MAMMARELLA
CAPITOLO 1: DEFINIZIONI, TERMINOLOGIA E COSTRUTTI DI BASE.
Il 9 dicembre del 1975 l’assemblea generale dell’onu proclamò la dichiarazione dei diritti delle
persone disabili. Questa dichiarazione riprende quella del 1971, applicando alle persone disabili
quando dichiarato per quelle con ritardo mentale e ampliando ulteriormente la rosa dei diritti. Si
passa ad un tono ancor più deciso, eliminando espressioni del tipo ove possibile.
Nella dichiarazione del 1975, il termine disabile indica qualsiasi persona incapace di assicurare a se
stessa in modo totale o parziale quanto necessita per una vita normale individuale e/o
sociale a causa di una riduzione, sia congenita che non, delle proprie capacità fisiche o mentali.
Quanto grave deve essere questa riduzione perché ci sia una vera e propria disabilità?
2. 1970-1980: IN ITALIA.
Relativamente all’inserimento nella scuola del bambino portatore di handicap, gli anni precedenti
al 1960 sono contraddistinti da scarso interesse per il problema. Scarse e poco chiare sono le leggi
e le circolari ministeriali dedicate a questo argomento. Nel complesso sono una minoranza i
bambini portatori di handicap inseriti in scuole speciali; la maggioranza risulta ospite di istituti
privati, oppure resta in famiglia.
Gli anni sessanta sono viceversa contraddistinti dall’inserimento nelle scuole speciali e nelle
classi differenziali. Nei primi anni del 1970 iniziano alcuni tentativi di inserimento nelle classi
normali.
La legge n. 118/1971, art. 28, disponeva che l’istruzione dell’obbligo dovesse avvenire nelle classi
normali della scuola pubblica. Per favorire l’inserimento degli alunni handicappati nelle classi
comuni disponeva inoltre che ad essi venissero assicurati il trasporto, l’accesso agli edifici
scolastici, l’assistenza durante gli orari scolastici degli alunni più gravi.
In un passo del documento della commissione falcucci (1975) si legge quanto segue: spesso nei
soggetti con difficoltà di sviluppo, di apprendimento e di adattamento le potenzialità
conoscitive, operative e relazionali presenti vengono bloccate dagli schemi e dalle richieste della
cultura corrente e del costume sociale.
In questo senso la scuola si impegna a favorire lo sviluppo di queste potenzialità con l’intento di far
Integrazione o inclusione?
Risulta opportuno usare il termine inclusione (meglio ancora l’aggettivo, come in società inclusiva)
quando ci si vuole riferire ai cambiamenti del contesto affinché le persone con disabilità possano
essere non escluse. Si usa il termine integrazione o in senso generale o quando si vogliono
evidenziare i complementari cambiamenti del contesto e della persona al fine di pervenire a una
buona integrazione.
Difficoltà e disturbi.
Chi usa il termine difficoltà si focalizza sulle prestazioni. Il termine disturbi può essere usato da chi
deve fornire una diagnosi (e quindi trovare le cause) che giustifichi perché un individuo
fornisce certe prestazioni. Se chi deve formulare la diagnosi ritiene che l’insieme delle prestazioni
dell’individuo siano riconducibili ad una costellazione più o meno tipica, può usare anche il
termine disturbo. Una presupposizione frequente, anche se non necessaria, risulta ritenere che
ogni disturbo abbia una qualche base tipica a livello neuropsicologico. È presente nella prassi la
tendenza ad usare il termine disturbo anche quando sarebbe meglio usare difficoltà, rendendo in
questo modo patologico anche quello che non lo è.
1. PREVALENZA E TIPOLOGIA.
La prevalenza delle disabilità visive si colloca, anche a seconda dei criteri utilizzati, fra 3 e 16 ogni
10.000 coetanei. La cecità risulta più frequente nei paesi in via di sviluppo, anche a causa di
carenza di vitamina a nella nutrizione e di infezioni.
La legge italiana n. 138/2001 considera ciechi totali coloro che presentano una totale mancanza
della vista in entrambi gli occhi, hanno la sola percezione dell'ombra o della luce o del moto della
mano, hanno un residuo perimetrico binoculare inferiore al 3%. Sono considerati ciechi parziali
coloro che hanno un residuo visivo non superiore a 1/20 (anche con correzione), un residuo
perimetrico binoculare inferiore al 10%.
La maggior parte dei bambini non vedenti viene diagnosticato tra i 2 e i 3 mesi di vita, spesso
perché non emerge il sorriso al volto umano e non seguono il movimento degli oggetti. Le
comorbilità più frequenti sono con paralisi cerebrale, disabilità intellettive, sordità, epilessia,
disturbi relazionali, autismo.
2. LE CAUSE.
I siti maggiormente responsabili del deficit visivo sono la retina, il nervo ottico e le vie di
collegamento al cervello, le lenti cristalline e gli occhi. Molte cause di cecità sono di origine
genetica e comportano anomalie in una o più parti dell’apparato visivo. Altre cause sono
dovute a rop (retinopatia del pretermine), subatrofia/atrofia del nervo ottico, malformazioni
congenite, cataratta, toxoplasmosi, anoftalmia, glaucoma congenito e ad altre patologie.
3. LO SVILUPPO MOTORIO.
Secondo Adelson e Fraiberg il ritardo nello sviluppo motorio dei bambini ciechi è dovuto
alla minor motivazione rispetto ai bambini vedenti. Ad esempio non si muovono per
raggiungere un oggetto interessante presente davanti loro perché non lo vedono. Si possono
verificare ritardi medi significativi per quanto riguarda il sollevarsi sulle braccia da prono, l’aiutarsi
con un mobile per alzarsi e il camminare da solo. Frainberg ha trovato lievi ritardi anche nella
motricità fine.
Notevoli possono essere le differenze individuali, soprattutto tra quelli che hanno usufruito di
interventi specifici e gli altri. Ulteriori differenze sono dovute al fatto di essere ciechi o ipovedenti
e anche al fatto di avere solo il deficit visivo o anche altri deficit.
4. LO SVILUPPO COGNITIVO.
I bambini hanno uno sviluppo più lento della nozione della permanenza dell’oggetto rispetto a
quelli vedenti, a meno che non possano beneficiare di circostanze ambientali favorevoli, come per
esempio la visione residua, che ne promuove lo sviluppo.
I bambini non vedenti manifestano meno giochi simbolici dei bambini vedenti (soprattutto quelli
meno evoluti sul piano sociale), ma questo fatto non autorizza a concludere che questo
rappresenti un indice generalizzato ritardo cognitivo.
La cecità può comportare un lieve ritardo nella motricità e nello sviluppo cognitivo senso-motorio,
ma con il passare del tempo viene superato e non ci sono mediamente ritardi
nell’acquisizione del pensiero operatorio concreto e di quello formale. È importante il linguaggio
verbale nel favorire questo recupero.
5. LO SVILUPPO LINGUISTICO.
• lo sviluppo della discriminazione acustica nei bambini non vedenti non differisce da quella
dei vedenti.
• lo sviluppo dei suoni linguistici di bambini non vedenti non differisce da quello dei vedenti, con
l’unica eccezione per la produzione di quei suoni che hanno una forte articolazione visiva.
•se si considera l’età in cui vengono acquisite le prime 50 parole non appaiono differenze
tra i bambini non vedenti e vedenti.
•i bambini non vedenti non hanno alcun deficit nello sviluppo morfologico.
•la misura di mlu (indice dello sviluppo morfo-sintattico), non è ritardato nei bambini ciechi e
anche le analisi sulla comparsa e sulla percentuale d’uso delle frasi coordinate e subordinate
dimostrano che i bambini non vedenti seguono un pattern normale di sviluppo.
• per i non vedenti il linguaggio rappresenta una area di esperienza particolarmente importante. Il
linguaggio per i bambini non vedenti rappresenta uno strumento privilegiato e con funzioni
di compensazione per raccogliere informazioni sulla realtà esterna e per partecipare
all’interazione
sociale.
6. LO SVILUPPO AFFETTIVO, EMOTIVO E SOCIALE.
Il bambino non vedente di 3 o più mesi non gratifica l’adulto con il sorriso quando si china su di lui
o lo prende in braccio e quindi non innesca in modo spontaneo reazioni nell’adulto, che spesso si
concretizzano
in parole o contatti con il bambino che esprimono piacere. Analogamente sono ostacolate la
regolazione dell’attenzione condivisa, l’interazione faccia a faccia, il gioco del cu-cù e la
condivisione attraverso atti di indicazione.
I bambini non vedenti sono tranquilli e silenziosi quando ascoltano e questo può essere
interpretato come carenza interattiva ed emotiva. Più in generale danno l’impressione di essere
più passivi dei bambini vedenti. Nei genitori può esserci disorientamento e nei bambini un po’ di
ritardo nello sviluppo emotivo e sociale.
I genitori in generale riescono a trovare modalità compensative per favorire comunque
l’interazione con il bambino, mediante il tatto, il contatto fisico in generale e il linguaggio. Non
sarebbero presenti conseguenze negative a lungo termine delle difficoltà di interazione nel primo
anno di vita a causa della mancanza della vista.
8. IN FAMIGLIA.
I genitori in genere riescono a trovare, attraverso il contatto fisico e illinguaggio, modalità
compensative per favorire l’interazione, soprattutto se inserite in un buon programma di
intervento precoce. Le persone che si prendono cura dei bambini non vedenti possono aiutarli a
comprendere e prevedere gli eventi futuri sin dall’inizio, sfruttando quelle attività che il
bambino quotidianamente intraprende.
Nel momento in cui le azioni quotidiane diventano delle routine il bambino ha l’opportunità di
parteciparvi pienamente e di dirigere parte dell’attenzione verso altri stimoli, come per esempio
verso il linguaggio o verso i gesti che accompagnano l’azione in corso.
I bambini non vedenti hanno maggiori difficoltà a cogliere i pattern che caratterizzano l’interazione
sociale e le loro risposte a queste interazioni sono meno ovvie di quelle dei bambini vedenti e
spesso possono essere stravaganti.
È molto importante che i bambini non vedenti esplorino attivamente l’ambiente circostante. Verso
i 6-7 mesi per promuovere lo sviluppo delle abilità di ricerca e di raggiungimento degli oggetti
possono essere impiegati oggetti che emettono suoni oppure giochi che prevedono aiuti verbali o
tattili. Verso i 9 mesi i bambini non vedenti e i loro genitori possono impegnarsi in giochi
sociali che non prevedono l’uso dell’informazione visiva, come le imitazioni vocali, i giochi in cui
alternativamente si battono le mani, e tutti quelli che si bambino sul contatto fisico e su sequenze
prevedibili.
Ideali sono gli interventi fin dalla nascita, valorizzanti non solo l’intervento sul bambino, ma
anche un approfondito e costante counselling ai genitori.
Fin dai primi mesi di vita sono obiettivi privilegiati:
1) Fornire stimoli per la funzionalità uditiva, tattile e motoria;
2) Favorire la conoscenza del proprio corpo;
3) Promuovere una esplorazione attiva dell’ambiente circostante;
4) Favorire la funzionalità di eventuali capacità visive residue;
5) Utilizzare il linguaggio anche se per scopi diversi rispetto a quelli tipici con i bambini
normodotati;
6) 6) evitare l’iperprotezione per viceversa aiutarlo con un monitoraggio essenziale.
I genitori dovrebbero prestare particolare attenzione al favorire rapporti di amicizia con i coetanei,
in particolare nell’adolescenza.
9. A SCUOLA.
Tra le indicazioni a partire dagli anni in cui il bambino va a scuola ricordiamo:
•apprendere il metodo braille dai 3 o 4 anni;
•utilizzare al momento opportuno la scrittura al computer usando programmi che
permettono di udire ciò che si è scritto;
Facilitare l’inserimento nei primi giorni di scuola, ad esempio accompagnando il bambino
per tutta la scuola (non tutto il primo giorno) e fornendogli adeguati commenti verbali;
Aiutarlo a conoscere molto bene la propria classe;
Da parte dell’insegnante risulta importante considerare il fatto che l’allievo con disabilità
visiva può aver bisogno di informazioni verbali supplementari;
Non usare solo tecniche e strumenti raffinati, ma cercare di usare anche semplici
tecniche ed accorgimenti, come l’uso della registrazione e, per i bambini ipovedenti, l’uso
ad esempio di lavagne magnetiche di ridotte dimensioni con lettere e numeri ben visibili;
Favorire attività ludico-motorie-fantastiche.
Favorire rapporti di amicizia con i coetanei rappresenta un obiettivo cruciale, in particolare negli
anni della scuola secondaria.
1. I DEFICIT UDITIVI.
Secondo herer le persone sono sorde con un deficit superiore ai 70 db e con ipoacusia o con
insufficienza dell’udito quelle con un deficit fra 25 e 70 db.
La distinzione principale dei tipi di sordità si basa sulla localizzazione del danno:
1) Si ha un deficit uditivo conduttivo quando sono compromessi l’orecchio esterno o quello
medio;
2) 2) se la menomazione riguarda la coclea o il nervo uditivo, si ha un difetto uditivo
percettivo;
3) Sono possibili anche difetti uditivi misti. Il difetto uditivo può essere unilaterale o bilaterale
(riguardare un solo orecchio o entrambi).
Un difetto uditivo viene classificato con modalità diverse a seconda delle varie nazioni (e a volte
anche nella stessa nazione). In italia, abbiamo la stessa distinzione usata in gran bretagna: leggera
(perdita tra 20 e 40 db); media (perdita tra 40 e 70 db); grave (perdita tra 70 e 90 db); profonda
(perdita oltre i 90 db).
Il lieve di gravità risulta lieve quando la persona ha difficoltà a percepire anche la voce umana,
quando di bassa intensità. Il livello di gravità risulta medio quando comprende poco in una
normale conversazione, con perdita delle consonanti sorde. Il livello di gravità risulta
profondo quando non risulta presente percezione anche di alcuni suoni ambientali intensi.
2. INCIDENZA E PREVALENZA.
In letteratura si trovano dati tra loro discordanti sull’incidenza e la prevalenza dei deficit uditivi.
Questi dati suggeriscono che un bambino su 7-10 può essere interessato da difficoltà uditive,
spesso temporanee; un bambino su 100 ha difficoltà di udito non transitorie; due bambini su 1000
hanno deficit uditivi gravi; circa la metà dei deficit uditivi gravi sono presenti fin dalla nascita; i
deficit uditivi presenti alla nascita sono in maggioranza bilaterali; i deficit uditivi di tipo trasmissivo
sono molti di più di quelli di tipo percettivo. Il fatto che in italia meno di un allievo su 1000 sia
considerato come allievo con disabilità uditiva non risulta del tutto coerente con i dati riportati in
letteratura. I criteri di gravità usati in italia potrebbero essere più severi; inoltre sulla disabilità
uditiva influiscono anche cause ambientali che come tali sono diverse da nazione a nazione.
3. LE CAUSE.
Almeno il 50% dei difetti uditivi (stimati in un individuo ogni 2.000) risulta di origine genetica, in
grande maggioranza non legati ad una sindrome e dovuti a eredità autosomica recessiva. Tra le
cause congenite rientrano ad esempio la rosolia, antibiotici oppure altre sostanze farmacologiche
assunte dalla madre. Tra le cause perinatali rientra l’anossia. Tra le cause postnatali rientrano
traumi fisici, antibiotici o altre sostanze farmacologiche, meningiti batteriche, parotite, morbillo,
varicella.
Non raramente la disabilità uditiva risulta in comorbilità con altre disabilità. Il 30% dei
bambini con ipoacusia mostra una difficoltà aggiuntiva a quella uditiva, associata a gravi problemi
di apprendimento.
4. LA DIAGNOSI.
Soprattutto nel passato erano possibili significati ritardi nella diagnosi di sordità, anche se
congenita (soprattutto se non in comorbilità con altre disabilità). Molti bambini erano
diagnosticati nel secondo o terzo anno di vita e in alcuni casi di sordità lieve anche più tardi.
Da un punto di vista clinico i primi segnali di possibile sordità possono essere colti nel
periodo della lallazione, dato che i bambini sordi hanno una lallazione meno ricca e meno simile
al linguaggio dei loro genitori. Soprattutto il linguaggio ricettivo comunque dovrebbe creare
sospetti di sordità: mancato o scarso orientamento del capo e del corpo alla voce dei genitori (3-5
mesi); eccesso di attenzione ai gesti e alla bocca dei genitori quando parlano (10-12 mesi). Se
la sordità non è totale tuttavia la valutazione diagnostica clinica risulta più difficile.
Poiché alcuni fattori di rischio sono noti, sarebbe opportuno uno screening mirato.
5. LO SVILUPPO PSICOLOGICO.
Lo sviluppo psicologico dipende soprattutto da quanto la disabilità uditiva condiziona (prime
comunicazioni pre-verbali con i genitori, apprendimento di un linguaggio). Il livello del linguaggio
condiziona lo sviluppo cognitivo, l’apprendimento e lo sviluppo metacognitivo (che sono
connessi con lo sviluppo della personalità).
Quando le madri sono sorde le prime interazioni madre sorda-bambino sordo, di norma
procedono naturalmente e questo non influenza negativamente i processi di attaccamento. Le
madri sorde realizzano le interazioni con il proprio bambino ad esempio manifestando più
comportamenti tattili. Quando le madri s sono udenti, inadeguata comunicazione con il figlio e
disagio/stress nei genitori in quanto percepiscono che qualcosa non funziona nell’interazione
rappresentano i rischi più probabili.
Le madri udenti di bambini sordi sono più intrusive e direttive nei loro rapporti con i figli. Anche in
questo caso emerge l’importanza del counselling e della conoscenza di modalità adeguate di
comunicazione con un bambino con disabilità uditive.
In relazione alle modalità di comunicazione più efficaci, la contrapposizione attuale riguarda:
verbale oppure verbale e manuale. La scelta tra un metodo verbale e bilingue (verbale e segni)
risulta secondaria rispetto alla qualità della comunicazione con il bambino: ricca e interattiva.
Una buona comunicazione con il bambino (favorita dal sapere che ha delle disabilità uditive,
dall’essere seguiti nel proprio compito educativo e dal sapere usare con lui un qualche buon
linguaggio) favorisce un buon attaccamento. È importante per un buon sviluppo della personalità
del bambino sordo innanzitutto la possibilità di una precoce ed efficace comunicazione con le
altre persone.
È altrettanto importante la disponibilità di varie esperienze. Fondamentali sono infine buone
esperienze di interazione sociale. Carenze a questo livello possono essere responsabili di alcune
caratteristiche notate nelle persone con disabilità uditive (impulsività, superficialità e vaghezza
nella comunicazione).
È correlata positivamente l’impulsività con una scarsa interazione nei primi mesi o anni di vita, uno
scarso uso del linguaggio in famiglia, difficoltà di comunicazione nella vita scolastica ed
extrascolastica. Le difficoltà di comunicazione possono portare a carenze di spiegazione in vari
campi e quindi a riflettere meno sul significato di quello che si fa o che fanno gli altri.
6. IN FAMIGLIA.
Le ripercussioni di una diagnosi di sordità del figlio sono spesso molto intense nei genitori,
soprattutto se essi sono udenti. Il contatto sistematico con specialisti risulta estremamente
importante. Lo stress genitoriale risulta associato con la presenza di frequenti problemi socio-
emotivi nei figli.
I genitori ricevono dai professionisti quasi esclusivamente informazioni su una sola possibilità
d’azione e di conseguenza interiorizzano le opinioni dei professionisti, senza avere la possibilità di
una scelta autonoma. I genitori di bambini con disabilità uditive necessiterebbero invece di un
counselling sistematico, che non dovrebbe limitarsi a consigliare loro ciò di cui ha bisogno il figlio,
ma che fosse per loro soprattutto una opportunità di confronto sul progetto educativo riguardante
il figlio e che li aiutasse meglio a gestire la sofferenza inevitabilmente presente.
7. A SCUOLA.
Il ritardo nelle prestazioni scolastiche risulta in parte spiegato da prestazioni in test di intelligenza
sotto la media. È necessario intervenire a livello motivazionale e sociale in modo da far emergere
capacità che si trovano nella loro zona di sviluppo potenziale.
Le carenze nella memoria a breve termine invitano a interventi abilitativi e scolastici diretti a
tenere conto della difficoltà, ma anche a potenziare la memoria a breve termine allenandola (in
modo da aumentare lo span di memoria). È opportuno tenere conto della preferenza per la
codifica visuo-spaziale offrendo loro, quando opportuno, stimoli visivi a supporto della
comprensione degli stimoli verbali.
Le carenze a livello della memoria a breve termine (span di memoria) potrebbero essere dovute
anche a carenze metacognitive. Ne deriva l’utilità di un intervento abilitativo diretto a potenziare
le competenze metacognitive, a partire dal sapere come funzionano attenzione e memoria.
Le carenze nell’interazione possono essere responsabili di una comunicazione povera e di un
linguaggio povero, i quali a loro volta influiscono negativamente sullo sviluppo cognitivo,
metacognitivo e sulle prestazioni scolastiche.
la sindrome di prader-willi.
Causa genetica: anomalia nel braccio lungo del cromosoma 15 di origine paterna, incidenza circa 1
su 10.000/15.000.
Aspetti fisici e motori: la statura tende a essere bassa, le mani e i piedi piccoli, presente inoltre un
basso tono muscolare (ipotonia) fin dalla nascita. La sindrome è caratterizzata da sviluppo sessuale
immaturo e da una tendenza all’obesità causata da appetito eccessivo (iperfagia), presenti
disfunzioni a carico dell’ipotalamo.
- Di da media a grave.
Punti di forza quali capacità visuo-motorie e mlt.
Punti di debolezza nelle abilità uditivo-verbale, a livello articolatorio con conseguente scarsa
intellegibilità.
L’instabilità emotiva, tipica della sindrome, comporta difficoltà di gestione dell’aggressività
causata da frustrazioni anche lievi. Il fenotipo comportamentale sarebbe caratterizzato anche
da comportamenti oppositivi, impulsività, cocciutaggine, ripetitività, compulsioni, tendenza a
parlare troppo in alcune situazioni, livelli di attività ridotti. È contemporaneamente presente un
atteggiamento amichevole e un forte istinto materno/paterno.
Negli adolescenti e negli adulti i rischi psicopatologici riguardano soprattutto la depressione e i
disordini ossessivo-compulsivi.
allievi con disabilità intellettive nelle classi inclusive: risultati dalla letteratura internazionale.
Le prestazioni scolastiche degli allievi con di inseriti in classi normali sono uguali (in caso di
disabilità intellettiva grave) o migliori (in caso di disabilità intellettiva lieve) di quelle dei propri
coetanei inseriti in classi speciali. Particolarmente avvantaggiati risultano gli allievi con di lievi.
Numerose sono anche le ricerche e le rassegne che evidenziano livelli superiori di sviluppo sociale.
L’apprendimento degli studenti senza disabilità nelle classi inclusive e in quelle tradizionali
risulta equivalente o superiore.
La letteratura evidenzia l’importanza di una adeguata programmazione e la modifica
dell’istruzione generale per adattarla anche ai bisogni degli studenti con disabilità. Le variabili
critiche sembrano le seguenti:
1) atteggiamento accogliente nei confronti di tutti gli allievi;
2) assistenti all’insegnamento;
3) un insegnamento flessibile, che permetta la personalizzazione;
4) didattiche flessibili;
5) ritenere che l’istruzione degli allievi con disabilità sia normale responsabilità di un insegnante.
3. PREVENZIONE.
La prevenzione comprende quello che può essere fatto per evitare conseguenze negative. Possono
essere considerati interventi di prevenzione quelli effettuati per evitare che un bambino abbia di a
causa di una assenza di ossigenazione al cervello al momento del parto; oppure ancora che
un adolescente con di sviluppi successivamente anche disturbi di personalità. La prevenzione
risulta soprattutto un atteggiamento mentale piuttosto che un insieme di iniziative da prendere.
La prevenzione inizia con la consapevolezza che con il passare dell'età dei genitori i rischi di un
figlio disabile aumentano.
I genitori che ritengono opportuno sapere hanno a disposizione varie possibilità come
l’amniocentesi.
È essenziale l’aiuto di un pediatra sia per la cura generale che per coordinare le visite specialistiche
necessarie. Di norma sono importanti accertamenti fin dai primi mesi di vita. Modalità
adeguate di educazione e trattamento hanno anche finalità preventive.
4. IN FAMIGLIA.
La famiglia rappresenta il luogo privilegiato di educazione e integrazione del figlio con di.
L’intervento educativo di cui hanno bisogno i bambini con di nei primi anni di vita ha molto in
comune (anche se con tempi diversi) con quello adeguato per gli altri bambini. È fondamentale la
conoscenza delle caratteristiche cruciali dello sviluppo tipico.
Nei primi 6 anni particolare attenzione viene dedicata a:
- Autonomia alimentare e buone abitudini a tavola;
- Uso del pannolino e del gabinetto;
- Igiene personale;
- Riposare e dormire;
- Vestirsi da solo.
L’educazione familiare di un bambino con di iscritto nella scuola primaria risulta caratterizzata dal
fatto che con il passare del tempo risulta sempre più evidente la discrepanza tra l’età
cronologica e lo sviluppo mentale e comportamentale. I temi educativi fondamentali sono
quindi molto simili a quelli che coinvolgono un bambino di età inferiore.
È importante la collaborazione fra scuola e famiglia ma anche molto complessa. Non risulta facile
trovare un vero consenso nelle aspettative.
A parere di molti insegnanti i genitori hanno delle aspettative eccessive. Come tutti gli adolescenti
anche quelli con di, pur con tempi differenti, sono chiamati a gestire adeguatamente le
modificazioni somatiche e puberali.
Comune può essere un lieve senso di disorientamento. Con l’adolescenza e l’emergere delle
problematiche sessuali risulta ancor più necessario imparare a gestire adeguatamente i ruoli
connessi con il proprio genere.
Per quanto riguarda le problematiche legate alla sessualità i genitori e insegnanti possono far
fatica a capire i bisogni dei loro figli mettendo in atto meccanismi di negazione o, al contrario, di
sopravvalutazione dei bisogni. La conquista dell’autonomia inizia fin dalla nascita, anche se vi
sono dei momenti cruciali, tra i quali l’autonomia derivante dall’aver imparato a camminare,
quella relativa all’organizzazione scolastica e a quella sociale.
Una persona con di adolescente o adulto ha compiti di sviluppo fondamentali riguardanti
l’autonomia. Importanti aree dell’autonomia esterna sono la comunicazione, l’orientamento, il
comportamento stradale, l’uso del denaro, l’uso dei negozi e in generale dei servizi.
5. A SCUOLA.
Assieme a tutti gli altri. Bambini e ragazzi con di realizzano meglio i propri potenziali di
apprendimento cognitivo e sociale in contesti di integrazione scolastica. È importante in
italia evitare di ricreare situazioni da scuola speciale (l'allievo con di esce sistematicamente
dalla classe o l'intervento didattico ed educativo risulta assegnato unicamente
all’insegnante di sostegno).
Conoscere lo sviluppo tipico. Molti insegnanti si trovano in difficoltà con i bambini
certificati con disabilità non perché non conoscono i problemi specifici della disabilità, ma
perché non conoscono abbastanza bene lo sviluppo normale.
Conoscere le specificità dello sviluppo atipico:
1) conoscenza delle problematiche tipiche delle di;
2) conoscenza delle caratteristiche tipiche delle specifiche sindromi;
3) comprensione della specificità del singolo.
Partire dalle ricchezze del bambino (e dalla sua zona di sviluppo potenziale). Insegnare
qualcosa all’allievo riconoscendo la sua ricchezza richiede di:
Ristudiarsi lo sviluppo nei primi due anni di vita;
Ri-sorprendersi di fronte ai progressi che i bambini normodotati hanno nei primi
anni di vita;
Capire a quali livelli si colloca il bambino o il ragazzo;
Fargli proposte adeguate al suo livello, tenendo conto del fatto che le sue capacità
di apprendimento di cose nuove sono minori di quelle di un bambino di
stessa età equivalente e che anche la sua motivazione all’apprendimento e
l’autostima tendono ad essere minori.
Allievo protagonista del proprio apprendimento. È importante la valorizzazione di un
insegnamento
rispettoso dell’allievo. Da questo rispetto derivano l’attenzione per la sua zona di
sviluppo potenziale e proposte di insegnamento su cui egli possa lavorare esprimendo
la sua iniziativa, costruendo sulle sue conoscenze, utilizzando approcci, strategie e
strumenti propri e in via di miglioramento.
Importanza della motivazione e dei valori. Ogni comportamento ha una necessaria
componente motivazionale e senza di esse l’individuo non mette a disposizione le
sue energie. Tener conto della motivazione significa soprattutto considerare come
l’individuosi proietta nel futuro, la sua filosofia di vita, quello che per lui risulta importante.
Insegnamento differenziato e conduzione della classe in cui è inserito un alunno con
disabilità. L’insegnamento differenziato proposto all’alunno con di riguarda attività
semplificate coerenti con quello che in quel momento sta facendo la classe.
Ruolo dell’insegnante di sostegno. Un buon insegnante di sostegno dovrebbe avere
adeguate conoscenze sulle caratteristiche dell’allievo e competenze didattiche
specialistiche. È cruciale la capacità di collaborazione con gli altri insegnanti, in modo
da favorire un adeguato insegnamento anche quando l’allievo con disabilità non può
usufruire della sua presenza.
La cooperazione con i compagni di classe favorisce il realizzarsi dei potenziali di sviluppo. È
molto utile per le classi in cui è inserito un allievo con disabilità intellettive e in cui si attua
un insegnamento differenziato
Strutturazione dell’ambiente … in aula con i compagni. È importante che l’ambiente
sia molto ben strutturato, non rumoroso, privo di distrazioni, caratterizzato da una
routine costante che permetta la prevedibilità di quello che si farà. Spesso queste
indicazioni non sono pensate per allievi in classe con molti compagni, ma per situazioni di
scuola speciale o di classe-laboratorio con uno o comunque pochi allievi. È importante
mediare fra due istanze egualmente importanti: strutturare in un determinato modo
l’ambiente e non rinunciare al contatto con gli altri compagni.
Ogni ambito il suo intervento. Quello che si impara in un determinato ambito ha scarsa
generalizzabilità in altri ambiti. Questo significa che ogni ambito di apprendimento richiede
interventi sistematici specifici. Ogni apprendimento inoltre risulta soggetto ad oblio e deve
quindi essere consolidato e mantenuto nel tempo. Questo vale ancora di più per gli allievi
con di.
6. INTERVENTI ABILITATIVI.
Gli interventi abilitativi riguardano il:
Potenziamento delle capacità motorie: interventi di fisioterapia e psicomotricità;
Potenziamento delle capacità comunicative e linguistiche : nella realtà italiana sono rare le
situazioni in cui si attua un intervento prelinguistico precoce. È tradizionale l’intervento
diretto a favorire una corretta pronuncia delle parole. Molto importanti sono anche gli
interventi diretti ad un arricchimento lessicale e morfologico-sintattico. È fondamentale il
coinvolgimento dei genitori per favorire apprendimenti in situazione. Nei casi di
disprassia o di afasia di parola alcuni studiosi consigliano l'uso di una lingua dei segni e
della comunicazione aumentativa alternativa.
Potenziamento delle capacità cognitive: nei primi anni l’intervento può essere realizzato in
parte dai genitori fornendo un counselling adeguato. È importante nel primo anno del
bambino aiutare i genitori ad accettare positivamente e realisticamente la situazione,
favorire la conoscenza del bambino mediante un affinamento della capacità di
osservazione dei comportamenti significativi, riflettere con costanza e profondità sulle
modalità educative più adeguate. Nel secondo anno acquista ulteriore importanza
osservare e capire (e se opportuno favorire) lo sviluppo motorio e quello comunicativo e
linguistico. Seguono quindi, sempre più importanti negli anni successivi, altri
temi di counselling: lo sviluppo dell’autonomia, l’inserimento nell’asilo nido e i
rapporti con gli insegnanti.
È presente inoltre materiale per il potenziamento del pensiero del "progetto ms” per
bambini e ragazzi con una età mentale minima di 3 anni. Esso prevede alcuni test
per la valutazione e materiale per l’intervento diretto a favorire progressi nelle aree
delle corrispondenze e delle funzioni, delle nozioni spaziali e temporali, delle simmetrie e
delle rotazioni. È importante negli interventi diretti al potenziamento delle capacità
cognitive (almeno per bambini con età mentali superiori ai 4 anni):
a. Accrescere le conoscenze su come funziona la mente;
b. Evidenziare che tendiamo a sopravalutare le capacità di ricordo;
c. Proporre sfide ottimali motivanti;
d. Esercitare il soggetto nell’uso di strategie di controllo tipiche della memoria di
lavoro;
e. Contribuire a potenziare un atteggiamento attribuzionale che valorizzi il ruolo
dell’impegno;
f. Proporre training che combinino attività dirette alla conoscenza di come funziona
la mente con attività di esercizio di strategie di memoria.
È cruciale il coordinamento dei differenti interventi.
2. INCIDENZA E PREVALENZA.
Il DSM-5 riporta una prevalenza del disturbo negli stati uniti prossima all'1% della
popolazione. È più frequente nei maschi che nelle femmine (4:1).
La presenza di Disabilità Intellettiva risulta molto elevata. Il 70% presenta una comorbilità tra i due
disturbi: il 30% ha un funzionamento cognitivo nella media; il 30% presenta una DI lieve o media; il
40% presenta una DI grave o profonda. Anche la presenza di epilessia risulta abbastanza comune
in quanto si presenta nel 20-30% delle persone con Disturbo dello spettro dell’autismo.
3. CAUSE.
Fattori genetici. Nell’80-90% dei casi risulta possibile risalire a fattori ereditari.
Fattori neurobiologici. Nel 70% dei casi risulta presente una associazione con DI, mentre nel 25-
30% dei casi a epilessia. Il disturbo inoltre risulta più frequente nei maschi (4:1) e la sua prevalenza
risulta pressoché simile in paesi con diverse condizioni socioeconomiche.
Fattori neurofisiologici. Nel 50% dei casi di autismo sono state riscontrate alterazioni nel tracciato
EEG.
Alcune ricerche condotte con i potenziali evento-relati (ERP) hanno mostrato che le persone con
autismo presentano: una ridotta sensibilità a volti mostrati normalmente o invertiti, una
risposta anomala dello sguardo, una lateralizzazione emisferica anomala, una elaborazione
percettiva anomala di stimoli visivi e uditivi.
Caratteristiche anatomiche. L’aumento della circonferenza cranica sembra interessare sia la
sostanza grigia, sia la sostanza bianca; tuttavia non risulta ancora stato chiarito il ruolo di tale
aumento nella patogenesi dell’autismo. È stato confermato l’aumento del volume del sistema
nervoso centrale (SNC), in particolare anomalie/riduzione nella correlazione tra sostanza grigia del
lobo frontale, dei lobi temporali e parietali e delle strutture sotto-corticali durante l’esecuzione di
prove che chiedono di attribuire significati sociali, di comprendere frasi o di misurare la memoria
di lavoro.
Anomalie nella produzione di serotonina: aumento nel 25-30% dei casi.
5. DIAGNOSI DIFFERENZIALE.
La diagnosi differenziale tra Disturbi dello spettro dell'autismo e altre patologie non risulta
semplice nella pratica clinica. Il DSM-5 suggerisce una diagnosi differenziale con la Sindrome di
Rett. Nei primi 6-18 mesi si osserva uno sviluppo cognitivo e psicomotorio normale, seguito da un
rapido deterioramento che si associa a comportamenti molto simili all’autismo, alla perdita dei
movimenti finalizzati delle mani, atassia del tronco e degli arti e microcefalia acquisita. Dopo
questo deterioramento si osserva una stabilizzazione dei sintomi con la comparsa di altre
anomalie neurologiche, quali epilessia e spasticità degli arti inferiori. La perdita di
interesse verso le altre persone può osservarsi durante il periodo di deterioramento, ma la
compresenza con Disturbi dello spettro dell’autismo dovrebbe essere considerata solo se tutti i
criteri diagnostici sono soddisfatti.
Il Disturbo Specifico del Linguaggio risulta caratterizzato da difficoltà persistenti
nell’acquisizione e nell’utilizzo del linguaggio e si accompagna a deficit sia di comprensione che di
produzione linguistica. I Disturbi dello spettro dell’autismo possono essere accompagnati o meno
da un ritardo dello sviluppo del linguaggio, ma questo sintomo non ne influenza la sintomatologia
clinica.
Il Disturbo pragmatico (sociale) del Linguaggio risulta caratterizzato da difficoltà nell’uso
della comunicazione verbale e non verbale soprattutto in contesti sociali, nel seguire le regole
dell’alternanza ai turni nella conversazione e nel comprendere inferenze, umorismo,
metafore. Diversamente da quanto accade nei Disturbi dello spettro dell’autismo non sono
presenti comportamenti ripetitivi e stereotipati, e alcuni comportamenti non verbali (il contatto
oculare e le espressioni facciali) non sono compromessi. Sia nella Disabilità Intellettiva che nel
Disturbo dello spettro autistico sono presenti comportamenti stereotipati. È appropriata la
diagnosi di Disabilità Intellettiva quando non risulta presente una discrepanza tra il livello di
abilità cognitive generali e sociali. È appropriata la diagnosi di Disturbo dello spettro
dell’autismo quando in presenza anche di una Disabilità Intellettiva, il livello di interazione e
comunicazione sociale risulta significativamente inferiore rispetto al livello di sviluppo delle abilità
cognitive generali.
La Psicosi ad esordio infantile risulta distinguibile dai Disturbi dello spettro dell’autismo in diversi
aspetti:
1) la Psicosi infantile si presenta dopo un periodo di normale sviluppo;
2) la presenza di deliri e allucinazioni non si osserva nei Disturbi dello spettro dell’autismo. È
possibile che lo stadio prodromico della Psicosi in cui risulta presente una perdita di interesse per
le relazioni sociali, possa essere confuso con l’autismo.
6. LO SVILUPPO PSICOLOGICO.
I sintomi dei Disturbi dello spettro dell'autismo sono solitamente riconoscibili dopo i 2 anni ma
possono essere notati nel corso dei primi 12-18 mesi se il disturbo risulta di grado severo. Alcune
ricerche di follow-up rilevano dei miglioramenti nella sfera sociale e comportamentale tra i 25 ed i
35 anni. Tuttavia i Disturbi dello spettro dell'autismo interessano l'intero arco di vita e la
possibilità di una vita autonoma ed indipendente risulta estremamente rara, soprattutto se
all'autismo si associa Disabilità Intellettiva.
La sfera delle relazioni con gli altri risulta quella più compromessa. Alcune ricerche rilevano
grosse discrepanze tra capacità di risolvere compiti di ragionamento sociale e di relazionarsi in
modo adeguato nelle situazioni sociali, da parte di soggetti con buone capacità cognitive generali.
Gli studiosi mediante l’uso dell’eye Tracker hanno osservato una differenza tra individui con
autismo che osservavano tratti poco informativi del volto, e controlli appaiati per età e QI, che
invece prestavano attenzione a occhi e bocca.
Un altro ambito riguardo lo sviluppo del linguaggio e della comunicazione. È presente una
carenza nell'attenzione condivisa e nell'uso di gesti per indicare e condividere informazioni con
l'altro. Il linguaggio verbale spesso risulta caratterizzato da ecolalie, uso stereotipato di parole
o espressioni verbali, uso di neologismi o parole inusuali. Le principali difficoltà si osservano
comunque nel linguaggio pragmatico: gli individui con autismo anche quando rispettano le regole
della comunicazione non riescono ad estenderne i significati e ad inserire nuove informazioni.
Alcune ricerche hanno, inoltre, mostrato una difficoltà nell'utilizzare termini connotati
emotivamente.
È presente una alta variabilità nello sviluppo cognitivo che dipende dallapresenza o meno di
Disabilità Intellettiva e dalla severità del disturbo. Il livello di funzionamento cognitivo generale
nei Disturbi dello spettro dell'autismo copre l’intera gamma del funzionamento intellettivo: dalla
disabilità intellettiva grave o profonda fino a livelli di intelligenza superiori alla media.
Nella pratica clinica non risulta sempre facile scegliere il test adeguato per misurare il profilo
cognitivo di un soggetto con autismo: oltre a deficit nella comunicazione possono essere presenti
difficoltà attentive, scarsa tolleranza a sessioni prolungate di test e problemi di controllo del
comportamento.
I Disturbi dello spettro dell'autismo sono stati associati alla presenza di isole di abilità intese come
capacità straordinarie all'interno di un profilo deficitario: si stima che il 10% degli individui con
autismo possieda queste isole di abilità solitamente inerenti alle abilità spaziali, meccaniche, alla
pittura, all'arte, alla musica e al calcolo del calendario. Nella Sindrome Savant alcune attività
ripetitive o esecutive si traducono in attività creative, ma solo in pochissimi casi si può parlare di
Savant prodigiosi.
Interventi psicoeducativi.
Il metodo ABA (Applied Behavior Analysis) risulta basato sui principi cardine del
comportamentismo. Il terapeuta analizza la relazione tra antecedenti e conseguenze del
comportamento e tenta di modificare il comportamento specifico e/o il contesto. È condotto in
modo intensivo ed individualmente, ma in seguito può essere esteso ad altri contesti.
Le tecniche utilizzate sono:
il rinforzo positivo, ad esempio vengono rinforzati i comportamenti che coinvolgono la
relazione con l’altro in modo da renderli più frequenti;
il modellamento, che premia i comportamenti che si avvicinano a quello desiderato; 3) la
ricompensa per un altro comportamento di cui si desidera l’estinzione, ad esempio si
premia un bambino che afferra un gioco con entrambe le mani, cosa che gli impedisce di
attorcigliarsi i capelli.
Il metodo TEACCH (Treatment and education of autistic and related communication Handicapped
Children) risulta basato sul potenziamento delle abilità socio-comunicative dei genitori e
delle persone che interagiscono con il bambino. L'obiettivo del metodo, che si basa su metodi
cognitivi e comportamentali, consiste nella strutturazione dell'ambiente e nella collaborazione tra
genitori, operatori e insegnanti, al fine di favorire l'adattamento del bambino alle situazioni di vita
quotidiana.
Il metodo PECS (Picture Exchange communication System) risulta indicato nello specifico per lo
sviluppo delle abilità comunicative dei bambini con autismo. Il bambino, attraverso tecniche
comportamentali, apprende ad utilizzare immagini, simboli o oggetti per comunicare ed esprimere
quello che desidera. In diverse fasi e in funzione della severità delle disturbo il bambino può
apprendere prima l'utilizzo delle immagini, poi a distinguere tra diversi simboli per elaborare
semplici frasi comunicative.
Esistono numerosi programmi di parent-training o interventi mediati dai genitori.
L'Early Bird Programme fornisce ai genitori informazioni utili sulla diagnosi e li guida verso
l'individuazione di strategie adeguate di interazione con il bambino.
Il metodo Son-Rise prevede delle interazioni intensive tra bambino e adulto con l’obiettivo di
stabilire un rapporto di fiducia ed introdurre delle strategie dirette a migliorare la
comunicazione.
Il metodo Portage consiste in una terapia domiciliare per bambini in età prescolare da parte di
operatori esperti che aiutano i genitori a migliorare le competenze del bambino.
Infine i training di Social Skills o le Storie Sociali, adatti soprattutto per bambini con un
funzionamento cognitivo medio alto, si propongono di sviluppare e migliorare le abilità di risposta
in situazioni sociali.
Il metodo della Comunicazione Facilitata rientra nel contesto della Comunicazione aumentativa
che si basa sull'identificazione di strategie di comunicazione non verbale. Il facilitatore fornisce al
soggetto facilitato un supporto fisico che consentirebbe alla persona di digitare sulla tastiera o
indicare delle lettere su una tavola alfabetica permettendogli di comunicare. È stato ampiamente
criticato: non si è certi che le produzioni scritte siano prodotte dall'individuo con autismo piuttosto
che dal facilitatore.
Interventi farmacologici.
Un intervento farmacologico può essere necessario nel caso in cui al Disturbo dello spettro
dell'autismo si associno impulsività e iperattività (metilfenidato), comportamenti aggressivi e
autolesionistici (risperidone), comportamenti ripetitivi o sintomi ossessivo-compulsivi (inibitori
della ricaptazione della serotonina). Tali farmaci possono avere un ruolo significativo nel favorire
l’efficacia degli interventi psicoeducativi.
Negli anni sono sorte alcune credenze che intendevano spiegare l'autismo sulla base di
problemi metabolici. Tuttavia queste credenze non sono state confermate.
Secondo il DSM 5 appartiene alla famiglia dei disturbi del neurosviluppo e si manifesta a partire
dalle prime fasi evolutive determinando delle difficoltà dal punto di vista sociale e scolastico. Una
caratteristica importante di questo disturbo è la diversa espressività delle manifestazioni
sintomatologiche in relazione all’età che richiedono pertanto un intervento integrato nei diversi
contesti di vita del bambino.
1. CRITERI DIAGNOSTICI
A) Un pattern persistente di disattenzione e/o Iperattività che interferisce con il
funzionamento e lo sviluppo dell’individuo.
1. Disattenzione: almeno 6 sintomi per i casi al di sotto dei 17 anni oppure 5 per quelli con più di
17 anni, si sono presentati per almeno 6 mesi, interferendo sulle attività sociali, scolastiche
o lavorative:
spesso non riesce a prestare attenzione ai particolari o commette errori di distrazione nei
compiti scolastici sul lavoro o in altre attività
ha spesso difficoltà a mantenere l’attenzione sui compiti o sulle attività di gioco• spesso
sembra non ascoltare
spesso non segue le istruzioni e non porta a termine i compiti di scuola, le incombenze o i
doveri sul lavoro
ha spesso difficoltà ad organizzarsi nei compiti o nel lavoro
spesso evita o appare riluttante a impegnarsi in compiti che richiedono sforzo mentale
protratto
perde spesso gli oggetti necessari per i compiti o altre attività
spesso risulta facilmente distratto da stimoli esterni
spesso appare sbadato nelle attività quotidiane.
2. Iperattività - Impulsività: almeno 6 sintomi per i casi al di sotto dei 17 anni oppure 5 per quelli
con più di 17 anni, si sono presentati per almeno 6 mesi, interferendo sulle attività sociali,
scolastiche o lavorative:
si spesso agita o batte mani e piedi o si dimena sulla sedia
spesso lascia il proprio posto in situazioni in cui si dovrebbe rimanere seduti
spesso scorrazza in situazioni inappropriate (negli adolescenti e negli adulti può essere
limitato al sentirsi irrequieti)
spesso appare incapace di giocare o svolgere attività ricreative tranquillamente
spesso risulta sotto pressione, agendo come se fosse "azionato da un motore"
spesso parla troppo
spesso "spara" una risposta prima che la domanda sia stata completata
ha spesso difficoltà nell'aspettare il proprio turno
spesso interrompe gli altri o risulta invadente nei loro confronti.
3. Le cause dell’ADHD.
Gli aspetti biologici influenzano la genesi del disturbo, mentre l’espressione dei sintomi
dipende dal contesto ambientale che ne determina la gravità e la persistenza.
I circuiti cerebrali implicati nella manifestazione dell’ADHD interesserebbero la corteccia
prefrontale, i gangli della base (il caudato e il globo pallido) e parte del cervelletto.
- La corteccia prefrontale destra ha un ruolo cruciale nel circuito attentivo deputato al
controllo della vigilanza e risulta importante nell’organizzazione e nella pianificazione dei
comportamenti oltre ad essere implicata nel controllo dell’attenzione sostenuta e quindi
nella capacità di inibire risposte inadeguate e di resistere alle distrazioni. La stessa regione
risulta anche coinvolta nella regolazione delle risposte emotive mediante le sue
connessioni con strutture sottocorticali come l’ippocampo e l’amigdala, responsabili
dell’attivazione delle risposte emotive.
- Il nucleo caudato e il globo pallido sono coinvolti nel controllo dei movimenti automatici.
- Il cervelletto ha un ruolo importante nella pianificazione del movimento che viene poi
eseguito con l’apporto della corteccia motoria e dei gangli della base
La misurazione del flusso ematico cerebrale ha evidenziato una ipoperfusione nelle regioni
prefrontali della corteccia soprattutto in quelle collegate al sistema limbico attraverso il nucleo
caudato. La regione pre-frontale destra, il ginocchio del corpo calloso, il nucleo caudato e il globo
pallido sono di dimensioni inferiori nelle persone con ADHD. Anche il cervelletto appare di
volume ridotto rispetto alla norma. Studi di neuroanatomia funzionale hanno dimostrato una
ipoattivazione del giro cingolato anteriore destro, del lobo prefrontale dorsolaterale e
ventrolaterale destro e del nucleo caudato sinistro.
L’alterazione del sistema frontale e le sue connessioni con le strutture sottocorticali
sembrerebbe non imputabile a un danno cerebrale quanto a disfunzioni nello sviluppo
cerebrale, molto probabilmente predeterminate a livello genetico.
Le aree coinvolte sono particolarmente ricche di recettori per la dopamina. Il problema sembra
essere una eccessiva ricaptazione della dopamina da parte dei recettori. È stata documentata
l’associazione tra una mutazione del gene per la codifica del recettore D4 della dopamina e
l’ADHD. Il DRD4 contiene la stessa sequenza di DNA ripetuta da 2 a 11 volte. La forma più comune
ha 4 ripetizioni mentre la forma più rara contiene 7 ripetizioni e risulta disfunzionale.
Negli ADHD la forma più rara e disfunzionale con 7 ripetizioni risulta più diffusa rispetto al resto
della popolazione. Altri geni coinvolti sono quelli per la noradrenalina e per la serotonina, che in
parte sembrano essere coinvolti nell’ADHD. Gli individui con ADHD hanno una maggiore
probabilità di presentare delle varianti a carico del gene per il trasportatore della dopamina DAT1.
Tale mutazione del gene potrebbe sovrastimolare l’azione dei trasportatori che reagirebbero
eliminando la dopamina prima ancora che questa abbia il tempo di legarsi ai rispettivi recettori.
I risultati dello studio europeo condotto dal gruppo dell’eunethydis (European Network of
hyperkinetic Disorder) hanno evidenziato che fratelli e sorelle di bambini con ADHD hanno una
probabilità di sviluppare la sindrome da 5 a 7 volte superiore rispetto al resto della popolazione.
Allo stesso modo, i figli di genitori con la sindrome hanno fino al 50% di probabilità di svilupparla.
La probabilità di sviluppare la patologia per un gemello monozigote risulta dell’81% mentre per un
gemello dizigote scende al 29%.
Il 20-30% di casi possono essere spiegati in base ad aspetti ambientali. Esistono cause
perinatali che possono influenzare lo sviluppo dell’ADHD. Alcuni autori avanzano l’ipotesi di un
disturbo transazionale sottolineando l’importanza che l’ambiente in cui il ragazzo ha vissuto
e le relazioni che ha instaurato assumono nell’evoluzione della sindrome.
Secondo Barkley l’ambiente non condiviso sarebbe responsabile di un 15-20% delle probabilità di
sviluppare l’ADHD, mentre l’ambiente condiviso potrebbe spiegare il mantenimento della
sintomatologia. Barkley
inoltre ha proposto un elenco di fattori di rischio - ordinati per livello d’importanza - associati alla
genesi dell’ ADHD:
presenza di disturbi psicologici nei familiari, in particolare L’ADHD;
abuso di sigarette e alcool della madre durante la gravidanza associato o meno ad altri
problemi di salute della madre;
assenza di un genitore o educazione non adeguata;
problemi di salute o ritardi di sviluppo nel bambino;
precoce insorgenza nel bambino di elevati livelli di attività motoria;
atteggiamenti critici e/o direttivi della madre durante i primi anni di vita del bambino.
È stata costruita una lista di fattori protettivi che aiutano il ragazzo a limitare gli esiti negativi
dell’ADHD, tra i quali compaiono:
1) elevato livello di scolarizzazione della madre;
2) buona salute del bambino dopo la nascita;
3) buone capacità cognitive del bambino;
4) stabilità familiare.
1. I CRITERI DIAGNOSTICI.
Nel DS-5 il Disturbo oppositivo Provocatorio e il Disturbo della condotta sono inseriti nella
categoria dei Disturbi dirompenti, del controllo degli impulsivi e della condotta, insieme al
Disturbo Esplosivo Intermittente, alla Piromania, alla Cleptomania e al Disturbo dirompente, del
controllo degli impulsi e della condotta non altrimenti specificato.
La frequenza dei sintomi del Criterio A sono adattati all’età del paziente:
per i bambini sotto i 5 anni, il comportamento dovrebbe verificarsi tutti i giorni per un
periodo di almeno 6 mesi
per i bambini sopra i 5 anni, almeno una volta a settimana per almeno 6 mesi. Altri fattori
quali il livello di sviluppo, il genere, il contesto socioculturale, possono essere considerati
per valutare la frequenza e l’intensità dei comportamenti.
L’interazione tra aspetti genetici e ambientali, sommati alla presenza dei tratti Callous-
unemotional (CU) costituiscono un forte fattore di rischio per lo sviluppo di un Disturbo della
condotta. In particolare il DSM 5 richiede di specificare se sono presenti emozioni prosociali
limitate: l'individuo deve aver presentato in modo persistente - per almeno 12 mesi e in più
situazioni - almeno 2 delle seguenti caratteristiche rilevate dal colloquio con l'individuo e da
testimonianze di altre persone:
mancanza di rimorso o senso di colpa
insensibilità e mancanza di empatia
indifferenza per i risultati
affettività superficiale o anaffettività.
Temperamento.
La presenza di un temperamento irritabile di base caratterizzato da emozioni negative anche in
presenza di eventi stressanti di poco conto sembra favorire una aggressività reattiva. È
maggiormente associata al DOP e al DC con esordio in età scolare. L'aggressività proattiva risulta
caratterizzata da un arousal costantemente basso e da una dipendenza dal rinforzo esterno nella
guida del comportamento. È maggiormente associata allo sviluppo di un DC in seguito al contatto
con ambienti criminogeni (famiglia o contesto sociale) o al DC con tratti CU. La scarsa efficacia
delle punizioni legata alla scarsa reattività emotiva del figlio può portare i genitori ad utilizzare
metodi educativi sempre più severi. I bambini esposti a dure forme di disciplina avvertono
meno sensi di colpa in seguito a trasgressioni e sono meno preoccupati per i sentimenti degli altri.
Ambiente familiare.
La presenza di una psicopatologia genitoriale rappresenta un fattore di rischio per il DC e il DOP
ma questo rischio risulta mediato dalla capacità di entrambi i genitori di rapportarsi con il
bambino. In assenza di psicopatologia dei genitori, il metodo educativo dei genitori con figli
che presentano un disturbo del comportamento risulta caratterizzato da uno stile coercitivo con
rinforzi negativi. Lo stile coercitivo sembra essere il risultato della presenza di un temperamento
difficile del bambino in presenza di un genitore che non è in grado di comprendere o sostenere le
richieste del figlio. Soprattutto nella pre-adolescenza i ragazzi che percepiscono uno scarso
coinvolgimento genitoriale o un eccessivo controllo in presenza di uno stile educativo rigido e
coercitivo sono più a rischio di sviluppare un DC. Anche alti tassi di conflittualità di coppia possono
influenzare lo sviluppo di comportamenti aggressivi nei figli.
4. LA DIAGNOSI DIFFERENZIALE.
A) Il DOP si riscontra spesso in comorbilità con l’ADHD. È appropriata la diagnosi di ADHD
quando la tendenza a non rispettare le richieste o i comportamenti sfidanti si presentano
solo in situazioni in cui è richiesto di svolgere dei compiti o delle mansioni per un
periodo di tempo prolungato. È appropriata la diagnosi di DOP quando si tratta di un
pattern di comportamento indipendente dal compito proposto.
In presenza di una Disabilità Intellettiva risulta possibile fare diagnosi di DOP solo se
i comportamenti oppositivi sono superiori rispetto a quelli attesi in individui con pari età
mentale e con Disabilità Intellettiva di uguale severità.
I sintomi del DOP sono meno severi rispetto a quelli del DC e non comprendono
comportamenti aggressivi e crudeli verso persone o animali. Inoltre nel DOP si riscontrano
umore irritabile e rabbia che non sembrano essere particolarmente presenti nel DC. È
comunque possibile riscontrare una comorbilità tra DOP e DC.
B) Per quanto riguarda il DC - oltre che con l’adhd - risulta importante fare una diagnosi
differenziale con i Disturbi del tono dell'umore. Il Disturbo antisociale di personalità
risulta caratterizzato dalla tendenza a non conformarsi alle norme sociali, utilizzo di
inganni e bugie per il proprio tornaconto, impulsività, aggressività, comportamenti
spericolati, scarsa responsabilità e mancanza di rimorso. La diagnosi può essere posta
dopo i 18 anni e risulta spesso associata a un DC con esordio prima dei 15 anni.