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Il Palazzo Ducale di Genova (in ligure Paxo /ˈpaːʒu/, contrazione dell'antico termine
Palazzo Ducale di Genova
Paraxo /paˈɹaːʒu/[1]) è uno dei principali edifici storici e musei del capoluogo ligure, già
sede del dogato dell'antica Repubblica.
Lasciato in abbandono per lungo tempo e adibito a sede degli uffici giudiziari prima della
costruzione negli anni settanta del nuovo palazzo di giustizia di Portoria, ha visto
completare il suo restauro in occasione delle "Colombiadi" del 1992, con cui vennero
commemorati Cristoforo Colombo e il cinquecentenario della scoperta dell'America.
Ospita al piano nobile importanti mostre d'arte, dibattiti e convegni (organizzati nelle sale
affrescate del Maggior e del Minor Consiglio) e, nei cortili e porticati, negozi e punti di La facciata del Palazzo Ducale su
ristoro.
Il palazzo è gestito dalla fondazione "Genova Palazzo Ducale Fondazione per la piazza Matteotti
Cultura"[2] che ha suddiviso gli spazi in molteplici funzioni. Al suo interno si possono Localizzazione
verificare eventi anche contemporaneamente[3] in spazi dedicati. All'interno del palazzo si
trovano anche le sedi di molte associazioni culturali[4]. Nel 2001 vi si sono riuniti a Stato Italia
congresso i capi di Stato e di governo convenuti a Genova per il G8.[5] Regione Liguria
Località Genova
Indirizzo Piazza Matteotti, 9
Indice Coordinate 44°24′25.69″N
Storia 8°55′57.87″E
Le origini Informazioni generali
Il Trecento e il Quattrocento Condizioni In uso
La fabbrica del Vannone
Costruzione XIV-XVIII secolo
L'incendio del 1777
L'Ottocento e il Novecento Distruzione 1777
Dal restauro del 1992 all'epoca contemporanea Ricostruzione 1778-1783
Note
Bibliografia
Voci correlate
Altri progetti
Collegamenti esterni
Storia
Le origini
La costruzione del Palazzo Ducale ha inizio alla fine del XIII secolo quando, in seguito alle
vittoria contro Pisa (nel 1284 alla Meloria) e contro Venezia (nel 1298 a Curzola), Genova vedeva
accrescere la propria potenza militare ed economica nel Mediterraneo.[6][7] A quel tempo la città
era organizzata in base alla Compagna Communis, che provvedeva alla nomina dei capitani del
Popolo. Fino al 1291 però i capitani e gli altri rappresentanti del Comune non disponevano di una
sede propria ma erano ospitati nel Palazzo arcivescovile o in vicine abitazioni private
appartenenti alle famiglie Doria e Fieschi.[7]
Nel 1291 i capitani del Popolo Corrado Doria e Oberto Spinola acquistarono gli edifici di
proprietà dei Doria che si affacciavano sulle odierne salita dell'Arcivescovado e via Tommaso Le arcate della loggia degli abati
Reggio e tre anni più tardi fu acquistato anche l'adiacente palazzo di Alberto Fieschi, dotato di
una torre in seguito detta "Grimaldina", già utilizzato come sede dai capitani del Popolo a partire
dal 1272 a causa dell'esilio dell'aristocratico. L'accorpamento portò alla realizzazione del palazzo degli abati, del quale è visibile parte
del loggiato su via Tommaso Reggio.[7]
Non esistono testimonianze iconografiche precise dell'aspetto che doveva avere il palazzo in quel periodo, ma secondo la
ricostruzione di Orlando Grosso, che ne curò il restauro negli anni trenta del XX secolo, doveva avere una pianta trapezoidale, con il
lato sud verso via Tommaso Reggio lungo 44 metri, il lato nord di 50, il lato ovest su salita dell'Arcivescovado di 20 metri e il lato a
est di 36 metri. Doveva avere un'altezza complessiva di circa 25 metri suddivisa su tre piani, di cui il piano terra ospitava un
porticato mentre sui piani superiori si aprivano delle quadrifore. Al centro del prospetto sud si innalzava la torre Grimaldina di sei
piani di altezza.[8][9]
Il Trecento e il Quattrocento
Il palazzo, che con la nomina nel 1339 del primo doge genovese Simone Boccanegra aveva assunto il nome di "ducale",[6] subì una
serie di trasformazioni a partire dalla seconda metà del XIV secolo per volere del doge Antoniotto Adorno. L'edificio venne
ingrandito con l'aggiunta di nuovi corpi di fabbrica a est, a formare una sorta di "C" intorno all'odierna piazza Matteotti, e a nord,
fino a occupare uno spazio corrispondente all'attuale corpo centrale. Gli interventi voluti dall'Adorno non variarono l'accesso
principale del palazzo, che continuò a essere mantenuto su via Tommaso Reggio.[10]
Una nuova importante trasformazione ebbe luogo verso la metà del secolo successivo con la costruzione della cosiddetta "cortina",
un corpo di fabbrica destinato a ospitare la guarnigione che collegava le ali a est e a ovest di piazza Matteotti, di fatto trasformando la
piazza in un cortile fortificato e rendendo il palazzo una sorta di cittadella del potere isolata dal resto della città. Non si conosce con
esattezza la data di realizzazione della cortina, ma la nomina nel 1470 di un "capitano della porta di palazzo" fa pensare che a quel
tempo la sua costruzione fosse terminata. Con la realizzazione della nuova ala infatti venne chiuso l'accesso da via Tommaso Reggio
e il nuovo ingresso venne posto al centro della nuova costruzione.[10]
Nel XVI secolo le riforme volute da Andrea Doria avevano modificato la struttura politica della
città, che era allora governata da un Maggior Consiglio di quattrocento senatori e da un Minor
Consiglio, mentre il doge non era più eletto a vita ma restava in carica solo due anni. Il desiderio
di disporre di una sede che rispecchiasse il prestigio e l'organizzazione gerarchica della signoria,
unitamente all'esigenza di una fortezza che mantenesse il governo al riparo da intrighi e colpi di
stato,[11] portarono il senato ad affidare nel 1591[12] all'architetto Andrea Ceresola - detto "il
Vannone" - l'incarico di ristrutturare completamente il palazzo.[6][13][14]
Il piano nobile del palazzo. 1.salone
Il Vannone collegò e trasformò l'insieme di edifici medievali e di eterogenei corpi di fabbrica
del Minor Consiglio; 2.salone del
costruiti in epoche successive in un palazzo-fortezza in stile manierista. A lui si deve la
Maggior Consiglio; 3.appartamento
realizzazione del grande cortile del piano terra, coperto da una volta a padiglione e su cui si del doge; 4.cappella
aprono due cortili porticati, e l'imponente scalone che conduce al piano superiore dove si
trovavano gli ambienti di rappresentanza, il salone del Maggior Consiglio e quello del Minor
Consiglio e gli appartamenti del doge.[6][13] Ingrandì inoltre la cortina che chiudeva piazza Matteotti e presidiava l'accesso al palazzo,
innalzandola fino a tre piani di altezza e dotandola sul lato interno di un loggiato che doveva avere la duplice funzione di svago per i
soldati della guarnigione e di tribuna per gli spettatori che da lì potevano assistere alle cerimonie e alle manifestazioni che avevano
luogo nel cortile del palazzo.[10]
Nell'anno 1700 fu indetto un importante concorso per le decorazioni delle sale del Maggiore e Minor consiglio, finanziate dalla
famiglia dei marchesi Giustiniani, cui parteciparono i maggiori pittori genovesi dell'epoca, Domenico e Paolo Girolamo Piola,
Lorenzo De Ferrari, Domenico Parodi, cui tuttavia furono preferiti il bolognese Marcantonio Franceschini e il napoletano Francesco
Solimena[15].
Nuovi importanti lavori di trasformazione ebbero luogo nel 1778, dopo che il 3 novembre dell'anno precedente un violento incendio
aveva distrutto gran parte del corpo centrale dell'edificio, del quale si erano salvati solo l'atrio al piano terra e lo scalone che conduce
al piano nobile.[16][17]
Per la ricostruzione fu rapidamente bandito un concorso, al quale furono invitati a partecipare Giacomo Maria Gaggini, Gregorio
Petondi ed Emanuele Andrea Tagliafichi, tra i più noti architetti attivi a Genova in quegli anni.[17] Il concorso fu però vinto
dall'architetto ticinese Simone Cantoni, convinto a partecipare dal fratello Gaetano, che ideò una facciata marmorea che rappresenta
uno dei primi esempi di stile neoclassico a Genova. I lavori di ricostruzione ebbero luogo tra il 1778 e il 1783 sotto la supervisione di
Gaetano Cantoni e oltre alla facciata riguardarono il rifacimento in stile neoclassico dei saloni del Maggior e del Minor Consiglio, le
cui coperture in legno erano state danneggiate dall'incendio. Le nuove coperture furono realizzate in mattoni, al fine di metterle al
riparo da eventuali nuovi incendi.[17]
L'Ottocento e il Novecento
Il 1815, con l'annessione di Genova e della Liguria al Regno di Sardegna, segnò la fine della
Repubblica di Genova e il palazzo perse la sua funzione di sede del governo e i suoi locali furono
utilizzati come aule giudiziarie, uffici e archivi come nuova sede della magistratura, ruolo che
continuò a mantenere fino al 1975.[18]
Negli anni quaranta dello stesso secolo, nel corso dei lavori di rifacimento di via San Lorenzo, fu
demolita la cortina che chiudeva la piazza d'armi del palazzo e la facciata di Simone Cantoni fu
resa visibile alla città. Alcuni anni dopo, nel 1861, l'ingegnere del genio civile Ignazio Gardella
senior lavorò alla ristrutturazione delle ali laterali che circondavano piazza Matteotti, ampliando
e rettificando l'ala a ovest e ricostruendo le facciate dei due edifici.
Una nuova campagna di restauri ebbe luogo nei primi decenni del XX secolo a opera di Orlando
Grosso. I suoi interventi più rilevanti riguardarono i prospetti su via Tommaso Reggio, dove
furono riportati alla luce, seguendo la politica neomedievalista in vigore all'epoca, la loggia degli
abati e altri resti degli edifici medievali che erano stati coperti da una lineare facciata manierista L’ala esteriore di palazzo Ducale,
dal Vannone, e la facciata su piazza De Ferrari, che venne completamente ristrutturata e rivolta verso piazza Nuova (attuale
ridipinta.[19][20] piazza Matteotti) e che nascondeva
alla vista la facciata neoclassica,
Nel 1942 il palazzo venne parzialmente danneggiato, in particolare tra il corpo centrale e l'ala a così come appariva nella prima
ovest, durante uno dei bombardamenti della città effettuato dagli Alleati durante la seconda metà del XIX secolo. Acquerello di
guerra mondiale.[21] Pasquale Domenico Cambiaso.
Il palazzo è stato oggetto di un completo intervento di restauro, conclusosi nel 1992 in occasione
delle "Colombiadi", a cura dell'architetto genovese Giovanni Spalla. Tale restauro ha cercato di
valorizzare le architetture cinquecentesche del Vannone, come l'atrio voltato, e allo stesso tempo
di conservare gli interventi preesistenti che facessero parte della storia dell'edificio, come il
prospetto su piazza De Ferrari e i reperti medievali riportati alla luce da Orlando Grosso
modificando la struttura vannoniana.[6][19][20][22]
In seguito al restauro, il palazzo è stato aperto al pubblico e adibito a museo e palazzo della L'ala est su piazza Matteotti
cultura. A partire dall'8 febbraio 2008 il palazzo è gestito dalla "Genova Palazzo Ducale
Fondazione per la Cultura".[23] Oltre ad alcune attività commerciali ospita periodicamente
manifestazioni, conferenze e importanti mostre d'arte.[22][24]
Nel 2001 nel Palazzo Ducale si sono tenute le riunioni del vertice del G8 di Genova.[5]
Descrizione
L'esterno
Nato dall'aggregazione di una serie di edifici medievali e ingrandito nel corso dei secoli con la costruzione di nuovi corpi di fabbrica,
il palazzo presenta una pianta irregolare che copre un'estensione complessiva di circa trentacinquemila metri quadrati e uno stile
eterogeneo tra le diverse facciate.[25] È situato al limitare del centro storico sulla sommità della collina di San Domenico, a pochi
passi dalla cattedrale di San Lorenzo e dal palazzo della curia arcivescovile, ed è possibile accedervi attraverso l'ingresso principale
su piazza Matteotti, su cui si apre la facciata neoclassica di Simone Cantoni, o attraverso gli ingressi su piazza De Ferrari a est.[26]
I palazzi medievali
I corpi più antichi del palazzo sono quelli del lato occidentale che si affacciano su via Tommaso
Reggio e su salita dell'Arcivescovado e che costituivano il palazzo degli abati e il palazzo di
Alberto Fieschi, con annessa la torre Grimaldina. Degli edifici medievali sono visibili, sul
prospetto verso via Tommaso Reggio, le arcate a sesto acuto della loggia del palazzo degli abati e
di Palazzo Fieschi.[19] Tali arcate si trovano a circa due metri di altezza rispetto al piano stradale,
a causa dell'abbassamento del suolo realizzato nel XIX secolo per consentire il raccordo con via
San Lorenzo, e furono ricostruite da Orlando Grosso durante l'intervento del restauro da lui
eseguito nel 1935. In precedenza il prospetto su via Tommaso Reggio presentava invece una
facciata manierista realizzata dal Vannone nel XVI secolo, parzialmente demolita da Orlando I pontini aerei tra Via Reggio e salita
Grosso per recuperare le sottostanti architetture medievali secondo i canoni restaurativi all'Arcivescovado
dell'epoca. I lavori di Grosso hanno anche comportato importanti lavori di consolidamento delle stanze
interne, necessari in seguito all'indebolimento della facciata, e l'apertura di quadrifore in parte cieche in
quanto non combacianti con le strutture interne.[19]
Le facciate manieriste
I prospetti su salita dell'Arcivescovado e su salita del Fondaco, rispettivamente a ovest e a nord del
palazzo, conservano in gran parte le caratteristiche manieriste dei lavori eseguiti alla fine del XVI secolo Dettaglio della facciata
dal Vannone. Essi presentano un'alta facciata liscia, priva di decorazioni e ricoperta da un intonaco manierista su salita del
chiaro, sulla quale si apre una serie di finestre, quasi tutte di forma rettangolare, osservando le quali è Fondaco
possibile ritrovare facilmente la posizione delle stanze interne. A metà del prospetto su salita del
Fondaco si trovano tre ampie finestre ad arco, che individuano il pianerottolo in cima alla prima rampa
delle scale che conducono al piano nobile. Ai lati di queste e a un'altezza maggiore altri finestroni ad arco si trovano in
corrispondenza dei pianerottoli tra le seconde e le terze rampe dello scalone.[28]
Il prospetto sud-ovest del corpo centrale, che si apre su piazza Matteotti, presenta l'imponente facciata neoclassica ideata da Simone
Cantoni in seguito all'incendio del 1777. Benché questo prospetto abbia rappresentato per secoli l'accesso principale al palazzo fino al
1834, esso era nascosto alla vista dalla cortina che chiudeva la piazza e iniziò ad affacciarsi verso la città solo in seguito al suo
abbattimento.[10]
Un visitatore del 1818 descrive in questo modo l'impressione che si ha della facciata dopo aver oltrepassato la cortina ed essere
entrati nella piazza d'armi interna:
«Entrando nel cortile ammirasene la bella interna prospettiva formata da due ordini
dorico e ionico, con otto colonne in istucco raddoppiate sopra piedistalli di marmo
bianco, e una galleria con balaustri di marmo pur bianco a ciascuno. Otto statue
parimenti di stucco veggonsi collocate al di sopra di nicchie e, alla corona dell'edifizio,
una quantità di trofei in altrettanti gruppo corrispondenti […]. La piazza anteriore, ossia il
cortile, è lungo e largo dugento e più palmi.[29] La facciata principale con la porta unica
d'ingresso è al mezzogiorno o piuttosto a libeccio rivolta […]. Dal cortile per una
La facciata neoclassica su piazza
maestosa scala a piè della quale sono due piedistalli di marmo ov'erano le statue
Matteotti
colossali di Andrea Doria e di Gio Andrea suo nipote – la prima del Montorsoli fiorentino
e l'altra di Taddeo Carlone, nel 1797 dal furor di popolo abbattute – per vasta e ferrata
porta, nel suo grand'arco e sottosopra tutta di marmi bianca incrostata, entrasi nell'atrio
[…]»
La facciata cantoniana è organizzata in altezza su tre livelli e presenta una rigida simmetria rispetto all'asse verticale che attraversa il
portone d'accesso, accentuata dalla bicromia degli elementi in marmo e di quelli in stucco lucido.[17]
Al livello inferiore sopra uno zoccolo di pietra rosa di Verezzi si alzano otto coppie di colonne sporgenti rispetto alla parete in finto
bugnato realizzato in stucco lucido. Tra le colonne si aprono sei grandi finestre sormontate da altrettante finestrelle, che forniscono
luce all'atrio interno, e al centro un imponente portone arcuato dotato di due ante ferrate chiodate. I caratteristici battiporta a forma
di tritone furono rubati nel 1980 e sono stati sostituiti da copie.[30]
Conduce verso l'ingresso una rampa d'accesso composta da una gradinata centrale in marmo, posta in asse con il portone, e da due
rampe laterali in pietra e mattoni, chiuse sul lato esterno da una balaustra, che danno l'idea di racchiudere la gradinata al centro. Ai
lati della scala marmorea si trovano due grandi basamenti in marmo che un tempo ospitavano due monumentali statue di Andrea
Doria e di suo nipote Giovanni Andrea Doria. Le statue, realizzate rispettivamente da Giovanni Montorsoli nel 1540 e da Taddeo
Carlone nel 1601, furono abbattute durante i moti del 1797 e dopo un restauro nel 2010 sono state ricollocate in cima alla prima
rampa dello scalone che dall'atrio conduce al piano nobile.[30][31][32] Sul basamento a ovest è stata collocata una lapide per ricordare lo
studente greco Kōstas Geōrgakīs che si uccise davanti al palazzo nel 1970 per protestare contro l'allora situazione politica greca.[30]
Il secondo livello orizzontale della facciata, corrispondente al piano nobile, è separato dal primo
livello da un fregio e una cornice in marmo sormontati da una balaustra sempre in marmo e
riprende gli elementi del livello inferiore, con le otto coppie di colonne sporgenti e le pareti in
finto bugnato, il cui colore e profondità sono meno accentuati che nel piano inferiore per un
migliore effetto prospettico. Nel progetto di Cantoni la serie di colonne doveva avere la duplice
funzione di decorazione della facciata e di contrafforti per le strutture interne. Tra le colonne si
aprono sette ampie finestre, le tre centrali sormontate da una finestrella cieca.[17]
Il terzo livello, nuovamente separato dal precedente da fregio, cornice e balaustra in marmo,
presenta in corrispondenza delle colonne inferiori una serie di otto lesene dotate di nicchie che
Particolare dello stemma del Regno
ospitano altrettante statue e sormontate da gruppi scultorei al centro dei quali, in asse con il di Sardegna posto sulla sommità
portone di ingresso, spicca lo stemma di Genova.[17] della facciata dopo l'annessione di
Genova
Le ali laterali
Le due ali che racchiudono a est e a ovest piazza Matteotti furono ristrutturate nel 1861 dall'ingegnere Ignazio Gardella senior, in
seguito alla demolizione della cortina che chiudeva il lato meridionale del palazzo. I prospetti di testa delle due ali furono ricostruiti a
imitazione della facciata del Cantoni, con un ampio zoccolo al di sopra dei quali si innalzano due ordini di colonne sporgenti, tra le
quali spiccano le finestre e la parete in finto bugnato, mentre i prospetti laterali della ali verso piazza Matteotti sono semplicemente
intonacati.[18]
La torre Grimaldina
L'interno
Il principale ingresso verso l'interno del palazzo è rappresentato dal grande portone che si affaccia su piazza Matteotti e conduce
all'atrio porticato realizzato dal Vannone. Da esso è possibile salire lo scalone in marmo che conduce al piano superiore o
raggiungere a ovest il sistema di rampe che collega tutti i piani dell'edificio. Questa struttura, denominata "strada appesa", è stata
progettata dall'architetto Giovanni Spalla durante il restauro nel 1992 e collocata negli ambienti danneggiati durante i
bombardamenti del 1942. Essa si presenta come una scala elicoidale in acciaio sorretta da un sistema di tiranti collegato a una trave
reticolare e si sviluppa lungo tutti i quaranta metri di altezza dell'edificio permettendo l'accesso ai vari livelli, dal piano interrato
della cisterna maggiore fino alle carceri e alla torre Grimaldina.[6][37][38]
I piani interrati
Scendendo lungo la "strada appesa" si raggiungono i due livelli inferiori del
palazzo, posti al di sotto del piano dell'atrio voltato. Il più profondo dei due
livelli prende il nome dalla "cisterna maggiore", l'ambiente più notevole di
questo piano recuperato durante il restauro del 1992. Si tratta di un'ampia
sala, posta in corrispondenza del cortile maggiore del piano terra,
sormontata da volte a crociera che poggiano su otto pilastri in pietra.
Originariamente era la maggiore delle tre cisterne d'acqua del palazzo,
disposta in modo da raccogliere le acque del soprastante cortile maggiore, e
insieme alle cisterne poste sotto il cortile minore e sotto la piazza d'armi
doveva garantire l'approvvigionamento idrico del palazzo in caso di assedio.
Il restauro di questo ambiente e degli altri locali del piano ha anche
permesso alcune importanti scoperte archeologiche sulla storia del palazzo,
come resti di edifici medievali inglobati nella mura del palazzo
Particolare del portone
cinquecentesco e le fondamenta di un grande torrione bassomedievale del Lo scalone con lo stemma
quale si ignorava l'esistenza.[37][39] della Repubblica di
Genova.
Salendo di un piano ci si trova al livello di piazza Matteotti e nel piano al di sotto dell'atrio e dei
porticati. Si trovano qui le stanze dell'antico palazzo del Comune e del palazzo degli abati, del quale sono
visibili le arcate della loggia da salita dell'Arcivescovado. In corrispondenza della sottostante cisterna maggiore e proprio al di sotto
del cortile maggiore si trova la "sala del monizioniere", un'ampia sala con volta a crociera sorretta da otto pilastri in pietra, realizzati
in corrispondenza dei pilastri del piano sottostante. I pilastri sono sormontati da capitelli di diversa forma, che il Vannone riutilizzò
recuperando il materiale proveniente dalla demolizione delle strutture medievali. Questo locale era in origine utilizzato come
magazzino non solo per armi e munizioni, da cui deriva il suo nome, ma anche per olio, vino, legname, come stalla e come rimessa
per lettighe e portantine.[40][41]
A fianco della sala del monizioniere e al di sotto dell'atrio voltato si trovano le stanze del sottoporticato, anch'esse voltate a crociera e
sorrette da pilastri in pietra. Come la sala precedente questi spazi erano in origine utilizzati come magazzino per tutto ciò che poteva
essere utile per garantire l'autonomia del palazzo in caso di assedio e in seguito al restauro del 1992 sono utilizzati come spazi
espositivi per mostre e manifestazioni. I locali sono raggiungibili, oltre che tramite la "strada appesa", attraverso delle porte che
aprono direttamente su piazza Matteotti.[40][41][42]
L'ambiente più notevole del piano terra è il grande atrio voltato, realizzato dal Vannone alla fine
del XVI secolo, sotto il quale ci si ritrova dopo aver varcato il grande portone che affaccia su
piazza Matteotti. Si tratta di uno spazio di 43 metri di lunghezza e 17 di larghezza, coperto da una
volta a padiglione intonacata di bianco sorretta alle estremità da una fila di quattro colonne che
rimanda l'idea di una vela gonfiata dal vento.[43][44][45]
Per sostenere la volta il Vannone utilizzò un'intelaiatura di tiranti in ferro, invisibile ai visitatori
in quanto coperta dai mattoni, costituita da « un'asta orizzontale tangente al colmo
dell'estradosso e da due aste diagonali di irrigidimento fissate all'imposta della volta ». Questa
L'atrio del Vannone
tecnica delle "chiavi nascoste" fu utilizzata dal Vannone anche in altri ambienti del palazzo.[46]
Il cortile maggiore, a ovest, è situato al di sopra della cisterna maggiore e della sala del
monizioniere, ricalcandone la forma e le dimensioni, ed è circondato su tre lati da un porticato
voltato a botte sorretto da una serie di colonne terminanti con capitelli di ordine dorico. Agli
angoli del porticato è presente un sistema di tre colonne collegate tra loro da un architrave che
sorregge la soprastante volta a botte. Il restauro del 1992 ha portato alla luce, alle spalle delle
colonne d'angolo, una serie di nicchie ad abside che erano state murate nel corso dei secoli. Al
Il cortile maggiore
piano superiore è presente un loggiato che riprende la struttura del porticato sottostante,
comprese le nicchie e le colonne architravate negli angoli, con la differenza che le colonne
terminano con capitelli ionici anziché dorici.[44][47]
Il cortile minore, a est, di forma quadrata, è a sua volta circondato su quattro lati da un porticato
sorretto da colonne doriche, le quali formano con quelle dell'atrio voltato e del cortile maggiore,
poste in asse le une con le altre, un effetto prospettico di particolare impatto.
Durante il restauro del 1992 il piano di calpestìo del cortile è stato traslato verso l'alto, in modo
da riportarlo allo stesso livello del resto del piano terra. Ciò ha comportato l'eliminazione di
alcuni gradini inseriti da Orlando Grosso nel 1935, quando furono aperte le tre porte che
collegano direttamente questo ambiente con piazza De Ferrari e ha permesso la ricostruzione
delle volte del deambulatorio della cisterna sottostante, che erano state demolite durante i lavori
Il cortile minore
di realizzazione delle nuove aperture. Le aperture verso piazza De Ferrari sono a loro volta state
traslate verso l'alto ed esternamente è stata realizzata una scalinata di raccordo con il livello della
piazza.[47]
La pavimentazione dei due cortili, ricostruita durante il restauro sulla base di tracce della
pavimentazione originale vannoniana, è formata da una griglia di lastre di pietra di Finale che
collegano tra di loro le colonne del porticato, entro la quale sono racchiusi dei campi in mattoni
in cotto disposti a lisca di pesce. La pavimentazione dell'atrio voltato è stata ricostruita
recuperando parte della pavimentazione precedente in ardesia e alternandola a mattoni in cotto
realizzando un motivo geometrico che riprendesse quello della volta soprastante.[44] Tra le
colonne del cortile maggiore è possibile notare dei lucernai che permettono alla luce solare di
raggiungere la sottostante sala del monizioniere.[48]
Il cortile minore
In origine gli ambienti dell'atrio e dei cortili erano utilizzati sia come elemento del percorso
cerimoniale che partiva dalla "cortina" che chiudeva la piazza e terminava con lo scalone che
conduce al piano nobile, sia come luogo di incontro per trattative politiche e incontri burocratici.
Nelle stanze intorno ai cortili si trovavano gli uffici di diverse magistrature della Repubblica genovese, come la Magistratura degli
Inquisitori di Stato o il Corpo di Città. I cittadini avevano anche la possibilità di presentare delle denunce anonime depositando un
biglietto in una buca ancora visibile nel porticato del cortile minore.[44][45]
La riapertura al pubblico del palazzo dopo il restauro ha cercato di restituire all'atrio voltato la sua funzione originaria di piazza
coperta, utilizzando gli spazi intorno a esso per attività commerciali e culturali, come la biglietteria del palazzo, due librerie, un caffè,
una sede della Società ligure di storia patria dotata di una ricca biblioteca specializzata e alcuni laboratori didattici.[43][44][45]
Il primo piano
Al centro dell'atrio voltato, di fronte al portone d'ingresso, parte lo scalone dogale che conduce al
piano superiore. Lo scalone, opera del Vannone, è composto da una prima rampa di scalini di
marmo larghi e bassi che, una volta raggiunto il ballatoio, si divide in due rampe simmetriche che
conducono al corpo est e al corpo ovest del palazzo.[49][50]
Sul ballatoio in cima alla prima rampa
dello scalone sono state collocate le statue di Andrea Doria e di Giovanni Andrea Doria che in
origine si trovavano sui due piedistalli ai lati della scalinata di ingresso al palazzo su piazza
Matteotti.[32]
In cima alla rampa di scale di destra si trova un maestoso stemma della Repubblica di Genova, opera di
Domenico Fiasella, come conferma una ricevuta di pagamento datata 1638.[49][50] A Fiasella è attribuito
La Vergine e i Santi patroni
anche l'affresco raffigurante La Vergine con i Santi Giovanni Battista, Giorgio e Bernardo che
di Genova che intercedono
intercedono presso la Trinità per la città di Genova che si trova in cima alla rampa di sinistra dello
presso la Trinità
scalone. Questo secondo affresco fu commissionato intorno al 1630 come ringraziamento per la vittoria
del 1625 di Genova contro il ducato di Savoia ed è visibile solo mentre si scende lungo lo scalone.[49][50]
Giunti in cima alla rampa di sinistra si raggiunge il loggiato posto sopra il cortile maggiore, sul quale si aprono quelli che erano gli
ambienti più prestigiosi del palazzo: i saloni del Maggior Consiglio e del Minor Consiglio, gli appartamenti del doge e la cappella
dogale.[50]
La decorazione in stucco della quinta sala, detta anche "antisala del doge", segue lo stesso stile della stanza precedente e presenta
una serie di panoplie rappresentanti la potenza militare di Genova. Tra le decorazioni in stucco della sesta sala è riproposto il tema
delle virtù cardinali, mentre nell'ultima sala era un tempo presente una porta, in seguito murata, che conduceva ai pontini aerei
sopra salita dell'Arcivescovado, mettendo in diretta comunicazione il palazzo con il palazzetto criminale e con la cattedrale.[55][56]
La cappella dogale
Al centro della parete opposta campeggia il dipinto de L'arrivo a Genova delle ceneri del
Battista, con intorno i santi Barnaba, Alberto, Caterina Fieschi Adorno, i vescovi genovesi
Salomone e Romolo e un angelo custode.
La volta è interamente occupata da una raffigurazione di Maria invocata dai santi protettori di
Particolare con la cantoria Genova Giorgio, Giovanni Battista, Lorenzo e Bernardo. La Vergine è rappresentata in qualità di
regina di Genova, quale era stata proclamata nel 1637, mentre riceve da alcuni angeli la corona, le
chiavi e lo scettro della città.[60][61]
La parete di fondo della sala è occupata dall'altare in marmo, circondato da vere colonne sempre in marmo uguali a quelle dipinte
sulle altre pareti. Due finestre si aprono tra le colonne a fianco dell'abside, permettendo alle luce esterna di illuminare l'ambiente.
Inizialmente dietro l'altare si trovava una pala di Giovanni Battista Paggi, donata dallo stesso pittore alla città nel 1603, raffigurante
La Madonna con il bambino tra i santi Giorgio e Giovanni Battista. Nel XVIII secolo la pala fu sostituita da una scultura di
Francesco Maria Schiaffino, raffigurante nuovamente La Vergine regina di Genova.
Il pavimento presenta una decorazione barocca realizzata con tarsie di marmi policromi.[60][61]
Il salone del Maggior Consiglio è la sala più imponente del palazzo e insieme all'adiacente salone
del Minor Consiglio occupa interamente il corpo centrale dell'edificio, al di sopra dell'atrio
voltato. L'aspetto attuale del salone è quello successivo alla ricostruzione di Simone Cantoni nel
1778, ma le dimensioni, 37 metri di lunghezza per 16 di larghezza,[63] sono quelle della "sala
grande" realizzata nel Cinquecento dal Vannone per ospitare i quattrocento patrizi che
rappresentavano il Maggior Consiglio della Repubblica di Genova. In questa sala veniva eletto il
doge e si tenevano le riunioni ufficiali del Consiglio della Repubblica, ma avevano luogo anche
feste, balli e spettacoli teatrali.[64][65][66]
Il salone del Maggior Consiglio
A fianco della porta di ingresso si trovano due statue in stucco raffiguranti la Concordia e la Pace,
opera dell'artista genovese Andrea Casareggio (o Casaregi) mentre dalla parte opposta del salone,
dove un tempo si trovava il trono del doge, distrutto durante la rivoluzione del 1797, sono le
statue allegoriche della Giustizia e della Fortezza, opera rispettivamente di Nicolò Traverso e di
Francesco Maria Ravaschio. Al centro della parete di ingresso, al di sopra della balaustra, si trova
una grande lunetta con un dipinto su tela della battaglia della Meloria, realizzata dal pittore
piemontese Giovanni David. David realizzò anche il bozzetto per la lunetta sita sul lato opposto, L'Allegoria del Commercio dei Liguri
raffigurante Il doge Leonardo Montaldo libera Jacopo di Lusignano, re di Cipro, che fu però di Giuseppe Isola
dipinta da Emanuele Tagliafichi. Queste due lunette furono dipinte in sostituzione delle tele di
Marcantonio Franceschini e di Tommaso Aldovrandini, andate distrutte durante l'incendio del
1777. Tra le colonne dei lati principali, alternati alle statue in stucco, si trovano una serie di tele monocromatiche, dipinte in stile
neoclassico e con temi allegorici in occasione della visita di Napoleone nel luglio 1805. Al centro della volta si trova un grande
affresco raffigurante un'allegoria del Commercio dei Liguri, realizzato nel 1866 da Giuseppe Isola in sostituzione di un precedente
affresco di Giandomenico Tiepolo risalente al 1785 e raffigurante La Liguria e le glorie della famiglia Giustiniani, deperito pochi
decenni dopo la sua realizzazione. Completano l'effetto scenografico del salone il pavimento dove una serie di marmi di diversa
colorazione formano motivi geometrici e due grandi lampadari in cristallo, inseriti durante il restauro del 1992.
In seguito alla riapertura del palazzo il salone del Maggior Consiglio, così come quello del Minor Consiglio, ospita mostre,
conferenze, concerti o altri eventi culturali.[64][65][66]
Il salone del Minor Consiglio, detto anche "salonetto", era originariamente destinato alle riunioni del Minor Consiglio della
Repubblica. È situato a fianco del salone del Maggior Consiglio, insieme al quale occupa il corpo centrale dell'edificio, e affaccia
verso nord su salita del Fondaco. Per via della sua collocazione era anche chiamato "consiglietto d'estate" ed era usato per le riunioni
estive del Consiglio, in contrapposizione al "consiglietto d'inverno", esposto a sud e andato perduto durante i rifacimenti
ottocenteschi, i cui spazi sono utilizzati come spazio espositivo della Regione Liguria.[69][70]
La sala, di 20 metri di lunghezza e 13 di larghezza,[63] fu
gravemente danneggiata durante l'incendio del 1777 e
ricostruita durante l'intervento di Simone Cantoni.
Analogamente al salone del Maggior Consiglio fu realizzata
una nuova volta in mattoni, in questo caso con forma a botte,
in sostituzione della precedente copertura in legno, e fu
rinnovata completamente la decorazione della sala.[64]
Sulla volta è possibile vedere due tele monocrome raffiguranti La Liguria distribuisce tesori alle province e Giano sacrifica alla
pace, opera di Ratti così come la tela centrale con L'apoteosi della Repubblica con l'allegoria della Divina Sapienza, che il pittore
riprese da un bozzetto che Domenico Piola aveva presentano nel 1700 a un concorso per la decorazione del salone del Maggior
Consiglio. Queste tre tele furono pesantemente restaurate nel 1949, in seguito ai danni riportati durante i bombardamenti bellici.
Sempre di Ratti sono le due lunette in cima alle pareti d'ingresso e di fondo della sala, che raffigurano rispettivamente Lo sbarco di
Colombo nelle Indie e L'arrivo a Genova delle ceneri del Battista riproponendo le precedenti opere di Francesco Solimena, distrutte
dall'incendio del 1777 ma delle quali erano stati conservati i bozzetti. Lungo le pareti della sala, alternati alle tele con le allegorie delle
virtù del buon governo, vi sono otto statue in stucco di uomini illustri della Repubblica realizzate da Nicolò Traverso, Andrea
Casareggio e Francesco Maria Ravaschio, i quali lavorarono anche agli stucchi della facciata su piazza Matteotti e nel salone del
Maggior Consiglio. All'architetto genovese Carlo Barabino è infine attribuita la caratteristica balaustra circolare in fondo alla sala,
che aveva la funzione di delimitare lo spazio riservato al doge.[64][70][71]
I piani superiori
Dal loggiato maggiore si può accedere alla strada appesa, che permette di scendere al piano terra
o di salire ai piani superiori: il secondo piano ammezzato, la terrazza, le carceri e la torre
Grimaldina. Il secondo mezzanino ospita alcuni uffici e spazi del Comune di Genova. La terrazza
si trova al di sopra del loggiato maggiore, ospita un ristorante e da essa è possibile vedere da
vicino la sommità della torre Grimaldina, le statue che sormontano la facciata neoclassica su
piazza Matteotti e le coperture dei saloni del Maggior e del Minor Consiglio. Salendo ancora
lungo la strada appesa si raggiungono quelle che un tempo erano le carceri del palazzo. Poco
prima dell'ingresso, sulla sinistra della scala, è possibile notare un curioso rilievo tardo-
cinquecentesco in stucco che raffigura la Fortuna bendata, con la testa che diventa un vaso La sommità della torre Grimaldina
ricolmo di frutta e la benda che attraversa gli occhi.[72][73]
Le carceri
I piani superiori della torre Grimaldina e i locali adiacenti furono utilizzati come carceri dai
tempi della Repubblica fino alla Resistenza durante la seconda guerra mondiale.[73][74] Un
episodio del 1435 fa ipotizzare che a quel tempo esistesse già una cella detta Grimaldina, da cui
prese poi il nome l'intera torre: in seguito alla battaglia di Ponza nell'elenco dei prigionieri
condotti a Genova da destinare a diverse carceri, accanto ad alcuni nomi fu indicata la lettera G
che potrebbe significare appunto Grimaldina.[35]
Le carceri occupavano alcuni locali del sottotetto al di sopra dell'appartamento del doge e nella
torre. Questo faceva sì che le celle fossero meno umide di quelle tradizionalmente collocate nei
Particolare dei disegni sulle pareti
piani più bassi degli edifici, ma allo stesso tempo fossero più soggette alle intemperie e ai rigori
della cosiddetta "cella degli artisti"
del clima. Le celle sopra l'appartamento dogale erano piccole e buie, provviste di doppie porte e
con spesse grate in ferro inserite all'interno dei muri e dei pavimenti, per impedire ogni tentativo
di fuga. Queste celle erano destinate ai prigionieri comuni o politici. Il piano superiore del
pontino aereo dell'appartamento del doge permetteva di mettere in contatti direttamente le carceri con il vicino palazzetto criminale.
Le celle situate nella torre, più grandi e luminose, erano destinate ai detenuti provenienti da famiglie importanti o a nemici stranieri
trattenuti in attesa di un riscatto.[73][74][75]
I prigionieri spesso lasciavano sui muri delle celle scritte o disegni a testimonianza delle proprie pene. Nella cosiddetta "cella degli
artisti", nella torre, sono presenti disegni di navi da guerra, soldati, dame e cavalieri e una mongolfiera.[73][74][76]
Tra i prigionieri illustri delle carceri è possibile ricordare il corsaro ottomano Dragut, il doge Paolo da Novi e il nobile genovese
Domenico Dalla Chiesa, imprigionato per volere del fratello senatore e famoso per essere riuscito a fuggire raggiungendo la cella
campanaria e poi calandosi sulla terrazza sottostante grazie alla bandiera situata in cima alla torre; Giulio Cesare Vachero, che
complottò contro Genova insieme ai Savoia, i pittori Sinibaldo Scorza (per lesa maestà), Domenico Fiasella e Luciano Borzone (per
ferimento) e Pieter Mulier detto il Tempesta, accusato dell'omicidio della moglie e che realizzò diverse opere durante il periodo di
prigionia in un improvvisato atelier nella cella campanaria; il musicista Nicolò Paganini (per aver sedotto una ragazza)[77] e il
patriota Jacopo Ruffini che qui morì suicida[78] nel 1833.[73][74][79][80][81]
Note
1. ^ Franco Bampi, Paròlle de Zena - La Repubblica di Genova, in Gazzettino Sampierdarenese, Genova, Anno XLI - N. 5, maggio
2012. URL consultato il 1º febbraio 2013.
2. ^ Genova Palazzo Ducale - Fondazione - Statuto (PDF), su palazzoducale.genova.it.
3. ^ Genova Palazzo Ducale - Home page, su palazzoducale.genova.it. URL consultato il 30 marzo 2014 (archiviato dall'url originale il 23
febbraio 2014).
4. ^ Genova Palazzo Ducale - Associazioni culturali, su palazzoducale.genova.it. URL consultato il 1º marzo 2018 (archiviato dall'url originale
il 2 marzo 2018).
5. Arte per il G8, su palazzoducale.genova.it. URL consultato il 1º marzo 2018 (archiviato dall'url originale il 2 marzo 2018).
6. Storia di Palazzo Ducale, su palazzoducale.genova.it. URL consultato il 5 marzo 2018 (archiviato dall'url originale il 7 marzo 2018).
7. Giovanni Spalla, Caterina Arvigo Spalla, pp. 6-9.
8. ^ Giovanni Spalla, Caterina Arvigo Spalla, p. 9.
9. ^ Orlando Grosso, Giuseppe Pessagno, p. 52.
10. Giovanni Spalla, Caterina Arvigo Spalla, pp. 16-20.
11. ^ Secondo Luigi Volpicella, storico italiano vissuto a cavallo tra il XIX e il XX secolo, « la fastosità adunque e più il timore furono i
due motivi della ricostruzione del palazzo di governo » Giovanni Spalla, Caterina Arvigo Spalla, pp. 27-30.
12. ^ Per convenzione si considera il 1591 come l'anno dei lavori del Vannone dal momento che risale al 1590 la fornitura dalla cava
della collina di Carignano delle pietre necessarie per le costruzioni. I lavori erano però probabilmente già iniziati quattro anni
prima dal momento che il patrizio e storico genovese Giulio Pallavicino annotò sul suo diario il 22 agosto 1587 che « si è dato
principio a fabbricare intorno al Palatio della Signoria » e dovevano essere già a buon punto due anni dopo. Franco Ragazzi, p.
4.
13. Giovanni Spalla, Caterina Arvigo Spalla, pp. 27-30.
14. ^ Orlando Grosso, Giuseppe Pessagno, pp. 100-104.
15. ^ Gavazza Ezia, Magnani Laura, Pittura e decorazione a Genova e in Liguria nel Settecento, Cassa risparmio Genova e Imperia,
Genova, 2000, p. 11
16. Franco Ragazzi, pp. 5-6.
17. Giovanni Spalla, Caterina Arvigo Spalla, pp. 20-24.
18. Giovanni Spalla, Caterina Arvigo Spalla, p. 24.
19. Giovanni Spalla, Caterina Arvigo Spalla, p. 10.
20. Giovanni Spalla, Caterina Arvigo Spalla, pp. 14-16.
21. ^ Giovanni Spalla, Caterina Arvigo Spalla, p. 40.
22. Ventennale Palazzo Ducale – Giovanni Spalla e il restauro, Comune di Genova, 2012. URL consultato il 1º marzo 2013.
23. ^ Daniele Miggino, È nata la Fondazione per la Cultura, in Genova mentelocale, febbraio 2008. URL consultato il 4 aprile 2013
(archiviato dall'url originale il 17 marzo 2014).
24. ^ Archivio delle mostre di Palazzo Ducale, su palazzoducale.genova.it. URL consultato il 10 ottobre 2012 (archiviato dall'url originale il 3
novembre 2012).
25. ^ Giovanni Spalla, Caterina Arvigo Spalla, p. 6.
26. ^ Giovanni Spalla, Caterina Arvigo Spalla, p. 5.
27. ^ Giovanni Spalla, Caterina Arvigo Spalla, p. 11.
28. ^ Giovanni Spalla, Caterina Arvigo Spalla, p. 14.
29. ^ Un palmo genovese equivale a 24,8 centimetri. Franco Ragazzi, pp. 5-6.
30. Giovanni Spalla, Caterina Arvigo Spalla, p. 25.
31. ^ Giovanni Spalla, Caterina Arvigo Spalla, p. 36.
32. Ricollocazione delle statue dei Doria, su palazzoducale.genova.it. URL consultato il 5 marzo 2018 (archiviato dall'url originale il 6 marzo
2018).
33. Palazzo Ducale - la torre e le carceri - Le origini, su palazzoducale.genova.it. URL consultato il 5 marzo 2018 (archiviato dall'url originale il
7 marzo 2018).
34. Franco Ragazzi, p. 15.
35. 1600-1700 Vita nelle carceri, su palazzoducale.genova.it. URL consultato il 5 marzo 2018 (archiviato dall'url originale il 7 marzo 2018).
36. ^ Campanon de Päxo, su acompagna.org. URL consultato il 9 ottobre 2012.
37. Franco Ragazzi, pp. 11-12.
38. ^ Giovanni Spalla, Caterina Arvigo Spalla, pp. 40-42.
39. ^ Giovanni Spalla, Caterina Arvigo Spalla, pp. 44-49.
40. Giovanni Spalla, Caterina Arvigo Spalla, pp. 52-56.
41. Franco Ragazzi, pp. 17-20.
42. ^ Le sale di Palazzo Ducale attrezzate per manifestazioni, su palazzoducale.genova.it. URL consultato il 5 marzo 2018.
43. Il Porticato di Palazzo Ducale, su palazzoducale.genova.it. URL consultato il 5 marzo 2018 (archiviato dall'url originale il 6 marzo 2018).
44. Giovanni Spalla, Caterina Arvigo Spalla, pp. 30-34.
45. Franco Ragazzi, pp. 7-9.
46. ^ Giovanni Spalla, Caterina Arvigo Spalla, p. 32.
47. Giovanni Spalla, Caterina Arvigo Spalla, p. 38.
48. ^ Giovanni Spalla, Caterina Arvigo Spalla, p. 56.
49. Giovanni Spalla, Caterina Arvigo Spalla, pp. 58-59.
50. Franco Ragazzi, pp. 21-22.
51. ^ Giovanni Spalla, Caterina Arvigo Spalla, pp. 66-67.
52. ^ Giovanni Spalla, Caterina Arvigo Spalla, p. 88.
53. ^ Nella sua opera Iconologia overo Descrittione Dell'imagini Universali cavate dall'Antichità et da altri luoghi lo studioso Cesare
Ripa descriveva la Prudenza come "donna con due facce simile a Giano, e che si specchi, tenendo una serpe attorno al
braccio". Franco Ragazzi, p. 32.
54. Giovanni Spalla, Caterina Arvigo Spalla, p. 77.
55. Franco Ragazzi, pp. 29-32.
56. Giovanni Spalla, Caterina Arvigo Spalla, pp. 68-72.
57. Franco Ragazzi, pp. 25-28.
58. ^ L'appartamento del Doge, su palazzoducale.genova.it. URL consultato il 5 marzo 2018 (archiviato dall'url originale il 7 marzo 2018).
59. ^ Giò Battista Semeria, Secoli cristiani della Liguria, Volume 1, Torino, 1842, p. 187.
60. Giovanni Spalla, Caterina Arvigo Spalla, pp. 72-77.
61. Franco Ragazzi, pp. 33-39.
62. ^ La cappella del doge, su palazzoducale.genova.it. URL consultato il 5 marzo 2018 (archiviato dall'url originale il 6 marzo 2018).
63. Planimetria delle sale del piano nobile (GIF), su palazzoducale.genova.it. URL consultato il 4 febbraio 2013 (archiviato dall'url originale il 26
aprile 2015).
64. Giovanni Spalla, Caterina Arvigo Spalla, pp. 78-83.
65. Franco Ragazzi, pp. 47-53.
66. Il salone del Maggior Consiglio, su palazzoducale.genova.it. URL consultato il 5 marzo 2018 (archiviato dall'url originale il 7 marzo 2018).
67. ^ Il Palazzo Ducale di Genova, su YouTube.
68. ^ Altre fonti (Franco Ragazzi, pp. 47-53, Giovanni Spalla, Caterina Arvigo Spalla, pp. 78-83) nominano invece lo stuccatore
milanese Carlo Fozzi. Secondo l'arch. Nicoletta Ossanna Cavadini, nel suo testo Simone Cantoni Architetto, la discrepanza
deriva da un errore di trascrizione dello storico Ottocentesco Federico Alizieri, che nei suoi testi riportò Fozzi al posto di Pozzi,
errore che è stato poi ripreso nei testi successivi. Carlo Luca Pozzi, lontano cugino di Simone Cantoni, lavorò anche in diverse
altre opere dell'architetto ticinese. Nicoletta Ossanna Cavadini, pp. 110-114, 122 e 134.
69. ^ Giovanni Spalla, Caterina Arvigo Spalla, pp. 62-64.
70. Franco Ragazzi, pp. 39-43.
71. ^ Il salone del Minor Consiglio, su palazzoducale.genova.it. URL consultato il 5 marzo 2018.
72. ^ Giovanni Spalla, Caterina Arvigo Spalla, pp. 96-99.
73. Franco Ragazzi, pp. 56-59.
74. Giovanni Spalla, Caterina Arvigo Spalla, pp. 99-104.
75. ^ Prof. Clario Di Fabio, Visita alle carceri – audio guida alle celle del corridoio (MP3). URL consultato il 1º marzo 2013.
76. ^ Le carceri del palazzo, su palazzoducale.genova.it. URL consultato il 5 marzo 2018 (archiviato dall'url originale il 6 marzo 2018).
77. ^ Nicolò Paganini (PDF), su magiadellopera.com. URL consultato il 12 febbraio 2013.
78. ^ L'ipotesi del suicidio lascia dei dubbi dal momento che Ruffini sapeva che sarebbe comunque stato condannato a morte. Alcuni
storici pensano che si sia trattato di un omicidio mascherato, per evitare che una pubblica esecuzione infiammasse ancora di più
i moti di insurrezione. Risorgimento: un carcere per patrioti, su palazzoducale.genova.it. URL consultato il 5 marzo 2018 (archiviato
dall'url originale il 6 marzo 2018).
79. ^ Prof. Clario Di Fabio, Visita alle carceri – audio guida alle cella di Ruffini (MP3). URL consultato il 1º marzo 2013.
80. ^ Prof. Clario Di Fabio, Visita alle carceri – audio guida alla cella grande (MP3). URL consultato il 1º marzo 2013.
81. ^ I detenuti celebri delle carceri, su palazzoducale.genova.it. URL consultato il 5 marzo 2018 (archiviato dall'url originale il 6 marzo 2018).
Bibliografia
Orlando Grosso e Giuseppe Pessagno, Il Palazzo del Comune di Genova, Genova, Società Ligure di Storia Patria, 1933.
Franco Sborgi, Il Palazzo Ducale di Genova. Stratificazione urbanistica e architettura, Genova, Pagano tipografi editori, 1970.
Andrea Buti e Gianni Vittorio Galliani, Il Palazzo Ducale di Genova - Il concorso del 1777 e l'intervento di Simone Cantoni,
Genova, Sagep Editore, 1981.
Carlo Osti, Recupero e riscoperta della sede governativa della repubblica marinara, Roma, Editer, 1988.
Giovanni Spalla e Caterina Arvigo Spalla, Il Palazzo Ducale di Genova - dalle origini al restauro del 1992, Genova, Sagep
Editore, 1992, ISBN 88-7058-464-X.
Franco Ragazzi, Palazzo Ducale, Genova, Tormena Editore, 1996, ISBN 88-86017-68-5.
Nicoletta Ossanna Cavadini, Simone Cantoni Architetto, Milano, Mondadori Electa Editore, 2003, ISBN 88-370-2163-1.
Voci correlate
Genova
Doge (Repubblica di Genova)
Repubblica di Genova
Andrea Ceresola
Simone Cantoni
Kōstas Geōrgakīs
Piazza De Ferrari
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