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DIRITTO PRIVATO COMPARATO – istituti e problemi

1. Comparazione giuridica e unificazione del diritto - M.J.Bonell

Il crescente fenomeno della internazionalizzazione e della globalizzazione rendono di


particolare interesse, soprattutto sul versante pratico, discipline, quali il diritto
uniforme e quello comparato.
Il diritto privato comparato in particolare si propone di individuare e spiegare sia le
concordanze che le divergenze formali e sostanziali riscontrabili tra i vari diritti nazionali, e
crea inoltre le premesse per un linguaggio e un sistema di comunicazione transnazionali
tra i giuristi.
Il diritto uniforme propone una normativa comune al fine di superare i contrasti esistenti tra
le varie esperienze giuridiche nazionali.
Il rapporto intercorrente tra unificazione (diritto uniforme) e comparazione (diritto
privato comparato) è di tipo internazionale: gli apporti che la comparazione fornisce
sono spesso utili nelle formulazioni di soluzioni uniformi, per cui non sussiste
alcuna incompatibilità.
Il movimento di unificazione internazionale del diritto prende e l’avvio sul finire del
diciannovesimo secolo, in concomitanza con la conclusione delle grandi codificazioni
nazionali. In questo contesto si registra il passaggio definitivo da un’economia agricola
ad una industriale, si intensificano gli scambi commerciali al di là delle frontiere
nazionali. I singoli diritti nazionali sono tuttavia tra di loro in conflitto, non solo
formalmente, ma anche nei contenuti ponendo così un notevole ostacolo allo
svolgimento degli affari.
In ragione di una simile situazione si tenta di tornare ad una uniformità a livello
internazionale: i primi tentativi furono attuati nel settore delle creazioni intellettuali, a
tutela della proprietà industriale e sulla protezione delle opere letterarie e artistiche, in
questi settori era particolarmente avvertita infatti l’esigenza di evitare che a causa
delle differenze esistenti tra le varie discipline nazionali il titolare di un diritto di
esclusiva restasse senza protezione al di fuori del confine del paese di origine.
A queste susseguirono iniziative riguardanti svariate materie: trasporto ferroviario,
navigazione marittima, diritto di famiglia, tutela degli incapaci, assistenza giudiziaria
internazionale. Nel quadro di entusiasta ottimismo della belle epoque si profilò in alcuni
persino l’idea di un codice universale, tuttavia simili proposte sin troppo utopistiche
furono travolte dallo scoppio delle guerre mondiali.
A seguito di questi eventi la cesura tra gli ordinamenti si fece sempre più marcata:
profonde diversità tra paesi occidentali e socialisti circa la regolamentazione interna dei
rapporti economici e sociali fecero si che il tentativo di unificazione in tali materie fosse
circoscritto ai rapporti internazionali; inoltre l’acquisizione da parte dei paesi del Terzo
mondo di un maggiore potere contrattuale in seno alla comunità internazionale portò
ad una accresciuta attenzione verso le esigenze e gli interessi di questi paesi, comincia a
delinearsi quella volontà di un nuovo ordine economico internazionale, adeguato al
nuovo contesto storico e capace di rispondere a valori ed esigenze del mutato
equilibrio storico-politico.
Un esempio può essere dato dalle vicende che hanno caratterizzato la regolamentazione
della vendita internazionale di cose mobili. Nel 1929 Ernst Rabel propose al consiglio di
direzione dell’UNIDROIT di intraprendere i necessari studi preparatori in vista
dell’elaborazione di una legge uniforme riguardante la vendita di beni mobili. Le scelte di
fondo della normativa uniforme, quali la delimitazione del suo oggetto alla sola
vendita cd internazionale erano dettate da ragioni
di carattere tecnico: vi erano profonde differenze strutturali tra le operazioni di
importazione e esportazione di merci da un paese all’altro e le normali
compravendite, i diritti nazionali concepiti in funzione delle compravendite locali si
mostravano inadeguati rispetto ai problemi sollevati in caso di scambi internazionali.
Persino nella conferenza dell’Aja del 64 si discusse sul come riuscire a superare le
divergenze che in ordine a tutta una serie di aspetti particolari dividevano i paesi di
tradizione continentaleuropea da quelli anglosassoni, concludendosi con l’approvazione
da parte di una trentina di stati di due leggi uniformi in materia. Il quadro mutò nel 68: le
due leggi riportarono un limitato successo, si optò dunque per una revisione delle
stesse ad opera della UNCITRAL, con attiva partecipazione anche dei paesi socialisti e
di quelli del terzo mondo. In quella sede, al di là dei problemi di civil law e common law,
si tentò di sciogliere anche una serie di nodi politici quali il principio della libertà di
forma o la necessità di determinazione del prezzo ai fini della valida conclusione
del contratto, la rilevanza degli usi, i termini per la denuncia della cosa.
Alle soglie del duemila peraltro il quadro appare differente a seguito degli eventi
registratisi: il crollo dei regimi socialisti, il tramonto nella stessa Cina del monopolio e
dirigismo statale nell’economia sono fattori che hanno sicuramente attutito il divario con
l’occidente. In questo senso può dirsi che sia in atto una unificazione,
un’armonizzazione spontanea. Diversa è invece la situazione circa i rapporti nord-sud: il
divario tra paesi industrializzati occidentali e quelli del Terzo mondo tende ad aumentare,
anziché diminuire. L’unificazione del diritto può essere attuata attraverso differenti
tecniche:
• Unificazione legislativa;
• Unificazione giurisprudenziale;
• Unificazione contrattuale;
• Unificazione dottrinale

Unificazione legislativa
L’unificazione avviene sul piano legislativo, attraverso convenzioni e leggi uniformi. Si
tratta, ancora oggi della forma più diffusa di unificazione. Accanto al diritto uniforme cd
convenzionale assume importanza rilevante il cd diritto uniforme sovranazionale. Il primo è
approvato con un vero e proprio trattato di diritto internazionale e successivamente
incorporato dagli stati aderenti a seconda dei casi con legge ordinaria o semplice
ordine di esecuzione; il secondo invece promana da un’autorità sovranazionale cui
gli Stati trasferiscono parte delle prerogative sovrane. Esempio tipico è il diritto
comunitario nelle sue due fonti del regolamento e della direttiva.

Unificazione giurisprudenziale
L’unificazione legislativa rappresenta solo la prima fase del procedimento di
unificazione: per la completa realizzazione di questo occorre che la disciplina uniforme,
una volta introdotta nei singoli ordinamenti riceva interpretazione e applicazione uniforme
ad opera dei giudici o degli arbitri. In ragione di ciò un tribunale internazionale
decide in via preliminare le questioni relative all’interpretazione dei singoli prodotti del
diritto uniforme, imponendo ai giudici nazionali di sospendere la decisione fino alla sua
sentenza e poi conformarvisi. Nell’ambito dell’UE tale compito spetta alla Corte di
giustizia. Le pronunce date da tale corte spesso non sono
vincolanti solo nei confronti del giudice de quo, l’interpretazione data finisce infatti per
farsi sentire ben oltre il singolo caso concreto: qualsiasi giudice nazionale posto di
fronte allo stesso problema interpretativo dovrà seguire la precedente pronuncia, a
meno che non intenda nuovamente rimettere la questione alla corte. Peraltro appare di
essenziale importanza il modo in cui la stessa Corte ha esercitato le proprie prerogative:
si pensi all’interpretazione della Convenzione di Bruxelles sulla competenza
giurisprudenziale e l’esecuzione delle sentenze, la corte non si è soffermata sul solo
significato letterale e grammaticale del testo, ma ha avuto riguardo agli obiettivi perseguiti
dalle singole disposizioni, rappresentando in tal modo una novità per quei paesi di
common law, dove anche i giudici nazionali hanno cominciato ad assumere un simile
atteggiamento. La corte inoltre svolge un importante ruolo nel chiarire ed integrare
il contenuto della Convenzione, essa ha sviluppato, nelle decisioni sin’ora prese una
serie di importanti principi che dovrebbero presiedere al l ’ interpretazione del la
disciplina convenzionale. Centrale è dunque il ruolo dei giudici nazionali: questi, investiti
di una questione riguardante un determinato testo di diritto uniforme, devono tener conto
delle soluzioni elaborate fino a quel momento dagli stati contraenti , se si è già
formato un indirizzo giurisprudenziale, questo può essere accettato come una sorta di
precedente vincolante. Un simile approccio tuttavia incontra notevoli difficoltà dovute alla
insufficiente diffusione delle decisioni relative alle varie convenzioni e leggi uniformi in
vigore. Alcuni organismi internazionali (Ufficio intern. del lavoro, ufficio intern. per la
protezione della proprietà intellettuale) provvedono alla raccolta delle sentenze
emanate negli Stati contraenti in ordine alla normativa uniforme, UNIDROIT e l
’Asser Institute del l ’Aja pubblicano periodicamente selezioni di decisioni rese per
l’applicazione delle più importanti convenzioni. Di particolare importanza appare il
contributo che in tal senso possono offrire gli strumenti informatici e di comunicazione
elettronica: si pensi all’UNILEX, una banca dati creata e aggiornata continuamente dal
centro studi e ricerche di diritto comparato e straniero in Roma.
Finora il metodo appare limitato alla convenzione di Vienna sulla vendita
internazionale, ma può essere esteso anche ad altri strumenti normativi. Esso offre
all’utente un sistema intelligente di ricerca della giurisprudenza statale e arbitrale dei vari
stati.

Unificazione contrattuale
Essa si attua attraverso l’impiego di strumenti negoziali largamente diffusi a livello
internazionale in occasione delle singole operazioni tipiche del commercio internazionale.
Il settore commerciale ed economico è sempre apparso fervido sul piano della produzione
legislativa: in risposta all’inadeguatezza dei diritti tradizionali, sin dal diciannovesimo
secolo, gli stessi ambienti economici interessati avevano cominciato a sostituirsi al
legislatore dando vita a clausole standard, condizioni generali, contratti-tipo, insomma
ad una serie di regole oggettive del commercio internazionale. Queste erano in gran
parte espressione di imprese, associazioni di categoria o borese merci operanti in
Europa e America del Nord, il loro contenuto dunque rifletteva i concetti e i principi dei
rispettivi paesi d’origine, ma non solo, spesso contenevano clausole compromissorie,
per cui le controversie insorte tra le parti erano di competenza esclusiva di
organismi arbitrali istituiti a tal fine presso le stesse associazioni o borse. Per ovviare a
questo stato di cose, alcuni organismi internazionali neutrali hanno preso l’iniziativa di
elaborare strumenti contrattuali autenticamente internazionali, senza cioè legami con
istituti e concetti propri di questo o quel sistema giuridico.

Unificazione dottrinale
Importante contributo è poi recato dalla dottrina, in particolare per ciò che attiene
all’interpretazione. Esempi di unificazione legislativa ad opera della scienza sono:
° Restatements of the Law – vengono redatti a cura dell’american Law institute.
L’obiettivo è quello di esporre in maniera sistematica lo stato del diritto
nordamericano nelle materie tradizionalmente di competenza del common law
nell’ambito dei singoli stati dell’unione.
° Principi di diritto europeo dei contratti – si propone l’elaborazione di principi e di
regole in materia di contratti in generali comuni a tutti gli stati membri. A tal fine è
stata costituita un’apposita commissione per il diritto europeo deicontratti. I Principi
europei, una volta ultimati dovrebbero costituire uno strumento valido per assicurare
una maggiore uniformità e coerenza sistematica nell’elaborazione e interpretazione
dei singoli provvedimenti di diritto comunitario.
°Principi dei contratti commerciali internazionali – iniziativa dell’UNIDROIT,
rappresentano una sorta di codice del diritto dei contratti a vocazione universale, inteso a
rispecchiare tutti i principali sistemi giuridici del mondo e a soddisfare le esigenze dei
rapporti commerciali Est-Ovest non meno che Nord-Sud. Nella loro versione definitiva,
il cui ambito di applicazione è circoscritto ai contratti commerciali internazionali, i
Principi UNIDROIT si compongono di unpreambolo e 119 articoli divisi in sette
capitoli (validità, interpretazione, contenuto, adempimento, inadempimento). Essi hanno
ricevuto una favorevole accoglienza: in una serie di Paesi sono stati scelti in tutto o in
parte come modello per la riforma della legislazione interna in materia di contratti.
Per quanto concerne la circolazione dei modelli di unificazione legislativa può dirsi
che una prima ipotesi è sicuramente data dalla trasfusione di modelli dagli ordinamenti
nazionali, verso la disciplina del diritto uniforme, altra ipotesi è rappresentata dal caso
contrario, cioè dall’imitazione a livello interno di soluzioni adottate in sede
sovranazionale. Può parlarsi di circolazione formale o palese e circolazione informale
o non dichiarata dai modelli. La prima ipotesi si verifica in occasione di ogni iniziativa di
unificazione del diritto a livello legislativo; la seconda si ha invece quando si colloca
in una fase successiva all’emanazione della legge uniforme, ad opera ad esempio
della dottrina o della giurisprudenza.

2. Lineamenti di diritto contrattuale – G.Alpa

È possibile ravvisare delle radici comuni al diritto contrattuale dei diversi modelli
normativi nel diritto romano giustinianeo. Si tratta comunque di una opinione che
solo parzialmente corrisponde alla verità storica. La teoria generale del contratto infatti è
stata sviluppata sopratttutto per merito della pandettistica, la quale è andata molto più in là
delle fonti romane, costruendo la categoria generale di rapporto giuridico, di dichiarazione
e di negozio giuridico.
Opinione altresì poco fondata è quella che vede la disciplina del contratto nei diversi
ordinamenti basata su valori comuni: se da un lato è possibile, intendendo il contratto
come operazione economica, riscontrare valori comuni intesi a dare valore al consenso,
alla libertà di contrarre o all’esigenza di conservare l’operazione economica, è altrettanto
vero che in alcune esperienze si enfatizzano o si sottolineano valori come ad
esempio il valore della persona, che in altre esperienze non sono tutelati in materia
contrattuale.
I processi di unificazione e armonizzazione della disciplina del contratto pertanto
non si realizzano in ragione di asserite radici comuni né sotto una fittizia trama di
valori comuni, ma attraverso propositi pratici ed economici che animano i giuristi nel
tentativo di agevolare gli scambi di beni, servizi e capitali.
Si è soliti muovere dalla formula contenuta nel code Napoléon per il quale il contratto è
una convenzione in virtù della quale una o più persone si obbligano nei confronti di
una o più altre a dare, fare o a non fare qualcosa.
L’espressione convenzione è generica, la formula menzionata potrebbe dunque
sembrare una tautologia se si arrestasse alla qualificazione del contratto come
convenzione. Esso è inoltre definito come atto giuridico, che si qualifica per il fatto che gli
effetti prodotti da esso prodotti derivano da un atto di volontà.
Nella definizione del contratto la dottrina francese cerca di dare la risposta a due
essenziali interrogativi: da dove discende il potere delle parti di vincolarsi e che tipo di
effetti e quali sono gli effetti che il contratto produce.
Per ciò che riguarda il primo interrogativo deve essere detto che è l’accordo di
volontà, ciò da cui discende il potere di vincolarsi. Esso vincola le parti in quanto sia
socialmente utile, persegua cioè uno scopo ritenuto meritevole dalla legge e in quanto
sia giusto. L’accordo delle volontà è l’elemento qualificante del contratto, è la procedura
che porta agli effetti giuridici, perciò è necessario che le volontà siano manifestate
sabbene non sia necessaria una trattativa, una negoziazione. Ma a qualificare un
contratto non è sufficiente il mero accordo di volontà, è altresì necessario che questo
produca effetti giuridici. Gli accordi morali non sono giuridicamente vincolanti, dunque
non sono azionabili in giudizio.
La definizione che ne deriva tuttavia si attaglia perfettamente ai contratti
sinallagmatici, ma non alle donazioni e agli atti che danno vita ad una istituzione o ad uno
statuto. Per le donazioni si dice che pur essendo la volontà del donante notevolmente più
importante del donatario un accordo vi è sempre, dal momento che il donatario non può
rifiutare la donazione. Per le istituzioni, le società e le associazioni si ha altresì
contratto.
Di notevole importanza appare la revisione del principio dell’autonomia della
volontà, dunque del valore vincolante del consenso ad opera di Rouchette. A suo
avviso la dottrina della vincolatività del consenso era estranea ai redattori del Code
Napoléon: essi facevano riferimento alla parola data, alla giustizia naturale, alle regole
elementari di giustizia ecc. per fondare la vincolatività del contratto. Il vincolo era
affidato alla coscienza delle parti piuttosto che alla loro volontà, coscienza peraltro
orientata, limitata governata dalla legge. Il contratto produce in quest’ottica effetti
giuridici non in virtù del semplice consenso, ma per volontà della legge. La lettera del
Code è stata dunque travisata dalla dottrina successiva: ben pochi sono infatti gli
autori che hanno attribuito al consenso un ruolo proprio e fondamentale. La prassi dei
tribunali conferma questi assunti: la concezione soggettiva dell’errore è minoritaria, la
sopravvenienza non è causa di nullità o risoluzione, la stessa corte di cassazione ha
sempre preferito usare l’espressione libertà contrattuale piuttosto che non quella di
autonomia della volontà. Questa formula proviene piuttosto dalla dottrina
internazionale, l’idea di autonomia è di origine tedesca e affonda le sue radici nel diritto
internazionale e sulla costruzione della categoria di negozio giuridico, mentre autonomia
delle volontà è espressione tipicamente francese.
Consenso e causa sono indissolubilmente legati , il ruolo dell’ordinamento quindi
consiste in una finalità definitoria di contratto nella quale consenso deve inglobare la
causa o dove è necessario la forma, in una finalità di cristallizzazione delle operazioni
diffuse nella prassi attraverso la disciplina dei tipi legali, in una finalità tipizzante,
attraverso il riconoscimento della vincolatività dei tipi liberamente, creati dalle parti, in
una finalità di controllo senza un serio intento di obbligarsi.
Alla disciplina del contratto in generale è dedicato un intero titolo del codice civile: si tratta
di una serie di disposizioni con cui il legislatore ha inteso dettare principi generali. La
materia riguarda la nozione del contratto e l’autonomia contrattuale, i requisiti del
contratto e la sua formazione, la condizione, l’interpretazione, gli effetti , le invalidità, la
rescissione e la risoluzione.
Il legislatore dà una definizione di contratto come accordo di due o più parti per costituire,
regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale, ma anche come vincolo: il
contratto ha forza di legge tra le parti. Le parti sono libere di concludere accordi
diversi da quelli regolati dalla legge; gli effetti del contratto riguardano solo le parti che lo
hanno concluso e non possono spiegarsi nei confronti di terzi, salvo i casi previsti
dalla legge; le parti possono inoltre sciogliersi volontariamente dal vincolo del contratto
solo in casi di eccezione o perché hanno deciso di comune accordo di estinguere il
rapporto, inoltre devono comportarsi secondo correttezza e buona fede sin dal momento in
cui pongono in essere il contratto. Possono essere dunque individuati alcuni principi
generali: il principio di vincolatività del contratto, il principio di relatività del contratto, il
principio di autonomia contrattuale, il principio di buona fede.
Contratto = accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un
rapporto giuridico patrimoniale
Il contratto può essere inteso come atto o come rapporto: l’atto riguarda l’incontro
delle volontà dei contraenti, il rapporto riguarda le conseguenze giuridiche che derivano
dall’atto.
Il termine accordo assume un significato diverso e più ampio rispetto al termine
contratto, per cui quest’ultimo è una sottocategoria dell’accordo. Esso è definito dalla
dottrina come un’espressione generica che allude all’incontro di due o più volontà. In
questo novero rientrano gli accordi collettivi di lavoro, le intese, gli accordi
programmatici, il matrimonio, il gentlement’s agreement.
Il contratto si distingue dall’atto unilaterale poiché è il risultato dell’incontro delle
volontà di due o più soggetti. Il concetto di parte è inteso come centro di interessi.
Le funzioni del contratto accolte nella definizione sono molteplici: le parti possono
concludere un contratto per costituire un rapporto, modificarlo oppure estinguerlo.
Per ciò che attiene al diritto inglese la trattazione della tematica del diritto contrattuale,
trattandosi di un diritto essenzialmente di formazione giurisprudenziale, deve partire
dall’analisi dei textbooks, dalle riviste e dalle raccolte di cases materials, dagli
statutes che hanno introdotto i contratti speciali.
Gli autori inglesi esprimono diversi metodi e diverse concezioni del contratto, si pensi
all’opera di Atiyah e all’opera del Treitel, emblematiche di differenti tecniche di
approccio alle classificazioni della materia.. Tali tecniche possono essere ricondotte a
due indirizzi fondamentali: uno che enfatizza del contratto soprattutto l’atto di
autonomia privata, l’altro che muove dalla considerazione che il contratto sia un
atto esposto a tutti gli interventi esterni consentiti dall’ordinamento, per cui può
essere fatto dalle corti, può essere variamente inciso dal legislatore.
La nozione di contratto derivata dall’esperienza inglese coincide solo parzialmente con
quella continentale, di accordo che crea diritti e obblighi tra le parti contraenti.
Nella dottrina inglese si distingue il contract dalla convention, termine più ampio e generico
inclusivo di accordo di cui una delle parti è la p.a.; si distingue il contract dalla promise,
dichiarazione di assumere un obbligo; si distingue il contract dalla obligation, che è il
singolo obbligo creato dal contratto; si distingue il contract dal bargain che è un accordo
tra due parti per uno scambio di prestazioni eseguite o promesse. Per cui può dirsi che
nella dottrina e giurisprudenza inglese non vi è unanimità sulla definizione di
contratto. Ciò inoltre appare maggiormente complicato rispetto all’esperienza continentale
per il fatto che nel diritto inglese non vi sia una definizione legislativa di contratto, che
seppure discutibile e non vincolante, come accade in Italia, costituisca un punto di
riferimento.
La nozione di contract varia a seconda dell’idea che gli autori tendono ad esprimere. B u
r k e dà definizioni molteplici e giustapposte di contratto: si parla di agreement
enforceable at law, insistendo sul fatto non ogni accordo è contratto: sua caratteristica
essenziale è una promise, destinata a creare un’obbligazione che le parti devono
eseguire. Nel diritto inglese gli atti che per il diritto continentale sono intitolati promesse
unilaterali costituiscono una categoria interna al genere contract.
Secondo Treitel il contratto è un agreement giving rise to obligation which are enforced
or recognised by law 12, il contratto dunque si distingue da altri tipi di vincoli obbligatori
poiché nasce sulla base di nun accordo fondato sulla volontà delle parti.
L’accertamento della volontà proposto da Trietel si basa su una nozione oggettiva,
colleata con l’apparenza all’esterno della volontà ragionevole di contrarre.
P o l l o c k incentra invece la nozione di contratto sulla promessa definendolo come
a promise or a set of promises cui il diritto riconosce forza vincolante.
Atiyah respinge di contro definizioni basate sull’agreement o sulla promise, a suo
avviso non esaustive per due ordini di ragioni:esistono dell’ordinamento contratti
non coercitivi, e inoltre perché l’ordinamento non conferisce vincolatività astratta alla
promessa, ma solo azioni per ottenere la sua esecuzione o il risarcimento del danno.
Secondo tale autore nucleo centrale del contratto è il bargain, la negoziazione, lo
scambio, l’operazione economica cui si intende dare veste giuridica. Secondo Atiyah
non si può dare una definizione generica e astratta di contratto, ma occorre piuttosto
una definizione delle singole operazioni contrattuali delle parti.
Si può concludere che essendo così diverse le nozioni di contratto, appare opportuno che
questa espressione non sia definita, o almeno che questa venga definita in modo
stipulativo al fine di evitare incomprensioni e equivoci, tenendo presente che il suo
significato cambia a seconda del contesto.
Nel diritto inglese l’ossatura del sistema dei contratti si è formata nel corso dei secoli
attraverso l’evoluzione giurisprudenziale e, per alcuni aspetti dipende ancora da principi di
origine medievale.
Nel common law la disciplina del contratto si fonda in origine sull’idea di danno derivante
dalla violazione di un obbligo. Nozione di tort e di contract assumono molteplici punti di
contatto. All’inizio del XV sec si contavano quattro rimedi per rapporti obbligatori specifici:
- debt per
 il recupero di somme di denaro, con l’oner della prova a carico dell’attore;
- detinue per  il recupero della cosa specifica;
- covenant per  l’esecuzione della promessa fatta in modo solenne;
- account per  ottenere il rendiconto dei debiti derivanti da rendite o dalla vendita di
merci.
A questi rimedi si aggiunse successivamente l’action of assumpsit, azione concessa quale
rimedio contro l’inesatto adempimento o l’inadempimento di chi aveva precedentemente
assunto un obbligo L’idea di contratto essenzialmente sorse da quella di assumpsit.
Solo successivamente si consolidò l’idea che fonte di un’obbligazione contrattuale, al di là
dell’illecito, potesse essere l’accordo.
Alla fine del XVII sec, sulla spinta di esigenze commerciali si formò l’implied assumpsit: le
azioni derivanti dai titoli di credito si fondavano sull’esistenza di un accordo implicito
precedente.
Il principio della autonomia contrattuale, freedom of contract, si basa sull’assunto che il
contratto sia il risultato dell’accordo di volontà delle parti, libere di concluderlo o meno, di
determinarne liberamente il contenuto senza interferenze da parte del legislatore, del
giudice o dell’autorità legislativa. Secolo d’oro del contratto fu quello del laissezfaire:
l’ascesa dei ceti mercantili, il trionfo della borghesia, il non intervento, il liberismo
consentirono lo sviluppo di strumenti giuridici utili e funzionali ai rapporti economici: in
questo periodo i principi di eguaglianza nello scambio, di equilibrio nelle contrattazioni
sono suparti dall’esigenza di rispettare la volontà dei singoli, di assicurare a traffici e
commerci un’ area abbastanza vasta di libertà e autonomia. Si profila il non intervento
delle Corty di equity in materia di valutazione del prezzo, poiché solo il consenso delle
parti deve considerarsi paramentro per il giusto prezzo.
L’idea di contratto, quale espressione dell’eguale potere di obbligarsi riconosciuto alle parti
cominacia a declinare sul finire del XIX sec, in ragione del tramonto del laissez faire,
dell’affermazione del principio di eguaglianza in senso sostanziale e del declino dell’equity.
Il fenomeno del declino del contratto deve essere inteso come perdita di rilevanza del
ruolo dello stesso nella società moderna, come sostituzione della libera scelta che dà
luogo all’acquisizione di diritti con una scelta non volontaria imposta dall’intervento
legislativo. Nel tempo come osserva Atiyah, la portata del principio della freedom of
contract è stata compromessa dall’intervento del legislatore, delle corti e delle autorità
amministrative: “ there is today a growing recognition that, even when parties enter into a
trasaction as a result of some voluntary conduct, the resulting rights and duties of the
parties are, in large part, a product of the law, and not of the parties real agreemeent.”
Quanto alla limitazione della libertà delle parti di concludere o meno un contrattto si pensi
alla legislazione in materia di lavoro o a quella contro le discriminazioni razziali o sessuali;
quanto alla limitazione della libertà di determinare il contenuto del contratto si pensi alla
disciplina delle locazioni o delle clausole di esclusione della responsabilità.
Ciononostante Atiyah osserva che in Inghilterra negli ultimi decenni, a seguito del
mutamento della situazione politica ed economica, si è assistito ad un ritorno ai principi del
libero mercato e alla teoria del contratto: molte imprese in mano pubblica sono state
privatizzate, con il conseguente sviluppo di un’economia più competitiva e maggiori
libertà di scelta per i consumatori.
Nella sua più comune concezione il contratto è costituito da uno scambio di promesse che
creano diritti e obblighi per le parti. La funzione immediata del law of contract è dunque
quella di attuare le promesse e le legittime aspettative delle parti. Secondo Atiyah la
funzione del law of contractual obligation, come preferisce definirlo, è anche quella di
tutelare l’interesse della parte, che facendo affidamento sul contratto non concluso,
invalido, o altrimenti inefficace, sia incorsa in spese o si sia altrimenti impoverita arrecando
all’altra un arricchimento senza causa.
Tornando alla primaria funzione del law of contract ci si è interrogati sulla natura e sulla
funzione della promessa. Atiyah ha condotto importanti riflessioni sulla vincolatività della
promessa secondo due prospettive diverse, tuttavia tra loro intersecantesi: lo svolgimento
sotirco del modello giuridico di promessa e le idee filosofiche che di volta in volta
permeano tale modello. L’opera di Atiyah tratta della descrizione di una crisi: della crisi
della promessa intesa come manifestazione di volontà per sé vincolante, senza riguardo
alla causa, cioè al perché della sua determinazione. Il modello di contratto, dunque di
promessa trae origine dai principi del diritto naturale, per il quale la questione
fondamentale si riassume nell’accertare quando una promessa sia moralmente vincolante
mentre per i giuristi della teoria classica si riassume nell’accertare quando essa sia
giuridicamente vincolante. In entrambi i casi punto di passaggio è la volontà. In questo
senso deve essere ricordata la filosofia utilitarista di Smith, Austin, Mill, Hume i quali fanno
riferimento alla relianca, all’affidamento: ciascuno agisce perseguendo un proprio utile, le
promesse devono essere onorate e quindi il loro inadempimento sanzionato. Ciò può
essere spiegato in termini di self interest. Nasce tuttavia un problema logico: la promessa
non è vincolante solo perché ci si fa affidamento, perché finchè non si assicura che essa
sia vincolante il promissario può non volerci prestare affidamento. Se è la natura
vincolante della promessa a indurre a farvi affidament, diventa impossibile dedurre la
vincolatività della promessa dalla sola circostanza che vi si è fatto affidamento.
Mac Cormick sostiene allora che il promissario fa affidamento sull’intenzione del
promittente di adempiere ciò che ha promesso di fare. Si attua così il principio della
reliance e si fa strada l’accertamento delle aspettative. Ci si chiede se il promittente abbia
diritto di cambiare opinione e sottrarsi alla promessa o se il promissario abbia diritto di
vederla osservata. Ciò risiede nel contratto sociale, nelle regole della convivenza. La
conferma di questo assunto è data dalle sanzioni che si circoscrivono ad una somma da
corrispondere al promissario a titolo di risarcimento del danno. Rompere la promessa è
pratica tollerata.
Ragioni sistamatiche hanno sospinto la dottrina continentale ad operare diverse
classificazioni dei contratti. Nell’esperienza di common law questa tendenza è quasi
inesistente. La classificazione tradizionale vede una tripartizione di:
- contracts of record: obbbligazioni derivanti da una sentenza di una court of record;
- contracts under seal: comprende atti denominati deeds o convenants, costituiti da una
promessa scritta sigillata e consegnata;
- simple contracts costituiscono quelli che per noi sono contratti a forma libera.
Una classificazione sulla quale si insiste maggiormente è quella tra contratti unilaterali e
bilaterali, è importante perché solo nel caso della bilateralità entrambe le parti assumono
obbligazioni, nel caso di unilateralità solo una di esse è obbligata a fare qualcosa.
Altra distinzione, operata da taluno, è quella tra express e implies contracts e quasi-
contracts, categoria quest’ultima che riguarda in realtà tutt’altro settore della law of
obligation, la law of restitution attinendo alla disciplina del pagamento indebito e
dell’arricchimento ingiustificato. La differenza tra implied ed express contracts attiene al
modo in cui la volontà viene esternata, rispettivamente in forma implicita o esplicita.
Si è inoltre soliti distinguere tra contratti a base individuale per i quali vi è presunzione di
eguaglianza sostanziale di potere contrattuale tra le parti e contratti per adesione, per i
quali vi è un potere preponderante della parte che ha predisposto il formulario.
Altra distinzione è quella tra executed ed executory contracts: i primi sono contratti le cui
obbligazioni sono già interamente o parzialmente eseguite, mentre i secondi cono contratti
le cui obbligazioni devono ancora essere eseguite. La distinzione è rilevante perché molte
disposizioni sui contratti, in particolare quelle circa l’invalidità sono applicate dai giudici in
modo diverso a seconda dello stadio di esecuzione del contratto cui le parti sono
pervenute.
Ulteriore distinzione è quella tra contratti-transactions e contrattirelations, i primi istantanei
e i secondi di durata.
Osservando le codificazioni europee si possono individuare diversi modelli normativi in
materia di causa:
1. può essere definita codificandone il significato
2. può essere menzionata, ma non definita
3. può non essere nemmeno menzionata
Ai modelli normativi, si affianca comunque l’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale:
nelle diverse esperienze la causa è costruita dalla dottrina e dalla giurisprudenza con
varietà di significati e ruoli, là dove è definita normativamente ciò non preclude il ruolo
additivo di dottrina e giurisprudenza, là dove è solo menzionata le addizioni dell’interprete
sono necessarie alla sua operatività, là dove non è neppure menzionata si registra ilo
divario tra testo normativo e costruzione dottrinale-giurisprudenzialee del suo significato.
Da questa sommaria ricognizione ci si avverte della non necessarietà di una definizione
legislativa di causa, ma della persistenza di questo concetto nella cultura dei giuristi che
operano negli ordinamenti in cui la causa è menzionata, disciplinata o ignorata:
le addizioni dell’interprete non riguardano solo il significato e il ruolo della causa, ma
anche la costruzione dell’istituto dove questo è ignorato dal legislatore. Negli ordinamenti
in cui il codice ignora la causa essa viene creata dalla dottrina e dalla giurisprudenza, la
dottrina ne parla apertamente e la giurisprudenza la usa occultamente. La causa è intesa
come lo scopo comune e immediato delle parti contraenti, è distinta dai motivi ed è
utilizzata per accertare la validità del contratto e la sua liceità.
In Francia appare dibbattuta non solo la questione della nozione di causa e del ruolo di
questa, ma anche la divergenza tra teoria e prassi negli atteggiamenti degli interpreti.
Carbonnier – la causa è trattata nell’ambito delle condizioni di formazione del contratto, in
particolare della struttura. Vengono in tal senso considerate consenso, capacità, oggetto e
causa. Quest’ultima rappresenta una condizione di validità, di liceità del contratto per cui
deve esistere ed essere lecita.
Secondo l’Autore vi sono due accezioni di causa, una soggettiva e concreta che attiene
alla liceità e una astratta e oggettiva che attiene all’esistenza. Sotto il primo aspetto sono
rilevanti i motivi che hanno spinto le parti alla conclusione del contratto, sotto il secondo
aspetto la causa ha contenuti diversa a seconda che riguardi contratti sinallagmatici,
contratti unilaterali e contratti gratuiti.
Ghestin – pone il problema dell’uso della causa quale strumento di controllo e dell’uso che
ne è fatto dai tribunali. La trattazione può essere riassunta attraverso alcuni capisaldi: la
causa non è una nozione unitaria, poiché può alludere sia alle intenzioni dei contraenti
sia alla funzione e, o all’equilibrio del contratto; varia a seconda delle operazioni in
concreto concluse, varia a seconda delle epoche, per cui è caratterizzata da una notevole
relatività.
Esperienza francese
Secondo l’autore negli ordinamenti in cui non è codificata la causa come elemento
essenziale del contratto si fa ricorso ad altri strumenti per ottenere risultati analoghi a
quelli cui si perviene applicando la causa: nell’ordinamento tedesco ad esempio si fa
riferimento all’indebito arricchimento, o alla nozione di oggetto del contratto, alla forma, e
così via. Per quanto riguarda il controllo di liceità, ossia la causa in senso soggettivo
l’autore fa ricorso al principio generale che limita l’autonomia contrattuale piuttosto che
non alla formazione del contratto.
Giurisprudenza – confonde la causa con la contropartita che serve ad assicurare
l’equilibrio del contratto, anche se si sopravanza la lettere del codice e i principi generali
che non consentono un controllo del valore della contropartita se non nei casi limite. La
causa venuta meno nel corso dell’esecuzione del contratto è considerata irrilevante
secondo la teoria classica; è rilevante al punto da invalidare il contratto secondo Capitant.
La giurisprudenza richiede di frequente per la prova dell’illiceità la conosenza del motivo
illecito da entrambe le parti.
Frequente è poi l’uso della causa nel controllo dell’esecuzione del contratto: è il caso di un
curioso contratto con cui un autista si era impegnato a far effettuare gite automobilistiche
ad un’anziana signora. L’autista aveva suggerito alla signora di acquistare un’auto nuova
partecipando alla spesa con una somma. Interrotisi i rapporti la signora aveva rifiutato di
restituire la somma sostenendo che al momento della conclusione del contratto la causa
non sussisteva. La Cassazione va in senso contrario in contrasto con la giurisprudenza
dominante che apprezza la causa al solo momento della formazione del contratto.
Per ciò che concerne l’esperienza italiana occorre riportare il pensiero della scuola pisana
per la quale la causa è al tempo stesso ragione giustificativa dell’atto, funzione economica
del negozio e intento pratico delle parti. Ciò non porte ad un dualismo, ma a una unità
concettuale costituita dall’intento pratico delle parti e dalla funzione oggettiva in concreto
svolta dalle parti.
Bianca definisce la causa come la ragione pratica del contratto, cioè l’interesse che
l’operazione contrattuale è diretta a soddisfare. Si tratta di un interesse oggettivo al cui
raggiungimento è funzionale il contratto. Oggettivo e soggettivo tendono tuttavia a
identificarsi poiché le parti utilizzano il contratto per realizzare un interesse che coincide
con quello da esse perseguito.
La causa in tal modo assume diversi ruoli: dà fondamento della rilevanza giuridica del
contratto, è criterio interpretativo del contratto, è criterio di qualificazione, è criterio di
adeguamento. La causa è definita inoltre come funzione economica e sociale dell’atto di
volontà, non si tratta di uno strumento giudiziale di controllo delle pattuizioni a tutela di
interessi pubblici ma di strumento di protezione degli stessi contraenti.
La giurisprudenza in sostanza fa largo uso, spesso incontrollato della causa.
Nel panorama della giurisprudenza italiana si possono rinvenire diverse definizioni di
causa, sia di carattere generale, quale istituto contrattuale, sia quale causa speciale delle
singole operazioni economiche rivestite di un tipo legale ovvero di natura atipica.
La concezione bettiana della causa quale funzione sociale ed economica che il negozio
obiettivamente persegue appare sempre presente, sebbene attualmente comincino a
registrarsi orientamenti anche più settoriali che ad esempio identificano la causa con lo
scopo tipico che le parti si propongono di conseguire. L’intenzione delle parti è sempre
presente nella mente del giurista, anche se sembrerebbe più corretto menzionare l’intento
piuttosto che l’intenzione. L’intento è spesso collegato con la causa, ma separato dal
punto di vista concettuale come accade in caso di risoluzione per inadempimeno ove si
sottolinea l’esigenza di mantenere l’equilibrio tra le prestazioni di eguale peso talchè
l’importanza dell’inadempimento non deve essere intesa in senso subiettivo, in relazione
alla stima che la parte creditrice abbia potuto fare del proprio interesse violato, ma in
senso obiettivo in relazione all’attitudine dell’inadempimento a turbare l’equilibrio
contrattuale.
Sembra prevalere un indirizzo misto: da un lato si richiama la volontà delle parti, dall’altro
si opera un’analisi oggettiva della funzione del negozio e degli scopi tipici dell’operazione
economica.Spesso la definizione di causa non è generica, ma calata nell’operazione
economica perseguita dalle parti, di modo che essa viene a coincidere con la definizione
dell’operazione del contratto tipico oppure atipico. Ad esempio in materia di transazione si
dice che la sua funzione economica e sociale è la composizione di una lite mediante
reciproche concessioni.
L’istanza definitoria spesso riguarda i contratti atipici, qui la definizione si confonde con
l’oggetto, con il contenuto, con il tipo.
Un esempio può essere offerto dal contratto di leasing, la definizione di causa descrittiva
ha molteplici finalità tra le quali anche quella di discernere le operazioni lecite da quelle
illecite (ad es per il lease back si precisa che la sua causa risiede nel finanziamento che
un’impresa intende ottenere, pur mantenendo la disponibilità del bene strumentale ceduto
alla società di leasing, poiché il trasferimento della proprietà è’ effettuato a scopo di
garanzia e diviene irrevocabile solo nel caso di inadempimento dell’utilizzatore.)
Vi sono casi in cui la definizione della causa, anche là dove appare riduttiva dello scopo
pratico e del contenuto del contratto, è parziale e riduttiva, come accade per la
sponsorizzazione, la cui causa si vuol individuare esclusivamente nel ritorno pubblicitario a
vantaggio dello sponsor.
La nozione di causa come funzione economico-sociale spesso è intesa dalla
giurisprudenza come la tecnica più semplice di obiettivazione del contratto e quindi per
escludere i motivi dall’area degli interessi apprezzabili. Si pensi in tal senso alla permuta:
mentre l’oggetto del contratto è costituito dai beni che vengono scambiati, la causa è
l’utilità che le parti conseguono dallo scambio, utilità oggettiva connessa alla funzione
economico sociale che il negozio assolve.
Armonizzazionee unificazione del diritto contrattuale
Il processo di armonizzazione del diritto contrattuale in corso avviene attraverso un triplice
corpus normativo:
- costuzione del diritto comunitario dei contratti
- progettazione di un codice europeo dei contratti
- redazione di principi uniformi del diritto dei contratti nel commercio internazionale
questi tre corpora divergono tra loro per molteplici ragioni: per l’autorità della fonte per cui
nel primo caso si tratta di regole giuridiche, regolamenti e direttive, principi e modelli
normativi di receepimento, regole giurisprudenziali che si riferiscono ai poteri normativi
riconosciuti agli organi dell’UE; nel secondo caso di una elaborazione teorica effettuata in
modo privato e propositivo e nel terzo caso di di principi con cui si registrano e si innovano
le regole che governano i contratti del commercio internazionale elaborati dall’istituto per
l’unificazione del diritto UNIDROIT ; altro elemento di distinzione è dato dall’ambito
geografico poiché i principi del commercio hanno vocazione universale a differenza dei
primi due circoscritti all’Europa; infine altro elemento di distinzione è dato dalla
dimensione prospettica, poiché il codice europeo ha ambizioni sistematiche per la parte
generale della disciplina dei contratti, i principi di UNIDROIT si preoccupano di risolvere
questioni pratiche e il diritto comunitario è frutto dell’approvazione delle direttive
comunitarie allo stato emanate dall’UE.
Raffronto dei testi
LIBERTÀ CONTRATTUALE – le direttive comunitarie in materia di diritto contrattuale non
contengono enunciazioni generali sulla libertà contrattuale delle parti, tuttavia ciascuna di
esse la presuppone sia circa la scelta dell’altro contraente, sia circa la determinazione del
contenuto, della forma e così via. Ciò che conta sono piuttosto i limiti che le direttive
impongono alla libertà contrattuale, i quali hanno una doppia valenza: rendere privi di
effetti giuridici i patti che ostacolano la circolazione di merci, servizi, capitali, contenere il
potere negoziale della parte più forte.
Codice europeo e principi di UNIDROIT enunciano il principio ci libertà contrattuale
facendo entrambi riferimento alla libertà di autodeterminarsi a contrarre e libertà di scelta
del contenuto.
BUONA FEDE, CORRETTEZZA E RAGIONEVOLEZZA – nelle direttive comunitarie
spesso si richiamano clausole generali e standard di comportamento. Al di là dei contenuti
terminologici il significato della clausola generale di buona fede deve essere comunque
esaminato nel contesto in cui il concetto è utilizzato.
Mentre si possono avvicinare la buona fede di cui si trova traccia nelle direttive
comunitarie e la buona fede di cui si fa menzione nel codice europeo, sembra difficile
assumere la stessa nozione nell’interpretazione dei principi UNIDROIT, visto che qui la bf
è riportata al commercio internazionale. Eguale discorso vale per la correttezza, fair
dealing.
Diverse sono le considerazioni sulla ragionevolezza che è parametro raro nelle direttive
comunitarie, raro nel codice europeo mentre diffusissimo nei principi di UNIDROIT.
USI – non sono considerati con favore dalle direttive comunitarie, essi richiamano infatti il
particolarismo giuridico ontologicamente in contrasto con la creazione di un diritto comune.
Di contro sono invece esaltati nei principi di UNIDROIT che si pongono come regole
generali tali da codificare la lex mercatoria.
Il codice europeo, accanto agli usi comunemente intesi introduce una nozione soggettiva
di uso, considerando vincolante l’uso che le parti hanno concordato o instaurato tra loro.
PROTEZIONE DELLA PARTE DEBOLE – le direttive comunitarie sono in gran parte
rivolte a tutela degli interessi della parte debole, intesa quale consumatore; nel codice
europeo non si rinviene una definizione di parte debole, ma alcune disposizioni tengono in
conto la posizione di debolezza di una delle parti come ad esempio per le clausole non
individualmente negoziate.
Nei principi UNIDROIT si rinvengono regole sulle clausole a sorpresa, sull’interpretazione
contra proferentem e sulla gross disparity.
TRATTATIVA – l’orientamento in materia è sostanzialmente uniforme nei tre corpora: si
enuncia infatti la libertà delle parti nella fase di contatto anteriore alla conclusione del
contratto, libertà intesa anche come libertà negativa, di non contrarre, il mancato
raggiungimento dell’accordo non può comportare responsabilità alcuna, sia l’uno che
l’altro testo ancorano la libertà nella trattativa al comportamento secondo buona fede
implica la responsabilità. In ambito comunitario la disciplina dei comportamenti delle parti
nel corso della trattativa è assai dettagliata: essa è considerata in una duplice prospettiva,
come fase nella quale le parti esprimono effettivamente la loro libertà negoziale e come
fase nella quale le parti si scambiano informazioni.
FORMAZIONE – le regole a riguardo sembrano omologhe in tutti i testi considerati,
probabilmente maggiormente disciplinate nel codice europeo e nei principi di UNIDROIT;
nelle direttive comunitarie le regole sono contenute nelle direttive sui contratti a distanza e
fuori dei locali commerciali.
La conclusione di contratti standard è presa in considerazione sia nel codice europeo sia
nei principi di UNIDROIT. Nel diritto comunitario l’impiego di modelli standard è
considerata una delle tecniche con cui il professionista tenta di imporre al consumatore
clausole abusive e pertanto è disciplinato con particolare cura nella direttiva apposita. In
particolar modo è disciplinato lo ius poenitendi del consumatore, consentendogli di
revocare la proposta o di recedere dal contratto.
Simili opportunità non sono previste né nel codice europeo né nei principi di UNIDROIT.
Ciò accade perché il contraente ordinario oppure il contraente operatore economico non
possono recedere se questo diritto potestativo non è concordato dalle parti. Per il diritto
comunitario lo ius poenitendi costituisce un espediente più sicuro per sottrarre il
contraente da un’operazione di cui non avesse compreso appieno il significato o la
convenienza. Essendo considerato una tecnica di tutela del consumatore lo ius poenitendi
deve essere incluso nelle clausole contrattuali laddove è prescritto; se previsto solo a
favore del consumatore non crea squilibrio tra le parti, mentre se previsto solo a favore del
professionista è considerato elemento sfavorevole e la clausola che lo prevede è
considerata abusiva.
CONTENUTO – i singoli ordinamenti divergono sugli elementi essenziali del contratto per
cui il codice europeo non fa un elenco di tali requisiti; allo stesso modo i principi di
UNIDROIT, ai quali interessa soprattutto considerare il contratto come un affare, prescinde
dall’enumerazione dei requisiti essenziali.
Le direttive si preoccupano del contenuto minimo essenziale che il giurista continentale
ascrive all’oggetto del contratto, preoccupazione anche questa volta ispirata alla tutela
della parte debole. Si tratta di un’ottica interventista perché le direttive prescrivono la
previsione di determinati elementi considerati essenziali, la cui mancanza priverebbe il
consumatore della possibilità di esprimere un consenso informato, si preoccupano inoltre
allo stesso fine, che il contenuto sia espresso con clausole chiare e intellegibili.
Le regole di interpretazione sono per lo più simili nei tre corpora, è comunque interessante
notare che il codice europeo e i principi di UNIDROIT, siano inclini ad accogliere l’istituto
dell’integrazione del contratto in ossequio alle regole sulle implied obligations derivanti da
common law inglese.
Particolare attenzione è poi posta dalle direttive circa lo ius variandi, si tratta di una
rilevante limitazione alla libertà contrattuale dettata dall’esigenza di proteggere la parte più
debole che si troverebbe esposta agli abusi del professionista.
FORMA – nel commercio internazionale caratterizzato dai principi di UNIDROIT vige il
principio della libertà di forme. Il codice europeo non disciplina specificamente la materia
in ragione della disciplina eterogenea della forma nei vari sistemi. La direttiva assume
atteggiamento interventista anche in questo settore: la forma è intesa nel duplice profilo
sia di tecnica per far conoscere alla parte più debole il contenuto del contratto sia di
tecnica per richiamare l’attenzione sulle singole clausole del rapporto.
CONSERVAZIONE – le direttive comunitarie non si occupano né della risoluzione né
dell’invalidità se non nei casi particolari di invalidità di singole clausole. Nei principi di
UNIDROIT si registra la tendenza a conservare il contratto, mentre le direttive non si
preoccupano tanto di salvare il contratto quanto piuttosto si preoccupano di tutelare il
consumatore, per cui quando un suo interesse è travolto appare preferibile sciogliere il
contratto piuttosto che mantenerlo in vita ad ogni costo.
Le società per azioni – D. Corapi

Emerge subito una classificazione in materia societaria: si è soliti distinguere tra società
civili e società commerciali. Si tratta di una classificazione tipica degli ordinamenti di
tradizione romanistica, collegata ad una politica legislativa volta a disciplinare le prime nel
contesto del codice civile e le seconde nel contesto del codice di commercio, attraverso
una elaborata a avenzata disciplina che le tende a privilegiare.
La società civile invece non trova ragion d’essere negli ordinamenti anglosassoni dove si
passa dalla disciplina delle associazioni non registrate alle partnerships, che sono strutture
societarie indirizzate essenzialmente a regolare attività economiche a base personale. Nel
UK, ad esempio le attività agricole si modellano sugli schemi forniti dal Partnership Act del
1890, senza che ciò comporti il riconoscimento di un carattere commerciale di tali attività.
All’interno di questa generale classificazione, in tutti gli ordinamenti si ravvisa nel genere
delle società commerciali un’ ulteriore distinzione tra società organizzate a base personale
e società organizzate su base capitalistica.
Generalmente le società di tipo personale sono caratterizzate dalla responsabilità
illimitata e solidale di tutti i soci per le obbligazioni sociali sia nei paesi a tradizione
romanistica sia in quelli di common law, dove si riconosce la unlimited joint liability of
partners for partnership liabilities; inoltre in questo tipo di società il potere di amministrare
è insito nella qualità di socio, per cui non è possibile trasferire tale qualità senza che gli
altri soci acconsentano.
Nell’ambito delle società personali è generalmente riconosciuta l’esistenza di due tipi di
società:
- società in nome collettivo ‡ société en nom collectif, sociedad colectiva, sociedade en
nome colectivo, partnership, offene Handelsgesellschaft …
- società in accomandita ‡ société en commmandite simple, sociedad en commandita
simple, limited partnership o unlimited company…
Le società a base capitalistica presentano caratteristiche opposte rispetto quelle
personali: per esse vige il principio della responsabilità limitata per cui i soci rispondono
delle obbligazioni sociali soltanto nei limiti del conferimento; le funzioni di amministratore
non sono direttamente correlate alla titolarità dello status di socio: il socio ha diritto di
nomina degli amministratori e al controllo del loro operato attraverso il proprio voto in
assemblea.
Nell’ambito delle società di capitali si assite in quasi tutti gli ordinamenti ad una duplicità di
organizzazione, in considerazione del riemergere di elementi personalistici ovvero del fatto
che la società faccia o meno appello al pubblico risparmio.
Accanto alla società per azioni trova così posto anche la società a responsabilità limitata:
le seconde si differenziano dalle prime per minori formalità di costituzione, limiti di capitale
più bassi, divieto di appello al pubblico risparmio, minori formalità in tema di pubblicità,
limiti al trasferimento.L’ordinamento inglese e irlandese prevede le public companies
limited by shares e le private companies (nelle varianti limited by shares, limited by
guarantee and without a share capital, unlimited having a share capital). Le guarantee
companies sono costituite generalmente per scopi benefici o culturali.
La società per azioni rappresenta il prototipo delle società di capitali sebbene si concreti in
realtà notevolmente diverse nei viari paesi. È prevalentemente destinata alle società
quotate, società di grandi dimensioni che fanno appello al pubblico risparmio, ma è anche
impiegata in modo più ampio in alcuni paesi in cui è elevato anche il numero di società
non quotate.
In tutti gli ordinamenti la costituzione di una società per azioni avviene attraverso un
procedimento con cui viene loro attribuita la qualità di costituzione persone giuridiche.
A differenza dei paesi di diritto civile, nei paesi di common law si ha tuttora la possibilità di
tre differenti forme di company: chartered, cioè create con privilegio sovrano, statuatory,
create cioè con legge speciale del parlamento e infine registered, create cioè secondo le
leggi generali che richiedono l’iscrizione in un registro pubblico. Tanto nei paesi di
common law quanto in quelli di diritto civile il sistema normativo di costituzione è
accompagnato dall’istituzione di un registro delle società: l’iscrizione al registro è la fase
conclusiva della costituzione della spa e ad essa si collega l’accertamento della regolarità
formale dello stesso procedimento di costituzione.
In numerosi paesi si è tornati a richiedere un’autorizzazione preventiva, quale controllo dei
pubblici poteri che si inserisce nel complesso procedimento di costituzione previsto dalla
legge per la costituzione di società che svolgano attività o presentino un capitale di
notevole importanza, oppure raccolgano capitali presso i risparmiatori.
Nella maggiorparte dei paesi inoltre sono previsti due modalità di costituzione: la
costituzione simultanea e la costituzione successiva.
La costituzione simultanea consiste nella creazione dell’organismo societario in un solo
atto, attraverso cui i soci fondatori in un unico contesto redigono l’atto costitutivo, lo
sottoscrivono e sottoscrivono interamente il capitale.
La costituzione successiva avviene invece attraverso quattro fasi: i promotori si rivolgono
al pubblico con un programma di costituzione invitandolo ad aderirvi, segue la riunione in
assemblea di coloro che sottoscrivono le azioni sulla base del programma, si provvede
alla definitiva redazione dell’atto costitutivo deliberando infine la stipulazione dello stesso.
Deve essere detto comunque che nella maggiorparte dei paesi che prevedono la
costituzione simultanea, questa è scarsamente utilizzata: ciò accade nei paesi di common
law perché il concetto di capitale delle società per azioni assume una portata molto
limitata, l’organizzazione della spa si incentra tradizionalmente sul concetto di oggetto
sociale, mentre per la creazione della società non è necessario che il capitale previsto sia
effettivamente versato, a differenza di quanto accade invece nei paesi di diritto civile, nei
quali è necessaria la sottoscrizione intera o almeno parziale del capitale.
In ragione di ciò ci si imbatte nei paesi di common law nella distinzione tra capitale
autorizzato e capitale emesso e versato, nonché nella possibilità di sottoscrivere il capitale
anche succssivamenente alla costituzione. Per cui perde significato nell’area di common
law la disciplina della costituzione successiva.
Per tutelare gli interessi degli investitori, dato che società costituite con la sottoscrizione di
una parte minima di capitale autorizzato possono raccogliere ingenti somme presso il
pubblico, si ricorre alla distinzione tra sottoscrizione privata e sottoscrizione pubblica delle
azioni. La sottoscrizione pubblica è sottoposta ad una severa disciplina.
Si distingue dunque tra sistemi a capitale autorizzato che prendono in considerazione solo
il capitale liberato o paid-up e sistemi a capitale fisso, nei quali si prevede che la società
abbia un capitale minimo. Il numero di persone necessarie per la costituzione di una spa
varia da stato a stato(3-1 in danimarca; 5-1 in Germania; 7-2 in Uk). Il numero dei soci è
un elemento che sostanzialmente perde rilevanza come dato necessario: alcuni paesi,
come l’Olanda ammettono che la società abbia un solo fondatore; in altri paesi è
necessaria la presenza di almeno due persone, in altri si richiede che l’atto costitutivo sia
sottoscritto da un numero maggiore di persone.
La costituzione di una società unipersonale è generalmente ammessa dai paesi della
comunità europea per le società a responsabilità limitata. In tutti i paesi è considerato
necessario un atto scritto per la costituzione della spa. In alcuni paesi, soprattutto di diritto
civile questo deve assumere forma di atto pubblico, deve essere redatto da un notaio o da
un organo giudiziario. Nei paesi di common law i documenti necessari per la costituzione
sono costituiti dal deed, da un atto privato munito di sigillo (UK) o da un atto privato con le
firme legalizzate da un public notary (USA).
Va sottolineato inoltre che nei paesi di common law esiste una netta distinzione tra l’atto
costitutivo e statuto della spa: UK ‡ rispettivamente memorandum e articles of association;
USA ‡ charter e by-laws.
Il memorandum o charter contiene i requisiti fondamentali sulla cui base la spa può
ottenere la personalità giuridica; gli articles o il bylaws contengono invece il regolamento
interno della società per azioni. La legge fissa il contenuto minino per i due atti e prevede
diversi regimi di pubblicità: gli articles sono più facilmente modificabili del memorandum.
Negli altri paesi invece la distinzione tra atto costitutivo e statuto appare meno rilevante:
viene lasciata libera disponibilità delle parti per l’inseriment negli statuti di particolari
condizioni.
Per quanto concerne l’oggetto sociale nei paesi di common law, la spa si è sviluppata
come organismo a base associativa, distinto dalla partnership per cui non c’è alcun limite
alle attività che possono essere svolte: negli USA accanto alle corporations che hanno ad
oggetto attività imprenditoriali vi sono corporations che hanno ad oggetto attività di
beneficienza, assistenziali, culturali e così via; nell’Uk si è verificato un processo di
distinzione tra company, strumento tipico per l’attività di impesa e societies di carattere
mutualistico o assistenziale. Nei paesi a tradizione romanistica la spa è rimasta invece
collegata a società che svolgono essenzialmente attività economica, distinte dalle
associazioni.
Peraltro nei paesi in cui sussiste la distinzione tra soocietà commerciali e società civili il
criterio di distinzione è dato proprio dall’oggetto sociale, cioè dal tipo di attività svolta.
L’assemblea generale ha nei diversi ordinamento una dettagliata disciplina con riferimento
alle società di capitali.
Con riferimento alla srl alcuni ordinamenti ritengono che l’assemblea sia un organo
necessario solo in presenza di un numero minimo di soci: per l’ordinamento
lussemburghese è richiesta la presenza di 25 soci.
I poteri dell’assemblea degli azionisti non sono gli stessi nei diversi ordinamenti: mentre
nella maggior parte dei casi l’assemblea ha competenza generale sulla vicende inerenti la
società, nell’ordinamento tedesco la duplicità degli organi amministrativi sottrae
fondamentali materie alla decisione dell’assemblea come la distribuzione degli utili,
l’approvazione del bilancio, così altrettanto avviene negli USA, dove la competenza
dell’assemblea generale è estremamente ristretta.
Per quanto concerne la convocazione questa avviene almeno una volta all’anno su
iniziativa degli amministratori o dei revisori, o in caso di inerzia di questi su richiasta di un
azionista o di terzi interessati, o del dipartimento del commercio o del tribunale o del
rappresentante degli azionisti rispettivamente in Danimarca, UK, francia germania e
spagna e svizzera. In molti paesi deve essere convocata su richiesta
di un numero qualificato di soci.
Si distingue inoltre in molti paesi tra assemblea ordinaria e assemblea straordinaria
sebene con diversa attribuzione di significati: per alcuni sono straordinarie le assemblee
che hanno ad oggetto specifiche materie che incidono sull’assetto societario come le
modifiche statuarie, le fusioni, le trasformazioni ecc, altri considerano ordinarie le
assemblee che si riuniscono obbligatoriamente una volta l’anno e straordinarie tutte le
altre. È prevista generalmente una documentazione che consenta di controllare la
regolarità dei lavori dell’assemblea.
Per ciò che concerne le modalità di partecipazione va detto che in alcuni ordinamenti è
richiesta l’effettiva riunione nello stesso luogo di tutti i soci, in altri è ammessa la
consultazione a distanza e il voto per corrispondenza. Per ciò che attiene invece alla
validità delle deliberazioni dell’assemblea, va detto che questa è condizionata dalla
diversa posizione dell’organo assembleare nei diversi ordinamenti, nonché dalle diverse
modalità per cui la tradizione opera il ragionamento giuridico nei paesi di common law e
civil law: dei paesi di diritto civile requisiti e limiti delle deliberazioni vengono fissati
tenendo presente l’elaborazione concettuale sul tema della dichiarazione di volontà
collettiva e in generale degli atti giuridici; negli ordinamenti di common law al contrario la
rilevanza dell’elaborazione sistematica delle categorie civilistiche comporta che i problemi
di tutela della minoranza o dei singoli soci siano impostati come problemi di rapporti tra i
soci e gli amministratori o tra gruppi di controllo e di minoranza e risolti non sul piano
dell’impugnazione della delibera in sé, come negozio giuridico, ma del comportamento
fraudolento o comunque lesivo degli interessi del socio che risulta dalla delibera. Negli
ordinamenti di common law ciò che si attacca non è la delibera in sé ma l’irregolarità del
procedimento o vizio del contenuto che rileva l’illegalità dell’atto della maggioranza dei
soci, degli amministratori o di chi si è adoperato per fare adottare la delibera.
Compiti e struttura degli organi amministrativi delle spa nei diversi ordinamenti sono
disciplinati secondo de modelli distinti: quello tradizionale francese ovvero struttura
monista e quello tedesco ovvero a struttura dualista.
Secondo la concezione monista l’assemblea degli azionisti è l’organo sovrano della spa,
cui competono anche la nomina e revoca degli amministratori, considerati mandatari dei
soci. In alcuni paesi i dipendenti possono eleggere i propri rappresentanti nel cda,
eccezionalmente la nomina di ammminsitratori è riservata a categorie speciali di azionisti:
in Belgio lo statuto può prevedere la rappresentanza proporzionale degli azionisti nel cda,
in Irlanda il 10% degli azionisti può proporre la nomina di un amministratore. Alcuni paesi
ammettono che l’organo amministrativo sia composto anche da un solo amministratore
nelle società di piccole dimensioni.; più spesso ivece è richiesta la presenza di più
amministratori che compongano un organo collegiale. Solo la Francia richiede
inderogabilmente che gli amministratori siano anche azionisti, in altri ordinamenti, come in
Belgio, la stessa disposizione è derogabile. In Finlandia, Irlanda, Italia e Svezia possono
assumere la carica di amministratori solo persone fisiche, mentre in Francia, Belgio,
Lussemburgo e UK possono assumere tale carica anche le persone giuridiche.
La durata massima del mandato di solito è rinnovabile e varia da tre anni in Italia a quattro
in danimarca, Finlandia e Portogallo, cinque in Spagna, sei in Belgio, Francia, Grecia e
Lussemburgo.
Nella maggioranza dei casi gli amministratori possono essere revocati ad nutum e senza
indennità. L’operatività di tale regola è diminuita dalla ppossibilità di cumulare la carica di
amministratore e un rapporto di lavoro con la società: numerosi ordinamenti lo
consentono.
L’organo collegiale delibera sulle questioni di maggiore importanza e impartisce direttive
sulla gestione della società: in numerosi paesi la funzione esecutiva e il relativo poetere di
rappresentanza della società sono riconosciuti all’organo di amministrazione come
collegio, questo può delegare tale potere a membri interni o esterni.
L’amministrazione può essere distribuita su tre livello come accade in UK e Svizzera, su
due, come in Belgio.
Alcuni ordinamenti limitano la capacità degli amministratori di concludere contratti con se
stessi, cioè da un lato come rappresentante della società, dall’altro in proprio.
L’ordinamento francese consente ad amministratori, direttori generali, rappresentanti o
persone interposte di compiere le operazioni correnti abituali, concluse a condizioni
normali, vieta altre operazioni. I contratti delle persone giuridiche-amministratori sono
sottoposti all’autorizzazione preventiva del cda e all’approvazione dell’assemblea.
Negli ordinamenti in cui è seguito il modello dualista, di tipo tedesco la maggiorparte delle
società adotta il modello monista, quello dualista infatti si applica solo alle società di grandi
dimensioni che sono in minor numero. La disciplina tedesca sottrae all’assemblea la
nomina degli amministratori con poteri esecutivi, l’approvazione dei bilnaci annuali e
l’impiego di utili e istituisce la cd struttura dualista dell’organo amministrativo.
L’amministrazione della società è affidata al consiglio di direzione, Vorstand, che è
nominato dal consiglio di sorveglianza, Aufsichtsrat, il quale è a sua volta nominato
dall’assemblea dei soci con compiti di designazione e sorveglianza del primo e di
approvazione dei bilanci. I due organi hanno compiti distinti e non delegabili.
Il consiglio di direzione può anche esseree unipersonale nelle società con numero
superiore a 500 dipendenti in Germania, con capitale superiore a un milione di scellini e
più di 50 dipendenti in Austria…di dimensioni minori, deve avere almeno due membri delle
società con capitale superiore a 3 milione di marchi. I suoi membri sono persone fisiche,
anche non azionisti, con mandato a scadenza quinquennale cumulabile con un contratto di
lavoro e retribuito. Essi hanno poteri di gestione e rappresentanza della società, se
l’organo è pluripersonale tali poteri devono essere esercitati congiuntamente salvo
procura, ne deriva in ogni caso una responsabilità solidale. I contratti in conflitto di
interessi tra un membro del Vorstand e la società sono proibiti a mano che non intervenga
l’autorizzazione dell’Aufsichtsrat. Quest’ultimo è semprre collegiale: i suoi componenti,
persone fisiche, devono essere almeno tre e non più di 9, 15 e 21 membri rispettivamente
nelle società a capitale inferiore a 3 milioni, superiore a 3 milioni e superiore a 20 milioni di
marchi.
In Francia i membri possono essere cooptati qualora il conseil de surveillance risulti
incompleto, in Portogallo il Conselho fiscal comprende uno o più revisori contabili.
La revoca dei membri dell’ Aufsichtsrat spetta all’assemblea a maggioranza qualificata.
Questo deve riunirsi almeno una volta ogni sei mesi.
Il controllo sulla gestione viene effettuato attraverso uno scambio costante di informazioni
di carattere generale o specifiche operazioni.
L’accoglimento del modello tedesco nell’ordinamento francese ha avuto scarso succecco
in ragione non solo della differenza culturale, ma anche e soprattutto in ragione dello
snaturamento che la società di tipo tedesco con amministrazione dualista ha subito nella
trasposizione dell’ordinamento francese: il legislatore francese ha attribuito maggiori poteri
al directoire sottraendo competenze non all’assemblea, ma al conseil de surveillance.
La carattersitica del sistema tedesco è quella della cogestione per le spa e srl con più di
2000 dipendenti e della cogestione per un terzoper le spa e srl con dipendenti da 500 a
2000: nella cogestione paritaria la metà dei membri del consiglio di sorveglianza deve
essere eletta dai dipendenti, nelle società con più di 500 dipendenti i rappresentanti dei
dipendenti sono pari a un terzo dei membri del consiglio di sorveglianza.
Anche in Francia è previsto che i rappresentanti dei lavoratori partecipino alle sedute del
cda o del conseil de surveillance, ma soltanto con voto consultivo, per cui non esercitano
un vero e proprio controllo economico sulla gestione dellee imprese come avviene in
Germania.
Per ciò che riguarda infine il rapporto tra amministratori e società nell’ordinamento
francese gli amministratori sono qualificati come mandatari, mentre in quello tedesco il
carattere di organo sociale degli amministratori e i suoi compiti sono definiti per legge.
Gli ordinamenti anglosassoni fanno riferimento agli istituti del trust e dell’agency per
qualificare singoli aspetti del rapporto di amministrazione, che si preferisce definire
fiduciary relationship, si ritiene che intercorra tra società e amministratori un vero e proprio
contract of service.
Dalla natura del rapporto che intercorre tra amministratori e società discende anche la
natura della responsabilità dell’amministratore: in alcuni paesi è considerata di natura
contrattuale per violazione del mandato, in altri è considerata contrattuale anche se il
riferimento al mandato è di tipo descrittivo più che sostanzaiale e gli obblighi scaturiscono
piuttosto dalla legge. Nei paesi anglosassoni si registra la tendenza a eliminare la
distinzione tra responsabilità contrattuale e extracontrattuale: si fa riferimento a
comportamenti contrari al duty of care, alla prudence e quindi integranti un tort of
inegligence. In ogni caso per il risarcimento dei danni arrecati alla società è prevista
un’azione sociale da esercitarsi da parte della stessa società.
Il capitale sociale delle spa è diviso in azioni, cioè in quote di partecipazione alla società di
ciascun azionista. La partecipazione è generalmente incorporata in un documento, titolo di
credito.
I diritti e le obbligazioni inerenti alla partecipazione incorporata nell’azione sono in molti
paesi indivisibili: i comproprietari dell’azione sono responsabili in solido delle obbligazioni
da esse derivanti e possono esercitare i loro diritti attraverso un rappresentante comune,
mentre in Olanda ogni comproprietario può esercitare i propri diritti sull’azione e opporsi
all’esercizio contemporaneo degli stessi da parte di altri comproprietari che hanno facoltà
di imporre un rappresentante comune.
Nei paesi di derivazione romanista le azioni devono avere valore nominale, mentre nel
sistema nordamericano è possibile emettere azioni senza valore nominale. Si registra
comunque una tendenza a svalutare l’importanza del valore nominale delle azioni di
società quotate , tenendo conto del dato realistico che la valutazione delle azioni si fonda
sugli utili attesi e sulla quotazione del titolo sul mercato, dunque su valori indipendenti dal
valore nominale.
La creazione di azioni speciali o privilegiate oltre quelle ordinarie è ammessa in tutti gli
ordinamenti, sebbene i differenti principi vigenti nei diversi paesi circa la struttura
finanziaria della società influiscano sull’apiezza delle possibilità di creare nuove categorie
di azioni: nei paesi romanisti tale facoltà appare limitata dalla presenza di norme
inderogabili che limitano le differenze di diritti tra le varie categorie e attribuiscono agli
azionisti diritti fondamentali identici; nei paesi di common law invece gli amministratori
hanno ampia facoltà discrezionale nell’emissione di azioni che attribuiscono diversi diritti e
privilegi circa il diritto di voto e distribuzione dei dividendi.
Nel diritto inglese le azioni privilegiate possono dar luogo a più categorie di azioni emesse
in periodi successivi, le azioni privilegiate partecipano alla ripartizione degli utili prima di
quelle ordinarie in ordine di emissione. Il diritto di voto, carattersitica facoltà attribuita al
socio, può essere limitato, del tutto escluso o attribuito più volte al possessore di ciascuna
azione. La regola generale è che ogni azione attribuisce un diritto di voto. Negli
ordinamenti di common law è possibile atttribuire un solo voto a ciascun azionista,
indipendentemente dal numero di azioni possedute, questo sistema si applica quando si
procede a votazione in assemblea per alzata di mano, gli azionisti dissenzienti possono
chiedere comunque che si proceda attraverso votazione per schede.
Le azioni a voto plurimo sono frequenti in America Latina, mentre incontrano espliciti
divieti negli ordinamenti di diritto civile.
Negli USA è diffuso il cumulative voting: per assicurare l’elezione degli ammnistratori
anche agli azionisti di minoranza, ciascun azionista ha numero di voti pari al numero delle
sue azioni moltiplicato il numero degli amministratori che devono essere eletti.
Il diritto di voto si è detto può anche essere limitato o escluso: può essere limitato per
azionisti di gross pacchetti azionari come accade in UK con il limited voting. Normalmente
la mancanza o la limitazione del diritto di voto è compensata dall’attribuzione di un
privilegio nella ripartizione degli utili o delle quote di liquidazione della società.
Per ciò che attiene alla obbligazioni deve essere innanzitutto detto che queste non
rappresentano quote di partecipazione alla società, come nel caso delle azioni e non
attribuiscono la qualità di socio, sono invece titoli rappresentativi di un diritto di credito e i
loro possessori sono dunque creditori della società emittente. Qualio creditori gli
obbligazionisti si differenziano da tutti gli altri creditori della società emittente, in quanto al
momento della sottoscrizione essi entrano a far parte di un gruppo organizzato che elegge
un fiduciario o rappresentante con compiti di tutela degli interessi dell’insieme degli
obligazionisti.
La capacità di emettere obbligazioni è in genere riconosciuta alle sole spa. In Francia è
inoltre richiesto che la società sia costituita da due anni e abbia due bilandi regolarmente
approvati; in Spagna possono emettere obbligazioni anche le sapa, mentre vige espresso
divieto per le srl in Belgio e Italia.
I diversi ordinamenti, a differenza di quello anglosassone fissano una serie di limiti
all’importo di emissioni di obbligazioni. Per quanto concerne il loro rimborso questo può
avvenire a valore nominale, con premio o può prevedere la convertibilità delle
obbligazioni in azioni. L’estinzione delle obbligazioni viene effettuata con le modalità
indicate nella scrittura di emissione: nell’UK e negli USA possono aversi casi di
obbligazioni non rimborsabili, né redimibili. Il modo più usuale di rimborso è
l’ammortamento: le obbligazioni vengono rimborsate gradualmente durante un periodo di
tempo prefissato. Negli USA si fa ricorso al sistema del sinking fund che consiste nella
consegna periodica di quantità di denaro da parte della società emittente ad un trustee,
che costituiscce e gestisce il relativo fondo e rimborsa tutte le obbligazioni in un’unica
soluzione.
Nelle spa il controllo può essere esercitato da organi interni delle società o da
professionisti esterni. Può inoltre essere previsto un controllo di tipo pubblicistico, che
viene svolto da organi statali o dall’autorità giudiziaria. In alcuni ordinamenti è previsto e
disciplinato un organo di tipo sondacale sul modello italiano, le cui funzioni tendono a
essere attribuite all’organo di amministrazione negli ordinamenti che sul modello tedesco
sdoppiano tale organo in direttorio e collegio di vigilanza.
Inoltre per le società a larga base azionaria che fanno appello al pubblico risparmio si è
affermata la tendenza a privilegiare l’attività di revisione esterna ad opera di professionisti
qualificati. Tale forma di revisione si aggiunge a qulla del collegio sindacale o del consiglio
di sorveglianza, realizzando in tal modo un’opera di controllo raddoppiata in nome di
differenti esigenze.
Negli ultimi anni di fronte all’inadeguatezza di molte discipline nazionali sui controlli interni
ed esterni delle società, emersa in seguito a casi di eclatante dissesto finanziario si è
sviluppata l’esigenza di rafforzare tali controlli.
Nei sistemi monisti si è affermata la tendenza ad incrementare la presenza di
amministratori privi di deleghe e di potere di rappresentanza con compiti di sorveglianza
sulla contabilità e la gestione della società; si è assicurata maggiore indipendenza e
professionalità ai revisori contabili per un più efficiente controllo interno non solo contabile
e finanziario, ma anche gestionale.
Per le società quotate in borsa o che fanno appello al pubblico risparmio si è richiesto
l’intervento di revisori pubblici: in Francia e in Danimarca dell’Istitut des Reviseurs
d’enterprises, in queste sosicetà i revisori hanno il compito di esaminare i conti annuali e la
relazione annuale, devono pertanto avvere accesso ai libri contabili, alla corrispondenza e
i resoconti della società e hanno diritto di ricevere relazioni da parte del cda. A ciò si
aggiunge in alcuni paesi, come in Belgio un generale potere di supervisione sulle attività
della società.
La legge svizzera consente all’assemblea generale di nominare, accanto ai revisori
ordinari, speciali commissari o peritii per l’esame della gestione o di singole parti di essa.
Quasi ovunque, ad eccezione della Svizzera è riconosciuta una terza forma di controllo,
svolta dall’esterno ad opera dell’autorità giurisdizionale o da organi amministrativi. In
Belgio e Lussemburgo il tribunale di commercio può su istanza di azionisti che
rappresentino il 20% del capitale, nominare ispettori perché investighino sui libri e sui conti
sociali; in Danimarca l’istanza deve pervenire da un gruppo qualificato dal 25% degli
azionisti, mentre la Francia si accontenta del 10%.
L’Olanda prevede l’effettuazione di un’ispezione del pm presso la Corte di appello di
Amsterdam; il companies act britannico prevede diverse forme di investigation ad opera
del Depratement of Trade.
Questo può dare incarico ad alcuni ispettori di procedere ad attività investigative su
istanza di non meno di 200 soci.
In tutti i paesi le società di capitali devono redigere, di solito al termine di ogni esercizio, un
bilancio da cui risulti il valore del patrimonio sociale e l’ammontare degli utili distribuibili al
termine dello stesso se vi sono.
Il bilancio è dunque uno dei principali strumenti posti dai diversi ordinamenti a tutela degli
interessi dei terzi e degli azionisti tanto di maggioranza quanto di minoranza.
Si possono individuare due sistemi di formazione del bilancio: nei paesi a cda monista,
esclusi quelli di common law, il bilancio è redatto dall’organo che sovraintende alla
gestione e controllato da un diverso organo e approvato dall’assemblea. I paesi a cda
dualista e i paesi di common law non riconoscono invece all’assemblea il potere di
approvare il bilancio.
Per quanto riguarda il contenuto, la struttura i criteri di valutazione e la pubblicità, questi
nei paesi europei sono adeguati alla normativa stabilita dalla specifica diretttiva in materia.
I conti devono fornire un quadro fedele della situazione patrimoniale, finanziaria e del
risultato economico della società, sono previsti schemi standard vincolanti per la redazione
dello stato patrimoniale e del conto profitti e perdite, nonché il contenuto minimo
dell’allegato e della relazione sulla gestione.
Principi analoghi vigono nell’ordinamento statunitense, dalla cui esperienza in materia
hanno attinto gli organi comunitari. A differenza dai paesi europei il diritto statunitense
attribuisce ad ogni azionista il controllo sul progetto di bilancio regolato dagli statutes dei
singoli stati.
Per quanto concerne i gruppi di società va detto che il fenomeno delle holding, del
controllo tra varie società riveste una peculiare importanza.
Il fenomenosi basa su una società, detta capogruppo la quale detiene pertecipazioni in
altre società secondo la struttura a stella o in alternativa a piramide. Compiti generalmente
affidati alla capogruppo sono quelli di gestione delle partecipazioni e di partecipazione
attiva alla gestione delle società partecipate, realizzando in tal modo il controllo su di esse
e ina direzione unitaria della grande impresa.
Nei diversi ordinamenti si rinvengono scarne discipline sui gruppi di società: in Francia la
definizione della nozione di controllo di una società su un’altra si basa sul possesso della
maggioranza dei diritti di voto, sull’esistenza del potere di nominare la maggiornaza dei
membri del cda. Anche la legge inglese si limita a fornire la nozione di controllo;
nell’ordinamento statunitense non esiste una normativa specifica statale o federale.
Tra le modifiche dell’ordinamento societario rientrano le delibere di trasformazione, fusione
e scissione. Si tratta di atti interni della società che possono cambiare interamente la sua
forma organizzativa trasformandola da un tipo all’altro, o cambiando interamente la sua
organizzazzione fondandola con un altro organismo societario.
La trasformazione può consistere in una trasformazione da società di persone in altra
società a base personale o in società di capitali, oppure di quella di capitali in altra società
di capitali o a base personale. La netta distinizione tra partnership e companies negli
ordinamenti anglosassoni impedisce allo stesso ente di modificare la propria
organizzazione in modo da passare dall’una all’altra forma: la trasformazione viene
disciplinata solo all’interno delle stesse categorie.
Negli altri ordinamenti è consentita la trasformazione delle società da organismi a base
personale a società di capitali.
La fusione è stata introdotta nei paesi dell’UE a seguito della direttiva III in materia di
società, la quale ne considera due forme: fusione mediante incorporazione, cioè
l’operazione attraverso cui una o più società tramite uno scioglimento senza liquidazione,
trasferiscono ad un’altra l’intero patrimonio attivo e passivo mediante l’attribuzione agli
azionisti della o delle società incorporate di azioni della incorporante e la fusione mediante
costituzione di una nuova società, cioè l’operazione con la quale più società tramite il loro
scioglimento senza liquidazione trasferiscono ad una nuova società che esse
costituiscono l’intero patrimonio attivo e passivo mediante attribuzione ai loro azionisti di
azioni della nuova società.
Anche per la scissione sono previste due forme: scissione mediante incorporazione e
scissione mediante costituizione di una nuova società.
I diversi ordinamenti prevedono che al verificarsi di talune circostanze, dette cause di
scioglimento della società, il rapporto societario si sciolga e la spa entri in fase di
liquidazione.
Le cause di scioglimento sono operanti in alcuni casi per espresso richiamo delle norme in
materia, in altri casi per applicazione dei principi vigenti nei diversi ordinamenti sullo
scioglimento del rapporto obbligatorio.
Cause di scioglimento della società:
- scadenza del termine di durata previsto dallo statuto, se previsto;
- conseguimento dell’oggetto sociale;
- impossibilità di conseguimento dell’oggetto sociale;
- riduzione del numero minimo dei soci;
- perdita del capitale sociale;
- insolvenza che determina il fallimento;
- inattività
- invalidità dell’atto costitutivo
È generalmente riconosciuta la facoltà dei soci di prevedere nello statuto altre cause di
scioglimento oltre quelle previste nei vari ordinamenti. Al verificarsi di una delle cause la
società entra nella fase di liquidazione, il cui principale effetto è quello per cui l’organo
amministrativo cessa la sue funzioni.
Il procedimento di liquidazione è finalizzato alla liquidazione del patrimonio sociale
attraverso varie fasi: monetizzazione dell’attività, estinzione delle passività, distribuzione ai
soci di eventuali residui.
Tutti gli ordinamenti disciplinano dettagliatamente le operazioni di liquidazione
nell’interesse dei soci e dei terzi. In alcuni casi è possibile scegliere tra procedimento
legale di liquidazione e liquidazione cd amichevole, meno complessa.
Alcuni ordinamenti prevedono diversi procedimenti fissando condizioni alle quali ricorrere
a ciascuno di essi.
Al termine delle operazioni di liquidazione si procede alla cancellazione della società dai
registri.

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