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CANTO 16

Siamo nella terza cornice degli racconti caratterizzata da una nube spessa di fumo nero che avvolge i
penitenti gli iracondi sono coloro che in vita hanno ceduto con accesso agli istinti dell'ira così per
contrappasso ora sono avvolti da un fumo denso come la notte oscura che li soffoca.
Allora, questo è un canto molto importante soprattutto per l'argomento del libero arbitrio che Dante userà
per dare addosso di nuovo al comportamento errato della chiesa di rivolgere la sua attenzione ai beni
materiali e soprattutto nella persona del Papa, cioè di Bonifacio ottavo. Dante userà un personaggio per fare
tutto questo discorso e cioè Marco lombardo, di lui non abbiamo grandi notizie se non che fu un cortigiano
delle corti lombarde, un uomo di mondo uomo con delle virtù abbastanza forti ed evidentemente anche
dedito all'ira in quanto qui siamo nella terza cornice dove sono puniti gli iracondi. Dante Virgilio, nel canto
precedente, venivano avvolti da un fumo denso nero e il sedicesimo canto inizia proprio in questo modo, con
Dante che ci dice che questo fumo sembra una notte senza stelle, una notte d'inferno senza stelle e non solo,
non riesce a vedere perché il fumo gli dà anche fastidio agli occhi quindi Dante deve tenere gli occhi chiusi.
Virgilio si accorge di questa cosa e si avvicina a Dante dandogli il braccio, dandogli l'òmero per poterlo
scortare, Dante si accosta a lui come un cieco che viene guidato. Il contrappasso è abbastanza evidente, come
in vita gli iracondi si sono lasciati accecare dal fumo dell'ira, qui vengono puniti stando dentro questo fumo
dove non possono vedere niente, un fumo che gli irrita anche gli occhi, a questo punto c'è un'altra metafora
abbastanza forte cioè il fatto che Dante si avvicini a Virgilio per poter uscire da questo da questo fumo e
come a dire che ci vuole la ragione per poter superare l’ira. Dante e Virgilio, mentre camminano in questo
modo, ragionano e parlano di queste cose e a un certo punto Dante sente delle anime che cantano l'agnello di
Dio, lo cantano tutti insieme e chiede a Virgilio chi sono questi spiriti e a questo. Virgilio risponde che sono
gli spiriti degli iracondi e quindi presenta a Dante che tipo di spiriti sta per incontrare e mentre parla uno di
questi spiriti gli si avvicina, sente soltanto la voce, non lo vede e gli chiede chi sono, chi è lui che sembra
camminare con il corpo da vivo nel loro fumo e sembra che divida il tempo per calende, cioè come è solito
fare ai vivi, quindi sostanzialmente gli chiede chi è e perché attraversa questa cornice. Virgilio dice a Dante
rispondigli e chiedergli soprattutto se stessero andando nella direzione giusta per poter trovare la strada per
salire alla cornice successiva. Dante risponde a quest'anima dicendogli che se l’avesse seguito, avrebbe
appreso delle cose strabilianti, Marco lombardo lo segue allora. Dice “verrò con te e anche se non ci
vediamo, il suono delle nostre voci ci terrà vicini”. A questo punto Dante racconta la storia che lui è vivo, che
questo viaggio che sta facendo è voluto da Dio, che vuole mostrargli tutte e tre i regni ultraterreni: inferno,
purgatorio e paradiso. Quindi gli dice che quando tornerà in terra, se gli rivela la sua identità, Dante pregherà
per lui, così Marco lombardo risponde dicendogli di chiamarsi Marco lombardo, che fu un cortigiano e visse
nel periodo in cui erano ancora vivi i valori cortesi e quindi dice a Dante di prega per lui quando tornerà
dall’altra parte, come spesso fanno le anime in purgatorio. Dante continuando a camminare ha un dubbio e
dice a Marco lombardo che già aveva dei dubbi prima, adesso questo che lui ha confermato il suo pensiero,
cioè che i valori cortesi non ci sono più, questo dubbio sia ancora rafforzato. Chiede a Marco lombardo se
questa decadenza morale del mondo di oggi, il fatto che non ci siano più questi valori cortesi, che invece
c'erano ai tuoi tempi, dipende dall'uomo o dal cielo, è volontà divina, volontà del cielo, dell'influsso delle
stelle oppure siamo noi uomini. Marco lombardo risponde con un sospiro, dicendo che il mondo è un posto
di ciechi e Che Dante sembra proprio venire da lì per la domanda che gli ha fatto, e comincia dicendo Marco
lombardo che alcune cose che succedono sulla terra hanno l'influsso iniziale del cielo, delle stelle; ma non
tutte e soprattutto spetta all'uomo decidere come agire perché l'uomo ha il libero arbitrio “vv. 73-76 Lo cielo
i vostri movimenti inizia; non dico tutti, ma, posto ch'i''l dica, lume v'è dato a bene e a malizia, e libero
voler;”. Se non ci fosse il libero arbitrio sarebbe inutile punire chi sbaglia e premiare chi invece fa bene, è
proprio il libero arbitrio che avete voi umani e che usate malamente in questo periodo che sta portando alla
rovina e continua Marco lombardo dicendo che l'uomo, quando viene creato da Dio, tende a ritornare a ciò
che gli dà piacere, tende a cercare ciò che gli dà piacere e spesso si perde e rincorre i beni materiali in modo
sbagliato piuttosto che quelli spirituali; ci dovrebbero essere delle leggi che regolano il comportamento di
queste anime, attualmente le leggi ci sono ma non c'è chi le fa rispettare in quanto il Papa che dovrebbe
occuparsi esclusivamente dei beni spirituali, invece corre dietro i beni materiali dando il cattivo esempio alla
gente che lo segue. E poi continua Marco lombardo dicendo che prima l’Impero romano aveva due soli: il
sole dell'impero e del papato, e questi due soli illuminavano le due giuste strade, cioè la strada del potere
temporale e la strada del potere spirituale. da quando il Papa ha fatto guerra all'imperatore e ha unito la spada
e il pastorale questa situazione non c'è più, c'è molta confusione e il mondo sta vivendo un decadimento
morale soprattutto per colpa del comportamento del Papa. Dante attacca frontalmente di nuovo la chiesa di
nuovo Bonifacio ottavo, accusandolo di correre troppo dietro al potere temporale, di preoccuparsi troppo del
potere temporale, è molto significativa la frase “ha unito la spada con il pastorale”, è per questo che c'è un
decadimento morale.
Marco lombardo continua stringendo un po’ il discorso nella sua della sua terra, nella sua Lombardia. Finché
c'era Federico II a governare le cose andavano bene, c'erano i valori cortesi che ancora venivano rispettati,
che ancora esistevano, mentre da quando il Papa ha fatto guerra all'imperatore la Corte di Federico II non c'è
più e le cose sono andate sempre peggio, tant'è che adesso se un malintenzionato vuole passare per quelle
terre non incontra nessun buono di spirito pronto a contrastarlo, sono rimaste soltanto tre persone che ancora
tengono ai valori cortesi, ai giusti valori morali: Corrado da Palazzo, il buon Gherardo da Camino e
Guido da Castello, di queste persone non abbiamo grandi notizie. Gherardo da camino era capitano generale
di Treviso, era un uomo retto e valoroso per questo viene chiamato il buon Gherardo e fu protettore di
letterati ed artisti e pare che sia stato conosciuto da Dante personalmente. Corrado da Palazzo fu vicario di
Carlo I d'angiò, i commentatori antichi esaltano le sue doti di liberalità e le sue virtù cavalleresche. Di Guido
da Castello si hanno poche notizie, forse fu ghibellino ed esule a Verona dove Dante può averlo conosciuto,
Dante ne parla anche nell’opera del convivio. Dante ringrazia Marco lombardo e gli dice che ha capito
perfettamente la sua spiegazione e chiede chi sia il buon gherardo perché è un nome che lo incuriosisce,
Marco lombardo risponde che essendo toscano lo dovrebbe conoscere, se mi fa una domanda del genere o lo
stai prendendo in giro o gli vuoi far dire qualcos'altro questo perché questo buon gherardo nonostante fosse
lombardo, aveva dei rapporti stretti con Corso Donati col suo donati, un nobile fiorentino che Dante
conosceva bene, comunque sia Marco lombardo risponde dicendogli che non lo conosce, sa soltanto che ha
una figlia che si chiama Gaia. A questo punto Marco lombardo vede da lontano la luce dell’Angelo che
presiede questa cornice quindi capisce che sta per uscire dal fumo e dice di non poter andare oltre, quindi si
gira e va via e così finisce questo sedicesimo
Marco lombardo
e molto difficile l'esatta identificazione di questo personaggio. Gli antichi commentatori erano concordi nel
ritenere che si trattasse di un certo Marco, nato in Lombardia (allora comprendente quasi tutta l'Italia
settentrionale compresa la marca veronese e trevigiana), vissuto nella seconda metà del tredicesimo secolo,
uomo di Corte colto e Valente. “Lombardo fui, e fu chiamato Marco” starebbe perciò significare l'origine
geografica piuttosto che un cognome vero e proprio. Secondo le cronache del tempo, e egli fu noto per la sua
dignitosa povertà e per la sua indipendenza nei confronti dei signori per i quali lavorava. I commentatori più
moderni invece, ritengono questo personaggio come un appartenente alla famiglia lombardo di Venezia.
Tuttavia, non si ha alcuna certezza concreta.
Dante incontra Marco lombardo fra gli iracondi puniti nella terza cornice del purgatorio e con lui darà luogo
a un'importante discussione sul libero arbitrio e sulla responsabilità personale. Molti studiosi si sono
domandati perché Dante avesse scelto un personaggio del quale poco si conosceva e, certamente non famoso,
per affrontare questi temi, tuttavia essi sono giunti alla conclusione che ciò che è a Dante piacque
sottolineare fu il valore, nobiltà d'animo e la rettitudine di Marco lombardo. Dante, probabilmente, senti
un'affinità spirituale con questo personaggio con il quale condivideva anche la condizione di uomo di Corte.
Se Marco infatti fu uomo di Corte vero e proprio, Dante, costretto dall’esilio, dovette anch’egli peregrinare
da una Corte all'altra vivendo grazie all' ospitalità altrui, provando, come non bardo, il fastidio di doversi
umiliare davanti ai signori. A questo degno personaggio, dunque, Dante chiede spiegazioni circa la causa
della corruzione del mondo, attribuita da alcuni agli influssi celesti e da altri invece, alla natura degli uomini.
La risposta di Marco cerca di conciliare la teoria medievale, che credeva alle influenze dei cieli, e le ragioni
della fede cristiana che invece, credeva nella libertà e nella responsabilità di ciascuno di fronte alle proprie
azioni.

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