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Vladimir Răducioiu 

Quando si pensa ad un mago, un risvegliato, si immagina di avere a che fare con un individuo
virtuoso, che persegue il proprio Cammino e gli ideali del proprio Ordine vivendo un’esistenza al di
sopra di quella dei comuni sognatori. D’altronde se si è in grado di padroneggiare poteri tanto vasti e
disparati, che senso ha spacciarsi per quello che non si è più?

Vladimir “Edoardo” Răducioiu, è quello che molti nella nostra società potrebbero ritenere un
ratto, uno scarafaggio, un invisibile o più semplicemente uno scarto. Nato circa 30anni
orsono a Bucarest, in Romania, la sua famiglia (i genitori, lui e le sue due sorelle) si trasferì
durante la sua adolescenza in Italia, alla ricerca di migliori opportunità di lavoro. Suo padre
era un muratore e sua madre una semplice casalinga che di quando in quando andava a
fare la domestica per privati. Il periodo delle superiori lo ha trascorso a Milano, in uno dei
peggiori quartieri (l’unico con gli affitti alla portata dei Răducioiu). Il suo vecchio, dovendosi
trasferire di volta in volta per seguire i cantieri della ditta, non è mai stato particolarmente
presente a casa e questo ha fatto si che Vlad ricercasse un punto di riferimento in quelli che
erano i ragazzi più grandi e violenti del circondario. Frequentava principalmente “stranieri”:
marocchini, rumeni, albanesi e via discorrendo, in quanto gli italiani non avevano
particolarmente piacere a mischiarsi con gente dell’est Europa. Tra i 14 e i 17 anni, ha
condotto la classica vita di un figlio di immigrato che si sente isolato dal tessuto sociale che
lo circonda. Non frequentava particolarmente la scuola, e quando lo faceva era più il tempo
che trascorreva fuori dalla porta che seduto al suo banco. Nel corso del tempo, su consiglio
dei più “grandi”, ha cominciato per farsi qualche soldo spacciando dalle droghe leggere fino
ad arrivare alle più pesanti. La violenza faceva parte della sua quotidianità, sia dentro che
fuori casa. Lui e il padre, quand’era presente a casa, spesso finivano alle mani e con la
madre non riusciva ad aver alcun tipo di comunicazione, nonostante ella desse anima e
corpo per lui. Le sorelle erano le uniche con cui ogni tanto comunicava ma, forse per una
consapevolezza interiore che il percorso di vita che stava conducendo non fosse dei migliori,
le teneva lontane. Era un ragazzo perduto, che sempre di più si voleva sentire vivo nel
sottomettere gli altri ed ingannare la società, sentirsi un re senza trono.
Mentre lavorava con una baby-gang, un giorno si spinse troppo oltre, e durante un furto in
motorino, lui ed un suo amico, strattonarono troppo un’anziana signora che sbatte
violentemente la testa e finì in coma. Ella era la madre di un importante politico di destra
locale, che fece nascere un mini scandalo circa le attività delle bande di immigrati nel
quartiere. Finito al centro di questo scandalo mediatico, ne finì risucchiato. Lui finì in carcere
minorile assieme, mentre l’altro ragazzo, che era un sedicenne ed in quel momento stava
solo guidando il mezzo, riuscì a cavarsela. Il padre non volle più avere niente a che fare con
lui così e fece trasferire tutta la famiglia in un'altra città.
Gli anni in carcere, che da prima dovevano essere pochi, divennero molti e fu trasferito
presso la Casa di Reclusione di Milano Opera raggiunti i 18 anni. La vecchia che era in
coma morì e da aggressione l’accusa volle spostare l’attenzione del caso ad omicidio.
Difeso da un semplice avvocato tirocinante che mai avrebbe potuto tenere testa ad un
collega con esperienza, si beccò il massimo della pena.
Opera è sempre stato celebre per essere un carcere in pessime condizione igenico-sanitarie
e con scarsa qualità del personale di sicurezza (da un punto di vista umano). Questo
riguardava soprattutto le prigioni nel “basement”, sotto il livello della strada, spesso sporche
di fango e praticamente mai ripulite a dovere. Là vi facevano alloggiare solo i peggiori
criminali o coloro che, per qualche motivo, non stavano particolarmente a genio al direttore.
Vlad si distinse fin da subito, a causa di una forte dipendenza da alcune sostanze
stupefacenti che non poteva trovare alcuno sfogo là dentro, come un individuo difficile con
cui trattare: un degno ospite di quel luogo.
Non avendo sostanzialmente nessuno a cui appoggiarsi all’esterno e non avendo la minima
consapevolezza di come funzionasse il sistema giuridico italiano in tema di tutela del
detenuto, non gli furono mai date delle adeguate cure. Come se non bastasse, a causa della
instabilità mentale, finì spesso a litigare con prigionieri con cui era meglio non avere a che
fare. Fu descritto a più riprese come un violento, sovversivo ed incapace di stabilire normali
rapporti interpersonali con chiunque.
Isolato, la sua vita divenne pari a quella di una muffa nell’oscurità. Inizialmente le sue
giornate trascorrevano nel silenzio, intervallate semplicemente dalle grida degli altri ospiti o
dei secondini, poi qualcosa cominciò a cambiare.
Tutto cominciò con un topo. Un piccolo roditore che, entrato da una fessura minuta
all’interno della cella, tentò di interagire con l’uomo, forse nella speranza di poter ricevere
qualche briciola del suo pasto. Era l’ennesima giornata in cui Vlad aveva finito per fare a
botte con alcune persone, il suo viso era gonfio e tra le mani gli era semplicemente rimasto
un tozzo di pane della sua razione giornaliera. Non aveva assolutamente le forze di
scacciare la bestia che aveva invaso il suo spazio spossato com’era; si limitò semplicemente
ad osservarlo incantato, come fosse l’unico intrattenimento che avesse a disposizione.
Pensò al ratto e questo lo fece pensare a sé stesso. Il ratto nonostante la breve vita ed il
dover competere per il cibo con una grandissima quantità di suoi simili, scalciava per non
perire, il ratto piuttosto che rimanere terrorizzato dinanzi alla grande figura dell’umana, si
esponeva al rischio pur di fare quel passo in più verso la sopravvivenza di sé stesso e della
propria specie. Che differenza c’era tra gli uomini ed i topi? Perché lui non si era ancora
impiccato come molti? Perché cercava di campare nonostante per lui non ci fosse più
niente, nonostante fosse un semplice omuncolo insignificante?
Allungò il proprio pane al topo. Il topo prese il pane e nella foga di volerne prendere il più
possibile, avido, morse Vladimir. Vladimir ormai era abituato al dolore, eppure quel tipo di
dolore era diverso rispetto ad un pugno in faccia, era il dolore di chi rimaneva deluso dopo
aver sacrificato parte delle proprie risorse per il bene di qualcun altro. Fece per alzare la
mano per percuotere il ratto, ma si fermò a fissare le gocce di sangue che si gonfiavano sul
palmo, per poi scivolare dalla mano e bagnare il terreno si ritrovò improvvisamente a
comprendere sua madre. Sangue versato e delusione.
Scambio uno sguardo con gli occhi di colui che l’aveva tradito, ed in quel momento gli venne
da ridere, una pura risata di cuore. Il significato della vita era semplicemente vivere.
Sopravvivere agli altri ed essere veicoli per un qualcosa di più vasto. I batteri avrebbero
presto digerito il suo sangue e la sua biomassa sarebbe semplicemente passata ad un altro
essere vivente. Una parte di sé si sarebbe convertita in atomi, proteine e dna di qualcun
altro. Gli scienziati stimano che il numero di atomi presenti in natura oscilli tra  1079 e 1081. E’
un numero costante, che impone un costante ricambio e conversione nella materia e nella
vita. Nei numerosi processi biotici e abiotici questi sono convertiti a mattoni di qualcun altro o
qualcos’altro. I capelli che da piccolo si era tagliato, contenenti cheratina, erano stati
riprocessati sottoforma di altre molecole nel corpo di un neonato. Quella volta che aveva
sputato nel viso di un tipo a scuola aveva sputato del Ferro che era entrato stato usato in
seguito usato nel guscio di un mollusco. E poi lo vide, il filo che connetteva lui ed il topo,
parte di quel topo, in via indiretta, dopo molti processi di intermezzo tra una grandissima
quantità di microorganismi, conteneva alcuni atomi e protezione che erano derivati dallo
sperma della prima volta che si era masturbato.
Il topo era un suo figlio, in una qualche misura. E tutti erano parte di lui e lui di tutti. E fu in
quel momento che cominciò a sentire il richiamo della Torre ed a svegliarsi da un lungo
torpore.
Nei successivi anni, con questa rinnovata consapevolezza, iniziò ad usare quella sua
condizione isolata come un modo per approfondire il mondo. L’unico luogo a cui poteva
avere accesso era la biblioteca (dove c’erano alcuni computer) e la palestra. E quando non
si allenava leggeva, leggeva tutto il possibile. Aveva bisogno di comprendere ancor più a
fondo le implicazioni di quanto aveva compreso e dare un nome a quelle cose. Questo lo
portò ad una maggiore dissociazione dal resto dei detenuti, che per lui orami facevano parte
di un grande organismo unico.
Nell’oscurità della sua cella, venne una seconda rivelazione. L’anima non batte solo nel
cuore dei viventi, ma anche in quello di ciò che li circonda, dell’inanimato. Iniziò a parcepire il
battito della prigione e ne percepì il “respiro”.
Uscì da quella prigione all’età i 30 anni, esattamente il giusto momento, all’apice dei suoi
studi e della sua analisi di sé stesso e del circondario. Nel farlo si sentì di star
abbandonando un vecchio amico.
Viaggiò verso Bologna ed iniziò ad interagire con altri individui che sembravano essere
risvegliati. Incontrò quindi i Mysterium che si presentarono a lui come un gruppo di maghi
che, pur non avendo la stessa visione, cercavano una risposta a qualcosa tanto quanto lui.
Vlad al momento vive come un senzatetto, ai limiti della società, eppure non vede niente di
male in questo. Lui si gode la vita, la gioia di scopare, di picchiare e di percepire la vita come
qualcosa che potrebbe stringere in pugno e da essa essere stretto, lo manda in estasi e non
ha bisogno di niente di più di questo, di vivere.

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