“CARATTERISTICO” PER PIANOFORTE TRA I MAGGIORI COMPOSITORI.
1)L’epoca romantica: caratteristiche generali e
diffusione del pianoforte come principale strumento di consumo musicale.
Il significato del rinnovato rapporto che il Romanticismo instaura
con la realtà è reso pienamente da questa sentenza del Novalis (1772/1801), uno dei più efficaci promotori del movimento: “Bisogna romanticizzare il mondo. Così se ne riscopre il significato originario.” E romanticizzare per il Novalis significa “conferire a ciò c’hè comune un senso più alto, al quotidiano un aspetto misterioso, al noto la dignità dell’ignoto, al finito l’apparenza dell’infinito.” A questo mutamento di prospettiva corrisponde un capovolgimento del ruolo dell’arte: viene ripudiato il principio di imitazione della natura ed esaltate l’originalità dell’artista creatore e l’individualità irripetibile di ciascuna opera d’arte, eliminando la tradizionale distinzione tra generi letterari e artistici. In un celebre scritto pubblicato nella rivista Arthenhaum, operosa fucina delle teorie artistiche e letterarie romantiche negli anni 1798/1800 F. von Schlegel afferma che riunire i generi poetici è il compito della poesia: “La poesia romantica è ancora in divenire: anzi la sua vera essenza è che essa può sempre soltanto divenire, senza poter mai essere compiuta.” Poesia è dunque attività creatrice di nuove forme, anima della natura che anela all’infinito condannando l’arte imitativa e descrittiva. “La vera poesia - cito nuovamente il Novalis- può avere al massimo un vasto significato allegorico, come la musica… Nella lontananza tutto diventa poesia, tutto diventa romantico”. Da questo impulso di perenne autorigenerazione nasce il concetto romantico di Sensucht, difficilmente traducibile a prova dell’anima squisitamente germanica di questo movimento, che Mittner suggerisce di rendere con il concetto italiano di “struggimento, nostalgia” e F. von Schlegel definisce “la scaturigine della natura, la madre di tutte le cose, il primo cominciamento d’ogni divenire”. Non più raziocinante ragione, dunque, ma espressione dell’io interiore, quindi anima e passione, l’estetica del Romanticismo viene ben sintetizzata nel famoso nome della corrente letteraria tedesca dello “Sturm und drang”, ossia “tempesta e assalto”. Ciò indica che i moti dell’anima, i dubbi, le paure, le angosce interiori e i tormenti erano gli elementi dominanti che si incarnavano negli artisti. In campo letterario, ad esempio, tutte queste emozioni prendono corpo divenendo parte fondamentale del carattere dei personaggi dei quali vengono narrate le vicende. Un altro carattere costituente è l’amore per la storia, da cui scaturisce la creazione del romanzo storico (W. Scott) e la crescente importanza dell’inquadramento storico nei libretti d’opera, con la predilezione per il tardo medioevo e il barocco. Ulteriore elemento caratterizzante del Romanticismo, già anticipato nel secolo XVII da Rousseau, è l’interesse per la natura, vista come demoniaca nei suoi aspetti più malinconici e selvaggi, che ispira opere artistiche quali notturni e Lieder. La società ottocentesca si ritrova invece catapultata nell’era dell’industrializzazione che portava con sé innumerevoli problemi di carattere esistenziale: l’avvento della tecnologia e le scoperte scientifiche generano un senso di disagio e di tormento nell’animo umano, sentimenti esposti degli artisti nelle loro opere. Queste conclusioni cui giungono tutti i letterati del primo romanticismo produce una rivoluzione senza precedenti nella storia della musica, che porta alla sua elevazione al rango più alto delle arti e al primato della musica strumentale, che detta a se stessa le proprie leggi, su quella vocale. Tutto ciò però investe solo sul piano della riflessione teorica ed estetica musicisti, poeti, filosofi e letterati. A conferma dello sfasamento tra romanticismo filosofico-letterario e musicale è utile il confronto tra alcune date: nel 1796, dopo le prime due Sonate di Beethoven viene pubblicata la prima opera letteraria compiutamente romantica, le Hergienssengessungen eines kundsliebenden Klosterbruders (Sfoghi del cuore di un monaco amante dell’arte), mentre le prime compiute espressioni del Romanticismo musicale, i primi Lieder ghoetiani di Schubert, sono del 1814. Dopo Beethoven, dunque, siamo già a Ottocento inoltrato, un’epoca in cui, attorno al pianoforte si muove un intero mondo di interessi artistici economici e culturali. Gli albori dell’economia capitalistica e dell’industrializzazione, che influisce enormemente sullo sviluppo del pianoforte, accompagnano l’ascesa economica della borghesia, il cui stile di vita comincia a prevalere su quello aristocratico. Ci saranno ancora, per tutto l’Ottocento, i maestri di cappella di corte, ma influiscono sempre meno sullo stile della musica vocale e strumentale: è il salotto, alto-borghese o aristocratico, a divenire il centro dell’attività culturale. Nei salotti si organizzano incontri in cui partecipano borghesi e nobili, artisti e intellettuali, e il mezzo tipico attraverso cui la musica vi fa il suo ingresso è il pianoforte. Poche società più di quella borghese ottocentesca hanno fatto un tale consumo di opere e oggetti d’arte: anche la musica, come mai prima, diviene oggetto di consumo di massa. L’impulso dato alle attività musicali nel periodo romantico favorisce l’incremento e la nuova organizzazione dell’istruzione musicale, affidata ora alle istituzioni pubbliche (i conservatori), mentre di pari passo si fa sempre più diffusa la consuetudine delle lezioni private, specialmente per pianoforte. Tutto ciò impone la creazione di una messe copiosa di didattici musicali: metodi, studi, trattati di teoria, raccolte di esercizi. La stampa diviene nell’Ottocento il sistema di comune diffusione della produzione musicale, con una copiosa produzione dedicata al pianoforte, strumento principe dell’epoca romantica, rivolta non solo alla sala da concerto, ma anche alla dimensione più intima del salotto. Attorno al 1820 si diffonde così nella letteratura pianistica romantica del breve pezzo lirico denominato generalmente “pezzo caratteristico”, ma designato con un’ampia varietà di nomi: romanza, capriccio, fantasia, preludio, studio, bagatella, improvviso e via dicendo. Esso si contrappone alla sonata settecentesca, superando il formalismo dei movimenti mediante un unico svolgimento. Pur alimentandosi di elementi virtuosistici, il pezzo caratteristico non mette in mostra il lato tecnico della scrittura pianistica, sottolineando piuttosto l’intensa sentimentalità e il tono intimistico: per questo si tratta di composizioni piuttosto adatte ad essere eseguite in ambiente domestico, destinate quindi a private esecuzioni nel salotto, luogo in cui si manifesta sempre più il gusto per la grazia, la leggerezza, il gusto particolare, il gesto esornativo; non va dimenticato che il salotto vede aumentare l’autonomia sociale della donna, non di rado ispiratrice e committente di molte composizioni per pianoforte (si pensi ad esempio alle dediche di Chopin). Si svolge quasi esclusivamente nell’ambito dei salotti dell’alta borghesia viennese la breve carriera di Franz Schubert, la cui musica nasce spesso all’interno delle serate chiamate “Schubertiadi”, in quanto dedicate interamente all’ascolto della sua musica. Fondamentale fu il suo contributo all’impostazione delle forme brevi per pianoforte, particolarmente adatte al clima domestico. Al filone del pezzo caratteristico appartengono molte delle composizioni di Robert Schumann, che dedicò a questo strumento tutta la produzione fino al 1840, anno in cui scrive anche importanti cicli liederistici. I suoi pezzi caratteristici sono organizzati in ampli cicli costruiti su un’idea poetica comune: la produzione schumanniana è di solito legata ad elementi extramusicali, per via della sua spiccata inclinazione per la letteratura, con la quale la musica stabilisce un legame privilegiato. Grande fortuna ebbero anche i Lieder ohne Worte (Romanze senza parole), di Felix Mendelssohn, pezzi brevi per pianoforte di intonazione poetica e forma varia. Nessuna traccia di connotazioni extramusicali si trova nella produzione di Fryederyc Chopin (le fantasiose denominazioni di alcuni suoi lavori sono tutte apocrife), quasi completamente dedicata al pianoforte, funzionale all’ambiente del salotto (pezzi caratteristici) e all’esercizio didattico (preludi e studi), il tutto affrontato con straordinaria inventiva e originalità. Quasi tutte le sue opere furono stampate quando Chopin era ancora in vita e molte furono pubblicate contemporaneamente da tre editori (a Parigi, Londra e Lipsia): le sue musiche suscitarono fin da subito grande entusiasmo, così come i suoi concerti. Il luogo in cui però Chopin si sentiva più compreso non era la sala da concerto, ma il salotto: una volta insediatosi a Parigi (1830) abbandonò la carriera concertistica traendo sostentamento dalla vendita delle sue composizioni e dalle lezioni private di pianoforte che impartiva agli allievi dell’alta società parigina, che se lo contendeva anche per suonare nei propri salotti. Per la sua particolare dimensione tecnica ed espressiva il pianoforte apparve subito connaturato da una parte con l’espressione interiore, dall’altra con la dimensione virtuosistica: tutto ciò portò ad un processo di scissione tra le funzioni di compositore ed esecutore e favorì l’evoluzione delle tecniche costruttive. La ricerca timbrica e virtuosistica sempre più esasperate per la necessità di esprimere ogni sfumatura del sentimento portano alla costruzione di pianoforti sempre più ricchi di suono, con un’estensione molto più ampia rispetto alle origini e una meccanica sempre più perfezionata (importantissima fu l’invenzione del cosiddetto “doppio scappamento” da parte di Sébastian Erard, meccanismo che permette di ribattere una nota senza necessariamente sollevare il dito dal tasto), le cordiere furono sovrapposte e venne introdotto il telaio metallico fuso in un solo blocco (invenzione che si deve alla ditta Steinway & Sons, costruttrice tedesca poi trasferitasi a New York), creando sostanzialmente il pianoforte da concerto che oggi conosciamo, che permette di esplorare i più diversi universi sonori.
2)La musica poetica nell’estetica musicale pianistica
ottocentesca in relazione con il “pezzo caratteristico”. Nel 1799 Ludwig Tieck decantava nelle sue Phantasien uber die kunst la musica strumentale pura come il “linguaggio poetico che va per la sua strada e non si cura di avere un testo, una poesia su cui basarsi, ma crea esso stesso poesia e si commenta da sé in poesia”: il provocatorio paradosso che la musica diventi poesia perché se ne separa va inteso come rifiuto dell’estetica dell’imitazione. Nella teoria di Tieck della musica come poesia la distanza dalla rappresentazione degli affetti era strettamente connessa con un’accentuazione del concetto di tema quale categoria centrale della musica strumentale autonoma, contapponendosi a Hegel che, definendo l’essenza poetica della musica “linguaggio dell’anima”, considerava la melodia e non il tema il momento strutturale che conferisce maggior valore estetico alla musica. Si delineava un’idea della rappresentazione dell’idea della musica come poesia secondo cui il nesso interno era garantito dalla rappresentazione del carattere, da un’impostazione tematica delle idee principali della composizione connesse tra di loro come un tutto compiuto, che concorrono a rappresentare un carattere. Il Romanticismo restò fedele alla categoria del “caratteristico”, anzi portò il “pezzo caratteristico” ad essere la forma principale della musica pianistica. Del poetico in musica, come lo intendeva nella sua attività di critico e lo realizzava nelle sue composizioni, Schumann escludeva l’elemento programmatico come anche quello virtuosistico, pur senza considerarli riprovevoli e senza rinchiudersi in una rigida concezione di musica assoluta. La poesia dei pezzi caratteristici di Schumann è permeata dallo spirito di Jean Paul ed è una poesia fatta di allusioni letterarie e persiono biografiche, di motti, di titoli eloquenti che a volte tacciono più cose di quelle che esprimono apertamente. Essa è influenzata da convinzioni che sul piano della storia sociale possono essere definite estetica di uno circolo ristretto che passa dalla realtà al mondo immaginario sotto la forma del “Davidsbund” schumanniano. La musica coltivata da Schumann prima che nel 1840 cercasse di inserirsi nella tradizione sinfonica, era Hausmusik per iniziati. Nell’Ottocento, accanto al teatro d’opera e alla sala da concerto, il salotto era uno dei luoghi determinanti della storia della musica, in cui si operava una mediazione tra le esigenze della società e quelle della musica. Anche se l’attività musicale privata di rado veniva recensita, aveva un’importanza storica rilevante dando vita alla dialettica estetica e strutturale del “pezzo caratteristico” che al di sotto della superficie semplice e chiara nasconde un lavoro di differenziazione e individualizzazione, infatti lo spirito stesso del salotto richiede che nella musica da esso ispirata il momento artificiale si tenga nascosto. “Nascondere l’arte” era sin dal Rinascimento la parola d’ordine estetica di una cultura musicale aristocratica e niente è più caratteristico del fervido ma nascosto modo con cui Chopin si appropria di Bach: appropriazione di una tradizione che era considerata la quint’essenza dell’artificiale in musica. Degli elementi che costituiscono la “poesia” della musica di Chopin, che Schumann aveva captato già nell’opera 2, fanno parte, oltre a quella forma personale che rende inconfondibile il “tono” chopiniano, anche la trasformazione dei caratteri funzionali e poetici dei generi musicali, ossia dell’insieme di quei tratti distintivi che fanno della ballata una ballata, di un notturno un notturno, di un mazurca una mazurca. Un elemento evidente e quasi costante nella produzione di Chopin è che tratti essenziali di generi letterari o di musica funzionale vengano per così dire interiorizzati nella musica, per esempio l’avvicendamento del tono nella ballata, il ductus melodico da serenata nel notturno (la cui variante chopiniana sembra più ispirata da Bellini che da Field), o il disegno ritmico-dinamico rustico della mazurca, della danza paesana polacca che si differenzia dall’aristocratica polonaise. E’ una musica che esiste come arte autonoma, per se stessa, e in cui i caratteri letterari o funzionali dei generi sussistono come reminescenze; i caratteri acquisiti dall’esterno sono incorporati nello specifico tono chopiniano. Alla funzione assolta nell’opera di Chopin dalla personalizzazione dei caratteri, corrisponde in Liszt l’orientamento verso soggetti letterari o pittorici. Se invece di attenersi a criteri schematici di classificazione si vuole comprendere l’idea della musica poetica nel suo contenuto storico, è senza dubbio importante cogliere la somiglianza delle concezioni piuttosto che non porre in rilievo il contrasto tra la musica assoluta e la musica a programma. Per quanto concerne la storia della composizione, il “carattere letterario” dato alla musica da Liszt andrebbe analizzato da un punto di vista strutturale: si dovrebbe studiare l’importanza della concezione lisztiana nel complesso globale dei tentativi volti a fondare una tradizione musicale che, opponendosi al virtuosismo meccanico e all’epigonismo classicheggiante, portasse all’epoca del juste milieu, come la definiva Schumann, alla “nuova era poetica”. Nei pezzi pianistici di Liszt che furono pubblicati raccolti nelle Années de pèlegrinage (Première Année, 1848/1853; Deuxième Année, 1858) il fatto determinante non è che sitratti di musica a programma, che si potrebbe far rientrare nella stessa categoria dei “pezzi caratteristici” da salotto, anch’essi a programma, di Lefébure-Wély, bensì che Liszt, scegliendo come soggetti poesie di Petrarca e Dante, quadri di Raffaello o paesaggi intrisi di reminescenze letterarie del primo romanticismo francese, punti ad una meta estetica assai ambiziosa. Quando toccò questa meta la musica si innalzò ad un livello che giustificava l’epiteto “poetico”, quello che serviva a Schumann a distinguere l’arte in senso assoluto dalla non-arte. Non è poetico il “carattere” letterario in sé, ma lo è la sostanza di cui si accresce un’opera musicale, se il tentativo di continuare a poetare sulle orme dei capolavori è riuscito.
3)Elaborazione armonica, organizzazione melodica e
struttura formale nel Romanticismo e risvolti compositivi nella letteratura pianistica. La copiosa e variegata produzione pianistica dell’Ottocento consente un’analisi approfondita del cambiamento dei processi compositivi rispetto all’epoca precedente e il “pezzo caratteristico”, talvolta di apparente semplicità, diviene oggetto privilegiato per la sperimentazione delle nuove tecniche da parte del musicista romantico. L’armonia, come fulcro del processo compositivo, è il terreno privilegiato della ricerca progressiva dei compositori dell’Ottocento. Frutto di questa ricerca è l’allargamento dell’area tonale mediante la sistematica annessione di tonalità peregrine, quelle più irte di alterazioni di rado visitate dalla misurata lingua musicale classica. A ciò si accompagna un’audace esplorazione della dissonanza: si percorre tutta la gamma di settime e none, comprese le specie più inconsuete, mascherando il profilo accordale mediante alterazioni cromatiche ed enarmonia. La tendenza generale è verso il progressivo allentamento del chiaro e univoco rapporto funzionale che collega gli accordi in epoca classica garantendo un saldo ordinamento gerarchico e un sicuro impulso direzionale del flusso musicale. Il cromatismo consente di far scivolare le dissonanze su altre dissonanze allontanandone la risoluzione e ampliandone i collegamenti, la trasformazione enarmonica dei suoni mette in luce una serie di corrispondenze segrete tra armonie lontane. Il percorso armonico, del tutto aperto, diviene imprevedibile: accordo emblema dell’armonia romantica è proprio la settima diminuita: un accordo paradosso che con la molteplicità delle sue possibili risoluzioni fa coincidere il massimo della tensione dissonante con la neutralità della direzione tonale. Il flusso armonico del discorso musicale classico si fa sempre più vago: capita sovente che le composizioni non inizino con l’accordo di tonica o dominante e talvolta la tonalità d’impianto viene toccata sfuggevolmente stazionando su gradi e toni differenti. Il flusso della musica appare così adeguata alla unendliche Sensucht romantica, ma accanto a questa esaltazione della dissonanza si assiste alla riscoperta della musica del passato, con particolare attenzione alla modalità ecclesiastica. Non si può dimenticare, infine, l’attenzione rivolta al canto popolare, il quale faceva affiorare sistemi musicali diversi da quello elaborato dalla cultura europea occidentale. Parallelamente all’armonia si modifica la melodia, rispetto al classicismo, mediante un processo di scissione verso poli opposti: il percorso diviene accidentato, fino all’asperità più convulsa, talvolta vago, etereo e sfumato, fra slanci ascensionali e ricadute. Ma la modificazione più profonda della struttura della melodia è una conseguenza dell’allentamento dei rapporti gerarchici dell’armonia: il dilatamento dei processi cadenzali porta ad un decadimento del principio di corrispondenza simmetrica grazie al quale le frasi si raggruppavano secondo un’ordinata disposizione strofica. Si tratta naturalmente di una tendenza generale, specie del secondo Ottocento, ma non bisogna dimenticare che accanto a questi processi innovativi in epoca romantica si osserva una stroficità forse ancor più rigorosa di quella del linguaggio musicale classico: si tratta di quella che mantiene i suoi legami con la danza e che si mostra sensibile al richiamo della musica popolare. Le riflessioni sulla nuova struttura della melodia e sul mutato assetto dell’armonia consentono di porre l’attenzione sulla forma, in quanto espressione dei rapporti interni dell’una e dell’altra. Il musicista romantico rifiuta gli schemi della forma classica e inventa, di volta in volta, la forma adeguata al percorso della sua intuizione poetica: l’intensità di espressione gli nega la possibilità di espandersi in ampie ed elaborate costruzioni formali, consigliandogli la misura del pezzo lirico, breve, libero, non “costruito. Con uno sguardo ravvicinato, però, si nota che il percorso formale del pezzo cosiddetto “caratteristico” è per la maggior parte ascrivibile alla forma-Lied , con il semplice schema ABA. Inoltre nell’Ottocento è presente anche la forma sonata, che i romantici ereditano dalle mani dei classici tutt’altro che con uno schema fisso: fatto salvo per il principio della gerarchia delle aree tonali il campo resta aperto all’invenzione del compositore che decide come fissare gli estremi degli archi armonici e come condurre la loro tensione. Ciò vale sia per i classici che per i romantici: la differenza sta proprio nel differente governo che essi fanno di questa spinta di tensione armonica entro un tracciato che rimane, nei suoi più importanti punti di riferimento, sostanzialmente uguale. Gli aspetti caratteristici della forma nell’Ottocento si possono rilevare quindi, da una parte nella dilatazione della forma-sonata, dal punto di vista delle dimensioni o delle sonorità, dall’altro alla scelta di brevi composizioni dall’intenso palpito lirico. Un’altra dicotomia risiede nel processo compositivo. Da un lato osserviamo un’aspirazione alla continuità, dall’altro una tendenza alla frammentazione, per cui ora la composizione si presenta come un flusso inarrestabile che elabora perennemente l’invenzione musicale di base, ora invece come una giustapposizione di episodi in sé conclusi, accostati per analogia o per contrasto senza interna connessione di legami dialettici. La proma tendenza si può ricondurre all’ansia romantica del divenire, con il trionfo del durchkomponiert , che però ha le sue origini nel procedimento di variazione progressiva di alcune oper beethoveniane dell’ultimo periodo. Ma dal punto di vista dell’organizzazione interna del linguaggio musicale possiamo ricondurre il principio della continua elaborazione tematica al mutamento dei rapporti nel campo dell’armonia: stemperatasi la forza attrattiuva della cadenza, che plasma le frasi melodiche in una regolare scansione metrica e delimita nettamente le aree tonali, viene meno l’equilibrio fra il principio statico del tema e quello dinamico dello sviluppo, s’annulla quella dialettica tensione-distensione sulla quale si fondava l’edificio della sonata classica. Le forme brevi, con la loro struttura a sezioni contrastanti, si rivelano invece sempre più adatte ad esprimere la concentrazione del singolo momento musicale, pago della propria istantanea accensione lirica. Non di rado però si cerca anche qui di raggiungere un compromesso con il principio della continuità e organicità, estraendo i sigoli episodi da un unico nucleo tematico. Comunque la continuità del processo compositivo non ha soltanto una matrice “progressiva”, ma si alimenta anche di procedimenti compositivi mutuati dalla musica del passato: la variazione su basso ostinato (ciaccona, passacaglia) e l’espansione modulante di figure strumentali idiomatiche, che ha luogo principalmente nella letteratura pianistica d’impronta didattica, che ha il suo vertice negli Studi e Preludi di Chopin, il cui illustre modello è il Wohltemperierte Klavier di Bach. Così pure nell’armonia il prolungamento della prospettiva non è ottenuto soltanto mediante il cromatismo che allontana all’infinito il momento della risoluzione, ma anche recuperando la progressione, procedimento tipico dello strumentalismo sei-settecentesco. L’insaziata ricerca armonica dei romantici può essere considerata un aspetto della volontà di ricerca del suono e di esplorazione timbrica. I collegamenti tra i suoni non rispondono più tanto a scopi di funzionalità strutturale, quanto all’esaltazione delle affinità timbriche delle varie aggregazioni sonore. Il largo impiego del cromatismo e dell’armonia produce un intenso cangiante gioco chiaroscurale, grazie al quale il colore diene esso stesso una struttura portante della forma. E qui, in questo nuovo strettissimo rapporto fra armonia e colore sta anche la radice della predilezione assoluta dei romantici per il pianoforte: lo strumento del quale Hoffmann tesseva l’elogio, come quello che poteva “dare all’intenditore la pienezza degli accordi, lo specchio completo dell’armonia e dei suoi tesori”, rendere appieno qualsiasi “quadro musicale ricco di gruppi e chiaroscuri” che la fantasia di un compositore avesse mai concepito.
4) Diverse interpretazioni del “pezzo caratteristico” da
parte dei principali esponenti del romanticismo. Il “pezzo caratteristico” per pianoforte nell’Ottocento viene elaborato in modo personale da molti dei suoi esponenti, tra questi i principali sono Schubert, Mendellsohn, Schumann e Chopin. La produzione pianistica di Schubert, di stampo salottiero e non virtuosistico, oltre alcune sonate annovera alcuni pezzi “caratteristici” già di matrice romantica, come gli Improvvisi op. 90 e op. 142, ed i Momenti musicali op. 94. Queste brevi composizioni in forma tripartita rappresentano un modo di far musica più immediato e diretto rispetto ai più rigidi schemi della sonata classica e quindi anche più accessibili al vasto pubblico. Più brillanti e costruiti gli Improvvisi, più intimistici e meditativi i Momenti musicali, questi pezzi anticipano le forme pianistiche brevi che si sarebbero sviluppate nel corso dell’Ottocento. La concezione compositiva schubertiana, nutrita di un melos profondamente radicato nel suolo viennese, procede non per sviluppi lineari, bensì per associazioni, reminescenze, trasformazioni e sostituzioni, con il risultato di una forma tendenzialmente aperta su una prospettiva d’infinito, definita da Schumann “il non condurre mai troppo lontano dal punto centrale riportandosi sempre ad esso”. In questo senso si può dire che la prospettiva aperta da Schubert va ben oltre i confini della seconda generazione romantica. Il pezzo caratteristico venne esplorato in maniera personale da numerosi musicisti romantici, tra questi i principali furono sicuramente Mendelssohn, Schubert, ma soprattutto Chopin, Schumann e Liszt. Nella produzione pianistica di Mendelssohn spiccano le Romanze senza parole, Lieder ohne Worte, 48 brevi brani raccolti in otto raccolte di sei brani ciascuna, composti tra il 1829 e il 1845 e pubblicati separatamente. Lo spartito presenta una tecnica accessibile e questo ha contribuito a rendere questi pezzi molto popolari in un periodo in cui l’utilizzo del pianoforte era molto diffuso nelle classi borghesi. Questi brevi pezzi si dice siano stati ispirati da simili composizioni di Fanny, la sorella del compositore. Accanto a questi brani, una sorta di lieder ai quali venne tolta la voce umana, sono da citare, di genere e carattere affine, alcuni Stucke caratteristici. I connotati caratteristici di Mendelssohn - regolare costruzione della frase, assoluta chiarezza di una tracciato armonico che non si attenta mai a stravolgere la logica del sistema tonale, limpidezza di un’invenzione melodica generosa nei suoi slanci ma sempre sapientemente equilibrata e circolarmente conclusa – vanno interpretati più come frutto di una ricerca alimentata da una costante tensione ideale che come ricalco manieristica di modelli fissati una volta per tutti. Del resto una tale interpretazione è suffragata dalle indagini sugli abbozzi e sugli schizzi, che mettono in luce un processo compositivo travagliato e tortuoso. La produzione musicale pianistica di Schumann fu cospicua e in larga parte si può annettere al filone del “pezzo caratteristico2, alcune anzi (come ad esempio i Davidsbundelrtanze) sono così definiti dallo stesso Schumann, il quale però nell’adottare tale definizione la spoglia della sua tradizionale connotazione di minimo realismo descrittivo: per “caratteristico” egli intende ciò che è dotato di una proprio interiore inconfondibile carattere, e che perciò, se non coincide senz’altro con il “poetico”, ne è tuttavia necessaria condizione. In una prima fase Schumann appare dedito a sviluppare con impegno totalitario e programmatico una tendenza che abbiamo già riscontrato nell’opera pianistica di Mendelssohn e Schubert: il raffinamento stilistico e la trasfigurazione poetica di quella svariata ma sostanzialmente uniforme congerie di ballabili, marce, variazioni che alimentarono il repertorio del cosiddetto “salotto borghese”. Come tale il fenomeno appare tutt’altro che rivoluzionario, ma il tradizionale processo di stilizzazione e trasformazione in musica d’arte di generi e forme appartenenti al più modesto rango dell’intrattenimento acquista ora, connotati assolutamente nuovi, che il radicalismo programmatico di Schumann riesce a mettere pienamente in luce. Osservando le musiche “caratteristiche” di Schumann, possiamo osservare che egli, più che attuare un vero processo di raffinamento e stilizzazione del repertorio della pièce de salon, sembra invece assumerne con piena e totale determinazione i caratteri più “dozzinali”, ossia più largamente consumistici: ne fanno fede la marcata sagomatura melodico- ritmica, la quadratura talvolta pesante, la facile sentimentalità di taluni suoi motivi. Su questa corposa ed effimera materia interviene con la sua potenza trasfigurante l’alta fantasia combinatoria del poeta. Se ne scorgono i segni negli iridati arabeschi delle diramazioni contrappuntistiche, nelle inusitate durezze o nelle estatiche dissolvenze di armonie screziate di alterazioni, nell’organizzazione di pezzi brevi in ampi cicli internamente collegati da una rete capillare di metamorfosi motiviche e disposti perciò in sequenze in un certo qual modo narrative, nei temerari cimenti di un virtuosismo fattosi al tempo stesso mezzo e fine della trasfigurazione poetica, e infine nella frequenza delle citazioni più o meno mascherate, la cui carica allusiva, recepibile solo da una ristretta cerchia di iniziati è rivelatrice di una volontà di separazione, di un’integrazione gelosamente minoritaria ch’è il segno più evidente dell’umoristico rovesciamento del “dozzinale” nell’esoterica riservatezza del “poetico”. Colui che per antonomasia si può definire “il poeta del pianoforte” si dimostra totalmente refrattario a quei concetti di “musica poetica” che furono il nutrimento ideologico della nuova tendenza romantica: non si conoscono infatti testimonianze che illustrino motivazioni o interazioni poetiche e letterarie. Nei confronti di Schumann la sua posizione risulta opposta: se nell’uno la valutazione dell’opera risulta imprescindibile da motivi filosofici, letterari, poetico-musicali e autobiografici, nell’altro la produzione musicale è concepita in funzione della propria attività di strumentista secondo le direttrici, tra loro interdipendenti, dall’esercizio didattico, dell’intrattenimento mondano e dell’esibizione virtuosistica. Le composizioni del musicista polacco, dal punto di vista stilistico, sono governate dal principio della melodia accompagnata, affine alla vocalità operistica, della quale serba anche la ricchezza dell’ornamentazione, la coloritura elegante e la dimostrazione di bravura. La maggior parte della sua produzione - polacche, mazurche, valzer, notturni, ecc – si iscrive nel comune repertorio della Salonmusik, coltivato ininterrottamente da Chopin fin dai precocissimi esordi nei salotti dell’aristocrazia di Varsavia, oppure si riconduce ai “pezzi caratteristici” come la Tarantella op. 43, la Berceuse op.57, la Barcarola op. 60, alla prassi didattica, come Studi e Preludi ed infine opere di più ampio respiro architettonico quali gli Scherzi, le Ballate e la Fantasia; modesto il gruppo delle composizioni per orchestra e solo tre le Sonate. I “pezzi caratteristici” di Chopin, rispetto a quelli dei suoi contemporanei subirono un processo astrattivo di stilizzazione mediante il suo particolare rapporto con l’armonia funzionale, sulla quale sono frequenti i casi di giustapposizione di principii di organizzazione e articolazione del flusso musicale estranei alla logica di quella sintassi. Talvolta egli mutua tali principii dal linguaggio musicale dell’etnofonia polacca, radicato, come in genere la musica contadina dell’Europa centro- orientale, nella modalità (si pensi ad esempio alle Mazurche). I procedimenti armonici di Chopin presentano una dissonanza strutturale: gli elementi costruttivi del discorso musicale tendono ad astrarsi dal sistema di rapporti dell’armonia funzionale e ad acquisire un proprio autonomo valore extrafunzionale. La ripetizione ostinata di formule melodiche e ritmico-armoniche , l’impiego di lunghi pedali, il collegamento analogico degli accordi secondo la loro risonanza (indipendente perciò sia dalle funzioni tonali che dalla tradizionale dialettica consonanza-dissonanza), il personale e inedito impiego delle risorse timbriche del pianoforte sono i fattori che provocano, in Chopin, l’astrazione di suoni ed accordi dal contesto dei rapporti funzionali. In questo senso si può definire Chopin “poeta del pianoforte” di una poesia che non si fonda su motivazioni poetiche, ma esclusivamente sui suoni, proponendo già nel cuore dell’Ottocento, assai prima che vengano a definirsi le poetiche del simbolismo, una concezione ornamentale della musica affine, nella natura dei criteri che informano il processo compositivo, a quella di Debussy.