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PSICOLOGIA DELLA DISABILITÀ, R. VIANELLO E IRENE C.

MAMMARELLA
CAPITOLO 1: DEFINIZIONI, TERMINOLOGIA E COSTRUTTI DI BASE.

I cambiamenti nella terminologia sulle problematiche della disabilità avvengono principalmente


per i seguenti motivi:
1) Si abbandonano i termini, anche scientifici, che nella prassi hanno acquisito un contenuto
semantico negativo, dispregiativo (idiota, imbecille, deficiente);
2) Sono da evitare le espressioni che favoriscono l’identificazione di una persona con la
sua disabilità (handicappato o disabile);
3) Sono privilegiati termini che evidenziano i rapporti tra individuo e contesto in cui vive
(situazione di handicap piuttosto che handicappato).
Da anni si sta diffondendo l’utilizzo dell’espressione diversamente abile. L’avverbio
diversamente pone l’enfasi sulla differenza qualitativa nell’uso delle abilità per raggiungere un
obiettivo. Questo uso risulta teso ad aver presenti le potenzialità dell’individuo rispetto alle sue
difficoltà e carenze. Tale terminologia può essere in certi casi adeguata (persone non vedenti o
ipovedenti), mentre in altri (disabilità intellettive) richiede prudenza. Nel caso di di (come la s.
Down) tale uso risulta essere adeguato se riferito alla qualità della vita mentre, se messo in
relazione alle prestazioni scolastiche, sociali e di autonomia, può sembrare un tentativo di
nascondere prestazioni deficitarie.

1. 1970-1980: LE BASI INTERNAZIONALI DELLA CULTURA DELL’INTEGRAZIONE DELLE PERSONE CON


DISABILITÀ.
Negli anni compresi tra il 1971 e il 1980 c’è stato un susseguirsi di dichiarazioni e leggi
internazionali e nazionali importanti per il futuro delle persone con disabilita.
Il 20 dicembre del 1971 l’assemblea generale dell’onu proclamò la dichiarazione dei diritti delle
persone con ritardo mentale. Essa dichiara che:
 Le persone con ritardo mentale hanno, nella massima misura possibile, gli stessi diritti di
tutti gli altri esseri umani;
 Le persone con ritardo mentale hanno diritto ad appropriate cure mediche e terapie
fisiche, nonché all’educazione, alla formazione, alla riabilitazione e alla consulenza tali da
essere messi in condizione di sviluppare le proprie abilità e il massimo potenziale.
 Le persone con ritardo mentale hanno diritto alla sicurezza economica e ad un accettabile
livello di vita. Esse hanno diritto ad un lavoro produttivo o di occuparsi di qualsiasi
altra attività con la massima estensione delle loro capacità.
 Ove possibile, le persone con ritardo mentale dovrebbero vivere con la propria famiglia o
con le famiglie adottive e partecipare alle varie forme di vita della collettività.
 Le persone con ritardo mentale hanno diritto ad un tutore qualificato se questo si rende
necessario per proteggere il personale benessere ed interesse.
 Le persone con ritardo mentale hanno diritto di essere protetti dallo sfruttamento,
dagli abusi e da trattamenti degradanti.
 Se le persone con ritardo mentale sono incapaci, a causa della gravità del loro handicap, di
esercitare tutti i loro diritti o se dovesse rendersi necessario limitare o negare qualcuno o
tutti di questi diritti, la procedura usata deve contenere adeguata salvaguardia legale
contro ogni forma di abuso.

Il 9 dicembre del 1975 l’assemblea generale dell’onu proclamò la dichiarazione dei diritti delle
persone disabili. Questa dichiarazione riprende quella del 1971, applicando alle persone disabili
quando dichiarato per quelle con ritardo mentale e ampliando ulteriormente la rosa dei diritti. Si
passa ad un tono ancor più deciso, eliminando espressioni del tipo ove possibile.
Nella dichiarazione del 1975, il termine disabile indica qualsiasi persona incapace di assicurare a se
stessa in modo totale o parziale quanto necessita per una vita normale individuale e/o
sociale a causa di una riduzione, sia congenita che non, delle proprie capacità fisiche o mentali.
Quanto grave deve essere questa riduzione perché ci sia una vera e propria disabilità?

Nel 1980 l’oms propose una classificazione (international classification of impairments,


disabilities and handicaps) tesa ad evidenziare le possibili conseguenze delle malattie
(diseases) a tre livelli:
1) Menomazione: una perdita o anormalità di strutture o funzioni psicologiche, fisiologiche o
anatomiche;
2) Disabilità (prodotta da una o più menomazione): riduzione parziale o totale della capacità
di svolgere una attività nei tempi e nei modi considerati come normali, in una certa
attività o funzione;
3) Handicap (prodotto da una o più disabilità): un insieme di effetti negativi per la vita di una
persona inserita in una determinata comunità. Il termine handicap dovrebbe quindi
essere utilizzato per riferirsi alle difficoltà effettive e complessive che un individuo
incontra nella vita quotidiana.
La proposta non fu accolta automaticamente in quanto ciascuna nazione aveva la propria
terminologia.

2. 1970-1980: IN ITALIA.
Relativamente all’inserimento nella scuola del bambino portatore di handicap, gli anni precedenti
al 1960 sono contraddistinti da scarso interesse per il problema. Scarse e poco chiare sono le leggi
e le circolari ministeriali dedicate a questo argomento. Nel complesso sono una minoranza i
bambini portatori di handicap inseriti in scuole speciali; la maggioranza risulta ospite di istituti
privati, oppure resta in famiglia.
Gli anni sessanta sono viceversa contraddistinti dall’inserimento nelle scuole speciali e nelle
classi differenziali. Nei primi anni del 1970 iniziano alcuni tentativi di inserimento nelle classi
normali.
La legge n. 118/1971, art. 28, disponeva che l’istruzione dell’obbligo dovesse avvenire nelle classi
normali della scuola pubblica. Per favorire l’inserimento degli alunni handicappati nelle classi
comuni disponeva inoltre che ad essi venissero assicurati il trasporto, l’accesso agli edifici
scolastici, l’assistenza durante gli orari scolastici degli alunni più gravi.
In un passo del documento della commissione falcucci (1975) si legge quanto segue: spesso nei
soggetti con difficoltà di sviluppo, di apprendimento e di adattamento le potenzialità
conoscitive, operative e relazionali presenti vengono bloccate dagli schemi e dalle richieste della
cultura corrente e del costume sociale.
In questo senso la scuola si impegna a favorire lo sviluppo di queste potenzialità con l’intento di far

superare la condizione di emarginazione in cui altrimenti sarebbero condannati i bambini


handicappati.
La circolare ministeriale 227 del 1975 propone l’adozione di misure e modalità organizzative
utili ed applicabili per facilitare un sempre più ampio inserimento nelle scuole aperte a
tutti gli allievi senza discriminazioni di minorazioni. Nel 1976 (c.m. 680/1976) inizia l’analisi
della problematica relativa alla formazione degli insegnanti.
La legge n. 517/1977 può essere considerata l’inizio del vero e proprio processo di
inserimento di tutti gli allievi con disabilità nelle classi della scuola comune. È stato possibile
procedere all’abolizione delle classi differenziali per gli alunni svantaggiati. È stato consentito
a tutti gli alunni in situazione di handicap di accedere alle scuole elementari e alle scuole medie
inferiori. Si è tentato di attivare gli strumenti necessari per adempiere a tale obbligo: insegnanti di
sostegno specializzati, numeri di alunni per classe non superiore a 20, interventi specialistici dello
stato e degli enti locali. Importante risulta anche la c.m. 199 del 1979 avente per oggetto forme
particolari di sostegno a favore degli alunni portatori di handicap.

Integrazione o inclusione?
Risulta opportuno usare il termine inclusione (meglio ancora l’aggettivo, come in società inclusiva)
quando ci si vuole riferire ai cambiamenti del contesto affinché le persone con disabilità possano
essere non escluse. Si usa il termine integrazione o in senso generale o quando si vogliono
evidenziare i complementari cambiamenti del contesto e della persona al fine di pervenire a una
buona integrazione.

3. DOPO IL 1980 NEL PANORAMA INTERNAZIONALE: ULTERIORI PROGRESSI NELLA


CULTURA DELL’INTEGRAZIONE E DELL’INCLUSIONE DELLE PERSONE CON DISABILITÀ.
Nel 1993 l’assemblea generale delle nazioni unite adotta un documento riguardante le regole
standard per le pari opportunità delle persone disabili, il quale contiene 22 regole suddivise in
condizioni preliminari, settori focali per una uguale partecipazione e misure di applicazione.
Nel 1994 fu approvata la dichiarazione di salamanca sull’educazione e le esigenze speciali degli
alunni, che ebbe una certa importanza nella comunità educativa internazionale. Essa invitava ad
inserire i bambini con esigenze educative speciali nelle classi delle scuole normali.
Nel 1993 era stato pubblicato dall’oms l’icd-10. L’icd in origine riguardava principalmente la salute
fisica e pertanto raccoglieva le classificazioni delle malattie. Solo a partire dalla sesta edizione
appare una sezione dedicata ai disturbi mentali.
Nel 2001, con l’icf (international classification of functioning), l’oms propone un approccio
non più focalizzato sulla malattia ma sul funzionamento e sulla salute della persona. La disabilità
chiama in causa le condizioni di salute, le implicazioni a livello delle strutture corporee e delle
funzioni, le limitazioni nello svolgimento delle attività, e le conseguenze in termini di restrizioni alla
partecipazione sociale, tenendo in
Considerazione fattori ambientali e personali.
Il mental retardation: definition, classification, and systems of supportys. 10a ed. (2002) -
american association on mental retardation (aamr), nonostante riguardi le disabilità intellettive, e
non le disabilità in generale, risulta da tenere presente perché ha preceduto proposte molto
attuali e cruciali: la diagnosi e la classificazione devono essere costantemente collegate alla
programmazione dei sostegni.
Nel 2013 l’american psychiatric association ha pubblicato il dsm-5 (manuale diagnostico e
statistico dei disturbi mentali). Il dsm-5 cerca di introdurre un approccio dimensionale ai
disturbi mentali, che comprenda dimensioni trasversali alle categorie attuali. Coerentemente con
quanto proposto dalla aaidd viene data molta importanza al funzionamento adattivo e alla
programmazione dei supporti.

Difficoltà e disturbi.
Chi usa il termine difficoltà si focalizza sulle prestazioni. Il termine disturbi può essere usato da chi
deve fornire una diagnosi (e quindi trovare le cause) che giustifichi perché un individuo
fornisce certe prestazioni. Se chi deve formulare la diagnosi ritiene che l’insieme delle prestazioni
dell’individuo siano riconducibili ad una costellazione più o meno tipica, può usare anche il
termine disturbo. Una presupposizione frequente, anche se non necessaria, risulta ritenere che
ogni disturbo abbia una qualche base tipica a livello neuropsicologico. È presente nella prassi la
tendenza ad usare il termine disturbo anche quando sarebbe meglio usare difficoltà, rendendo in
questo modo patologico anche quello che non lo è.

4. DOPO IL 1980: IN ITALIA.


Nel 1985 i nuovi programmi didattici per la scuola elementare affrontarono la problematica
dell’inserimento degli allievi in situazione di handicap. Nel 1987 una sentenza della corte
costituzionale stabilì che l’inserimento di allievi con handicap nella scuola media superiore doveva
essere assicurato e non solo facilitato. Nel 1990 anche gli orientamenti per le attività educative
della scuola materna dedicarono notevole importanza alle problematiche della diversità e delle
situazioni di handicap.
La legge 104/1992, rappresenta la legge quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti
delle persone handicappate, il cui scopo, consiste nella rimozione delle cause invalidanti, la
promozione dell’autonomia e della socializzazione e integrazione, attraverso diversi obiettivi,
tra cui lo sviluppo della ricerca nei settori pertinenti.
La legge si rivolge alla persona handicappata, ossia alla persona che presenta una
minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che ne riduce le capacità di
apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare uno svantaggio
sociale e di emarginazione. La legge si applica anche agli stranieri e agli apolidi, residenti,
domiciliati o aventi stabile dimora nel territorio nazionale. L’accertamento dell’handicap, degli
interventi necessari e della capacità complessiva residua sono effettuati dall’unità sanitaria locale
mediante commissioni mediche.
Le sezioni prevenzione e diagnosi precoce e cura e riabilitazione descrivono gli interventi tecnici
necessari a garantire la loro realizzazione. L'inserimento e l'integrazione sociale della persona
handicappata si realizzano mediante una serie di interventi di natura socio-psico-pedagogico. I
comuni o qualsiasi forma di loro aggregazione possono dare vita con le proprie risorse ordinarie di
bilancio a comunità-alloggio e centri socio-riabilitativi per persone con handicap in situazione di
gravità.
È garantito al bambino da 0 a 3 anni handicappato l’inserimento negli asili nido. È garantito alla
persona handicappata il diritto all’istruzione dalla scuola materna fino all’università. Diritto che
non può essere messo in discussione anche se la persona con handicap ha difficoltà di
apprendimento o da qualsiasi altra difficoltà derivante dall’handicap.
L’integrazione scolastica ha come principale obiettivo la completa realizzazione della persona con
handicap per quanto riguarda l’apprendimento, la comunicazione, le relazioni e la socializzazione.
A tal fine per ogni studente handicappato è stilato un profilo dinamico-funzionale, che, sulla base
delle caratteristiche fisiche, psichiche, sociali e affettive dell’alunno, specifica quali difficoltà
incontra nell’apprendimento e al contempo rileva le possibilità di recupero e le capacità
individuali, che devono essere sostenute e rafforzate.
Sulla base di tale profilo è formulato un piano educativo individualizzato. I genitori della
persona handicappata partecipano a tutto il processo. La sezione integrazione scolastica
ribadendo l'importanza del coordinamento tra scuole, servizi sanitari, socio-assistenziali,
ricreativi e culturali, cita poi due casi in particolare: l'integrazione nelle università e negli
asili nido. A questo obiettivo contribuisce anche l'assegnazione di insegnanti specializzati.
Nel piano educativo individualizzato sono specificate le materie per le quali sono stati adottati
criteri didattici particolari e le eventuali attività integrative e di sostegno. Per quanto concerne gli
esami per valutare il rendimento dello studente, nella scuola dell’obbligo le prove riguarderanno
le materie oggetto di insegnamento e si valuteranno i progressi dell’alunno rispetto al livello di
partenza.
Nella scuola secondaria di secondo grado sono consentite prove equivalenti e tempi più lunghi per
le prove scritte. L’alunno, inoltre, si potrà avvalere del supporto di assistenti per
l’autonomia e la comunicazione e potrà utilizzare gli ausili necessari. Per le prove
universitarie, previo accordo con il docente, sono previste prove equivalenti, tempi più lunghi e
mezzi tecnici.
Nel dpr atto di indirizzo e coordinamento relativo ai compiti delle unità sanitarie locali in materia
di alunni portatori di handicap (1994), il fine fondamentale dell’individuazione risulta di tipo
normativo, stabilendo che il soggetto rientra nella definizione di "persona handicappata". Ne
derivano molteplici conseguenze. Per quanto riguarda la scuola, la classe in cui l’allievo è inserito
non può avere più di un determinato numero di allievi, quella classe usufruisce anche di
interventi di sostegno.
Relativamente all'assistenza risulta possibile un intervento economico. La descrizione analitica
della compromissione funzionale dello stato psico-fisico dell’alunno in situazioni di handicap
risulta affidata alla diagnosi funzionale. La diagnosi funzionale deriva dall'acquisizione di
elementi clinici e psico-sociali (dati anagrafici del soggetto e relativi alle caratteristiche del
nucleo familiare).
La diagnosi funzionale si articola nell’anamnesi fisiologica e patologica prossima e remota del
soggetto, e nella diagnosi clinica, redatta dal medico specialista nella patologia segnalata. È
necessario che tenga particolarmente conto delle potenzialità in ordine all’aspetto cognitivo,
affettivo-relazionale, linguistico, sensoriale, motorio-prassico, neuropsicologico, autonomia.
Il profilo dinamico funzionale (pdf), previsto dalla legge 104/92, rappresenta un atto successivo
alla diagnosi funzionale. Si tratta di un documento comune di base per ogni
programmazione volta all'integrazione scolastica e sociale. Esso dovrebbe indicare il prevedibile
sviluppo a breve (6 mesi) e medio termine (2 anni) dell'allievo con disabilità. È focalizzato
sulle potenzialità del soggetto.
Il piano educativo individualizzato dovrebbe essere la risultante delle programmazioni
predisposte da parte di a.s.l o professionisti (interventi diagnostici, terapeutici, riabilitativi);
scuola (programmazione educativa e didattica); ente locale (trasporto, mensa, operatori per
allievi non autosufficienti, sostegno familiare); famiglia dell'allievo.
La legge 68/99 delinea il quadro normativo all'interno del quale dovrebbe realizzarsi
l'integrazione lavorativa delle persone in situazione di handicap:
1) Obbligo delle imprese (in caso di nuove selezioni) ad assumere un numero di lavoratori
in situazione di handicap proporzionale a quello dei dipendenti;
2) Agevolazioni alle imprese (es. Fiscalizzazione);
3) Sanzione amministrativa per le imprese che ritardano ad inviare alle commissioni il
prospetto informativo con le proprie caratteristiche e/o sanzione giornaliera per chi non
adempie all'obbligo di assunzione;
4) Le imprese private, per mezzo di convenzione, possono far assumere le persone in
situazione di handicap presso cooperative sociali o presso liberi professionisti anche se
operanti in ditta individuale.
Nel 2004 una legge (n.6) introduce modifiche relative l’amministrazione di sostegno.
Gli ultimi anni sono caratterizzati dal crescente interesse per i bisogni educativi speciali (bes) di
norma non individuati/certificati con disabilità. La legge 170/2010 nuove norme in materia di
disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico, ha riconosciuto l’esistenza dei disturbi
specifici dell’apprendimento per i quali la legge stabilisce il diritto di fruire di appositi
strumenti compensativi e dispensativi e di flessibilità didattica in tutti i cicli di istruzione e
formazione, compresa l’università. È uscita nel 2012 la direttiva ministeriale strumenti di
intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per
l’inclusione scolastica. Nella direttiva ministeriale sono individuate tre aree:
1) Disabilità
2) Disturbi evolutivi specifici
3) Svantaggio socio-economico, linguistico, culturale.
Nei disturbi evolutivi specifici rientrano:
 Dsa
 Disturbi specifici del linguaggio o bassa intelligenza verbale
 Disturbo della coordinazione motoria, disturbo non-verbale, disprassia, bassa intelligenza
non-
verbale
 Disturbi dello spettro autistico lieve
 ADHD
 Fil (funzionamento intellettivo limite).

5. ALCUNI DATI STATISTICI SULLA SITUAZIONE ITALIANA.


Per quato riguarda l’inserimento degli allievi con disabilità nella scuola sono a disposizione dati
relativi all’anno scolastico 2012/2013. Gli alunni individuati con disabilità sono il 2,5% della
popolazione studentesca. È rappresentata la grande maggioranza da alunni con disabilità
intellettive. Molto ridotta risulta la percentuale di quelli con disabilità visive e uditive. Molti sono
stati inseriti nella categoria altro. Inoltre manca la categorie alunni con autismo.
Le percentuali relative ai vari tipi di disabilità sono molto stabili. Aumentano invece le
individuazioni-certificazioni per un cambiamento nei criteri, divenuti meno rigidi. In proporzione
sono aumentati anche gli insegnanti di sostegno rimanendo circa metà rispetto agli allievi con
disabilità.
Per quanto riguarda la disabilità in tutto l’arco di vita sono a disposizione dati meno recenti (istat,
2009). Le persone con disabilità sono il 4,8% della popolazione. Fino ai 64 anni la percentuale non
supera il 2,5%, con un aumento negli anni successivi fino a raggiungere il 44,47% dopo gli 80
anni. La maggioranza risulta costituita da donne. I tassi di disabilità sono maggiori nell’italia
insulare e del sud rispetto al nord. In età senile le varie sono dovute alle demenze (tra cui quella di
alzheimer).

CAPITOLO 2: LE DISABILITÀ VISIVE.

1. PREVALENZA E TIPOLOGIA.
La prevalenza delle disabilità visive si colloca, anche a seconda dei criteri utilizzati, fra 3 e 16 ogni
10.000 coetanei. La cecità risulta più frequente nei paesi in via di sviluppo, anche a causa di
carenza di vitamina a nella nutrizione e di infezioni.
La legge italiana n. 138/2001 considera ciechi totali coloro che presentano una totale mancanza
della vista in entrambi gli occhi, hanno la sola percezione dell'ombra o della luce o del moto della
mano, hanno un residuo perimetrico binoculare inferiore al 3%. Sono considerati ciechi parziali
coloro che hanno un residuo visivo non superiore a 1/20 (anche con correzione), un residuo
perimetrico binoculare inferiore al 10%.
La maggior parte dei bambini non vedenti viene diagnosticato tra i 2 e i 3 mesi di vita, spesso
perché non emerge il sorriso al volto umano e non seguono il movimento degli oggetti. Le
comorbilità più frequenti sono con paralisi cerebrale, disabilità intellettive, sordità, epilessia,
disturbi relazionali, autismo.
2. LE CAUSE.
I siti maggiormente responsabili del deficit visivo sono la retina, il nervo ottico e le vie di
collegamento al cervello, le lenti cristalline e gli occhi. Molte cause di cecità sono di origine
genetica e comportano anomalie in una o più parti dell’apparato visivo. Altre cause sono
dovute a rop (retinopatia del pretermine), subatrofia/atrofia del nervo ottico, malformazioni
congenite, cataratta, toxoplasmosi, anoftalmia, glaucoma congenito e ad altre patologie.

3. LO SVILUPPO MOTORIO.
Secondo Adelson e Fraiberg il ritardo nello sviluppo motorio dei bambini ciechi è dovuto
alla minor motivazione rispetto ai bambini vedenti. Ad esempio non si muovono per
raggiungere un oggetto interessante presente davanti loro perché non lo vedono. Si possono
verificare ritardi medi significativi per quanto riguarda il sollevarsi sulle braccia da prono, l’aiutarsi
con un mobile per alzarsi e il camminare da solo. Frainberg ha trovato lievi ritardi anche nella
motricità fine.
Notevoli possono essere le differenze individuali, soprattutto tra quelli che hanno usufruito di
interventi specifici e gli altri. Ulteriori differenze sono dovute al fatto di essere ciechi o ipovedenti
e anche al fatto di avere solo il deficit visivo o anche altri deficit.

4. LO SVILUPPO COGNITIVO.
I bambini hanno uno sviluppo più lento della nozione della permanenza dell’oggetto rispetto a
quelli vedenti, a meno che non possano beneficiare di circostanze ambientali favorevoli, come per
esempio la visione residua, che ne promuove lo sviluppo.
I bambini non vedenti manifestano meno giochi simbolici dei bambini vedenti (soprattutto quelli
meno evoluti sul piano sociale), ma questo fatto non autorizza a concludere che questo
rappresenti un indice generalizzato ritardo cognitivo.
La cecità può comportare un lieve ritardo nella motricità e nello sviluppo cognitivo senso-motorio,
ma con il passare del tempo viene superato e non ci sono mediamente ritardi
nell’acquisizione del pensiero operatorio concreto e di quello formale. È importante il linguaggio
verbale nel favorire questo recupero.

5. LO SVILUPPO LINGUISTICO.
• lo sviluppo della discriminazione acustica nei bambini non vedenti non differisce da quella
dei vedenti.
• lo sviluppo dei suoni linguistici di bambini non vedenti non differisce da quello dei vedenti, con
l’unica eccezione per la produzione di quei suoni che hanno una forte articolazione visiva.
•se si considera l’età in cui vengono acquisite le prime 50 parole non appaiono differenze
tra i bambini non vedenti e vedenti.
•i bambini non vedenti non hanno alcun deficit nello sviluppo morfologico.
•la misura di mlu (indice dello sviluppo morfo-sintattico), non è ritardato nei bambini ciechi e
anche le analisi sulla comparsa e sulla percentuale d’uso delle frasi coordinate e subordinate
dimostrano che i bambini non vedenti seguono un pattern normale di sviluppo.
• per i non vedenti il linguaggio rappresenta una area di esperienza particolarmente importante. Il
linguaggio per i bambini non vedenti rappresenta uno strumento privilegiato e con funzioni
di compensazione per raccogliere informazioni sulla realtà esterna e per partecipare
all’interazione
sociale.
6. LO SVILUPPO AFFETTIVO, EMOTIVO E SOCIALE.
Il bambino non vedente di 3 o più mesi non gratifica l’adulto con il sorriso quando si china su di lui
o lo prende in braccio e quindi non innesca in modo spontaneo reazioni nell’adulto, che spesso si
concretizzano
in parole o contatti con il bambino che esprimono piacere. Analogamente sono ostacolate la
regolazione dell’attenzione condivisa, l’interazione faccia a faccia, il gioco del cu-cù e la
condivisione attraverso atti di indicazione.
I bambini non vedenti sono tranquilli e silenziosi quando ascoltano e questo può essere
interpretato come carenza interattiva ed emotiva. Più in generale danno l’impressione di essere
più passivi dei bambini vedenti. Nei genitori può esserci disorientamento e nei bambini un po’ di
ritardo nello sviluppo emotivo e sociale.
I genitori in generale riescono a trovare modalità compensative per favorire comunque
l’interazione con il bambino, mediante il tatto, il contatto fisico in generale e il linguaggio. Non
sarebbero presenti conseguenze negative a lungo termine delle difficoltà di interazione nel primo
anno di vita a causa della mancanza della vista.

7. DISABILITÀ VISIVE E DISTURBI NELLO SVILUPPO DELLA PERSONALITÀ?


La cecità non comporta rischi di disturbi psicopatologici significativamente superiori a quelli
presenti nella popolazione in generale, anche se possono essere più frequenti situazioni che
potrebbero trarre giovamento da un aiuto psicologico.
I risultati di una ricerca mostrano che lo sviluppo psicosociale di molti adolescenti con deficit visivo
risulta simile a quello dei loro coetanei vedenti. Comunque alcune adolescenti con deficit visivo
potrebbero aver bisogno di supporto psicosociale più delle compagne vedenti.
È emersa una relazione lineare positiva tra il supporto dei genitori e il benessere di ambedue i
gruppi in una ricerca con adolescenti ciechi o ipovedenti, confrontati con adolescenti vedenti. È
emersa inoltre per gli adolescenti con disabilità visive una relazione lineare positiva anche con il
supporto fornito dai coetanei. Alcuni studiosi hanno condotto uno studio follow-up con bambini
non vedenti e vedenti che anni prima avevano soddisfatto i criteri per l’autismo. I risultati hanno
evidenziato che 8 su 9 partecipanti non vedenti non soddisfacevano più i criteri del dsm per
una diagnosi di autismo, mentre questo avveniva per i partecipanti vedenti. Si tratta di un
dato che invita ad essere prudenti nella valutazione dei bambini non vedenti utilizzando strumenti
e criteri elaborati per i vedenti. Si può sospettare che si sia trattato per i partecipanti non vedenti
di una errata patologizzazione nell’infanzia.

8. IN FAMIGLIA.
I genitori in genere riescono a trovare, attraverso il contatto fisico e illinguaggio, modalità
compensative per favorire l’interazione, soprattutto se inserite in un buon programma di
intervento precoce. Le persone che si prendono cura dei bambini non vedenti possono aiutarli a
comprendere e prevedere gli eventi futuri sin dall’inizio, sfruttando quelle attività che il
bambino quotidianamente intraprende.
Nel momento in cui le azioni quotidiane diventano delle routine il bambino ha l’opportunità di
parteciparvi pienamente e di dirigere parte dell’attenzione verso altri stimoli, come per esempio
verso il linguaggio o verso i gesti che accompagnano l’azione in corso.
I bambini non vedenti hanno maggiori difficoltà a cogliere i pattern che caratterizzano l’interazione
sociale e le loro risposte a queste interazioni sono meno ovvie di quelle dei bambini vedenti e
spesso possono essere stravaganti.
È molto importante che i bambini non vedenti esplorino attivamente l’ambiente circostante. Verso
i 6-7 mesi per promuovere lo sviluppo delle abilità di ricerca e di raggiungimento degli oggetti
possono essere impiegati oggetti che emettono suoni oppure giochi che prevedono aiuti verbali o
tattili. Verso i 9 mesi i bambini non vedenti e i loro genitori possono impegnarsi in giochi
sociali che non prevedono l’uso dell’informazione visiva, come le imitazioni vocali, i giochi in cui
alternativamente si battono le mani, e tutti quelli che si bambino sul contatto fisico e su sequenze
prevedibili.
Ideali sono gli interventi fin dalla nascita, valorizzanti non solo l’intervento sul bambino, ma
anche un approfondito e costante counselling ai genitori.
Fin dai primi mesi di vita sono obiettivi privilegiati:
1) Fornire stimoli per la funzionalità uditiva, tattile e motoria;
2) Favorire la conoscenza del proprio corpo;
3) Promuovere una esplorazione attiva dell’ambiente circostante;
4) Favorire la funzionalità di eventuali capacità visive residue;
5) Utilizzare il linguaggio anche se per scopi diversi rispetto a quelli tipici con i bambini
normodotati;
6) 6) evitare l’iperprotezione per viceversa aiutarlo con un monitoraggio essenziale.
I genitori dovrebbero prestare particolare attenzione al favorire rapporti di amicizia con i coetanei,
in particolare nell’adolescenza.

9. A SCUOLA.
Tra le indicazioni a partire dagli anni in cui il bambino va a scuola ricordiamo:
 •apprendere il metodo braille dai 3 o 4 anni;
 •utilizzare al momento opportuno la scrittura al computer usando programmi che
permettono di udire ciò che si è scritto;
 Facilitare l’inserimento nei primi giorni di scuola, ad esempio accompagnando il bambino
per tutta la scuola (non tutto il primo giorno) e fornendogli adeguati commenti verbali;
 Aiutarlo a conoscere molto bene la propria classe;
 Da parte dell’insegnante risulta importante considerare il fatto che l’allievo con disabilità
visiva può aver bisogno di informazioni verbali supplementari;
 Non usare solo tecniche e strumenti raffinati, ma cercare di usare anche semplici
tecniche ed accorgimenti, come l’uso della registrazione e, per i bambini ipovedenti, l’uso
ad esempio di lavagne magnetiche di ridotte dimensioni con lettere e numeri ben visibili;
 Favorire attività ludico-motorie-fantastiche.
Favorire rapporti di amicizia con i coetanei rappresenta un obiettivo cruciale, in particolare negli
anni della scuola secondaria.

Qualità della vita nell’adulto diventato ipovedente.


I risultati di una ricerca condotta al fine di verificare se la riabilitazione visiva determinava un
miglioramento nella qualità della vita nell’adulto diventato ipovedente, hanno mostrato che i
pazienti ipovedenti riportano in sette aree su otto importanti della salute un miglioramento
significativo della qualità della vita. Solo nel dominio dolore fisico non si hanno cambiamenti
significativi. Secondo gli autori questo potrebbe essere dovuto al fatto che i pazienti anziani, oltre
alla disabilità visiva, presentano anche altre patologie legate all’età.

CAPITOLO 3: LE DISABILITÀ UDITIVE.


L’insufficienza uditiva può influire negativamente sullo sviluppo del linguaggio, della
emozionalità e dell’apprendimento scolastico. È pertanto imperativa la diagnosi precoce.

1. I DEFICIT UDITIVI.
Secondo herer le persone sono sorde con un deficit superiore ai 70 db e con ipoacusia o con
insufficienza dell’udito quelle con un deficit fra 25 e 70 db.
La distinzione principale dei tipi di sordità si basa sulla localizzazione del danno:
1) Si ha un deficit uditivo conduttivo quando sono compromessi l’orecchio esterno o quello
medio;
2) 2) se la menomazione riguarda la coclea o il nervo uditivo, si ha un difetto uditivo
percettivo;
3) Sono possibili anche difetti uditivi misti. Il difetto uditivo può essere unilaterale o bilaterale
(riguardare un solo orecchio o entrambi).
Un difetto uditivo viene classificato con modalità diverse a seconda delle varie nazioni (e a volte
anche nella stessa nazione). In italia, abbiamo la stessa distinzione usata in gran bretagna: leggera
(perdita tra 20 e 40 db); media (perdita tra 40 e 70 db); grave (perdita tra 70 e 90 db); profonda
(perdita oltre i 90 db).
Il lieve di gravità risulta lieve quando la persona ha difficoltà a percepire anche la voce umana,
quando di bassa intensità. Il livello di gravità risulta medio quando comprende poco in una
normale conversazione, con perdita delle consonanti sorde. Il livello di gravità risulta
profondo quando non risulta presente percezione anche di alcuni suoni ambientali intensi.

2. INCIDENZA E PREVALENZA.
In letteratura si trovano dati tra loro discordanti sull’incidenza e la prevalenza dei deficit uditivi.
Questi dati suggeriscono che un bambino su 7-10 può essere interessato da difficoltà uditive,
spesso temporanee; un bambino su 100 ha difficoltà di udito non transitorie; due bambini su 1000
hanno deficit uditivi gravi; circa la metà dei deficit uditivi gravi sono presenti fin dalla nascita; i
deficit uditivi presenti alla nascita sono in maggioranza bilaterali; i deficit uditivi di tipo trasmissivo
sono molti di più di quelli di tipo percettivo. Il fatto che in italia meno di un allievo su 1000 sia
considerato come allievo con disabilità uditiva non risulta del tutto coerente con i dati riportati in
letteratura. I criteri di gravità usati in italia potrebbero essere più severi; inoltre sulla disabilità
uditiva influiscono anche cause ambientali che come tali sono diverse da nazione a nazione.

3. LE CAUSE.
Almeno il 50% dei difetti uditivi (stimati in un individuo ogni 2.000) risulta di origine genetica, in
grande maggioranza non legati ad una sindrome e dovuti a eredità autosomica recessiva. Tra le
cause congenite rientrano ad esempio la rosolia, antibiotici oppure altre sostanze farmacologiche
assunte dalla madre. Tra le cause perinatali rientra l’anossia. Tra le cause postnatali rientrano
traumi fisici, antibiotici o altre sostanze farmacologiche, meningiti batteriche, parotite, morbillo,
varicella.
Non raramente la disabilità uditiva risulta in comorbilità con altre disabilità. Il 30% dei
bambini con ipoacusia mostra una difficoltà aggiuntiva a quella uditiva, associata a gravi problemi
di apprendimento.

4. LA DIAGNOSI.
Soprattutto nel passato erano possibili significati ritardi nella diagnosi di sordità, anche se
congenita (soprattutto se non in comorbilità con altre disabilità). Molti bambini erano
diagnosticati nel secondo o terzo anno di vita e in alcuni casi di sordità lieve anche più tardi.
Da un punto di vista clinico i primi segnali di possibile sordità possono essere colti nel
periodo della lallazione, dato che i bambini sordi hanno una lallazione meno ricca e meno simile
al linguaggio dei loro genitori. Soprattutto il linguaggio ricettivo comunque dovrebbe creare
sospetti di sordità: mancato o scarso orientamento del capo e del corpo alla voce dei genitori (3-5
mesi); eccesso di attenzione ai gesti e alla bocca dei genitori quando parlano (10-12 mesi). Se
la sordità non è totale tuttavia la valutazione diagnostica clinica risulta più difficile.
Poiché alcuni fattori di rischio sono noti, sarebbe opportuno uno screening mirato.

5. LO SVILUPPO PSICOLOGICO.
Lo sviluppo psicologico dipende soprattutto da quanto la disabilità uditiva condiziona (prime
comunicazioni pre-verbali con i genitori, apprendimento di un linguaggio). Il livello del linguaggio
condiziona lo sviluppo cognitivo, l’apprendimento e lo sviluppo metacognitivo (che sono
connessi con lo sviluppo della personalità).
Quando le madri sono sorde le prime interazioni madre sorda-bambino sordo, di norma
procedono naturalmente e questo non influenza negativamente i processi di attaccamento. Le
madri sorde realizzano le interazioni con il proprio bambino ad esempio manifestando più
comportamenti tattili. Quando le madri s sono udenti, inadeguata comunicazione con il figlio e
disagio/stress nei genitori in quanto percepiscono che qualcosa non funziona nell’interazione
rappresentano i rischi più probabili.
Le madri udenti di bambini sordi sono più intrusive e direttive nei loro rapporti con i figli. Anche in
questo caso emerge l’importanza del counselling e della conoscenza di modalità adeguate di
comunicazione con un bambino con disabilità uditive.
In relazione alle modalità di comunicazione più efficaci, la contrapposizione attuale riguarda:
verbale oppure verbale e manuale. La scelta tra un metodo verbale e bilingue (verbale e segni)
risulta secondaria rispetto alla qualità della comunicazione con il bambino: ricca e interattiva.
Una buona comunicazione con il bambino (favorita dal sapere che ha delle disabilità uditive,
dall’essere seguiti nel proprio compito educativo e dal sapere usare con lui un qualche buon
linguaggio) favorisce un buon attaccamento. È importante per un buon sviluppo della personalità
del bambino sordo innanzitutto la possibilità di una precoce ed efficace comunicazione con le
altre persone.
È altrettanto importante la disponibilità di varie esperienze. Fondamentali sono infine buone
esperienze di interazione sociale. Carenze a questo livello possono essere responsabili di alcune
caratteristiche notate nelle persone con disabilità uditive (impulsività, superficialità e vaghezza
nella comunicazione).
È correlata positivamente l’impulsività con una scarsa interazione nei primi mesi o anni di vita, uno
scarso uso del linguaggio in famiglia, difficoltà di comunicazione nella vita scolastica ed
extrascolastica. Le difficoltà di comunicazione possono portare a carenze di spiegazione in vari
campi e quindi a riflettere meno sul significato di quello che si fa o che fanno gli altri.

6. IN FAMIGLIA.
Le ripercussioni di una diagnosi di sordità del figlio sono spesso molto intense nei genitori,
soprattutto se essi sono udenti. Il contatto sistematico con specialisti risulta estremamente
importante. Lo stress genitoriale risulta associato con la presenza di frequenti problemi socio-
emotivi nei figli.
I genitori ricevono dai professionisti quasi esclusivamente informazioni su una sola possibilità
d’azione e di conseguenza interiorizzano le opinioni dei professionisti, senza avere la possibilità di
una scelta autonoma. I genitori di bambini con disabilità uditive necessiterebbero invece di un
counselling sistematico, che non dovrebbe limitarsi a consigliare loro ciò di cui ha bisogno il figlio,
ma che fosse per loro soprattutto una opportunità di confronto sul progetto educativo riguardante
il figlio e che li aiutasse meglio a gestire la sofferenza inevitabilmente presente.

7. A SCUOLA.
Il ritardo nelle prestazioni scolastiche risulta in parte spiegato da prestazioni in test di intelligenza
sotto la media. È necessario intervenire a livello motivazionale e sociale in modo da far emergere
capacità che si trovano nella loro zona di sviluppo potenziale.
Le carenze nella memoria a breve termine invitano a interventi abilitativi e scolastici diretti a
tenere conto della difficoltà, ma anche a potenziare la memoria a breve termine allenandola (in
modo da aumentare lo span di memoria). È opportuno tenere conto della preferenza per la
codifica visuo-spaziale offrendo loro, quando opportuno, stimoli visivi a supporto della
comprensione degli stimoli verbali.
Le carenze a livello della memoria a breve termine (span di memoria) potrebbero essere dovute
anche a carenze metacognitive. Ne deriva l’utilità di un intervento abilitativo diretto a potenziare
le competenze metacognitive, a partire dal sapere come funzionano attenzione e memoria.
Le carenze nell’interazione possono essere responsabili di una comunicazione povera e di un
linguaggio povero, i quali a loro volta influiscono negativamente sullo sviluppo cognitivo,
metacognitivo e sulle prestazioni scolastiche.

8. DISABILITÀ UDITIVE E DISTURBI NELLO SVILUPPO DELLA PERSONALITÀ.


Secondo una ricerca, il 4% delle persone sorde rientra anche nei disturbi dello spettro autistico.
Secondo una altra ricerca la percentuale risulta superiore. In entrambe le ricerche sono
considerate anche le persone sorde con autismo e altre disabilità.
La maggioranza dei bambini sordi appartiene a classi sociali con basso status socio-
economico. Questa condizione spesso associata con minoredisponibilità e responsività da parte
della madre nei confronti delle esigenze del figlio con disabilità uditiva.
i disturbi comportamentali sono più frequenti nei bambini con disabilità uditive che hanno le
prestazioni linguistiche minori.

9. INTERVENTI ABILITATIVI, COUNSELLING ALLE FAMIGLIE, SOSTEGNO SCOLASTICO.


Numerosi sono sostenitori di una educazione bilingue. Ai bambini con disabilità uditive vengono
proposte sia la lingua dei segni che quella verbale. La lingua dei segni viene appresa più
facilmente della lingua verbale soprattutto nei casi di sordità importante e profonda.
L’apprendimento della lingua verbale tende quindi a strutturarsi in coerenza con quella gestuale.
I genitori udenti sono chiamati ad apprendere il linguaggio dei segni e spesso il loro livello di
apprendimento non risulta del tutto soddisfacente.
Se i genitori sono sordi privilegiano il linguaggio dei segni e non offrono sufficienti stimolazioni a
livello di linguaggio verbale. Il linguaggio verbale risulta necessario per comunicare con gli altri
bambini udenti e con gli adulti che non conoscono il linguaggio dei segni. Numerosi sono anche i
sostenitori di una educazione basata solo sul linguaggio verbale. Affinché essa si realizzi sono
necessari: una diagnosi nei primi mesi di vita, precoce protesizzazione, precoci interventi
abilitativi e coinvolgimento dei familiari.
L’intervento abilitativo con i bambini con disabilità uditive risulta sempre molto impegnativo e non
si limita all’insegnamento al bambino del linguaggio verbale o sia del linguaggio verbale che di
quello dei segni. Un intervento adeguato comprende anche counselling alle famiglie,
consulenza agli insegnanti, sostegno al bambino nelle attività scolastiche e in quelle
extrascolastiche.
Le associazioni di genitori di bambini sordi possono essere di particolare aiuto sia per i bambini che
per gli adolescenti e gli adulti con disabilità uditive. Spesso sono di stimolo affinché la società
risponda in modo adeguato ai bisogni delle persone con sordità e spesso attraverso apposite
convenzioni con le istituzioni sanitarie provvedono direttamente anche ad alcuni interventi
abilitativi.
CAPITOLO 4: LE DISABILITÀ FISICHE E MOTORIE.

1. PARALISI CEREBRALI INFANTILI.


La pci rappresenta un disturbo persistente, ma non progressivo della postura e del movimento,
causato da alterazioni della funzione cerebrale infantile prima che il sistema nervoso centrale
abbia completato il suo sviluppo.
La pci rappresenta una patologia essenzialmente motoria. Spesso comunque risulta associata a
disturbi sensoriali e a disabilità intellettiva o funzionamento intellettivo limite. È il prodotto di un
danno encefalico avvenuto dal quinto mese di gravidanza ai 24-36 mesi di vita. È quindi il risultato
di una lesione a livello di sistema nervoso centrale, che ha comportato una qualche perdita di
tessuto cerebrale.
Si tratta di una sindrome neurologica che si modifica nel tempo. Essa influenza in modo
peculiare la maturazione in età evolutiva, manifestandosi in modo diverso a seconda della natura
e dell’età del bambino. Gli interventi abilitativi possono influenzare positivamente lo sviluppo.
Le cause principali sono:
 Fattori genetici
 Malattie croniche materne
 Infezioni materne in gravidanza
 Traumi
 Insufficienza placentare
 Agenti tossici nel periodo prenatale;
 Parto distocico o patologia del post partum nel periodo perinatale;
 Trauma cranico
 Arresto cardiocircolatorio prolungato
 Meningoencefaliti,
 Convulsioni che si prolungano oltre i 20-30 minuti.
La prevalenza risulta circa di 2 individui con pci ogni 1.000.
Secondo una classificazione topografica (sede del disturbo motorio) si distinguono tre tipologie:
emiplegia (disturbo del controllo motorio del lato sinistro o del lato destro del corpo); diplegia
(disturbo del controllo motorio di due arti, più spesso quelli inferiori); tetraplegia (disturbo del
controllo motorio sia del tronco che dei quattro arti). Secondo una classificazione motoria
(caratteristiche del movimento) si distinguono: forme spastiche (con aumento costante del tono in
alcuni gruppi muscolari e dei riflessi da stiramento); forme ipotoniche; forme atassiche (con
disturbi della coordinazione e dell'equilibrio); forme discinetiche o distoniche (con fluttuazione
continua del tono muscolare); e forme miste.
Le forme emiplegiche presentano un lieve ritardo nello sviluppo che può coinvolgere il
linguaggio, ma possono anche associarsi ad epilessia controllabile farmacologicamente e
presentare uno sviluppo ridotto degli arti colpiti.
Le forme diplegiche possono presentare disabilità intellettiva ed epilessia controllabile
farmacologicamente.
 n.b: è frequente un disturbo visivo. La maggioranza risulta in grado di camminare, spesso con
l’ausilio di tutori.
Le forme tetraplegiche presentano una comorbilità alta con le disabilità intellettive. L’epilessia può
essere resistente al trattamento farmacologico. Frequenti sono i disturbi sensoriali, disturbi
della fonazione, disturbi della deglutizione e della masticazione. Rare sono le situazioni in cui il
cammino risulta possibile e in alcuni casi risulta compromessa anche la possibilità di stare seduti
autonomamente.
Attualmente si ritiene importante individualizzare l'intervento rispettando il più possibile le
strategie di adattamento messe in atto dall'individuo. È importante il coinvolgimento dei
familiari per interventi adeguati nella vita quotidiana.

2. I DIFETTI DEL TUBO NEURALE.


I difetti del tubo neurale coinvolgono il midollo spinale, il cervello e le vertebre. Si tratta di
anomalie del sistema nervoso congenite:
1) Anencefalia: una malformazione grave del cervello, in quanto non si ha sviluppo del
sistema nervoso al di sopra del tronco cerebrale. Frequenti sono gli aborti spontanei. È rara
la sopravvivenza oltre l’infanzia.
2) Encefalocelo: una malformazione del cranio con protusione di una porzione
dell’encefalo. Esso può comportare disabilità intellettiva, idrocefalia, diplegia spastica,
epilessia.
3) Spina bifida (più frequente): una malformazione causata dalla chiusura incompleta di una
o più vertebre, risultante in una malformazione del midollo spinale, con paralisi
nervosa conseguente. La spina bifida occulta asintomatica rappresenta la forma meno
grave della patologia in questione. Nella spina bifida cistica, la sacca protundente può
contenere meningi (meningocele), midollo (mielocele) o entrambi (mielomeningocele).
Nel mielomeningocele o spina bifida aperta manca la protezione delle meningi e delle
vertebre alle strutture nervose (a loro volta non correttamente funzionanti), con
conseguente rischio di infezioni.
la prevalenza della spina bifida risulta molto varia, da 0.18 su 1.000 negli stati uniti a 2,5
su 1.000. Le femmine sono più colpite dei maschi. L’assunzione da parte delle madri
di acido folico prima del concepimento e per i primi tre mesi di gravidanza può ridurre di
oltre il 50% la prevalenza.
È importante quando nasce un bambino con mielomeningocele prevenire infezioni del
midollo spinale, proteggere i nervi spinali scoperti e le strutture connesse da eventuali
traumi fisici, e collocare uno shunt per prevenire l’accumulo di liquido cerebrospinale per
evitare la condizione di progressiva idrocefalia.
 in generale la spina bifida mielomeningocele comporta un ritardo non solo nello
sviluppo motorio, ma anche in quello cognitivo e linguistico. Il ritardo dipende anche dal
livello della lesione e dalla presenza di shunting per l’idrocefalia. Per 3 bambini su 4 le
difficoltà a livello cognitivo non sono tali da comportare una diagnosi di disabilità
intellettiva e rari sono i casi di disabilità intellettiva severa. Circa il 15% risulta affetto da
epilessia.
In termini di profilo cognitivo le aree più colpite sono:
 Le capacità motorie
 Le capacità percettive
 Le abilità visuo-motorie e spaziali
 Le funzioni esecutive in generale
 Le capacità attentive,
 Le capacità di organizzazione
 Il problem-solving
 Le abilità matematiche
 Le prestazioni linguistiche in generale
 Il linguaggio sociale
 Il comportamento adattivo
 Il problem-solving sociale e le interazioni sociali.
CAPITOLO QUINTO: LE DISABILITÀ INTELLETTIVE.

1. LE DISABILITÀ INTELLETTIVE EVOLUTIVE.


Secondo il dsm iv tr, la diagnosi di ritardo mentale si basava sulla presenzanecessaria di un qi
uguale o inferiore a 70, un carente funzionamento adattivoe un esordio prima dei 18 anni. Nel
dsm-5 l’espressione ritardo mentale risulta sostituita da disabilità intellettive evolutive. La
disabilità intellettiva rappresenta un disturbo che emerge in età evolutiva e che include deficit sia
del funzionamento intellettivo che adattivo nelle aree concettuali, sociali e pratiche.
I deficit nelle funzioni intellettive, come ragionamento, risoluzione di problemi, capacità di
pianificazione, pensiero astratto, capacità di giudizio, apprendimento scolastico e capacità di
apprendere dall'esperienza devono essere confermati sia da una valutazione clinica che da test di
intelligenza individuali standardizzati.
I deficit nel funzionamento adattivo si riferiscono agli insuccessi che si incontrano nell'affrontare le
richieste standard tipiche per l'età e il contesto socioculturale relativamente all'autonomia
personale e alla responsabilità sociale.
I livelli di gravità della disabilità intellettiva non sono determinati dal qi, ma dai supporti richiesti.
Essi dipendono dalle capacità adattive che a loro volta sono legate al funzionamento intellettivo
(valutato anche con i test di intelligenza).

2. CAUSE, INCIDENZA E COMORBILITÀ.


Molteplici sono le cause di disabilità intellettive. Almeno il 50% risulta costituito da anomalie
genetiche. Tra le cause biologiche non genetiche vi sono
1) Infezioni della madre durante la gravidanza (come toxoplasmosi)
2) Incompatibilità materno-fetale del fattore rh o ab0
3) Consumo di droghe, fumo e alcool durante la gravidanza da parte delle madri
4) Intossicazione da mercurio
5) Radiazioni
6) Eccesso di piombo nel sangue,
7) Anossia, ipossia, asfissia e traumi cranio-vertebrali durante il parto,
8) Effetti correlati al basso peso alla nascita
9) Meningiti, encefaliti, malattie demilielizzanti, trauma cranici, tumori cerebrali, trombosi,
emorragie.
Una casistica ampia riguarda i rapporti fra lesioni cerebrali e disabilità intellettive. Anche
malnutrizione e gravi carenze educative possono produrre disabilità intellettive. Tali fattori più
facilmente sono responsabili di profili di funzionamento intellettivo limite o di disturbi nello
sviluppo della personalità. L
A sindrome genetica più famosa causa di di risulta la sindrome di down. Ne sono state descritte
comunque più di 750. Considerando le 27 più conosciute risulta che circa lo 0,26% della
popolazione ha di a causa di una di queste sindromi. Nei casi di disabilità intellettiva in cui
non risulta possibile usufruire della conoscenza delle caratteristiche tipiche di una sindrome, la
valutazione individuale del profilo cognitivo, linguistico e adattivo tipico risulta ancora più
importante. Per alcune sindromi il rischio di di tende al 100% (s. Di angelman), per altre il rischio
risulta comunque molto alto (s. Di williams) e per altre ancora solo una minoranza delle persone
con questa sindrome hanno di.
Ogni sindrome genetica causa di di tende ad avere caratteristiche peculiari. Alcune sindromi hanno
una notevole variabilità nello sviluppo cognitivo. Alcune sindromi (s. Di down) sono
caratterizzate da un decremento del qi con il passare del tempo.
Alcune sindromi colpiscono esclusivamente o prevalentemente i maschi (s. Di x fragile), mentre
per altre avviene il contrario s. Di rett). Nel complesso maschi e femmine sono ugualmente colpiti.
Si tratta di un dato in contrasto con quello che riguarda le di in generale che invece risulta
caratterizzato dal fatto che i maschi sono più delle femmine.
In italia le di rappresentano la categoria più numerosa di allievi certificati con disabilità (in totale
sono almeno 2 su 3 allievi certificati).
Le di hanno un alto rischio di comorbilità. Molte persone con autismo hanno anche di. Anche fra
ADHD e di la comorbilità risulta frequente. È più alta rispetto alla popolazione generale la presenza
di disturbi di tipo psichiatrico: 30-40% nelle di e un poco più del 20% nella sindrome di down.

la sindrome di down.


Causa genetica: presenza di un cromosoma 21 in più, l'incidenza di 1/1.000.
L’ipotonia muscolare risulta presente in più del 95% dei casi. I rischi in termini di salute sono
molteplici, tra i quali difetti cardiaci congeniti e disfunzioni tiroidee. Rarissimi sono i casi di
paternità e rari quelli di maternità. Attualmente le aspettative di vita sono oltre 60 anni.
Qi attorno a 50-60 nei primi anni di vita e attorno a 40 a 18 anni, tuttavia, utilizzando il costrutto di
età mentale, essa aumenta progressivamente fino a raggiungere in media i 5-7 anni. La
variabilità intrasindromica risulta comunque notevole e le capacità adattive possono essere di 3-5
anni superiori a quelle tipiche dei bambini normodotati con pari età mentale.
Lo span di memoria verbale risulta inferiore rispetto a quello dei bambini di pari età mentale, con
difficoltà nella memorizzazione se richiede operazioni a livello mentale. Lo span di memoria visuo-
spaziale risulta pari rispetto a quello dei bambini di pari età mentale.
Rispetto ai compagni di pari età mentale riscontriamo espressione con frasi più corte, omissione di
articoli e preposizioni, e l’intelligibilità della parola a volte non risulta buona. In pari con l’età
mentale tende ad essere la comprensione linguistica, la comunicazione non verbale, il lessico e la
pragmatica. Una minoranza di individui con sindrome di down presenta tratti autistici e/o gravi
carenze linguistiche

la sindrome di williams.


Causa genetica: microdelezione sul braccio lungo del cromosoma 7, incidenza 1 su 10.000-20.000.
Peculiarità somatiche (meno evidenti nei primi anni di vita) come pienezza dei tessuti periorbitali,
iridi azzurre con caratteristica forma a stella, guance prominenti e cadenti, anomalie
dentarie. A livello di salute: frequenti alterazioni cardiovascolari, articolazioni ipersensibili e
basso tono muscolare, ipersensibilità al suono (più del 95% dei casi).
Di lieve o moderata nella maggior parte dei casi.
Tra i punti di forza si evidenziano alcuni aspetti del linguaggio, la memoria uditiva a breve
termine, il riconoscimento dei volti, l’intelligenza sociale e le abilità musicali; i compiti costruttivi
visuo-spaziali e la memoria visuo-spaziale a breve e a lungo termine rappresentano un punto di
debolezza.
Relativamente al linguaggio, la comprensione risulta più limitata della produzione, che tende ad
essere corretta dal punto di vista grammaticale, complessa e fluente a livello superficiale, ma
prolissa e pseudo matura. Nonostante il vocabolario sia ben sviluppato, viene spesso usato in
modo inappropriato. Notevoli sono le difficoltà a carico delle abilità visuo-percettive e percettivo-
motorie.
In funzionamento adattivo generale tende ad essere inferiore rispetto a quanto atteso sulla base
dell’età mentale. Essi possono avere problemi comportamentali o psichiatrici, tra cui
iperattività, problemi di attenzione, sbalzi d’umore, ansia notevole e ossessioni.
la sindrome di x fragile.
Causa genetica: alterazione nel braccio lungo del cromosoma x, dove è situato il gene fmr1 che
codifica per la proteina fmrp che influenza il normale funzionamento del cervello.
Prima causa di di ereditaria. Prevalenza di 1 maschio su 4.000 e 1 femmina su 6.000-8.000. Si è
stimato che 1 donna su 259 nella popolazione generale sia portatrice e quindi a rischio di avere
bambini affetti. Peculiarità somatiche: viso stretto e allungato, fronte e mandibola
prominenti, orecchie basse con padiglioni auricolari particolarmente grandi e sopra gli 8 anni
macroorchidismo. In circa il 20% dei maschi sono presenti crisi epilettiche, che si risolvono con
l’età nella maggior parte dei casi.
- Di variabile da grave alla normalità.
Migliori abilità in compiti di elaborazione simultanea piuttosto che sequenziale. Punto di
debolezza riscontrabile nella mdl, in particolare a carico dell’esecutivo centrale e delle abilità
attentive per l’esecuzione di un compito complesso. In generale le femmine presentano maggiori
difficoltà nelle abilità spaziali; rimangono invece migliori le abilità verbali. Spesso sono
presenti ritardi nello sviluppo del linguaggio sia ricettivo che espressivo.
A livello comportamentale la maggior parte dei ragazzi presenta iperattività, impulsività e difficoltà
di attenzione, possono inoltre manifestarsi comportamenti di tipo autistico o simil-autistici.
Nonostante la timidezza, l’ansia sociale e la bassa tolleranza alle frustrazioni, la maggior
parte dei ragazzi risulta affettuosa e ha interesse a astringere relazioni con gli altri.

 la sindrome di prader-willi.
Causa genetica: anomalia nel braccio lungo del cromosoma 15 di origine paterna, incidenza circa 1
su 10.000/15.000.
Aspetti fisici e motori: la statura tende a essere bassa, le mani e i piedi piccoli, presente inoltre un
basso tono muscolare (ipotonia) fin dalla nascita. La sindrome è caratterizzata da sviluppo sessuale
immaturo e da una tendenza all’obesità causata da appetito eccessivo (iperfagia), presenti
disfunzioni a carico dell’ipotalamo.
- Di da media a grave.
Punti di forza quali capacità visuo-motorie e mlt.
Punti di debolezza nelle abilità uditivo-verbale, a livello articolatorio con conseguente scarsa
intellegibilità.
L’instabilità emotiva, tipica della sindrome, comporta difficoltà di gestione dell’aggressività
causata da frustrazioni anche lievi. Il fenotipo comportamentale sarebbe caratterizzato anche
da comportamenti oppositivi, impulsività, cocciutaggine, ripetitività, compulsioni, tendenza a
parlare troppo in alcune situazioni, livelli di attività ridotti. È contemporaneamente presente un
atteggiamento amichevole e un forte istinto materno/paterno.
Negli adolescenti e negli adulti i rischi psicopatologici riguardano soprattutto la depressione e i
disordini ossessivo-compulsivi.

la sindrome di angelman.


Causa genetica: anormalità genetica presente nel braccio lungo del cromosoma 15 di origine
materna, incidenza stimata fra 1/12.000 e 1/25.000.
Aspetti fisici e motori caratterizzanti sono l'andatura atassica e a scatti, gli attacchi epilettici, gli
scoppi improvvisi (e apparentemente ingiustificati) di riso. È ritardato lo sviluppo motorio.
Di molto grave: in termini di qi sotto 25 e in termini di età mentale non superiore al secondo anno
di vita. Particolarmente colpito risulta il linguaggio espressivo (spesso a livello di poche parole).
Tra i comportamenti abbastanza tipici: mettere oggetti in bocca, iperattività, problemi legati al
sonno (ad esempio ad addormentarsi), stereotipie, problemi di alimentazione nell'infanzia. Con il
passare dell'età tendono a diminuire l'iperattività e i disturbi del sonno.
Lo sviluppo sociale risulta pesantemente condizionato dal livello intellettivo e comunicativo-
linguistico, ma può essere, almeno nell’area delle autonomie personali, caratterizzato da
prestazioni superiori rispetto a quelle tipiche dei bambini di due anni.

la sindrome di rett.


Causa genetica: mutazione del gene mecp2 del cromosoma x, la prevalenza è 1/10.000-15.000
femmine. Spesso sono rinvenibili quattro fasi di sviluppo:
1) 16-18 mesi. Precoce decelerazione dello sviluppo dopo una fase iniziale apparentemente
normale, con ipotonia e scarso interesse per l’apprendimento e le attività ludiche.
2) 12-18 mesi-3 anni. Rapida regressione. Rallentamento della crescita del cranio. Sono
frequenti, disturbi del sonno, crisi di pianto, urla, comportamenti autolesionistici (come
mordersi o darsi schiaffi) e di autoisolamento di tipo autistico. Compaiono movimenti
stereotipati delle mani (serrate, strofinate, portate alla bocca) e problemi gravi nella
deambulazione. Comuni sono i problemi nell’alimentazione. Lo sviluppo comunicativo-
linguistico regredisce in modo notevole.
3) 2-3 anni-10 anni. Fase apparentemente stazionaria (di plateau). Diminuiscono anche i tratti
di tipo autistico.
4) Circa dopo i 10 anni. Fase di deterioramento motorio. Sono possibili progressi a livello della

comunicazione, dello sviluppo sociale e dell’autonomia personale


Lo sviluppo cognitivo è caratterizzato da disabilità intellettiva grave o gravissima (con scarso o
assente uso del pensiero simbolico). Il linguaggio verbale spesso è assente o limitato a poche
parole.
Con l’adolescenza tende a migliorare la comunicazione non verbale (contatto visivo, capacità
di riconoscimento delle persone). Sono possibili comportamenti autolesionistici (come
schiaffeggiarsi).

allievi con disabilità intellettive nelle classi inclusive: risultati dalla letteratura internazionale.
Le prestazioni scolastiche degli allievi con di inseriti in classi normali sono uguali (in caso di
disabilità intellettiva grave) o migliori (in caso di disabilità intellettiva lieve) di quelle dei propri
coetanei inseriti in classi speciali. Particolarmente avvantaggiati risultano gli allievi con di lievi.
Numerose sono anche le ricerche e le rassegne che evidenziano livelli superiori di sviluppo sociale.
L’apprendimento degli studenti senza disabilità nelle classi inclusive e in quelle tradizionali
risulta equivalente o superiore.
La letteratura evidenzia l’importanza di una adeguata programmazione e la modifica
dell’istruzione generale per adattarla anche ai bisogni degli studenti con disabilità. Le variabili
critiche sembrano le seguenti:
1) atteggiamento accogliente nei confronti di tutti gli allievi;
2) assistenti all’insegnamento;
3) un insegnamento flessibile, che permetta la personalizzazione;
4) didattiche flessibili;
5) ritenere che l’istruzione degli allievi con disabilità sia normale responsabilità di un insegnante.

3. PREVENZIONE.
La prevenzione comprende quello che può essere fatto per evitare conseguenze negative. Possono
essere considerati interventi di prevenzione quelli effettuati per evitare che un bambino abbia di a
causa di una assenza di ossigenazione al cervello al momento del parto; oppure ancora che
un adolescente con di sviluppi successivamente anche disturbi di personalità. La prevenzione
risulta soprattutto un atteggiamento mentale piuttosto che un insieme di iniziative da prendere.
La prevenzione inizia con la consapevolezza che con il passare dell'età dei genitori i rischi di un
figlio disabile aumentano.
I genitori che ritengono opportuno sapere hanno a disposizione varie possibilità come
l’amniocentesi.
È essenziale l’aiuto di un pediatra sia per la cura generale che per coordinare le visite specialistiche
necessarie. Di norma sono importanti accertamenti fin dai primi mesi di vita. Modalità
adeguate di educazione e trattamento hanno anche finalità preventive.

4. IN FAMIGLIA.
La famiglia rappresenta il luogo privilegiato di educazione e integrazione del figlio con di.
L’intervento educativo di cui hanno bisogno i bambini con di nei primi anni di vita ha molto in
comune (anche se con tempi diversi) con quello adeguato per gli altri bambini. È fondamentale la
conoscenza delle caratteristiche cruciali dello sviluppo tipico.
Nei primi 6 anni particolare attenzione viene dedicata a:
- Autonomia alimentare e buone abitudini a tavola;
- Uso del pannolino e del gabinetto;
- Igiene personale;
- Riposare e dormire;
- Vestirsi da solo.
L’educazione familiare di un bambino con di iscritto nella scuola primaria risulta caratterizzata dal
fatto che con il passare del tempo risulta sempre più evidente la discrepanza tra l’età
cronologica e lo sviluppo mentale e comportamentale. I temi educativi fondamentali sono
quindi molto simili a quelli che coinvolgono un bambino di età inferiore.
È importante la collaborazione fra scuola e famiglia ma anche molto complessa. Non risulta facile
trovare un vero consenso nelle aspettative.
A parere di molti insegnanti i genitori hanno delle aspettative eccessive. Come tutti gli adolescenti
anche quelli con di, pur con tempi differenti, sono chiamati a gestire adeguatamente le
modificazioni somatiche e puberali.
Comune può essere un lieve senso di disorientamento. Con l’adolescenza e l’emergere delle
problematiche sessuali risulta ancor più necessario imparare a gestire adeguatamente i ruoli
connessi con il proprio genere.
Per quanto riguarda le problematiche legate alla sessualità i genitori e insegnanti possono far
fatica a capire i bisogni dei loro figli mettendo in atto meccanismi di negazione o, al contrario, di
sopravvalutazione dei bisogni. La conquista dell’autonomia inizia fin dalla nascita, anche se vi
sono dei momenti cruciali, tra i quali l’autonomia derivante dall’aver imparato a camminare,
quella relativa all’organizzazione scolastica e a quella sociale.
Una persona con di adolescente o adulto ha compiti di sviluppo fondamentali riguardanti
l’autonomia. Importanti aree dell’autonomia esterna sono la comunicazione, l’orientamento, il
comportamento stradale, l’uso del denaro, l’uso dei negozi e in generale dei servizi.

5. A SCUOLA.
 Assieme a tutti gli altri. Bambini e ragazzi con di realizzano meglio i propri potenziali di
apprendimento cognitivo e sociale in contesti di integrazione scolastica. È importante in
italia evitare di ricreare situazioni da scuola speciale (l'allievo con di esce sistematicamente
dalla classe o l'intervento didattico ed educativo risulta assegnato unicamente
all’insegnante di sostegno).
 Conoscere lo sviluppo tipico. Molti insegnanti si trovano in difficoltà con i bambini
certificati con disabilità non perché non conoscono i problemi specifici della disabilità, ma
perché non conoscono abbastanza bene lo sviluppo normale.
 Conoscere le specificità dello sviluppo atipico:
1) conoscenza delle problematiche tipiche delle di;
2) conoscenza delle caratteristiche tipiche delle specifiche sindromi;
3) comprensione della specificità del singolo.
 Partire dalle ricchezze del bambino (e dalla sua zona di sviluppo potenziale). Insegnare
qualcosa all’allievo riconoscendo la sua ricchezza richiede di:
 Ristudiarsi lo sviluppo nei primi due anni di vita;
 Ri-sorprendersi di fronte ai progressi che i bambini normodotati hanno nei primi
anni di vita;
 Capire a quali livelli si colloca il bambino o il ragazzo;
 Fargli proposte adeguate al suo livello, tenendo conto del fatto che le sue capacità
di apprendimento di cose nuove sono minori di quelle di un bambino di
stessa età equivalente e che anche la sua motivazione all’apprendimento e
l’autostima tendono ad essere minori.
 Allievo protagonista del proprio apprendimento. È importante la valorizzazione di un
insegnamento
rispettoso dell’allievo. Da questo rispetto derivano l’attenzione per la sua zona di
sviluppo potenziale e proposte di insegnamento su cui egli possa lavorare esprimendo
la sua iniziativa, costruendo sulle sue conoscenze, utilizzando approcci, strategie e
strumenti propri e in via di miglioramento.
 Importanza della motivazione e dei valori. Ogni comportamento ha una necessaria
componente motivazionale e senza di esse l’individuo non mette a disposizione le
sue energie. Tener conto della motivazione significa soprattutto considerare come
l’individuosi proietta nel futuro, la sua filosofia di vita, quello che per lui risulta importante.
 Insegnamento differenziato e conduzione della classe in cui è inserito un alunno con
disabilità. L’insegnamento differenziato proposto all’alunno con di riguarda attività
semplificate coerenti con quello che in quel momento sta facendo la classe.
 Ruolo dell’insegnante di sostegno. Un buon insegnante di sostegno dovrebbe avere
adeguate conoscenze sulle caratteristiche dell’allievo e competenze didattiche
specialistiche. È cruciale la capacità di collaborazione con gli altri insegnanti, in modo
da favorire un adeguato insegnamento anche quando l’allievo con disabilità non può
usufruire della sua presenza.
 La cooperazione con i compagni di classe favorisce il realizzarsi dei potenziali di sviluppo. È
molto utile per le classi in cui è inserito un allievo con disabilità intellettive e in cui si attua
un insegnamento differenziato
 Strutturazione dell’ambiente … in aula con i compagni. È importante che l’ambiente
sia molto ben strutturato, non rumoroso, privo di distrazioni, caratterizzato da una
routine costante che permetta la prevedibilità di quello che si farà. Spesso queste
indicazioni non sono pensate per allievi in classe con molti compagni, ma per situazioni di
scuola speciale o di classe-laboratorio con uno o comunque pochi allievi. È importante
mediare fra due istanze egualmente importanti: strutturare in un determinato modo
l’ambiente e non rinunciare al contatto con gli altri compagni.
 Ogni ambito il suo intervento. Quello che si impara in un determinato ambito ha scarsa
generalizzabilità in altri ambiti. Questo significa che ogni ambito di apprendimento richiede
interventi sistematici specifici. Ogni apprendimento inoltre risulta soggetto ad oblio e deve
quindi essere consolidato e mantenuto nel tempo. Questo vale ancora di più per gli allievi
con di.

la comunicazione aumentativa alternativa (caa).


Si stanno diffondendo sempre più approcci volti a favorire la comunicazione nei casi in cui il
linguaggio verbale sia particolarmente compromesso. Si tratta di approcci tra loro anche diversi,
comunque rientranti nella comunicazione aumentativa alternativa, in cui l’aggettivo
alternativa risulta usato in contrapposizione con la comunicazione verbale e il termine
aumentativa per evidenziare che si vuole aumentare anche il linguaggio verbale o comunque
che si vogliono aumentare, assieme al linguaggio verbale, le prestazioni a livello di
comunicazione. L’uso risulta consapevole, mirato e programmato per supplire a carenze di
linguaggio verbale.
La fase iniziale della caa prevede l’uso di immagini di oggetti che vengono presi e dati
all’interlocutore o posti in un contenitore per richiedere una qualche azione (dammi da mangiare
o da bere o portami in giardino) o per comunicare che si esegue una azione. Successivamente le
immagini possono raffigurare una azione. Nelle prime fasi si amplia il più possibile il lessico.
Successivamente (dipende molto dai livelli intellettivi della persona con disabilità) si possono
formare, con le immagini, vere e proprie frasi, da quelle prodotte attraverso due immagini a quelle
prodotte con più di due immagini.

6. INTERVENTI ABILITATIVI.
Gli interventi abilitativi riguardano il:
 Potenziamento delle capacità motorie: interventi di fisioterapia e psicomotricità;
 Potenziamento delle capacità comunicative e linguistiche : nella realtà italiana sono rare le
situazioni in cui si attua un intervento prelinguistico precoce. È tradizionale l’intervento
diretto a favorire una corretta pronuncia delle parole. Molto importanti sono anche gli
interventi diretti ad un arricchimento lessicale e morfologico-sintattico. È fondamentale il
coinvolgimento dei genitori per favorire apprendimenti in situazione. Nei casi di
disprassia o di afasia di parola alcuni studiosi consigliano l'uso di una lingua dei segni e
della comunicazione aumentativa alternativa.
 Potenziamento delle capacità cognitive: nei primi anni l’intervento può essere realizzato in
parte dai genitori fornendo un counselling adeguato. È importante nel primo anno del
bambino aiutare i genitori ad accettare positivamente e realisticamente la situazione,
favorire la conoscenza del bambino mediante un affinamento della capacità di
osservazione dei comportamenti significativi, riflettere con costanza e profondità sulle
modalità educative più adeguate. Nel secondo anno acquista ulteriore importanza
osservare e capire (e se opportuno favorire) lo sviluppo motorio e quello comunicativo e
linguistico. Seguono quindi, sempre più importanti negli anni successivi, altri
temi di counselling: lo sviluppo dell’autonomia, l’inserimento nell’asilo nido e i
rapporti con gli insegnanti.
È presente inoltre materiale per il potenziamento del pensiero del "progetto ms” per
bambini e ragazzi con una età mentale minima di 3 anni. Esso prevede alcuni test
per la valutazione e materiale per l’intervento diretto a favorire progressi nelle aree
delle corrispondenze e delle funzioni, delle nozioni spaziali e temporali, delle simmetrie e
delle rotazioni. È importante negli interventi diretti al potenziamento delle capacità
cognitive (almeno per bambini con età mentali superiori ai 4 anni):
a. Accrescere le conoscenze su come funziona la mente;
b. Evidenziare che tendiamo a sopravalutare le capacità di ricordo;
c. Proporre sfide ottimali motivanti;
d. Esercitare il soggetto nell’uso di strategie di controllo tipiche della memoria di
lavoro;
e. Contribuire a potenziare un atteggiamento attribuzionale che valorizzi il ruolo
dell’impegno;
f. Proporre training che combinino attività dirette alla conoscenza di come funziona
la mente con attività di esercizio di strategie di memoria.
È cruciale il coordinamento dei differenti interventi.

7. DISABILITÀ INTELLETTIVE EVOLUTIVE: IN ETÀ ADULTA.


Molteplici sono le problematiche dell'integrazione e dell'abilitazione con giovani e adulti con
disabilità cognitive evolutive. Quasi tutti vivono in famiglia, solo una esigua minoranza (meno
dell’1%) vive in appartamento assieme ad altre persone con disabilità intellettive o in istituti
residenziali. Alcuni lavorano in contesti in cui i colleghi non hanno disabilità o in cooperative in cui
sono numerosi i colleghi con disabilità, altri frequentano centri educativi occupazionali diurni
(ceod) in cui sono presenti giovani e adulti con disabilità ed educatori.
È proposta, soprattutto nelle cooperative e nei ceod, la terapia occupazionale il cui fine risulta
l’occupazione che rappresenta anche il mezzo mediante il quale si cerca di modificare le
funzioni della persona. Generalmente sono presenti tre aree all’interno delle quali possiamo
trovare occupazioni: cura personale, lavoro (scuola) e tempo libero.

8. DISABILITÀ INTELLETTIVE EVOLUTIVE: IN ETÀ SENILE.


Le aspettative di vita delle persone con di aumentano sempre di più nonostante con il passare
dell’età aumentino i rischi di comorbilità con malattie di tipo fisico come patologie visive,
cardiache, diabetiche e tiroidee. Con l'età aumentano anche i rischi psicopatologici. In età
senile sono possibili anche casi di demenza che interessano in particolare le persone con
sindrome di down.

9. DISABILITÀ COGNITIVE ACQUISITE.


Nella letteratura internazionale ci si riferisce spesso alle disabilità cognitive acquisite con
l’espressione lesioni cerebrali acquisite (acquired brain injury; abi). Riferendosi ad alcune disabilità
acquisite si usano anche le espressioni gravi cerebrolesioni acquisite e traumi cranici infantili.
Le disabilità cognitive acquisite rappresentano l’esito di molteplici cause come traumi, infezioni,
ipossia, interventi chirurgici, tumori, radiazioni.
Le gca sono caratterizzate da un danno cerebrale accompagnato da coma non inferiore alle
24 ore e disabilità sensoriali, motorie, cognitive e/o comportamentali. È stato stimato che ogni
anno in italia i casi di gca siano 10-15 ogni 100.000 abitanti.
Non tutte comunque comportano disabilità cognitive e ancor meno disabilità intellettive.
I traumi cranici infantili si caratterizzano per notevole frequenza, significative differenze nella
sintomatologia clinica rispetto agli adulti, migliori possibilità di recupero rispetto agli adulti. Nei
primi anni di vita le cause più frequenti di trauma cerebrale infantile sono gli incidenti stradali, in
adolescenza e nella giovinezza si tratta soprattutto di incidenti motociclistici.
L’incidenza dei traumi cerebrali infantili non risulta facile da stabilire perché non sempre risulta
facile stabilirne la gravità. In italia comunque un bambino ogni 600 muore per trauma cranico. Gli
effetti del trauma cranico in età infantile possono manifestarsi anche tardivamente e non venire
riconosciuti come effetti del trauma, ma attribuiti ad altri fattori come scarsa intelligenza, scarsa
motivazione all’apprendimento, disturbi di personalità, disturbi specifici di apprendimento.
Alcuni training riabilitativi si prefiggono un potenziamento delle capacità attentive. Un
programma particolarmente usato con gli adulti consiste nel apt (attention process training),
mentre a bambini e adulti sono stati proposti l’amsterdam memory and training program for
children e il cognitive remediation program. Complessivamente sembra che i training che si
propongono di compensare con l’uso di strategie le carenze di memoria siano più efficaci di quelli
che cercano di potenziare direttamente gli span di memoria.
Spesso le disabilità intellettive acquisite sono associate con disabilità a livello comunicativo e
linguistico.
I programmi di riabilitazione delle funzioni esecutive hanno come oggetto cruciale il controllo dei
processi cognitivi: come potenziarlo o come compensarlo. Nei programmi di questo tipo
fondamentale risulta il problem-solving nelle situazioni di vita quotidiana. Nella riabilitazione
adulta risulta efficace il programma goal management training.
È importante nella riabilitazione cognitiva in bambini e adolescenti il coinvolgimento dei familiari e
insegnanti e che questa comporti risultati nella vita quotidiana. È importante nella riabilitazione
degli adulti che gli interventi riabilitativi favoriscano la partecipazione attiva dell’individuo,
incrementino la motivazione al miglioramento, considerino i valori della persona e la sua
proiezione nel futuro.

10. IL DETERIORAMENTO COGNITIVO IN ETÀ SENILE.


In età senile aumentano i casi di demenza. La percentuale complessiva di persone colpite
varia da popolazione a popolazione. Le tre tipologie/cause fondamentali sono il morbo di
alzheimer, demenza arteriopatica e morbo di parkinson. L'incidenza aumenta con l'età ma anche
dopo i 90 anni non supera il 50%.
La demenza comporta disabilità cognitiva con carenze anche a livello di attenzione, memoria e
funzioni esecutive. Possono essere associati disturbi comportamentali.
È cruciale per la riabilitazione delle demenze la terapia occupazionale. Essa viene proposta anche
per evitare una ulteriore riduzione delle capacità funzionali a causa di inattività.
Alcune indicazioni utili anche per le situazioni di deterioramento cognitivo lieve:
 È efficace un approccio integrato che preveda equilibrio fra esperienze di socializzazione,
attività fisica e attività cognitiva.
 È importante un controllo alimentare che eviti ogni eccesso e che garantisca una dieta
equilibrata.
 Soprattutto quando i caregiver sono i familiari non sono rare le situazioni di stress e
di disorientamento: gli operatori sociosanitari dovrebbero averne piena consapevolezza
prendendosi in carico non solo la persona con demenza ma anche i caregiver.
Fondamentale risulta l’atteggiamento di base di accoglienza e comprensione assunto nei
loro confronti.
 È importante l’aspetto motivazionale: fare perché si vuole raggiungere un obiettivo.
 La memorizzazione di cose nuove risulta affidata alla memoria implicita piuttosto che
a quella esplicita (consapevole). È importante proporre le cose da fare aiutando, più che
spiegare perché si fanno in un determinato modo.
 Ogni proposta deve essere individualizzata e quindi richiede una profonda
conoscenza della persona.
 Dare molta importanza alle relazioni sociali.
 Negli ambienti istituzionalizzati anche gli oggetti più comuni possono essere differenti e
quindi difficili da usare.
 È importante dare l’aiuto necessario quelle attività complesse, senza sostituirsi.
 Evitare che una attività si concluda con la constatazione che era troppo difficile.

CAPITOLO 6: I DISTURBI DELLO SPETTRO DELL'AUTISMO.

1. I DISTURBI DELLO SPETTRO DELL'AUTISMO.


Il DSM-5 ha apportato sostanziali modifiche nella descrizione dei disturbi che rientrano
nello spettro autistico; tra queste la più evidente è stata la sostituzione della precedente
categoria diagnostica dei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo con quella dei Disturbi dello spettro
dell’autismo.
Criteri diagnostici DSM 5:
A) Deficit persistente della comunicazione sociale e nell’interazione sociale in molteplici
contesti, come manifestato dai seguenti fattori, presenti attualmente o nel passato:
1) Deficit della reciprocità socio-emotiva, che vanno, per esempio, da un approccio
sociale anomalo e dal fallimento della normale reciprocità della conversazione; a una
ridotta condivisione di interessi, emozioni o sentimenti; all’incapacità di dare inizio o
di rispondere a interazioni sociali.
2) Deficit dei comportamenti comunicativi non verbali per l’interazione sociale, che
vanno, per esempio, dalla comunicazione verbale e non verbale scarsamente
integrata; ad anomalie del contatto visivo e del linguaggio del corpo o deficit della
comprensione e dell’uso di gesti; a una totale mancanza di espressività facciale e di
comunicazione non verbale.
3) Deficit dello sviluppo, della gestione e della comprensione delle relazioni, che vanno,
per esempio, dalle difficoltà di adattare il comportamento per adeguarsi ai diversi
contesti sociali; alle difficoltà di condividere il gioco di immaginazione o di fare
amicizia; all’assenza di interesse verso i coetanei.
Specificare la gravità attuale: Il livello di gravità si basa sulla compromissione della comunicazione
sociale e sui pattern di comportamento ristretti, ripetitivi (vedi tabella dei livelli di gravità).
B) Pattern di comportamento, interessi o attività ristretti, ripetitivi, come manifestato da
almeno due dei seguenti fattori, presenti attualmente o nel passato:
1) Movimenti, uso degli oggetti o eloquio stereotipati o ripetitivi (per es., stereotipie
motorie semplici, mettere in fila giocattoli o capovolgere oggetti, ecolalia, frasi
idiosincratiche).
2) Insistenza nella sameness (immodificabilità), aderenza alla routine priva di flessibilità
o rituali di comportamento verbale o non verbale (per es., estremo disagio davanti a
piccoli cambiamenti, difficoltà nelle fasi di transizione, schemi di pensiero rigidi, saluti
rituali, necessità di percorrere la stessa strada o di mangiare lo stesso cibo ogni
giorno).
3) Interessi molto limitati, fissi che sono anomali per intensità o profondità (per es., forte
attaccamento o preoccupazione nei confronti di soggetti insoliti, interessi
eccessivamente circoscritti o perseverativi).
4) Iper- o iporeattività in risposta a stimoli sensoriali o interessi insoliti verso aspetti
sensoriali dell’ambiente (per es., apparente indifferenza a dolore/temperatura,
reazione di avversione nei confronti di suoni o consistenze tattili specifici, annusare o
toccare oggetti in modo eccessivo, essere affascinati da luci o da movimenti).
Specificare la gravità attuale:Il livello di gravità si basa sulla compromissione della comunicazione
sociale e sui pattern di comportamento ristretti, ripetitivi (vedi tabella dei livelli di gravità).
C) I sintomi devono essere presenti nel periodo precoce dello sviluppo (ma possono non
manifestarsi pienamente prima che le esigenze sociali eccedano le capacità limitate, o
possono essere mascherati da strategie apprese in età successiva).
D) I sintomi causano compromissione clinicamente significativa del funzionamento in ambito
sociale, lavorativo o in altre aree importanti.
E) Queste alterazioni non sono meglio spiegate da disabilità intellettiva (disturbo dello
sviluppo intellettivo) o da ritardo globale dello sviluppo. La disabilità intellettiva e il
disturbo dello spettro dell’autismo spesso sono presenti in concomitanza; per porre
diagnosi di comorbilità di disturbo dello spettro dell’autismo e di disabilità intellettiva, il
livello di comunicazione sociale deve essere inferiore rispetto a quanto atteso per il livello
di sviluppo generale.

Livelli di severità dei Disturbi dello spettro dell’autismo:

Severità Comunicazione sociale Comportamenti ripetitivi e ristretti


Livello 3: richiesta di supporto Deficit severi nella comunicazione Estrema resistenza al
molto verbale cambiamento,
Consistente. E non-verbale che causano Comportamenti ripetitivi e ristretti
difficoltà nel che
Funzionamento dell’individuo. Interferiscono nel funzionamento
Risposte Dell’individuo in tutti i contesti.
Minime alle interazioni sociali. Forte disagio al cambiamento.

Livello 2: richiesta di Marcati deficit nella Resistenza al


supporto comunicazione cambiamento,
Consistente. Verbale e non-verbale. Comportamenti ripetitivi e ristretti
Difficoltà di che
Interazione con gli altri anche Appaiono di frequente ed
con interferiscono
Supporto. Nel funzionamento dell’individuo
in più
Contesti. Disagio al cambiamento.
Livello 1: richiesta di supporto. Difficoltà ad iniziare interazioni Scarsa flessibilità nei comportamenti
sociali. che
Ridotto interesse per le interazioni Causa interferenze significative in
sociali. uno o
Più contesti. Difficoltà ad
intraprendere
Attività nuove. Problemi di
pianificazione e
Di organizzazione.

2. INCIDENZA E PREVALENZA.
Il DSM-5 riporta una prevalenza del disturbo negli stati uniti prossima all'1% della
popolazione. È più frequente nei maschi che nelle femmine (4:1).
La presenza di Disabilità Intellettiva risulta molto elevata. Il 70% presenta una comorbilità tra i due
disturbi: il 30% ha un funzionamento cognitivo nella media; il 30% presenta una DI lieve o media; il
40% presenta una DI grave o profonda. Anche la presenza di epilessia risulta abbastanza comune
in quanto si presenta nel 20-30% delle persone con Disturbo dello spettro dell’autismo.
3. CAUSE.
Fattori genetici. Nell’80-90% dei casi risulta possibile risalire a fattori ereditari.
Fattori neurobiologici. Nel 70% dei casi risulta presente una associazione con DI, mentre nel 25-
30% dei casi a epilessia. Il disturbo inoltre risulta più frequente nei maschi (4:1) e la sua prevalenza
risulta pressoché simile in paesi con diverse condizioni socioeconomiche.
Fattori neurofisiologici. Nel 50% dei casi di autismo sono state riscontrate alterazioni nel tracciato
EEG.
Alcune ricerche condotte con i potenziali evento-relati (ERP) hanno mostrato che le persone con
autismo presentano: una ridotta sensibilità a volti mostrati normalmente o invertiti, una
risposta anomala dello sguardo, una lateralizzazione emisferica anomala, una elaborazione
percettiva anomala di stimoli visivi e uditivi.
Caratteristiche anatomiche. L’aumento della circonferenza cranica sembra interessare sia la
sostanza grigia, sia la sostanza bianca; tuttavia non risulta ancora stato chiarito il ruolo di tale
aumento nella patogenesi dell’autismo. È stato confermato l’aumento del volume del sistema
nervoso centrale (SNC), in particolare anomalie/riduzione nella correlazione tra sostanza grigia del
lobo frontale, dei lobi temporali e parietali e delle strutture sotto-corticali durante l’esecuzione di
prove che chiedono di attribuire significati sociali, di comprendere frasi o di misurare la memoria
di lavoro.
Anomalie nella produzione di serotonina: aumento nel 25-30% dei casi.

4. STUDI GENETICI SUI DISTURBI DELLO SPETTRO DELL’AUTISMO.


I risultati del primo studio sistematico su gemelli omozigoti ed eterozigoti condotto da Folstein e
Rutter mostrano la grande importanza dei fattori genetici. Studi successivi hanno confermato i
risultati e hanno stimato che la concordanza sulla presenza dell’autismo tra gemelli monozigoti si
aggira intorno al 60-90%, mentre la prevalenza tra i fratelli risulta del 6-10%. I risultati di studi sulla
storia familiare hanno mostrato come il 20-30% dei parenti di persone con autismo
presentano compromissioni a livello comunicativo, mancanza di interesse verso le altre
persone o interessi circoscritti. Gli studi di genetica molecolare su gemelli e famiglie ipotizzano
che i geni implicati possano essere 3-4, anche se altre ricerche stimano almeno15 loci.
La regione sul cromosoma 7q (auts 1) sembra correlare altamente con ildisturbo. Secondo alcuni
autori anche il genere, l’età dei genitori e fattori ambientali possono influenzare l’espressione del
disturbo. Ulteriori sviluppi degli studi di genetica, hanno portato l’attenzione su un possibile
fattore di rischio per l’autismo da parte dei copy number variation (CNV) che consistono in
duplicazioni o delezioni dei geni che possono essere nuove o ereditarie. Molte CNV nuove
sembrano essere delle variazioni individuali non sempre condivise tra fratelli affetti dal disturbo
e non si conoscono ancora le possibili implicazioni cliniche. Infine lo studio di sindromi genetiche
quali l’x fragile e la Sindrome di Rett che presentano una elevata associazione con i Disturbi dello
spettro dell’autismo hanno mostrato l’importanza di disfunzioni nella maturazione sinaptica.

5. DIAGNOSI DIFFERENZIALE.
La diagnosi differenziale tra Disturbi dello spettro dell'autismo e altre patologie non risulta
semplice nella pratica clinica. Il DSM-5 suggerisce una diagnosi differenziale con la Sindrome di
Rett. Nei primi 6-18 mesi si osserva uno sviluppo cognitivo e psicomotorio normale, seguito da un
rapido deterioramento che si associa a comportamenti molto simili all’autismo, alla perdita dei
movimenti finalizzati delle mani, atassia del tronco e degli arti e microcefalia acquisita. Dopo
questo deterioramento si osserva una stabilizzazione dei sintomi con la comparsa di altre
anomalie neurologiche, quali epilessia e spasticità degli arti inferiori. La perdita di
interesse verso le altre persone può osservarsi durante il periodo di deterioramento, ma la
compresenza con Disturbi dello spettro dell’autismo dovrebbe essere considerata solo se tutti i
criteri diagnostici sono soddisfatti.
Il Disturbo Specifico del Linguaggio risulta caratterizzato da difficoltà persistenti
nell’acquisizione e nell’utilizzo del linguaggio e si accompagna a deficit sia di comprensione che di
produzione linguistica. I Disturbi dello spettro dell’autismo possono essere accompagnati o meno
da un ritardo dello sviluppo del linguaggio, ma questo sintomo non ne influenza la sintomatologia
clinica.
Il Disturbo pragmatico (sociale) del Linguaggio risulta caratterizzato da difficoltà nell’uso
della comunicazione verbale e non verbale soprattutto in contesti sociali, nel seguire le regole
dell’alternanza ai turni nella conversazione e nel comprendere inferenze, umorismo,
metafore. Diversamente da quanto accade nei Disturbi dello spettro dell’autismo non sono
presenti comportamenti ripetitivi e stereotipati, e alcuni comportamenti non verbali (il contatto
oculare e le espressioni facciali) non sono compromessi. Sia nella Disabilità Intellettiva che nel
Disturbo dello spettro autistico sono presenti comportamenti stereotipati. È appropriata la
diagnosi di Disabilità Intellettiva quando non risulta presente una discrepanza tra il livello di
abilità cognitive generali e sociali. È appropriata la diagnosi di Disturbo dello spettro
dell’autismo quando in presenza anche di una Disabilità Intellettiva, il livello di interazione e
comunicazione sociale risulta significativamente inferiore rispetto al livello di sviluppo delle abilità
cognitive generali.
La Psicosi ad esordio infantile risulta distinguibile dai Disturbi dello spettro dell’autismo in diversi
aspetti:
1) la Psicosi infantile si presenta dopo un periodo di normale sviluppo;
2) la presenza di deliri e allucinazioni non si osserva nei Disturbi dello spettro dell’autismo. È
possibile che lo stadio prodromico della Psicosi in cui risulta presente una perdita di interesse per
le relazioni sociali, possa essere confuso con l’autismo.

6. LO SVILUPPO PSICOLOGICO.
I sintomi dei Disturbi dello spettro dell'autismo sono solitamente riconoscibili dopo i 2 anni ma
possono essere notati nel corso dei primi 12-18 mesi se il disturbo risulta di grado severo. Alcune
ricerche di follow-up rilevano dei miglioramenti nella sfera sociale e comportamentale tra i 25 ed i
35 anni. Tuttavia i Disturbi dello spettro dell'autismo interessano l'intero arco di vita e la
possibilità di una vita autonoma ed indipendente risulta estremamente rara, soprattutto se
all'autismo si associa Disabilità Intellettiva.
La sfera delle relazioni con gli altri risulta quella più compromessa. Alcune ricerche rilevano
grosse discrepanze tra capacità di risolvere compiti di ragionamento sociale e di relazionarsi in
modo adeguato nelle situazioni sociali, da parte di soggetti con buone capacità cognitive generali.
Gli studiosi mediante l’uso dell’eye Tracker hanno osservato una differenza tra individui con
autismo che osservavano tratti poco informativi del volto, e controlli appaiati per età e QI, che
invece prestavano attenzione a occhi e bocca.
Un altro ambito riguardo lo sviluppo del linguaggio e della comunicazione. È presente una
carenza nell'attenzione condivisa e nell'uso di gesti per indicare e condividere informazioni con
l'altro. Il linguaggio verbale spesso risulta caratterizzato da ecolalie, uso stereotipato di parole
o espressioni verbali, uso di neologismi o parole inusuali. Le principali difficoltà si osservano
comunque nel linguaggio pragmatico: gli individui con autismo anche quando rispettano le regole
della comunicazione non riescono ad estenderne i significati e ad inserire nuove informazioni.
Alcune ricerche hanno, inoltre, mostrato una difficoltà nell'utilizzare termini connotati
emotivamente.
È presente una alta variabilità nello sviluppo cognitivo che dipende dallapresenza o meno di
Disabilità Intellettiva e dalla severità del disturbo. Il livello di funzionamento cognitivo generale
nei Disturbi dello spettro dell'autismo copre l’intera gamma del funzionamento intellettivo: dalla
disabilità intellettiva grave o profonda fino a livelli di intelligenza superiori alla media.
Nella pratica clinica non risulta sempre facile scegliere il test adeguato per misurare il profilo
cognitivo di un soggetto con autismo: oltre a deficit nella comunicazione possono essere presenti
difficoltà attentive, scarsa tolleranza a sessioni prolungate di test e problemi di controllo del
comportamento.
I Disturbi dello spettro dell'autismo sono stati associati alla presenza di isole di abilità intese come
capacità straordinarie all'interno di un profilo deficitario: si stima che il 10% degli individui con
autismo possieda queste isole di abilità solitamente inerenti alle abilità spaziali, meccaniche, alla
pittura, all'arte, alla musica e al calcolo del calendario. Nella Sindrome Savant alcune attività
ripetitive o esecutive si traducono in attività creative, ma solo in pochissimi casi si può parlare di
Savant prodigiosi.

7. MODELLI PSICOLOGICI DI INTERPRETAZIONE DEI DISTURBI DELLO SPETTRO DELL'AUTISMO. IL


MODELLO DELLA
Teoria della Mente.
È fondato sull'assunto che gli esseri umani possiedono dei meccanismi specie-specifici per
elaborare le interazioni sociali e per decodificare gli stati mentali di un'altra persona. Secondo i
sostenitori della TOM i bambini con autismo non sviluppano in modo adeguato la capacità di
concepire che le altre persone possono avere conoscenze, desideri e credenze diverse dalle
proprie.
La mancanza di una Teoria della mente evidenzierebbe quindi un deficit nella meta-
rappresentazione che pone le basi nel gioco simbolico (dai 18-24 mesi). Il bambino per mettere in
atto il gioco simbolico deve possedere una rappresentazione primaria dell’oggetto che dissocia
dall’ambiente reale creando in questo modo una meta-rappresentazione (faccio finta che
l’astuccio sia un telefono).
I bambini con autismo non sono capaci (o lo sono molto poco) di intraprendere giochi di finzione e
mostrano difficoltà nel capire, influenzare o prevedere il comportamento di altre persone. I
precursori di un deficit di tom sarebbero ricondotti a deficit nel funzionamento di tre
meccanismi:
1) l’indicatore di intenzionalità: tendenza ad interpretare gli scopi e le intenzioni di un
soggetto che si muove nell’ambiente;
2) l’indicatore di direzione dello sguardo: tendenza a rilevare la direzione dello sguardo per
inferire cosa l’altro sta osservando;
3) il meccanismo per l’attenzione condivisa: trasforma l’interazione diadica dei primi due
indicatori in interazione triadica dove l’attenzione su un oggetto viene condivisa con
un’altra persona.
Nella prova delle false credenze di Sally e Ann vengono presentate due bambole: Sally che porta
un cestino e Ann che ha una scatola. Si mette in scena un gioco di finzione in cui Sally esce a
passeggio dopo aver messo una biglia nel proprio cestino e averlo coperto con un panno. Intanto
Ann prende la biglia dal cestino e la nasconde nella propria scatola. Sally torna con l'intenzione di
giocare con la biglia e l'esaminatore chiede al bambino dove avrebbe guardato Sally per
prendere la biglia. I risultati mostrano come:
1) praticamente tutti i bambini sotto i 3 anni forniscono una risposta sbagliata affermando
che Sally cercherà la biglia nella scatola ossia dove effettivamente si trova;
2) questo compito non mette in difficoltà bambini con sviluppo tipico di 4 anni e bambini con
Sindrome di Down (i 4 anni sono l’età in cui è previsto il pieno sviluppo della Teoria della
Mente);
3) solo il 20% dei soggetti autistici con età mentale equivalente ai 4-5
anni riesce a risolvere il compito.
Alcuni autori sostengono che il deficit di tom nelle persone con autismo non sia la causa ma la
conseguenza delle precoci difficoltà sociali e delle scarse esperienze ad esse connesse.

Il modello delle Funzioni esecutive.


Le Funzioni esecutive permettono di anticipare e pianificare un piano risolutivo, controllare e
monitorare il proprio comportamento e mettere in relazione le proprie azioni a conseguenze
ipotizzabili. Il Disturbo dello spettro autistico sarebbe caratterizzato dal cattivo funzionamento
dei sistemi responsabili della pianificazione e del controllo del comportamento.
Nell’Autismo le Funzioni esecutive più deficitarie risultano essere:
• la flessibilità cognitiva
• la pianificazione
• la fluenza
• la memoria di lavoro nella componente di elaborazione.
Il Modello delle Funzioni esecutive sembra adatto a spiegare la presenza di comportamenti
stereotipati e interessi ristretti. Tuttavia poiché i risultati non sono sempre univoci, appare difficile
pensare che le cause del disturbo possano essere ricondotte solo ad un deficit delle funzioni
esecutive.

Il modello della Coerenza Centrale.


Secondo questo modello gli individui con autismo non sono capaci di elaborare le informazioni in
modo globale ma hanno la tendenza ad analizzare i singoli dettagli, senza accedere a significati di
più alto livello. Gli individui con autismo ottengono prestazioni migliori ai controlli in prove
di percezione visiva quali l'individuazione di figure nascoste. Anche nella prova del disegno con i
cubi della scala WISC le prestazioni dei soggetti con autismo ad alto funzionamento sono superiori
ai controlli e al contrario dei controlli non sono avvantaggiati dalla coerenza percettiva degli
stimoli.
Il deficit della Coerenza Centrale consente di spiegare:
 le scarse abilità nella pragmatica del linguaggio (per l’incapacità ad esempio di inserire le
informazioni linguistiche all’interno di un contesto)
 la presenza di comportamenti stereotipati e ossessivi (per la perdita di vista dell’obiettivo
collegato ad una determinata attività)
 i principali sintomi presenti nei Disturbi dello spettro dell’autismo.

8. LA FAMIGLIA DEL BAMBINO CON DISTURBO DELLO SPETTRO DELL'AUTISMO.


I familiari si trovano a dover affrontare episodi di auto- o etero-aggressività del bambino e a
reazioni emotive esagerate difficilmente comprensibili che possono essere innescate da stimoli
visivi o sonori. La difficoltà nell'interazione con l'altro e la scarsa empatia possono innescare
sentimenti di rifiuto verso il bambino che non risponde alle manifestazioni di affetto del
genitore o senso di colpa. La presenza di problemi comportamentali può peggiorare la
situazione soprattutto se sono presenti iperattività, problemi nell'alimentazione o nel ritmo sonno-
veglia.
Alcuni strumenti quali parenting Stress Index-Short Form consentono di individuare i
comportamenti che rischiano di far vivere in modo disfunzionale il proprio ruolo genitoriale. Il
questionario composto di 36 item indaga il livello di stress del genitore, l’interazione genitore-
bambino e la presenza di caratteristiche che rendono il bambino difficile da gestire.
La Social Responsiveness Scale consiste in un questionario di 65 item diretta a misurare la
percezione dei genitori riguardo alle modalità di comportamento tipiche dei bambini con
autismo.

9. L'ADULTO CON DISTURBI DELLO SPETTRO DELL’AUTISMO.


I Disturbi dello spettro dell’autismo non sono degenerativi e nonostante i sintomi siano spesso
maggiormente marcati nella prima infanzia e nell'età scolare interessano l'intero arco di vita.
Durante l'adolescenza alcuni casi possono mostrare un peggioramento dei sintomi
comportamentali mentre in altri si può osservare un miglioramento in alcune aree quali ad
esempio le abilità di interazione con gli altri. Da adulti solo una minoranza degli individui affetti
vive e/o lavora in modo indipendente. È presente comunque una maggiore vulnerabilità a livello
sociale con un rischio più elevato di sviluppare Disturbi d'Ansia o Depressione.

10. L'INTERVENTO NEI DISTURBI DELLO SPETTRO DELL'AUTISMO.


I Disturbi dello spettro dell'autismo interessano tutto l'arco di vita e non esistono ad oggi terapie
che consentano di rendere reversibile il disturbo.

Interventi psicoeducativi.
Il metodo ABA (Applied Behavior Analysis) risulta basato sui principi cardine del
comportamentismo. Il terapeuta analizza la relazione tra antecedenti e conseguenze del
comportamento e tenta di modificare il comportamento specifico e/o il contesto. È condotto in
modo intensivo ed individualmente, ma in seguito può essere esteso ad altri contesti.
Le tecniche utilizzate sono:
 il rinforzo positivo, ad esempio vengono rinforzati i comportamenti che coinvolgono la
relazione con l’altro in modo da renderli più frequenti;
 il modellamento, che premia i comportamenti che si avvicinano a quello desiderato; 3) la
ricompensa per un altro comportamento di cui si desidera l’estinzione, ad esempio si
premia un bambino che afferra un gioco con entrambe le mani, cosa che gli impedisce di
attorcigliarsi i capelli.
Il metodo TEACCH (Treatment and education of autistic and related communication Handicapped
Children) risulta basato sul potenziamento delle abilità socio-comunicative dei genitori e
delle persone che interagiscono con il bambino. L'obiettivo del metodo, che si basa su metodi
cognitivi e comportamentali, consiste nella strutturazione dell'ambiente e nella collaborazione tra
genitori, operatori e insegnanti, al fine di favorire l'adattamento del bambino alle situazioni di vita
quotidiana.
Il metodo PECS (Picture Exchange communication System) risulta indicato nello specifico per lo
sviluppo delle abilità comunicative dei bambini con autismo. Il bambino, attraverso tecniche
comportamentali, apprende ad utilizzare immagini, simboli o oggetti per comunicare ed esprimere
quello che desidera. In diverse fasi e in funzione della severità delle disturbo il bambino può
apprendere prima l'utilizzo delle immagini, poi a distinguere tra diversi simboli per elaborare
semplici frasi comunicative.
Esistono numerosi programmi di parent-training o interventi mediati dai genitori.
L'Early Bird Programme fornisce ai genitori informazioni utili sulla diagnosi e li guida verso
l'individuazione di strategie adeguate di interazione con il bambino.
Il metodo Son-Rise prevede delle interazioni intensive tra bambino e adulto con l’obiettivo di
stabilire un rapporto di fiducia ed introdurre delle strategie dirette a migliorare la
comunicazione.
Il metodo Portage consiste in una terapia domiciliare per bambini in età prescolare da parte di
operatori esperti che aiutano i genitori a migliorare le competenze del bambino.
Infine i training di Social Skills o le Storie Sociali, adatti soprattutto per bambini con un
funzionamento cognitivo medio alto, si propongono di sviluppare e migliorare le abilità di risposta
in situazioni sociali.
Il metodo della Comunicazione Facilitata rientra nel contesto della Comunicazione aumentativa
che si basa sull'identificazione di strategie di comunicazione non verbale. Il facilitatore fornisce al
soggetto facilitato un supporto fisico che consentirebbe alla persona di digitare sulla tastiera o
indicare delle lettere su una tavola alfabetica permettendogli di comunicare. È stato ampiamente
criticato: non si è certi che le produzioni scritte siano prodotte dall'individuo con autismo piuttosto
che dal facilitatore.

Interventi farmacologici.
Un intervento farmacologico può essere necessario nel caso in cui al Disturbo dello spettro
dell'autismo si associno impulsività e iperattività (metilfenidato), comportamenti aggressivi e
autolesionistici (risperidone), comportamenti ripetitivi o sintomi ossessivo-compulsivi (inibitori
della ricaptazione della serotonina). Tali farmaci possono avere un ruolo significativo nel favorire
l’efficacia degli interventi psicoeducativi.
Negli anni sono sorte alcune credenze che intendevano spiegare l'autismo sulla base di
problemi metabolici. Tuttavia queste credenze non sono state confermate.

Studi sull'efficacia degli interventi.


La Clinical Evidence nel 2006 ha tentato una classifica dell'efficacia degli interventi
distinguendo tra programmi utili, probabilmente utili, di utilità non determinata, da valutare
caso per caso e di utilità
Discutibile delle seguenti categorie di interventi:
1) interventi multidisciplinari precoci;
2) interventi Farmacologici;
3) interventi dietetici;
4) interventi non farmacologici.

Probabilmente utili Di utilità non Da valutare caso per Di utilità discutibile


Determinata Caso
Interventi ABA Early Bird Programme
Multidisciplinari PECS Metodo Portage
precoci TEACCH Social Skills training
Storie Sociali
Metodo Son-Rise
Interventi Metilfenidato Memantina Risperidone Secretina
farmacologici Inibitori della
Ricaptazione della
Serotonina
Interventi dietetici Dieta priva di glutine
Vitamina A
Interventi non Terapia chelante
Farmacologici
CAPITOLO 7: IL DISTURBO DA DEFICIT DI ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ (ADHD).

Secondo il DSM 5 appartiene alla famiglia dei disturbi del neurosviluppo e si manifesta a partire
dalle prime fasi evolutive determinando delle difficoltà dal punto di vista sociale e scolastico. Una
caratteristica importante di questo disturbo è la diversa espressività delle manifestazioni
sintomatologiche in relazione all’età che richiedono pertanto un intervento integrato nei diversi
contesti di vita del bambino.

1. CRITERI DIAGNOSTICI
A) Un pattern persistente di disattenzione e/o Iperattività che interferisce con il
funzionamento e lo sviluppo dell’individuo.
1. Disattenzione: almeno 6 sintomi per i casi al di sotto dei 17 anni oppure 5 per quelli con più di
17 anni, si sono presentati per almeno 6 mesi, interferendo sulle attività sociali, scolastiche
o lavorative:
 spesso non riesce a prestare attenzione ai particolari o commette errori di distrazione nei
compiti scolastici sul lavoro o in altre attività
 ha spesso difficoltà a mantenere l’attenzione sui compiti o sulle attività di gioco• spesso
sembra non ascoltare
 spesso non segue le istruzioni e non porta a termine i compiti di scuola, le incombenze o i
doveri sul lavoro
 ha spesso difficoltà ad organizzarsi nei compiti o nel lavoro
 spesso evita o appare riluttante a impegnarsi in compiti che richiedono sforzo mentale
protratto
 perde spesso gli oggetti necessari per i compiti o altre attività
 spesso risulta facilmente distratto da stimoli esterni
 spesso appare sbadato nelle attività quotidiane.

2. Iperattività - Impulsività: almeno 6 sintomi per i casi al di sotto dei 17 anni oppure 5 per quelli

con più di 17 anni, si sono presentati per almeno 6 mesi, interferendo sulle attività sociali,
scolastiche o lavorative:
 si spesso agita o batte mani e piedi o si dimena sulla sedia
 spesso lascia il proprio posto in situazioni in cui si dovrebbe rimanere seduti
 spesso scorrazza in situazioni inappropriate (negli adolescenti e negli adulti può essere
limitato al sentirsi irrequieti)
 spesso appare incapace di giocare o svolgere attività ricreative tranquillamente
 spesso risulta sotto pressione, agendo come se fosse "azionato da un motore"
 spesso parla troppo
 spesso "spara" una risposta prima che la domanda sia stata completata
 ha spesso difficoltà nell'aspettare il proprio turno
 spesso interrompe gli altri o risulta invadente nei loro confronti.

B) Diversi sintomi di disattenzione o di iperattività/impulsività erano presenti prima dei 12 anni.


C) Diversi sintomi di disattenzione o di iperattività/impulsività si presentano in due o più contesti.
D) I sintomi interferiscono con la qualità del funzionamento sociale, scolastico o lavorativo.
E) I sintomi non si presentano durante il decorso di una schizofrenia, o di altro disturbo psicotico
e non sono meglio spiegati da un altro disturbo mentale.
Il DSM-5 prevede anche la possibilità di specificare la gravità del disturbo:
Severità Sintomi Compromissioni
Lieve Sono presenti pochi sintomi oltre a quelli Le compromissioni sul funzionamento
Necessari per la diagnosi. Dell’individuo sono minori.
Moderato Condizione che si situa a metà tra i criteri
Per la severità lieve e grave.
Grave Sono presenti diversi sintomi oltre a quelli La compromissione sul funzionamento
Necessari per la diagnosi o sono Dell’individuo è marcata.
Particolarmente gravi.

 In remissione parziale: se sono stati soddisfatti tutti i criteri diagnostici e vi è ancora


compromissione sul funzionamento dell’individuo.
N.B: è prevista la possibilità di individuare dei sotto-tipi:
 ADHD di tipo combinato se sono soddisfatti entrambi i criteri di disattenzione e
iperattività/impulsività negli ultimi 6 mesi.
 ADHD con predominante disattenzione: se risulta soddisfatto il criterio di disattenzione ma
non quello di iperattività/impulsività negli ultimi 6 mesi.
 ADHD con predominante iperattività/impulsività: se risulta soddisfatto il criterio di
iperattività/impulsività ma non quello di disattenzione negli ultimi 6 mesi.

2. LO SVILUPPO DELL’ADHD: DALL'INFANZIA ALL'ETÀ ADULTA.


L'ADHD rappresenta una patologia tipica dell'età evolutiva ma persistente: il 60% dei bambini con
ADHD continua a soddisfare i criteri per la diagnosi anche in età adulta e il 20% incontra i criteri
per una diagnosi di Disturbo antisociale della Personalità. Si può suddividere l’evoluzione
dell’ADHD in diverse fasi:
- Prima della nascita
- I primi 3 anni di vita
- L’età della scuola
- Età della scuola, preadolescenza e adolescenza
I genitori spesso parlano dei propri figli con ADHD come bambini difficili a partire dalla nascita:
sono spesso irritabili, inclini ad un pianto inconsolabile, poco tolleranti alla frustrazione e
presentano difficoltà di sonno ed alimentazione.
Durante gli anni della scuola dell’infanzia gli aspetti di iperattività motoria sono prevalenti. Il
bambino mostra particolari difficoltà nelle situazioni in cui importante risulta il rispetto delle
regole. Anche nelle attività ludiche si può notare una affaticabilità unita alla continua ricerca di
nuovi stimoli.
Con l'ingresso nella scuola primaria le difficoltà tendono ad aumentare a causa della presenza di
un maggior numero di regole da rispettare e di compiti da svolgere.
Con il passaggio alla scuola secondaria il carico di lavoro e la maggior richiesta di
autonomia possono diventare un problema. Il ragazzo mostra difficoltà nel trovare una
motivazione intrinseca e a lungo termine, nell’organizzare autonomamente lo studio e nel
mantenere sotto controllo diverse attività. Le difficoltà a livello interpersonale tendono a
persistere e peggiorare. Durante la preadolescenza e l’adolescenza il comportamento
iperattivo tende a ridursi in termini di intensità e a trasformarsi in un senso di irrequietezza
interiore che si manifesta con insofferenza ed impazienza. Tutto questo contribuisce allo
sviluppo di atteggiamenti problematici come prepotenza, labilità dell’umore e scatti d’ira che
contribuiscono a rendere difficili i rapporti interpersonali. Le difficoltà emotive tipiche
dell'adolescenza aumentano la probabilità di manifestare episodi di depressione, di ansia e di
bassa autostima.
Le caratteristiche di un adulto con ADHD includono spesso la difficoltà di pianificazione che rende
difficile non solo le relazioni con gli altri ma soprattutto l'inserimento lavorativo e la gestione del
denaro. I risultati di una ricerca mostrano come il 50% degli adulti con ADHD manifesta problemi
di ansia, dal 27 al 47% abuso di sostanze e dal 12 al 27% disturbo antisociale di personalità.

3. Le cause dell’ADHD.
Gli aspetti biologici influenzano la genesi del disturbo, mentre l’espressione dei sintomi
dipende dal contesto ambientale che ne determina la gravità e la persistenza.
I circuiti cerebrali implicati nella manifestazione dell’ADHD interesserebbero la corteccia
prefrontale, i gangli della base (il caudato e il globo pallido) e parte del cervelletto.
- La corteccia prefrontale destra ha un ruolo cruciale nel circuito attentivo deputato al
controllo della vigilanza e risulta importante nell’organizzazione e nella pianificazione dei
comportamenti oltre ad essere implicata nel controllo dell’attenzione sostenuta e quindi
nella capacità di inibire risposte inadeguate e di resistere alle distrazioni. La stessa regione
risulta anche coinvolta nella regolazione delle risposte emotive mediante le sue
connessioni con strutture sottocorticali come l’ippocampo e l’amigdala, responsabili
dell’attivazione delle risposte emotive.
- Il nucleo caudato e il globo pallido sono coinvolti nel controllo dei movimenti automatici.
- Il cervelletto ha un ruolo importante nella pianificazione del movimento che viene poi
eseguito con l’apporto della corteccia motoria e dei gangli della base
La misurazione del flusso ematico cerebrale ha evidenziato una ipoperfusione nelle regioni
prefrontali della corteccia soprattutto in quelle collegate al sistema limbico attraverso il nucleo
caudato. La regione pre-frontale destra, il ginocchio del corpo calloso, il nucleo caudato e il globo
pallido sono di dimensioni inferiori nelle persone con ADHD. Anche il cervelletto appare di
volume ridotto rispetto alla norma. Studi di neuroanatomia funzionale hanno dimostrato una
ipoattivazione del giro cingolato anteriore destro, del lobo prefrontale dorsolaterale e
ventrolaterale destro e del nucleo caudato sinistro.
L’alterazione del sistema frontale e le sue connessioni con le strutture sottocorticali
sembrerebbe non imputabile a un danno cerebrale quanto a disfunzioni nello sviluppo
cerebrale, molto probabilmente predeterminate a livello genetico.
Le aree coinvolte sono particolarmente ricche di recettori per la dopamina. Il problema sembra
essere una eccessiva ricaptazione della dopamina da parte dei recettori. È stata documentata
l’associazione tra una mutazione del gene per la codifica del recettore D4 della dopamina e
l’ADHD. Il DRD4 contiene la stessa sequenza di DNA ripetuta da 2 a 11 volte. La forma più comune
ha 4 ripetizioni mentre la forma più rara contiene 7 ripetizioni e risulta disfunzionale.
Negli ADHD la forma più rara e disfunzionale con 7 ripetizioni risulta più diffusa rispetto al resto
della popolazione. Altri geni coinvolti sono quelli per la noradrenalina e per la serotonina, che in
parte sembrano essere coinvolti nell’ADHD. Gli individui con ADHD hanno una maggiore
probabilità di presentare delle varianti a carico del gene per il trasportatore della dopamina DAT1.
Tale mutazione del gene potrebbe sovrastimolare l’azione dei trasportatori che reagirebbero
eliminando la dopamina prima ancora che questa abbia il tempo di legarsi ai rispettivi recettori.
I risultati dello studio europeo condotto dal gruppo dell’eunethydis (European Network of
hyperkinetic Disorder) hanno evidenziato che fratelli e sorelle di bambini con ADHD hanno una
probabilità di sviluppare la sindrome da 5 a 7 volte superiore rispetto al resto della popolazione.
Allo stesso modo, i figli di genitori con la sindrome hanno fino al 50% di probabilità di svilupparla.
La probabilità di sviluppare la patologia per un gemello monozigote risulta dell’81% mentre per un
gemello dizigote scende al 29%.
Il 20-30% di casi possono essere spiegati in base ad aspetti ambientali. Esistono cause
perinatali che possono influenzare lo sviluppo dell’ADHD. Alcuni autori avanzano l’ipotesi di un
disturbo transazionale sottolineando l’importanza che l’ambiente in cui il ragazzo ha vissuto
e le relazioni che ha instaurato assumono nell’evoluzione della sindrome.
Secondo Barkley l’ambiente non condiviso sarebbe responsabile di un 15-20% delle probabilità di
sviluppare l’ADHD, mentre l’ambiente condiviso potrebbe spiegare il mantenimento della
sintomatologia. Barkley
inoltre ha proposto un elenco di fattori di rischio - ordinati per livello d’importanza - associati alla
genesi dell’ ADHD:
 presenza di disturbi psicologici nei familiari, in particolare L’ADHD;
 abuso di sigarette e alcool della madre durante la gravidanza associato o meno ad altri
problemi di salute della madre;
 assenza di un genitore o educazione non adeguata;
 problemi di salute o ritardi di sviluppo nel bambino;
 precoce insorgenza nel bambino di elevati livelli di attività motoria;
 atteggiamenti critici e/o direttivi della madre durante i primi anni di vita del bambino.
È stata costruita una lista di fattori protettivi che aiutano il ragazzo a limitare gli esiti negativi
dell’ADHD, tra i quali compaiono:
1) elevato livello di scolarizzazione della madre;
2) buona salute del bambino dopo la nascita;
3) buone capacità cognitive del bambino;
4) stabilità familiare.

4. LE TECNICHE DI INTERVENTO PER L'ADHD.


In generale sono possibili tre tipi di intervento:
1. intervento psicologico (o psico-educativo) sul bambino;
2. intervento farmacologico (metilfenidato);
3. intervento psicologico e farmacologico combinato.
L’obiettivo principale dell’intervento risulta quello di migliorare il funzionamento globale del
bambino/ragazzo: nel caso dell’ADHD non solo l’aspetto del mantenimento dell’attenzione e del
controllo del comportamento iperattivo/impulsivo ma anche delle relazioni con i pari, con i
genitori e con gli insegnanti.
È importante che l’intervento sia multifocale ovvero che coinvolga il bambino, i genitori e la
scuola.

L'intervento con il bambino con ADHD.


Le conclusioni tratte dallo studio multimodal Treatment Study of Children with ADHD,
promosso dall’istituto Nazionale di Salute Mentale degli stati uniti (MTA, 1999, 2004),
suggeriscono l’importanza di un intervento combinato nei casi difficili da trattare (bambini con
genitori con tono dell’umore depresso, con QI leggermente inferiore alla norma e con una maggior
severità dei sintomi).
In questi casi viene raccomandato anche l’intervento farmacologico accanto a quello psico-
educativo che includeva parent training per i genitori, intervento scolastico e intervento psico-
educativo comportamentale per il bambino.
L'intervento psicologico in presenza di un intervento farmacologico consente di ottenere qualche
beneficio in più: migliora le relazioni con i coetanei, aumenta il senso di soddisfazione e di efficacia
dei genitori e permette l'utilizzo di dosi minori di farmaco. Inoltre ciascun intervento deve essere
personalizzato essendo l'ADHD una condizione che si associa spesso ad altri disturbi ed
influenzato dal contesto sociale di riferimento.
È importante inoltre che il clinico adegui alle caratteristiche dell'età del bambino o del ragazzo con
ADHD le tecniche di intervento.
Lo scopo principale del trattamento con il bambino risulta quello di renderlo consapevole delle
proprie difficoltà e di aiutarlo nell'acquisizione di una maggiore autoregolazione.
Tramite la Token Economy a ciascun comportamento corretto il bambino riceverà un
gettone, mentre a ciascun comportamento negativo gliene sarà tolto uno o non gliene verrà
assegnato alcuno.
In cambio di un certo numero di gettoni sarà garantito al soggetto l'accesso ad un determinato
"premio". Nella realtà quotidiana i bambini con ADHD richiedono un continuo e immediato
feedback sul proprio comportamento: il principio del rinforzo risulta quindi particolarmente
utile. Anche i genitori e gli insegnanti vengono istruiti ad adottare tali tecniche educative in
linea con l’intervento messo in atto dallo psicologo durate gli incontri.
La conseuenza più immediata consiste in una percezione di minore stress sia da parte del bambino
sia degli adulti e degli insegnanti e un miglioramento del senso di autostima del bambino. Le
tecniche comportamentali hanno comunque il limite di una difficile generalizzabilità al
contesto di vita quotidiana e di un faticoso mantenimento nel tempo. Pertanto spesso alle
tecniche comportamentali si associano delle tecniche cognitive quali le autoistruzioni verbali o il
problem solving.

L'intervento con la famiglia.


Con i familiari si attivano dei Parent Training di gruppo o di coppia che consistono in una serie di
incontri gestiti da uno psicologo esperto che coinvolgono coppie di genitori. Il Parent Training si
pone l’obiettivo di:
 sostenere i genitori nell’educazione del bambino con ADHD
 evidenziare alcune abitudini di interazione problematica
 fornire maggiori strategie di coping
 migliorare e/o risolvere situazioni problematiche all’interno del contesto di vita
quotidiano.
I risultati hanno mostrato una riduzione dei sintomi di ADHD e un aumento del senso di benessere
delle madri che avevano preso parte al parent training. L’intervento risulta efficace in particolare
con i bambini nel caso di famiglie con bambini in età prescolare e in età scolare.
Gli incontri di gruppo hanno il vantaggio di fornire ai genitori la possibilità di confrontarsi con altre
famiglie che hanno il loro stesso problema e quindi di sentirsi meno isolati. Il limite principale
risulta quello di avere meno tempo a disposizione per parlare dei propri problemi.
Negli incontri di coppia questo tipo di difficoltà non si verifica e risulta anche possibile creare un
percorso più adatto alla specifica realtà familiare. È importante la presenza di entrambi i genitori
agli incontri o almeno una collaborazione di entrambi nella messa in pratica delle strategie
spiegate durante gli incontri.

N.B: IL PARENT TRAINING.


Il Parent Training di Niccolai consiste in un lavoro individuale con i genitori che prevede:
 una fase iniziale di raccolta dei dati e di valutazione di aspettative e risorse
 successiva definizione di obiettivi
 illustrazione di specifiche tecniche di relazione con il figlio
 gestione di situazioni difficili
 definizione di regole educative chiare, coerenti e condivise.
Il Parent Training di Vio Marzocchi e Offredi consiste in un intervento proposto in gruppo e
organizzato in nove incontri suddivisi in tre aree di lavoro:
 la comprensione del problema e la preparazione al cambiamento
 le scelte educative che possono favorire l’autoregolazione del comportamento e la
riduzione di comportamenti negativi
 verificare con i genitori il significato e i vantaggi di una azione con la
quale si propongono ai figli come modello competente nella risoluzione dei problemi.
Per i genitori di bambini con tratti ADHD in età prescolare Vio e Spagnoletti hanno sperimentato
un lavoro in piccolo gruppo in otto incontri con specifici homeworks che affronta i seguenti
aspetti dell’azione educativa:
 la comunicazione efficace
 la relazione genitori-figlio
 la gestione delle emergenze e dei comportamenti oppositivi.

L'intervento con la scuola.


Gli insegnanti possono intervenire lavorando sulla gestione del comportamento e su aspetti
maggiormente legati al rendimento scolastico, che molto spesso risulta problematico. La
consulenza sistematica prevede incontri regolari durante tutto l'anno scolastico per chiarire le
caratteristiche dell’ADHD e per spiegare alcune strategie educative:
 Token Economy per rinforzare i comportamenti positivi
 organizzazione del contesto come disposizione dei posti in aula per aumentare
l’attenzione, creazione di una scaletta quotidiana delle attività, introduzione di routine
per rendere il compito prevedibile al bambino, alternanza di momenti di lavoro e di pausa
 uso di facilitatori procedurali per l’esecuzione dei compiti
 peer tutoring (per i ragazzi più grandi) in cui uno studente provvede ad aiutare lo studente
in difficoltà.
È possibile effettuare una osservazione strutturata con lo scopo di comprendere la relazione tra un
comportamento problematico e le conseguenze che lo mantengono oppure gli antecedenti
che lo scatenano per costruire un programma di intervento adeguato per il bambino e con
obiettivi realmente raggiungibili. È possibile lavorare in una ottica preventiva anche con bambini in
età prescolare.

CAPITOLO 8: I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO.

1. I CRITERI DIAGNOSTICI.
Nel DS-5 il Disturbo oppositivo Provocatorio e il Disturbo della condotta sono inseriti nella
categoria dei Disturbi dirompenti, del controllo degli impulsivi e della condotta, insieme al
Disturbo Esplosivo Intermittente, alla Piromania, alla Cleptomania e al Disturbo dirompente, del
controllo degli impulsi e della condotta non altrimenti specificato.

1.1. Il Disturbo oppositivo Provocatorio (DOP).


A) Un pattern persistente di umore irritabile, comportamenti polemici, sfidanti e vendicativi,
che sono presenti da almeno 6 mesi, periodo nel quale si osservano almeno 4 dei seguenti
sintomi rivolti ad almeno un individuo (che non sia un fratello):
 si arrabbia spesso
 spesso risulta permaloso o contrariato
 spesso appare risentito e rancoroso
 spesso litiga con persone che rappresentano autorità o, per i bambini, con gli
adulti
 spesso sfida o si rifiuta di rispettare le richieste che provengono da persone che
rappresentano l’autorità o le regole
 spesso irrita gli altri in modo deliberato
 spesso accusa gli altri per i suoi errori o i suoi cattivi comportamenti
 risulta essere stato dispettoso/vendicativo almeno due volte negli ultimi 6
mesi.
B) l’anomalia del comportamento ha un impatto negativo nel contesto sociale immediato o in
altre aree della vita dell’individuo.
C) I comportamenti non si manifestano durante un episodio psicotico, in concomitanza
con l’uso di sostanze, o con un disturbo depressivo, bipolare o con un disturbo da
disregolazione dirompente dell’umore.

Gravità dei sintomi:


 Lieve: mostra almeno 4 sintomi ma i sintomi sono presenti esclusivamente in un contesto
 Moderato: mostra almeno 4 sintomi e alcuni sintomi sono presenti in almeno due contesti
 Grave: mostra almeno 4 sintomi e alcuni sintomi sono presenti in 3 o più contesti.

La frequenza dei sintomi del Criterio A sono adattati all’età del paziente:
 per i bambini sotto i 5 anni, il comportamento dovrebbe verificarsi tutti i giorni per un
periodo di almeno 6 mesi
 per i bambini sopra i 5 anni, almeno una volta a settimana per almeno 6 mesi. Altri fattori
quali il livello di sviluppo, il genere, il contesto socioculturale, possono essere considerati
per valutare la frequenza e l’intensità dei comportamenti.

1.2. Il Disturbo della condotta (DC).


A) Un pattern di comportamenti persistenti e ripetitivi in cui vengono violati i diritti delle altre
persone o le norme sociali appropriate per l’età, che si manifesta con la presenza di
almeno 3 dei seguenti criteri nell’ultimo anni e almeno 1 negli ultimi 6 mesi:
- AGGRESSIONI A PERSONE O ANIMALI
 spesso risulta prepotente o minaccia gli altri
 spesso dà origine a colluttazioni
 ha usato un’arma che può causare seri danni fisici
 fisicamente appare crudele con le persone
 fisicamente appare crudele con gli animali
 ha rubato affrontando la vittima fisicamente
 ha costretto qualcuno ad attività sessuali
- DISTRUZIONE DELLA PROPRIETà
 ha appiccato il fuoco con l’intenzione di causare danni
 ha distrutto proprietà altrui
- FRODE O FURTO
 risulta essere penetrato nell’abitazione/proprietà/auto di qualcun altro
 spesso mente per ottenere vantaggi, favori o per evitare doveri
 ha rubato articoli di valore senza affrontare direttamente la vittima
 spesso, prima dei 13 anni, ha trascorso la notte fuori senza l’autorizzazione dei genitori
 si è allontanato da casa di notte mentre viveva con i genitori o una volta senza tornare a
casa per un lungo periodo
 spesso, prima dei 13 anni, ha marinato la scuola.
B) l'anomalia nel comportamento causa una compromissione clinicamente significativa del
funzionamento sociale, scolastico, lavorativo.
C) Se l'individuo ha un'età superiore ai 18 anni, non soddisfa i criteri del disturbo antisociale di
personalità.
Specificare se con esordio:
 nell’infanzia (prima dei 10 anni)
 nell’adolescenza (dopo i 10 anni)
 non specificato (non ci sono sufficienti informazioni per determinare l’esordio).
Gravità dei sintomi:
 Lieve: pochi (o nessun) problemi di condotta aggiuntivo rispetto a quelli necessari per
la diagnosi. I danni sono relativamente minori
 Moderata: i problemi sono intermedi tra il grado lieve e grave
 Grave: problemi di condotta oltre a quelli richiesti per la diagnosi numerosi. I danni agli altri
sono notevoli.

L’interazione tra aspetti genetici e ambientali, sommati alla presenza dei tratti Callous-
unemotional (CU) costituiscono un forte fattore di rischio per lo sviluppo di un Disturbo della
condotta. In particolare il DSM 5 richiede di specificare se sono presenti emozioni prosociali
limitate: l'individuo deve aver presentato in modo persistente - per almeno 12 mesi e in più
situazioni - almeno 2 delle seguenti caratteristiche rilevate dal colloquio con l'individuo e da
testimonianze di altre persone:
 mancanza di rimorso o senso di colpa
 insensibilità e mancanza di empatia
 indifferenza per i risultati
 affettività superficiale o anaffettività.

2. LO SVILUPPO DEI COMPORTAMENTI OPPOSITIVI E AGGRESSIVI: DALL'INFANZIA ALL'ETÀ


ADULTA.
Se è vero che la maggior parte degli adulti che sviluppano un disturbo antisociale di
personalità presentavano problemi comportamentali fino dall'infanzia, non tutti i bambini
aggressivi sono destinati a sviluppare questo tipo di disturbo.
Per quanto riguarda i comportamenti oppositivi uno studio longitudinale ha mostrato che nella
maggior parte dei casi con l'aumento dell'età si osserva una riduzione di questi comportamenti. I
comportamenti del gruppo cronico risultavano particolarmente gravi e frequenti fin dall’inizio
della rilevazione.
Per quanto riguarda i problemi di condotta una ricerca longitudinale ha mostrato che nella
maggior parte dei casi i bambini nel corso dello sviluppo non presentava più problemi di condotta.
Gli autori indicano come soggetti più a rischio (soprattutto nelle femmine) coloro che
presentano anche comportamenti oppositivi provocatori ed iperattività.
Gli studi che hanno analizzato le traiettorie evolutive su popolazioni adulte sono stati
condotti principalmente in ambito criminologico e hanno quindi analizzato le condanne per diversi
reati in individui monitorati nel tempo. Sembrerebbe che solo per una minoranza di individui
le condotte aggressive si trasformino in comportamenti violenti ed atti delinquenziali durante
l'adolescenza, che si traducono in veri e propri crimini nell'età adulta. L’individuazione dei fattori
che determinano la cronicizzazione risulta di fondamentale importanza non solo per poter
analizzare le traiettorie evolutive ma anche per contrastare gli esiti disadattivi che interessano le
aree di funzionamento di questi individui.
3. LE CAUSE DEI DISTURBI DEL COMPORTAMENTO.
Vulnerabilità neurobiologica.
Una particolare forma dell'allele 5-HTTLPR determina una riduzione dell'attività dell'amigdala
e sembra associato a manifestazioni "calcolate e fredde" di aggressività e più frequente in
bambini e adolescenti che provengono da ambienti socioculturali svantaggiati. Anche il gene
legato alla produzione della monoamine oxidase A (MAOA) - legato alla modulazione della
concentrazione di serotonina - sembra maggiormente presente in ragazzi che presentano
comportamenti aggressivi e più frequente in casi che hanno subito maltrattamenti.
È stato riscontrato in uno studio un polimorfismo di un pool di geni che modulano la
produzione di ossitocina, ormone legato alla fiducia nell'altro e allo sviluppo dei sentimenti di
affiliazione , che sembra associato alla presenza del disturbo di condotta. Alcuni studi di risonanza
magnetica strutturale mostrano uno sviluppo atipico delle aree deputate alle funzioni esecutive e
all'autocontrollo nei soggetti con DC, mentre negli individui con DC e tratti CU sembrano più
compromesse le aree deputate al decision making e ai dilemmi morali.

Temperamento.
La presenza di un temperamento irritabile di base caratterizzato da emozioni negative anche in
presenza di eventi stressanti di poco conto sembra favorire una aggressività reattiva. È
maggiormente associata al DOP e al DC con esordio in età scolare. L'aggressività proattiva risulta
caratterizzata da un arousal costantemente basso e da una dipendenza dal rinforzo esterno nella
guida del comportamento. È maggiormente associata allo sviluppo di un DC in seguito al contatto
con ambienti criminogeni (famiglia o contesto sociale) o al DC con tratti CU. La scarsa efficacia
delle punizioni legata alla scarsa reattività emotiva del figlio può portare i genitori ad utilizzare
metodi educativi sempre più severi. I bambini esposti a dure forme di disciplina avvertono
meno sensi di colpa in seguito a trasgressioni e sono meno preoccupati per i sentimenti degli altri.
Ambiente familiare.
La presenza di una psicopatologia genitoriale rappresenta un fattore di rischio per il DC e il DOP
ma questo rischio risulta mediato dalla capacità di entrambi i genitori di rapportarsi con il
bambino. In assenza di psicopatologia dei genitori, il metodo educativo dei genitori con figli
che presentano un disturbo del comportamento risulta caratterizzato da uno stile coercitivo con
rinforzi negativi. Lo stile coercitivo sembra essere il risultato della presenza di un temperamento
difficile del bambino in presenza di un genitore che non è in grado di comprendere o sostenere le
richieste del figlio. Soprattutto nella pre-adolescenza i ragazzi che percepiscono uno scarso
coinvolgimento genitoriale o un eccessivo controllo in presenza di uno stile educativo rigido e
coercitivo sono più a rischio di sviluppare un DC. Anche alti tassi di conflittualità di coppia possono
influenzare lo sviluppo di comportamenti aggressivi nei figli.

La qualità del legame di attaccamento.


Quando il bambino risulta esposto a situazioni in cui la relazione di attaccamento non risulta
garantita mette in atto dei comportamenti di attaccamento che hanno lo scopo di avvicinare il
caregiver. Bowlby chiama questa reazione collera funzionale che ha il fine di scoraggiare la
separazione o favorire la riunione con la figura d’attaccamento. La sua funzione risulta quella di
agire come deterrente rafforzando il legame. Coloro che hanno vissuto traumi quali mancanza di
cure, maltrattamenti o abbandoni, possono arrivare a provare sentimenti negativi talmente forti
verso la figura di attaccamento da manifestare un tipo di collera non funzionale che non ha lo
scopo di tenere distante la figura di attaccamento perché troppo pericolosa. La collera non
funzionale ha scopi di vendetta, può raggiungere l’intensità dell’odio e risulta associata a
comportamenti antisociali.

4. LA DIAGNOSI DIFFERENZIALE.
A) Il DOP si riscontra spesso in comorbilità con l’ADHD. È appropriata la diagnosi di ADHD
quando la tendenza a non rispettare le richieste o i comportamenti sfidanti si presentano
solo in situazioni in cui è richiesto di svolgere dei compiti o delle mansioni per un
periodo di tempo prolungato. È appropriata la diagnosi di DOP quando si tratta di un
pattern di comportamento indipendente dal compito proposto.
In presenza di una Disabilità Intellettiva risulta possibile fare diagnosi di DOP solo se
i comportamenti oppositivi sono superiori rispetto a quelli attesi in individui con pari età
mentale e con Disabilità Intellettiva di uguale severità.
I sintomi del DOP sono meno severi rispetto a quelli del DC e non comprendono
comportamenti aggressivi e crudeli verso persone o animali. Inoltre nel DOP si riscontrano
umore irritabile e rabbia che non sembrano essere particolarmente presenti nel DC. È
comunque possibile riscontrare una comorbilità tra DOP e DC.
B) Per quanto riguarda il DC - oltre che con l’adhd - risulta importante fare una diagnosi
differenziale con i Disturbi del tono dell'umore. Il Disturbo antisociale di personalità
risulta caratterizzato dalla tendenza a non conformarsi alle norme sociali, utilizzo di
inganni e bugie per il proprio tornaconto, impulsività, aggressività, comportamenti
spericolati, scarsa responsabilità e mancanza di rimorso. La diagnosi può essere posta
dopo i 18 anni e risulta spesso associata a un DC con esordio prima dei 15 anni.

5. LE TECNICHE DI INTERVENTO PER I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO.


L'intervento con il bambino con disturbi del comportamento.
Il Coping Power Program rappresenta un intervento per la gestione e il controllo dell’aggressività
rivolto a bambini del secondo ciclo della scuola primaria e della scuola secondaria. L'impianto
teorico del programma risulta di matrice cognitivo-comportamentale e si basa sul Contextual
Social cognitive Model che identifica cinque aree di rischio la cui combinazione nel corso dello
sviluppo del bambino può aumentare la possibilità che sviluppi un disturbo del
comportamento: fattori biologici e temperamentali, fattori del contesto ambientale e di
residenza e fattori scolastici, caratteristiche del contesto familiare, contesto dei pari.
L’iterazione dei fattori di rischio biologici ed ambientali predispongono lo sviluppo di una
modalità di elaborazione dell’informazione sociale distorta e deficitaria che induce il
bambino (prevalentemente) a percepire e valutare i segnali sociali interpersonali come ostili e a
reagirvi con condotte comportamentali aggressive. Questi bambini presentano inoltre strategie
di Problem Solving interpersonale scarse ed inefficaci che li inducono ad usare l’aggressività
per la modulazione emotiva e per la regolazione delle relazioni interpersonali.
Il Coping Power Program prevede delle sessioni di gruppo per i bambini e delle sessioni di Parent
Training per i genitori. Il Coping Power Program rivolto ai bambini prevede l’uso di tecniche
cognitivo-comportamentali e attività dirette a potenziare diverse abilità come riconoscere e
modulare i segnali fisiologici della rabbia e resistere alle pressioni dei pari. Il Role Playing e
l’interazione con i pari sono i principali strumenti utilizzati per incrementare e generalizzare le
competenze acquisite all’interno del gruppo.

L'intervento con la famiglia.


Il Parent Training si propone di migliorare le abilità di gestione del figlio in situazioni di vita
quotidiana, di ridurre lo stress familiare e di incrementare le capacità genitoriali nella
soluzione dei problemi.
Generalmente gli incontri si svolgono con gruppi di 5-6 coppie di genitori ma sono anche possibili
percorsi individualizzati per una coppia. È generalmente richiesta la presenza di entrambi i genitori
per orientare il lavoro sul funzionamento globale della coppia nei confronti del figlio e per
condividere scelte educative coerenti.
I bambini con DC e tratti CU si mostrano sensibili all’intervento nella prima fase in cui venivano
insegnate ai genitori delle strategie di rinforzo positivo mentre lo sono meno nella seconda fase
che prevedeva strategie di rinforzo negativo. Sembrerebbero quindi più utili con casi che
presentano alti tratti CU le strategie che si basano sui rinforzi positivi e sulla costruzione di un
solido legame affettivo tra genitore e figlio.
Numerose evidenze sottolineano l’utilità della terapia farmacologica. I farmaci più usati, che
variano a seconda dei sintomi principali rientrano nelle categorie degli antipsicotici (tipici e
atipici), alcuni stabilizzanti dell’umore quali ad esempio il litio e gli psicostimolanti come il
metilfenidato, se i disturbi del comportamento si presentano in comorbilità con l’ADHD.

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