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LA MUSICA POETICA NEL ROMANTICISMO: FIORITURA E

SVILUPPO DELLA FORMA DEL PEZZO BREVE E


“CARATTERISTICO” PER PIANOFORTE TRA I MAGGIORI
COMPOSITORI.

1)L’epoca romantica: caratteristiche generali e


diffusione del pianoforte come principale strumento di
consumo musicale.

Il significato del rinnovato rapporto che il Romanticismo instaura


con la realtà è reso pienamente da questa sentenza del Novalis
(1772/1801), uno dei più efficaci promotori del movimento:
“Bisogna romanticizzare il mondo. Così se ne riscopre il significato
originario.” E romanticizzare per il Novalis significa “conferire a
ciò c’hè comune un senso più alto, al quotidiano un aspetto
misterioso, al noto la dignità dell’ignoto, al finito l’apparenza
dell’infinito.”
A questo mutamento di prospettiva corrisponde un
capovolgimento del ruolo dell’arte: viene ripudiato il principio di
imitazione della natura ed esaltate l’originalità dell’artista
creatore e l’individualità irripetibile di ciascuna opera d’arte,
eliminando la tradizionale distinzione tra generi letterari e
artistici. In un celebre scritto pubblicato nella rivista Arthenhaum,
operosa fucina delle teorie artistiche e letterarie romantiche negli
anni 1798/1800 F. von Schlegel afferma che riunire i generi
poetici è il compito della poesia: “La poesia romantica è ancora in
divenire: anzi la sua vera essenza è che essa può sempre soltanto
divenire, senza poter mai essere compiuta.” Poesia è dunque
attività creatrice di nuove forme, anima della natura che anela
all’infinito condannando l’arte imitativa e descrittiva. “La vera
poesia - cito nuovamente il Novalis- può avere al massimo un
vasto significato allegorico, come la musica… Nella lontananza
tutto diventa poesia, tutto diventa romantico”. Da questo impulso
di perenne autorigenerazione nasce il concetto romantico di
Sensucht, difficilmente traducibile a prova dell’anima
squisitamente germanica di questo movimento, che Mittner
suggerisce di rendere con il concetto italiano di “struggimento,
nostalgia” e F. von Schlegel definisce “la scaturigine della natura,
la madre di tutte le cose, il primo cominciamento d’ogni divenire”.
Non più raziocinante ragione, dunque, ma espressione dell’io
interiore, quindi anima e passione, l’estetica del Romanticismo
viene ben sintetizzata nel famoso nome della corrente letteraria
tedesca dello “Sturm und drang”, ossia “tempesta e assalto”. Ciò
indica che i moti dell’anima, i dubbi, le paure, le angosce interiori
e i tormenti erano gli elementi dominanti che si incarnavano negli
artisti. In campo letterario, ad esempio, tutte queste emozioni
prendono corpo divenendo parte fondamentale del carattere dei
personaggi dei quali vengono narrate le vicende.
Un altro carattere costituente è l’amore per la storia, da cui
scaturisce la creazione del romanzo storico (W. Scott) e la
crescente importanza dell’inquadramento storico nei libretti
d’opera, con la predilezione per il tardo medioevo e il barocco.
Ulteriore elemento caratterizzante del Romanticismo, già
anticipato nel secolo XVII da Rousseau, è l’interesse per la natura,
vista come demoniaca nei suoi aspetti più malinconici e selvaggi,
che ispira opere artistiche quali notturni e Lieder.
La società ottocentesca si ritrova invece catapultata nell’era
dell’industrializzazione che portava con sé innumerevoli problemi
di carattere esistenziale: l’avvento della tecnologia e le scoperte
scientifiche generano un senso di disagio e di tormento
nell’animo umano, sentimenti esposti degli artisti nelle loro
opere.
Queste conclusioni cui giungono tutti i letterati del primo
romanticismo produce una rivoluzione senza precedenti nella
storia della musica, che porta alla sua elevazione al rango più alto
delle arti e al primato della musica strumentale, che detta a se
stessa le proprie leggi, su quella vocale. Tutto ciò però investe
solo sul piano della riflessione teorica ed estetica musicisti, poeti,
filosofi e letterati. A conferma dello sfasamento tra romanticismo
filosofico-letterario e musicale è utile il confronto tra alcune date:
nel 1796, dopo le prime due Sonate di Beethoven viene
pubblicata la prima opera letteraria compiutamente romantica, le
Hergienssengessungen eines kundsliebenden Klosterbruders
(Sfoghi del cuore di un monaco amante dell’arte), mentre le
prime compiute espressioni del Romanticismo musicale, i primi
Lieder ghoetiani di Schubert, sono del 1814.
Dopo Beethoven, dunque, siamo già a Ottocento inoltrato,
un’epoca in cui, attorno al pianoforte si muove un intero mondo
di interessi artistici economici e culturali. Gli albori dell’economia
capitalistica e dell’industrializzazione, che influisce enormemente
sullo sviluppo del pianoforte, accompagnano l’ascesa economica
della borghesia, il cui stile di vita comincia a prevalere su quello
aristocratico. Ci saranno ancora, per tutto l’Ottocento, i maestri di
cappella di corte, ma influiscono sempre meno sullo stile della
musica vocale e strumentale: è il salotto, alto-borghese o
aristocratico, a divenire il centro dell’attività culturale. Nei salotti
si organizzano incontri in cui partecipano borghesi e nobili, artisti
e intellettuali, e il mezzo tipico attraverso cui la musica vi fa il suo
ingresso è il pianoforte.
Poche società più di quella borghese ottocentesca hanno fatto un
tale consumo di opere e oggetti d’arte: anche la musica, come
mai prima, diviene oggetto di consumo di massa. L’impulso dato
alle attività musicali nel periodo romantico favorisce l’incremento
e la nuova organizzazione dell’istruzione musicale, affidata ora
alle istituzioni pubbliche (i conservatori), mentre di pari passo si
fa sempre più diffusa la consuetudine delle lezioni private,
specialmente per pianoforte. Tutto ciò impone la creazione di una
messe copiosa di didattici musicali: metodi, studi, trattati di
teoria, raccolte di esercizi. La stampa diviene nell’Ottocento il
sistema di comune diffusione della produzione musicale, con una
copiosa produzione dedicata al pianoforte, strumento principe
dell’epoca romantica, rivolta non solo alla sala da concerto, ma
anche alla dimensione più intima del salotto. Attorno al 1820 si
diffonde così nella letteratura pianistica romantica del breve
pezzo lirico denominato generalmente “pezzo caratteristico”, ma
designato con un’ampia varietà di nomi: romanza, capriccio,
fantasia, preludio, studio, bagatella, improvviso e via dicendo.
Esso si contrappone alla sonata settecentesca, superando il
formalismo dei movimenti mediante un unico svolgimento. Pur
alimentandosi di elementi virtuosistici, il pezzo caratteristico non
mette in mostra il lato tecnico della scrittura pianistica,
sottolineando piuttosto l’intensa sentimentalità e il tono
intimistico: per questo si tratta di composizioni piuttosto adatte
ad essere eseguite in ambiente domestico, destinate quindi a
private esecuzioni nel salotto, luogo in cui si manifesta sempre
più il gusto per la grazia, la leggerezza, il gusto particolare, il gesto
esornativo; non va dimenticato che il salotto vede aumentare
l’autonomia sociale della donna, non di rado ispiratrice e
committente di molte composizioni per pianoforte (si pensi ad
esempio alle dediche di Chopin).
Si svolge quasi esclusivamente nell’ambito dei salotti dell’alta
borghesia viennese la breve carriera di Franz Schubert, la cui
musica nasce spesso all’interno delle serate chiamate
“Schubertiadi”, in quanto dedicate interamente all’ascolto della
sua musica. Fondamentale fu il suo contributo all’impostazione
delle forme brevi per pianoforte, particolarmente adatte al clima
domestico.
Al filone del pezzo caratteristico appartengono molte delle
composizioni di Robert Schumann, che dedicò a questo
strumento tutta la produzione fino al 1840, anno in cui scrive
anche importanti cicli liederistici. I suoi pezzi caratteristici sono
organizzati in ampli cicli costruiti su un’idea poetica comune: la
produzione schumanniana è di solito legata ad elementi
extramusicali, per via della sua spiccata inclinazione per la
letteratura, con la quale la musica stabilisce un legame
privilegiato.
Grande fortuna ebbero anche i Lieder ohne Worte (Romanze
senza parole), di Felix Mendelssohn, pezzi brevi per pianoforte di
intonazione poetica e forma varia.
Nessuna traccia di connotazioni extramusicali si trova nella
produzione di Fryederyc Chopin (le fantasiose denominazioni di
alcuni suoi lavori sono tutte apocrife), quasi completamente
dedicata al pianoforte, funzionale all’ambiente del salotto (pezzi
caratteristici) e all’esercizio didattico (preludi e studi), il tutto
affrontato con straordinaria inventiva e originalità. Quasi tutte le
sue opere furono stampate quando Chopin era ancora in vita e
molte furono pubblicate contemporaneamente da tre editori (a
Parigi, Londra e Lipsia): le sue musiche suscitarono fin da subito
grande entusiasmo, così come i suoi concerti. Il luogo in cui però
Chopin si sentiva più compreso non era la sala da concerto, ma il
salotto: una volta insediatosi a Parigi (1830) abbandonò la
carriera concertistica traendo sostentamento dalla vendita delle
sue composizioni e dalle lezioni private di pianoforte che
impartiva agli allievi dell’alta società parigina, che se lo
contendeva anche per suonare nei propri salotti.
Per la sua particolare dimensione tecnica ed espressiva il
pianoforte apparve subito connaturato da una parte con
l’espressione interiore, dall’altra con la dimensione virtuosistica:
tutto ciò portò ad un processo di scissione tra le funzioni di
compositore ed esecutore e favorì l’evoluzione delle tecniche
costruttive. La ricerca timbrica e virtuosistica sempre più
esasperate per la necessità di esprimere ogni sfumatura del
sentimento portano alla costruzione di pianoforti sempre più
ricchi di suono, con un’estensione molto più ampia rispetto alle
origini e una meccanica sempre più perfezionata
(importantissima fu l’invenzione del cosiddetto “doppio
scappamento” da parte di Sébastian Erard, meccanismo che
permette di ribattere una nota senza necessariamente sollevare il
dito dal tasto), le cordiere furono sovrapposte e venne introdotto
il telaio metallico fuso in un solo blocco (invenzione che si deve
alla ditta Steinway & Sons, costruttrice tedesca poi trasferitasi a
New York), creando sostanzialmente il pianoforte da concerto
che oggi conosciamo, che permette di esplorare i più diversi
universi sonori.

2)La musica poetica nell’estetica musicale pianistica


ottocentesca in relazione con il “pezzo caratteristico”.
Nel 1799 Ludwig Tieck decantava nelle sue Phantasien uber die
kunst la musica strumentale pura come il “linguaggio poetico che
va per la sua strada e non si cura di avere un testo, una poesia su
cui basarsi, ma crea esso stesso poesia e si commenta da sé in
poesia”: il provocatorio paradosso che la musica diventi poesia
perché se ne separa va inteso come rifiuto dell’estetica
dell’imitazione.
Nella teoria di Tieck della musica come poesia la distanza dalla
rappresentazione degli affetti era strettamente connessa con
un’accentuazione del concetto di tema quale categoria centrale
della musica strumentale autonoma, contapponendosi a Hegel
che, definendo l’essenza poetica della musica “linguaggio
dell’anima”, considerava la melodia e non il tema il momento
strutturale che conferisce maggior valore estetico alla musica.
Si delineava un’idea della rappresentazione dell’idea della musica
come poesia secondo cui il nesso interno era garantito dalla
rappresentazione del carattere, da un’impostazione tematica
delle idee principali della composizione connesse tra di loro come
un tutto compiuto, che concorrono a rappresentare un carattere.
Il Romanticismo restò fedele alla categoria del “caratteristico”,
anzi portò il “pezzo caratteristico” ad essere la forma principale
della musica pianistica.
Del poetico in musica, come lo intendeva nella sua attività di
critico e lo realizzava nelle sue composizioni, Schumann
escludeva l’elemento programmatico come anche quello
virtuosistico, pur senza considerarli riprovevoli e senza
rinchiudersi in una rigida concezione di musica assoluta. La poesia
dei pezzi caratteristici di Schumann è permeata dallo spirito di
Jean Paul ed è una poesia fatta di allusioni letterarie e persiono
biografiche, di motti, di titoli eloquenti che a volte tacciono più
cose di quelle che esprimono apertamente. Essa è influenzata da
convinzioni che sul piano della storia sociale possono essere
definite estetica di uno circolo ristretto che passa dalla realtà al
mondo immaginario sotto la forma del “Davidsbund”
schumanniano. La musica coltivata da Schumann prima che nel
1840 cercasse di inserirsi nella tradizione sinfonica, era
Hausmusik per iniziati. Nell’Ottocento, accanto al teatro d’opera
e alla sala da concerto, il salotto era uno dei luoghi determinanti
della storia della musica, in cui si operava una mediazione tra le
esigenze della società e quelle della musica. Anche se l’attività
musicale privata di rado veniva recensita, aveva un’importanza
storica rilevante dando vita alla dialettica estetica e strutturale
del “pezzo caratteristico” che al di sotto della superficie semplice
e chiara nasconde un lavoro di differenziazione e
individualizzazione, infatti lo spirito stesso del salotto richiede che
nella musica da esso ispirata il momento artificiale si tenga
nascosto. “Nascondere l’arte” era sin dal Rinascimento la parola
d’ordine estetica di una cultura musicale aristocratica e niente è
più caratteristico del fervido ma nascosto modo con cui Chopin si
appropria di Bach: appropriazione di una tradizione che era
considerata la quint’essenza dell’artificiale in musica.
Degli elementi che costituiscono la “poesia” della musica di
Chopin, che Schumann aveva captato già nell’opera 2, fanno
parte, oltre a quella forma personale che rende inconfondibile il
“tono” chopiniano, anche la trasformazione dei caratteri
funzionali e poetici dei generi musicali, ossia dell’insieme di quei
tratti distintivi che fanno della ballata una ballata, di un notturno
un notturno, di un mazurca una mazurca. Un elemento evidente
e quasi costante nella produzione di Chopin è che tratti essenziali
di generi letterari o di musica funzionale vengano per così dire
interiorizzati nella musica, per esempio l’avvicendamento del
tono nella ballata, il ductus melodico da serenata nel notturno (la
cui variante chopiniana sembra più ispirata da Bellini che da
Field), o il disegno ritmico-dinamico rustico della mazurca, della
danza paesana polacca che si differenzia dall’aristocratica
polonaise. E’ una musica che esiste come arte autonoma, per se
stessa, e in cui i caratteri letterari o funzionali dei generi
sussistono come reminescenze; i caratteri acquisiti dall’esterno
sono incorporati nello specifico tono chopiniano.
Alla funzione assolta nell’opera di Chopin dalla personalizzazione
dei caratteri, corrisponde in Liszt l’orientamento verso soggetti
letterari o pittorici. Se invece di attenersi a criteri schematici di
classificazione si vuole comprendere l’idea della musica poetica
nel suo contenuto storico, è senza dubbio importante cogliere la
somiglianza delle concezioni piuttosto che non porre in rilievo il
contrasto tra la musica assoluta e la musica a programma. Per
quanto concerne la storia della composizione, il “carattere
letterario” dato alla musica da Liszt andrebbe analizzato da un
punto di vista strutturale: si dovrebbe studiare l’importanza della
concezione lisztiana nel complesso globale dei tentativi volti a
fondare una tradizione musicale che, opponendosi al virtuosismo
meccanico e all’epigonismo classicheggiante, portasse all’epoca
del juste milieu, come la definiva Schumann, alla “nuova era
poetica”. Nei pezzi pianistici di Liszt che furono pubblicati raccolti
nelle Années de pèlegrinage (Première Année, 1848/1853;
Deuxième Année, 1858) il fatto determinante non è che sitratti di
musica a programma, che si potrebbe far rientrare nella stessa
categoria dei “pezzi caratteristici” da salotto, anch’essi a
programma, di Lefébure-Wély, bensì che Liszt, scegliendo come
soggetti poesie di Petrarca e Dante, quadri di Raffaello o paesaggi
intrisi di reminescenze letterarie del primo romanticismo
francese, punti ad una meta estetica assai ambiziosa. Quando
toccò questa meta la musica si innalzò ad un livello che
giustificava l’epiteto “poetico”, quello che serviva a Schumann a
distinguere l’arte in senso assoluto dalla non-arte. Non è poetico
il “carattere” letterario in sé, ma lo è la sostanza di cui si accresce
un’opera musicale, se il tentativo di continuare a poetare sulle
orme dei capolavori è riuscito.

3)Elaborazione armonica, organizzazione melodica e


struttura formale nel Romanticismo e risvolti
compositivi nella letteratura pianistica.
La copiosa e variegata produzione pianistica dell’Ottocento
consente un’analisi approfondita del cambiamento dei processi
compositivi rispetto all’epoca precedente e il “pezzo
caratteristico”, talvolta di apparente semplicità, diviene oggetto
privilegiato per la sperimentazione delle nuove tecniche da parte
del musicista romantico.
L’armonia, come fulcro del processo compositivo, è il terreno
privilegiato della ricerca progressiva dei compositori
dell’Ottocento. Frutto di questa ricerca è l’allargamento dell’area
tonale mediante la sistematica annessione di tonalità peregrine,
quelle più irte di alterazioni di rado visitate dalla misurata lingua
musicale classica. A ciò si accompagna un’audace esplorazione
della dissonanza: si percorre tutta la gamma di settime e none,
comprese le specie più inconsuete, mascherando il profilo
accordale mediante alterazioni cromatiche ed enarmonia. La
tendenza generale è verso il progressivo allentamento del chiaro
e univoco rapporto funzionale che collega gli accordi in epoca
classica garantendo un saldo ordinamento gerarchico e un sicuro
impulso direzionale del flusso musicale. Il cromatismo consente
di far scivolare le dissonanze su altre dissonanze allontanandone
la risoluzione e ampliandone i collegamenti, la trasformazione
enarmonica dei suoni mette in luce una serie di corrispondenze
segrete tra armonie lontane. Il percorso armonico, del tutto
aperto, diviene imprevedibile: accordo emblema dell’armonia
romantica è proprio la settima diminuita: un accordo paradosso
che con la molteplicità delle sue possibili risoluzioni fa coincidere
il massimo della tensione dissonante con la neutralità della
direzione tonale. Il flusso armonico del discorso musicale classico
si fa sempre più vago: capita sovente che le composizioni non
inizino con l’accordo di tonica o dominante e talvolta la tonalità
d’impianto viene toccata sfuggevolmente stazionando su gradi e
toni differenti.
Il flusso della musica appare così adeguata alla unendliche
Sensucht romantica, ma accanto a questa esaltazione della
dissonanza si assiste alla riscoperta della musica del passato, con
particolare attenzione alla modalità ecclesiastica.
Non si può dimenticare, infine, l’attenzione rivolta al canto
popolare, il quale faceva affiorare sistemi musicali diversi da
quello elaborato dalla cultura europea occidentale.
Parallelamente all’armonia si modifica la melodia, rispetto al
classicismo, mediante un processo di scissione verso poli opposti:
il percorso diviene accidentato, fino all’asperità più convulsa,
talvolta vago, etereo e sfumato, fra slanci ascensionali e ricadute.
Ma la modificazione più profonda della struttura della melodia è
una conseguenza dell’allentamento dei rapporti gerarchici
dell’armonia: il dilatamento dei processi cadenzali porta ad un
decadimento del principio di corrispondenza simmetrica grazie al
quale le frasi si raggruppavano secondo un’ordinata disposizione
strofica. Si tratta naturalmente di una tendenza generale, specie
del secondo Ottocento, ma non bisogna dimenticare che accanto
a questi processi innovativi in epoca romantica si osserva una
stroficità forse ancor più rigorosa di quella del linguaggio
musicale classico: si tratta di quella che mantiene i suoi legami
con la danza e che si mostra sensibile al richiamo della musica
popolare.
Le riflessioni sulla nuova struttura della melodia e sul mutato
assetto dell’armonia consentono di porre l’attenzione sulla
forma, in quanto espressione dei rapporti interni dell’una e
dell’altra. Il musicista romantico rifiuta gli schemi della forma
classica e inventa, di volta in volta, la forma adeguata al percorso
della sua intuizione poetica: l’intensità di espressione gli nega la
possibilità di espandersi in ampie ed elaborate costruzioni
formali, consigliandogli la misura del pezzo lirico, breve, libero,
non “costruito. Con uno sguardo ravvicinato, però, si nota che il
percorso formale del pezzo cosiddetto “caratteristico” è per la
maggior parte ascrivibile alla forma-Lied , con il semplice schema
ABA.
Inoltre nell’Ottocento è presente anche la forma sonata, che i
romantici ereditano dalle mani dei classici tutt’altro che con uno
schema fisso: fatto salvo per il principio della gerarchia delle aree
tonali il campo resta aperto all’invenzione del compositore che
decide come fissare gli estremi degli archi armonici e come
condurre la loro tensione. Ciò vale sia per i classici che per i
romantici: la differenza sta proprio nel differente governo che
essi fanno di questa spinta di tensione armonica entro un
tracciato che rimane, nei suoi più importanti punti di riferimento,
sostanzialmente uguale.
Gli aspetti caratteristici della forma nell’Ottocento si possono
rilevare quindi, da una parte nella dilatazione della forma-sonata,
dal punto di vista delle dimensioni o delle sonorità, dall’altro alla
scelta di brevi composizioni dall’intenso palpito lirico.
Un’altra dicotomia risiede nel processo compositivo. Da un lato
osserviamo un’aspirazione alla continuità, dall’altro una tendenza
alla frammentazione, per cui ora la composizione si presenta
come un flusso inarrestabile che elabora perennemente
l’invenzione musicale di base, ora invece come una
giustapposizione di episodi in sé conclusi, accostati per analogia o
per contrasto senza interna connessione di legami dialettici. La
proma tendenza si può ricondurre all’ansia romantica del
divenire, con il trionfo del durchkomponiert , che però ha le sue
origini nel procedimento di variazione progressiva di alcune oper
beethoveniane dell’ultimo periodo. Ma dal punto di vista
dell’organizzazione interna del linguaggio musicale possiamo
ricondurre il principio della continua elaborazione tematica al
mutamento dei rapporti nel campo dell’armonia: stemperatasi la
forza attrattiuva della cadenza, che plasma le frasi melodiche in
una regolare scansione metrica e delimita nettamente le aree
tonali, viene meno l’equilibrio fra il principio statico del tema e
quello dinamico dello sviluppo, s’annulla quella dialettica
tensione-distensione sulla quale si fondava l’edificio della sonata
classica.
Le forme brevi, con la loro struttura a sezioni contrastanti, si
rivelano invece sempre più adatte ad esprimere la
concentrazione del singolo momento musicale, pago della
propria istantanea accensione lirica. Non di rado però si cerca
anche qui di raggiungere un compromesso con il principio della
continuità e organicità, estraendo i sigoli episodi da un unico
nucleo tematico. Comunque la continuità del processo
compositivo non ha soltanto una matrice “progressiva”, ma si
alimenta anche di procedimenti compositivi mutuati dalla musica
del passato: la variazione su basso ostinato (ciaccona,
passacaglia) e l’espansione modulante di figure strumentali
idiomatiche, che ha luogo principalmente nella letteratura
pianistica d’impronta didattica, che ha il suo vertice negli Studi e
Preludi di Chopin, il cui illustre modello è il Wohltemperierte
Klavier di Bach. Così pure nell’armonia il prolungamento della
prospettiva non è ottenuto soltanto mediante il cromatismo che
allontana all’infinito il momento della risoluzione, ma anche
recuperando la progressione, procedimento tipico dello
strumentalismo sei-settecentesco.
L’insaziata ricerca armonica dei romantici può essere considerata
un aspetto della volontà di ricerca del suono e di esplorazione
timbrica. I collegamenti tra i suoni non rispondono più tanto a
scopi di funzionalità strutturale, quanto all’esaltazione delle
affinità timbriche delle varie aggregazioni sonore. Il largo impiego
del cromatismo e dell’armonia produce un intenso cangiante
gioco chiaroscurale, grazie al quale il colore diene esso stesso una
struttura portante della forma. E qui, in questo nuovo strettissimo
rapporto fra armonia e colore sta anche la radice della
predilezione assoluta dei romantici per il pianoforte: lo
strumento del quale Hoffmann tesseva l’elogio, come quello che
poteva “dare all’intenditore la pienezza degli accordi, lo specchio
completo dell’armonia e dei suoi tesori”, rendere appieno
qualsiasi “quadro musicale ricco di gruppi e chiaroscuri” che la
fantasia di un compositore avesse mai concepito.

4) Diverse interpretazioni del “pezzo caratteristico” da


parte dei principali esponenti del romanticismo.
Il “pezzo caratteristico” per pianoforte nell’Ottocento viene
elaborato in modo personale da molti dei suoi esponenti, tra
questi i principali sono Schubert, Mendellsohn, Schumann e
Chopin.
La produzione pianistica di Schubert, di stampo salottiero e non
virtuosistico, oltre alcune sonate annovera alcuni pezzi
“caratteristici” già di matrice romantica, come gli Improvvisi op.
90 e op. 142, ed i Momenti musicali op. 94. Queste brevi
composizioni in forma tripartita rappresentano un modo di far
musica più immediato e diretto rispetto ai più rigidi schemi della
sonata classica e quindi anche più accessibili al vasto pubblico.
Più brillanti e costruiti gli Improvvisi, più intimistici e meditativi i
Momenti musicali, questi pezzi anticipano le forme pianistiche
brevi che si sarebbero sviluppate nel corso dell’Ottocento. La
concezione compositiva schubertiana, nutrita di un melos
profondamente radicato nel suolo viennese, procede non per
sviluppi lineari, bensì per associazioni, reminescenze,
trasformazioni e sostituzioni, con il risultato di una forma
tendenzialmente aperta su una prospettiva d’infinito, definita da
Schumann “il non condurre mai troppo lontano dal punto
centrale riportandosi sempre ad esso”. In questo senso si può
dire che la prospettiva aperta da Schubert va ben oltre i confini
della seconda generazione romantica.
Il pezzo caratteristico venne esplorato in maniera personale da
numerosi musicisti romantici, tra questi i principali furono
sicuramente Mendelssohn, Schubert, ma soprattutto Chopin,
Schumann e Liszt.
Nella produzione pianistica di Mendelssohn spiccano le Romanze
senza parole, Lieder ohne Worte, 48 brevi brani raccolti in otto
raccolte di sei brani ciascuna, composti tra il 1829 e il 1845 e
pubblicati separatamente. Lo spartito presenta una tecnica
accessibile e questo ha contribuito a rendere questi pezzi molto
popolari in un periodo in cui l’utilizzo del pianoforte era molto
diffuso nelle classi borghesi. Questi brevi pezzi si dice siano stati
ispirati da simili composizioni di Fanny, la sorella del compositore.
Accanto a questi brani, una sorta di lieder ai quali venne tolta la
voce umana, sono da citare, di genere e carattere affine, alcuni
Stucke caratteristici.
I connotati caratteristici di Mendelssohn - regolare costruzione
della frase, assoluta chiarezza di una tracciato armonico che non
si attenta mai a stravolgere la logica del sistema tonale,
limpidezza di un’invenzione melodica generosa nei suoi slanci ma
sempre sapientemente equilibrata e circolarmente conclusa –
vanno interpretati più come frutto di una ricerca alimentata da
una costante tensione ideale che come ricalco manieristica di
modelli fissati una volta per tutti. Del resto una tale
interpretazione è suffragata dalle indagini sugli abbozzi e sugli
schizzi, che mettono in luce un processo compositivo travagliato e
tortuoso.
La produzione musicale pianistica di Schumann fu cospicua e in
larga parte si può annettere al filone del “pezzo caratteristico2,
alcune anzi (come ad esempio i Davidsbundelrtanze) sono così
definiti dallo stesso Schumann, il quale però nell’adottare tale
definizione la spoglia della sua tradizionale connotazione di
minimo realismo descrittivo: per “caratteristico” egli intende ciò
che è dotato di una proprio interiore inconfondibile carattere, e
che perciò, se non coincide senz’altro con il “poetico”, ne è
tuttavia necessaria condizione. In una prima fase Schumann
appare dedito a sviluppare con impegno totalitario e
programmatico una tendenza che abbiamo già riscontrato
nell’opera pianistica di Mendelssohn e Schubert: il raffinamento
stilistico e la trasfigurazione poetica di quella svariata ma
sostanzialmente uniforme congerie di ballabili, marce, variazioni
che alimentarono il repertorio del cosiddetto “salotto borghese”.
Come tale il fenomeno appare tutt’altro che rivoluzionario, ma il
tradizionale processo di stilizzazione e trasformazione in musica
d’arte di generi e forme appartenenti al più modesto rango
dell’intrattenimento acquista ora, connotati assolutamente nuovi,
che il radicalismo programmatico di Schumann riesce a mettere
pienamente in luce. Osservando le musiche “caratteristiche” di
Schumann, possiamo osservare che egli, più che attuare un vero
processo di raffinamento e stilizzazione del repertorio della pièce
de salon, sembra invece assumerne con piena e totale
determinazione i caratteri più “dozzinali”, ossia più largamente
consumistici: ne fanno fede la marcata sagomatura melodico-
ritmica, la quadratura talvolta pesante, la facile sentimentalità di
taluni suoi motivi. Su questa corposa ed effimera materia
interviene con la sua potenza trasfigurante l’alta fantasia
combinatoria del poeta. Se ne scorgono i segni negli iridati
arabeschi delle diramazioni contrappuntistiche, nelle inusitate
durezze o nelle estatiche dissolvenze di armonie screziate di
alterazioni, nell’organizzazione di pezzi brevi in ampi cicli
internamente collegati da una rete capillare di metamorfosi
motiviche e disposti perciò in sequenze in un certo qual modo
narrative, nei temerari cimenti di un virtuosismo fattosi al tempo
stesso mezzo e fine della trasfigurazione poetica, e infine nella
frequenza delle citazioni più o meno mascherate, la cui carica
allusiva, recepibile solo da una ristretta cerchia di iniziati è
rivelatrice di una volontà di separazione, di un’integrazione
gelosamente minoritaria ch’è il segno più evidente
dell’umoristico rovesciamento del “dozzinale” nell’esoterica
riservatezza del “poetico”.
Colui che per antonomasia si può definire “il poeta del
pianoforte” si dimostra totalmente refrattario a quei concetti di
“musica poetica” che furono il nutrimento ideologico della nuova
tendenza romantica: non si conoscono infatti testimonianze che
illustrino motivazioni o interazioni poetiche e letterarie. Nei
confronti di Schumann la sua posizione risulta opposta: se
nell’uno la valutazione dell’opera risulta imprescindibile da motivi
filosofici, letterari, poetico-musicali e autobiografici, nell’altro la
produzione musicale è concepita in funzione della propria attività
di strumentista secondo le direttrici, tra loro interdipendenti,
dall’esercizio didattico, dell’intrattenimento mondano e
dell’esibizione virtuosistica. Le composizioni del musicista
polacco, dal punto di vista stilistico, sono governate dal principio
della melodia accompagnata, affine alla vocalità operistica, della
quale serba anche la ricchezza dell’ornamentazione, la coloritura
elegante e la dimostrazione di bravura. La maggior parte della sua
produzione - polacche, mazurche, valzer, notturni, ecc – si iscrive
nel comune repertorio della Salonmusik, coltivato
ininterrottamente da Chopin fin dai precocissimi esordi nei salotti
dell’aristocrazia di Varsavia, oppure si riconduce ai “pezzi
caratteristici” come la Tarantella op. 43, la Berceuse op.57, la
Barcarola op. 60, alla prassi didattica, come Studi e Preludi ed
infine opere di più ampio respiro architettonico quali gli Scherzi,
le Ballate e la Fantasia; modesto il gruppo delle composizioni per
orchestra e solo tre le Sonate. I “pezzi caratteristici” di Chopin,
rispetto a quelli dei suoi contemporanei subirono un processo
astrattivo di stilizzazione mediante il suo particolare rapporto con
l’armonia funzionale, sulla quale sono frequenti i casi di
giustapposizione di principii di organizzazione e articolazione del
flusso musicale estranei alla logica di quella sintassi. Talvolta egli
mutua tali principii dal linguaggio musicale dell’etnofonia polacca,
radicato, come in genere la musica contadina dell’Europa centro-
orientale, nella modalità (si pensi ad esempio alle Mazurche). I
procedimenti armonici di Chopin presentano una dissonanza
strutturale: gli elementi costruttivi del discorso musicale tendono
ad astrarsi dal sistema di rapporti dell’armonia funzionale e ad
acquisire un proprio autonomo valore extrafunzionale. La
ripetizione ostinata di formule melodiche e ritmico-armoniche ,
l’impiego di lunghi pedali, il collegamento analogico degli accordi
secondo la loro risonanza (indipendente perciò sia dalle funzioni
tonali che dalla tradizionale dialettica consonanza-dissonanza), il
personale e inedito impiego delle risorse timbriche del pianoforte
sono i fattori che provocano, in Chopin, l’astrazione di suoni ed
accordi dal contesto dei rapporti funzionali. In questo senso si
può definire Chopin “poeta del pianoforte” di una poesia che non
si fonda su motivazioni poetiche, ma esclusivamente sui suoni,
proponendo già nel cuore dell’Ottocento, assai prima che
vengano a definirsi le poetiche del simbolismo, una concezione
ornamentale della musica affine, nella natura dei criteri che
informano il processo compositivo, a quella di Debussy.

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