ut nec anxium quam esse al-
lectoris animum relinquam nec ipse in bum.
his quae praeter muneris suscepti seriem
sunt, tempus operam que consumam.
Primum quidem pauca sub quaestionis
ambiguitate proponam, post uero eundem
dubitationis nodum absoluere atque
explicare temptabo.

È possibile argomentare la dipendenza del passo eriugeniano dai due


commentari boeziani in base alle seguenti osservazioni : 1) la coincidenza pressoché
letterale delle due espressioni sottolineate, che i due autori contestualizzano in
una trattazione dialettico-ontologica, parlando di « omne quod est » e di « corpus
ut sit…, …est corpus omne » ; 2) il percorso argomentativo, che segue nei due
autori uno svolgimento parallelo ; 3) la citazione relativa alle tre dimensioni del
corpo, che viene qui circostanziata in senso dialettico‑ontologico, facendoci
escludere dal novero delle fonti tutte quelle enumerazioni delle tre dimensiones
che si collocano in una prospettiva fisico-geometrica, come ricorrente nella
letteratura latina tardo-antica e patristica, oppure in una prospettiva esegetica
relativa a quei passi della Scrittura — come Ez 42-48, Eph 3, 18 o Apc 21, 16 — che
propongono un senso morale o anagogico dietro alle metafore geometriche20 ;

20
L’espressione si ritrova anche in Macrobio, autore che sappiamo rientrare tanto tra le fonti
di Boezio quanto tra le fonti di Giovanni Scoto : « Hoc loco admonendi sumus quod omne corpus
longitudinis, latitudinis et altitudinis dimensionibus constat. ex his tribus in lineae ductu una dimensio
est — longitudo est enim sine latitudine — planities vero quam Graeci ejpifavneian vocant, longo
latoque distenditur, alto caret, et haec planities quantis lineis contineatur expressimus, soliditas autem
corporum constat cum his duabus additur altitudo » (Macrobius, Commentarii in Somnium Scipionis,
I, 5, 9, ed. J. Willis, Teubner, Leipzig 1970, p. 16). Questa definizione viene elaborata da Boezio in un
senso differente rispetto all’inquadramento fisico-geometrico seguito di Macrobio, ovvero in senso
ontologico‑categoriale. Il fatto che Giovanni Scoto, che altrove nel Periphyseon (III, 663B) mostra
di aver presente anche l’interpretazione fisico-geometrica delle tre dimensioni della corporeità,
propenda qui per l’interpretazione dialettico-ontologica, parlando di colore e forma come qualità
del corporeo, come in Boezio, ci induce a pensare che quest’ultimo, e non Macrobio, sia qui fonte
dell’esegesi eriugeniana (cfr. anche PP I, 478A-B ; III, 695A). È dunque verosimile che Giovanni Scoto
abbia introdotto la citazione relativa alle tre dimensioni spaziali dal commentario alle Categorie al fine
di esplicitare cosa Boezio intendesse con i tres spatia menzionati nel testo dell’In Isagogen.
40 ernesto sergio mainoldi

4) se Eriugena intende nelle tre condizioni di corpus, incorporeum e corporale


le possibilità complessive dell’esistenza di tutto ciò che è, non deve sfuggire
che Boezio, pur dividendo la totalità di ciò che è in corporeum e incorporeum
(seguendo uno schema di diuisio bipartita), non manca di affermare — poche
linee più sotto — che l’incorporeo consta a sua volta di due formae, il che porta
a tre le condizioni complessive dell’essere21.
Queste coincidenze suggerirebbero che Giovanni Scoto abbia ripreso dalle opere
dialettiche boeziane alcuni elementi finalizzati all’elaborazione di un’ontologia della
corporeità, in virtù della quale risultasse distinta la relazione con le altre due condizioni
dell’essere, ovvero il corporale e l’incorporeo. Non ci sembra dunque implausibile che
Giovanni Scoto abbia composto questo passo del Periphyseon avendo davanti a sé i
due commentari boeziani, magari trasmessi da un unico codice miscellaneo22.
In questo medesimo ordine di considerazioni la supposta familiarità di Giovanni
Scoto con i commentari boeziani all’Isagoge potrebbe suggerire l’identificazione
dell’In Isagogen editio secunda come ipotesto — almeno come reminiscenza di
lettura — dell’incipit del Periphyseon :

PP I, 441A, ed. Jeauneau, CCM 161, p. 3 : Boethius, In Porphyrii Isagogen commento-
rum editio secunda, ed. cit., p. 160 :

N. Saepe mihi cogitanti diligentiusque Omne quod intellegit animus aut id quod
quantum uires suppetunt inquirenti rerum est in rerum natura constitutum, intellectu
omnium quae uel animo percipi possunt concipit et sibimet ratione describit aut
uel intentionem eius superant primam id quod non est, uacua sibi imaginatione
summamque diuisionem esse in ea quae depingit. Ergo intellectus generis et
sunt et in ea quae non sunt horum omnium ceterorum cuiusmodi sit quaeritur, utrumne
generale uocabulum occurrit quod graece ita intellegamus species et genera ut ea
FUCIC, latine uero natura uocitatur. quae sunt et ex quibus uerum capimus
intellectum, an nosmet ipsi nos ludimus,
cum ea quae non sunt, animi nobis cassa

21
Questa constatazione ci porta ad escludere una dipendenza tra la divisione incorporeum-corporeum
in Boezio e in Eriugena, divisione che sottende in realtà una tripartizione, e la definizione datane da
Agostino, la quale presuppone unicamente una bipartizione ontologica, corrispondente alla divisione tra
sensibile e intelligibile, assente tanto in Boezio, quanto in Eriugena : « Omne quod est aut corporeum
est aut incorporeum ; corporeum sensibili, incorporeum autem intellegibili specie continetur. Omne
igitur quod est, sine aliqua specie non est. ubi autem aliqua species, necessario est aliquis modus ;
et modus aliquid boni est » (Augustinus Hipponensis, De diuersis quaestionibus octoginta tribus, ed.
A. Mutzenbecher, Brepols, Turnholti 1975 [CCSL 44A], Quaestio 6, lin. 2). Torneremo più sotto sul
significato delle differenze di classificazione dei tre stati dell’essere in Boezio e Giovanni Scoto.
22
Questa ipotesi si accorda con i dati codicologici di cui disponiamo, per cui rimandiamo alla
recensio codicum dell’Aristoteles Latinus che abbiamo riportato in apertura di questo saggio.
la ricezione di porfirio in età carolingio -ottoniana 41

cogitatione formamus. Quod si esse quidem


constiterit et ab his quae sunt, intellectum
concipi dixerimus, tunc alia maior ac
difficilior quaestio dubitationem parit, cum
discernendi atque intellegendi generis ipsius
naturam summa difficultas ostenditur.

Il fatto che un testo si segnali, per affinità formali o contenutistiche, come


ipotesto di un altro — sia in senso forte come fonte diretta, sia in senso debole
come fonte indiretta, ovvero come ‘fonte di contesto’ — non comporta peraltro
la stretta aderenza tra i significati intesi dai due autori né l’assimilazione coatta
dei contesti speculativi a cui essi appartengono : una fonte testuale può infatti
essere utilizzata come elemento corroborante di un’argomentazione giunta
al suo compimento, dunque con valore autorevole, oppure fornire lo schema
argomentativo a un testo che segue fini differenti da essa, tanto più se si tratta
di una citazione da un’opera di natura didattico-disciplinare, come appunto un
commentario di dialettica, onde l’esplicitazione del suo autore non si renderebbe
necessaria. La supposta dipendenza tra PP V e i commentari logici di Boezio ci
sembra rientrare in quest’ultimo caso23. Tuttavia, anche ammettendo un’ipotesi
più debole, e cioè che Giovanni Scoto sia arrivato a formulare una teoria della
corporeità su basi dialettiche indipendenti dall’Isagoge e dai suoi commentari
boeziani, resta il fatto che le strette analogie formali ci consentono di tracciare
un parallelo non surrettizio tra la speculazione ontologica di Giovanni Scoto e il
trattamento della medesima problematica in ambito porfiriano‑boeziano.
Tornando al passo del Periphyseon che abbiamo posto al centro di questa
Quellenforschung ci sembra utile richiamarne il contesto speculativo, al fine di
cogliere i contorni — e nelle sue concordanze e nelle sue discordanze — dell’interesse
di Giovanni Scoto per il commento di Boezio in relazione al problema ontologico
posto dall’Isagoge : il dialogo tra Nutritor e Alumnus è giunto in questo luogo ad
affrontare le cruciali problematiche escatologiche a cui il progetto speculativo

23
In relazione ai due canoni testuali dei trattati di dialettica sopra rintracciati (quello del IX sec.
e quello del X‑XI sec.) e al ruolo centrale occupato da Giovanni Scoto nella scuola tardo carolingia,
nonché alla sua fama come maestro di dialettica, ci possiamo chiedere se il pensatore irlandese abbia
avuto un ruolo nell’evoluzione dal primo al secondo canone testuale, contribuendo all’affermazione
dei testi boeziani nell’insegnamento della dialettica : l’assenza del canone porfirio-boeziano tipico del
X-XI sec. dai codici del IX potrebbe essere dovuta a una semplice lacuna codicologica spiegabile con
il rimpiazzamento dei codici più antichi, cosa non certo straordinaria trattandosi di testi didattici,
ma l’univocità di orientamento testimoniato dai codici dialettici del X-XI sec. ci fa propendere per
l’ipotesi che vede il momento nodale dell’evoluzione di questo canone testuale proprio nella tarda
scuola carolingia e, verosimilmente, nell’insegnamento di Eriugena.
42 ernesto sergio mainoldi

che ha animato il Periphyseon, sin dalle battute iniziali, era chiamato a volgere.
Il discepolo chiede delucidazioni sulla condizione delle nature nello stato di
adunatio in Deo ; in particolare egli si domanda in che modo la natura di ogni essere
creato persisterà nel reditus escatologico in Dio (qui inteso come quarta species
naturae, « quae non creatur et non creat »), citando l’insegnamento di Massimo
il Confessore intorno alla deificatio per gratiam, che stabilisce la divinizzazione
integrale dell’uomo senza annullamento del suo essere umano per natura24.
Dal momento che per Giovanni Scoto la dialettica è l’arte divina — che
precede ed è archetipo della dialettica umana — nelle cui regole si rispecchia
il vero ordine della creazione25, ovvero la divisione creazionale (DIAIRETIKH) in
generi e specie di tutte le cose « quae sunt » e « quae non sunt », per spiegare la
riunione escatologica (ANALUTIKH) degli individui, delle specie e dei generi di
tutte le cose create nel Verbo divino, il maestro palatino si richiama alle regole
della dialettica, in quanto arte che descrive l’operazione divina che dall’unità del
Verbo porta alla creazione (processio-explicatio) e viceversa dalla molteplicità
creata riporta all’unità escatologica nel Verbo (reditus).
La spiegazione dialettica vale inoltre a rendere evidenti i contenuti della
sentenza dell’auctoritas di turno — in questo caso Massimo il Confessore — circa
il reditus omnium. La dottrina esposta dal Padre orientale porta infatti l’Irlandese
a comprendere una persistenza sostanziale dell’individualità delle anime persino
nella condizione di adunanza in Dio : « Simili modo de animae natura animique
non aliter [Maximum] intellixisse opinor, non transituras, sed singulas quasque in
propria substantia permansuras » (PP V, 880D). Di fronte alla perplessità manifestata
dal suo Alumnus per questa soluzione, il Nutritor offre spiegazione richiamando
la triade dionisiana oujsiva-essentia, duvnami~-uirtus, ejnevrgeia-operatio, i cui elementi,
pur essendo distinti, costituiscono una « inseparabilis unitas » :

« N. Cur te talia mouent multum admiror, cum tibi, prout potui, suaserim
intelligibilium naturarum adunationem fieri posse sine cumulo et compositione,
proprietatibus obseruatis et incommutabiliter manentibus. Tria etenim sunt, quae
in omni substantia siue corporibus adhaerente siue omni corpore absoluta. […]
essentia, uirtus, et naturalis operatio. Nunquid haec tria unum sunt, et non unum

24
« Totus quidem homo manens secundum animam et corpus per naturam, et totus factus
deus secundum animam et corpus per gratiam » (PP V, 880 C‑D, ed. Jeauneau, CCM 165, p. 30 ;
cit. da Maximus Confessor, Ambigua ad Iohannem, III, 378-380, CCSG 18, p. 33).
25
« Ac per hoc intelligitur quod ars illa, quae diuidit genera in species, et species in genera resoluit,
quae DIALEKTIKH dicitur, non ab humanis machinationibus sit facta, sed in natura rerum, ab auctore
omnium artium, quae uere artes sunt, condita, et a sapientibus inuenta, et ad utilitatem sollertis rerum
indagis usitata » (Iohannes Scottus Eriugena, Periphyseon, IV, 749A, ed. Jeauneau, CCM 164, p. 12).
la ricezione di porfirio in età carolingio -ottoniana 43

compositum, sed simplicissimum unum et inseparabilis unitas ? […] Et haec tria


omni creaturae uisibili et inuisibili inesse dubium non est »26.

È rilevante osservare come Giovanni Scoto utilizzi l’ontologia dinamica


dionisiana per spiegare l’ontologia categoriale porfiriano-boeziana relativamente
allo statuto delle realtà corporee e di quelle incorporee. Nel prosieguo del testo
Eriugena volge infatti la sua analisi al passo del commentario boeziano all’Isagoge
che abbiamo sopra riportato in raffronto, dove Boezio si interroga intorno allo
statuto ontologico delle « substantiae separatae ». Osservando le divergenze
terminologiche tra il testo eriugeniano e quello porfirio-boeziano — che ne sia
l’ipotesto forte o debole — possiamo cogliere alcuni punti essenziali della concezione
ontologica eriugeniana in relazione a quella del reditus escatologico.
Innanzitutto, Giovanni Scoto, nel parlare delle realtà incorporee, non utilizza
l’espressione boeziana « substantia separata a corporibus », bensì l’espressione
« substantia omni corpore absoluta ». Nello stesso ordine di precisazioni bisogna notare
che nell’espressione « omne enim quod est, aut corpus est, aut incorporeum », leggiamo
corpus in luogo del corporeum presente nel testo boeziano. Inoltre, come già visto,
laddove per Boezio il genere delle cose incorporee aveva due specie (formae), ossia la
specie che « praeter corpora esse possint et separata a corporibus in sua incorporalitate
perdurent » (cioè le realtà intelligibili superiori al divenire temporale) e la specie delle
cose che « praeter corpora esse non possint », in Giovanni Scoto troviamo un’evoluzione
di questa classificazione, per cui le realtà incorporee sono intese allo stato di cause
intelligibili permanenti (l’esempio dato, « uita », ci fa capire che il maestro palatino
sta parlando della seconda species naturae, « quae creatur et creat », ovvero delle cause
primordiali27), mentre la seconda forma di incorporei boeziani è riferita da Eriugena
come corporales, ovvero realtà intermedie tra i corpi e le sostanze incorporee, le quali,
pur non essendo corpi, partecipano in una qualche misura della corporeità, ricadendo
dunque nel dominio della sensibilità. Questa specificazione, assente in Boezio,
spinge Giovanni Scoto a utilizzare una terminologia differente da quella adottata dal
commentario boeziano, sostituendo corpus a corporeus, al fine di evitare confusioni
terminologiche e concettuali tra ciò che è corpo (corpus) e ciò che è proprietà del
corpo (corporale), come lo sono, ad esempio, la forma e il colore28.

26
Iohannes Scottus Eriugena, Periphyseon, V, 881A-B, ed. Jeauneau, CCM 165, p. 31.
27
In PP III, 622 C‑D, uita è la terza nell’ordine della causae promordiales.
28
Un altro luogo del Periphyseon sembra confermare come Eriugena consideri corporeum come
sinonimo di corporale, ovvero della terza condizione di tutto ciò che è creato : « N. Totius itaque
conditae naturae trinam diuisionem esse arbitror. Omne enim quod creatum est aut omnino corpus
est, aut omnino spiritus, aut aliquod medium, quod nec omnino corpus est nec omnino spiritus, sed
quadam medietatis et extremitatum ratione ex spirituali omnino natura, veluti ex una extremitate
et superiori, et ex altera (hoc est ex omnino corporea) proportionaliter in se recipit ; unde proprie et
connaturaliter extremitatibus suis subsistit » (PP III, 695A, ed. Jeauneau, CCM 163, p. 109).
44 ernesto sergio mainoldi

Analoghe esigenze di chiarezza terminologica e concettuale suggeriscono il


motivo per cui Giovanni Scoto eviti l’espressione substantia separata, presente
in Boezio : Eriugena infatti utilizza l’aggettivo separatus/a/um o con significato
tecnico, parlando della diuisio dialettica29, o con riferimento alla dottrina
della caduta dell’uomo, come, ad esempio, nel caso delle cinque divisioni
della realtà universale che egli riprende da Massimo il Confessore (cfr. PP V,
893B) ; questo aggettivo non manca infatti di richiamare in Giovanni Scoto
le coordinate fondamentali dell’antropologia cristiana, per cui l’uomo è stato
creato simultaneamente in anima e corpo, ma a causa della trasgressione
primordiale si trova costretto a subire la separazione di anima e corpo dopo
la morte, separazione che verrà tuttavia ricomposta all’atto della risurrezione
dei corpi. Le sfumature terminologiche riscontrate ci sembrano evidenziare
l’esigenza sentita da Giovanni Scoto di rientrare quanto più possibile nei
limiti concettuali e terminologici dettati dalla dottrina cristiana, modificando
la terminologia metafisico‑ontologica delle sue fonti dialettiche al fine di
collocarle entro l’orizzonte paradigmatico in cui Periphyseon, V si iscrive30.
Oltre alle trasformazioni terminologiche riscontrate, va rilevato come sia lo
stesso Giovanni Scoto a richiamare esplicitamente il paradigma teologico alla luce
del quale egli muove la propria indagine filosofica. Dopo una serie di esempi ripresi
dall’aritmetica, dalla musica ecc. volti ad esemplificare la possibilità di mescolanze
senza confusione di sostanza, il maestro palatino riporta la sua attenzione sul
reditus escatologico, concentrandosi in particolare sulla problematica della
risurrezione dei corpi e della loro spiritualizzazione. L’esito del discorso, che
abbiamo seguito nel suo prendere le mosse dalla dialettica porfiriano-boeziana,
svela da una parte il significato delle scelte terminologiche eriugeniane (ad es. la
uita come causa primordiale, che ritorna nel discorso sull’immortalità dei corpi
spirituali risorti), ma soprattutto rende evidente il motivo dell’interesse di Giovanni
Scoto per gli argomenti di Isagoge, I, 10 e del relativo commento boeziano, cioè la
teoria della relazione dialettica tra il corporeo e l’incorporeo, a cui egli si riferisce
per argomentare la possibilità della risurrezione spirituale dei corpi :

« His itaque atque huiusmodi rerum intelligibilium et sensibilium exemplis facillime


possumus cognoscere adunationem humanae naturae fieri posse, proprietatibus

29
In De praedestinatione, I, 1, 358A ad es., parlando dei quattro metodi della dialettica, Eriugena aveva
definito la ANALUTIKH come di quella parte che « composita in simplicia separando resoluit ».
30
Nonostante Giovanni Scoto conoscesse gli Opuscula sacra e considerasse Boezio magnificus
uir, egli non si richiama mai esplicitamente al suo insegnamento in contesti di riflessione teologica né
tantomeno usa affiancarlo alle auctoritates patristiche ; sulle citazioni di Boezio nel primo Eriugena cfr.
E. S. Mainoldi, Le fonti del De praedestinatione liber di Giovanni Scoto Eriugena, « Studi Medievali »,
45, 2004, pp. 651-697, pp. 666-682.
la ricezione di porfirio in età carolingio -ottoniana 45

singularum substantiarum obseruatis. Sed quoniam de reditu sermo est, necessarium


quaerere quod corpus in animam reuersurum sit, ut fiat “cum ipsa”, sicut Gregorius
theologus ait, “unus et spiritus et animus et deus”31, uel ut fermentetur in unum
incompositum, ut beatus Ambrosius edocet, si substantia ipsius (corporis
dico) semper incommutabiliter absque ulla commutatione permansura sit.
[…] Quod etiam Apostolus manifestissime docet. Ait enim : “Seminatur corpus
animale, surget corpus spirituale” [I Cor 15, 44]. Item : “Dum corruptibile hoc
induerit incorruptionem, et mortale hoc induerit immortalitatem” [I Cor 15,
53]. Moles itaque terrena, mortalis, fluxilis, quae ex diuersis qualitatibus sensibilium
elementorum et assumpta et composita est sub forma hac, quae sensibus corporeis
succumbit, sicut in praecedentibus libris tractauimus (quoniam merito peccati
naturali corporis substantialique superaddita est) soluetur, et in melius mutabitur,
in spiritum stabilemque substantiam, quae nescit fluere uel mori, resurrectionis
tempore reuersura »32.

In merito alla problematica degli universali presente nell’Isagoge e nei


commentari boeziani va rilevato che Eriugena non mostra un interesse specifico
a dare una risposta al quesito, lasciato peraltro irrisolto da Porfirio e sviluppato
solo da Boezio. Giovanni Scoto offre comunque una soluzione implicita al
problema filosofico latente, quale è possibile desumere dalla posizione alla quale
il maestro palatino approda nel suo intento di dare un fondamento argomentativo
al teologumeno della trasmutazione del corpo sensibile e mortale nel corpo
spirituale. Per Eriugena infatti la condizione di mortalità del corpo costituisce il
risultato della perdita dell’incorruttibilità spirituale di cui l’uomo godeva prima
della trasgressione primordiale :

« Sanissima nanque et catholica fide credimus diuinorum uirorum (theologi uidelicet


Gregorii et Maximi) de talibus inconcussas rationes reddentium dogmate imbuti,
quod conditor humanae naturae totam simul eam creauit, nec animam ante corpus
nec corpus ante animam condidit. Ideoque non irrationabiliter tenemus in ipsa
prima conditione animam simul et corpus absque ulla corruptibilitatis et mortis
capacitate substitisse. Non enim rectae rationi conuenit putari conditorem naturae
simul factae partem ejus immortalem et incorruptibilem (animam dico), partem
mortalem et corruptibilem (corpus uidelicet) creasse. Ideoque totam naturam
hominis, animam et corpus, immortalem et incorruptibilem creatam fuisse non
incongrue, ut arbitror, aestimamus »33.

31
Gregorius Nazianzenus, Orationes, VII, 21 (PG 35, 784A ; SC 405, p. 234, 19). Maximus Confessor,
Ambigua ad Iohannem, XVII, 172-173 (CCSG 18, p. 141).
32
Iohannes Scottus Eriugena, Periphyseon, V, 884A‑B, ed. cit., pp. 35-36.
33
Iohannes Scottus Eriugena, Periphyseon, V, 884A‑B, ed. cit., p. 36. Questo argomento era stato già
anticipato nel secondo libro del Periphyseon : « Motus itaque humanae naturae ad ea administranda
quae sibi ad uindictam praeuaricationis diuini praecepti adiuncta sunt — uindictam autem dico non
46 ernesto sergio mainoldi

Come agli angeli trasgressori venne sovraggiunto (superadditus) un corpo aereo,


così all’uomo espulso dal paradisus uoluptatis (Gn 2, 8) venne sovraggiunto un
corpo terreno, destinato a separarsi dall’anima e a tornare alla terra, dalla quale
risorgerà trasformato in corpo spirituale :

« Nam et angelos tales creatos fuisse sapientes tradunt. Eos siquidem spiritus
incorporeos [=angeli] et spiritualia corpora [=homines] omni corruptione carentia
constitutos esse non dubitant, hominibus uero et praeuaricantibus angelis poena
peccati terrena et corruptibilia corpora aeriaque superaddita esse, terrena quidem
hominibus, aeria uero angelis. Sed quod nobis superadditum est, quoniam ex
redemptore nostro assumptum est, qui « se ipsum exinaniuit, formam serui
accipiens » [Phil 2, 7], mouebitur in spiritum et in ipsam substantiam primitus
a deo creatam, quando absorbebitur mors in uictoriam, et totus homo, exterior
uidelicet et interior, sensibilis et intelligibilis, in unum adunabitur. Si cui autem
incredibile uidetur corpus quidem terrenum mutari posse in spiritum, uideat
quomodo sensibilium rerum qualitates in semet ipsas transmutantur, manentibus
substantiis quarum qualitates sunt. Videat quomodo aquatilis qualitas in igneam
uertitur qualitatem ; uideat quomodo nubes de aere conglobatae in aera purissimum
resoluuntur, ita ut nihil de densitate earum remaneat »34.

In merito a questa dottrina e ai fini del nostro discorso è importante notare che
per Eriugena il corpo spirituale non differisce dal corpo mortale nella sostanza,
bensì negli accidenti, che gli furono sovraggiunti (superadditi) a causa della
trasgressione. In base a questa precisazione, relativa alla differenza accidentale
tra i due corpi, Giovanni Scoto arriva a interpretare la dottrina di fede per cui il
corpo mortale — nelle parole dell’Apostolo qui citate dal maestro palatino (I Cor
15, 44) — « risorgerà spirituale », utilizzando l’argomento della distinzione degli
attributi (che sono mutevoli), dalla sostanza (che è immutabile) :

« Nulla enim qualitas seu quantitas seu quodcunque aliud accidens per se ualet
subsistere. Ac per hoc non temere, ut arbitror, dixerim ipsum reditum, de quo nunc

irascentis dei ultionem sed miserentis exercitationem — non irrationabiliter extra terminos essentialis
nostrae trinitatis relinquitur. <Et ne aestimes, nos his verbis docere uelle praedictam humanae naturae
trinitatem ad imaginem dei in paradiso conditam priusquam peccaret omnino corpore caruisse. Absit,
absit a nobis hoc credere aut quodam modo putare ! Semel enim et simul animas nostras et corpora
in paradiso conditor creauit, corpora dico caelestia spiritualia, qualia post resurrectionem futura
sunt. Tumida nanque corpora mortalia corruptibilia, quibus nunc opprimimur, non ex natura sed ex
delicto occasionem ducere non est dubitandum>. Quod ergo naturae ex peccato adoleuit, eo profecto
renouata in Christo et in pristinum statum restituta carebit. Non enim potest naturae esse coaeternum
quod ei adhaeret propter peccatum, et intra substantiales eius constitutiones non connumerari non
incongruum, ut arbitror » (PP II, 571C-572A, ed. Jeauneau, CCM 162, p. 62-63).
34
Iohannes Scottus Eriugena, Periphyseon, V, 884C‑885a, ed. Jeauneau, pp. 36‑37.
la ricezione di porfirio in età carolingio -ottoniana 47

tractamus, non substantiarum, quae immutabiliter et insolubiliter in se permanent,


sed qualitatum et quantitatum aliorumque accidentium, quae per se et mutabilia
sunt et transitoria, locis temporibusque subiecta, generationibus et corruptionibus
obnoxia, futurum esse »35.

Le scelte terminologiche e l’impianto argomentativo qui messi in campo


da Giovanni Scoto trovano ancora una singolare concordanza terminologica e
dottrinale nel commentario di Boezio In Categorias Aristotelis, in particolare in un
passo in cui il filosofo romano spiega come la materia, che in sé non ha qualità,
riceva una qualità dalla forma che le viene aggiunte (superaddita) :

« Sed non omnis res simul atque est aliquam accipit qualitatem, ipsa enim materia
sub quantitatis quidem principium cadit, quod una est, sub qualitatem vero
minime ; ipsa enim cunctis est interim qualitatibus absoluta, superaddita vero forma
quadam afficitur qualitate : per se autem numero quidem una est, qualitate vero
nulla ; quocirca si res omnis simul atque est cadit in numerum, non autem omnis
res mox ut est statim suscipit qualitatem, recte prius de quantitate proposuit. Est
quoque alia causa cur prius de quantitatis ratione pertractet. Omne enim corpus ut
sit, tribus dimensionibus constat, longitudine, latitudine, altitudine […] »36.

Per quanto i parallelismi terminologici e disciplinari qui discussi non possono


garantire la certezza assoluta che i due commentari boeziani, se non l’Isagoge
stessa, costituiscano la fonte diretta, ovvero l’ipotesto forte, di Giovanni Scoto, e
non semplicemente un ipotesto debole — ovvero una congerie di nozioni derivanti
genericamente dalla cultura e dalla terminologica didattiche e disciplinari ‘di
contesto’ —, quale potrebbe essere derivato da dottrine e formule di scuola,
resta il fatto che i passaggi riportati e analizzati evidenziano come l’utilizzo degli
stessi strumenti disciplinari, pur conducendo i nostri autori ad argomentazioni
analoghe, non toglie il fatto che essi partano da intenti paradigmaticamente
differenti e approdino a risultati paradigmaticamente differenti. Rintracciare
queste differenze ci sembra un modo per offrire una risposta in merito alla
ricezione in Eriugena se non della problematica di fondo dell’Isagoge, almeno
del suo armamentario disciplinare.
Nell’utilizzo delle risorse teoretico-filosofiche messegli a disposizione dalle
sue fonti dialettiche — che siano Marziano Capella, Porfirio o Boezio, apprese
direttamente sui codici o indirettamente attraverso rielaborazioni di scuola —,
Giovanni Scoto si muove in un contesto speculativo distinto per presupposti e
obiettivi dalle problematiche filosofiche neoplatoniche e/o aristotelico-platoniche,

35
Iohannes Scottus Eriugena, Periphyseon, V, 885c, ed. Jeauneau, p. 37.
36
Boethius, In categorias Aristotelis, De quantitate, PL 64, 201C-202B.
48 ernesto sergio mainoldi

pur spartendo con questi paradigmi filosofici l’impianto metodologico e disciplinare


di base :
1) innanzitutto l’Irlandese non dà alcun rilievo alla problematica concordista,
in cui si muovono sia Porfirio sia Boezio, ovvero l’armonizzazione di platonismo
e aristotelismo, problematica sullo sfondo della quale si muovono tanto il
neoplatonismo post-plotiniano di Porfirio37, quanto il platonismo cristiano di
Boezio38 ; se Giovanni Scoto ebbe la possibilità di leggere per intero il secondo
commentario di Boezio all’Isagoge — cosa che, ovviamente, non consegue dal
fatto che ne abbia conosciuto una parte — vi avrebbe trovato riferimento alla
problematica storiografica latente39, tuttavia dai riferimenti ai due grandi scolarchi
della filosofia antica contenuti nelle sue opere non risulta che egli si curò, sempre che
ne ebbe notizia, delle dissensiones tra i loro rispettivi insegnamenti ontologici ;
2) oltre al problema storiografico del rapporto tra Giovanni Scoto e i grandi
esponenti del pensiero antico, va osservato che il teologo irlandese non poteva
che distaccarsi da essi per quanto riguarda gli aspetti nodali e paradigmatici del
suo pensiero : se infatti il maestro palatino, nel trattare le progressive diuisiones
della natura dai generi alle specie agli individui, aveva mostrato in vari luoghi del
Periphyseon un realismo accostabile al realismo esemplarista (neo-)platonico40, nel
trattare del reditus egli si ritrova a fare i conti con alcune fondamentali discrepanze
tra i teologumeni cristiani e il platonismo di fondo delle fonti dialettiche da lui
utilizzate, a partire dal rendere il corpo afferente alla realtà spirituale, parificandolo
per dignità di creazione all’anima, e — cosa ancor più rilevante dal punto di vista

37
Cfr. P. Hadot, The harmony of Plotinus and Aristotle according to Porphyry,in R. Sorabji ed., Aristotle
Transformed: The Ancient Commentators and Their Influence, Duckworth, London 1990, pp. 125-140.
38
Cfr. G. d’Onofrio, Boezio filosofo, in A. Gallonier ed., Boèce ou la Chaîne des savoirs, Peeters,
Louvain-la-Neuve 2003 (Philosophes Médiévaux 44), pp. 381-419 ; M. Zambon, Aristotelis Platonisque
sententias in unum revocare concordiam. Il progetto filosofico boeziano e le sue fonti, « Medioevo »,
28, 2003, pp. 17-49.
39
« Itaque haec sunt quidem in singularibus, cogitantur uero uniuersalia nihil que aliud species
esse putanda est nisi cogitatio collecta ex indiuiduorum dissimilium numero substantiali similitudine,
genus uero cogitatio collecta ex specierum similitudine. sed haec similitudo cum in singularibus est, fit
sensibilis, cum in uniuersalibus, fit intellegibilis, eodem que modo cum sensibilis est, in singularibus
permanet, cum intellegitur, fit uniuersalis. subsistunt ergo circa sensibilia, intelleguntur autem praeter
corpora. His igitur terminatis omnis, ut arbitror, quaestio dissoluta est. ipsa enim genera et species
subsistunt quidem alio modo, intelleguntur uero alio, et sunt incorporalia, sed sensibilibus iuncta
subsistunt in sensibilibus » (Boethius, In Porphyrii Isagogen commentorum editio secunda, liber I,
cap. 11, ed. S. Brandt, Brepols, Turnhout 1908 [CSEL 48], p. 166, lin. 14) ; « Intelleguntur uero ut per
semet ipsa subsistentia ac non in aliis esse suum habentia. sed Plato genera et species cetera que non
modo intellegi uniuersalia, uerum etiam esse atque praeter corpora subsistere putat, Aristoteles uero
intellegi quidem incorporalia atque uniuersalia, sed subsistere in sensibilibus putat ; quorum diiudicare
sententias aptum esse non duxi, altioris enim est philosophiae » (ibid., p. 167, lin. 10 ss.).
40
Per queste concordanze rimandiamo ancora a Erismann, Processio id est multiplicatio cit.
la ricezione di porfirio in età carolingio -ottoniana 49

della diuisio dialettica — nella sussistenza degli individui nell’unità finale del
reditus escatologico.
La ricomposizione dialettica delle divisioni (analutikh) ci sembra dunque
discostarsi nel pensiero escatologico eriugeniano dall’idea di ricomposizione
contemplata dall’albero di Porfirio, dal momento che l’Irlandese postula, sulle
scorte della dottrina della praedestinatio in bono, la manenza ipernaturale degli
eletti come individui conosciuti da Dio sin dalla fondazione del mondo41. Dal
momento che la comprensione di questa condizione escatologica va al di là
delle possibilità della dialettica e della ragione umane, Giovanni Scoto si limita a
descriverne le modalità con metafore fisicistiche, come la mescolanza inconfusa
dell’aria e della luce o delle singole voci nel canto polivocale42.

41
La comprensione della dialettica sullo sfondo della teologia del reditus risulta anche dal seguente
passo delle Expositiones in ierarchiam coelestem : « Noster quippe animus ipsa disciplina, que a Grecis dicitur
analutikh, per sacram symbolorum uarietatem illuminatus, in altitudinem superne deificationis reducitur.
Due quippe partes sunt dialectice discipline, quarum una DIAIRETIKH, altera analutikh nuncupatur. Et
DIAIRETIKH quidem diuisionis uim possidet ; diuidit namque maximorum generum unitatem a summo
usque deorsum, donec ad indiuiduas species perueniat, inque eis diuisionis terminum ponat ; analutikh
uero ex aduerso sibi posite partis diuisiones ab indiuiduis sursum uersus incipiens, perque eosdem gradus
quibus illa descendit, ascendens conuoluit et colligit, easdemque in unitatem maximorum generum reducit,
ideoque reductiua dicitur siue reditiua. Ac per hoc rationalis anima, penam preuaricationis sue luens,
in multiplices multiformesque temporalium rerum appetitus ueluti quadam diaeretica ui partita est et
scissa, donec partitionis sue in amore rerum corporalium terminum posuerit, infra quem prodire non
potuit. Sed iterum creatoris sui gratia preuenta, saluata, adiuta, reuocata, quibusdam gradibus analyticis
in seipsam primo recolligitur, ac deinde in unitatem creatoris sui quam peccando sciderat in deificationis
uirtute restauratur. Non ita est in celestibus essentiis, presertimque eminentibus, que nunquam creatoris
sui unitatem disruperant. Non enim eas analutikh, id est reductiua siue reditiua scientia, reduci
estimandum, sed ueluti prima et superexcellenti deificatione repletas iuxta eminentissimam diuinorum
operum scientiam, quantum angelis datur, eas debemus honorificare, quoniam immediate ab ipsa diuina
uirtute et illuminantur et perficiuntur » (ed. J. Barbet, Brepols, Turnhout 1975, pp. 106-107).
42
« Si ergo tot radii in unum confluunt, et nullus alteri confunditur uel miscetur uel componitur, quoniam
singuli intuentium quique proprietatem suam obtinent, dum circa unam eandemque rem mirabili quadam
adunatione uersantur, quid mirum si tota humana natura in unitatem quandam ineffabilem redigatur,
proprietatibus et corporis et animae et intellectus incommutabiliter permanentibus ? Aliud exemplum ex
sensibilibus intuere, quod etiam beatus Dionysius Ariopagita de talibus disputans introduxit. Ponamus ueluti
in quadam ecclesia multas lucernas simul ardentes, et ex diuersis sedibus lampadum fulgentes. Nonne unum
lumen efficiunt, ita ut nullus corporeus sensus sit qui proprietatem luminis singularum lampadum ab alterius
lumine possit discernere ? Eo autem argumento incunctanter apertissimum est multarum lampadum lumina
nullo modo esse confusa, sed solummodo adunata. […] Num simili modo de humanis organicisque uocibus
intelligitur ? Singula quaeque uox, siue humana, siue fistularis uel lirica qualitatem suam habere non desistit,
dum unam armoniam inter se plures unitae congrua analogia efficiunt. Vbi etiam apertum argumentum de
sonis datur quod in se inuicem non confunduntur, sed solummodo adunantur. Nam si aliqua uox ex ipsis
siluerit, sola silebit, nec de melodia silentis inter adhuc sonantes quicquam resultat. Ex quo manifestum
est quod, quando inter caeteras sonuit, proprietatem suae qualitatis obseruauit. Nam si aliis confunderetur,
non posset totam se silendo subtrahere » (PP V, 883B‑D, ed. Jeauneau, CCM 165, p. 34-35).
50 ernesto sergio mainoldi

Per questo motivo diremmo che, stanti le concordanze tra le strutture


concettuali e terminologiche derivate al maestro palatino dall’utilizzo di strumenti
argomentativi dialettici elaborati dagli autori neoplatonici della tarda antichità,
il reditus di Giovanni Scoto essenzialmente non è un reditus neoplatonico, in
quanto non prevede un ritorno a un’unità originaria, bensì una adunatio in cui
persisteranno le distinzioni individuali. Rispetto alla dialettica neoplatonica
Eriugena si discosta per il ruolo accordato alla manenza escatologica della sostanza
individuale, introducendo dunque un elemento apparentemente aristotelizzante,
consistente nel primato accordato alla sostanza prima (il soggetto) sulla sostanza
seconda (il genere), antitetico al subordinazionismo ipostatico neoplatonico.
Nel pensiero teologico eriugeniano è inoltre ravvisabile una contravvenzione
ancora più rilevante nei confronti dell’ontologia platonica e neoplatonica, ma
anche aristotelica, costituita dall’argomento della permanenza eterna della qualità,
quindi di un accidente, nella sostanza, in un modo « ineffabile » noto solo a Dio,
come si può leggere nel seguente passo di PP V :

« N. Restat itaque de qualitatibus substantiarum — qualitates autem dico, sicuti


solent sapientes omnia quae substantiis accidunt appellare, quia mutabiles sunt et
circa substantias suas uoluuntur — hunc mundum fabricatum compactumque fuisse
et in easdem resoluendum fore. Omne enim quod temporaliter per generationem
incipit esse necesse est essendi finem habere. Nec sic tamen praedictas substantiarum
qualitates suas substantias, circa quas uoluuntur, omnino deserere et in materiem
sensibilis mundi conuenire arbitramur. Sed mirabili et ineffabili modo, soli
fabricatori illius cognito, et circa suas substantias, quibus inseparabiliter adhaerent,
semper permanent et hunc mundum modo quodam intelligibili compositionibus
suis perficiunt atque componunt. Nam supra uniuersitatem uisibilem causas et
substantias omnium corporum, siue catholicorum siue particularium, quibus
constituitur, non irrationabiliter credimus esse. Ex incorporalibus enim et
intelligibilibus corporalia et sensibilia originem ducunt »43.

Il « modo ineffabile » in cui Dio conosce l’attributo permanente della sostanza


può essere compreso attraverso il concetto di uirtus gnostica, con cui Eriugena
intende la conoscenza potenziale che Dio ha delle creature prima di crearle,
ovvero quando esse ancora non sono44. La distinzione delle sostanze prima
che vengano all’essere, operata dalla uirtus gnostica divina in base ad ‘attributi’
iperontologici45, noti solo a Dio in modo ineffabile in quanto pura potenza, sovverte

43
Iohannes Scottus Eriugena, Periphyseon, V, 886c‑887a, ed. cit., p. 39.
44
Cfr. J. Trouillard, La « Virtus gnostica » selon Érigène, « Annales de l’École Pratique des hautes
études », 90, 1981‑1982, pp. 369‑373.
45
Questo ossimoro concettuale configura una sorta di definizione traducibile come ‘accidenti
non-accidentali’.
la ricezione di porfirio in età carolingio -ottoniana 51

il principio del realismo ontologico stabilito dal binomio sostanza-manenza/


attributi‑immanenza46. Il trascendimento di questa antinomia dialettica costituisce
dunque il fondamento speculativo della dottrina escatologica dell’adunatio delle
sostanze individuali (singulae substantiae) nell’unità divina. Questa adunatio non
è ontologica, in quanto il superamento del binomio antinomico che riguardava
le ‘cose che sono’ non può che riguardare le ‘cose che non sono’, coerentemente
al fatto che la uirtus gnostica è conoscenza superessenziale e superintellettuale
delle cose che (ancora) non sono.
La risposta eriugeniana al problema delle sostanze individuali nell’adunatio
escatologica si configura dunque come soluzione me‑ontologica (o meglio iper-
ontologica), e per questo non riferibile all’ontologia categoriale aristotelica,
analogamente all’impossibilità — argomentata nel corso della trattazione di
PP I dedicata alle dieci categorie (464A‑474B) — di riferire le dieci categorie
a Dio, se non per traslato, ovvero in modo improprio e dunque in senso iper-
ontologico47. Il paradigma dialettico‑filosofico a cui Giovanni Scoto si richiama
può essere ricondotto all’unità super-intellegibile di ciò che razionalmente non
può che configurarsi come oppositio : la fondamentale opposizione che trova
coincidenza in Dio concerne la prima species naturae (quae creat et non creatur)
e la quarta (quae non creatur et non creat), così come esse e non esse trovano
coincidenza non solo in Dio, ma nella totalità rerum omnium, intesa — dall’incipit
del Periphyseon — come FUCIC-natura, ovvero come unione super-ontologica e
super‑me‑ontologica di Creatore e creazione.
L’opposizione tra la realtà ontologica e la realtà me-ontologica, che Giovanni
Scoto indica con le espressioni ‘ea quae sunt’ ed ‘ea quae non sunt’ — tra le cui
diverse possibili fonti si segnala il commento boeziano all’Isagoge —, viene iscritta
dal maestro palatino nella comprensione dialettica dell’antinomia tra il concetto di
creato e quello di increato, che è antecedente alla divisione tra essere e non‑essere
e trova risoluzione nella concezione di Dio come creatore e non‑creatore al

46
Va tuttavia rilevato che in riferimento all’individualità umana Giovanni Scoto fa comunque
riferimento ai suoi attributi esteriori (aspetto, luogo e tempo di nascita ecc. ; cfr. PP III, 703BC), mentre,
parlando della sua mancata (a causa del peccato) moltiplicazione angelica, fa invece riferimento a
un’individualità intelligibile (numeri intelligibili cfr. PP II, 532D-533A), preludio dell’individualità
superintellegibile che verrà raggiunta nella super-condizione della deificatio.
47
« Horum autem decem generum innumerabiles subdiuisiones sunt, de quibus nunc disputare
praesens negotium non admittit ne longius a proposito recedamus, praesertim cum illa pars
philosophiae quae dicitur dialectica circa horum generum diuisiones a generalissimis ad specialissima
iterumque collectiones a specialissimis ad generalissima uersetur. Sed, ut ait sanctus pater Augustinus
in libris de trinitate, dum ad theologiam (hoc est ad diuinae essentiae inuestigationem) peruenitur,
kategoriarum uirtus omnino extinguitur. Nam in ipsis naturis a deo conditis, motibusque earum
kategoriae qualiscunque sit potentia praeualet, in ea uero natura quae nec dici nec intelligi potest
per omnia in omnibus deficit » (PP I, 463A-463B, ed. Jeauneau, CCM 161, pp. 32-33).
52 ernesto sergio mainoldi

contempo, che nel linguaggio del Periphyseon si traduce nella coincidenza della
seconda e della quarta divisione della natura. L’apofatismo eriugeniano vede come
cifra di fondo il superamento super-razionale e super-intellettuale delle divisioni
e delle contrapposizioni, in un procedimento intellettivo in cui la dialettica può
venire in aiuto di « coloro che vogliono ascendere » (« conscendere uolentium »,
PP III, 1, 365A) attraverso l’utilizzo per translationem delle sue regole.
In accordo con la tradizione platonica e platonico‑cristiana, Giovanni Scoto
concepisce la dialettica come descrizione della razionalità oggettiva dell’uniuersitas,
tuttavia, in relazione alla condizione finale dell’adunatio di tutte le creature in
Dio, la dialettica viene considerata insufficiente a descrivere in senso proprio
l’unità-distinzione escatologica che si avrà tra Creatore e creatura, anche se i
suoi strumenti argomentativi possono essere comunque utilizzati per rimandare
in senso improprio, ovvero per translationem, alla conoscenza delle cose ultime.
La differenza paradigmatica tra l’impostazione di metodo patristica seguita
da Eriugena e quella adottata dalle sue fonti filosofiche ha dunque richiesto
all’Irlandese un profondo ripensamento dei rapporti tra dialettica, ontologia
e teologia, dal momento che, non dovendo i filosofi ellenici confrontarsi con
l’escatologia neotestamentaria e dunque con il problema di una trasfigurazione
del cosmo in un ipercosmo pneumatizzato, mantenendo per contro il caposaldo
dell’eternità del mondo, gli strumenti filosofici da essi elaborati rimangono volti
alla distinzione tra la manenza senza principio e senza fine della realtà cosmica
mutevole e la realtà trascendente, permanente e immutabile.
Gli assunti paradigmatici del concetto di creazione spinsero il maestro irlandese
al superamento dei limiti che la dialettica e l’ontologia elleniche oppongono al
pensiero orientato dalla teologia neotestamentaria, ma non per negare in chiave
apologetica la validità conoscitiva della filosofia, bensì per stabilirne i limiti e
riprenderne le tecniche argomentative al fine di facilitare, per quanto possibile,
la comprensione anagogica dei contenuti della Rivelazione. Nel quinto libro del
Periphyseon egli arriva non tanto a contraddire, quanto a superare ciò che egli
aveva argomentato nel primo libro a proposito della divisione dialettica dei generi
e delle specie, e a proposito della superiorità ontologica dell’ousia generalis rispetto
all’accidentalità degli individui, qualificati dai soli attributi transeunti.
Nel quinto libro del suo capolavoro, Giovanni Scoto arriva così a delineare
un linguaggio meta‑dialettico in cui l’uso traslativo delle tecniche argomentative
del pensiero logico mostra la sua capacità di preparare il transitus theoriae verso
il nucleo super‑intelligibile della teologia48, il quale, riposando nell’apofasia
dell’adunatio e della théosis, segna al contempo il confine tra una filosofia della

Sul transitus theoriae in Giovanni Scoto, cfr. T. Gregory, Nota sulla dottrina delle « teofanie »
48

in Giovanni Scoto Eriugena, « Studi Medievali », 1, 1963, pp. 75‑91.


la ricezione di porfirio in età carolingio -ottoniana 53

creazione sotto la specie dell’ontologia, come quella descritta dal realismo


esemplaristico platonico o dall’ontologia categoriale aristotelica, e una filosofia
dell’increato, dove l’increato viene inteso come genere superordinato alla creazione,
e la creazione risulta essere genere di tutto ciò che è e di tutto ciò che non è.
In relazione all’inveterata categoria storiografica del (neo/)platonismo cristiano,
diremmo che Giovanni Scoto è un pensatore che si pone nella linea patristica
dell’oltrepassamento di quel paradigma filosofico che prende origine dalla
speculazione sulle categorie del cosmo e dall’elemento logico-oggettivizzante del
pensiero, in quanto fonda la sua riflessione e ne approfondisce le aporie in base
all’imprescindibile riferimento alla tensione unitivo-distintiva che egli riconosce
esserci tra i concetti di creato e di increato.
Se dunque volessimo rispondere al quesito storiografico relativo alla possibilità
di ascrivere Giovanni Scoto a una preistoria del dibattito medievale tra realisti
e nominalisti, in virtù di una sua conoscenza delle problematiche trasmesse
dall’Isagoge e dai commentari logici boeziani, non potremmo che rispondere in
senso negativo. Il pensiero teologico di Giovanni Scoto — come abbiamo cercato
di mostrare — si avvale con piena maturità e autonomia degli strumenti della
razionalità filosofica, ripresi dall’insegnamento delle scuole filosofiche elleniche,
ellenistiche e infine romano-barbariche, ovvero ateniese, alessandrina e romana,
e riconducibili ai paradigmi filosofici platonico, aristotelico, neoplatonico e
infine platonico‑cristiano (e in Boezio platonico-aristotelico-cristiano), al fine di
illustrare i contenuti della Rivelazione.
Nella sua sintesi Giovanni Scoto si avvale — caso tutto sommato isolato nel
medioevo latino — delle rielaborazioni compiute nelle scuole patristiche orientali
(alessandrine, cappadoci, bizantine, siriache) e occidentali (Ambrogio e Agostino),
in base a un paradigma di pensiero circoscrivibile nei suoi tratti caratteristici e
distintivi tanto da essere definibile come ‘cristiano’ (senza aggiunte o premesse di
altri aggettivi), nel quale si avvera il riorientamento e il superamento dei paradigmi
di sapere con i quali tale paradigma di pensiero ha dato vita al confronto storico
più importante tra tarda antichità e alto‑medioevo.
Il risultato che ne scaturisce conduce ad esiti che si pongono al di là dei limiti
della razionalità dialettica, della quale viene tuttavia sottolineata la capacità di
descrivere l’ordinamento cosmico nelle sue divisioni e categorie, pur mostrandosi
insufficiente a compiere quello sforzo super-intelligibile che la super-comprensione
dell’adunatio richiede all’« animo umano » che « gradatim ascendere nititur »49.
Se Boezio aveva contribuito agli inizi di un cammino latino e cristiano di
convergenza tra la filosofia ellenica e la Rivelazione, cercando di consolidarne

Giovanni Scoto Eriugena, De praedestinatione liber, III, 1, 365A, ed. E. S. Mainoldi, Edizioni del
49

Galluzzo, Firenze 2003, p. 24.


54 ernesto sergio mainoldi

la coerenza metafisica, a garanzia della sua trasponibilità in una forma di


insegnamento disciplinarmente ordinato e dunque della diffusione nella societas
romana come fattore di rinnovamento e di soluzione di quella crisi che la stava
investendo tra V e VI secolo — attraverso la ricerca dell’accordo tra le due
grandi tradizioni di pensiero dell’antichità, quella platonica e quella aristotelica
—, Giovanni Scoto mostra nelle sue opere un’elaborazione speculativa capace
di instaurare un rapporto vivo — e non di mera imitazione — con l’autorità
patristica e allo stesso tempo capace di avvalersi degli strumenti delle arti liberali
con piena autonomia rispetto alle implicazioni paradigmatiche della tradizione
filosofica pagana.
Nel commentare l’Isagoge Boezio aveva fatto emergere la struttura latente relativa
allo statuto degli universali50, non solo perché era pienamente consapevole della
discrepanza tra le posizioni di Platone e di Aristotele, espressioni paradigmatiche
di due differenti concezioni dell’ordinamento della realtà e del valore della
conoscenza, problematica che aveva impegnato tutti gli epigoni e gli interpreti
dei due scolarchi greci fino al V secolo, ma soprattutto perché il suo pensiero
era ancora saldamente legato a quei paradigmi, giocando in particolare per una
lettura neoplatonizzante di Aristotele. In Giovanni Scoto la « struttura latente » non
emerge, non tanto perché l’Irlandese non poté avere chiara la contrapposizione
storiografica tra platonismo e aristotelismo, quanto perché il suo filosofare
era ispirato da un diverso paradigma di pensiero, volto al superamento di una
concezione pancosmica della realtà, e, al pari dell’appello escatologico che gli è
intrinseco, postulante per l’uomo un superamento del suo stato naturale al fine
di unirsi al Creatore nell’adunatio supernaturale tra creato e increato.
La dottrina eriugeniana della realtà si configura come una non‑ontologia e
non‑me-ontologia, dal momento che la realtà‑natura è concepita come superiore
tanto all’essere quanto al non‑essere, e in ultima istanza come genere superordinato
alla divisione tra Creatore e creatura, mantenendo tuttavia la loro distinzione
iper-ontologica e iper-me-ontologica. La principale preoccupazione del pensatore
irlandese risulta essere diretta alla concezione di una natura adunativa, all’interno
della quale la cristologia gioca un ruolo ispiratore fondamentale, portando al
centro di questo processo la natura umana, nella quale si verifica l’adunatio tra
l’intera natura creata e la natura increata.
A far compiere a Giovanni Scoto il passo verso una teologia compiuta
nell’impossibilità di essere razionalizzata come ontologia ha giocato un ruolo

50
Con « struttura latente » facciamo riferimento a quanto osservato da A. de Libera a proposito
del rapporto tra la riposta elusa da Porfirio nell’incipit dell’Isagoge e la problematica filosofica e
storiografica che le fanno da sfondo, in La querelle des universaux. De Platon à la fin du Moyen Age,
Seuil, Paris 1996, p. 39.
la ricezione di porfirio in età carolingio -ottoniana 55

indiscutibilmente decisivo l’approfondita lettura — quale solo quella di un


traduttore può esserlo — dei Padri orientali di cui egli approntò una versione latina,
cioè lo ps.‑Dionigi Areopagita, Massimo il Confessore e Gregorio di Nissa. Giovanni
Scoto evita la struttura latente al quesito che l’Isagoge sintetizza e tramanda
proponendosi di illustrare una differente concezione del mondo, dove la totalità
delle cose quae sunt et quae non sunt è disposta come natura creata nel Verbo
increato, ciò da cui consegue una concezione della ratio del mondo come causa
superessenziale (esse omnium est superesse diuinitas)51. L’apofatismo connesso
alla teologia dell’increato trattiene dunque Giovanni Scoto dal problematizzare
la ratio del mondo nei suoi rapporti con la rationalitas umana, la quale deve
accontentarsi di cogliere l’esse delle cose ma non il quid esse, dacché la ratio
ultima delle creature è superesse ed esula quindi dalla pretesa di arrivare a una
definizione logico‑ontologica, ossia concettuale‑linguistica conclusa e affermata
in senso proprio, delle modalità del loro essere.
L’insegnamento di Giovanni Scoto, oltre a contribuire alla diffusione di una
conoscenza specifica delle arti liberali, riuscì anche a trasmettere l’inquadramento
epistemologico elaborato dal maestro palatino, volto a una prospettiva teologica
intesa essenzialmente in senso apofatistico e iper-ontologico. Il rapporto tra
filosofia e Rivelazione secondo la sintesi disegnata dalla riflessione di Giovanni
Scoto trova una prima eco nell’epistola inviata da un anonimo autore, che si
firma come « A. », a un certo « magister E. » per chiedere protezione per una sua
nipote, monaca a Laon52. A. è stato verosimilmente allievo di Giovanni Scoto,
dal momento che ne cita l’insegnamento in materia di metrica53 e mostra un
certo interesse per la filosofia, dal quale traspare un contatto con l’insegnamento
dell’Irlandese54 ; A. insiste in particolare sul valore propedeutico alla fede dello
studio delle arti liberali :

51
Dionysius Areopagita, De caelesti hierarchia IV, 1 (PL 122, 1046C) ; passo citato da Eriugena in PP
I, 443B, 516C ; PP III, 644B ; PP V, 903C ; Vox spiritualis X, 36‑37 (SC 151, p. 252 ; PL 122, 289B).
52
L’epistola è pubblicata da E. Dümmler in M.G.H., Epistularium, VI, Epistulae Karolini Aevi
IV, 1925, p. 182-186. Su questa lettera cfr. J. J. Contreni, Three Carolingian Texts Attributed to Laon.
Reconsiderations, « Studi medievali », 17, 1976, pp. 798-802.
53
« …secundum doctrinam Iohannis Scotti » (ed. Dümmler, p. 184, lin. 22). A. mostra inoltre
di conoscere la terminologia dialettica dell’Isagoge : « …dialecticam in mysteriis syllogismorum
procedentium a generalissimis usque ad specialissima » (ibid., p. 183, lin. 30-31).
54
« Sed neque in quadripertita philosophia mysterium aliter habetur nisi discendo aut docendo »
(ed. cit., p. 183, lin. 35-36), di cui si richiama l’affinità con la diuisio proposta da Eriugena in PP
III, 705A‑B : « Si cui autem uidetur quod ista explanatio, quam de tribus primis diebus iuxta uires
intentionis nostrae protulimus, non secundum historiam sit sed secundum leges allegoriae, intentus
perspiciat quadriformem sophiae diuisionem — Et est quidem prima PRAKTIKH (actiua), secunda
FUCIKH (naturalis), tertia QEOLOGIA quae de deo disputat), quarta LOGIKH rationalis), quae ostendit
quibus regulis de unaquaque trium aliarum sophiae partium disputandum » (ed. Jeauneau, CCM
163, pp. 123‑124).
56 ernesto sergio mainoldi

« Non autem est necesse fide purgari corda ad artes videndas ; verum ipsis artibus
purgatur platonicus oculus quo videatur creator omnium Deus. Non est igitur
mysterium musica, sed doctrinalis scientia [Isidorus Hispalensis, Etymologiae 11,
24, 4]55 quae abstractam desiderat quantitatem, per quam queritur mysterium fidei
quo credatur per fidei meritum, donec videatur per ipsius fidei mirabile praemium
invisibilis, immortalis et incommutabilis Deus »56.

Questo singolare passo trova una precisa assonanza in un’opera di simbolismo


liturgico di Almanno, presbitero e monaco a Hautvillers :

« …in lege domini meditemur die ac nocte : qua, corde mundato per fidem et sanato
oculo, non iam Platonico sed diuino, uideamus superessentialem causam omnium
deum »57.

Sulla base di questa e di altre concordanze testuali, lette sullo sfondo del
profilo intellettuale e biografico di Almanno, abbiamo avanzato altrove l’ipotesi
di identificare in Almanno stesso l’autore dell’Epistula ad magistrum E.58.
L’epitaffio altivillarense di Almanno, che ci è noto attraverso la trascrizione
fatta da Mabillon di una sua copia trasmessa in un manoscritto laudunense
oggi perduto, fissa a sua volta nell’interesse filosofico il profilo intellettuale del
defunto presbitero-monaco, riprendendo il topos della purificatio oculi, a fianco
dell’immagine boeziana delle lettere ricamate sulla veste di Filosofia (Consolatio
philosophiae, I, 1) :

« Hic iacet Almannus, sophiae praeclarus alumnus,


[…]

55
Cfr. Scholica enchiriadis : « D : Quae sunt mathesis disciplinae ? M : Arithmetica, Geometrica,
Musica, Astronomia. [Delta] : Quid est mathesis ? M : Doctrinalis scientia. D : Quare doctrinalis
scientia ? M : Quia abstractas considerat quantitates. D : Quae sunt abstractae quantitates ? M : Quae
sine materia, id est admixtione corporali, solo intellectu tractantur. In quantitatibus vero multitudines,
magnitudines, paucitates, parvitates, formae, aequalitates, habitudines et cetera, “quae”, ut Boetii
verbis loquar, “ipsa quidem natura incorporea sunt et inmutabilis substantiae ratione vigentia,
participatione vero corporis permutantur et tactu variabilis rei in vertibilem inconstantiam transeunt »
(Musica et scholica enchiriadis una cum aliquibus tractatulis adiunctis, ed. H. Schmid, Bayerische
Akademie der Wissenschaften - C. H. Beck, München 1981 (Bayerische Akademie der Wissenschaften,
Veröffentlichungen der Musikhistorischen Kommission, Band 3), p. 107).
56
Ed. Dümmler, p. 184, lin. 1-5.
57
Almannus Altivillarensis, Epistola ad Sigebodum Narbonnensem episcopum [873‑885], ed. A.
Wilmart, La lettre philosophique d’Almanne et son contexte littéraire, « Archives d’histoire doctrinale
et littéraire du Moyen Age » 3, 1928, pp. 285-320, p. 301, lin. 31-34.
58
Cfr. E. S. Mainoldi, Una proposta di nuova attribuzione ad Almanno di Hautvillers, « Archives
d’Histoire doctrinale et littéraire au Moyen Age », 76, 2009, pp. 7-28.
la ricezione di porfirio in età carolingio -ottoniana 57

Instituens a P transire ad Q gradatim


Sicque philosophicum purificare oculum »59.

I passi qui riportati offrono uno spunto particolarmente interessante nella


locuzione platonicus/philosophicus oculus, fortemente connotata in senso
storiografico, nella quale è possibile leggere un riferimento al sapere pre-cristiano
e, per metonimia, al sapere delle arti liberali. Entrambi i passi sottintendono il
limite della conoscenza filosofica ai fini del progresso ad Deum, vedendo tuttavia
come legittimamente propedeutico un percorso di graduale purificazione della
conoscenza perseguito non soltanto per fede o per ascesi, come nell’apologetica
cristiana classica — modellata sull’interpretazione monastica della vita cristiana
—, ma anche attraverso le arti stesse, segnando dunque una continuità e un
compimento dell’ideale di « ascesi culturale e laica, centrata sulla scuola » posto
da Alcuino a fondamento dell’ideale carolingio di formazione cristiana60.
Se alla fede spetta il compito della mundatio cordis, alle arti spetta la sanatio/
purgatio oculi, espressioni nelle quali dobbiamo forse vedere un’allusione alla
gerarchia delle facoltà conoscitive (cor → intellectio, oculus → speculatio). In queste
espressioni possiamo cogliere l’orientamento epistemologico maturato dalla tarda
scuola carolingia a giustificazione dell’insegnamento delle arti, nel quale si legge
una teoria del sapere ormai arrivata a una equilibrata sistemazione gerarchica tra
fede e mezzi della conoscenza filosofica, ormai purificati dal legame atavico con
le visioni del mondo di cui la filosofia è stata al servizio in epoca pre‑cristiana.
Le opere di Giovanni Scoto — al quale va riconosciuto un ruolo fondamentale
nell’aver saputo dare un solido fondamento teoretico all’ideale carolingio‑alcuiniano
— restituiscono una chiara trattazione della problematica, che, nel suo preciso
riferirsi alla dottrina paolina dell’uomo interiore teso al superamento dell’uomo
esteriore61, ci lascia intendere come la catarsi eriugeniana non sia più quella
platonica, bensì il perfezionamento della natura umana entro i suoi limiti, i quali
poi saranno trascesi nel perfezionamento della grazia :

« Deinde purgatione prima peracta, oportet animum diuino lumine impleri, quatenus
interiore oculo, ratione dico, puro et casto ad contemplationis habitum et uirtutem
ueluti secundo gradu possit subueni ; postremo renouati et reducti ex imperfectione et
uetustate exterioris hominis in nouitatem et perfectionem interioris, qui ad imaginem

59
Epitaphium Almanni, MGH, PLAC, IV, 3, p. 1030.
60
C. Leonardi, Alcuino e la scuola palatina : le ambizioni di una cultura unitaria, in Nascita
dell’Europa ed Europa carolingia : un’equazione da verificare, Settimane di Studio del Centro Italiano
di Studi sull’Alto Medioevo, XXVII, 2 voll., CISAM, Spoleto 1981, vol. I, pp. 474‑475.
61
Cfr. II Cor 4, 16 ; Ef 3, 16.
58 ernesto sergio mainoldi

et similitudinem dei reformatur, ueluti in consummationem perfectionis sue, in


habitum ipsum incommutabilem scientie diuinorum mysteriorum ascendant »62.

Con una precisione gnoseologica assente in Almanno, il maestro palatino


afferma come in quell’oculus animi — che deve essere purificato — vada intesa
tanto la conoscenza intelligibile quanto la conoscenza razionale :

« Precedit enim in ascensionibus uirtutum actio diuinorum mandatorum, per quam


purgatur interior animi oculus, siue rationabilis siue intellectualis, creature, ut
intimos summi boni radios in omnia diffusos ualeat sustinere, omni uana phantasia
omnique uitiorum caligine liber et absolutus »63.

Significativamente le glosse al Categoriae decem trasmesse dal ms. Milano,


Ambrosiana, B 71 sup. (sec. IX2/2), che secondo la ricostruzione dovuta a John
Marenbon furono prodotte ad Auxerre sotto la supervisione di Eirico64 — dunque
in un ambiente in cui è ben attestata la ricezione dell’insegnamento eriugeniano65
—, il discorso sulla purgatio trova spazio in relazione al teologumeno della
deificatio, allusa nella metafora dell’« aer…lux perfusus », riconducibile al lavoro
di traduzione ed esegesi che Giovanni Scoto aveva dedicato agli Ambigua di
Massimo il Confessore :

« Cum enim purgatur animus cuiuslibet sancti et illuminatur […] Post ut euidentius
elusceat, demum exemplum : aer enim, cum inluminatur a sole, totus uidetur lux
perfusus <†> lucis et nihil discernitur ibi aliud nisi tota lux »66.

Il tema massimiano‑eriugeniano della mescolanza inconfusa delle due differenti


sostanze trova una menzione esplicita anche in una glossa all’Isagoge trasmessa

62
Iohannes Scottus Eriugena, Expositiones in Hierarchiam caelestem, ed. Barbet, CCM 31, p. 64.
63
Ibid., p. 56.
64
Cfr. J. Marenbon, From the Circle of Alcuin to the School of Auxerre, Cambridge University
Press, Cambridge 1981, p. 175. A questo proposito non va dimenticata l’ipotesi di identificazione
del magister E, corrispondente di A. [=Almanno], con Eirico di Auxerre, per cui cfr. Mainoldi, Una
proposta di nuova attribuzione ad Almanno di Hautvillers cit., p. 21 ; Contreni, Three Carolingian Texts
cit., pp. 799-800.
65
Sulla ricezione dell’insegnamento eriugeniano ad Auxerre cfr. É. Jeauneau, Les écoles de Laon
et Auxerre au IXe siècle, in La scuola nell’Occidente latino nell’Alto Medioevo. Settimane di Studio del
Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, XIX, CISAM, Spoleto 1972, pp. 509 ss. ; J. J. O’Meara,
Eriugena’s Immediate Influence, in W. Beierwaltes ed., Eriugena Redivivus. Zur Wirkungsgeschichte
seines Denkens im Mittelalter und im Übergang zur Neuzeit, C. Winter, Heidelberg 1987, pp. 19-24 ;
per l’eriugenismo di Eirico cfr. É. Jeauneau, Dans la sillage de l’Erigène une homélie d’Heiric d’Auxerre
sur le Prologue de Jean, « Studi Medievali », 11, 1970, pp. 937-955.
66
Ed. Marenbon, From the Circle of Alcuin to the School of Auxerre cit., p. 201.
la ricezione di porfirio in età carolingio -ottoniana 59

dal ms. Firenze, BML, Gadd. Plut. LXXXIX sup. 80, dove la metafora incentrata
sul tema dell’atmosfera illuminata dalla luce solare lascia spazio a un’equivalente
versione ‘metallurgica’, destinata ad avere una discreta fortuna anche nei secoli
successivi67 :

« materia]]68 Materia est forma ipsa massa uel substantia. unde est id aliquid quod
est uel unde habet suum esse, sicut et corpus est esse hominis a quibus homo accipit
ut sit, et ipsum aes metallum quod ex terra sumitur rubicundi coloris, non dicitur
secundum terram quod est eius materia, sed secundum aeris figuram, i.e. colorem.
Dicit autem iohannes scotus ferrum de terra tollitur, et lapis calore solutus in aes
conuertitur, ideo autem eius materia est terra uel lapis »69.

La relazione mostrata da John Marenbon tra le glosse auxerresi al Categoriae


decem e l’insegnamento eriugeniano ci consente di elencare un ulteriore luogo
di contiguità tra la materia dialettica porfiriano-boeziana e l’insegnamento di
Giovanni Scoto, anche se questo non dimostra necessariamente che il pensatore
irlandese fosse il tramite diretto di un’eventuale lettura dell’Isagoge ad Auxerre.
Tuttavia una glossa al fol. 41r del ms. B 71 sup., in cui ricorrono i sintagmi
generalissima OUCIA ecc., di chiara derivazione porfiriano-boeziana — dacché
non attestati nel Categoriae decem —, mostra come l’argomento dialettico venga
confermato con argomenti scritturistici, dando vita a un connubio tra speculazione
teologica, esegesi e argomentazioni dialettiche che sarebbe impensabile nella
scuola auxerrese di fine IX sec. a prescindere da Giovanni Scoto :

67
Cfr. E. S. Mainoldi, L’influenza eriugeniana sulla dottrina della beatitudo nel XII secolo, in M.
Bettetini, F. D. Paparella edd., Le felicità nel Medioevo. Atti del XIII Convegno della Società Italiana
per lo Studio del Pensiero Medievale (Milano 12-13 settembre 2003), Féderation Internationale des
Instituts d’Études Médiévales, Louvain‑la‑Neuve 2005, pp. 183 ss.
68
Il passo commentato è il seguente : « Rebus enim ex materia et forma constantibus vel ad
similitudinem proportionem materiae speciei que constitutionem habentibus (quemadmodum statua
ex materia est aeris, forma autem figura), sic et homo communis et specialis ex materia quidem
similiter proportionaliter consistit genere, ex forma autem differentia, totum autem hoc animal
rationale mortale homo est quemadmodum illic statua » (Isagoge sec. translat. quam fecit Boethius,
ed. L. Minio-Paluello, Desclée, Bruges 1966 (Aristoteles Latinus I, 6-7), p. 18, lin. 9.
69
La parte della nota con il riferimento a Eriugena è trascritta nel catalogo dell’Aristoteles Latinus.
Diamo qui il testo completo della glossa secondo la trascrizione di Yukio Iwakuma, che ringrazio per
avermi messo a disposizione il materiale da lui raccolto.
60 ernesto sergio mainoldi

Ed. Marenbon, From the Circle of Alcuin, PP I, 472C :


IIIb, p. 188 :

Prima ocia est simplex ierarchiuum omoni- Num OYCIA in generibus generalissimis et
mum. Secunda, ut homo, deductiuum in generibus generalioribus, in ipsis quoque
omonimum a primo ierarchiuo - - - aug- generibus eorumque speciebus, atque iterum
mentiuum superiorum duorum trionimum. specialissimis speciebus, quae atoma,
Quarta, genus comprehensiuum quadrino- id est individua dicuntur, uniuersaliter
mium trium superiorum. OCYA generalis- proprieque continetur ? A. Nil aliud esse
sima, - - collectiuum omonimum a primo video, in quo naturaliter inesse OYCIA
ierarchico simplici processiuum. Ab hac possit, nisi in generibus et speciebus, a
generalissima usia componamus ordinem summo usque deorsum descendentibus, hoc
analiticum usquc ad simplicissimam usiam. est, a generalissimis usque ad specialissima,
Genus processiuum bionimum ad compara- id est, individua ; seu reciprocatim sursum
tionem generalissima usiae. Animal, quae est versus ab individuis ad generalissima. In his
tertia, intentiuum trionimum. Homo, quae enim veluti naturalibus partibus universalis
quarta, descensiuum trionimum. Iterum OYCIA subsistit.
usia prima simplex continet — inter aliam
ociam — generalissimam ; haec tria, et est PP I, 487B :
prima et nouissima, ut quod nouissima Et hoc generaliter de omni OYCIA sive
prima et omnia in prima et nouissima sine generalissima, sive specialissima, sive media,
distinctione unum in prima quod in nouis- non incongrue quis dixerit.
simaa. Prima simplex in qua omnia creata
fuerunt secundum Euangelium : « Quod
factum est in ipso uita erat »b. Cum autem
apparuerit, ecce iam in gradibus usque ad
generalissimam usiam de simplici producta,
in qua mouentur et sunt omniac.

a
Cfr. Mt 20, 16. b
Io I, 3-4. c
Cfr. Act 17,
28.

Un’altra glossa allo pseudo‑agostiniano Cathegoriae decem, tràdita ancora


dal ms. B 71 sup. (sec. IX2/2), mostra poi come la singolare dottrina eriugeniana
della permanenza ineffabile degli attributi in Dio avesse trovato ricezione
nell’insegnamento dialettico‑teologico auxerrese :

« Queritur cuur singularitas et quur numerus simplex et indiuisibilitas, quod est


athomum, dantur homini cum tactu corporali, qui est uisibilis et dicitur ‘esteta’
et solummodo uiuaciter. In Deo solo comprehunduntur ineffabiliter, unde uocatur
tetragrammaton, quod est ineffabile. Ista accidentia sunt corpori et non reddunt
la ricezione di porfirio in età carolingio -ottoniana 61

eum quod est, nec componunt, sec extra substantiam intelliguntur, et informi
materia sine motu quasi tunc proprie Dei […] »70.

Queste testimonianze sembrerebbero indicare come alcuni elementi


riconducibili all’insegnamento di Giovanni Scoto, iniziassero a circolare e
trovassero un veicolo privilegiato nelle glosse a testi didattici di dialettica
come le Categoriae decem e l’Isagoge. A segnalarsi come ambiente di ricezione e
trasmissione di questa particolare prospettiva teologico‑disciplinare fu la prima
scuola ottoniana, erede e continuatrice del lascito culturale carolingio, in quella
che fu una vera e propria translatio studiorum dalla Gallia alla Germania, sia
attraverso la migrazione di magistri sia attraverso la trasmissione di manoscritti.
Gli studi di dialettica trovarono a loro volta nel contesto ottoniano un’importante
fioritura, in cui la presenza dell’Isagoge e dei due commentari boeziani si sostanzia
di cospicue evidenze codicologiche e testuali71.
Il più antico commentario all’Isagoge in nostro possesso risale proprio a
questo periodo e a questo ambiente scolastico. Esso è dovuto all’irlandese Israele
Grammatico (già noto come Israele Scoto), precettore di Bruno di Colonia (fratello
dell’imperatore Ottone il Grande) e poi stabile a Treviri, con il titolo di vescovo
senza sede. Il commentario dovuto ad Israele, che si firma in traslitterazione greca
come ICPA<HL>72, si presenta come una glossatura continua del testo dell’Isagoge
trasmesso dal ms. Paris, BN, lat. 12949, esemplato nel IX sec. a Corbie73. Ai fini
della nostra analisi è importante rilevare come queste glosse siano essenzialmente
costituite da estratti dei due commentari boeziani all’Isagoge e attestino una
conoscenza certa del Periphyseon da parte del loro autore.
Nella glossa 130, in corrispondenza delle parole di Porfirio che nella traduzione
boeziana suonano :

70
Ed. Marenbon, From the Circle of Alcuin cit., p. 199.
71
Per i codici rimandiamo ancora alla recensio data in apertura del saggio.
72
L’abrasione delle due ultime lettere ha portato a una lunga serie di attribuzioni dovute a diversi
studiosi, che vi hanno letto tra gli altri i nomi di Eriugena e Hucbald (di Saint-Amand), prima di
approdare alla soluzione più coerente con Colette Jeudy, nel saggio Israël le grammairien et la tradition
manuscrite du commentaire de Remi d’Auxerre à l’« Ars minor » de Donat, « Studi medievali », 18,
1977, pp. 185-250 [751-814], pp. 770-771 [204-205], soluzione ripresa e corroborata da É. Jeauneau,
Pour le dossier d’Israël Scot, « Archives d’histoire doctrinal et littéraire du Moyen Age », 60, 1985, pp.
7-72, pp. 16‑17.
73
Per l’edizione delle glosse si veda : Baeumker, von Walterhausen edd., Frühmittelalterliche Glossen
zu des Angeblichen Jepa zur Isagoge des Porphyrius cit. Dal momento che le glosse al Categoriae decem
trasmesse da questo codice sono attribuite espressamente ad Eirico di Auxerre si potrebbe supporre
un nesso tra il lavoro di glossatura di Israele e l’ambiente auxerrese.
62 ernesto sergio mainoldi

« Sed hae quidem quae divisivae sunt differentiae generum, completivae fiunt et
constitutivae specierum »74.

Israele annota a margine : « lege peri physeon »75.


Per quanto sia possibile identificare alcuni passi del dialogo eriugeniano come
plausibile oggetto del rimando di Israele76, l’indicazione potrebbe rimandare in
senso lato al Periphyseon quale trattazione esaustiva del problema della divisione
dialettica77.
Oltre alle glosse all’Isagoge — e alle ulteriori tracce dell’insegnamento
eriugeniano rinvenibili in esse (tracce in realtà abbastanza generiche) — altre e
più sostanziose testimonianze sparse nel lascito letterario di Israele ci mostrano
la sua non occasionale frequentazione dell’opera di Giovanni Scoto, come ben
mostra il dossier raccolto da Édouard Jeauneau78. Ad attirare la nostra attenzione
è in particolare una glossa apposta al commento di Remigio di Auxerre all’Ars
minor di Donato — glossa tuttavia non dovuta a Remigio79 —, nella quale si

74
Isagoge, ed. Minio-Paluello, p. 17.
75
Frühmittelalterliche Glossen, ed. cit., p. 43.
76
« [N.] Et quia de oppositionibus et similitudinibus deque differentiis est dictum, de earundem
reditu atque collectione ea disciplina quam ANALUTIKHN philosophi uocant breuiter dicendum uideo.
A. Hoc quoque ordo poscit. Nulla enim rationabilis diuisio est siue essentiae in genera siue generis in
formas et numeros siue totius in partes (quae proprie partitio nominatur) siue uniuersitatis in ea quae
uera ratio in ipsa contemplatur, quae non iterum possit redigi per eosdem gradus per quos diuisio prius
fuerat multiplicata, donec perueniatur ad illud unum inseparabiliter in seipso manens, ex quo ipsa
diuisio primordium sumpsit. Sed prius de ETUMOLOGIA ipsius nominis quod est ANALUTIKH pauca
edisseras — non enim mihi plane patet — necessarium esse uideo. N. ANALUTIKH a uerbo ANALUW
deriuatur, id est resoluo uel redeo ; ANA enim re, LUW uero soluo interpretatur. Inde etiam nomen
nascitur ANALUCIC, quod in resolutionem uel reditum similiter uertitur. Sed ANALUCIC proprie de
solutione propositarum quaestionum dicitur, ANALUTIKH uero de reditu diuisionis formarum ad
principium eiusdem diuisionis. Omnis enim diuisio, quae a Graecis MERICMOC dicitur, quasi deorsum
descendens ab uno quodam diffinito ad infinitos numeros uidetur, hoc est a generalissimo usque ad
specialissimum, omnis uero recollectio ueluti quidam reditus iterum a specialissimo inchoans et usque
ad generalissimum ascendens ANALUTIKH uocatur. Est igitur reditus et resolutio indiuiduorum in
formas, formarum in genera, generum in OUCIAC, OUCIArum in sapientiam et prudentiam, ex quibus
omnis diuisio oritur in easdemque finitur » (PP III, 526A‑C, ed. Jeauneau, CCM 162, p. 4-5).
77
Per la fortuna dell’insegnamento dialettico di Giovanni Scoto e in particolare del metodo
dialettico della diuisio cfr. G. d’Onofrio, Die Überlieferung der dialektischen Lehre Eriugenas in den
hochmittelalterlichen Schule, in Eriugena Redivivus. Zur Wirkungsgeschichte seines Denkens im
Mittelalter und im Übergang zur Neuzeit cit., pp. 47‑76.
78
Pour le dossier d’Israël Scot cit., pp. 30, 36 et passim.
79
La glossa appartiene a una famiglia di codici del Commentum in cui sono state aggiunte
annotazioni dovute all’insegnamento di Israele, che è cronologicamente successivo a quello di Remigio  :
cfr. Jeudy, Israël le grammairien cit., pp. 188-189.
la ricezione di porfirio in età carolingio -ottoniana 63

rende evidente come Israele insegnasse una dottrina gnoseologica debitrice nei
confronti della me-ontologia e della me-gnoseologia eriugeniane :

« Dicitur autem res secundum Israhelem quicquid sentitur, uel intelligitur, uel
latet. Sentiuntur corporalia, spiritualia intelliguntur, latet uero Deus et informis
materia »80.

Una gerarchia delle facoltà conoscitive affine a quella attribuita da questa


glossa a Israele è riferita da una glossa allo pseudo‑agostiniano Categoriae decem
trasmessa dal medesimo codice in cui Israele ha apposto le sue glosse all’Isagoge,
il parigino latino 12949, al fol. 23bis, nonché dai mss. Avranches, Bibl. mun.,
229, fol. 194r (X sec.) e Cambridge, Corpus Christi College, 206, fol. 24r (X sec.),
in cui, citandosi in modo non letterale la definizione di natura con cui si apre il
Periphyseon, le realtà quae non sunt vengono riferite con il verbo lateo, intendendo
così la loro super‑intelligibilità :

« Natura generale nomen est omnium rerum et earum quae uidentur et quae
mortalibus latent »81.

Focalizzando la nostra attenzione sulle glosse di Israele all’Isagoge, possiamo


verificare come il loro autore — come già Giovanni Scoto — non mostri una
particolare attenzione per le problematiche filosofiche toccate da Porfirio e
sviluppate da Boezio. Come si sottolinea nell’introduzione all’edizione moderna82,
le glosse di Porfirio a Israele non possono essere considerate come un’anticipazione
di alcune delle posizioni emerse successivamente nella querelle degli universali,
dal momento che appaiono rientrare in un contesto speculativo del tutto distante,
come si può constatare considerando la glossa (n. 22 dell’edizione) a commento
del passaggio introduttivo dell’Isagoge in cui si pone il problema dell’esistenza
degli universali : la risposta di Israele ammette una duplice soluzione al quesito
sull’incorporeità/corporeità degli universali a seconda del punto di vista secondo
cui li si considera, dal momento che la sua lettura — come già in Giovanni Scoto

80
Remigii Autissiodorensis in Artem Donati minorem Commentum, ed. W. Fox, Leipzig 1902, p.
11 ; cfr. il commento in Jeauneau, Pour le dossier d’Israël Scot cit., pp. 18‑19.
81
Ed. Marebon, From the Circle of Alcuin cit., p. 186.
82
« Die Universalienfrage als besonderes sachliches Problem wurde im 9. Jahrhundert also noch
nicht diskutiert. Die Glossen, die die Universalien betreffen, werden auch in der übrigen zu ihnen
gehörigen Glossenmasse auf keine Weise hervorgehoben — dies taten erst Cousin und Haureau,
die einseitig nur diese Ausführungen veröffentlichten. In den vorliegenden Isagogeglossen sind die
Notizen über die Universalien sogar erst später einge­fügt worden ; die drei Fragen des Porphyrius
standen eben nicht im Vordergrund des Interesses » (von Walterhausen, Frühmittelalterliche Glossen
zu des Angeblichen Jepa cit., p. 24).
64 ernesto sergio mainoldi

— si inserisce in una visione dell’ordine cosmico in cui il rapporto tra incorporeo


e corporeo e la capacità della dialettica di descriverlo è un dato coerente con
la Rivelazione, che non necessita di essere dimostrato, bensì compreso ed
esplicato :

Porphyrius sec. translationem quam fecit Israel Scottus, Glossae in Porphyrium, edd.
Boethius, Isagoge, ed. L. Minio-Paluello, 1966 C. Baeumker, B. S. von Walterhausen, pp.
(Aristoteles Latinus, I, 6-7), p. 5, r. 10 : 30-31, gl. 22 Frühmittelalterliche Glossen :

Mox de generibus et speciebus illud quidem Prima q(ue)stio est, utrum genera et
sive subsistunt sive in solis nudis puris que speties uere sint. sed sciendum est, quod
intellectibus posita sunt sive subsistentia non esset disputatio de eis, si non uere
corporalia sunt an incorporalia, et subsisterent. nam res omnes que uere sunt
utrum separata an in sensibilibus et sine his esse non possunt, an corporalia
circa ea constantia, dicere recusabo ista sint an incorporalia. quod duobus
(altissimum enim est huiusmodi negotium modis accipitur. nam genus , si in eo quod
et maioris egens inquisitionis) ; illud vero genus sit, non que res natura constet,
quemadmodum de his ac de propositis consideratur, semper incorporale est. […]
probabiliter antiqui tractaverint, et horum cum uero res consid<er>>atur, unde genus
maxime Peripatetici, tibi nunc temptabo et speties dicuntur, q(uan)do corporalium
monstrare. diuisio fit per genera in speties et eorum
propria et differentiae nominatur, hec
sensibili<a> esse, id est corporalia non
dubium est.

Tuttavia una noterella di argomento trinitario, indirizzata da Israele al suo


vescovo Rotberto, prendendo le mosse dal trattato triadologico degli Opuscula
sacra di Boezio83, sembrerebbe mostrare uno sviluppo anticipatore della
terminologia ricorrente nelle posizioni realiste e vocaliste84 :

« Ideoque trinitas Deus, non trinus neque triplex. Nam trinus et triplex nomina
sunt numeri quibus in rebus constat numerabilibus, id est multitudine rerum. […]

83
« Ergo in numero quo numeramus repetitio unitatum facit pluralitatem ; in rerum vero numero
non facit pluralitatem unitatum repetitio, vel si de eodem dicam “gladius unus mucro unus ensis
unus”. Potest enim unus tot vocabulis gladius agnosci ; haec enim unitatum iteratio potius est non
numeratio, velut si ita dicamus “ensis mucro gladius,” repetitio quaedam est eiusdem non numeratio
diversorum, velut si dicam “sol sol sol,” non tres soles effecerim, sed de uno totiens praedicaverim. Non
igitur si de patre ac filio et spiritu sancto tertio praedicatur deus, idcirco trina praedicatio numerum
facit. Hoc enim illis ut dictum est imminet qui inter eos distantiam faciunt meritorum » (Boethius,
Quomodo trinitas unus Deus ac non tres dii, cap. III, in Opuscula Sacra, edd. H. F. Stewart, E. K.
Rand, S. J. Tester, Harvard University Press, Cambridge (MA) - London 1973, p. 14).
84
Sul ruolo della teologia trinitaria in questa disputa cfr. De Libera, La querelle des universaux
cit., p. 127.
la ricezione di porfirio in età carolingio -ottoniana 65

Sicut uerbi gratia, cum dicitur ‘sol, sol, sol’, istae tres unitates, id est tres unius
nominis repetitiones, non faciunt trinam substantiam, nec multiplicant numerum
rei in eo quod ipsa est, licet multiplicatio sit in uoce »85.

Considerato l’apporto delle discussioni grammaticali, il ruolo ispiratore della


problematica teoretica svolto dall’Isagoge e l’innesco teologico‑trinitario della
querelle (emerso soprattutto nell’ambito del confronto tra Anselmo d’Aosta e
Roscellino) si potrebbe ipotizzare che l’iniziale opposizione tra realisti e nominalisti
sottendesse una preoccupazione epistemologica volta a distinguere, nell’intreccio
tra gli ambiti disciplinari propri della grammatica, della dialettica, della filosofia
e della teologia, le ragioni specifiche di ciascuna disciplina, e in primo luogo di
evitare che la riflessione logico‑ontologica avesse delle ricadute teologicamente
eterodosse. Non deve infatti essere sottovalutato che la posizione roscelliniana,
espressione di un particolarismo di scuola86, si scontra con la problematica
ontologico‑trinitaria — impugnata da Anselmo d’Aosta —, ma viene subito
smorzata dallo stesso Roscellino, che rivendica senza eccessive preoccupazioni
la propria ortodossia teologica, sia ricordando il proprio insegnamento romano
sia rinunciando alle conclusioni teologiche del vocalismo, mostrando in ciò di
seguire una prospettiva epistemologica in cui le ragioni della filosofia e quelle
della teologia rimangono distinte87.
Al di là della difficoltà di dare una valutazione complessiva intorno alla posizione
di Roscellino, considerata l’esiguità degli scritti superstiti, possiamo tuttavia
chiederci se questo maestro possa essere considerato come un’espressione liminare
di quella sistemazione metodologica riconducibile alla scuola tardo‑carolingia,
che pur coniugando lo studio delle arti liberali all’esegesi scritturistica e alla
teologia aveva preservato il discorso teologico da una tendenza verso un
modello di esplicabilità razionale e sistematicità prescindente dall’aspetto
mistico‑esperienziale scritturistico ed ecclesiale, che invece le scuole carolingie
e ottoniane avevano mantenuto, eleggendo a fondamento della riflessione il
teologumeno dell’indefinibilità divina.
La serie di glosse teologico‑grammaticali che veniamo dall’esaminare mostrano
come in alcune scuole carolingie e ottoniane si fosse innescato un processo di
rinnovamento delle basi metodologiche del sapere teologico ed esegetico, in cui il

85
Israele ad Rotbertum archiepiscopum, ed. Jeauneau, Pour le dossier d’Israël Scot cit., p. 28.
86
Sulla scuola vocalista, di cui Roscellino sarebbe espressione e le cui origini andrebbero fatte
risalire a un certo Ioannes, attivo verso la fine degli anni Ottanta del Mille, cfr. Y. Iwakuma, ‘Vocales,’
or Early Nominalists, « Traditio », 47, 1992, pp. 40ss.
87
Cfr. G. d’Onofrio, Anselmo e i teologi moderni, in P. Gilbert, H. Kohlenberger, E. Salmann eds.,
Cur Deus homo. Atti del Convegno Anselmiano Internazionale, Centro studi anselmiano, Roma 1999,
pp. 87-146, passim.
66 ernesto sergio mainoldi

paradigma dell’indefinibilità divina, unitamente agli elementi di argomentazione


delle modalità dell’unione al divino hanno giocato a favore del delineamento di una
teologia mistica in grado di avvalersi dell’ausilio argomentativo ed esemplificativo
delle arti liberali, senza che questo destasse particolari problemi apologetici,
essendo chiaro il ruolo allegorico‑traslativo della razionalità nel riferimento al
discorso teologico. Entro tale prospettiva di sapere la visione del mondo ispirata
dalla Rivelazione trovò esplicazione argomentativa mediante l’ausilio delle arti
liberali, considerate come mezzo di purificazione della razionalità finalizzata
all’intellezione e alla super-intellezione delle realtà ultime, e mai come mezzo
autonomo di dimostrazione dei contenuti super‑intelligibili della Rivelazione.
Le formulazioni incontrate — dalla locuzione almanniana « platonicus oculus »,
ai riferimenti alle dottrine platoniche in Giovanni Scoto88 — ci fanno comprendere
come il confronto con la filosofia pre‑cristiana tra i carolingi non poté dare vita
a una ricezione di fondo, non tanto per la mancanza di una biblioteca di testi
filosofici antichi, quanto per la salda consapevolezza, anche tra gli autori meno adusi
all’apologetica, della divergenza paradigmatica tra i problemi della filosofia antica
e i problemi speculativi comportati dalla Rivelazione, senza che ciò nulla togliesse
alla validità metodologica dell’investigazione razionale e del confronto dottrinale
nel concorrere alla comprensione della uisio mundi dettata dalle Sacre Scritture.
La tarda scuola carolingia e il suo Fortleben ottoniano arrivarono a una
sistemazione della filosofia nel contesto generale del sapere rivelato in cui si trovava
ribadito il topos patristico che voleva la filosofia essere una conoscenza legittima,
scoperta e utilizzata — ma non inventata — dai filosofi gentili ante gratiam. Ci
sembra tuttavia che la novità di questa scuola sia da identificare nella soluzione
epistemologica raggiunta, nella quale riluce il preponderante contributo di Giovanni
Scoto, per cui sapere teologico e sapere filosofico trovarono una concordia capace
di dismettere quelle asperità apologetiche che ancora si leggevano negli autori
della generazione precedente, ad esempio in Pascasio Radberto89 o in Rabano
Mauro90, e saranno destinate a tornare in auge tra i cosiddetti antidialettici un

88
« Solum tamen hominem ad imaginem dei factum manifeste diuina perhibet scriptura. De
Platone sileo, ne uidear sectam illius sequi, qui diffinit angelos esse animalia rationabilia immortalia »
(PP III, 732D, ed. Jeauneau, CCM 163, p. 163) ; « …quamuis Plato angelum diffiniat animal rationale
et immortale. Sed quod auctoritate sanctae scripturae sanctorumque patrum probare non possumus,
inter certas naturarum speculationes (quoniam temerarium est) recipere non debemus » (PP IV, 762B,
ed. Jeauneau, CCM 164, p. 31). Sulla ricezione di Platone in Giovanni Scoto cfr. E. S. Mainoldi, « Plato
vero, philosophorum summus ». Indagine sulla ricezione di Platone in Giovanni Scoto, in Princeps
philosophorum, pater philosophiae. Platone nell’Occidente tardo-antico, medievale e umanistico.
Convegno di Studi del dottorato Fitmu, Fisciano (SA), 12-13 luglio 2010, in stampa.
89
Cfr. supra nota 7.
90
Cfr. R. Savigni, « Sapientia divina » e « sapientia humana » in Rabano Mauro e Pascasio Radberto,
in Gli umanesimi medievali, SISMEL - Edizioni del Galluzzo, Firenze 1998, pp. 604-605.
la ricezione di porfirio in età carolingio -ottoniana 67

secolo dopo, allorché la soluzione carolingio-ottoniana mostrò di essere arrivata


a un’eclissi definitiva.
La concordia che attesta l’assimilazione alto-medievale dell’eredità filosofica
antica riluce ancora dai versi di un autore ottoniano vissuto alla fine del X sec.,
Walther di Spira, ricordato dalle fonti con l’epiteto di Scholasticus, nei quali Porfirio
è menzionato come maestro dell’antico sapere filosofico, sullo sfondo dell’immagine
della veste di Filosofia con cui Boezio apre la sua Consolatio (I, 1) :

« Inde ubi maiorum tetigit nos cura ciborum,


Porphirius claras nobis reseravit Athenas,
Qua multi indigenae librabant verba sophistae.
Cernere erat quandam vultu pollente puellam,
Practica cui limbum pinxitque Qeorica peplum »91.

La crisi di questa concordia di sapere, inquadrata sullo sfondo della sua


peculiarità epistemologica e non come conseguenza di una presunta evoluzione
dei suoi principi metodologici, può essere posta al centro di un’indagine
storiografica che si proponga di fare luce sul rapporto tra la ricezione di Porfirio
nelle scuole carolingie e ottoniane e il ruolo giocato dall’Isagoge (e — in senso
lato — dalle problematiche ontologiche e metodologiche ad essa soggiacenti)
nelle querelles dell’XI secolo, che modificheranno in modo decisivo il rapporto
tra filosofia e teologia, quale si era configurato per tutto l’alto‑medioevo fino al
X sec. Dalla contrapposizione tra dialettici e anti-dialettici alla polemica tra
reales e uocales/nominales, nel cui contesto si cala la disputa sopra menzionata
tra Roscellino e Anselmo, emerge l’affermarsi in teologia di una ratio dialettica,
e del suo conseguente necessitarismo argomentativo, basata su una concezione
affermativa e apodittica degli strumenti della conoscenza, a scapito dei princìpi
dell’ineffabilismo e dell’apofatismo teologico, che aveva fatto breccia nelle scuole
carolingie ed ottoniane, dietro l’influenza dell’insegnamento eriugeniano.
Questi princìpi, che promossero una concezione traslativa degli strumenti
del triuium, riconducibile in ultima istanza a una concezione simbolista della
conoscenza e del linguaggio in rapporto all’oggetto dell’indagine teologica,
costituisce, a nostro avviso, una valida spiegazione del motivo per cui la ricezione
di Porfirio venne confinata in epoca carolingia e ottoniana entro i limiti di un
interesse metodologico, attento e approfondito, ma non disposto a rimettere
in questione — riaprendo il vaso di Pandora che l’Isagoge presentava sigillato
— l’ordinamento della realtà e la sua leggibilità alla luce della Rivelazione che la
tradizione patristica e monastica tardo‑antica aveva consegnato agli autori alto-

91
Libellus de studio poetae, qui et scolasticus, MGH, PLMA, V, p. 20.
68 ernesto sergio mainoldi

medievali, cedendo il passo alle aporie ontologiche e linguistiche che le tradizioni


filosofiche tardo‑antiche avevano lasciato dietro di sé.
L’XI secolo, segnato dalla decadenza del monachesimo, dallo scontro tra impero
e papato — che essenzialmente originava da una crisi dell’ecclesiologia fino ad
allora invalsa —, e, non da ultimo, dalla rottura dell’unità della cristianità, doveva
aprire una crisi culturale epocale, la cui soluzione segnò il definitivo tramonto
del modello del sapere alto-medievale, che le rinascite carolingie ed ottoniana
avevano saputo interpretare non solo in una chiusura conservatrice, ma anche
in un confronto con il sapere antico, in particolare quello neoplatonico, che
condusse a una sua reinterpretazione in chiave cristiana.
Le diverse ricezioni della materia filosofica veicolata dall’Isagoge porfiriana, tra
IX-X secolo, prima, e XI secolo, poi, mostrano precisamente la discontinuità tra
i due paradigmi filosofico-religiosi con i quali detta materia ha avuto occasione
di incontro.

Abstract

Through the identification of a possible, yet unnoticed, quotation in Periphyseon V from


Boethius’ Second commentary on Porphyry’s Isagoge, a role by John Scottus Eriugena in
the diffusion of porphyrian dialectical teaching in the late Carolingian Renaissance and
Ottonian period is hypothesized. Nevertheless, the analysis of Eriugena’s paradigmatic
approach to theological matter shows how the Irish master’s purpose focuses on the
surpassing of dialectical-ontological domain in order to justify the resurrection of the bodies
and the eschatological adunatio in Deo. Even if based on late antique dialectical knowledge,
Eriugena’s debt toward Neoplatonic thinking is consequently limited to the exploitation
of dialectical and ontological arguments, whereas his principal goal is to understand the
dynamics of processio and reditus beyond natures, i.e. beyond the limits of ontology. The
solution reached by John Scottus depicts the subsistence of individual differences even in
eschatological unity, granted by the permanence of attributes. These results demonstrate
that Eriugena cannot be considered a precursor of the disputes between realists and
nominalist risen in the 11th century. The influence by John Scottus on the teaching of
dialectics in the late Carolingian and Ottonian period is also investigated, showing how
his mastership influenced not only the scholarly apprenticing of this discipline, but also
spread his meontological vision among theologians.

Ernesto Sergio Mainoldi, Fondazione Ezio Franceschini, Firenze


emainoldi@tiscali.it

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