Pascoli
Il fanciullino
Anno: 1897, 1903 Nella stesura ultima (1903), il saggio si compone di 20 capitoli; qui si propone
Genere: saggio una scelta di passi significativi.
Argomento:
l’esposizione della
poetica pascoliana
Il poeta dà voce al “fanciullino” che si trova in ogni individuo, e che crescendo viene relegato in un angolo
della nostra personalità. È davvero in ognuno di noi. La prospettiva del fanciullino consente di scoprire un
inedito volto del mondo. Così concepita, la poesia acquista anche un ruolo civile e sociale perché unisce tutti
gli esseri umani, in virtù del fanciullo che è il loro, e dunque invita alla fratellanza, al di là delle barriere di
classe.
Secondo Pascoli in ogni uomo si cela un “fanciullino”, ovvero la capacità di guardare con stupore a quanto
circonda; ma gli uomini comuni, diventando adulti, tendono a perdere, a differenza del poeta, questa
particolare sensibilità dell’infanzia. L’intento di Pascoli è di sottolineare come, per cogliere la realtà nella
sua pienezza, si debba tentare di retrocedere verso un linguaggio infantile, preconscio, dove il suono assume
maggiore forza e significato. Il “poeta fanciullo” vede tutto con meraviglia, come per la prima volta; si
sottrae alla logica ordinaria grazie all’attività fantastica, parla “alle bestie, agli alberi, ai sassi, alle nuvole,
alle stelle”, piange e ride “senza perché, di cose che sfuggono si nostri sensi e alla nostra ragione”, scopre
legami inconsueti tra le cose, rovescia le proporzioni e rimpicciolisce “per poter vedere” o ingrandisce “per
poter ammirare”. La poesia, come ricordo del momento magico dell’età infantile non inventa nulla, ma
scopre nelle cose quotidiane gli echi dell’interiorità e delle inquietudini della coscienza.
Il linguaggio analogico
Per esprimere questa nuova visione della realtà è necessario un linguaggio nuovo. Occorre un linguaggio
non imperfetto ma oggettivo, che tuttavia, attraverso le analogie, trasformi il volto della realtà. Il particolare
oggettivo è il termine tecnico non hanno funzione realistica: nonostante la precisione e la puntigliosa
accuratezza con cui le cose vengono nominate, esse si prestano, per le loro connessioni analogiche, a
liberare la carica visionaria, allusiva, della poesia. Il fanciullino-poeta riesce a percepire segrete
corrispondenze che sfuggono allo sguardo comune; è maestro del gioco poetico delle analogie.
Lavandare
Anno: 1892-94 Il testo (risale al periodo 1892-94) fa parte del gruppo di sedici madrigali che
Metro: madrigale costituisce la sezione “l’ultima passeggiata” (1894). Dietro l’apparente aspetto
formato da due terzine, descrittivo-oggettivo, il paesaggio e gli oggetti di vita contadina (il campo
legate dalla rima centrale mezzo arato, un aratro abbandonato sui solchi, voci di lavandaie il lontananza,
(pare / lavandare), e da l’acqua di un canale), collocati quasi fuori dello spazio del tempo, legati da
una quartina di una trama sottile di corrispondenze foniche, assumono risalto emblematico di
endecasillabi (schema: una condizione di solitudine e di abbandono. Il titolo è variante regionale di
ABA CBC DEDE) “lavandaie“.
Argomento: un
paesaggio rurale fa da
sfondo e immagini di
solitudine.
Passeggiando tra i campi in una giornata autunnale il poeta ode in lontananza il canto di un gruppo di
lavandaie e sente una segreta corrispondenza tra quella triste canzone d’amore e la malinconica solitudine
del paesaggio autunnale, sintetizzata da un aratro dimenticato in mezzo alla campagna.
La struttura
Il testo si presenta diviso in tre sezioni distinte: nella prima terzina, l’immagine del paesaggio autunnale è
affidata a impressioni di carattere visivo; nella seconda, intessuta di voci onomatopeica, prevalgono le
sensazioni uditive; nella quartina finale è per intero occupata dal canto delle lavandaie. L’immagine
dell’aratro abbandonato apre e chiude circolarmente la lirica.
Dall’impressionismo al simbolismo
Tipico esempio del cosiddetto “impressionismo pascoliano”, il testo è costituito con dati descrittivi
presentati nella loro immediatezza visiva, secondo una prospettiva non gerarchica, ma giustapposti l’uno
accanto all’altro. Le prime due terzine restituiscono una visione concreta della natura. I colori del campo,
l’aratro, la nebbia e rumore delle lavandaie si succedono senza alcuna mediazione apparente.
L’immagine dell’aratro
Tuttavia, è proprio l’ultima strofa a creare legami con le prime due terzine, attraverso la ripresa nell’ultimo
verso, dell’immagine dell’aratro abbandonato. La ripetizione dell’aratro rivela il senso simbolico sotteso agli
aspetti oggettivi della campagna. Il campo arato a metà suggerisce un senso di incompletezza. Il messaggio
che i versi comunicano è allora la smarrita solitudine dell’individuo, sperduto in una natura desolata.
Novembre
Anno: 1891 Questa lirica fu pubblicata nella rivista fiorentina “La Vita Nuova“ nel
Metro: ode saffica febbraio 1891, la lirica, che Carducci ha giudicato “bellissima“, entra nella
composta di tre strofe di prima edizione di Myricae nella sezione “in campagna“. La scelta della “ode
quattro versi ciascuna, a saffica” è un omaggio al maestro Carducci con le sue “odi barbare”
rime alternate, caratterizzate dalla proposizione della metrica quantitativa degli antichi.
endecasillabi i primi tre,
quinario l’ultimo Il paesaggio è, come altre volte, una realtà a doppio fondo: sotto un’apparenza
(schema: ABAB) di armonia e di positività possono nascondersi, e spesso in effetti si
Argomento: la nascondono, la presenza e la minaccia della morte. Qui una giornata mite e
descrizione di una serena trasmette per un attimo l’illusione di essere in primavera, ma si è in
limpida e serena giornata realtà a novembre. In questo mesa cade infatti la cosiddetta “estate di San
novembrina. Martino” (l’11)m in cui si possono avere alcune giornate quasi estive; e cade
però anche la ricorrenza dei morti (il 2); così che il poeta può fondere i due
aspetti (quello dell’apparenza estiva e quello dell’autunno reale) nella
conclusione, definendo il clima quale “estate […] dei morti”.
La bella giornata novembrina sembra evocare la primavera, con l’aria tanto limpida da far pensare che il
biancospino sia già fiorito. Ma non è così: tutt’intorno vi sono rami secchi e terreno gelato; l’unico suono è il
quasi impercettibile cadere delle foglie. Non è primavera, me la falsa estate di San Martino.
L’assenza dell’io
Questi temi psicologici sono tutti risolti in pure immagini che determinano una successione di sensazioni
olfattive, visive e uditive dell’orecchio attento a cogliere le voci più segrete della natura: l’odore del
prunalbo è amaro (v.3), una sinestesia che preannuncia la svolta triste del componimento; il cielo, prima
limpido come un vetro, sembra ora frantumato in mille pezzi dalle nere trame delle stecchite piante (vv. 5-
6); invece dell’atteso canto degli uccellini primaverili, intorno c’è soltanto silenzio (v.9), talmente profondo
che si potrebbe sentire il rumore di una foglia che cade in lontananza. Immagini e sensazioni sembrano
sussistere di per sé, staccate da una coscienza soggettiva: notare che nella poesia non compare un “io”, e
l’illusione dell’estate è attribuita a un “tu” generico.
La dialettica vita-morte
Le immagini di vita, di luce, di calore, nella prima quartina, sono rese dalla successione di suoni chiari e
aperti (“gemmea”, “aria”, “chiaro”) e dalla trama di rime, assonanze (“sole”-“fiore”), consonanze
(“chiaro”-“fiore”, “amaro”-“cuore”). Ma l’impressione di dolcezza primaverile è smentita dal “Ma” che
presenta la fenomenologia di una natura minacciosa e ostile.
Il fonosimbolismo
Alla musicalità del primo verso, si sostituisce, nella seconda strofa, un timbro caratterizzato dall’asprezza
delle sibilanti (“secco”, “stecchite”, “segnano”, “sereno”, “sonate”, “sembra”) e delle allitterazioni
consonantiche (r: “pruno”, “nere”, “trame”, “terreno”; v: “vuoto”, “cavo”) che rafforzano il senso di arida
durezza. L’idea della morte si riassume nell’ossimoro “estate, /fredda, dei morti”, posto in chiusura del
componimento con l’aggettivo “fredda” in posizione simmetrica a “gemmea” (v.1). L’accostamento,
sottolineato dal forte enjambement, tra l’estate di san Martino e la ricorrenza celebrativa dei defunti sigilla il
senso della poesia: l’inganno dei sensi dinnanzi a una realtà che illude e delude, dinnanzi a una natura che
nasconde dietro immagini di vita la presenza della morte.
Myricae
La prima edizione della prima raccolta pascoliana che comparve nel 1891, comprendeva 22 poesie; nelle
successive edizioni la raccolta fu via via arricchita, fino alla quinta, del 1900, che presenta il numero
definitivo di 156 componimenti. Myricae contiene dunque testi composti in momenti diversi, riveduti e
corretti nel corso delle successive edizioni, e in parte anche posteriori a quelli confluiti in altre raccolte; ma
nell’ordinamento generale della propria opera Pascoli propone questo libro come un ideale “primo tempo”
della sua poesia.
Arano
Anno: 1896 Arano è il primo di una serie di sette quadretti di vita rustica pubblicati nel
Metro: madrigale, 1896 col titolo “L’ultima passeggiata”, che diventò in seguito il titolo di una
composto da due terzine sezione di Myricae, aumentata a sedici componimenti, tutti di uguale forma
e una quartina di metrica.
endecasillabi.
Il madrigale era in
origine un
componimento per
musica; Pascoli ne adotta
la forma metrica
medievale.
Primato delle sensazioni
Il tema del quadretto di vita campestre è di illustre tradizione letteraria, ma Pascoli ne fa qualcosa di
completamente nuovo. In primo luogo elimina qualsiasi considerazione morale, qualsiasi risvolto
soggettivo: è una poesia di pure immagini, in cui l’io è assente. Non sono in primo piano i sentimenti o le
riflessioni ma le sensazioni: la poesia si apre con una notazione di colore (le foglie di vite che rosseggiano)
seguita da un’altra sensazione visiva (la nebbia che si alza lenta), e passando per i rumori dei lavori agricoli
(le grida dei contadini, l’urto della zappa sulle zolle) e si chiude giocando raffinatamente su un suono (il
cinguettio del pettirosso).
Pascoli e Carducci
Per valutare la novità della poesia pascoliana, può essere utile confrontare questo paesaggio autunnale con
quello ritratto da Carducci in “San Martino”. Tuttavia, la poetica pascoliana risulta più innovativa rispetto a
quella di Carducci.
Impressionismo
Il primato della sensazione e la riduzione di uomini, animali e oggetti a puri elementi figurativi, non ordinati
gerarchicamente, sono gli aspetti della poesia pascoliana per cui si può parlare di “impressionismo”, con un
termine mutuato dalla contemporanea pittura francese. Un esempio è la scelta della parola finale “oro” per
conferire una sorta di luminosità alla lirica.
G. Pascoli, Myricae
Il lampo
Anno: 1894 Pubblicata nella terza edizione di Myricae (1894), nella sezione “Tristezze” è
Metro: ballata piccola, la raffigurazione impressionistica di un evento atmosferico, il lampo, che
composta di illumina cielo e terra, nel silenzio sospeso che precede il tuono. Nello
endecasillabi, con la sconvolgimento della natura in tumulto s’intravede la precarietà del suo
ripresa costituita da un destino dell’uomo e la realtà rivela il suo volto spaventoso e angosciante.
solo verso (schema A
BCBCCA)
Argomento: l’inizio di
un temporale.
L’improvviso bagliore del lampo, che illumina la notte, assume la forza di una visione allucinata, di una
fulminea rivelazione. Il cielo e la terra, nell’attimo che squarcia d’un tratto il buio della notte, rivelano il loro
volto tragico. Una casa bianca appare e poi scompare, illuminata per un attimo, come un occhio che si apre e
si chiude.
Il ritmo presenta un andamento alterno: un ritmo lento corrisponde alla rappresentazione iniziale della
natura, avvolta dal nero della notte, sconvolta, violentata dalla bufera che si addensa su di lei (e dalla vista
del tremendo crimine); nei versi 2-3 il ritmo è rallentato dalla presenza della virgola e da parole trisillabiche,
due delle quali sdrucciole (livida; tragico). Nei due versi successivi l’accostamento per asindeto (bianca
bianca; apparì sparì) rende il ritmo concitato, per poi rallentare nuovamente nel sesto verso. Al centro del
testo si colloca la rapidità della visione di una casa, che appare intensamente illuminata dal lampo per poi
immediatamente sparire, come l’aprirsi sbalordito di un occhio che subito si richiude. L’attimo di terrore e
stupore è come sospeso e dilatato dall’aggettivo esterrefatto che, unitamente alle virgole, rallenta il ritmo. La
chiusura del verso 7 sembra contrapporre alla rapidità della visione (s’aprì si chiuse), il buio inesorabile
della notte (della morte).
X Agosto
Anno: 1896, 1897 La poesia è apparsa per la prima volta nel “Marzocco” del 9 agosto del1896,
Metro: sei quartine di alla vigilia dell’anniversario dell’uccisione del padre, avvenuta, in circostanze
decasillabi e novenari, rimaste oscure, il giorno di San Lorenzo (il 10 agosto), quasi trent’anni prima
con rime alternate (1867). Entra. Nella quarta edizione di Myricae (1897).
(schema ABAB)
Argomento: il ricordo
dell’uccisione del padre
Il poeta rievoca l’assassinio del padre, ucciso il 10 agosto 1867, nel giorno dell’anno in cui si manifesta con
maggiore intensità il fenomeno delle stelle cadenti, viste come lacrime versate dal cielo per la cattiveria del
genere umano. Una rondine viene uccisa mentre tornava al nido con la cena per i suoi piccoli, che aspettano
invano. Allo stesso modo è stato ucciso il padre di Pascoli, che tornava a casa con due bambole in dono, che
ora restano rivolte verso il cielo lontano, mentre nella casa solitaria lo aspettano inutilmente. La tragedia
domestica e il dolore personale diventano vicenda universale. Il cielo infinito, che sfavilla con mille luci e
che non conosce l’angoscia della morte, inonda d’un pianto di stelle la Terra, questo piccolo pianeta opaco,
dominato dal dolore e dalla sofferenza per la malvagità degli esseri umani.
Rigorose simmetrie
Una stretta corrispondenza lega da un lato la prima e l’ultima strofa, dall’altro la seconda e la quarta, e
ancora la terza la quinta. La strofa iniziale quella finale si corrispondono sotto il profilo sia tematico sia
grammaticale. La Terra non è che un minuscolo frammento intriso di male e il cielo, che non conosce
sofferenza né morte, può solo ricoprirla d’un “pianto di stelle”.
La simbologia cristiana
Il padre e la rondine diventano emblemi della sofferenza e dell’ingiustizia che dominano la vita sulla
Terra. L’immagine della rondine abbattuta, che cade tra gli “spini” con le ali aperte “come in croce” (v.9), e
l’ultima parola dell’uomo che morendo perdona i suoi uccisori, sono allusioni al sacrificio di Cristo. Ma qui
il sacrificio delle vittime senza colpa non comporta, come quello di Cristo, una prospettiva di salvezza, non
diviene mezzo di redenzione del male. Neanche la fede data dal sacrificio di Cristo è in grado di fornire
risposte al dolore universale.
Motivi e fonti
La proiezione analogica delle stelle cadenti come pianto del cielo rimanda da un lato alla leggenda popolare
che fa delle stelle le lacrime di San Lorenzo, dall’altro a modelli come un madrigale di Tasso (“Qual rugiada
o qual pianto, / qual lagrime eran quelle / che sparger vidi”) o il madrigale dannunziano “Tristezza d’una
notte di primavera”. La similitudine della rondine è presente in una stesura della “Pentecoste” manzoniana.
Altre reminiscenze manzoniane sono gli aggettivi “immobile”, “attonito” (v.19), ripresi dalla prima strofa
del “Cinque maggio”.
G. Pascoli, Myricae
L’assiuolo
Anno: 1897 Ritenuto uno degli esempi più significativi e maturi del simbolismo
Metro: tre doppie pascoliano, L’assiuolo è pubblicato per la prima volta nel gennaio 1897 sul
quartine di novenari, a “Marzocco” e viene incluso lo stesso anno nella quarta edizione di Myricae. È
rima alternata (schema: ritenuta una tra le liriche più rappresentative del simbolismo di Pascoli, la cui
ABABCDCD), seguite poetica è ormai matura.
da un monosillabo
onomatopeico.
Argomento: le
sensazioni suscitate da
un verso di un assiuolo,
in un suggestivo notturno
di luna (che non si vede)
In un paesaggio notturno, silenzioso, illuminati dal chiarore di un’invisibile luna (c’è ma non si vede), in
prossimità del mare e nell’imminenza di un temporale, il poeta percepisce lievi rumori e misteriosi suoni
naturali. In particolare, è colpito dal verso di un assiuolo, rapace uccello notturno, che risuona nell’aria come
un singhiozzo, come un messaggio di morte.
Dal Naturalismo al Simbolismo
L’occasione da cui prende avvio la lirica è priva di particolare rilievo (il verso di un uccello nella notte). Ma,
attraverso una libera trama di corrispondenze analogiche e l’adozione della tecnica fonosimbolica, il
poeta dissolve i contorni del quadro, sfuma gli oggetti, suggerisce dietro di essi il movimento di presenze
inquietanti. Il suono del vento in particolare porta all’annuncio di morte, si determina l’unione del
simbolismo alle credenze popolari: gli elementi della natura in un paesaggio notturno fanno emergere una
riflessione sul mistero della morte attraverso la rappresentazione di una realtà oggettiva dietro la quale si
cela una soggettività che Pascoli esprime con il suo fonosimbolismo.
Un paesaggio stregato
Cogliendo lo spunto offertogli dalle credenze contadine, secondo cui il canto dell’assiuolo annuncia
disgrazie, il poeta istituisce una corrispondenza tra il verso dell’uccello e il suo lugubre annuncio, come tra
i suoni delle cavallette e quelli dei sistri, strumenti rituali usati nelle cerimonie funebri dell’attico Egitto.
La struttura
Il disegno del quadro non segue una successione logica, ma procede per rapide intuizioni, per circolari
ritorni (il ritornello “chiù”), che suggeriscono la percezione di un turbativo mistero. Le tre strofe sono
strutturate secondo uno schema simile: alle immagini tranquille e serene della prima parte (“l’alba di perla”
del v.2, le stelle che rilucono nel chiarore diffuso della “nebbia di latte” e il “cullare del mare” dei vv. 9-11)
si sostituiscono nella seconda immagini più angoscianti e misteriose (“soffi di lampi” al v.5, il rumore che
proviene dalle fratte al v.12) che si materializzano nel lugubre verso dell’assiuolo. Anche nell’ultima strofa,
l’immagine della luce lunare è accostata a note non liete (il sospiro tremante del vento, il luttuoso suono dei
“sistri” delle cavallette). A sottolineare l’incertezza e l’ambiguità torna, come in apertura, una domanda che,
rafforzata dall’avverbio “forse” e dai puntini di sospensione, introduce l’enigmatica immagine delle
“invisibili porte” che sono probabilmente quelle della morte. E infine, il verso dell’assiuolo si trasforma in
un autentico “pianto di morte”.
Il gelsomino notturno
Anno: 1901-03 La poesia è elaborata in pochi giorni in occasione delle nozze dell’amico
Metro: sei quartine di Gabriele Briganti, nel luglio 1901. I versi presentano il gelsomino notturno, un
novenari, a rima alternata fiore straordinario che apre i suoi petali al crepuscolo per chiuderli all’alba.
(schema ABAB)
Argomento: il
concepimento di una
Il poeta osserva nella notte due scene parallele: il ciclo erotico-sessuale della fecondazione dei fiori, che si
conclude simbolicamente con l’immagine dei petali sgualciti, e l’intimità di una prima notte di matrimonio,
nell’interno di una casa. L’alba porta una feconda promessa di felicità. Al poeta, che osserva dall’esterno,
spetta il ruolo di chi si sente escluso dal rapporto con gli altri e con il mondo.
Poesia d’amore
È una poesia d’amore e, insieme, di esclusione dall’amore, di ambigua contemplazione dell’amore altrui,
quale può essere consentita a un poeta ossessionato dal “nido” originario, sul ricordo dei propri familiari
defunti, quindi turbato dall’impossibilità di stabilire con gli altri un rapporto costruttivo.
Un linguaggio simbolico
La dimensione temporale collocata in un presente fuori dal tempo si unisce alla complessa trama di analogie
e sinestesie (“l’odore di fragole rosse”, “La Chioccetta per l’aia azzurra / va col suo pigolìo di stelle”).
L’attacco con la congiunzione “E” allude a una continuità con qualcosa che precede. Notevole è l’uso della
metonimia (il contenente per il contenuto) e sineddoche (la parte per il tutto).
Simbologia floreale
La simbologia floreale presenta una particolare valenza erotica. L’aprirsi del gelsomino, con cui ha inizio la
lirica, insieme al diffondersi di un intenso profumo è un invito all’amore. I puntini di sospensione che
seguono lo spegnersi della luce al primo piano (v.20) esprimono la reticenza del poeta di fronte all’atto
amoroso.
Amore e morte
Il componimento è percorso dalla compresenza dialettica di amore e morte a indicare la complementarietà
dei due momenti. L’apertura dei “fiori notturni” (v.1) è seguita dal richiamo alla memoria dei defunti
(“nell’ora che penso a’ miei cari”, v.2), ai fiori dei “viburni” (v.3) segue l’immagine delle “farfalle
crepuscolari” (v.4), che la credenza popolare avverte come presagio di morte. Nella terza strofa le immagini
suggeriscono il mistero della vita che si rinnova, con una luce ancora accesa (“Splende un lume là nella
sala”, v.11), mentre nel verso seguente l’erba che nasce “sopra le fosse” (v.12) allude alla continuazione
della vita, al suo imporsi oltre alla morte.
L’esclusione
Il poeta intende esorcizzare il suo difficile e sofferto rapporto con la sessualità attraverso il richiamo alla
memoria dei morti e la regressione all’infanzia. Edificare un proprio “nido”, diverso da quello originario,
significherebbe tradire un vincolo sentito come sacro e inviolabile. Al motivo dell’esclusione, ribadita dalla
ripetizione dell’avverbio “là” (“là solo una casa bisbiglia”, “splende un lume là nella sala”), allude
l’immagine dell’ “ape tardiva” che ha trovato già prese le celle e si aggira in desolata solitudine. Questo
mancato coinvolgimento nella continuazione della vita esprime il rammarico per l’insoddisfatto desiderio
di paternità, più volte confessato da Pascoli.