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Jouis Cftarbonneau-^ossa'y

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di Cristo

A cura di PierLuigi Zoccatelli

^Edizioni
>\rkeios

Materiale protetto da copyright


Traduzione dal francese di Dorella Giardini

© 1946 by Aventi diritto all’opera di Louis Charbonneau-Lassay

ISBN 88-86495-65-X

Tutti i diritti riservati


© 2003 bv EDIZIONI ARKEIOS Srl
Via Flaminia, 109 - 00196 ROMA - tei. 063235433 - fax 063236277
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INDICE

Nota introduttiva 9
1. Il cuore umano e la nozione di Cuore di Dio nell antico
Egitto ............................................................................................ 15
2. La divina musica del Verbo. Il Cuore e la lira.............................. 26
3. Gli esordi dell’iconografia del Cuore (/)....................................... 37
4. Gli esordi dell’iconografia del Cuore (//)...................................... 44
5. Gli esordi dell’iconografia del Cuore (///).................................... 50
6. Le armi araldiche della famiglia di Saint-Lò nel XVIII secolo e il
sigillo di Jacques Musekin nel 1391 ........................................ 58
7. Documenti popolari della fine del Medio Evo.............................. 64
8. Il Costo assiso di Venizy e il suo blasone..................................... 70
8 9............................................................................I Torchi mistici
75
10.........................................................................................I marchi
16. commerciali dei primi stampatori francesi.......................... 82
11. Le rappresentazioni del Cuore di Gesù presso gli antichi
17. certosini. La meridiana di Marigny-Brizay (Vienne). Cuore
18. enigmatico del Museo di Cluny.......................................... 104
19. 12. Meridiane della Certosa di Lugny e di Saint-Genis-Laval
(XVII secolo). Un antico emblema del mese di gennaio
20. (XVI secolo)....................................................................... 117
21. 13. L’iconografia antica del Cuore di Gesù Cristo, posteriore
22. al Rinascimento.................................................................. 123
23. 14.............................................I documenti di Vendome e Taverny
24. 146
25. 15. Le immagini del Cuore eucaristico in Inghilterra nei secoli XV
e XVI ........................................................................... 154
26.

27. INDICE
Sculture della chiesa inglese di Saint Mawgan (Cornova
28.
glia) ................................................................................... 163
29. A proposito di due libri...................................................... 168
I.....................................................................................Cuori
reliquiari della vera Croce................................................... 176
30. L’iconografia antica del Cuore di Gesù a Loudun............. 185
31.

32.

33.

34.
II Cuore ferito della chiesa di Langeac ( 1526) ......................... 196
Il Cuore «Fontana di Vita e di Salvezza» .................................. 202
Documenti spagnoli del XVII secolo ......................................... 211
Un libro corale dei Penitenti Bianchi di Marsiglia..................... 219
I Cuori votivi dei calvari e delle croci di missione..................... 223
L'immagine del Sacro Cuore e le armi araldiche dei sovrani .... 232
L’iconografìa del Cuore di Gesù negli eserciti controrivoluzionari
della Vandea (/)........................................................................... 244
L'iconografia del Cuore di Gesù negli eserciti controrivoluzionari
della Vandea (II. Seguito) .......................................................... 264
L'iconografia del Cuore di Gesù negli eserciti controrivoluzionari
della Vandea (III. Documenti vari. L’Ordine di san Michele degli
chouans) ..................................................................................... 274
L’iconografia del Cuore di Gesù negli eserciti controrivoluzionari
della Vandea (IV. Gli antichi monili: cuori del
Poitou e anelli. Altri monili delle ultime rivolte)........................ 284
Le «croci di padre Montfort» ..................................................... 297
Rappresentazioni varie, afferenti o estranee al culto del
Cuore di Gesù ............................................................................ 305
Il viso di Nostro Signore Gesù Cristo sulla Santa Sindone
di Torino .................................................................................... 317
La ferita al Cuore di Gesù Cristo e la Santa Sindone di Torino 320
Rappresentazioni blasfeme del Cuore di Gesù........................... 323
Nota introduttiva

La vita semplice di un simbolista cristiano

Discendente da una famiglia fra le più antiche - le sue origini risal-


gono almeno al 1087 - e le più illustri della regione francese del Poi- tou,
Louis Charbonneau-Lassay (1871-1946) nasce a Loudun il 18 gennaio
1871. Animato sin dalla prima giovinezza da una profonda fede
cristiana, matura la decisione di entrare come novizio nella con-
gregazione dei Fratelli di San Gabriele presso la casa madre di Saint-
Laurent-sur-Sèvre, dove sarà ammesso con il nome di fière René. Ap-
passionato di studi patristici, svolgerà la professione d’insegnante a
Poitiers e Moncoutant.
Discepolo dello storico loudunese Joseph Moreau de la Ronde,
Charbonneau-Lassay intraprende con profitto studi di archeologia, di
numismatica, d’araldica, di sigillografia e di folclore, inaugurando nel
1892 un'attività scientifica che lo porterà a pubblicare centinaia di ar-
ticoli sulla Revue du Bas-Poitou - di cui sarà anche il segretario, dal
1913 -, sul Bulletin de la Société des Antiquaires de l’Ouest - al quale è
iscritto dal 1900 e il cui direttore, l’erudito gesuita Camille de la Croix
(1831-1911), nel 1912, verrà sostituito dallo stesso Charbonneau- Lassay
- e su altre riviste specializzate. Le sue ricerche gli varranno anche la
collaborazione, fra il 1903 e il 1905, alla Revue de l'École Na- tionale
d’Anthropologie de Paris e l’affiliazione alla Société archéologi- que de
Nantes.
Nel 1903 - dopo l’approvazione di una legge statale, che pone limiti
severi all’attività delle congregazioni religiose - i Fratelli di San Gabriele
si sciolgono e Charbonneau-Lassay toma allo stato laicale. Per la qualità
dei suoi studi è accolto, nello stesso anno, nell’Ordine Romano degli
Avvocati di San Pietro e riceve la medaglia d’onore della Société
Fran^aise d’Archéologie. Conservatore di tre musei archeologici,
corrispondente delle Belle Arti e collaboratore del prestigioso dizionario
di archeologia cristiana e di liturgia dei monaci benedettini di
10 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO
Farnborough, nei 1915 pubblica uno studio monumentale sui castelli di
Loudun, che gli varrà, nel 1931, il titolo di Officier d’Academie.

Da Paray-le-Monial a Regnabit

Gli anni della maturità intellettuale di Charbonneau-Lassay rivelano la


sua particolare maestria - anche artistica, tenuto conto della consuetudine
d’illustrare da sé i propri studi con numerose immagini incise su legno -
nel districarsi nell'immenso patrimonio del simbolismo cristiano che,
proprio all'inizio degli anni 1920, veniva riscoperto soprattutto grazie al
nuovo vigore assunto dalla devozione al Sacro Cuore.
Uno dei luoghi «chiave» di questa storia è il santuario di Paray-le-
Monial, che ricorda le apparizioni seicentesche del Cuore di Gesù a
santa Marguerite-Mane Alacoque (1647-1690). Nel 1873 il gesuita
Victor Drevon (1820-1880) - poi vice postulatore della causa di beati-
ficazione del gesuita Claude de La Colombière (1641-1682), confessore
della santa - fonda a Paray-le-Monial il centro studi Hiéron du Val d’Or,
insieme con il barone Severin-Florentin Alexis de Sarachaga- Bilbao y
Lobanoff de Rostoff (1840-1918), un nobile spagnolo legato per linea
materna alla Corte imperiale russa e imparentato attraverso il padre a
santa Teresa d’Avila (1515-1582), interessato tanto all'esoterismo
cristiano quanto alle idee della regalità sociale di Cristo e della
comunione riparatrice, alla cui diffusione è incoraggiato dallo stesso
Papa Pio IX (1846-1878). Da museo eucaristico, costruito secondo un
preciso piano simbolico, lo Hiéron si trasforma nel 1877 in un’or-
ganizzazione non del tutto esente da tematiche e dottrine singolari. Alla
morte di Sarachaga rimangono a Paray Georges Gabriel de Noaillat e la
moglie Marthe Devuns (1865-1926), che riorienteranno lo Hiéron in una
prospettiva nettamente più ortodossa, impegnandosi fra l’altro per
l'istituzione della festa di Cristo Re, sancita da Papa Pio XI ( 1922-1939)
con l’enciclica Quas primas, del 1925.
Nel numero dei frequentatori del centro di Paray-le-Monial si trova
padre Félix Anizan (1878-1944), oblato di Maria Immacolata, che già
dal 1909 aveva concentrato il suo apostolato attorno alla devozione e
alla dottrina del Sacro Cuore. Convinto che «z7 Sacro Cuore non ha,
nella vita cristiana e nel pensiero cattolico, il posto che gli spetta», deci-
derà di fondare una rivista dedicata al tema sotto vari punti di vista:
dogmatico, morale, ascetico, mistico, liturgico, artistico e storico. Così,
nel giugno del 1921, esce il primo numero di Regnabit. Revue
universelle du Sacré-Coeur: fra i primissimi collaboratori della rivista

- che compare con il patrocinio di un comitato presieduto dal cardinale

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NOTA INTRODUTTIVA 11

Louis-Emest Dubois (1865-1929), arcivescovo di Parigi, e di altri


quindici prelati di tutti i continenti, e che il 10 marzo 1924 ottiene una
speciale benedizione apostolica inviata a nome del Pontefice dal
segreterio di Stato cardinale Pietro Gasparri (1852-1934) - sono il ge-
suita Auguste Hamon (1860-1939), il benedettino dom Gaston Déma- ret
(1864-1955), dell'abbazia di Solesmes, 1 oblato di Maria Immacolata
Emile Hoffet (1873-1946), il futuro monsignore Léon Cristiani ( 1879-
1971 ) e Gabriel de Noaillat.
Su invito del cardinale Dubois, nel gennaio 1922 inizia la collabo-
razione a Regnabit di Charbonneau-Lassay, che proprio sulle pagine
della rivista presenterà i risultati dell'immenso lavoro di riscoperta del
simbolismo cristiano - il primo contributo sarà dedicato agli enigmatici
graffiti templari ritrovati nel torrione del castello di Chi- non -, poi
raccolti, nel 1940, nella monumentale opera - ben 1157 le incisioni a
mano dell'autore - Il Bestiario del Cristo. Charbonneau- Lassay, inoltre,
garantirà la prosecuzione di Regnabit, dopo la sua chiusura, dirigendo,
dal 1929 al 1939, Le Rayonnement Intellectuel.

Antichi problemi e nuovi conflitti

Fra i collaboratori di Regnabit - dal numero di agosto-settembre 1925


fino al numero di maggio del 1927 -, invitato dallo stesso Charbonneau-
Lassay, vi è il codificatore francese dell'esoterismo nel XX secolo, René
Guénon (1886-1951). La collaborazione e l’amicizia fra i due risale alla
comune frequentazione di Olivier de Frémond (1850-1940), intimo
amico e collega di Charbonneau-Lassay all'epoca della Société des
Antiquaires de l'Ouest, collaboratore, proprio con Guénon, al periodico
La France chrétienne anti-ma$onnique, diretto da Abel Clarin de la
Rive (1855-1914), che succede nel 1895 al fondatore Léo Taxil (1854-
1907). La collaborazione di Guénon a Regnabit termina bruscamente e
con vivaci strascichi polemici, anche - ma non solo, come dimostra lo
studio dei dossier relativi alla vicenda
- per l'intervento degli ambienti vicini a Jacques Maritain (1882- 1973)
e in genere neo-scolastici dell’epoca.
La firma di un autore, per certo qualificabile sinteticamente post-
mortem come non cattolico, su una rivista quale Regnabit, che della
professione integrale della fede cattolica faceva una bandiera, con uno
zelo finanche missionario, suscita non poche perplessità, per dissipare le
quali sarebbe necessario illustrare il grande dibattito sull’interpretazione
dei simboli cristiani svoltosi nel mondo cattolico, a

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12 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO
cavallo dei secoli XIX e XX, fra la scuola razionalista - uscita vittoriosa
dallo scontro -, quella sentimentale-devota e quella simbolica, par-
zialmente mescolatasi alla corrente esoterìsta emergente. Tentativi di
resistenza, nello stesso tempo religiosi, culturali e politici, non man-
carono certamente, soprattutto nel campo del simbolismo cristiano: sono
celebri i nomi del cardinale Jean-Baptiste Pitra (1812-1889), del vescovo
Jean Sébastien Adolphe Devoucoux (1804-1870) e del canonico
Charles-Auguste Auber (1804-1892). L’esperienza di Regnabit, con il
precedente significativo dello Hiéron du Val d’Or e con il corollario di
Le Rayonnement Intellectuel, sembra un tentativo consapevole di
riscossa, in cui vengono a confluire personaggi rappresentativi di una
problematica che li trascende. E il caso di padre Anizan, di
Charbonneau-Lassay e di Guénon: il primo, partendo da una cultura
devozionale centrata sul culto al Sacro Cuore, sembra percepire che
l’uso dei simboli apre spiragli su un mondo che non è solo sentimentale;
il secondo, sulla scorta di una erudizione maturata nello studio della
«filologia dei simboli», intuisce che questi segni appartengono a un
preciso linguaggio; il terzo, infine, condividendo le posizioni «relative»
del primo e del secondo, propone una chiave di lettura del discorso
simbolico, nell «intento di mostrarne - secondo le sue parole - il perfetto
accordo con le altre forme della tradizione universale», prospettiva
incompatibile con la fede cristiana che vede in Cristo e nella sua Chiesa
la Persona e l’evento letteralmente «intrascendibili».
Allo stato attuale non può essere ancora fornita una risposta con-
vincente a chi si chiede se accogliere la collaborazione di Guénon fu
un’ingenuità del comitato di redazione di Regnabit o una sorta di
«strategia» contro un nemico comune - il razionalismo -, come sembra
essere stato il caso di Clarin de la Rive per La Trance chrétienne anti-
maconnique. In ogni caso, si può formulare l’ipotesi che la ragione
sostanziale del disaccordo risieda - allora come oggi - in modo
particolare nel complesso e delicato rapporto fra cristianesimo ed
esoterismo cristiano e nel significato da attribuire alla nozione di
«Tradizione primordiale», con tutte le conseguenze dottrinali e appli-
cative, soprattutto in ambito religioso, che una tale concezione - au-
tentica cifra dell’opus guénoniano - pone in essere.

Per non concludere

Gli anni di Regnabit e di Le Rayonnement Intellectuel vedono


Charbonneau-Lassay dedicarsi interamente all'esplorazione del sim-
bolismo cristiano, scegliendo come punto di partenza un particolare
genere letterario, codificato fin dall’antichità cristiana: il bestiario. In

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NOTA INTRODUTTIVA 13

verità, nel progetto originario l’autore avrebbe voluto un’opera esau-


stiva, che comprendesse volumi sul bestiario e sul ruolo emblematico dei
vegetali, dei fenomeni celesti, dei simboli geometrici e dei segni grafici,
dei simboli liturgici, dell’iconografia dei personaggi mitologici, pagani e
biblici, e infine del simbolo supremo del Cuore di Cristo (al quale,
proprio per rispettare il piano originario dell’autore, è consacrato questo
volume, che riprende integralmente i vari studi sull’argomento). Egli
riuscirà a scrivere vari articoli sui temi in questione, ma solo l’opera sul
simbolismo animale - parzialmente ultimata già nel 1934 - vedrà la luce,
nel 1940, per i tipi della prestigiosa casa editrice Desclée de Brouwer, e
gli varrà le felicitazioni di Papa Pio XII (1939-1958), cui fu dedicata la
prima copia tipografica. La realizzazione di questo straordinario
monumento di arte cristiana - noto anche per gli enigmatici suggerimenti
dati a Charbonneau-Lassay da alcune confraternite ermetico-mistiche di
origine tardo-medievale con le quali entrò in contatto, l'Estoile Intemelle
e la Fraternité des Che- valiers du Divin Paraclet - è accompagnata da
avvenimenti dolorosi per l’autore, che nel 1943 perde la moglie Hélène
Ribière - sposata in tarda età, nel 1929 -, ed è colpito dall’incendio delle
edizioni Desclée
- in Belgio, durante l’occupazione tedesca -, che provocherà la di-
struzione di buona parte della tiratura dell'opera, ristampata solo
trentanni dopo la morte dell’iconografo loudunese, sopraggiunta il 26
dicembre 1946 in conseguenza di un’incurabile malattia ghiandolare. Ma
- ricordava lo stesso Charbonneau-Lassay nel suo diario il giorno in cui
ricevette la prima copia personale de II Bestiario del Cristo - «sono
felice perché così rimarrà qualcosa che lavorerà per me quando non
sarò più di questo mondo».
PIERLUIGI ZOCCATELLI

Per approfondire. Quanto alle opere di Louis Charbonneau-Lassay, cfr. Il


Bestiario del Cristo, 2 voli., 1994 (2a ed. 1995); Il Giardino del Cristo
ferito, 1995; e Le Pietre misteriose del Cristo, 1997. volumi che - assieme al
presente
- costituiscono l'opera omnia sul simbolismo in italiano a mia cura presso le
Edizioni Arkeios di Roma. Sulla biografia, cfr. Stefano Salzani e PierLuigi
Zoccatelli, Hermétisme et emblématique du Christ dans la vie et dans
Toeuvre de Louis Charbonneau-Lassay (1871-1946), Archè, Parigi-Milano
1996, con ampia bibliografia. Ulteriori approfondimenti nel mio Le Lièvre qui
rumine. Autour de René Guénon, Louis Charbonneau-Lassay et la
Fraternité du Paraelei. Avec des documents inédits, Archè, Milano 1999; e
in Jean-Pierre Brach e P.L. Zoccatelli, «Courants renaissants de réforme spirituelle
et leurs inciden- ces», in Politica Hermetica, 11 (1997), p. 31-46.

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Capitolo 1
Il cuore umano e la nozione di Cuore
di Dio nell’antico Egitto

Per un numero ancora troppo elevato di cattolici, la pietà verso il


Cuore Divino è una concezione tarda, nata nel secolo XVIII dalla spi-
ritualità sentimentale diffusa dai gesuiti e da altri predicatori. Per altri -
fra quelli che si sentono obbligati a riconoscere che la fede del Medio
Evo, soprattutto, ha onorato e adorato come noi il Cuore redentore -
questa è una idea germogliata nello spirito così devoto di quella società
medievale tutta impregnata di tenera poesia, ma al tempo stesso di un
realismo sorprendente. Si potrebbe quasi arrivare a dire che il culto del
Cuore, centro di tutto l’amore salvifico, deriva dalle «Corti d'Amore» e
dalle meditazioni infiammate delle monache.
In ogni caso, viene ammesso, quasi come scienza certa, che l’animo
cristiano del primo millennio non ha avuto né ha potuto avere nemmeno
l’ombra di un pensiero per il Cuore di carne di Gesù, fulcro dei suoi
sentimenti affettivi, e che questa concezione si colloca totalmente al di
fuori del suo ambito.
A maggior ragione, sembrerà loro assolutamente stupefacente che
l’intera casta sacerdotale di un popolo pagano tra le prime civiltà umane
abbia avuto per il Cuore del Dio unico - superiore ai suoi dèi, per quanto
potesse concepirlo - una idea, una attenzione così particolari, da fare
attribuire al Cuore tutto ciò che la Divinità stessa possiede di perfezione:
potenza creatrice, scienza, bellezza, bontà e giustizia infinite, e che
questa idea, questo Sacerdozio abbia coinvolto tutta la nazione con i suoi
superbi sovrani, i suoi artisti, i suoi studiosi e i suoi architetti incredibili.
Tuttavia, le scoperte fatte soprattutto negli ultimi ventanni dall’egit-
tologia, permettono di affermare, su una base di documenti materiali
positivi (scritti, iscrizioni lapidarie, sculture, oggetti d’arte, ecc.), cose la
cui mirabile testimonianza è indiscutibile.

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16 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Sin dal tempo delle prime dinastie


storiche, dal 3300 al 2600 a.C., l’Egitto ci si mostra attraverso i
monumenti come una nazione estremamente civilizzata; le statue e le
sculture che abbiamo di quel tempo sono di un'arte la cui perfezione ci
confonde, e quando i Faraoni della quarta dinastia, Cheope, Chefren e
Micerìno, elevarono o permisero ai Sacerdoti di elevare quei misteriosi
santuari che sono le Grandi Piramidi di Giza fra il 2840 e il 2680 prima
della nostra èra, la scienza degli egizi nei campi dell’astronomia,
cosmogonia, geometria e geodesia era tale che ci sono voluti i nostri
attuali st ni menti di precisione per eguagliarla; e i loro metodi
matematici nel campo delle suddette scienze hanno permesso loro di
risolvere calcoli tali da lasciare stupefatti i nostri scienziati
Ora, prima ancora di quell’epoca, quando i pontefici di Mentì e di
Tebe erano i custodi della scienza e della religione in Egitto, vi si con-
servava anche il culto del vero Dio - a onor del vero alterato, ma
espressamente indicato per esempio dai geroglifici dei monumenti della
terza e quarta dinastia - il Dio Uno, unico. Entità spirituale, appariva
come completamente diverso dagli dèi, che non furono altro che totem, o
dagli antenati divinizzati, a cominciare da Atum (FAntenato)1 2; uno dei
suoi figli, Osiride, divenne uno dei ministri della Divinità unica
incaricato specialmente di presiedere alla pesa delle anime sulla soglia
del «regno delle trasformazioni».
Quanto al Dio unico di cui parla il pagano egizio che in quel tempo
scrisse il papiro del British Museum, leggiamo la seguente espressione:
«Dio grande, Signore del cielo e della terra, che hai fatto tutte le cose
esistenti. O mio Dio, mio Maestro, che mi hai fatto e formato, dammi un
occhio per vedere, un orecchio per udire le tue glorie!», preghiera che
ritroviamo simile nei Classici di Roma e dell’antica Grecia3.
Ciò che spicca fin dal primo contatto che si ha con le opere specia-
listiche che trattano delle ultime scoperte religiose dell'egittologia 4 è che
il popolo egizio custodì a lungo la nozione di verità primarie e che,
d'altra parte, sebbene non fosse «la nazione in cui tutte le nazioni sono
state benedette»5, in tale popolo, e soprattutto nella sua casta sacerdotale
e nella sua elite intellettuale, vi dovettero essere animi molto nobili,
spiritualmente molto puri, che Dio favorì di illuminazioni e intuizioni
1 Cfr. don T. Moreux, La Science Mystérieuse des Pharaons, Doin, Parigi, 1923.
2 Molto simile all'Adamo della Bibbia.
31 Cfr. C.P. Virey, La Religion de l'ancienne Egypte, 1910, p. 13.
4 Per lune le pagine che seguono mi baso su quattro studi: C.P. Virey, ex incaricato della
missione archeologica francese al Cairo, op. cit.; don T. Moreau, direttore dell’Osservato- rio di
Bourges, op. cit.', Alexandre Moret, professore al Collegio di Francia, Rois et dieux d’E- gypte,
1923; A. Moret, Mystères Egyptiens, 1923; nonché di vari lavori dell'illustre scienziato Mas pero.
5 Gn 22, 18.

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IL CUORE UMANO E LA NOZIONE DI CUORE 17

meravigliose. Non dobbiamo stupirci: il Melchise- dech di cui parla il


Genesi e i tre Magi dei Vangeli non erano affatto ebrei, eppure il primo
prefigurò l'eucaristia e i secondi scoprirono Cristo appena nato: «Lo
spirito di Dio soffia dove vuole».
È per questo che troviamo nei testi sacri dell’Egitto dei brani davanti
cui grandi studiosi di oggi come Alexandre Moret, professore al
Collegio di Francia e Direttore della Ecole Pratique des Hautes Etu- des,
non esitano a vedere una sorta di «precristianesimo»; così Moret, nel suo
magnifico studio Mystères Egyptiens titola arditamente uno dei suoi più
bei capitoli «Le Mystère du Verbe Créateur».
Sono i resti di queste antiche credenze dei bei tempi dello splendore
egizio che, raccolti nei Libri Ermetici, stupivano a tale punto i nostri
primi dottori cristiani che uno di loro, Lattanzio (t 325), diceva: «Ermete
ha scoperto, non so come, tutta la verità».

Vediamo ora, stando ai documenti più antichi, quale posto sor-


prendente viene dato al cuore umano nella concezione della psicologia
religiosa che non era ancora stata penetrata, se non di poco, dal
politeismo e dalla zoolatria degli ultimi secoli della decadenza egizia.
Nei geroglifici, scrittura sacra o spesso immagine della cosa che
rappresenta la parola stessa che indica, il cuore non fu tuttavia raffi-
gurato che da un emblema: il vaso. Il cuore dell’uomo non è in effetti il
vaso in cui la vita viene rigenerata continuamente dal suo sangue? Il
vaso in cui nascono, si sviluppano e muoiono le passioni buone o cattive
che presiedono alla sua volontà e che talvolta la dominano, al punto da
tiranneggiarla a loro piacimento.
Alla nascita del genere umano, come racconta a suo modo la piramide
del Faraone Pepi II, Atum, il primo uomo genera i suoi figli sud-
dividendo il suo cuore in nove parti, e ciascuna di esse diviene un essere
umano completo; così nacquero gli antichi dèi e dee Tum, Shu, Tef- nut,
Keb, Nut, Osiride, Iside, Seth e Nefti. Questo per far comprendere che
l’uomo trasmette la vita per mezzo del suo cuore, come vedremo più
avanti il Verbo di Dio creare la vita con il suo Cuore.

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18 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

vv M

Fig. 1. Il vaso, emblema geroglifico della parola «cuore».

Dal cuore proviene tutto ciò che l’uomo sa e può fare; è ad esso che
l’attività umana chiede la sua ispirazione; è quello che ci rivela quel
Faraone prestigioso del secolo XV a.C., Tutankhamon, che ci è stato
restituito nello stupefacente splendore dei suoi tesori funerari. Il testo
che ci parla di lui, sulla stele, assicura testualmente che «meditava
profondamente sulla felicità del popolo comunicando con il suo cuore».
E quando Ramesse II rimprovera ai suoi ufficiali di essere stato male
assistito nel corso di una battaglia, dice loro: «Non vi porto più nel mio
cuore»; poi, rivolgendosi verso suo padre che è in cielo, il Dio Ammone,
osa parlargli così: «Che fai tu dunque, padre Aminone? Non è compito
di un padre vegliare sul proprio figlio [...]. E cosa sono per il tuo Cuore
questi asiatici?»6.
E dunque proprio del Cuore di Dio, del Dio Ammone, che si tratta, ma
soltanto, e ciò è molto chiaro, del Cuore metaforico di Dio in quanto
centro degli affetti divini; forse che alcuni dei nostri testi di liturgia
cattolica non lo supplicano con accenti talvolta simili?
Oh! Il cuore umano, quanto lo ha amato l'Egitto idealista! Si legga la
favola poetica di Bitau, anch'esso sacrificatosi, ma il cui cuore non vuole
morire e si trasforma ogni volta che un nuovo colpo, di per se stesso
mollale, lo colpisce; fino a quando Anubi rianima Bitau ritrovando il suo
cuore errante e mettendolo nell'acqua. E Bitau ritorna in vita con il suo
cuore.
Ma è soprattutto nel giudizio delle anime, nella dipartita dalla vita
terrena, che il cuore appare come il riassunto completo dell’uomo.
Questa pesatura degli atti delittuosi di ogni umana esistenza è espressa
dalle scene scolpite sui monumenti dell’antico Egitto, tutto sommato
abbastanza simili a quelle che ci mostrano sulle nostre chiese romaniche
e gotiche il giudizio particolare delle azioni della nostra vita, con san
Michele che pesa delle anime minuscole in presenza dell’angelo custode
che ci protegge e di Satana nostro accusatore.

6 C.P. Virey, op. cit.,p. 117.

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IL CUORE UMANO E LA NOZIONE DI CUORE 19

Fig. 2. La Verità e il Cuore sulla bilancia del giudizio. Particolare dai dipinti della tomba di una
sacerdotessa di Ammone (tratto da C.P. Virey, Religion de l'Ancienne Egypte, p. 157).

Cosa ci mostra la scultura egizia? Davanti al trono di Osiride, inca-


ricato del giudizio dei Morti e circondato dai suoi consiglieri, si erge una
bilancia vicino a Maat, personificazione divina della Verità; a fianco o
sopra di essa, un mostro ibrido, il Divoratore, giustiziere della divinità, è
pronto a impadronirsi dell’anima se la giusta pesatura andasse a sfavore
di questa.
Su uno dei piatti sta solo il cuore del defunto, con le sembianze del
vaso geroglifico in cui stanno le opere malvagie della vita che sta per
essere giudicata. Allora Maat-Verità avanza, stacca dalla sua accon-
ciatura la piuma bianca di struzzo che la caratterizza, talvolta si siede lei
stessa sul piatto7, però, siccome è sostanza spirituale, l’unica cosa che
pesa è la piuma bianca... E se l’equilibrio perfetto non viene a crearsi
subito fra il vaso-cuore e la piuma immacolata, è il mostro giustiziere
che trionfa, e l’anima non verrà ricevuta nel regno delle trasformazioni
felici.
Vedete: sulla pietra della sua tomba c'è Ramesse VI che la bella dea-
antenata Iside, figlia di Atum, conduce per mano davanti al tribunale
terribile di suo fratello Osiride con i suoi consiglieri, davanti alla
incorruttibile Maat-Verità; il Faraone recita il suo «mea non culpa»,
poiché solo il male commesso entra in gioco.
E Ramesse comincia:
Omaggio a Te, Dio grande che possiedi la certezza! Io vengo a te, o mio Signore,
mi presento al tuo cospetto per contemplare la tua gloria. Io ti conosco, conosco il
tuo Nome e conosco il nome delle quarantadue divinità che sono con te nella sala
della Verità.
Non ho messo l’iniquità al posto della dirittura.
Non ho fatto quello che gli dèi detestano.
Non ho ucciso né fatto uccidere perfidamente.
Non ho tradito nessuno.
Non ho fatto versare le lacrime dei poveri, ecc.
7 Allora Maat tiene in mano il «segno della vita», piccola croce a forma di Tan munita di un
occhiello alla sommità (cfr. l’incisione).

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20 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Quarantatré capi d’accusa sono così rigettati dal Faraone che conclude
gridando:
Sono puro, sono puro, sono puro!

E mentre la Verità lo guarda e si appresta a lasciar cadere nel piatto


della bilancia la sua piuma terribilmente leggera, lo scarabeo di pietra
preziosa, che occupa nella mummia regale il centro del cuore, ripete per
invocazione la frase magica che fu detta su di lui quando fu consacrato
dagli ieroduli:
O cuore, che eri il mio cuore sulla terra, tu che provieni da mia madre e mi sei
necessario per le mie trasformazioni, non testimoniare contro di me, non opprimere
tuo padre, o mio cuore'

Ma appena Maat-Verità ha lasciato cadere la piuma del suo diadema, i


due piatti della bilancia oscillano e si fermano al punto preciso
dell'equilibrio perfetto, Ramesse è giustificato.
Sulla sua stele funeraria conservata al Museo di Torino e tradotta da
Chabas, Beka, prima di recitare come Ramesse il suo «mea non culpa»,
lo riassume in anticipo, con queste parole vincitrici: «Io fui un uomo
giusto, sincero e buono, che ha messo Dio nel suo cuore»8. Dio - Beka
dice proprio Dio - in geroglifico Nuter9, e non uno degli dèi. Beka
comprendeva al meglio che non poteva essere condannato un cuore in
cui risiedeva Dio e che viveva di Lui, poiché lo possedeva al centro
stesso della sua vita!
Dopo di lui, e quasi nello stesso senso, il Cantico dei Cantici farà dire
all'anima: «Pone me ut signaculum super cor tuum», «O Dio, mettimi
come sigillo sul tuo cuore». Ben mille anni dopo un’altra frase, ancora
più espressiva, quella di san Paolo, le farà da eco: «Non sono più io che
vivo, ma è Cristo che vive in me».
Dunque, per l'Egitto religioso il cuore era tutto l’uomo: la sede delle
sue facoltà intellettuali, come anche delle passioni che con esse go-
vernano la sua volontà, il vaso di vita dove l’anima, abbandonando il
corpo, lasciava il deposito delle azioni compiute con esso, il tabernacolo
infine dove il giusto portava la Divinità quando per mezzo delle virtù
aveva serbato Dio in lui, come Beka che se ne gloriava.

8 C.P. Virey, op. cit., p. 63.


9 Cfr. ihid.

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IL CUORE UMANO E LA NOZIONE DI CUORE 21

L’attenzione del pensiero egizio era troppo rivolta al cuore umano e,


oltre al suo ruolo fisico, gli attribuiva una parte troppo importante perché
essa non risalisse, forzatamente, verso il cuore di quella Divinità unica
che la casta sacerdotale di quel paese riconosceva come posseditrice di
onnipotenza e di ogni perfezione, fino al sommo grado della totalità e
dell'infinitezza.
Sono il Faraone Amenofi IV, detto Ekhnaton - il cui magnifico e
elegante busto si trova al Louvre - e la regina Nefer-Neferiu-Aton, sua
sposa, che composero insieme gli splendidi cantici che monumenti vari
ancora intatti ci hanno conservato. In uno di questi inni, rivolto a Dio, al
Dio-Aton, vale a dire considerato sotto l’emblema radioso del disco
solare, leggiamo a caso da un lungo testo frasi come queste:
Tu hai creato la Terra nel tuo Cuore, quando eri tutto solo [...] hai fatto le stagioni
dell'anno per far nascere e crescere tutto ciò che hai creato [...] hai fatto il Cielo
lontano per levarti in lui e vedi da lassù tutto ciò che hai creato, tu, tutto solo [...]
Appari sotto le sembianze di Aton vivente, ti levi radioso, ti allontani e ritorni; tu sei
nel mio cuore10.

Quindi, stando all’inno di Amenofi-Ekhnaton, è dal Cuore stesso di


Dio che è partito il gesto divino della grande azione creatrice: «Tu hai
creato la Terra nel tuo Cuore».
La stessa assicurazione ci viene data anche dall’iscrizione funebre di
un sacerdote di Menti il cui testo e senso sono stati precisati da Breasted,
Maspero ed Erman; ne deriva che i teologi della Scuola di Menfi
distinguevano nell’opera del Dio Creatore il ruolo dell’idea creatrice che
essi chiamano la parte del Cuore, e quello dello strumento della
creazione, che essi chiamano la parte della Lingua. Dunque, in Dio ogni
Verbo è un concetto del Cuore, e per attuarsi ha biso

10 Cfr. A. Moret, Rois...,op. cit., p. 64.

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22 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO
gno della parola; così si forma ogni atto divino nell’idea del Cuore,
nell'emissione della lingua11.
Quindi, il Cuore di Dio viene visto dai saggi dell'Egitto non soltanto
come fulcro iniziale della potenza creatrice ma anche come la sede del
pensiero divino, ed è per suo mezzo che Dio possiede la scienza infinita
di tutte le cose. Sul papiro di Leida, a proposito di Dio indicato con il
nome di Ammone, si legge: «Il suo Cuore conosceva tutto, le sue labbra
gustavano tutto».
Un’altra Scuola teologica che ci fa conoscere alcuni monumenti
dell'epoca dei Ramessidi (XIX dinastia, circa 1250 a.C.) ci espone
un’altra teoria teologica secondo la quale Dio - il Dio unico (lett.: il
Nome) la cui natura è tutta mistero - ci viene presentato composto da tre
entità divine che formano una autentica trinità-unità: Ptah, Horo e Thot.
Ptah è la persona suprema e rappresenta XIntelligenza divina; Boro,
secondo una tradizione antica già all’epoca, ne è il Cuore; Thot è il
Verbo, strumento delle opere divine. E Ptah è quindi designato come
l'Essere Supremo perché la triade intera procede in qualche modo da lui;
questo seguendo lo schema del precitato documento: «Colui che diventa
Cuore, Colui che diventa Lingua» ,2.
La seconda persona di questa trinità, Horo, il Cuore divino, nel-
Temblematica sacra fu rappresentata sotto le sembianze dello sparviero,
del falco. Sin dai tempi della IV dinastia, cioè circa tremila anni prima
della nostra èra, si trovava sulla bandiera sovrana del Faraone Chefren la
doppia corona degli Egizi del Nord e del Sud, e nella formula geroglifica
del suo nome appariva il Vaso-Cuore.
Il falco-re, il falco-dio fu il totem, cioè il genio e il simbolo abituale
dei Faraoni considerati sia come figli che come emanazioni terrene della
Divinità, come fu anche l’emblema di Horo, il Cuore di Dio. Sulla bella
statua dello stesso Chefren, lo sparviero sacro poggia il suo cuore contro
la nuca del Faraone che protegge, racchiudendo la sua testa nelle ali
spiegate.
Mi domando se questa posa non indichi molto più di una semplice
protezione... Essa è certamente espressiva, dato che l’uccello divino
copre con il suo cuore il cervelletto del sovrano nel punto più sensibile, a
livello del «ponte di Varolio», e che il suo corpo protegge fasci di nervi
cervicali che alcuni anatomisti chiamano «albero della vita»; ma non vi
sarà dell’altro?
Molte sono le sculture sacre d’Egitto che ci mostrano dei sacerdoti,
degli oranti o altri operatori che fanno imposizioni magnetiche su un

“ Cfr. A. Moret, Mysières...,op. cit.. p. 122.


u
Cfr. ibid., p. 126.

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IL CUORE UMANO E LA NOZIONE DI CUORE 23

Fig. 3. Il nome di Horo sulla bandiera regale di Chefren, secondo Maspero.

soggetto; a volte una intera assemblea le indirizza verso un personaggio


altolocato, per esempio un Faraone che nasce, e un testo ufficiale ci dice
della Faraona regnante Hatshepsut che «gli dèi lanciano costantemente i
loro fluidi di vita su di lei ogni giorno» ,3.

Fig. 4. Statua di Chefren, Museo del Cairo.

13
Cfr. A. Moret, Rois...,op. cit., p. 26.

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24 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Non potrebbe trattarsi, nel contatto così suggestivo che li unisce, di


una sorta di comunicazione, di trasmissione di questa natura, di una
maniera di comunicazione mediante emanazione e assorbimento dei
caldi fluidi divini fra il cuore deH’Uccello-dio e il cervello del Faraone
Chefren?...
Circa mille anni dopo di lui, quando sul suo trono, il più grande dei
troni, lo sfarzoso Tutankhamon risiedeva in tutto lo splendore della sua
magnificenza, anche le sue braccia riposavano così, nude, fra le ali
spiegate del grande spanderò di lapislazzuli... E presso gli Egizi come
presso gli Ebrei, era alle braccia che si riferiva l'idea della potenza,
dell’autorità.

Non voglio affatto esagerare, né essere così sistematico al punto di


affermare che la teologia talvolta così strana dell’antico Egitto abbia
contenuto, se così si può dire, una preistoria del nostro culto cattolico al
Cuore divino: certo no; ma ho ritenuto che fosse cosa buona per lo meno
esporre in questa sede quale grande parte ha avuto nel suo pensiero, e
quale posto e quale ruolo ha saputo riconoscere al Cuore del Dio
onnipotente, onnisciente e buono, la religione di questo popolo pagano;
religione grossolana e materialista per certi versi, quasi spoglia di
ascetismo, ma così elevata per certi dogmi e così eloquentemente
espressiva per le sue formule di adorazione e di preghiera.
Oso pensare che, se i nostri santi dottori dei secoli medievali avessero
conosciuto i dati che le scoperte di questi ultimi tempi hanno rivelato
sulle idee e le cose dell’antico Egitto, con tutta probabilità oggi ne
troveremmo delle tracce nella patristica del Sacro Cuore, e forse
addirittura nella liturgia: il rituale romano ammette proprio nell’ufficio
dei Morti la testimonianza degli oracoli sibillini in accordo con quelli del
re profeta: «Teste David cum Sibylla».
Sicuramente non è da mettere in parallelo il Cuore fisico di Gesù che
fu adorato in primo luogo come la principale delle ferite redentrici e
come fonte corporea del Sangue salvifico, con il Cuore puramente
metaforico al quale gli egizi guardavano come fonte di bellezza e delle
perfezioni divine; ma resta il fatto che il cuore, fosse quello di Dio o
quello umano, metaforico o corporeo, essi lo rappresentavano
separatamente dal resto della forma umana, con un comune emblema
consacrato, il vaso geroglifico, dal simbolismo assai parlante. Nessun
altro popolo antico attraverso il Cuore guardò la Divinità, nessuno mai le
si rivolse scongiurandola di avere pietà di lui, come scongiurava il

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IL CUORE UMANO E LA NOZIONE DI CUORE 25

proprio cuore di non testimoniargli contro nell'ora suprema.


Proprio i testi geroglifici ci lasciano intendere che tale attenzione
dell'anima egizia verso i Cuori di Dio e dell'uomo non corrispondeva per
nulla a uno stato spirituale particolarmente sentimentale. Per quello che
ci interessa, l'elite religiosa dell’Egitto, per quanto deviata sia stata nella
teologia generale, ci appare troppo scientifica, troppo speculativa, per
essersi lasciata tentare più dalla dolcezza del sentimento che da
riflessioni serie e ragionate.

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Capitolo 2
La divina musica del Verbo. Il Cuore e la lira

Pagine commoventi di mademoiselle Germaine Maillet ci hanno


espresso recentemente1 il reale tormento dei poeti pieni di talento, dei
sinceri ricercatori del divino ideale. Ella ci mostra come, in strofe
ardenti come fiamme e talvolta tristi come singhiozzi, essi cantino
febbrilmente l'angoscia del loro pensiero e la sofferenza della loro
anima.
Miserie, ahimè, inguaribili perché questi poveri cuori vibrano troppo
lontano da Cristo; perché non si avvicinano abbastanza a quell'arpa dalle
armonie consolatrici che è il Cuore del Verbo di Dio; di quest 'arpa
divinamente irradiata che la penna, sempre così meravigliosamente
ispirata, del reverendo padre Anizan equiparava all’arpa del bardo, nel
romanzo di Taliesinn, che sembrava essere, sul lago desolato, come il
cuore vivente degli esseri...
Questo accostamento fra il Cuore da cui sgorgarono le parole di vita
che hanno rigenerato il mondo e lo strumento le cui corde vibrano in
accordo così perfetto con le emozioni della voce e del cuore dell'uomo, è
particolarmente felice.
Cuore e parola non sono che prolungamenti della stessa cosa; la voce
è la risonanza del cuore; sono come la sorgente e il flusso, come la ferita
e il sangue dalla quale sgorga, come la rosa e il suo profumo, come
l'albero e i suoi frutti, come il braciere e il calore che emana. «La bocca
parla dalla pienezza del cuore»11 12, ha detto Gesù.
In Dio, come nell'uomo che è a sua immagine, il verbo è uno zampil-
lare del cuore fuori dalla persona. Mediante la parola, il cuore ha con-
tatto con l’esterno. La lingua è il suo organo e le labbra il suo scrigno.
Ecco perché gli egizi, che più degli altri pagani dei tempi antichi
hanno avuto concezioni sorprendenti sulla divinità, cantarono il «Mi

11 Cfr. Germaine Maillet, Regnabit, ottobre 1925.


12 [Mt 12,34,NJ.T.].

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L4 DIVINA MUSICA DEL VERBO. IL CUORE E LA LIRA
27
stero del Verbo Creatore» inchinandosi davanti al Cuore di Dio e da-
vanti a tutto ciò che il cuore umano racchiude di buono.
Questo è il motivo della venerazione che ebbero per la persea, l'ar-
busto simbolico consacrato a Iside «perché il suo frutto somiglia a un
cuore e la sua foglia a una lingua»3.
Il saggio dell’Egitto non vedeva nel cuore soltanto l’organo affettivo
dell’uomo, ma anche la vera sorgente della sua intelligenza; per lui, il
pensiero nasceva da un movimento del cuore, e si esteriorizzava me-
diante la parola; il cervello era considerato solo come un trasmettitore in
cui la parola poteva fermarsi, ma che oltrepassava sovente con uno
slancio spontaneo.
Il canto non è che l'espansione della parola. Quando il cuore è ri-
gonfio per una intensa emozione, quando vibra non soltanto in superficie
ma nell'intimo delle sue fibre, allora la parola diventa insufficiente e
l’uomo canta. Canta la gioia o il dolore perché il pianto non è che il
canto dello strazio del suo cuore.
La primeva musica umana è nata dalla prima grande gioia o dal primo
grande dolore.
Ma ben presto la voce che Dio ha donato all’uomo non gli bastava più
per sollevare il peso delle sue gioie o infelicità: fu allora che inventò gli
strumenti musicali.
Il primo, si dice, fu il flauto, il flauto a canne che canta come la voce
degli uccelli; il secondo fu la lira che canta e piange come la voce
umana; la lira, alle cui grazie i pitagorici ricorrevano prima di cedere al
sonno «per sedare e incantare gli elementi istintivi e passionali del-
l’anima»4.
Quante volte l’antica arte ha celebrato la lotta musicale fra Pan e
Apollo! Pan, il dio campestre e sensuale che i piedi biforcuti da erbivoro
legano alla Terra, con il suo flauto a canne sfida Apollo, il dio della luce,
e la sua lira... Tutti e due suonano con grande talento ma dalla lira si
innalzano accordi così belli che il flauto, dopo di essi, sembra soltanto
balbettare... Eppure il re Mida, arbitro della lotta armonica, stranamente
accecato, si pronuncia in favore di Pan. Apollo, per castigarlo, gli
infligge un paio di orecchie da asino.
È una apologia che ci vuole dimostrare a quale punto passioni e
pregiudizi possano falsare la sagacia e l’imparzialità di un giudice. Ma i
mistici cristiani dei secoli passati in questa rappresentazione hanno visto
l’analogia di ben altro: la voce di Cristo che canta agli uo-

J
Plutarco, Iside e Osiride, c. 68. La persea degli egizi doveva essere una delle trenta varietà di
«mango» i cui frutti sono effettivamente cordi formi e le sue foglie lanceolate.
* Ibid., c. 79.

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28 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

mini la legge salutare, la voce del vero Dio di luce che lotta contro la
voce nemica che anch essa li chiama13.
Canti anche molto antichi, composti dai rapsodi e dagli aedi della
Grecia molto tempo prima della venuta del Signore, glorificavano il
combattimento di Apollo, figlio del Dio supremo, contro il rettile ne-
mico; come, per esempio, il seguente inno, scoperto sui marmi del
tempio di Delfi nel 1894, che comincia così: «Dio la cui lira è doro,
Figlio del grande Zeus, sulla cima dei monti innevati, tu che diffondi sui
mortali gli immortali oracoli, dirò come conquisti il treppiede profetico
custodito dal Drago, quando al tuo cospetto se ne fugge il mostro
orrendo dalle tortuose spire».
La lira dell'Apollo, musico e dio, e la lira di Orfeo, poeta divinizzato,
tutti e due emblemi del Verbo sovrumano, hanno trovato una ac-
coglienza delle più favorevoli presso gli antichi simbolisti cristiani.
Se alcuni aspetti della rappresentazione di Apollo, dio pagano della
luce, del candore, dell’armonia, dell’eloquenza e della bellezza, ap-
parvero loro come elementi accettabili per analogie emblematiche con la
realtà di Cristo, ancor più il mito di Orfeo si prestò ad accostamenti che
stimarono felici.
Vediamo ciò che la leggenda racconta di Orfeo: alcuni lo dicono fi-
glio di Apollo e di Clio, altri del re Eneagro di Tracia e di Calliope, ma
in realtà si pensa di una sacerdotessa di Apollo; Orfeo fin dalla più te-
nera età avrebbe appreso dal celebre Lino come unire agli accordi della
lira la sua voce, che era di ineguagliabile bellezza.
Ben presto, esercitando sempre la sua genialità, raggiunse il supremo
potere dell’arte, tant’è che a volte gli esseri meno docili e più temuti,
come pure la materia inerte, gli erano sottomessi; alle ineffabili armonie
che si involavano dalla sua lira e dalle sue labbra gli uccelli venivano
per unirsi ai suoi concerti; le belve più feroci diventavano raccolte e
docili e si accucciavano ai suoi piedi per ascoltarlo; gli alberi spogli si
ricoprivano di fogliame e le gemme sbocciavano fremendo, quando egli
cantava; i venti, le grandini e le folgori degli uragani si placavano, e le
navi incagliate nelle sabbie dei fondali andavano a gonfie vele quando la
voce incantatrice di Orfeo spiccava il volo dal suo cuore e planava sopra
le cose:
«Orfeo, dopo avere seguito gli Argonauti alla conquista del Vello
d’oro, tornò in Tracia, la sua patria; ecco che un giorno, ah giorno fu-
nesto! Le donne di Tracia, furiose per l’indifferenza che il poeta fedele
alla memoria di Euridice mostrava loro, lo misero a morte e gettarono
nelTEbro le sue straziate spoglie.
13 Questo accostamento si potrebbe fare anche con ciò che i mitologi egizi raccontano di
Ermete il quale, dopo avere tolto al genio malvagio Tifone i suoi nervi, ne fece delle corde perla sua
lira. Cfr. ibid.. c. 55.

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L4 DIVINA MUSICA DEL VERBO. IL CUORE E LA LIRA
29
Ma il fiume lentamente portò fino a Lesbo, senza volerle inghiottire,
la sua testa dalle labbra ispirate e la sua lira che le galleggiava a fianco».
La leggenda di Orfeo crebbe ulteriormente; si raccontò che a Lesbo la
sua testa e la sua lira davano oracoli, tanto che i Greci parlavano del
«divino Orfeo».
Si diceva che dalla Tracia egli avesse portato dei miti misteriosi di
origine celeste in Grecia e i saggi ritenevano che contenessero i segreti
della purificazione efficace, unico mezzo per accedere alla beata
immortalità.
Questi misteri orfici si basavano sulla rappresentazione di Dioniso-
Zagreo; Core, figlia di Cerere, ebbe da Zeus, dio supremo, un bambino
di nome Zagreo; Era14, gelosa di Core, fece dilaniare il neonato dai
Titani che lo ridussero a pezzi, ma la saggia Atena 15 salvò il cuore di
Zagreo e il bambino rinacque dal suo cuore con il nome di Dioniso.
I riti religiosi basati su questa rappresentazione misteriosa di Zagreo
avevano lo scopo di assicurare al fedele iniziato, al miste, la felicità
eterna: da uomo non poteva aspirarvi e per arrivarci doveva divinizzarsi,
vale a dire purificarsi mediante la sofferenza e morire a se stesso per
rinascere in una anima nuova. Le sofferenze di Zagreo, la sua morte e la
sua rinascita erano allegorie delle tappe di questa palingenesi, di tale
rigenerazione dell’anima umana in vista della sua ammissione alla
felicità eterna e suprema.
Orfeo appariva dunque agli iniziati greci dei misteri di Zagreo-
Dioniso come una sorta di salvatore che aveva dato loro la chiave della
vita beata per l’oltretomba. E le poesie scritte che gli erano state at-
tribuite continuavano la magica potenza del suo talento e preservavano
intorno al suo nome la prestigiosa aureola dei tempi primordiali.
Di tutte le rappresentazioni inventate dall’esuberante immaginazione
dei poeti e dei mistici anteriori alla nostra èra per glorificare il verbo
umano, nessuna ha impressionato i cristiani dei primi secoli quanto
quella di Orfeo. E nell’infinità di riti, di misteri, di culti in un miscuglio
di sublimità e abomini che i paganesimi antichi hanno conosciuto,
nessuno, salvo forse alcune concezioni egizie, si è avvicinato tanto a
certe verità cristiane quanto le teorie orfiche.
Questo perché i primi maestri cristiani della Grecia e di Roma, nel

14 Per i greci Zeus, Core ed Era erano gli equivalenti di Giove, Proseipina e Giunone dei
Romani.
15Atena, cioè Minerva, dea della sapienza.

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30 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

le leggende relative al sublime artista della Tracia che con la sua voce
affascinava gli animali selvaggi e si faceva seguire da loro, videro la
provvidenziale immagine del Cristo benedetto che chiama gli uomini di
tutte le razze alla fede nuova; e con tutta probabilità nei riti orfici di
purificazione videro il barlume anticipato della spiritualità cristiana, nata
più tardi dalle parole insegnate da Gesù.
Per di più, Heussner dice che, per una certa parte della società pagana,
«Orfeo rappresentava l’idea dell’immortalità e per questo fu accettato
dai primi cristiani in qualità di antico testimone delle loro speranze»8.
Questa interpretazione può essere considerata come una variante di
quella di Schultze che vede nell’Orfeo delle catacombe «un profeta
pagano del Cristianesimo»9, opinione che dom Leclercq appoggia con
tutta la sua autorità,0.
Infatti, nelle sante catacombe di Roma, l’immagine di Orfeo con la
sua lira e il suo corteo di animali sta accanto a quella del fondatore della
nostra religione nell’impressionante scenario delle stanze sotterranee in
cui furono seppelliti i nostri grandi martiri. Questo si vede nella
catacomba di Domitilla, in quella di san Callisto e in altre.
È possibile che in alcune di queste pitture venerabili Orfeo fosse
raffigurato, secondo Schultze, solo a titolo di profeta pagano del cri-
stianesimo, ma resta comunque il fatto che talvolta fu lui stesso una
immagine del Signore Gesù Cristo, del Verbo divino, dipinto sotto le sue
sembianze.
Ecco quella che forse è una delle testimonianze più curiose: poco
prima del 1900, gli operatori di alcuni scavi effettuati nell'antico borgo
gallico di Loudun (Vienne), per il consolidamento di un muro, trovarono
in mezzo a carboni, cenere, e a cocci di ceramica, una pietra calcarea
scolpita a coltello che essi, poche ore dopo, portarono al dotto
archeologo loudunese Joseph Moreau de La Ronde. Questi si recò sul
luogo del ritrovamento e riconobbe, per averne studiato prece-
dentemente un buon numero sullo stesso terreno, che la pietra scolpita
proveniva dal sito di una sepoltura cineraria, ciò che permette di datarla
della fine del secolo III d.C. o dell’inizio del IV. Era l’epoca in cui a un
centinaio di metri dal punto in cui fu trovata, secondo una tradizione
locale, furono decapitati i santi Chiaro e Lucano, vittime della
persecuzione di Massimiano (296-305).
Da un lato la pietra porta la cifra di Iesus-Xristus, una i sopra una

* Cfr. Heussner, Die altchristlichen Orphetisdarstellimgen.


9
Cfr. Revue de l'Histoire des Religions, 1894, p. 243.
10
Cfr. domH.Leclercq, Dictionnaired’archéologiechrétienne.t. l.p. 128.
x, e due colombe adomano il monogramma divino. Questo motivo,
ripetuto due volte, è una innegabile prova del carattere cristiano della

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LA DIVINA MUSICA DEL VERBO. IL CUORE E LA LIRA
31
pietra. Sull'altra faccia, un personaggio con un antico abito drappeggiato
tiene sul braccio sinistro una lira; ai due lati due uccelli cantano.
Apparentemente, dunque, è una immagine di Orfeo. Ma ai suoi piedi un
fedele prega inginocchiato e vicino agli uccelli troviamo la
rappresentazione di un pane eucaristico, simile a quella che si vede nelle
catacombe. In questo scenario tutto cristiano, in così perfetto accordo
con la sigla di Gesù Cristo incisa dall'altro lato, sotto le sembianze
poetiche di Orfeo è il Salvatore del mondo che appare, divino
incantatore di Anime11.

Fig. 1.

" Devo il possesso di questo interessante documento all’estrema gentilezza di André Moreau
de la Ronde, figlio dell'archeologo, che ha voluto offrirmelo in considerazione degli studi che
conduco.
La presenza a Loudun di questa icona di Cristo-Orfeo può spiegarsi
così: immediatamente sopra al suolo che l’ha ridata, si trovava l’antica
fortezza romana di Lugdunum, le cui mura e torri, in certi punti, hanno

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32 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

ancora adesso un’altezza di due o tre metri. Questa cinta, che com-
prendeva cinque ettari di terreno, con pretorio ed edifici su ipocausti,
doveva alloggiare, con una guarnigione in pianta stabile, le legioni in
marcia; è dunque del tutto verosimile che fra i legionari di passaggio o
stabili si trovasse qualche legionario istruito giunto da Roma e che uno
di essi morì durante quel soggiorno. La sua incinerazione sarebbe stata,
per l’occorrenza, comandata d’ufficio, ma la pietra di Orfeo, deposta con
tutta probabilità assieme alle sue ceneri dalla mano di un correligionario,
ci è testimonianza della sua fede divenuta la nostra fede.

Fig. 2.
Conosco soltanto un’altra raffigurazione del Cristo-Orfeo dei tempi
lontani, trovata sul suolo di Francia: è scolpita su un sarcofago cristiano
scoperto a Cacarens (Gers). Rappresenta Orfeo che suona la lira in
mezzo al gregge fedele. Studiando questo sarcofago all’Accade- mia

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LA DIVINA MUSICA DEL VERBO. IL CUORE E LA LIRA
33
delle Iscrizioni, il 13 aprile 1894, Le Blant fece notare che era l’unico
monumento di questo tipo trovato in Gallia. La pietra di Lou- dun
rinvenuta più o meno nello stesso periodo è più antica del sarcofago di
Cacarens.
In Italia l’immagine di Orfeo è stata adottata molto spesso per la
decorazione delle tombe cristiane dei primi secoli; e questa scelta, come
la sua presenza nella sepoltura cineraria di Loudun, può spiegarsi con il
fatto che il mondo antico vedeva in Orfeo la personificazione dell’idea
di immortalità.

Fig. 3. Orfeo nell’atteggiamento di Mithra (la lira spezzata), su un antico sarcofago cristiano del
Museo del Vaticano.

Le arti del Medio Evo, per lo meno in Francia, a torto trascurarono


l’immagine di Orfeo come emblema della parola del Salvatore.
Tuttavia, la si ritrova fra le sculture benedettine della grande Abbazia
di Cluny nel secolo XI. Il poeta vi rappresenta il terzo tono del canto
gregoriano. Si ravvisa anche nella Cattedrale di Reims sulle sculture del
secolo XII in compagnia di Arione e di Pitagora, a raffigurazione della
Musica,2.

12
Cfr. Barbier de Montault, Traité d'iconographie chrétienne, 1890, t. 1, p. 307, tavola XVII.

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34 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Fig. 4. Orfeo su una scultura dell'Abbazia di Cluny, secolo XI.

La lira fu utilizzata anche da sòia per simboleggiare l’armonia e fino


ai nostri ultimi secoli conservò anche il suo senso di emblema diretto del
Salvatore.
Quando nel 1648 i monaci cistercensi dell'Abbazia di Pin-en- Béruges
nella diocesi di Poitiers fecero restaurare il loro monastero, lo
ricoprirono di lunghe tegole piatte ornate con incisioni di emblemi
religiosi: vi si vede la Lira-Cristo segnata in mezzo dal monogramma di
Iesus, i H s.
Ho già riprodotto’3, e la ripeto qui, la Lira-Cuore di Gesù scolpita su
un vecchio arredo del monastero delle Benedettine del Calvario, a
Loudun, secolo XVII-XVIII, e questa scultura, infine, mi riporta agli
studi abituali di Regnabit.
Ho forse divagato parlando delle vecchie rappresentazioni pagane di
Apollo e di Orfeo?... Poco male, credo in realtà di averlo fatto solo
apparentemente.
Questa lira del Cristo-Orfeo, immagine della parola che sgorga dal
Cuore Divino, non ricorda le visioni che rapivano in estasi nel secolo
XIV d.C. l’anima di santa Gertrude?
Talvolta il Cuore di Gesù le appariva come una lira armoniosa, sulla quale si
china dolcemente la Santa Trinità che le soavi melodie di questo strumento
rallegrano. L’adorabile Trinità dispone di tre corde il cui dolce accordo deve
supplire alle mancanze di Gertrude, e queste tre corde sono la potenza del Padre, la
sapienza del Figlio e l’amore dello Spirito Santo M.
11
Cfr. il capitolo «L’iconografia antica del Cuore di Gesù a Loudun (Vienne)» [nel presente
volume].
14
Doni Berlière, La Dévotion au Sacré-Cceur dan l'Ordre de Saint Benoìt, p. 32.

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LA DIVINA MUSICA DEL VERBO. IL CUORE E LA LIRA
35

m xoan
Fig. 5. Tegola piatta che riporta la Lira mistica. Abbazia di Pin-en-Béruges, 1648.
Museo degli Antiquari dell’Ovest, Poitiers.

Far così cantare insieme al Cuore-Lira di Gesù le perfezioni divine


sembra essere il pieno sviluppo, la fioritura cristiana di questa conce-
zione, di splendida grandezza, già annunciata sei secoli prima della notte
di Betlemme dalla scuola di Pitagora: «Fare con le sette orbite

Fig. 6. La Lira mistica, scultura su legno dell’ex monastero delle Calvariane di Loudun, secolo
XVH-XVIII.
planetarie una lira celeste che dia le sette note della gamma nella pro-

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LA DIVINA MUSICA DEL VERBO. IL CUORE E LA LIRA
36
porzione delle distanze rispettive»15, in modo che ogni immensità dello
Spazio vibrasse in un solo colpo, in un inno senza eguali, alla gloria
della Divinità.
Dio ha voluto che il raggio del suo sole illuminasse tutti gli spiriti
elevati del paganesimo che lo hanno servito con grande dirittura di cuore
senza tuttavia conoscerlo abbastanza; e di quando in quando gli ispirati
si sono levati per acclamare a modo loro il Verbo divino che parlava
loro in mezzo a una moltitudine di errori. Tutti, in un modo o nell’altro,
credevano di conoscere Dio, il vero Dio, e noi, a ben guardare, possiamo
discernere nei profili dei miti antichi che essi hanno creato certi tratti
appena abbozzati che troviamo risplendenti nella Persona del Salvatore.
Chissà se, illuminati dalle tradizioni plurimillenarie o dalle divine luci
interiori i Magi dell’Asia non lo abbiano confusamente presentito sotto
la figura emblematica di Indra; Zoroastro, sotto l’aureola ardente di
Ormuz dal cuore di fuoco; Ermete, sotto la tiara di Osiride, quando si
celebrava davanti alle Piramidi e alla Sfinge il mistero del Verbo
Creatore; Orfeo, forse, sotto le sembianze di Zagreo rinato dal suo
cuore; oppure Pitagora, sotto il nome di Divino Logos, la parola
creatrice e vivificante!
A tutta questa sete, a tutte queste insospettate aspirazioni della vec-
chia umanità verso Colui che doveva venire, fu Giovanni, il Prediletto,
che lanciò la parola rassicurante, dopo che Gesù ebbe consumato la sua
Opera: «E il Verbo di Dio si fece carne e venne ad abitare in mezzo a
noi» ,ó.
Se il sangue che uscì nel giorno della sua morte dal petto semiaperto è
veramente la linfa del suo Cuore, il suo Verbo, la sua Parola, ne è il
Fiore.
E profonda fu l’idea che fece scolpire, in un tutt’uno emblematico, il
Cuore di Cristo, immagine del suo amore e sorgente del suo Sangue, con
la Lira, immagine della sua parola e Fiore del suo Cuore.

*' Cfr. Bouché-Leclercq, Les Précurseurs de l'Astrologie Grecque, I.


16
Gv 1. 14.

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Capitolo 3
Gli esordi dell’iconografia del Cuore (/)

Alle rappresentazioni della piaga laterale di Gesù all’interno di una


coppa succedettero, alla fine del secolo XV, numerose raffigurazioni di
calici o cibori, nei quali sanguina direttamente un cuore trafitto e
collocato immediatamente al di sopra di questi vasi sacri. È la stessa
idea, con la sola differenza che, invece di mettere in connessione la
coppa con la principale nonché ultima ferita del corpo di Gesù dalla
quale sgorgò il suo sangue, nel secondo caso è messa in relazione im-
mediata con il crogiolo d’amore in cui il Sangue del Redentore fu ela-
borato prima di espandersi assieme alla vita attraverso le sue ferite.
L’Inghilterra e la Francia hanno conservato parecchi esempi anteriori al
secondo terzo del secolo XV.
Si può dire che, con la creazione di questi ultimi temi iconografici, la
simbologia del Sacro Cuore si è conclusa; tutti quelli che sono stati
disegnati, dipinti, incisi o scolpiti in seguito possono essere considerati
delle varianti dei grandi emblemi realizzati fino ad allora.
Ma a quando risalgono dunque le prime rappresentazioni del Cuore di
Gesù Cristo, del «Sacro Cuore»?
L’organo fisico, centro del nostro organismo vitale, è sempre stato
considerato dall'uomo la sua parte più nobile; tuttavia, le antichissime
raffigurazioni di questo organo sono più rare di quelle di molte altre
parti del corpo umano, come, per esempio, l'occhio e la mano.
La più antica rappresentazione di un cuore quale centro di un or-
ganismo vivente risale a molte migliaia di anni avanti Cristo; si trova
nella grotta preistorica e aurignaziana di Pindal, nei pressi di Oviedo
(Spagna). È un cuore raffigurato in colore rosso, nella sua posizione
anatomica sul corpo di un elefante, e questo disegno deriva dalla magia
della caccia presso gli uomini primitivi.
Molto meno sicuri sono i cuori segnalati come esistenti su monumenti
preistorici del neolitico, per esempio in Bretagna e nel Bas- Poitou,
soprattutto quando si tratta di rilievi cordi formi su rocce di granito,
granulite e micascisto sulla cui superficie l’erosione e lo sgre

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38 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

tolamento hanno lasciato sulla roccia delle protuberanze che formano


figure molto suggestive.
Nell’arte ieratica dell'Egitto antico il cuore è raffigurato piuttosto
raramente con il suo aspetto naturale, ma è rappresentato assai fre-
quentemente dal suo geroglifico, il «vaso» (fig. 1).

Fig. 1. Il vaso geroglifico del Cuore sui monumenti dell’antico Egitto.

Nell’arte classica della Grecia e di Roma ai tempi della nascita del


cristianesimo, il cuore appare molto spesso nelle opere d'arte, facile da
confondere del resto con le foglie stilizzate dell’edera, del tiglio o del
convolvolo, utilizzate nell’epigrafia come bordure o elementi decorativi
vari. Anche alcuni disegni dell’epoca sono di interpretazione piuttosto
incerta, come il segno inciso nei primi tempi del cristianesimo su un
marmo di Antium, che è forse l’immagine di una foglia di edera 16 o
forse quella di un cuore; infatti, rami come quelli che partono dalla sua
sommità erano all’epoca uno degli emblemi del rinnovamento, della
risurrezione. Al di sotto di tale disegno, sono incise le seguenti parole:
SPES IN DEO (fig. 2).

Fig. 2. Iscrizione su un marmo ad Antium. primi secoli dell’èra cristiana.


Invece, il cuore si afferma indiscusso su monili vari, ninnoli, gingilli
da toilette, come un oggetto galloromano in osso di avorio molto
probabilmente cristiano della collezione Raoul de Rochebrune (fig. 3);
16 Cfr. dom H. Leclercq, Dictionnaire d'Archéologie Chrétienne, op. cit., t. 1. voi. II. col.
2489, fig. 820.

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GLI ESORDI DELL'ICONOGRAFIA DEL CUORE (I) 39

come anche quelle placche di metallo di cui Arthur Martin ci dice: «I


pagani facevano portare ai loro bambini delle placche che a volte
avevano forme oscene per scacciare i malefici, secondo Vairone, talaltre
avevano la forma a cuore per inculcare loro, secondo Ma- crobio, il
coraggio virile»17. Quindi, a detta di Macrobio (secolo V), ai suoi tempi
si attribuiva alla semplice immagine del cuore un potere di influenza la
cui portata e concezione abituale bastano da sole a determinare. Questa
idea comportava probabilmente, ancor più del semplice potere di un
«supporto» psichico, un simbolo spirituale che agisce mediante
revocazione costante di un pensiero che rimanda imperativamente allo
spirito. Questa concezione riportata da Macrobio è in ogni caso molto
suggestiva.

Fig. 3. Oggetto in osso di epoca galloromana. Collezione conte de Rochebrune.

Fra gli oggetti di arte romana decorati da ornamenti cordiformi figura


una serie di piatti e lampade in terracotta di origine cristiana, che
meritano di attirare la nostra attenzione. Quasi tutti sono stati rinvenuti
nell’antico regno di Cartagine, in Tunisia, nell’Algeria Orientale, in
Tripolitania. Questi documenti, molti dei quali sono dovuti a ricerche
private, hanno colpito l’attenzione del reverendo padre Louis Delattre, lo
studioso fondatore del Musée Lavigerie di san Luigi a Cartagine, e ha
pubblicato note sugli oggetti più significativi in preziosi studi18.
Esaminiamo anzitutto alcuni di questi motivi cordiformi: il tipo più
conosciuto consiste in un cuore sul quale si trova disegnata con tratti
scavati una croce che si prolunga in alto per biforcarsi in due linee, le
quali si flettono a destra e a sinistra e si incurvano per formare i contorni
di una foglia. Padre Delattre e dom Leclercq, a ragione, ri-

17 Arthur Martin, «Divers monuments d’orfèvrerie», Mélanges archéologiques, t. 1, p. 113.


18 Louis Delattre, La représentation du Coeur de Jésus dans l'Art chrétien, Tunisi, 1927;
Symboles Eucharistiques. -Carthage, Tunisi, 1930.

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40 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Figg. 4-5-6. Cuori rappresentati su vasellame di epoca romana rinvenuto nella regione di Cartagine
(Tunisia).

conoscono in queste foglie dei pampini di vigna stilizzati (fig. 4). Una
lampada decorata con simili motivi è venuta alla luce con gli scavi di
Timgad19.
Un secondo tipo (fig. 5) porta all’interno di un cuore non la croce,
bensì il monogramma primitivo del Salvatore: una i posta su una x,
iniziali di «Iesus Xristus».
Infine, una terza variante è ornata con il monogramma costantiniano
di Cristo, la chi greca e la ró congiunte, prime lettere del nome sacro
XPICTOC, Xristos. Al di sopra, due grappoli stilizzati (fig. 6).
In tutta questa ornamentazione tre cose sono incontestabili: anzitutto,
si tratta proprio di cuori e non di motivi scudiformi qualsiasi. Dom
Leclercq ne parla così: «È possibile chiedersi se questi cuori non fossero
semplici motivi ornamentali, per esempio delle foglie. Diciamo con
padre Delattre che non lo crediamo»20. Secondariamente, questi cuori
rinchiudono nei loro contorni croci o monogrammi sicuramente del
Salvatore. Infine, pampini e grappoli sono simboli eucaristici
incontestabili.
Rimane la questione principale: questi cuori rappresentano quello di
Gesù o sono immagini del cuore cristiano ricolmo di amore per Cristo e
segnato con il suo sigillo, il cuore del cristiano dove Cristo dimora per
mezzo della sua grazia, in cui è presente per mezzo dell’eucaristia? E ciò
porta a chiedersi se non siano espressione di quello che viene chiamato
«habitat spirituale», l’habitat mistico di Cristo nel cuore del cristiano21.
Padre Delattre fu oltremodo preso da tale questione, del resto, fino a
quando non gli fu dato di scoprire, sempre a Cartagine, un frammento in
terracotta proveniente dal centro di una lampada cristiana (fig. 7).
Ebbene, questo coccio porta un cuore nel cui campo è inscritta una croce
sormontata da due pampini simbolici. E questo documento chiarisce
felicemente la questione; infatti lo stesso padre De- lattre, dopo Tesarne
19 Cfr. Albert Ballo, Les ruines de Timgad, Parigi. 1911. p. 165.
20 Dom H. Leclercq, op. cit., fase. 84, col. 1091.
21 I simboli di questo habitat sui documenti artistici sono stati numerosi in tutti i tempi.

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GIJ ESORDI DELL’ICONOGRAFIA DEL CUORE (IJ 41

di migliaia di lampade cristiane di quell’epoca, ha formulato una sorta di


legge che sembra perfettamente fondata: il soggetto che decora il centro
delle lampade cartaginesi si riferisce quasi sempre direttamente al
Salvatore del mondo.

Fig. 7. Frammento di una lampada cristiana di Cartagine (secolo V), che portava un cuore al centro.
Museo Lavigerie di Cartagine.

Il critico più autorizzato e più severo nei riguardi della simbolica


cristiana primitiva, dom Henri Leclercq, ha preso in grande conside-
razione dei documenti proposti da padre Delattre, e li confronta con due
lampade in bronzo dello stesso periodo trovate a Catania, i cui manici
sono cordiformi; una di queste maniglie è decorata con una croce
intagliata nella cornice del suo contorno (fig. 8). L’accostamento è
sensato, tanto più che altre lampade di bronzo riprodotte dallo studioso
benedettino portano intagliate allo stesso modo sul manico sia la croce
che il monogramma costantiniano di Cristo 22.

22 Cfr. dom H. Leclercq, op. cit., fase. 84, coll. 1209-1210, fig. 1, figg. 6-7 e fig. 8.

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42 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Fig. 8. Lampada di bronzo di Catania. Cfr. dom H. Leclercq, op. cit.

L'illustre fondatore del Musée Lavigerie è tornato a Dio senza avere


visto realizzarsi uno dei suoi desideri più cari: trovare una lampada
integra che portasse al centro il cuore contrassegnato dalla croce e dai
pampini simbolici. La lampada, di cui possediamo soltanto un
frammento, non deve essere la sola uscita dallo stampo che è servito per
modellarla. Non dobbiamo però disperare di essere messi un giorno sulla
pista di un esemplare ben conservato. Forse esiste in qualche museo o
collezione particolare23... L’archeologia cristiana non ha ancora avuto,
che io sappia, la soddisfazione di vedere compiersi il desiderio di
Delattre; essa può tuttavia fare sue in tutta sicurezza le seguenti righe di
dom Leclercq:
È lecito chiedersi se non abbiamo qui le più antiche testimonianze monumentali
della devozione al Sacro Cuore di Gesù? Non si è potuto, fino ai nostri giorni,
incontrare un attestato di questa devozione nei Padri della Chiesa. Una frase di san
Paolino da Nola è molto più precisa e bisogna attendere gli scritti di santa Gertrude
e di santa Mecthilde, dell’Ordine di Citeaux, per raccogliere le più antiche
testimonianze incontestabili di questa devozione.

Ora, sembra che i piatti e le lampade in terracotta di Cartagine sopperiscano a


23 Cfr. padre Delattre, Symboles eucharistiques, p. 81.

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GLI ESORDI DELL'ICONOGRAFIA DEL CUORE fi) 43

questo silenzio24.
È lecito anche accostare questi cuori - e soprattutto quello centrale del
frammento della lampada di Cartagine - alle testimonianze dell’onore
particolare accordate al segno della ferita del costato di Gesù nelle
rappresentazioni prime del grande simbolo delle Cinque Piaghe, al
Signaculum Domini, nella stessa epoca in cui i vasai di Cartagine
modellavano le loro lampade (secolo IV o V).
Dom Leclercq ha ampiamente ragione: i testi sono molti, ma non
bastano. Il nostro augurio va ai ricercatori di Cartagine, nella speranza
che il suolo privilegiato che stanno esaminando consegni loro altre
preziose rivelazioni.

24 Dom H. Leclercq, op. cit., fase. 84, col. 1091.

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Capitolo 4
Gli esordi dell’iconografìa del Cuore (//)

Nel precedente capitolo abbiamo visto che i cuori delle lampade


cartaginesi, che sono del secolo IV o del V, possono essere accattati, a
motivo dei segni che recano, come le più antiche rappresentazioni finora
conosciute del Cuore di Gesù Cristo; questa attribuzione è fondata su
serie motivazioni che sono state mostrate da dotti archeologi quali padre
Delattre e dom Leclercq.
Durante i secoli successivi alla datazione di questi oggetti, nell’arte
gallofranca si ha talvolta la rappresentazione del cuore umano; ma
diventa assai rada nell’arte romanica e dagli inizi dell’arte gotica fino
alla fine del secolo XIII. Dunque, il Cuore del Salvatore non sarebbe
stato raffigurato affatto per sette od otto secoli durante i quali, tuttavia, il
fervore per la piaga del suo costato fu eccezionalmente ardente,
specialmente dal secolo XI al XIII, periodo nel quale d’altro canto i più
elevati e meravigliosi mistici quali san Bernardo, Guillaume de Saint-
Thierry, Guerric d’Igny, l’autore della VtZzs mystica, le sante Lutgarda,
Mecthilde, Gertrude, cantavano a gran voce le lodi del Cuore ferito sulla
croce? Finora non conosciamo un solo documento proveniente da quei
secoli che sia abbastanza chiaramente caratterizzato perché possa
imporsi a noi in maniera assoluta.
Nel Novissimum organon, rivista redatta dalla scuola dello Hiéron di
Paray-le-Monial ’, un autore, che si firma «Un dottore in teologia e
diritto canonico», ha parlato ampiamente di un marmo di Castel
Sant'Elia, nei pressi di Nepi (Italia), che, secondo lui, risalirebbe al
secolo VI o al VII e che porta tre cuori ricoperti di chicchi d’uva e in
conclusione - l’autore non riproduce l'immagine del documento - non si
sa se questi cuori siano tali, sebbene l’autore lo affermi, o se siano
grappoli o foglie. Il documento va dunque considerato soltanto con
beneficio d’inventario.
Questa assenza del Sacro Cuore aveva molto stupito il barone Ale-

1
Cfr. Novissimum organon, luglio-settembre 1898.

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GLI ESORDI DELL'ICONOGRAFIA DEL CUORE (II? 45

xis de Sarachaga, il fondatore del Museo dello Hiéron di Paray, che


attirò su tale lacuna l’attenzione e l’attività di molti fra i suoi collabo-
ratori, del resto senza risultati effettivi.
Personalmente, Sarachaga vedeva tuttavia una rappresentazione
misteriosamente velata del Cuore di Gesù in quello che l’arte medievale
mise in mano alle statue e alle immagini di sant’Agostino, il cuore della
«Città di Dio». L’opera del vescovo di Ippona che portava questo titolo
fu proprio una delle preferite dalla Chiesa dell’epoca, e fu il libro da
comodino, se così si può dire, di san Luigi re. Sarachaga, che varie volte
mi ha onorato intrattenendomi su tale questione 25 26, diceva:
«Nell’Apocfl/tsse san Giovanni dice che per illuminare la Gerusalemme
celeste non vi è affatto bisogno né di sole né di luna, perché l’agnello
divino è la sua fiaccola \ così anche il cuore della Città di Dio, che
sant’Agostino eleva con la mano, non può essere altro che il cuore del
Signore» (fig. I)27.
Certo, talvolta su alcune questioni archeologiche il fondatore dello
Hiéron si è illuso al punto tale da allontanarsi dalla retta via, ma so che
alcuni medievalisti hanno guardato alla sua ipotesi sul cuore agostiniano
come degna di essere presa in considerazione. Egli mi confermò che il
compianto amico monsignor Barbier de Montault, la cui reputazione di
grande esperto archeologo è a livello europeo, era fra questi, e non me
ne sono stupito sebbene egli fosse stato in precedenza di un’altra
opinione 28. Non so d'altra parte a quale base storica Sarachaga si
rifacesse, per scrivere che «i Templari di Francia, Inghilterra e
Portogallo indossano il Sacro Cuore dopo la loro iniziazione da parte di
san Bernardo»29.
In effetti, bisogna arrivare ai giorni tragici della dissoluzione di questo
Ordine celebre per avere una immagine incontestabile del Cuore
glorificato di Gesù, che per la verità fu tracciato da uno dei suoi capi in
circostanze che danno a pensare che non fosse il primo.
Prima di affrontarlo nel capitolo successivo, esaminiamo alcune delle
numerose immagini che il Medio Evo dedicò alla ferita laterale del
Salvatore e che rendono inspiegabile la rarità pressoché totale
delle.rappresentazioni dirette del Cuore divino, nei secoli che videro

25 Lettere de! 1917 all’autore (scritte da Marsiglia).


26’ Cfr. Ap 22,24.
27* La statua qui raffigurala è solo di una epoca tarda e posteriore al Medio Evo; ma la
posizione del santo, molto caratteristica, è quella di tutte le statue medievali.
28 Egli vedeva soprattutto nel cuore infiammato o meno la pietà ardente del Santo; cfr.
Barbier de Montault, Tratted'icottographiechrétienne, t. 2, p. 300.
29 Cfr. lettera all'autore, Marsiglia, 13 luglio 1917.

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46 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Fig. 1. Sant'Agosti no che eleva al cielo il cuore della Città di Dio.

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GLI ESORDI DELL’ICONOGRAFIA DEL CUORE (H) 47

Fig. 2. 1 soldati acclamano al Salvatore sul Calvario. Miniatura del secolo XI-XII. Da Revue de
l'Art Chrétien, 1879, p. 300.

creare queste immagini scolpite, ricamate, incise o dipinte un po'


ovunque.
Su una di esse, una miniatura di un libro manoscritto del secolo XI o
XII (fig. 2), il centurione ha appena ritirato la sua lancia dal fianco del
suppliziato e il sangue e l’acqua zampillano insieme. Stando al testo
sacro, i presenti esclamano: «Veramente questo era il Figlio di Dio!»30.
Il piviale di san Luigi d’Anjou, vescovo di Tolosa e nipote del re san
Luigi, porta un ricamo che ci mostra Nicodemo mentre imbalsama la
piaga sacra con profumi di min a e aloe, prima di deporre il corpo di
Gesù nella tomba (fig. 3)31. Nicodemo, che tiene il vaso sferico conte-
nente il profumo, porta sulla testa un cappello perché era «dottore in
Israele»32; questo dettaglio permette di pensare che l'ispiratore di que-

30 Cfr. Mt 28, 50: Me 15, 39; Le 23,47.


31 Cfr. Gv 19. 39.
32Cfr. Gv 3, 10.

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48 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Fig. 3. L’imbalsamatura della ferita del costato di Gesù sul piviale di san Luigi d’Anjou. Da Revue
de l’Art Chrétien, 1879, p. 308.

Fig. 4. L’adorazione del portatore di lancia davanti alla ferita che ha appena inflitto al costato di
Gesù. Da Revue de l’Art Chrétien, 1879, p. 305.
sta scena fosse una persona pratica delle università o delle maggiori
scuole episcopali del suo tempo.

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GLI ESORDI DELL’ICONOGRAFIA DEL CUORE (H) 49

Infine, nell'ultima immagine (fig. 4) scolpita su un avorio di proprietà


del Museo di Cluny, la cui datazione è vicina a quella del piviale di san
Luigi d'Anjou, il portatore di lancia (in greco longinos), che chiamiamo
san Longino, dopo avere colpito il corpo divino con la punta della sua
lama, adora la ferita che ha appena inferto al cuore del sacrificato
divino.
Tutte queste opere, altro non sono se non l'idea del loro tempo tutta
incentrata sull’alveolo sanguinante del costato di Gesù in fondo al quale
riposa, ora inerte e tuttavia vivente, un cuore invisibile che invece tutti
vedevano chiaramente, che i mistici di allora invocavano per nome, e
davanti all'irradiazione misteriosa del quale tutti si prostravano per
adorare.

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Capitolo 5
Gli esordi dell'iconografia del Cuore (///)

Nella nostra vecchia rivista Regnahìt1 ho già riprodotto le rappre-


re; però, essendo stati pubblicati isolatamente, sarà utile metterli al loro
posto nella serie cronologicamente classificata dei principali documenti
relativi alle cinque grandi ferite del cuore e delle membra del Salvatore
che sono state, assieme all'eucaristia» principali oggetti del culto a Lui
dovuto nella Chiesa cattolica.

Il Cuore inciso dai capi delTOrdine del Tempio33 34

Andiamo col pensiero all’anno 1308. Il Gran Maestro dei Cavalieri


del Tempio, Jacques de Molay, e i settantadue principali capi di questo
potente Ordine erano stati arrestati, per ordine di Filippo IV di Francia, il
13 ottobre 1307, e successivamente internati nelle torri del castello di
Chinon, in Turenna. Vi sarebbero rimasti fino alla primavera del 1309.
Il gran maestro Jacques de Molay e i principali dignitari deH'Ordi- ne
occupavano a Chinon il torrione del castello. Fu lì che vennero a
interrogarli, per conto di papa Clemente V che in quell’anno risiedeva a
Poitiers, i cardinali Frédol, De Suzy e Brancaccio. Furono dunque
esaminati in merito alle accuse estremamente gravi mosse al loro Ordine
che vertevano sulla fede e la condotta, sull’abbandono dello spirito e
degli obblighi monastici, su pratiche interdette agli ordini religiosi come
l'aggiottaggio, le operazioni bancarie, ecc.

33 Cfr. «Le Sacré-Cteur du Donjon de Chinon», Regnabit, n. 8, gennaio 1922; e «Le Sacré-
Coeur du Donjon de Chinon», Regnabit, n. 10, marzo 1922 [trad. it. in Le Pietre misteriose del
Cristo, op. cit., cap. VI].
34 Cfr. L. Charbonneau-Lassay, Le Cceur rayonnant du Donjon de Chinon, Paray-le-
Monial e Cannes, 1922, p. 43 [trad. it. in Le Pietre misteriose del Cristo, op. cit., cap. VIJ.

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GLI ESORDI DELL'ICONOGRAFIA. DEL CUORE (IW 51

Queste accuse erano certamente esagerate e molte, come quella di


idolatria, completamente ingiuste. I cardinali non si sbagliarono: essi
accolsero per tutte le colpe reali le dichiarazioni di pentimento dei
Templari e attestarono che ciò li rendeva degni di perdono. Tuttavia,
fatto innegabile, l'Ordine del Tempio era uscito dallo spirito della sua
fondazione non adempiendo più allo scopo, e si era allontanato dalla
strada che gli era stata assegnata: la Chiesa, che aveva approvato l’Or-
dine del Tempio a patto che questo spirito fosse conservato e lo scopo
principale perseguito, era dunque intenzionata a scioglierlo in quanto
Ordine monastico e militare e a restituire i suoi membri alla vita secolare
o ad autorizzarli a entrare in altri Ordini.
Meno clementi, gli Stati Generali del Regno, riuniti allora a Tours,
che presiedevano la corte di giustizia sovrana e civile, condannarono
formalmente in blocco tutti i Templari, e i loro capi furono ricondotti a
Parigi dove alla fine Molay e i suoi principali ufficiali furono condannati
al rogo dai Consiglieri mentre agli altri fu assegnata la prigione a vita.
Molto prima della partenza da Chinon, i capi del Tempio, seppure
ignorando il destino tragico che li attendeva, sapevano di essere in balìa
dei loro nemici e dovevano chiedersi con angoscia quale sarebbe stata la
loro sorte definitiva. Sul muro della prigione, uno di loro incise una
irrecusabile testimonianza del loro comune pentimento, della loro
angoscia e anche della loro fede, della speranza nell eterna salvezza (fig.
1).
Questo documento è composto da un insieme di «graffiti», di figure
incise a coltello nella pietra per una lunghezza di circa 80 cm e per 10
cm di altezza. Sono incisi principalmente su quattro grandi pietre da
taglio: la prima porta nel mezzo una croce posta su una monta- gnetta
che evoca il Calvario. A un lato di questa croce un personaggio
aureolato come un santo che porta al braccio il suo scudo ovale, è in-
ginocchiato davanti a un'altra croce contro la quale la lancia è appog-
giata all’altezza in cui doveva trovarsi il costato ferito di Cristo. Al di
sopra, un’altra croce che sormonta un piccolo cerchio ne supporta uno
più grande. Per ragioni che ho esposto altrove è possibile vedere in
questo personaggio aureolato il fondatore del Tempio, Ugo di Payns \
che non fu mai ufficialmente canonizzato, ma che fu onorato nel suo
ordine come «venerabile» o forse «beato», come fu per i Cavalieri
dell’Ordine di Malta Gérard Tunc di Martignes. Dall’altro lato di questa
croce centrale, un calvario mistico è composto da una grande

’ Vulg. de Payens.

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52 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Fig. 1. Il grande graffilo templare del torrione di Chinon.

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GLI ESORDI DELL'ICONOGRAFIA DEL CUORE (m; 53

croce contro la quale la lancia è ancora puntata laddove la sua lama colpì
il fianco divino, e sulla croce stessa le cinque ferite di Cristo sono
evocate dai chiodi e da un marchio che concerne la piaga laterale del
corpo divino. Sotto questo insieme evocatore del supplizio redentore,
una mano ferma ha inciso il seguente grido di pentimento angosciato: IE
REQUIER A DIEU PDON, Chiedo a Dio perdono.

Fig. 2. L’iscrizione di pentimento del torrione di Chinon.

I caratteri di queste parole sono della più pura epigrafia in uso al-
l’epoca della dissoluzione dell'Ordine del Tempio.
Sulla seconda pietra vi è una lancia isolata vicino a due personaggi
incappucciati che portano lo stesso mantello della figura incisa sulla
prima pietra. Fra di essi, una mano tesa simile al talismano arabo detto
«Mano di Fathma».
La terza pietra presenta un quadrato araldico inquartato, sui contorni
del quale si trova la stessa raffigurazione dello scudo del personaggio
della prima pietra. Al di sopra, un quadrato isolato porta lo stesso
soggetto. Questa figura si ritrova del resto in molte antiche
Commanderie del Tempio, senza che si sappia esattamente cosa si-
gnificassero (fig. 3)35.
La quarta pietra è più interessante. Vi si vede in effetti un personag-
gio di aspetto monastico il cui viso, già molto ingenuamente ottenuto
dall’incisore male attrezzato, è stato purtroppo mutilato. Questo monaco,
questo santo incoronato da un nimbo molto più accentuato di quello
della prima pietra, porta il suo cappuccio gettato all’indietro. All’interno
del nimbo che lo aureola, una profondità evidente mette

35 L'ho riscontrato in due Commanderie del Poitou; cfr. il mio Le Cceur rayonnant...,op. cit.,
p. 116.

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54 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Fig. 3. Grande scudo sulla pietra tombale di un Templare della Commanderia


di Roche-en-Cloué (Vienne).

la testa in bassorilievo e sottolinea la particolare santità di questo eletto:


con ogni verosimiglianza, si tratta qui di san Bernardo che in vita fu il
legislatore dell’Ordine del Tempio, che lo fece approvare dal Papa al
Concilio di Troyes nel 1128, e che ne fece una branca secondaria del suo
Ordine di Citeaux.
Questo santo, posto di profilo, contempla un cuore di stile araldico
inciso con estrema minuzia nella pietra, dal quale si diparte tutta una
irradiazione; uno scudo porta il giglio di Francia.
Questo cuore, centro di una fonte di luce e di gloria, potrebbe essere
diverso da quello che la Chiesa adora e invoca come la fonte di ogni luce
e di ogni gloria, come «fornace ardente deU’Amore»?
Ebbene, siamo qui a una data storica assolutamente precisa: fra la
primavera del 1308 e quella del 1309.

Lo stampo per ostie di Vich, in Catalogna

Un altro documento di grandissima importanza nella storia del culto


del Cuore di Gesù, dello stesso secolo dei graffiti templari di Chinon,
uno stampo in ferro per la fabbricazione delle ostie eucaristiche si
trovava alcuni anni or sono nelle ricche vetrine del Museo Episcopale di
Vich. Questo stampo è composto da due grandi matrici per le ostie del
sacerdote celebrante e una sola per le ostie dei comunicandi. Che ne è
stato, nel corso dell’infernale tempesta che in Catalogna ha annientato
tanti tesori dell’arte, soprattutto religiosa?...
Questo prezioso documento mi è stato segnalato nel 1922 dal reve-
rendo padre Antonio Capuano, o.m.i., di stanza a Madrid, al quale il
canonico Juan Llado di Vich, ne aveva rivelato l’esistenza. Per mezzo
loro potei ottenere da don José Gudiol, il colto conservatore del Museo
Episcopale di Vich e professore di archeologia sacra, una nota scritta da

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GLI ESORDI DELL'ICONOGRAFIA DEL CUORE fili) 55

lui, nel 1902, sul Veu de Montserraf, ne estraggo integralmente ciò che
segue:
La più interessante delle due ostie è quella di destra. In due cerchi concentrici che
incorniciano l'insieme del soggetto, una quattrofoglie porta negli angoli rientranti
delle punte contenenti degli anellini a malapena visibili. All’interno della
quattrofoglie si vede un cuore sul quale si erge una croce e ai lati del cuore vi sono
altre due croci simili; il tutto è posto sopra una linea orizzontale (formante terrazzo),
sotto la quale si vedono le lettere x p s (fig. 4).

Fig. 4. Lo stampo per ostie di Vich, Catalogna.

In questo cuore e nelle sue tre croci dobbiamo vedere una allusione formale al
sacrificio del Calvario e si vede chiaramente designato il soggetto ai quale si
riferisce la sigla x p s, è il nome di Cristo.
Stabilito questo, nel cuore, principale oggetto della composizione, dobbiamo
riconoscere implicitamente una raffigurazione del Cuore aperto sul Golgoti! che
versa le sue ultime gocce di sangue. È certamente una manifestazione, una
rappresentazione del Sacro Cuore di Gesù.
L’altra grande ostia dirige unicamente il pensiero al sacrificio del Calvario. In
una quattrofoglie simile all’altra ostia, sono incisi il crocifisso e le lettere IHES, che
significano il nome di Gesù [...].
Alcuni dettagli di grande importanza permettono di dire che qui si tratta proprio
di un esemplare di stampo per ostie che risale al XIV secolo [de pieno siglo
XIV], il carattere delle lettere nelle quali sopravvisse una tradizione decisamente
romanica [wna tradicion altamente romanica], le estremità di molti tratti che
finiscono con linee curve a forma di àncora, come nei gigli di Francia primitivi,
infine la disposizione del Crocifisso, il cui corpo è pendente, le braccia inclinate e le
gambe flesse; tutto concorda con le nostre supposizioni sulla datazione.

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56 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Non si potrebbe dire di meglio; poniamo dunque cronologicamente lo


stampo di Vich alla metà del secolo XIV e saremo d’accordo con i più
quotati archeologi di Spagna.
Ecco dunque per l’iconografìa del Sacro Cuore un documento dalla
datazione incontestabile.

Il piccolo sigillo di Estèrne Couret

La preziosissima collezione del compianto conte Raoul de Roche-


brune conteneva un piccolo sigillo o segnalibro di bronzo, inciso con il
nome di Estèrne Couret del quale sappiamo solamente, per la forma
orbicolare del suo segnalibro, che non era un ecclesiastico (infatti qui
non si tratta di un controsigillo).
Nel campo di questo sigillo vediamo un cuore che porta la croce
piantata alla sua sommità e dal piede della quale si dipartono dei raggi.
Sembra piuttosto impossibile che questo cuore crocifero e glorificato sia
quello di Couret, quantunque il suo patronimico possa derivare
etimologicamente dalla parola coeur. Non può dunque che essere
verosimilmente il Cuore del Salvatore preso da Estèrne Couret come
«arme parlante» a ideogramma del suo nome (fig. 5).

Fig. 5. Il sigillo di Esterne Couret con la sua impronta.

De Rochebrune lo datava del secolo XIV, basandosi sulla forma delle


lettere del sigillo; in effetti, questi caratteri si avvicinano più a
quelli della fine del secolo XIII che alle lettere gotiche del XV. Nella sua
preziosa opera Sigillographie du Poitou, Francois Eygun classifica
tuttavia il nostro oggetto fra quelli del secolo XV; infatti nel suo insieme

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GLI ESORDI DELL'ICONOGRAFIA DEL CUORE fili) 57

la disposizione è quella dei sigilli di quell’epoca.


Comunque sia, non è imprudente classificare questo documento sia
nell’ultimo quarto del secolo XIV, sia nel primo del XV.
A partire da questa data, le raffigurazioni del Cuore di Gesù netta-
mente indiscutibili che sono sfuggite alla distruzione per giungere fino a
noi, sono estremamente numerose e dimostrano per il culto del Cuore
Divino una intensità che ventanni fa non si sospettava nemmeno.

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Capitolo 6
Le armi araldiche della famiglia di Saint-Ló nel
XVIII secolo e il sigillo di Jacques Musekin nel 1391

Nel numero del 29 novembre 1924, La Vie catholique ha riprodotto


una nota recente de L’Intermédiaire des Chercheurs et Curieux secondo
la quale, rispondendo a una domanda che avevo posto anteriormente alla
presente pubblicazione, un gentile abbonato mi segnalava di avere
rilevato in un inventario di pezze giustificative di nobiltà, relativo
all’anno 1735, autenticato da un notaio di Valenciennes, l'indicazione
del blasone della famiglia di Saint-Lò.
Questo blasone, dice il testo dell’inventario, porta d azzurro allo
scaglione doro, con in punta un cuore doro sormontato da una croce del
medesimo, e in capo due stelle del medesimo.
«Di che epoca sono queste armi?», domanda a sua volta il gentile
lettore.
E La Vie Catholique soggiunge: «Che si tratti del Sacro Cuore di Ge-
sù? Si conoscono altri esempi?».
Non essendo segnata la ferita del colpo di lancia sul cuore del blasone,
ritengo impossibile affermare se questo cuore sia l’immagine di quello di
Gesù Cristo o quello di un cuore umano caricato della croce, o per
spirito di austerità, o per via delle prove della vita. Bisognerebbe innanzi
tutto risolvere la questione posta dal lettore determinando

Fig. 1. Blasone della famiglia di Saint-Lò.

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LE ARMI ARALDICHE DELLA FAMIGLIA DI SAINT-LÒ
59

Fig. 2. Sigillo del secolo XVIII, Loudun (Vienne).

quando fu realizzato il blasone dei Saint-Lò, in precedenza o nel mo-


mento in cui furono elevati al rango della nobiltà.
In effetti, come vedremo più avanti, nel secolo XIV e anche nel XV,
solitamente il Cuore di Gesù non porta la ferita, che abbia o meno una
croce.
Quanto alla seconda domanda posta da La Vie Catholique'. «Si co-
noscono altri esempi» della presenza del Cuore di Gesù sui blasoni? Con
tutta probabilità i lettori di Regnabit saranno rimasti sorpresi... Dopo
tutto, essa non è trascurabile, non tanto per l’argomento ma per il fatto
stesso di essere stata posta; ci dimostra perciò quanto sia necessario
pubblicare instancabilmente tutti i documenti iconografici antichi di
nostra conoscenza: la leggenda errata che fa della nostra pietà verso il
Cuore del Salvatore una devozione tarda, di ordine sentimentale e di
ispirazione femminile, è una di quelle che bisogna uccidere cento volte
prima che si rassegnino a sprofondare nell’oceano delle assurdità
riconosciute come tali.
Per semplice accostamento di soggetto e di datazione, appongo qui
l’immagine a stampo di un sigillo ciondolo in argento, inciso molto
finemente, scoperto a Loudun e sul quale avrò occasione di tornare.
Esso porta uno scudo ovale, timbrato da una corona di conte, sul quale
vediamo d argento allo scaglione di rosso accompagnato in capo e a
destra da tre gigli di Francia di..., a sinistra da un viso di luna in una
falce ascendente di... e in punta da un cuore di rosso sormontato da una
croce dal quale fuoriesce un sottile filo ondulato di sangue.

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60 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Qui, non vi è alcun dubbio, siamo di fronte a una rappresentazione del


Cuore di Gesù. Sul sigillo, questo cuore misura al massimo un
millimetro e mezzo di larghezza era dunque impossibile per l’incisore
raffigurare la ferita del colpo di lancia, ma il rivolo di sangue che ricade
lo indica chiaramente.
Il sigillo appartiene a mademoiselle Meunier, impiegata delle Poste a
Loudun.

Il sigillo di Jacques Musekin, pellicciaio alla corte di Borgogna


(1391)

Da quando i nostri padri, prima di Cesare, si coprivano delle pelli di


animali selvatici, dai tempi dei Galli romani che si rivestivano alle feste
di Bacco con nebridi di cervo, capriolo o daino, a Carlo Magno, del
quale Eginhard ci dice che solitamente portava un gilè di pelle di lontra o
di topo1, fino a quella splendida teoria di principi e gran signori, regine e
castellani, che i miniatori ai tempi dei Capetingi e dei Valois ci hanno
rappresentato tutti vestiti di ermellino, di vaio e di petit-gris, fino ai
borghesi e ai contadini di allora avviluppati d’inverno in pelli di capra,
gatto o coniglio, tutta la vecchia Francia ci appare dedita alluso delle
pellicce.
Dopo tutto, i ricchi trafficanti, fornitori attratti dai sovrani per i quali
facevano venire «dai paesi stranieri» i manti preziosi di animali a noi
sconosciuti, erano personalità che alle corti di quei principi venivano
tenute in gran conto.
Così ci appare maestro Jacques Musekin, mercante di pellicce, spesso
citato come Copin o Iacopin Musequin nei libri di conti e inventari degli
ultimi duchi eredi di Borgogna36 37.
Di questo personaggio, ci è rimasta una quietanza di pagamento di
pellicce su pergamena, che il dottor Jourdin di Chàlons-sur-Marne mi ha
gentilmente segnalato tramite LTntermédiaire des Chercheurs38 e che
oggi viene conservata negli Archivi Dipartimentali della Còte d’Or, a
Dijon (serie B, fascicolo 387).

36 Cfr. Eginhard, Vie de l'empereur Charleniagne, Champion, Parigi, 1923, p. 69, (rad.
Louis Halphen.
37 Cfr. H.B. Prost, Inventaires niobi liers des Dticsde Bourgogne, indice.
38 Cfr. L'Intermédiaire des Chercheurs, 10-30 agosto 1923, col. 649.

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LE ARMI ARALDICHE DELLA FAMIGLIA DI SAINT-LÒ
61
Ecco il testo cui devo la copia alla cortesia del canonico Marignv,
vicario generale del vescovo di Di jon.
Saichent tuit que le Iaques Musequin marchant de pelleteries et bourgeois de
Bruges cognoiz et confesse avoir heu et receu de Iosset de Halle argentier de mons,
Le due de Bourgoingne la somme de vint cinq francs d’or qui m’estoient deuz par
mon dit seigneur pour la vendue et délivrance de cin crns ventres de menu vair au
pris de V Franz le cent lequel menu vair mon dit seigneur donna a messire Phelippc
de Florigny chevalier ainsi comme mon- dement de mondit seigneur sur ce fait puet
plus a plain appareoir Desquelz XXV dessus diz le me tieng pour content et bien
paié et en quitte le dit argentier de tous aultres temoign mon scel et saing manuel
mis a ceste quittan- ce - Le IX' iour de Iuing l’an mil CCC1III** et onze.

Iakes
Sotto questa data del 9 giugno 1391 pende lo scel Musekin4 5
(«sigillo») a un solo nastro del mercante di pellicce, di
cui fornisco qui la riproduzione dai disegni ricevuti dal
Vicario generale di Marigny e dal dottor Jourdin: in mezzo al sigillo e in
basso si trova un cuore dal quale, fra due stelle, sale il fusto di una croce
che termina la sigla a otto raggi di Cristo, in cui si può notare una
seconda croce caricata della iniziale X di Xhrist; intorno, anticamente si
leggeva il nome di Jacques Musekin, oggi scomparso dalla cera.
Per lo studioso dottor Jourdin5, come per tutti quelli che, come lui, sono
specialisti di marchi simbolici della fine del Medio Evo, il cuore del
sigillo di Jacques Musekin è l’immagine indubbia del Cuore di Gesù
Cristo. La doppia croce caricata della lettera X lo indica sufficien-
temente.
Qualcuno forse dirà che questa potrebbe essere solo una di quelle
mente utilizzati dalla fine del Medio Evo al secolo XVI... Ebbene, capita
che il mio sapiente corrispondente di Chàlons-sur-Mame, il dottor
Jourduin - che mi indicò il cuore in questione come quello divino -, è
uno degli studiosi francesi che più si sono occupati dei suddetti marchi

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62 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Fig. 3. Il sigillo di Jacques Musekin agli archivi di Digione, 1391.

commerciali dell’epoca in questione. E se trafugatovi tedeschi, traspor-


tando in Germania la sua biblioteca di Saint-Quentin, e i suoi documenti,
ci hanno privato dello studio finito che si disponeva a pubblicare su Le
symbolisme dans la Signature fran^aise, di lui ci rimane, fra gli altri
lavori d’anteguerra, un prezioso studio sul 4 trinitario dei commercianti
che fu in uso fino al secolo XVII 39. Non sono affatto un fanatico del
«principio d’autorità», ma ritengo che malgrado tutto l’opinione di uno
studioso che si è specializzato in un soggetto e in un periodo storico,
debba prevalere sul parere dei contraddittori spesso improvvisati.
Qualcuno forse potrà dire: ma questo cuore non porta il colpo di
lancia; come può dunque essere considerato una rappresentazione del
Cuore del Signore?
Questo cuore fu apposto sulla pergamena di Dijon nel 1391 ; orbene,
nemmeno il cuore del sigillo di Estèrne Couret 40, che porta anch’esso la
croce e da cui scaturiscono dei raggi e che è pure dell'inizio del secolo
XIV quand'anche non della fine del secolo XIII, non porta la ferita della
lancia.
39 In Bibliographie de la France. Jounial de Flmprimerie et de la Librairie, fase, da 19 a
23.
40 Cfr. il mio «Le petit sceau d’Estème Couret», Regnabit, n. 9, febbraio 1922.

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LE ARMI ARALDICHE DELLA FAMIGLIA DI SAINT-LÒ
63
Nemmeno il Cuore raggiante del graffito del torrione di Coudray, a
Chinon, del 13098, messo in rapporto diretto con tutti gli strumenti della
Passione e sotto una raffigurazione della ferita laterale di Gesù, porta
traccia di questa ferita.
Nemmeno il Cuore raffigurato sulla croce, fra gli altri due cuori del
Calvario sullo stampo per ostie di Vich, e sotto i quali si legge il nome di
Cristo, XPS, porta la ferita della lancia9.
Così su altre raffigurazioni del secolo XIV. Sembra che all epoca
fosse la croce ad essere vista come la caratteristica del Cuore Divino; ma
dall'inizio del secolo XV, gli artisti cominciarono a rappresentare le
Cinque Piaghe con la raffigurazione delle mani e dei piedi trafitti, e
collocarono nel centro, per raffigurare la ferita laterale del cuore di Gesù,
l’immagine del suo Cuore aperto dalla lancia.
Tuttavia, nel corso del secolo XV, talvolta capita che il Cuore di Gesù
non sia ferito; è che in quell'epoca non cerano esitazioni sulla sua vera
identità. Ma quando il «Rinascimento», nella seconda metà del secolo
XVI, ebbe consumato il «sabotaggio» del vero simbolismo cristiano, la
confusione regnò ovunque nell'Arte religiosa; i sensi tradizionali
teologici morali o storici dei vecchi emblemi cessarono di essere capiti e
il loro uso fu lasciato all'arbitrio. È così che, relativamente al Cuore del
Salvatore, la ferita della lancia diviene la sola caratteristica che ci
permette di riconoscerlo con certezza, dato che dall'inizio di questo
secolo fu d’abitudine fra i mistici paragonare in svariati modi il cuore del
fedele fervente a quello che deve esserne il modello.
Ecco perché dicevo prima che è azzardato caratterizzare il Cuore del
blasone di Saint-Lò senza sapere quando fu composto.
Tornando al sigillo di Jacques Musekin del 1391, ecco dunque un
ulteriore esempio deH’immagine del Cuore di Gesù utilizzata nei mo-
menti ordinari della vita; infatti i sigilli o i segnalibri dei commercianti
erano di utilizzo quotidiano, e se è ancora troppo presto per trarre,
relativamente a quella lontana epoca, tutte le deduzioni generali che
sembra debbano derivare dai già numerosi documenti che possediamo, si
impongono già abbastanza per incoraggiarci vivamente nelle ricerche
che Regnabit porta avanti e per le quali il sigillo di Dijon è di grande
interesse.

• Cfr. «Le Sacré-Coeurdu Donjon de Chinon», Regnabit, n. 8, gennaio 1922.


• Cfr. il mio «Moule à Hostie du XIVe siècle...», Regnabit, n. 4, settembre 1922.

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Capitolo 7
Documenti popolari della fine del Medio Evo

Vi sono documenti che non fanno che passare come stelle cadenti nel
cielo; un gioco del caso li fa affiorare o uscire dall'ombra, nella quale
l’indifferenza degli ignoranti li teneva sepolti; poi, a volte anche molto
rapidamente, cause altrettanto fortuite li fanno sprofondare nuovamente
sotto la coltre dell'oblio, quand'anche non li fanno sprofondare per
sempre nell’abisso della distruzione.
Da ciò la grande utilità di fissarne le immagini affinché il loro ricordo,
e soprattutto ciò che in essi palpitava ancora delle anime di un tempo,
possa almeno sopravvivere per un po’ alla loro distruzione.
Spesso, il grande e magnifico cantore sacro che fu anticamente il
popolo di Francia ha plasmato queste povere testimonianze della sua
pietà, come anche, diciamolo, di tutti i suoi amori, con tanta fede, tanta
sottomissione e tanta speranza al punto che esse vibrano come lire per
coloro che sanno interrogarle e comprenderle.
Vi sono documenti che non fanno che passare come stelle cadenti... E
temo proprio che sarà il triste destino di quelli di cui voglio fissare
adesso la memoria nello scrigno devoto di Regnabit.

Stampo per monili di Saint-Laurent-sur-Sèvre (Vandea), secolo


XIV

Nel 1903, uno dei principali impiegati della tintoria di Saint- Laurent,
durante i lavori di sbancamento praticati in tale località, vicino alla
chiesa incompiuta, raccolse un piccolo stampo in pietra spezzato dal
piccone e che era stato fatto per colarvi contemporaneamente due
pendenti.
La forma di uno di questi oggetti era stata schiacciata, l’altra dava una
sorta di medaglia traforata, composta da una fascia a pentagono
irregolare e decorata al centro con un cuore fatto anch’esso di una fascia
piatta i cui bracci si ripiegano all'interno, a forma di croce.

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DOCUMENTI POPOLARI DELLA FINE DEL MEDIO EVO
65
Nel 1904, in un articolo per La Revue du Bas-Poitou ’, non feci che
indicare questa scoperta, e dieci anni più tardi cercai invano di sapere ciò
che era capitato a questo oggetto. Possiedo solo il disegno tratto da una
impronta in cera concessami da don Blanchet.
Confrontandolo con i monili delle collezioni Raoul de Rochebrune e
Parenteau provenienti dall'ovest, che portano delle iscrizioni e che quindi
hanno come datazione la loro paleografia, lo stampo di Saint- Laurent è
da collocarsi nel secolo XIV.
E sicuramente uno stampo da monile devozionale perché il cuore è
segnato dalla Croce.
Ma di chi è questo cuore?
Quello di un cristiano pieno di pietà verso il mistero della Croce?... È
possibile, ma non certo.
E il Cuore di Nostro Signore Gesù Cristo?
Sarebbe troppo ardito chi lo affermasse senza riserva, ma ancora più
temerario chi sostenesse assolutamente il contrario.

Fig. 1. Saint-Laurent-sur-Sèvre (Vandea), secolo XIV.

Oso dire questo: il cuore dello stampo di Saint-Laurent è in merito


all'iconografia del Cuore di Gesù un documento possibile, ma proble-
matico. La soluzione a cui rimanda può essere data solo per compa-
razione con documenti simili più caratterizzati. Perché non tentare?

Stampo per l’insegna della confraternita di Champigny-sur-


Vende (XV secolo)
Verso il 1898, il superiore della scuola congregazionista di
Champigny-sur-Vende possedeva una piccola placca di scisto nero si-
mile a quello dei depositi siluriani di Ile-et-Vilaine, in cui era stato
scavato uno stampo da colatura di piombo istoriato.

1
Cfr. La Revue du Bas-Poitou, 1904, fase. II.

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66 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Una volta morto l'eccellente religioso, la sua scuola, chiusa per le


leggi di spoliazione, ha subito vicende alterne e invano ho cercato di
sapere ciò che è stato dello stampo che potei vedere.
Fortunatamente, di esso mi restano varie impronte e rilievi a frotta- ge
con mina di piombo che sono documenti altrettanto probanti e più esatti
delle migliori fotografie. Di questi rilievi riproduco a fronte l’incisione
nelle dimensioni reali.
Naturalmente, le parti scavate vi appaiono in bianco e l’oggetto, una
volta stampato, si presentava rovesciato, cioè la lancia si trovava al posto
della canna e viceversa, come per le impronte in cera dei sigilli.
E facilmente comprensibile l’utilizzo di questo oggetto: applicato e
legato a un’altra parte piatta della stessa dimensione e preventivamente
scaldato, lo stampo veniva posto in piedi; il piombo o lo stagno in
fusione era versato dall’alto nell’imbuto e discendeva in tutto il reticolo
incavato, dove si fermava per raffreddamento. La profondità delle
scanalature, due millimetri circa, dava al metallo una rigidità
relativamente sufficiente.

Fig. 2. Champigny-sur-Vende (Indrc-et-Loire), secolo XV.

Questi stampi, piuttosto diffusi, si suddividono in due principali


gruppi: le «insegne di pellegrinaggio» e le «insegne di confraternite».
Quello di nostro interesse sembra debba essere annoverato nell’ultima
categoria.
Il Cuore di Gesù, crocifisso sull’intersezione della Croce, riassume
tutto il Corpo divino e i quattro chiodi, la lancia e la canna formano

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DOCUMENTI POPOLARI DELLA FINE DEL MEDIO EVO
67
attorno ad esso una composizione di gusto classico per il secolo XV.
Il soggetto è circondato da una cornice retinata destinata a dare ro-
bustezza all’insieme traforato. Gli anelli sul contorno servivano a fissare
il piombo sugli abiti o sul cappello.
All’inizio del secolo XVI Champigny divenne la residenza ducale dei
Montpensier e questi principi vi costruirono uno splendido palazzo di cui
non resta nemmeno l’ombra, mentre una Sainte-Chapelle dedicata a san
Luigi - che il cardinale de Givry, vescovo di Poitiers dal 1541 al 1555,
fece ornare con vetrate che sono incomparabili gioielli - è ancora intatta.
Però la Sainte-Chapelle di Champigny non sembra essere stata centro di
pellegrinaggio, come nessun’altra di questa località; mentre la vita
feudale e religiosa, già intensa nel secolo XV, permette di supporre
l’esistenza in quell’epoca di una confraternita, ammettendo che
l’interessante stampo appena esaminato sia stato anticamente, come è
assai verosimile, d’utilizzo locale.

Stampo della confraternita di Rennes (XV secolo)

Con la firma di monsignor Barbier de Montault, che nel secolo XIX fu


uno dei più qualificati specialisti dell’iconografia cristiana, la Re- vue de
l’Art Chrétien41 segnalava nel 1806 uno stampo in pietra scoperto a
Rennes, depositato al Museo di questa città, del quale Mowart presentò
le impronte alla Società degli Antiquari di Francia, il 10 giugno 1885.
Monsignor Barbier riferisce che da un lato vi erano gli Strumenti della
Passione e dall’altro un personaggio che descrive in maniera
particolareggiata.
Ricordandomi che il dotto prelato - mio concittadino e amico, al quale
una volta diedi una impronta dello stampo di Champigny - mi aveva
detto di possedere un altro stampo quasi simile, chiesi lo scorso febbraio
alla direzione del Museo di Rennes il disegno dello stampo in questione
per sapere se non fosse quello che monsignor Barbier mi aveva
segnalato.
In risposta, apprendo dal distinto conservatore del Museo di Rennes
che non vi si trova nessuno stampo corrispondente alla descrizione di
quello che segnala la Revwe de TArt Chrétien; non dispero affatto di
ritrovare presto l’immagine di quello che sarebbe stato interessante
accostare qui al documento di Champigny.
Ho tuttavia ritenuto utile segnalarne almeno l’esistenza.

41 Cfr. Barbier de Montault, «Iconographie d’un moule à usage de confrérie», Revue de l’Art
Chrétien, t. IV, 1886.

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68 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Stampo per dolci del Museo di Rennes (XVI secolo)

Nell apprendere dello stampo che monsignor Barbier mi disse essere


depositato al Museo di Rennes e non trovandolo, il gentile conservatore
di detto Museo, Paul Banéant, mi comunica le impronte di tre stampi per
dolci dei quali uno riporta una figura che merita di essere studiata in
questa sede.
Tutti e tre si compongono di un cilindro coperto da disegni scavati il
quale, rullato sulla pasta fresca spianata, vi lasciava dei rilievi che
restavano dopo la cottura. Tutte le estremità dei tre cilindri pollano dei
disegni incisi destinati a produrre degli ornamenti circolari sulla
superficie dei dolci.
Su uno di questi cilindri si vedono delle capanne, degli alberi, un
cavallo bardato con una sona di gualdrappa a rete; sul secondo, delle
foglie e l’iscrizione w. LE ROI DE F. (viva il re di Francia); sul terzo,
degli ornamenti a intreccio e le lettere capitali w L ripetute e separate da
cuori semplici e gigli di Francia.
Sembra che si possano interpretare le lettere w L con Viva Luigi
(Luigi XII, morto nel 1515). La forma delle capitali romane e lo stile
generale di tali stampi indica in effetti l’inizio del secolo XVI.
L’ultimo di questi stampi da me indicato porta a una delle sue
estremità una quattrofoglie e all’altra estremità una figura simbolica
formata da un cuore sostenuto da un crescente e cimato da una croce.
L'interpretazione del cuore non può sollevare alcun dubbio. È il Cuore
di Gesù, e questa identificazione è anche precisata dalla presenza della
falce di luna dalla quale nasce il Cuore.
Molti secoli prima degli stampi di Rennes, nella simbologia cristiana
la luna era uno degli emblemi della Vergine Maria «Pulchra ut luna»,
dicono di Lei i Libri liturgici: «O Vergine Maria, voi siete ai nostri occhi
bella e luminosa come la Luna nelle oscure ore della notte». E nelle
visioni di Pathmos san Giovanni ce la mostra vestita di sole con i piedi
posati su una falce di luna.
Così dunque - è un particolare che a mia conoscenza non è ancora
stato trovato su un documento più stilizzato e antico di questo relativo al
Cuore Divino - abbiamo qui l’immagine del Cuore di Gesù intimamente
unita al simbolo di Maria sua madre.

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DOCUMENTI POPOLARI DELLA FINE DEL MEDIO EVO
69

Fig. 3. Rennes (Ile-et-Vilaine), secolo XVI.

Andando anche oltre, verosimilmente l'incisore ha voluto riassumere


nel disegno di un solo emblema tutta la vita umana del Redentore che
nasce dal grembo di Maria e termina sul Calvario; infatti la croce patente
araldica che caratterizza iconograficamente il Cuore come quello di
Gesù, non è unica; essa ne porta un’altra, una croce latina che riporta più
direttamente il pensiero verso la morte del Redentore.
Sono certo che coloro che hanno studiato l’emblematica in uso da
Luigi XI a Enrico II, non troveranno tale interpretazione troppo forzata:
l'araldica profana dell’epoca ebbe dei simboli ben più complicati e
vicino ai quali il geroglifico del Cuore divino che avesse il punto
d’inizio e la fine della sua vita terrena sembra una concezione molto
semplice.
Ora, raccogliamo la lezione di questi oggetti senza valore del loro
tempo, che innanzi tutto furono semplici cose di uso comune; un monile
di pastore o di operaio, un piombo di una confraternita di campagna, uno
stampo per decorare dei dolci per gli artigiani e i borghesi di una bella
città... Notiamo come tutti sono pieni di significato perché coloro che li
hanno fabbricati erano pieni di fede; notiamo soprattutto che il culto del
Cuore di Gesù all’epoca doveva essere molto intenso perché si
manifestava perfino sugli oggetti più svariati della pietà e della vita di
tutti i giorni.
E stiamo parlando qui, non dimentichiamolo, del periodo che va dalla
seconda metà del secolo XTV al secondo quarto del XVI.

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Capitolo 8
Il Cristo assiso di Venizy e il suo blasone

Gli ultimi tre secoli del Medio Evo sono stati davvero un mondo in-
solito ed estremamente espressivo. Mai come in quel periodo l’umanità
si sentì vibrare l’anima nelle mani, sotto il grande respiro della Fede.
Ecco perché gli artisti di allora, pur essendo così personali nelle loro
concezioni, non di meno non violarono mai la disciplina artistica, ampia
e precisa al tempo stesso, che impose delle forme generali a ciascuno dei
tre mirabili secoli citati.
Gli artisti di Francia, spogliati di tutte le vecchie influenze dei defunti
paganesimi, creatori di un’arte fra le più belle, le più ariose che furono
mai fatte, detenevano all’epoca il primato nel mondo; e poiché erano
sinceri e profondi conoscitori d’anime, essi seppero creare in modo
eccellente tratti commoventi.
Intrisi di spirito cristiano, spesso anche di vera scienza spirituale, essi
prostrarono i loro migliori talenti soprattutto davanti a due grandi dogmi
della fede cristiana: al mistero dell’eucaristia, al quale innalzarono
incomparabili chiese, e a quello della Redenzione, con cui le popolarono
di meraviglie artistiche che restano fra le più eloquenti e più commoventi
del genio umano.
Le arti dal secolo XI al XII avevano mostrato sulla croce soltanto il
Dio trionfante per mezzo di essa; il XIII vi mise «l’Uomo del dolore» e
glorificò gli strumenti del supplizio; il XIV concepì un Cristo contratto,
contorto nella sofferenza e lo incoronò di spine; il XV lo mostrò invece
pendente miseramente dalla Croce, esangue e diritto, quasi un fantasma.
Erede dell’entusiastica adorazione delle generazioni precedenti verso
il sangue del Salvatore, per quel prezzo purpureo pagato alla giustizia in
nome dell’umanità, così riscattata, il secolo XV riuscì a far scaturire
dalla fede creazioni di una intensità stupefacente.
Fu così che, in onore di quel sacro sangue e per dimostrarne l’efficace
virtù di purificazione e di redenzione, inventò quelle impressio

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IL CRISTO ASSISO DI VENIZY E IL SUO BLASONE 71

nanti «Fontane di Vita», nelle quali, a volte, un intero popolo di pec-


catori si bagnava in profonde vasche ricolme del sangue divino caduto
dalle piaghe del Crocifisso.
In più, esso immaginò quegli inquietanti «Torchi divini» dove il corpo
di Cristo sostituiva nel tino il vino pigiato della vendemmia, e da cui il
sangue sgorgava a fiotti. Esso blasonò su grandi scudi color porpora non
solo l'immagine emblematica delle sante piaghe, ma il Cuore, le mani e i
piedi trapassati dalle lance e dai chiodi. E come incomparabili
«dimostrazioni» di queste ferite redentrici, esso creò il Cristo con la
Vergine, le cosiddette «pietà».
Tutto ciò, per esaltare, magnificare le sofferenze corporali di Gesù, e
per proclamargli la riconoscenza commossa del mondo redento.
Ma egli volle spingersi oltre e dimostrare i dolori interiori del Cuore
del Redentore nella Passione.
In terra di Francia ci fu un umile artista che osò affrontare con serenità
questo sconcertante problema. Dalla preghiera e dal cesello nacque un
nuovo tipo scultoreo, il più straziante, forse, che mai uomo abbia creato
nel campo dell’arte cristiana. La sua opera venne trovata così bella che
ben presto, da un angolo all’altro del regno, ne furono fatte delle
riproduzioni.
Per inquadrare la tematica, l'artista scelse l'istante della passione
immediatamente precedente la crocifissione.
Gesù è arrivato al limite ultimo delle forze umane, nei tormenti
dell’Orto degli Ulivi il suo corpo si è inzuppato di uno spossante sudore
di sangue; successivamente, i nervi sono saltati sotto i colpi del sar-
casmo: gli sputi, gli schiaffi, le innominabili brutalità della turba che lo
ha trascinato da Anna e Caifa, poi da Pilato, quindi da Erode e poi di
nuovo da Pilato.
In questo terribile percorso, il suo sangue è abbondantemente sgorgato
a causa dei morsi del diadema di spine, sotto le verghe e soprattutto sotto
i colpi di una terrificante flagellazione. Tre volte è caduto sotto il peso
del patibolo che gli è stato messo sulle spalle tumefatte.
Infine, eccolo arrivato!... Eccolo giunto dove deve morire. È il mo-
mento tragico in cui l’artista medievale lo ritrae: lo fa sedere su uno
spuntone di roccia e ce lo presenta in quel momentaneo arresto delle
torture corporee, per mostrarci ciò che succede in lui.
Svestito e legato con corde, non conservando altro che la sua dila-
niarne corona, le piaghe riaperte daH'impietosa lacerazione degli abiti, il
sangue discende liberamente per tutta la lunghezza del corpo che
lentamente lo imperla e gli gocciola da tutti i pori.
Adesso, egli guarda con occhi da uomo i carnefici che muovono la sua
croce e gettano davanti a lui i chiodi e i martelli atroci, mentre gli occhi
72 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

da Dio si addolorano alle visioni di ordine spirituale e profetico: 1


accumulo delle umane colpe future e l'inutilità del suo sacrificio per
quelle legioni di anime che le commetteranno... Orrori che fremono dalla
carne fino al cuore, per arrivare a toccare inesorabilmente lo spirito.
E in tutta l’acredine dell’angoscia giunta al suo parossismo, il con-
dannato è solo con i persecutori. I suoi amici più cari lo hanno ab-
bandonato; il migliore di essi lo ha rinnegato, egli lo sa; Maria, sua
madre, Giovanni, il discepolo diletto, e i santi compassionevoli che
hanno osato avvicinarlo durante la salita dolorosa, sono stati cacciati
indietro; anche il Cireneo se ne è andato.
Gesù è solo.
Non è forse qui il Vae soli! del libro deìYEcclesiaste, in tutta la sua
fredda e inesorabile crudezza? Maledizione sull'uomo che è solo quando
il dolore si aggrappa al suo cuore e lacera il suo corpo!
Ecco la fase, l’istante raramente considerato della Passione del Sal-
vatore, che il Cristo seduto degli artisti del secolo XV vuole evocare. E
la creazione di questa immagine suscitò un tale fervore devozionale che
gli scultori di allora la intagliarono a profusione.
Conosco certe immagini in legno dipinto cui i loro autori hanno
chiesto soltanto un atteggiamento, che essi hanno saputo rendere tuttavia
infinitamente commovente, cercando soltanto nelle forme anatomiche il
punto di partenza bastante al loro poema. Altre, cesellate nella pietra con
mirabile maestria, sono veri capolavori nel senso pieno della parola.
Voglio descrivere soltanto quello della chiesetta di campagna di
Venizy, nello Yonne, per un particolare ornamento dello zoccolo che
non può non interessare i lettori di Regnabit.
Il Cristo assiso di Venizy è fissato nella posizione comune a tutte le
statue di quel tipo. Ai suoi piedi, un cranio umano attesta che la roccia
sulla quale riposa appartiene alla cima del Golgota, che in latino si
chiama Calvarius mons, Monte del Cranio. Un cerchio fatto con un
unico ramo spinoso stringe la fronte divina, e i capelli si abbandonano in
lunghe ciocche, sporche di sangue fosco e rappreso. Una corda che
discende dal collo fra il dorso e il braccio destro si annoda due volte
attorno ai polsi e va ad ostacolare le gambe, fra i piedi e le ginocchia.
Qui sta proprio il grande sacrificato, in tutta l’angoscia della suprema
attesa. Fra poco verrà preso, perché così legato non può camminare,
scaraventato sulla croce stesa a terra e i chiodi, uno per uno, fa

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IL CRISTO ASSISO DI VENIZY E IL SUO BLASONE 73

l'anno stridere le ossa delle quattro membra, disgiungendole sotto i colpi


ripetuti dei martelli.
Ma come ho già detto, nel preciso istante in cui lo scultore ce lo dà da
contemplare, è solo il cuore che soffre, ma in modo spaventoso!
E proprio intagliando nella pietra la sua pia e tragica opera, l’antico
scultore, pensando alle statue dei sovrani e dei grandi dell’epoca, si disse
che anche questo re di dolore necessitava di un blasone. Allora, cesellò
su un bello scudo questo bizzarro motivo, ma alquanto significativo: un
Cuore di Gesù membrato dì due mani e due piedi trafitti dai chiodi della
Passione.
Il Cuore non è ferito, è il Cuore del Redentore ai piedi della croce, ma
ancora fisicamente vivente.
Certamente, simili raffigurazioni stupiscono e disturbano gli occhi
d’oggi, troppo abituati alle insulsaggini della beata iconografia, detta di
pietà, del secolo XIX. Gli artisti dei tempi in cui la fede era viva in-
tagliavano la pietra o il legno come gli scrittori di allora scrivevano sulla
ruvida pergamena, e il realismo di entrambi era traboccante di significato
e di vita.
I predicatori ripetevano che il Salvatore degli uomini si è lasciato
«inchiodare alla croce» soltanto per l’immensità dell’amore, che era
tutto amore, tutto cuore! E nella sua semplice rettitudine di concezione,
l’artista raffigurò il Crocifisso divino perché voleva dire: tutto cuore.
La potenza superiore dell’immagine fissa davanti agli occhi rispetto
alla parola che «spezza l’aria meno di un istante e se ne vola via», è tale
che sentiamo descrivere senza fatica alcuna cose che però, materializzate
davanti agli occhi, urtano e sconcertano la nostra attuale sensibilità. Gli
artisti francesi del secolo XV, senza arrivare al crudo realismo inglese o
tedesco, sono stati tuttavia ineguagliabili per pietà.
Nel loro simbolismo religioso, cercarono prima di tutto la potenza
dell’espressione. Perché le loro opere piacessero, bisognava che gli
emblemi esprimessero, fino a gridarlo, le verità o le cose che essi do-
vevano raffigurare in modo ostentato. E per tanto bizzarre che appaiano
ai nostri occhi, siamo costretti a riconoscere che l’immagine del Cuore
crocifisso di Venizy possiede al suo attivo tutta la pienezza
dell’espressione.
Non credo infatti possibile che si possa affermare più esplicitamente
con la scultura che il Cuore di Gesù fu a un tempo principio e punto di
partenza della nostra redenzione, la fisicità e la sensibilità in cui vennero
a sommarsi le sofferenze inaudite del Redentore, e anche

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74 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Fig. 1. Il Cristo assiso di Venizy (Yonne), fine del secolo XV. Altezza dalla punta dello scudo alla
sommità della statua: 1,25 m; altezza dello scudo da solo: 10,5 cm.

la sorgente naturale e primaria che fornì alle ferite del supplizio il sangue
sparso prima che «tutto fosse compiuto».
Ora, è dall'illustre maestro Emile Male che mi appresto a trarre le
parole di chiusura. Nel suo ultimo lavoro, parlando di alcune fra le opere
più commoventi ispirate dalla pietà agli artisti del secolo XV, egli
individua con estrema precisione che «quello che hanno voluto
glorificare, altro non è se non la sofferenza di un Dio che muore per noi.
La sofferenza ha infatti significato soltanto quando è accettata con
amore, quando si trasfigura in amore: nel secolo XV come nel XIII,
'‘amare" resta il supremo insegnamento dell’arte cristiana» ’.

’ E. Male, L'Art religieux de la fin du Moyen Age en Fratice, p. 97.

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Capitolo 9
I Torchi mistici

Ho detto in altra occasione che il secolo XV aveva spinto il culto del


sangue redentore fino agli estremi limiti della sensibilità umana. Molti
santi hanno conosciuto ciò che è stato definito «la follia della Croce»,
ma solo la fine del Medio Evo ha conosciuto quello che si potrebbe
chiamare una follia d'amore per il sangue divino del Crocifisso, e il
Torchio simbolico è stato certamente l'invenzione iconografica più
esasperata, se così si può dire, di quel sentimento di un mondo religioso
per il quale il vocabolario umano talvolta non sembrava non avere più
termini sufficientemente forti.
Uscendo dalla splendida serenità che il secolo XIII aveva imposto alle
manifestazioni dell'arte cristiana, i due secoli successivi vennero a
decadere, per ricerca eccessiva del patetico, in un realismo sconcertante
che gli artisti di allora, soprattutto quelli della fine del secolo XV, hanno
tradotto spesso in tutta la sua crudezza. Dice Emile Male: «Per meglio
esprimere l’orrore della Passione, e per far capire bene che Gesù ha
versato il suo sangue fino all'ultima goccia, essi lo mettono sotto la vite
di un torchio, il sangue sgorga come il succo dell’uva e cola nel tino. È il
tema conosciuto con il nome di Torchio mistico» ’. Viene detto anche
«Torchio d’amore».
La profezia di Isaia contiene questo versetto impressionante, che fu il
punto di partenza dei torchi simbolici:
Chi è colui che viene da Edom,
che viene da Bozra con vesti scarlatte?
[...] «Io, che parlo con giustizia,
sono il Salvatore potente».
Perché rosso è il tuo mantello
e i tuoi abiti come quelli di chi pigia nel tino?
«Nel tino ho pigiato da solo» [...]42 43.

42 E. Male, L’Art religieux (le la fin du Moyen-age en France, III, p. 125.


43 /s63,1 e 2.

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76 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

E san Giovanni Evangelista, facendo eco al lontano profeta di Israele,


dice del Cristo di Dio:
È avvolto in abiti intrisi di sangue ’.
Già i mistici della prima metà del Medio Evo avevano rappresentato
Gesù in veste di vendemmiatore che, una volta raccolta l'uva, la pigia
con i piedi nel tino. È quello che vediamo neWHortus deliciarum
dell'abbadessa Herrade, secolo XIII: sotto la pigiatura, il vino cola dalla
piastra del torchio e la Chiesa, rappresentata da un Papa, da prelati e
monaci, porta ancora uva.
Cristo in questa scena è soltanto il torchiatore; l'arte della fine del
Medio Evo osò molto di più: il Redentore diviene lui stesso il frutto
della vigna e prende il suo posto sotto il legno del torchio, come aveva
detto sant'Agostino4, che vede in lui l'uva divina, raffigurato da quello
che fu per gli ebrei il rivelatore e il pegno della Terra Promessa5.
Questo tema del Torchio mistico fu particolarmente caro ai prestigiosi
pittori vetrai al tempo dei re Luigi XII e Francesco I. In pagine
magnifiche, che il mondo intero oggi conosce e alle quali posso soltanto
rimandare, il maestro Emile Male ha magnificamente parlato di queste
meravigliose opere d’arte. Il loro tema generale? Eccolo: una vetrata di
Conches (Eure) mostra Gesù in piedi fra due piastre orizzontali di un
torchio dell’epoca ravvicinate e strette da due potenti viti; il sangue cola
dalle piaghe divine e dalla piastra del torchio ricade nel tino della vita.
Su un'altra vetrata, a Saint-Etienne du Mont, a Parigi, Gesù è steso sotto
al torchio; il Papa, dei cardinali, dei vescovi, dei santi, dei fedeli
imbottano il suo sangue, che è il vino. È la riserva del tesoro redentore
che deve riscattare gli uomini fino alla fine dei tempi.
Una incisione della prima metà del secolo XVI, posseduta dal Cabinet
des Estampes a Parigi, sembra riassumere tutte le rappresentazioni del
Torchio mistico nella grande arte francese di allora. Male la analizza
come segue:
Il soggetto è stato concepito come una sorta di strana epopea in cui la trivialità si
mescola alla grandezza; è al tempo stesso il poema della vigna e il poema del
sangue.
Si vedono anzitutto i patriarchi e gli uomini dell'Antica Legge che coltivano la
vigna sotto l’occhio di Dio. Dopo lunghi secoli di attesa, ecco an ivare

’ Ap 19, 13.
4
Cfr. Sant’Agostino, Commentario sui Salmi, LV.
5
Cfr. Nm XIII, 23.

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I TORCHI MISTICI TI

finalmente il tempo della vendemmia; gli apostoli raccolgono l’uva e la mettono nel
tino. Ma non si vedono grappoli nel torchio, bensì lo stesso Cristo; non è il succo
della vigna che cola nel tino, è il sangue di un Dio. Questo sangue sarà d'ora in
avanti la bevanda degli uomini. Un barile trainato da una muta dantesca, il leone di
san Marco, il bue di san Luca e l’aquila di san Giovanni, condotta dall’angelo di san
Matteo, porta il liquido divino per il mondo. È nata la Chiesa, d’ora in avanti essa
sarà la custode di questo sangue. I quattro Padri della Chiesa lo ritirano nei barili;
poco oltre, un Papa e un cardinale, con l’aiuto di corde, fanno scendere le botti in
cantina; un imperatore e un re trasformatisi in facchini, li assistono. Questo sangue,
che la Chiesa conserva nelle sue cantine, lo distribuisce ai fedeli; e, infatti, in
secondo piano si scorgono dei peccatori che si confessano e che, una volta assolti, si
comunicano44.

La grande arte non fu la sola ad appropriarsi del tema del Torchio


mistico: lo troviamo ridotto simbolicamente in piccoli oggetti molto
poco conosciuti. Tuttavia, essi furono in voga nello stesso periodo che
abbiamo precisato poco fa.
Non è più il corpo sacrificato del Redentore che ci mostrano sotto la
pressa, ma il suo cuore soltanto, e la riduzione simbolica non poteva
essere più soddisfacente, sia dal punto di vista dell’idea che della resa
materiale di questi piccoli oggetti: l’uva è il crogiuolo naturale in cui si
elabora il vino sotto il fuoco del sole dell estate; il cuore è il crogiuolo e
la riserva in cui il sangue e l’amore di Cristo per noi si sono elaborati.
Inoltre, la forma stilizzata dell’uva è identica alla forma stilizzata del
cuore: sia luna che l’altra possono inscriversi nella cornice di un
triangolo rovesciato45. E il simbolismo medievale, anche nelle ultime ore
del suo declino, non fu affatto indifferente agli accostamenti morfologici
di questo genere. Il cuore che prende il posto dell’uva era dunque in
pieno accordo con lo spirito del simbolismo tradizionale.
Il tema ridotto dei piccoli oggetti di cui ci occuperemo è presente in
una dimensione più grande in un magnifico ricamo della stessa epoca
(fig. 1).
Esiste al Museo di Napoli una grande «cartagloria» che all'inizio del secolo
XVI fu ricamata a piccolo punto su stamigna bianca nell’abbazia reale di
Fontevrault, allora diocesi di Poitiers, per Charles de Lorraine,
arcivescovo di Reims. Riproduco qui il torchio che vi si trova, ma
spogliato delle foglie e dei fiori di cardo che sono soltanto

44 E. Male, op. rit, p. 120-122.


45 Ciò che i testi induisti chiamano costantemente «il triangolo del cuore».

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78 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Fig. 1. Il Torchio mistico ricamato su un cartagloria, secolo XVI.

un’allusione araldica al nome del prelato destinatario di questo carta-


gloria: sono i «chardons de Lorraine». Vi vediamo il Cuore divino fra le
due piastre orizzontali di pressione azionate da due forti viti verticali;
sopra e sotto, le parole tratte dal testo di Isaia: Torcular calcavi solus,
«Nel torchio ho pigiato da solo».
Sono felice di potere accostare a questo documento iconografico una
sottile placca di rame rinvenuta nella regione angioina nei dintorni di
Fontevrault, che mi è stata comunicata da don Ballu, curato di Pamay
(fig. 2).
Questo oggetto risale alla fine del secolo XV o all’inizio del secolo
XVI; le linee che formano il disegno sono fatte a sbalzo e i forellini
praticati attorno indicano che questa placca doveva essere fissata o su
un’asse di legno o su una stoffa, come quelle dei guanti pontifici. Il suo
diametro è di sei centimetri.
Vi scorgiamo il cuore disteso fra le due piastre del torchio, sopra al
quale in una nuvola la mano divina benedice; al di sotto, a ricevere il
sangue che sta colando, una vasca il cui profilo ricorda il Sacro Catino di
Genova.
Anche questo tema iconografico si ritrova in piccoli monili a cion-
dolo, o «pend-à-col», come si diceva all'epoca della loro fabbricazio-

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/ TORCHI MISTICI 79

Fig. 2. Il Torchio mistico su una placca di rame del secolo XV o XVI.

ne, che rappresentano anch essi il cuore nella stretta del torchio. Sono
dello stesso periodo tutti i documenti che abbiamo citato.
Uno dei due è al Museo del Louvre a Parigi, nella Galleria di Apol-
lon. È in oro e lo rappresento qui. Tre piccoli globuli che somigliano a
sonagli pendono sotto il torchio, come si vede sotto numerosi ciondoli
religiosi o profani della stessa epoca (per esempio, i piccoli ciondoli d
oro e pietre preziose che rappresentano Cristo in Croce, il Centurione
armato, il Pellicano e la sua nidiata, della collezione Dutuit che oggi è in
possesso della Città di Parigi, fig. 3).
Un altro torchio in argento dello stesso genere, ma senza globuli, fu
rinvenuto nel 1898 durante i lavori di sterramento che fece fare nel suo
castello di La Boulaye, a Treize-Vents (Deux-Sèvres), la marchesa di
Cintré. Ho commesso l’errore, all’epoca in cui lo ebbi fra le mani, di non
prenderne il disegno. Per la verità, allora non sapevo cosa significasse
esattamente.

Fig. 3. Piccolo Torchio mistico in oro. Museo del Louvre, Galleria di Apollon, n. 437,
secolo XVI.
Al castello di Granges-Cathus, a Saint-Hilaire de Talmont (Vandea),

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80 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

la palle inferiore di uno scalone di pietra è ornata da un numero


considerevole di medaglioni scolpiti e caricati di motivi araldici e
emblemi vari. Su molti di questi medaglioni figura il Torchio d’amore
rappresentato esattamente come quello dei piccoli monili in esame, con
la sola differenza che due getti di sangue, che somigliano a dei nastri,
scaturiscono dal torchio (fig. 4).

Fig. 4. Il Torchio simbolico sul medaglione di pietra del Castello dei Granges-Cathus, Saint-Hilaire
de Talmont (Vandea), secolo XVI.

Su questo documento e sui piccoli torchi/monile è permesso chiedersi


se non siano talvolta emblemi di amore profano; infatti i cuori che vi si
vedono non portano come quello della cartagloria di Fonte- vrault la
ferita della lancia, nemmeno quello della placca di rame sbalzato
proveniente dalla stessa regione la porta, e tuttavia la mano divina
benedice e consacra il suo sacrificio.
Dunque, alcuni si chiederanno forse se i piccoli torchi monile non
avrebbero potuto essere oggetti profani; infatti il povero essere umano,
che ha le stesse parole per esprimere l'amore che Dio prova per noi e
l'amore che prova lui per Dio e per i suoi simili, per esternare tutti questi
sentimenti utilizza sempre gli stessi emblemi. Tuttavia, molto
verosimilmente questi piccoli oggetti, che sono monili femminili,
possono essere visti a ragione come oggetti di devozione; perché non si
vede come questa idea del torchio, derivata da un testo biblico che
conviene per applicazione mistica al Cuore di Gesù Cristo, possa essere
convenientemente trasposta al cuore umano invaghito di un amore
terreno.

È così anche, malgrado il suo carattere profano, per quello dello

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/ TORCHI MISTICI 81

scalone di Granges-Cathus, torchio dal quale scaturiscono due strisce di


sangue; infatti la rossa effusione correntemente in uso nell'iconografia
del Cuore di Gesù è usata soltanto eccezionalmente, quand’anche mai, in
quella del cuore umano, fatta eccezione per quello della Vergine Maria,
trafitto dalle sette spade simboliche; ma si tratta al- l'occorrenza della
traduzione in immagine di un testo sacro. Le migliaia di cuori umani di
tutti i tempi che si vedono ovunque trapassati dalla freccia d'amore non
sono mai sanguinanti, sebbene talvolta siano atrocemente feriti.
Se si volesse vedere al di sotto del torchio dei Granges soltanto due
nastri ornamentali, bisognerebbe convenire che potrebbero essere solo le
estremità della striscia che permetteva di portare al collo i monili simili a
quelli del Louvre. La somiglianza totale del torchio dei Granges-Cathus
con i motivi che presentano il ricamo di Fontevrault e il rame della stessa
regione permette di vedere in esso ragionevolmente sia il Torchio
mistico che il Torchio d’amore profano, ammesso che questo simbolo
sia stato in uso nell’arte decorativa dei nostri avi.

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Capitolo 10
I marchi commerciali dei primi stampatori francesi

Dai vasai celti di epoca gallo-romana, che per primi firmarono o


marchiarono le loro opere nel nostro paese, fino ai prestigiosi ar- maioli
della fine del Medio Evo e del Rinascimento, molti maestri in seno alle
corporazioni artigianali fecero portare alle loro opere dei segni di origine
particolari. È così che i «monetari» merovingi, responsabili della qualità
dei pezzi d oro e d’argento che battevano un po' ovunque, fino nelle
contrade più isolate, li marchiavano con il loro nome, con le loro sigle
personali, con le loro stesse effigie.
Nei secoli che seguirono, il segno particolare del produttore fu sempre
meno applicato sulle sue opere, ma nell’ultima parte del Medio Evo tale
pratica riprese in varie branche dell’industria, soprattutto presso i primi
stampatori, dopo che, nonostante varie difficoltà, alla Sorbona era stato
pubblicato nel 1469 il primo libro stampato in Francia.
Subito dopo questa data, l’industria del libro stampato si sviluppò
rapidamente e gli stampatori con gli incisori su legno, i rilegatori, gli
ultimi miniatori, i fonditori di caratteri, i librai, ben presto formarono
corporazioni influenti in molte città del Regno.
Praticamente dall'origine di questa industria, ogni stampatore si fece
incidere su legno un marchio specifico caricato del suo nome, con il suo
monogramma, con la sua divisa, con emblemi che riflettevano i suoi
gusti, le sue affezioni di ordine superiore, il suo spirito personale, la sua
buona fede professionale, ecc.
Gli stampatoli mettevano solitamente queste incisioni al centro della
prima pagina sotto il titolo dei libri che nascevano nelle loro officine;
altri, come i fratelli Angeliers di Parigi, 1537, li mettevano alla fine del
volume come motivo conclusivo. In entrambe le posizioni, era tanto un
certificato di origine quanto una «propaganda» pubblicitaria.
Anche alcuni librai, che non stampavano da sé, si fecero incidere dei
marchi con il loro nome che facevano mettere nelle stesse posizioni di
quelle degli stampatori, sui libri che stampavano a loro spese.

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I MARCHI COMMERCIALI DEGÙ STAMPATORI
FRANCESI 83
Poiché, per gli uni come per gli altri, la pergamena, la carta da libro e
il cliché di legno inciso si prestavano mirabilmente, molto meglio, per
esempio, dell’argilla dei vasai o del metallo degli armaioli, i loro marchi
professionali e commerciali furono delle vere composizioni, più
espressive e parlanti di tutte le altre, e molte di esse furono il riflesso del
sentimento religioso di quelli che le avevano scelte.
Fra queste ultime, esaminiamo soltanto quelle su cui appariva il Cuore
di Gesù. E diciamo, sacrificando a volte un po’ troppo al gusto del
misterioso, del complicato, essi accompagnarono talvolta sia la
rappresentazione del Cuore del Salvatore, sia quella dei loro cuori, con
segni già enigmatici nella loro epoca e di cui molti sono divenuti oggi
problemi senza soluzione certa. E ciò rende il loro pensiero spesso così
difficilmente comprensibile che si impongono delle riserve, per lo meno
secondo le mie conoscenze.
D’altra parte, alcuni cuori, di cui non ci occuperemo in questa sede,
sono impersonali, voglio dire puramente emblematici, e rappresentano la
carità oppure la semplice buona fede del commerciante. Tali intenzioni,
così varie e spesso nebulose, impongono anch’esse prudenza negli
apprezzamenti dell’iconografo1.

Antoine Vérard

Antoine Vérard, stampatore a Parigi dal 1480 circa al 1530, fu nei


primi tempi della stamperia in Francia uno dei più celebri fra i nostri
stampatori librai.
Anch’egli abile e di gusto sicuro in tutte le arti relative al libro, a un
tempo stampatore, miniatore, calligrafo e libraio, cominciò verso il 1485
le sue grandi edizioni di lusso e diede all’industria nascente del libro un
impulso meraviglioso.
Malgrado le risorse modeste e una strumentazione ancora molto
rudimentale, Vérard fece uscire dalle sue macchine da stampa più di
duecento edizioni di lavori francesi.
Agli inizi abitava sul Pont Notre-Dame, che crollò nel 1499, e a Pa-
lais; poi, all’incrocio Saint-Séverin, indi tornò nella Cité; ma sempre,
ovunque fosse, appese alla sua porta l’insegna con l’immagine del

' Per non gravare queste pagine di troppi rimandi, segnalo insieme i seguenti studi, dai quali ho
attinto con grande profitto: Lacroix, Foumier e Séré, Histoire de l’Itnprimerie-, Bou- chot, Le
Livre; Grimouard de Saint-Laurent, Les Images du Sacré-Cceur au point de vue de l’Histoire et de
l'art; Sylvestre, Marques typographiques', Claudin, Histoire de l'Imp rimerie en France.

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84 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO
santo protettore al quale aveva affidato il successo della sua fatica: san
Giovanni Evangelista. E i libri usciti dalle sue macchine da stampa lo
dicono espressamente: «Cy finist le premier volume des Croni- ques de
France, imprimé à Paris, le dixiesme iour de septembre, Fan mil iiii cens
quatre vingt et treize, par Anthoine Vérard, libraire, de- mourant à Paris
sur le Pont Notre-Dame46, à Fenseigne saint Jean FE- vangéliste, ou au
Palais, au premier pillier devant la chapelle ou l’en chante la messe de
messeigneurs les présidens»47.

Fu per questa devozione al discepolo prediletto di Gesù, che nel-


l’Ultima Cena riposò sul Cuore del Maestro, che Vérard fu indotto a
mettere nel suo marchio commerciale, al di sopra di tutto, l'immagine
del Cuore del Salvatore? Si potrebbe crederlo se Vérard fosse stato
l'unico del suo tempo a esaltare questa immagine, ma si trovava un po’
ovunque già da allora; Vérard non fece altro che seguire la sua epoca, in
cui la pietà al Cuore di Gesù era veramente popolare; bisogna che si
46 All’epoca, il Ponte Notre-Dame aveva delle piccole botteghe ai lati e Vérard poteva averci
un magazzino; le sue macchine dovevano trovarsi altrove.
47’ [«Qui finisce il primo volume delle Cronache di Francia, stampato a Parigi, il decimo
giorno di settembre, l’anno mille IIII cento novanta tre, da Antoine Vérard, libraio, residente a
Parigi sul Ponte Notre-Dame all’insegna di san Giovanni Evangelista, o a Palais, al primo pilone
davanti alla cappella ove si canta la messa di monsignori i presidenti», N.d.T.].
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I MARCHI COMMERCIALI DEGIJ STAMPATORI
FRANCESI 85
giunga a riconoscerlo unanimemente.
Conosciamo due cliché del marchio di Vérard, simili per composi-
zione e decorazioni, diversi per fattura e disegno, cioè il secondo copiato
dal primo, ma differenti per una cosa.
Vi vediamo: sopra una aiuola di fiori, il cuore di Vérard caricato del
suo monogramma e tenuto alla maniera araldica da due falconi.
Sopra a questo cuore, il blasone reale di Francia, timbrato dalla co-
rona e tenuto da due angeli.
Sopra ai suddetti due motivi, dominante sulla cornice, perché sia al
centro della preghiera che si svolge sulla bordura, il Cuore di Gesù
caricato del suo monogramma i H S, Jesus. A lui è rivolta la preghiera
che è così formulata: POR PROVOCQVER IHS TA. GRAT. MISERICORDE. DE.
TOVS. PECHEVRS. FAIRE. GRACE. ET. PARDON. ANTHOINE. VÉRARD. HUMBLE-
MENT. TE. RECORDE. CE. QU'lL. A. TIENT. DE TOI. PAR. DON.
Quindi, non posso avere dei dubbi; due cuori sono presenti in questa
immagine: quello di Vérard segnato con le sue cifre, l'altro, posto nel
testo di una preghiera, faceva tutt'uno con essa, avvolgendo il nome di
Gesù che vi si trova; questo Cuore è il solo motivo religioso di tutta la
composizione. Quindi può essere soltanto alla grande misericordia di
questo Cuore che Vérard chiede il perdono di tutti i peccatori 48.

48 Qual è l’esatta portata di questa preghiera pubblica di Vérard? Egli non chiede al Cuore del
Redentore di fare grazia e perdono a tutti i peccatori, ma di concedere grazia e perdono di tutti i
peccatori. E chi dunque può essere perdonato nell’insieme «di tutti i peccatori» se non il genere
umano? La mistica della sua epoca permetteva troppo bene al pensiero di Vérard questa ampiezza
perché si possa rifiutare di riconoscerla nella sua preghiera mentre lo pretende la lettera del suo
testo. Leone XIII, scrivendo la Consacrazione del genere umano al Cuore di Gesù, e Pierre Vérard,
redigendo il testo del suo marchio, hanno obbedito alla medesima ispirazione.
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86 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Fig. 2.

Pierre Le Caron

Oltre a quello che produceva nella sua bottega, Vérard, per alimentare
la sua rinomata libreria, ricorreva anche alle officine di qualche altro
buono stampatore. È così che utilizzò i mezzi di Pierre Le Caron.
I libri usciti dalle stamperie di Le Caron si distinguono perché questi
adottò uno dei marchi di Vérard, il primo che fece incidere - ed è questo
forse che diede adito all esecuzione dell altro - ma, per poterlo utilizzare
a nome suo, fu praticato nel basso del cliché di legno un intaglio a
mortasa che non avrebbe potuto avere altro scopo se non quello di
permettere l'inserzione, a livello di un pezzetto di legno inci

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I MARCHI COMMERCIALI DEGÙ STAMPATORI
FRANCESI 87
so con il nome «Pierre Le Caron». Sul cuore di Vérard il monogramma
di quest’ultimo fu cancellato e il suo posto fu lasciato in bianco.

Fig- 3-

Ho sottomano il libro intitolato Les lunettes des princes cóposées p.


noble Jeha meschinot escuter en son vivat grat maistre l’hostel de la
Royne de France. Questo libro stampato nel 1494 porta il suddetto
marchio con il nome di Pierre Le Caron in minuscole gotiche nell’in-
taglio.
Nell’adottare così il marchio devozionale di Vérard, Le Caron faceva
di conseguenza sua la preghiera al Cuore Divino ivi presente. E niente
può portare a pensare che fu obbligato da Vérard; questi, infatti, nelle
stesse condizioni venutesi a creare con lui, ricorse alle officine di molti
altri stampatori parigini: Pigouchet, Bocard, Pierre Le Rouge, per
esempio, che usarono soltanto marchi di ordine assoluta- mente profano.

Pierre Levet

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88 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO
Ecco un altro stampatore, Pierre Levet, che lavorò lui pure per sop-
perire all’insufficienza delle macchine di Vérard.
Del resto, era un suo vicino, dato che nel 1491 abitava in fondo a Rue
Saint-Jacques, vicino a Saint-Séverin, all'insegna delle Bilance
d’argento.
Tre anni dopo, si stabilì nel sobborgo di Saint-Germain des Prés,
all’insegna della Croce d’oro. Probabilmente, fu allora che prese

Fig. 4.
come marchio commerciale un grande scudo caricato di una croce sulla
quale si vede, invece dell’immagine di Gesù Cristo crocifisso, quella del
suo Cuore trafitto dalla lancia, ferito da chiodi e circondato dalla corona
di spine.
Ai lati dello scudo, due angeli sostengono uno la colonna della fla-
gellazione e l’altro la spugna.
Ho già dato il marchio di Levet in Regnabit-, però, sull’argomento che
ci interessa, è un documento troppo espressivo perché non sia opportuno
esporlo anche in queste righe.
Questa rappresentazione del Cuore di Gesù, che riunisce in sé tutte le
sofferenze della Passione, è talmente parlante che dispensa da ogni
commento.

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I MARCHI COMMERCIALI DEGIJ STAMPATORI
FRANCESI 89
Jean Hardouin

Su Heures de la Bienheureuse Vierge Marie uscito per Jean Hardouin,


il contrassegno che fa da marchio professionale rappresenta anche le
Cinque Piaghe del Signore, come il marchio di Pierre Levet.

So» frate C&atie 3irfft>


nies fccunSil 1Q orna
nw»j : totafftcr
fine rcqurèc.

gmptnasi pontili bici JofateM tm fot t cnnmt befttì bftrtf


Fig. 5.
Le mani sono negli angoli superiori, i piedi negli angoli in basso, il
Cuore vulnerato al centro, nel doppio nimbo della corona di spine e di
un rosario che sei rose suddividono in sei gruppi di cinque grani.
Jean Hardouin era stampatore o semplice libraio? Aveva un qualche
rapporto con Germain e Gilles Hardouin, stampatori e librai a Parigi dal
1491 al 1521, dei quali il secondo non fece nemmeno raffigurare il suo
nome su nessuno dei quattro diversi marchi che portano i suoi libri?
Uno dei marchi di Gilles Hardouin si fregia del blasone reale del
Portogallo che porta i cinque punti emblematici delle Cinque Piaghe di
Cristo ripetute cinque volte5.

Nicole de La Barre

Stampatore e libraio a Parigi (1497-1518), Nicole de La Barre ha fatto


uso di due marchi incisi con molta perizia.
Il primo, su un fondo «punteggiato», mostra un cuore circondato da
ossa che delimitano un cartiglio a nastro tenuto da due angeli e che porta
la divisa funebre Mors omnibus equa. Su un altro cartiglio, attraversato
da una freccia che non ferisce il cuore, il nome del maestro stampatore:
De Barra-, e ciascuno dei due angioletti che reggono il primo cartiglio
porta il suo blasone familiare caricato di una barra araldica.
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90 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO
Sopra la freccia e nettamente separato da essa, la Croce del Salvatore,
la cui asta è ornata dalla iniziale x della parola Xhrist, come a volte si
scriveva all epoca. Una graziosa decorazione floreale circonda questa
parte del marchio.
Sopra di essa, il giglio di Francia sormontato dalla corona reale ai cui
lati si vedono, nel centro di due fiori di papavero, i Cuori di Gesù, i H s,
e di Maria, M A.
Le ossa funebri che accompagnano il cuore di Nicole de La Barre
sono una allusione al suo nome: «de Barra», in francese «de La Barre».
In quell epoca, la maggior parte delle confraternite e delle grandi
corporazioni di mestiere italiane avevano ciascuna la loro bandiera
personale, nonché la propria bara, decorate con le insegne di mestiere e
delle armi corporative.
La bara era e resta ancora una sona di piccolo carro funebre per il
trasporto a mano, riservato ai membri della corporazione o della

Torneremo sull'origine storica e mistica delle anni araldiche reali del Portogallo.

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1 MARCHI COMMERCIALI DEGLI STAMPATORI
FRANCESI 91
confraternita. Ecco perché, giocando sul significato mediterraneo del suo
nome, Nicole e, dopo di lui, suo figlio Antoine, disseminarono i loro
marchi di resti funebri.
L’altro marchio di Nicole ci mostra Adamo ed Èva nel recinto del
Paradiso terrestre mentre sostengono con le mani un cuore caricato delle
iniziali del maestro stampatore e della sua sigla commerciale. Questo
cuore è sormontato dalla croce la cui asta porta la x di Xhrist, e qui la
Croce prende direttamente il Cuore.
Certamente, qui il pensiero è espresso molto meno chiaramente ri-
spetto al marchio precedente.
Sono possibili due interpretazioni: se non è quello di Gesù, il cuore
rappresentato è quello di Nicola penetrato dalla croce di Gesù Cristo al
quale funge da piedistallo. Ma come spiegare con questa ipotesi la
presenza di Adamo ed Èva?
Oppure sono Adamo ed Èva che annunciano alla loro discendenza la
promessa del Redentore mostrando ad essa anticipatamente la sua Croce
e il suo Cuore. È risaputo che l’annuncio di tale promessa è sta-

Fig. 6.

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92 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Fig. 7.

to spesso evocato dagli antichi autori e che è stato raffigurato da pittori


di vetrate, da miniaturisti e scultori.
In tale ipotesi, Nicole avrebbe avuto il grande ardire di porsi sotto
l'emblema delle sue iniziali, nel cuore stesso di Gesù. E ciò non sarebbe
per niente assurdo per un uomo pio che nell’altro marchio portava
ostentatamente i cuori disegnati con il nome di Gesù e di Maria, e che
viveva nei giorni in cui dalle cattedre di Parigi, la sua città, Olivier
Maillard predicava e consigliava a tutti questa preghiera: «Vos volui- sti
latum vestrum aperire: precor in medio cordis vestri valeam habi- tare»,
«Voi avete voluto [o Cristo] che il vostro costato fosse aperto, vi prego,
fate che io possa abitare nel vostro Cuore»49.

Antoine de La Barre

Antoine de La Barre figlio di Nicole fu stampatore e libraio come il


padre. Il suo marchio porta unicamente un grande scudo, circondato da
un cartiglio a nastro che ne segue i contorni esterni e che decora

49 Cfr. il mio «La Blessure du Coté de Jésus», Regnabit, n. 6. novembre 1923 [trad it. in II
giardino del Cristo ferito, op. cit., cap. XVII; cfr. pure «I documenti di Vendòme e Tavemy», nel
presente volume].
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I MARCHI COMMERCIALI DEGIJ STAMPATORI
FRANCESI 93
no i resti macabri dei La Barre (bara), come anche le seguenti parole, che si riferiscono allo scudo stesso: ARMA NOSTRE
SALUTIS, armi araldiche della nostra salvezza.

Fig. 8-

È quello che altri documenti di araldica sacra chiamano «armi


araldiche di Cristo», Arma Christi.
Sullo scudo commerciale di Antoine de La Barre, gli elementi evo-
catori di tutte le sofferenze del supplizio divino sono: attorno alla croce,
la lancia e la spugna; la colonna, la frusta e le corde con il gallo di san
Pietro; la scala, le tenaglie e il mantello; la lanterna, la spada di san
Pietro e i trenta denari; il lavamani di Pilato, i volti di Caifa e di Erode.
Sulla croce, la corona di spine, i chiodi e un cuore.
Di chi è questo cuore?
Vi si vedono le iniziali dello stampatore poste su un cartiglio a nastro
come quello del padre, attraversato da una freccia, poi i due mo-
nogrammi sacri, come sui Cuori di Gesù e di Maria del marchio del
padre Nicola: i H s, rnesus, e M A, MariA. Davanti a questi monogrammi
il cartiglio si interrompe e scompare, di modo che riposino diretta-
mente sul cuore.
Non si direbbe in anticipo la teoria eudista che sarà pubblicamente
predicata poco dopo: l'unione, la fusione di due Cuori di Gesù e Maria in
un solo cuore?
Vi è anche un’altra cosa: si sa come i simbolisti di quei tempi talvolta
amassero dare due sensi agli stessi emblemi, l’uno apparente e popolare,
l’altro segreto e profondo; si sa anche quanto l’occultismo fosse in auge
fra i migliori ambienti intellettuali del tempo, almeno per quello che le
scienze segrete hanno di compatibile con l’ortodossia.
Ora, sul marchio che stiamo esaminando, il monogramma composto
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94 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO
dalle lettere M e A sovrapposte sembra - molto più nettamente che in
molti altri esempi - poter formare le tre lettere M A V, che, in una certa
combinazione, forma la sigla occulta e mistica equivalente al- l’alpha e
omega dell’iconografia cristiana classica, e che significa «principio e
fine di ogni cosa».
Da qui i due sensi possibili ai monogrammi accostati del marchio di
Antoine de La Barre:
1) Gesù, Maria;
2) Gesù, principio e fine di tutto.
Per concludere, oso affermare che in ragione dei monogrammi sacri,
in ragione della posizione del cuore sulla croce, in mezzo agli Strumenti
della Passione e presentato al loro pari, come una delle pezze del
«blasone della nostra salvezza», questo cuore va considerato piuttosto
come quello di Gesù che quello del maestro stampatore.

Jehan Longis
Jehan Longis, libraio di Parigi dal 1528 al 1560, ebbe due marchi: uno
non ci interessa; rappresenta due pastorelle che reggono uno scudo
caricato di un cuore trafitto da una freccia, su un seminato di lacrime.
Sull'altro, Longis, giocando sulla similitudine del suo nome con
quello di Longino, che secondo la tradizione sarebbe stato quel soldato
che trafisse il Cuore del Salvatore crocifisso, elesse a soggetto del suo
marchio una mano armata di lancia che trafigge un cuore, sul quale
ricadono dei raggi provenienti dal cielo. Qui non vi è dubbio alcuno, si
può trattare soltanto del Cuore di Gesù.
Accanto a Lui, si legge la divisa Nihil in charitate violentiti.

Pierre Jacobi
Anche questo stampatore, che esercitò a Saint-Nicolas-du-Port e a
Toul dal 1503 al 1521, ha usato due marchi sui quali, con o senza scudo,
appare una croce in cui sono fissati i tre chiodi della crocifissione

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I MARCHI COMMERCIALI DEGÙ STAMPATORI
FRANCESI 95

Fig. 9.

e alla cui estremità inferiore si trova un cuore che, date le proporzioni e


la posizione, non sembra indicare imperativamente quello del Salvatore.
La frase del Pange lingua, «sola fides sufficit», che sotto forma di
rebus - con le due note di canto gregoriano sol, la e le parole fides sus
(«sopra») fìcit - malgrado la sua origine liturgica non induce affatto a
riconoscere in essa il Cuore di Gesù, era in quell’epoca un rebus com-
merciale che si applicava, con o senza accompagnamento religioso, alla
semplice buona fede professionale. Per questo Guyot Marchand,
stampatore libraio di Parigi dal 1483 al 1502, mise nei suoi tre marchi lo
stesso rebus (rappresentato esattamente come su quelli di Ja- cobi) sopra
quella che si chiamava una «buonafede», vale a dire sopra le due mani
che si stringono, come le si cesellò più tardi, con un significato diverso,
sugli anelli di fidanzamento.
E possibile che nello spirito di Jacobi il pensiero del Cuore di Gesù
fosse nel cuore che orna il piede della croce sul suo marchio, ma le
apparenze, a mio umile parere, sono contrarie a questa attribuzione.

otetto da eoe
96 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Fig. 10.

Jean Corbon

Con il marchio del libraio parigino Jean Corbon, ci ritroviamo su un


terreno sicuro dove il dubbio non può avere spazio.
Corbon cominciò ad operare a Parigi dal 1588 al 1597, un secolo
dopo i primi grandi maestri stampatori; anche il suo marchio differisce
totalmente dal genere ancora tutto medievale e così prestigioso dei
precedenti. È un medaglione di forma ovale circondato da rami di
quercia e lauro o di olivo; sul contorno del medaglione Corbon ricorda il
significato del suo patronimico con una iscrizione greca che si traduce in
francese con «I cuori buoni».
E per interpretare il più perfettamente possibile questa bontà di cuore,
Corbon mise al centro del medaglione Timmagine del Salvatore
aureolato, che tiene nella sua mano il migliore di tutti i cuori, il Suo,
santuario della Bontà totale, fonte infinita di ogni bontà.

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FRANCESI 97

Fig. li.

Questa felice composizione evoca il ricordo del marchio di un altra


famiglia di stampatori contemporanei di Corbon, i La Rivière di Arras
(1591-1659), che presero come emblema il Buon Pastore in piedi, con
sulle spalle la pecorella smarrita e il petto scoperto; dalla piaga del suo
Cuore un ricurvo getto di sangue cade nella coppa di un calice posto a
terra.

Matthieu Vivian

Nemmeno il marchio dello stampatore di Orléans, Matthieu Vivian,


1490, mi sembra che si imponga sufficientemente quale portatore
deirimmagine del Cuore di Gesù perché si possa averne la certezza,
malgrado la croce che lo sormonta e i due monogrammi di Gesù e di
Maria che lo accompagnano.
Questo cuore è quello di Vivian? Probabilmente.
O è quello di Gesù nel quale Vivian, rappresentato dalle sue iniziali, si
è rifugiato secondo lo stile devozionale predicato in quel tempo?... Può
darsi.
Il suo marchio, come quello di Jacobi, mancando di precisione, si
presta all'equivoco.

Pierre Compagnon, Robert Taillandier, S. Huré e Pierre Rigaud

Ecco un soggetto di marchio da stampatore o piuttosto di illustrazione


da titolo comune a molti.
Immagine di devozione che evoca anche tutt altro, questo motivo

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98 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Fig. 12.

andava per la maggiore alla fine del secolo XVI e durante il XVII. Esso
rappresenta Gesù bambino o adolescente seduto in un cuore; l'idea
primaria va ricercata in quelle immagini popolari del secolo XV che
rappresentavano il Cuore sacro in mezzo al quale Gesù bambino è
circondato dagli Strumenti della Passione.
Solitamente, nelle immagini di cui ci stiamo occupando, Gesù sembra
dormire; è la traduzione evidente della frase della Sacra Scrittura, dal
Cantico dei Cantici: «Ego dormio et cor meum vigilat», dormo, e il mio
cuore veglia. È così che lo abbiamo mostrato su uno stampo per ostie
spagnolo, del Museo di Vich50; è così che il libraio parigino S. Huré lo
rappresentò anche nella seconda metà del secolo XVII.
Altre volte, Gesù è sveglio e sembra essere l’immagine della sua
presenza nel cuore del fedele che lo ama; allora il cuore che gli fa da

50 Cfr. «Stampo per ostie di Vich», nel capitolo «Documenti spagnoli del XVII secolo», nel
presente volume.
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I MARCHI COMMERCIALI DEGÙ STAMPATORI
FRANCESI 99

Fig. 13.

trono non è raggiante ma circondato da fiamme d’amore. Spesso, però,


l’ignoranza degli incisori nell’iconografia sacra esatta di questa fine
secolo XVI e del XVII, ha fatto sì che abbiano utilizzato sconside-
ratamente le particolari caratteristiche dell’antica simbologia; ne
consegue che nelle loro produzioni vi è una confusione per cui talvolta è
molto difficile vederci chiaro.
Insomma, in questo tema così spesso ripetuto, la regola più sicura è
quella di considerarlo come quello del Cuore di Gesù, ferito o meno, che
si vede circondato da raggi di Gloria come la persona di Gesù. È così
che si presenta sul marchio qui raffigurato di Pien e Compagnon e
Robert Taillandier, librai associati residenti a Lione, Rue Mercière,
all’insegna del «Buon Cuore» (1671). Invece, non si può non ricono-
scere il cuore del fedele in quello che si mostra circondato soltanto da
fiamme che, solitamente, salgono dalla punta e lo circondano.
Quest ultima composizione avvinceva la buona anima di san Fran-
cesco di Sales che il 19 febbraio 1605 scriveva a santa Giovanna da
Chantal: «Vidi un giorno una immagine devota, era un cuore sul quale il
piccolo Gesù si era seduto. O Dio, dissi, possiate sedervi anche nel cuore
di questa donna che mi avete dato e alla quale Voi mi avete dato! Mi
compiacevo in quella immagine di Gesù seduto che si riposava, mi
rappresentava anche una stabilità, e mi piaceva che fosse bambino,
perché infatti è l’età della semplicità e della dolcezza e, comunicandomi
nel giorno in cui sapevo che avreste fatto lo stesso, mi
100 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Fig. 14.

trovavo per desiderio questo ospite benedetto in tale luogo, sia in voi che
in me»8.
Anche san Francesco di Sales volle che il suo stampatore Pierre Ri-
gaud di Lione ponesse sotto il titolo del suo Traité de VAmour de Dieu
(almeno per le edizioni del 1617 e del 1620 che ho sottomano) l'im-
magine che aveva descritto a santa Chantal.
La presenza del cuore raggiante, che porta Gesù radioso sullo stampo
di Vich come sul marchio di Compagnon e di Taillandier da una parte, e
la spiegazione data da san Francesco di Sales del cuore circondato da
fiamme come lo raffigura Rigaud dall'altra, mi sembrano assolutamente
approvare la differenziazione che esponevo poc’anzi.

" Cfr. Grimouard de Saint-Laurent, Revue de l’Art Chrétien, luglio-settembre 1879, p. 162.

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Aggiungiamo che quanto esposto riguardo alla presenza del Cuore di
Gesù sui marchi degli stampatori e dei librai francesi potrebbe essere
101 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

fatto, non senza interesse, per quelli della stessa epoca negli altri paesi
d’Europa; di questi, alcuni hanno avuto marchi molto eloquenti, come
per esempio Santi Franchi, libraio di Firenze del secolo XVII, che ci
mostra il Cuore di Gesù ferito e sanguinante circondato dalla corona di
spine mentre sostiene i tre chiodi del supplizio redentore.

In sintesi, vediamo quindi dagli esordi della stampa in Francia fino al


momento che ride levarsi la grande luce di Paray, un buon numero di
stampatori e librai fra i più importanti che misero nel loro marchio
commerciale il Cuore del Salvatore.
Servitori d’elite del pensiero francese di allora, in un certo senso ci
appaiono quasi tutti come artigiani di ordine superiore e commercianti di
una certa importanza; tenuti in grande considerazione dai prìncipi,
dall’alta prelatura e dai dotti di tutti gli ordini, molto spesso artisti
esperti e assai colti a loro volta, lavoravano tuttavia per tutte le classi
della nazione, sia per l’aristocrazia di sangue che di patrimonio.
Con i loro libri, preziosi o popolari che fossero, i loro marchi com-
merciali andavano dappertutto, e abbiamo visto che dal secolo XV molti
di loro portavano l’immagine del Cuore di Gesù Cristo che per mezzo
loro entrava di prepotenza nella vita sociale e industriale della nazione.
Un marchio di commercianti, allora come oggi, era una proprietà
personale che non si poteva usurpare senza rendere conto alla disciplina
corporativa e, probabilmente già all’epoca, alla giustizia civile. Esso era
anche, come ancora oggi, una «propaganda» e lo era in un modo più o
meno efficace a seconda che fosse più o meno convincente e parlante, a
seconda che riflettesse più o meno fedelmente le idee, le preferenze e le
simpatie della massa della nazione. Ora, quando si esamina l'insieme dei
numerosi marchi di stampatori e librai di allora, quattro motivi
soprattutto vanno sottolineati per la frequenza con cui sono presenti: la
Croce e il Cuore di Gesù, i gigli di Francia e i cuori stessi degli
stampatori o dei librai.
In queste righe abbiamo toccato soltanto una sola delle corpora-
102 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Fig. 15.

zioni dell'antica industria francese perché i marchi dei vecchi stampatori


hanno conservato gli irrefutabili riflessi della loro grande pietà verso il
Cuore del Salvatore; cosa non si saprebbe se le insegne storiche che
pendevano a centinaia di migliaia in tutti i nostri borghi e nelle nostre
città nello stesso periodo, fossero state conservate! Non sarà a causa di
una di esse, per esempio, che una casa di Cognac, in Saintonge, portava
il nome di «Casa del Cuore di Cristo», nome che le dà un contratto
dell’epoca?
Più documenti materiali mi arrivano, e più sono costretto a persua-
dermi - infatti il loro numero e la loro varietà cominciano a imporsi - che
lo slancio verso il Cuore ferito del Salvatore è stato magnifico in
Francia, soprattutto durante la seconda parte del secolo XV e la prima
metà del secolo XVI; le arti religiose di ogni genere, gli oggetti di vita
familiare e, oggi, i documenti pubblici della grande vita industriale e
commerciale lo affermano.
Il protestantesimo con il suo rigore di superficie e i suoi sofismi
teologici, il giansenismo con la sua concezione ristretta e rigida di
Cristo, gettarono sulla Francia un velo di freddezza che nascose e in-
debolì, senza tuttavia estinguere, la devozione generale per il Cuore di
Gesù; dopo di essi, per ravvivare le braci e rianimare la fiamma, ci volle
il grande soffio di Paray-le-Monial, ma duecento anni prima la fiamma
aveva brillato di un chiarore magnifico che ha ritrovato grazie ad esso
soltanto ai nostri giorni.
Capitolo 11
Le rappresentazioni del Cuore di Gesù
presso gli antichi certosini.
La meridiana di Marigny-Brizay (Vienne).
Cuore enigmatico del Museo di Cluny

Documenti certosini

Le pagine che seguiranno sono in realtà soltanto un semplice post


scriptum al mio articolo relativo al «Marmo astronomico della Certosa
di Saint-Denis d’Orques» ’.
Questo documento, di una carica simbolica e di una portata tali che mi
paiono insuperabili assieme alla splendida esecuzione materiale, non è la
più antica testimonianza artistica rimastaci della pietà così viva che il
glorioso Ordine di san Bruno ebbe per il Cuore di Gesù Cristo
anteriormente al secolo durante il quale la Chiesa ne consacrò
ufficialmente il culto liturgico.
Accanto agli studi composti da celebri monaci certosini, così spesso
citati quali Ludolphe de Saxe del secolo XIV o, per i due secoli suc-
cessivi, Dominique de Trèves, Dionigi il Certosino e Lansperge, che
manifestarono così esplicitamente il pensiero del loro Ordine intorno al
Cuore di Gesù, ci compiacciamo infinitamente di trovare Io stesso
fervore di adorazione tradotto dai loro fratelli di chiostro in opere ar-
tistiche contemporanee ai loro scritti: pitture, incisioni o sculture, perché
questi documenti materiali sono il commento più chiaro e la loro
indiscutibile «confermazione».
Il fatto che tali opere d’arte siano più rare degli scritti si spiega da sé:
per prima cosa, i libri sono stati fissati e moltiplicati dalla stampa, poi
riediti più o meno frequentemente; i documenti materiali sono quasi
sempre pezzi unici anche se molti di essi interpretano lo stesso soggetto,
e il tempo, l’atmosfera, il fuoco, gli uomini, tutti gli agenti distruttori
sono alleati per annientarli. Per uno che ci resta, cinquanta e più, forse,
sono scomparsi; da qui l’importanza e il valore che hanno per la storia e
l’archeologia sacre.

1
Cfr. «Le Marbré astronomique de la Chartreuse de Saint-Denis d’Orques», Regnabit, n. 9,
febbraio 1924 [trad. it. in 11 giardino del Cristo ferito, op. cit., cap. XVIII].

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LE RAPPRESENTAZIONI DEGLI ANTICHI CERTOSINI
105
È anzitutto proprio nella culla dell'Ordine di san Bruno, alla Gran-
Chartreuse nel Delfinato, che troviamo il primo dei documenti che ci
apprestiamo a studiare. Nel 1473 il fuoco distrusse una parte del grande
monastero e subito dopo i monaci si misero a riparare le rovine. Fu
allora che si edificò il vecchio chiostro attuale e i superiori del- l'Ordine
vollero quindi che la porta che dava sul chiostro fosse ornata sull
archivolto con quelle che allepoca si chiamavano le anni araldiche di
Gesù Cristo, Re eterno delle anime e di tutto.

Fig. 1. Il blasone nel chiostro della Gran-Chartreuse, 1474.

Ho già detto, e tengo a ribadirlo, che all’epoca con il nome di Anna


Christi, Anni di Gesù Cristo o Blasone di Dio, si designava la rappre-
sentazione su uno scudo dei vari oggetti che servirono nella tragica
Passione del Salvatore. È il trofeo del suo trionfo.
Su quello della Gran-Chartreuse scolpito nel 1474, cosa vediamo51?
Anzitutto, la Croce sulla quale figura solo il Cuore del Salvatore; la
punta della lancia vi si affonda per metà della lunghezza della lama. Per
gli ispiratori di questo blasone il Cuore ferito riassume quindi tutto il
Crocifisso; per loro, come nella dottrina del reverendo padre Anizan, «è
tutto Gesù».
Il piede della Croce si tuffa non in una tomba, come a torto è stato
51 Ho inciso le sculture della Gran-Chartreuse studiate in queste pagine traendole dagli schizzi
che mi ha dato don Lucien Buron, del clero di Parigi, collaboratore assai stimato di Regnabit, che
ringrazio sentitamente per la sua grande cortesia.

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106 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

detto, ma in quella che alla fine del secolo XV si chiamava la Fontana


della Vita, piscina in cui ogni peccatore può efficacemente lavare le sue
lordure nel sangue purificatore e redentore di Cristo. Del resto, anche se
la data di costruzione del chiostro della Gran-Chartreuse, 1473-1474,
non ci fosse pervenuta, il particolare della Fontana della Vita basterebbe
per stabilire approssimativamente l'epoca in cui fu scolpito il blasone
che stiamo studiando.
Sul bordo della Fontana sono appoggiati i chiodi che hanno perforato i
canali in cui scorreva, nelle membra, il sangue divino, prima ancora che
la lancia ne aprisse la fonte corporale. Tutt attorno, vediamo le tenaglie e
il martello, che sono in relazione di idee con i chiodi, poi la frusta e la
verga della flagellazione, la corona di spine che cinse di dolore e sangue
la fronte divina, la spugna che fu appoggiata alle labbra del suppliziato, i
dadi dei soldati che si giocarono la sua tunica senza cuciture.
Infine, in capo allo scudo, allineati in fila orizzontale, i trenta ripu-
gnanti denari del falso amico che per quel prezzo vendette la sua pro-
messa di amore fedele. I certosini che li disposero capivano al meglio il
colpo doloroso che il tradimento di Giuda portò al Cuore di colui che,
«avendo amato i suoi, li amò fino alla fine». E questi grandi monaci
avrebbero elogiato Papini quando flagellava il denaro, effettivamente il
più deplorevole dei letami che fa fiorire le peggiori bassezze umane,
chiamato «escremento di Satana».
Sebbene la rappresentazione materiale del Cuore di Gesù non vi fi-
guri, un’altra scultura molto espressiva era stata ispirata dalla pietà
certosina sulla ferita del costato di Gesù, molto prima del blasone ap-
pena studiato: è un monogramma del nome di Gesù, tipico del ['Ordine
di san Bruno, che, oltre al suo Nome, evoca le sofferenze del Redentore.
Il più antico esempio che conosciamo si trova su una chiave di volta
della prima cappella della Gran-Chartreuse e risale al 1375: sul campo a
scudo che due cinghie di pietra legano alla modanatura, leggiamo il
nome di Gesù nella sua forma abbreviata, i H s, in lettere gotiche; ma
l’asta della lettera H forma la Croce, e la lancia trapassa la fine del nome
sacro; la fine, perché la lancia è intervenuta nel dramma del Calvario
solo dopo la Croce.
Sotto il monogramma, partendo dal centro, un rametto di quercia con
tutta probabilità sta a significare l’emblema della forza potente e
l’efficace virtù del Nome divino.

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LE RAPPRESENTAZIONI DEGLI ANTICHI CERTOSINI
107

Fig. 2. Il monogramma di Cristo sulla chiave di volta della prima cappella della Gran-Chartreuse,
1375.

Questo crisma con la lancia fu scolpito alla Certosa tre anni prima
della morte di Ludolphe de Saxe (1378), che fu uno dei primi a fare
conoscere con i suoi scritti la pietà certosina nei riguardi del Cuore del
Salvatore. Per lui, la ferita laterale di Gesù è il colpo fino al Cuore come
più tardi per un altro certosino, Lansperge, la ferita della lancia «è la
porta che introduce nel Cuore», «Per illud vulnus, quasi per ostium in
Cor introeatis».
Questo monogramma così suggestivo del crisma con la lancia fu
riprodotto anche cento anni dopo e varie volte nell’ornamentazione del
chiostro della Gran-Chartreuse di cui abbiamo parlato, riconosciuto nel
1474 dopo un incendio. Come nel vecchio modello, la lan-

Fig. 3. Scultura del vecchio chiostro della Gran-Chartreuse, 1474.

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108 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

eia conserva la posizione obliqua che aveva quando colpì il sacro co-
stato.
Deve essere della fine del secolo XV anche l’incisione su legno che
ho riprodotto con lo stesso procedimento per l’interessantissimo articolo
del reverendo padre Anizan, «A Paray, devant une vieille pier- re» 3. Vi
si vede, tenuto da due angeli, il Cuore di Gesù che il Padreterno colpisce
con una freccia; sotto il Cuore ferito un certosino è ingiratore o
dell’esecutore dell’incisione, oppure simboleggia tutto l’Ordi- ne in
preghiera?
In quell’epoca, il renano Lansperge vestiva l’abito dei monaci di san
Bruno. Prima di morire nel 1539, nella Certosa di Colonia, con i suoi
libri di una mistica assai dolce, si era fatto l’apostolo della pietà verso la
ferita del costato e del Cuore di Gesù, oltre che il propagatore delle
immagini del Cuore vulnerato; egli faceva veramente da eco alla sua
famiglia monastica scrivendo: «Mettete dove passate spesso delle
immagini del divino Cuore o delle Cinque Piaghe, così vi ricorderanno
spesso di elevare fino a Dio le vostre affezioni».
Fu per seguire questo consiglio e per facilitarne l’esecuzione che nel
1535, quattro anni prima della morte di Lansperge, i certosini di Colonia
fecero incidere su legno l’immagine che Peter Quentel riprodusse nel
15954?
Su questo legno, come sulla pietra del blasone della Gran- Chartreuse,
il Cuore trafitto dalla lancia è posto sul fusto della Croce, ma circondato
da due glorie, la più esteriore delle quali è cruciforme. I chiodi sono nel
posto usuale sul legno sacro e, vicino a essi, le mani e i piedi feriti sono
circondati ciascuno da una aureola di raggi gloriosi.
Sul punto centrale della croce è attaccata la corona di spine e ai lati si
ergono la colonna della flagellazione e l’amara spugna.
È proprio questa l’immagine del «Cuore Divino e delle Cinque Pia-
ghe» desiderata e consigliata da Lansperge; ed è anche la ripetizione del
tema glorificato nel 1474 sull’archivolto del chiostro della Gran-
Chartreuse francese. DaH’insieme di questi documenti che abbiamo
studiato, in questo articolo e in quello che lo ha preceduto, viene fuori
che se, verso la fine del Medio Evo e nel secolo successivo, i certosini
renani, specialmente di Colonia, sono stati fra i più ardenti propagatori
delle immagini del Cuore di Gesù, per quelli di Francia nel Del-

Cfr. padre Anizan, «A Paray, devant une vieille piene», Regnabit, dicembre 1921, p. 43.
4
Cfr. Regnabit, luglio 1922.

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LE RAPPRESENTAZIONI DEGLI ANTICHI CERTOSINI
109

finato, culla dell’Ordine, da dove dovevano partire per tutta la Famiglia


monastica di san Bruno le ispirazioni e le regole devozionali, per
arrivare fino ai monasteri dell’estremo Occidente come la Certosa di
Saint-Denis d’Orques nel Maine, il Cuore di Gesù fu veramente in primo
piano nella vita spirituale, o, per meglio dire, esso ne fu la fonte da cui
tutti attinsero abbondantemente.

La meridiana di Marigny-Brizay (Vienne)

Parlando del marmo astronomico della Certosa di Saint-Denis


d’Orques, ho già detto che la ricerca dell’epoca che lo ha visto scolpire
mi ha condotto all’esame di un certo numero di meridiane che risalgono
al periodo dalla fine del secolo XV alla prima parte del XVII.
Fra queste ultime, al Museo degli Agostiniani di Poitiers di proprietà
della società degli Antiquari dell'Ovest, ho rilevato il disegno della
meridiana che anticamente indicava le ore al castello di Marigny- Brizay

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110 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

(Vienne) e che fu offerta alla erudita società poitevina nel 1918 da


Cesbron, castellano di Marigny.
È una placca in ardesia pressoché quadrata, di centimetri 37 di altezza,
datata 1637; attorno alla linea graduata delle ore porla una or-
namentazione che procede da due fonti di ispirazione:
1) in alto, una parte utilitaristica e di natura astronomica e crono-
metrica;
2) in basso, una parte afferente alla personalità del primo possessore
della meridiana e ai suoi sentimenti religiosi.
Esaminiamo ora ciascuna delle due zone della meridiana di Marigny:
1) il centro della prima è occupato dal cronometro solare; un cuore
raffigura il sole da cui si dipartono dei raggi le cui estremità terminano ai
punti delle ore, su una doppia curva graduata che, se si prolungasse in
alto, darebbe il tracciato di un ovale a base larga.
Da un foro praticato sopra il medaglione ellittico in cui si trova il
cuore-sole, parte un asta obliqua che si piega a gomito sopra il cuore
(non l'ho disegnata sulla incisione per non confondere il disegno del
medaglione centrale). L’ombra, proiettata dal sole, della cima angolare
di questa asta percorre la linea graduata e segna così le ore.
Tre angeli indicano i punti cardinali dell’orizzonte da cui proviene
quotidianamente la luce solare: l’Oriente, il Mezzogiorno e FOcciden-
te. L’angelo di Settentrione non è raffigurato perché il sole non visita
mai il punto che occupa; al suo posto si trova lo scudo di famiglia di
colui che fece incidere la meridiana nel 1637.
Ritroviamo qui la pratica tanto cara ai vecchi ornatisti cristiani di
raffigurare i quattro punti principali della Rosa dei Venti per mezzo di
Angeli; l'origine di questa scelta ornamentale è da ricercare agli albori
dell’epoca cristiana, perché parte dal versetto deW Apocalisse di san
Giovanni scritta intorno all’anno 96 circa:
Dopo di ciò, vidi quattro angeli che stavano ai quattro angoli della terra, e
trattenevano i quattro venti, perché non soffiassero sulla terra, né sul mare, né su
alcuna pianta52.

Questi angeli, del resto, sono tutto ciò che cristianizza - e quanto poco
- la parte cronometrica della meridiana che a tale riguardo è ben lontana
da tante altre, come per esempio quella dell’antica collezione poitevina
del marchese di La Sayette, il cui Cristo-Sole occupa

52 Ap7, I.

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LE RAPPRESENTAZIONI DEGÙ ANTICHI CERTOSINI
111

Fig. 5. L’antica meridiana del castello di Marigny-Brizay (Vienne). Museo degli Antiquari
dell’ovest, Poitiers.

il centro e i dodici Apostoli i punti delle ore53. Ai lati del registro delle
ore, sulla meridiana di Marigny, due stelle ricordano che il tempo regola
anche le congiunzioni astrali e simboleggiano lo spazio.
2) La zona relativa al primo possessore della meridiana di Marigny è
molto semplice. Essa comprende soltanto il suo blasone e i due me-
daglioni devozionali, soltanto che, mentre l’ornamentazione della parte
cronometrica spetta allo specialista in gnomonica incaricato di eseguire
sull'ardesia la meridiana, quella della parte inferiore è evidentemente
dovuta ai sentimenti propri della persona che l'ha chiesta per la sua
dimora di famiglia.
Al centro si trova uno scudo di armi araldiche retto da due levrieri.

Credo di potervi riconoscere quello della famiglia La Lande nobilitata


53 Cfr. Barbier de Montau\t,Traitéd’iconographie chrétiemie.t. 1, p. 103.
112 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

nel 1594, alla quale l’Armorial des Maires de Poitiers e gli araldisti
poitevini attribuiscono un blasone d argento alla quercia di verde, su un
poggio del medesimo, al capo d azzurro caricato d un crescente
d’argento.
Sulla meridiana in esame, colui che nel 1637 portava questo scudo
mise quindi 1 emblema della sua stirpe e della sua persona fra le pro-
tezioni celesti, così sollecitate, dei Cuori di Gesù e Maria, ai quali con lo
stesso gesto consacrava le ore che regolavano la vita familiare nella sua
dimora. E la portata di un simile pensiero è già grande, dato che riempie
tutta la sfera intima della vita umana.
Nel medaglione di destra, lato orientale, il Cuore di Gesù è segnato
dalla sua sigla abbreviata 1 H S composta dalle consonanti del Nome di
IHESUS; e la Croce lo domina.
Nel medaglione occidentale, a sinistra, il Cuore di Maria porta il suo
nome, ridotto alle sue due prime lettere. Ma (ria). Sopra di esso, un
segno a forma di s coricata, il cui significato certo resta per me
problematico.
Questo segno ebbe vali significati assai precisi nella simbologia
dell'Antichità e dell’Alto Medio Evo, ricevendo e conservando da tempo
immemore quello di rendere l'emblema del serpente, immagine di Satana
e del Male (sul monogramma del nome di Gesù, detto di Enrico III, la
lettera s della cifra i H S termina alle due estremità con due teste di
serpente).
Questo significato è il solo che qui mi sembra accettabile; infatti il
serpente è sempre stato e resta uno degli attributi iconografici della
Vergine Maria, nella quale la Chiesa riconosce la donna predetta dal
libro della Genesi* che ha la missione di schiacciare la testa del ser-
pente.
Così, dunque, la parte devozionale della meridiana di Marigny ci
appare come la consacrazione, per così dire, di una famiglia ai Cuori
uniti di Gesù e Maria, sotto la protezione dei quali il capofamiglia la
mette, con la figura del suo blasone, cioè l'emblema della stirpe che
personifica. Questo nel 1637.
Ciò che è interessante notare ancora, dopo gli esempi che Regnabìt ha
riprodotto, è questa penetrazione dell’idea del Sacro Cuore e l’utilizzo
spontaneo della sua immagine in quell’epoca, nelle abitudini di

7
Da non confondere con i Goudon de la Lande, conti di Héraudière, poitevini. che hanno altre
armi araldiche.
* Cfr. GM2, 15.

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LE RAPPRESENTAZIONI DEGLI ANTICHI CERTOSINI
113
una vita familiare intima dove nessuna autorità ecclesiastica la poteva
imporre.

Cuore enigmatico del Museo di Cluny (XVIII secolo)

Dato che il marmo di Saint-Denis d'Orques e la meridiana di Mari-


gny ci hanno portato nel campo dell’astronomia, aggiungo qui alcune
righe su un oggetto enigmatico in cui almeno un particolare evoca in
simbolo, o meglio in rebus, Videa degli spazi celesti, presi del resto
anch’essi a immagine del beato soggiorno delle anime.
Devo all’estrema gentilezza di don Lucien Buron una fotografia
perfetta dalla quale ho inciso fedelmente l’immagine inclusa in questo
testo.
E un cuore di legno o di un composto che lo imita. Il suo contorno
quasi circolare è montato su una armatura di metallo che lo sostiene sul
basamento con un piede riccamente lavorato. Su di esso si erge la Croce
sormontata da una piccola sfera celeste. Il tutto misura sedici centimetri
di altezza.
Questo oggetto, di fattura francese, risale al secolo XVI e appartiene
al Museo di Cluny dove è catalogato con il n. 5031.
Sul cuore, due grandi A sono legate insieme e la croce sormontata
dalla sfera celeste è caricata di sei L.
Siamo evidentemente di fronte a un rebus in due parti composte dal
Cuore e dai suoi attributi.
Attorno al basamento un’iscrizione ci dà la frase della prima parte del
mistero:
VNG CVEVR CRUCIFIE TIENT DEVLX AMYS ENSEMBLE,
(un cuore crocifisso tiene [uniti] due amici insieme).
Ecco cosa simboleggiano «due A messe insieme» sul cuore dove sono
come legate dal giogo assai dolce dell'amicizia.
Sul cerchio di metallo che contorna e incornicia il cuore si leggono
queste altre parole:
CE N'EST OVE' VNG CVEVR ET VNE AME

È davvero incontestabile che questa iscrizione non si rapporti al cuore


materiale che circonda, ma ai due amici che unisce e che ne formano
uno solo. È l’espressione biblica che si legge negli Atti degli Apostoli,
dove l’Autore ci dice che l’unione dei primi fedeli era tale per cui si
«aveva un cuore e un'anima sola».

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114 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

In opposizione alle due A, il retro del cuore polla una M che sembra
essere l’iniziale di un nome o di un patronimico comune ai due amici.
La seconda parte ci dice che questa unione dei due amici deve con-
cretizzarsi in cielo, ed è così che si conclude il rebus: sulla Croce, la
lettera L ripetuta sei volte è il geroglifico della parola Cielo: six L, si
legge Ci-el. E questo significato viene ulteriormente precisato sulla cima
dalla piccola sfera celeste del cielo astrale, immagine del beato
soggiorno.
L’insieme sembra dunque poter essere interpretato così: «Ung coeur
crucifié tient deulx amys ensemble, au ciel» oppure «pour le ciel»9.
È evidente che l’espressione «cuore crocifisso» ci porta a considerare
la Croce come se il suo spessore si sdoppiasse alla sommità del cuore
circondandolo, e riprendendo la sua unità nel fregio che riunisce i
rampanti di supporto al di sopra del basamento.
Quando su Regnabit di gennaio, parlando dei primi stampatori
francesi (fine del secolo XV e inizio XVI) ,0, dissi che nella scelta dei
motivi emblematici la gente dell’epoca amava molto, spesso troppo, il
gusto del complicato, del misterioso, dell’enigmatico, avevo forse torto?
Ora, qual è il cuore crocifisso che riunisce così due amici in cielo, o
per il cielo?...
Sono possibili due ipotesi: una consiste nel vedere nell’oggetto che
presentiamo nient’altro che l’emblema profano di una amicizia profana
più che devota, cementata da una prova comune ai due amici che, per
così dire, li crocifigge. E questa è una tesi che può essere sostenuta;
un’altra induce a vedere nel cuore crocifisso l’immagine di quello di
Gesù Cristo, nel quale - nell’amore del quale, se si preferisce - si
sarebbero rifugiati due amici che, per suo mezzo, sperano di rimanere
uniti fino in cielo.
Bisogna riconoscere ciò che questa interpretazione ha dalla sua parte:
innanzi tutto, che coirisponde al carattere nonché a una delle forme di
devozione dell’epoca, perché l’oggetto risale al tempo in cui l’oratore
Olivier Maillard11 dalle cattedre di Parigi, di Poitiers e altrove, come
pure il certosino Lansperge’2 nei suoi scritti e anche altri

• [«Un cuore crocifisso (iene due amici insieme in cielo» o «per il cielo», N.d.T.].
Cfr. il capitolo «I inarchi commerciali dei primi stampatoli francesi», nel presente volume.
" Cfr. «La Blessure du Coté de Jésus», Regnabit, n. 6, novembre 1923.
12
Cfr. ibid,, p. 421.

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LE RAPPRESENTAZIONI DEGLI ANTICHI CERTOSINI
115

Fig. 6.
maestri di spiritualità consigliavano alle anime di stabilirsi nel Cuore di
Gesù Cristo come in un rifugio mistico, in una dimora.
Poi, che in quell'epoca - e ne ho la prova concreta sottomano - quando
gli artisti di vari generi volevano rappresentare il cuore carnale di Gesù

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116 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Cristo, sei o sette volte su dieci lo mettevano da solo o accompagnato


dalle altre Sante Piaghe sul fusto della Croce, in questo modo facevano,
senza metafora alcuna, un «cuore crocifisso». Ora, le locuzioni ricorrenti
denunciano quasi sempre una frequenza di impressioni visive che ha
dato loro origine; ciò mi fa pensare che nel secolo XVI l'espressione
«Cuore crocifisso» dovesse portare di per sé tutti i pensieri verso il
Cuore ferito di Gesù. Il titolo del libro L’exer- cice du Coeur Crucifié
che il francescano poitevino Piene Regnart scrisse intorno all’anno 1530
a Fontenay-le-Comte, non è per nulla in contrasto con questa opinione;
infatti nelle pagine e anche nell'incisione ornamentale del titolo, l’autore
equipara il cuore dell'asceta francescano al «Cuore Crocifisso» di Gesù
Cristo.
Mi sembra quindi che la seconda delle due interpretazioni possibili
dell’oggetto esposto nelle teche di Cluny sia più soddisfacente dell'altra
e debba preferirsi. Questo perché, per quanto sia enigmatico l’aspetto
che gli è stato volontariamente imposto dai suoi ideatori, vedo questo
piccolo monumento di amicizia offrire una immagine, a onor del vero
implicita ma reale e di un particolare interesse, del Cuore di Gesù Cristo.
Le medaglie profane, i gettoni, l’emblematica araldica, le arti deco-
rative della stessa epoca, non ci offrono forse una quantità di altri rebus
altrettanto strani? Non dobbiamo quindi stupirci se, dal secolo XVI,
alcuni uomini hanno pensato di scegliere come scrigno prezioso o
fortezza invincibile del loro mutuo affetto il Cuore verso il quale si
volgeva allora e, da più di un secolo, il pensiero adorante e fiducioso del
popolo cristiano.

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Capitolo 12
Meridiane della Certosa di Lugny e di
Saint-Genis-Laval (XVII secolo). Un antico
emblema del mese di gennaio (XVI secolo)

Dopo la pubblicazione in Regnabit della meridiana di Marigny-


Brizav e di molti documenti iconografici dell'ordine dei certosini raf-
figuranti il Cuore di Gesù Cristo, ho ricevuto da una delle più affezio-
nate amiche della nostra rivista, A. Chégut di Paray-le-Monial, il dise-
gno di un’altra meridiana che avrebbe avuto a doppio titolo il suo posto
legittimo fra i documenti appena ricordati.

Fig. 1. Meridiana della Certosa di Lugny (Cóte-d'Or).

È fissata nella parte settentrionale della diocesi di Dijon dove, nella


cornice raccolta delimitata da filari di sempreverdi, fra Recey-sur- Ource
e Leuglay, l’antica Certosa di Lugny nasconde ancora gli alti

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118 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO
tetti mansardati con cui i monaci di san Bruno l'hanno coperta ai tempi
di Luigi XIV. Nel secolo XIX appartenne al dottor Lacordaire, padre
dell’illustre restauratore dell’Ordine domenicano in Francia, che nacque
nel borgo di Recey. Attualmente, Hubert Landel e signora, sorella di
madame Chégut, abitano il bell'edificio dell’ex foresteria del monastero,
sul quale fu sistemata nel 1614 la meridiana di cui non mi resta che
parlare.
Riproduco qui appresso un calco eccellente che il signor Landel ha
potuto farmi, a dispetto del posto che occupa.
Posta sulla facciata meridionale dell’abitazione sopra un portone ad
arco, ricopre una superficie quadrata di mezzo metro di Iato, nella quale
i tratti di una sorta di grande scudo racchiudono quelli di un cuore sul
quale i raggi cronometrici terminano con le cifre indicative delle ore;
queste partono dalle otto del mattino alle otto di sera.
In mezzo al cuore si trova un piccolo cartiglio che racchiude la data
della meridiana: 1614, e che è sormontato dal monogramma abbreviato
del nome di Gesù, i H S. Sotto, su entrambi i lati, si dipartono due rami
di alloro.
Di chi è il cuore che fa da cornice alle ore, è quello del Signore Gesù
Cristo o quello del fedele?
A prima vista, la sua posizione sotto il monogramma indurrebbe a
vedervi soltanto il semplice cuore umano ossequiente sotto il Nome
divino, come ancora voleva la regola normalmente osservata. Ma a
questa opinione vanno contro tre particolarità da sottolineare: la prima è
che il cuore è qui unito al Nome sacro mediante il tratto che li circonda;
la seconda, che non è il cuore l’accessorio del monogramma, ma al
contrario è la sigla che sembra dipendere dal cuore. Infine, questa
immagine è stata fatta da certosini, e dagli scritti e le opere d'arte che ci
hanno lasciato, sappiamo quanto viva fosse presso i monaci di san
Bruno la pietà verso il Cuore di Gesù Cristo, per lo meno dall’inizio del
secolo XV.
Un’altra meridiana degli stessi anni di quella di Lugny o di poco
posteriore, alla quale è sicuramente imparentata come concezione del
tratto e per la disposizione della decorazione, fu venduta a Lione poco
tempo fa e a tal riguardo ho potuto raccogliere soltanto quale unica
indicazione, poco precisa del resto, la provenienza: i dintorni di Saint-
Genis-Laval, a poche leghe dall’area sud di Lione.
È incisa su ardesia, e veniva utilizzata non verticalmente come quella
di Lugny ma orizzontalmente, su un basamento di pietra. Il suo tratto ci
mostra un grande cuore suddiviso dai raggi delle ore le cui cifre, che
vanno dalle sei mattutine alle sei serali, sono elegantemente indicate su
un nastro parallelo al contorno inferiore.
Non vi è qui possibilità di dubbio: il Cuore così raffigurato, alla ma-
niera di quello di Lugny, porta su di sé il nome di Gesù e la Croce lo
sormonta nell’aureola di una corona di spine incorniciata da due rami
flessi di olivo; è quindi certamente l’immagine del Cuore di Gesù Cristo.
Quindi, le due meridiane si completano: quella di Lugny permette di
datare quella di Saint-Genis-Laval, mentre questa indica il carattere
teriale c
MERIDIANE DI LUGNY E SAINT-GENIS-LAVAL 119

religioso della prima e lo precisa. Con queste due immagini del Cuore
Sacro che riempiono interamente le ore di ogni giornata, siamo dunque,
ancor più che con la meridiana di Marigny-Brizay, di fronte
all’affermazione che tutti i momenti dei nostri giorni sono di Dio e che,
di conseguenza, gli siamo debitori.

Fig. 2. Meridiana di Saint-Genis-Laval (Rodano), secolo XVII.

A quel tempo, nella loro vita così seriamente orientata verso orizzonti
cristiani, i nostri padri furono attenti molto più di noi alla grande lezione
della corsa delle ore che passano e degli anni che vengono inghiottiti,
uno dopo l’altro, nell’abisso senza fondo del passato, corrente rapida e
irresistibile dominata dall’alto dalla solida Maestà di Dio eterno.
Sul concetto della fuga del tempo, voglio associare qui la riprodu-
120 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO
zione di un disegno ricevuto dallo studioso collezionista
poitevino, il conte Raoul de Rochebrune del quale l’archeologia francese
rimpiange la recente scomparsa; è un cartiglio dipinto su una pagina
staccata da un manoscritto ecclesiastico, e che terminava il foglio del
mese di gennaio sul calendario preliminare di tale libro. Il calco di
questo cartiglio è stato eseguito da De Rochebrune a Luchon.
Sulla sommità del medaglione interno, il monogramma abbreviativo i
H s è sormontato dal Cuore ferito dal colpo di lancia e il resto dello
spazio orbicolare è occupato dal busto di Giano bifronte, il dio dai due
volti della mitologia romana.

Fig. 3. Rappresentazione allegorica del mese di gennaio. Miniatura del secolo XVI, Luchon (Haute-
Garonne).

Sicuramente l’insieme della composizione ha come soggetto quello di


raffigurare allegoricamente il mese di gennaio; ora, nel primo giorno di
questo mese, festa della Circoncisione, la Chiesa ci fa leggere durante la
Messa il passo del Vangelo in cui viene detto: «Quando furono passati
gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù» ’.
La liturgia cattolica comincia dunque, per così dire, il mese di gennaio e
l'anno con la proclamazione del nome terreno del Salvatore, donde la
presenza perfettamente giustificata del monogramma alla sommità del
cartiglio.
Quella del Cuore Divino si spiega sicuramente meno bene; la si può

1
tuttavia concepire attraverso l’uso frequente che si aveva nel
Le 2,21.
secolo XVI di aggiungerlo al monogramma sacro, per tradizione, con un
pensiero di riguardo abituale verso di lui; forse anche con l’intenzione
assai probabile dell'artista di associarlo a tutto il ciclo dell’anno di cui
gennaio è solo la soglia.
Il nome di questo mese deriva da quello del dio romano Janus, esso è
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MERIDIANE DI LUGNY E SAINT-GENIS-LAVAL 121
iìJanuarius mensis, e siamo felici che si trovi così sotto il patrocino di
uno degli assai rari personaggi fittizi della mitologia che sono un
minimo onesti.
Direi addirittura che Giano può essere visto come una delle «prefi-
gurazioni» pagane di Cristo, come lo fu Orfeo, per esempio.
Negli spettacoli religiosi dell’antica Roma si raccontava che, avendo
aiutato Saturno, Giano ricevette come ricompensa la piena conoscenza
dei misteri del passato e dell’avvenire; per questo gli antichi lo
raffiguravano con due volti, quello di un uomo anziano rivolto verso i
tempi trascorsi, e l’altro, più giovane, fisso sul futuro. In quanto dio del
Tempio, presiedeva alla chiusura e apertura degli anni che si suc-
cedevano, e il primo mese di ognuno di essi era a lui consacrato.
Sui monumenti del tempo si mostra come sul cartiglio di Luchon, la
corona in testa e lo scettro nella mano destra, perché è re; egli tiene
nell’altra mano una chiave perché apre e chiude le epoche; per questo,
per estensione, i Romani gli consacravano le porte delle case e delle
città.
Non più nell’ambito illusorio della rappresentazione, bensì nella più
certa delle realtà, anche Cristo domina il passato e il futuro; coeterno
assieme al Padre, è come lui il «Vecchio dei giorni»; «In principio era il
Verbo», dice san Giovanni. Egli è anche padre e madre dei secoli futuri
«Jesu pater futuri secoli» ripete ogni giorno la Chiesa romana, Lui
stesso si è proclamato inizio e conclusione di tutto: «Io sono l'alpha e
l’omega, il principio e la fine». È il Signore dell'eternità.
Come l’antico Giano, egli porta lo scettro regale al quale ha diritto
per parte di suo Padre celeste e per parte degli antenati di quaggiù;
nell’altra mano tiene la chiave dei segreti eterni, la chiave tinta del suo
sangue che apre all’umanità perduta la porta della Vita. Per questo nella
quarta delle antifone maggiori d'Awento, la liturgia sacra lo acclama
così: «O Clavis David, et sceptrum domus Israel» 54, Siete Voi, o Cristo
atteso, la Chiave di David e lo Scettro di Israele. Voi aprite, e nessuno
può chiudere; e quando chiudete, nessuno può più aprire...
11 miniatore del foglio di Luchon fu dunque molto ispirato nel dise-
gnare il profilo di Giano sul calendario liturgico di gennaio, così come,
con o senza intenzione, ma di fatto ponendo le immagini del Cuore e del
Nome di Gesù sopra il dio pagano degli anni passati e futuri, servì la
stessa verità di coloro che cinquant anni dopo composero le meridiane di
Lugny e di Saint-Genis-Laval: uno dopo Faltro essi hanno proclamato
che il tempo che passa è cosa di Cristo e che, per i suoi fedeli, è
soprattutto con il suo Cuore che domina e regna.

54 Breviarium romanum, ufficio del 20 dicembre.


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Capitolo 13
L’iconografia antica del Cuore di Gesù Cristo,
posteriore al Rinascimento

Se nell'iconografia sacra delle rappresentazioni del Cuore di Gesù


Cristo eseguite ai tempi del Rinascimento e nei tre secoli che seguirono
siamo di fronte a una vera e propria confusione, ciò mi sembra dovuto
principalmente a due cause.
La prima è il disdicevole abbandono nel quale gli artisti di allora la-
sciarono decadere le regole ragionate che il Medio Evo aveva stabilito
per fare esprimere all’iconografia e all’emblematica cristiane il loro
senso pieno.
La seconda è che gli attuali iconografi, per quanto concerne le rap-
presentazioni del Cuore di Gesù, non hanno ancora fatto sufficienti
accostamenti e comparazioni fra i numerosi documenti che ci sono
rimasti degli ultimi quattro secoli.
Per poter fare degli apprezzamenti in tutta sicurezza sulle rappre-
sentazioni devote del cuore eseguite dalla fine del Medio Evo e per poter
distinguere se dobbiamo vedervi il Cuore del Signore o quello del
fedele, spesso più o meno assimilato a quello del Maestro divino, mi
sembra necessario studiare tre aspetti:
1) la giustapposizione del cuore con il monogramma di Gesù Cristo, i
H s;
2) l’unione più o meno immediata del cuore e dei tre chiodi emble-
matici;
3) la bella e secolare dottrina deWhabitat spirituale nella piaga la-
terale del Crocifisso, che nel secolo XV divenne ^habitat mistico del-
l’anima nel Cuore di Gesù.

Anzitutto, è opportuno sottolineare le seguenti constatazioni che


sull’iconografia del Cuore di Gesù Cristo sono rigorosamente esatte.
Durante il secolo XVI, gli artisti inebriati dal nefasto entusiasmo

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124 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

allora diffuso per l’arte pagana antica di Grecia e di Roma, disprezza-


rono il codice iconografico stabilito nel Medio Evo. Tuttavia, per quanto
violate siano state le vecchie regole dell'iconografia religiosa e
dell’araldica nobiliare soprattutto, si mantennero per tutto il secolo
meglio di altre; e se nelle opere d’arte religiosa esse non erano più
considerate precetti imperativi, sussistevano praticamente ancora come
costumi o tradizioni artigianali.
Nel secolo XVII l’oblio nei loro confronti si fece più grande e, alme-
no dal secolo XVIII ai primi tre quarti del XIX, furono l’incomprensione
e l’anarchia a regnare in maniera pressoché assoluta nella produzione di
immagini dette «di pietà». Ne risultarono delle opere che, per quanto
piene di buone intenzioni, non di meno, sono solo delle vere assurdità,
puerili e incoscienti oltraggi alla beltà religiosa.

Il Cuore e il monogramma del nome di Gesù

Appena pochi anni dopo il dramma redentore del Calvario, san Paolo,
rivolgendosi ai Filippesi che aveva convertito, scriveva loro delle pagine
ispirate nelle quali glorifica così magnificamente il Nome sovrano che
regna sul Cielo, la Terra e gli Inferi, il Nome di Gesù Dopo di lui, san
Giovanni neWApocalisse indica il Nome divino quale segno degli eletti
di Dio. Allora, da un confine all’altro del mondo romano, nelle
cristianità nascenti di Gerusalemme e Damasco, di Tiro e Antiochia, di
Alessandria e Cartagine, di Atene, Napoli e Roma, sul Nome di Gesù si
concentrarono tutte le adorazioni, verso di lui si tesero tutte le mani
supplicanti; e negli anfiteatri, nelle arene e in tutti i luoghi di supplizio il
sangue di milioni di martiri colò per lui.
Al fine di poterlo onorare ovunque, di portarlo su di loro come un
talismano divino e inciderlo, allo stesso titolo, sugli oggetti di uso
quotidiano, i fedeli lo nascosero dietro a una unione di lettere da loro
conosciuta.
E prontamente, quando scoccò l’ora di Dio, l’imperatore di Roma
Costantino mise sul suo stendardo e sulla bombatura del suo elmo il
monogramma del Nome di Gesù. Da allora questo fu, e sarà finché
durerà sulla terra la razza degli uomini, un inno senza fine a gloria del
Nome sacro.
Fra questi raggruppamenti di lettere che riassunsero il Nome di Gesù,
quello più utilizzato, dal Medio Evo fino a noi, si compone di tre lettere,
i H s, tratte dalla parola greca IHCOYS, lesous.

’ Cfr. Fi/2.

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ICONOGRAFIA ANTICA POSTERIORE AL
RINASCIMENTO 125
A partire dalla seconda metà del secolo XV, quando da duecento anni
gli artisti avevano preso la bella abitudine di rappresentare il Cuore di
Gesù come immagine della fonte del Sangue redentore e come emblema
del suo amore che lo fece sgorgare, l’immagine del Cuore Divino
nonché quella del cuore del cristiano furono rappresentate
frequentemente in giustapposizione con il monogramma di Gesù Cristo,
ma rispecchiando due pensieri ben diversi.
Dato che, generalmente, oggigiorno non si conoscono più questi
pensieri dimenticati che presiedettero alla rappresentazione dei cuori di
Gesù e del fedele vicino al monogramma, ne deriva una incapacità
completa nel distinguere fra loro questi due cuori e da ciò risulta una
serie di disdicevoli equivoci. Alcuni autori molto recenti sono addirittura
arrivati alla conclusione che l’immagine del Cuore di Gesù si trova in
ogni cuore giustapposto al monogramma i H s.
Precisiamo per prima cosa una questione di contesto, di rispettive
posizioni del cuore e del monogramma nella composizione dei motivi in
cui entrambi entrano; infatti, a seconda del caso, il cuore è raffigurato
sopra o sotto il monogramma o sulle lettere che lo compongono;
talvolta, viceversa, è il monogramma che è inscritto sul cuore.
Ricordiamo che tutta la simbologia dei due secoli XIV e XV deriva
soprattutto dall'araldica e dall'emblematica della bella epoca medievale
che li ha preceduti; ora, in queste due branche della grande arte del
Medio Evo, per le raffigurazioni dei personaggi e per gli emblemi
incaricati di rappresentarli, esisteva un atteggiamento, una postura che si
potrebbe definire «di omaggio».
La sua origine risale alle cerimonie solenni del fedele omaggio che i
vassalli prestavano ai loro feudatari, sia negli ambienti ecclesiastici che
nella società feudale laica: in entrambi i casi, il vassallo si metteva in
ginocchio ai piedi del suo signore. L’arte dei miniatori e soprattutto
quella dei compositori sigillografi, specialmente degli incisori di sigilli
ecclesiastici, fissarono questa «postura di omaggio»: sebbene gli alti
prelati, come vescovi e grandi abati, si facevano rappresentare seduti o
in piedi nella doppia ogiva dei loro sigilli, gli altri ecclesiastici erano
raffigurati molto spesso inginocchiati nella parte bassa del sigillo, la cui
parte alta era occupata dall'immagine del loro santo patrono battesimale
o di quello della chiesa o del priorato, o semplicemente da quello del
luogo in cui abitavano. A partire dall’inizio del secolo XIV, questa
composizione si modificò anche molto in fretta: i personaggi
inginocchiati, le mani giunte e levate - come nel fedele omaggio - verso
l’immagine santa, furono sostituiti, rappresentati dal loro scudo araldico,
cosiddetto «posto in omaggio».
ICONOGRAFIA ANTICA POSTERIORE AL
RINASCIMENTO 126
Il blasone personale o di famiglia ottiene allora il suo unico e vero
ruolo razionale che è solo quello di essere il segno sensibile, visibile e
quasi ieratico di un uomo che non si vede e del quale occupa il posto,
allo stesso modo di un nome in calce a uno scritto, quello del firmatario;
allo stesso modo di un cero che rappresenta e sostituisce un fedele ai
piedi di un altare.
Do qui come esempio il sigillo di frate René Deblet, priore di Notre-
Dame de Sales nell’arcidiocesi di Bourges nel secolo XIV. Lo scudo di
Deblet lo si vede in omaggio ai piedi della Vergine, patrona del suo
priorato.

Fig. 1. Sigillo del priore René Deblet, secolo XIV (da una impronta su cera).

Verso la fine del secolo XV, agli artisti, agli iconografi, venne l’idea
di collocare allo stesso modo il cuore del fedele, del mistico, come un
blasone in omaggio, sotto il Nome sacro del Redentore. Quando il cuore
è infiammato, cosa piuttosto frequente, significa non soltanto l’omaggio,
ma anche la preghiera, l’ardore dell’amore.
A meno che non siano stati tracciati da mani incoscienti, i cuori
collocati al di sotto del monogramma i H S non portano mai la ferita
della lancia. Se così non fosse, rappresenterebbero molto chiaramente il
Cuore di Gesù Cristo, piazzato però per ignoranza in un posto as-
solutamente ingiustificabile perché irrazionale. Se ne trovano rari
esempi della fine del secolo XVI; e dal XVII al XIX il caso diventa fre-
quente perché allora non ci si rende più conto di niente e si conoscono
meglio gli attributi mitologici dell’emblematica cristiana. Ho visto
questa cosa insensata del Cuore di Gesù sotto il suo monogramma su
ICONOGRAFIA ANTICA POSTERIORE AL
RINASCIMENTO 127
numerose patene di calici di quel misero periodo, nel Poitou, nell’An- jou, in Turenna, in Provenza e in altri luoghi.
Do qui, come esempio del secolo XVII dell'utilizzo razionale del
cuore fedele, un legno inciso del Museo degli Antiquari dell'ovest a
Poitiers: il cuore, ferito dai chiodi di cui parleremo più avanti, lo si vede
sotto il monogramma.

Fig. 2. Prova di un legno inciso del Museo degli Antiquari dell’Ovest, Poitiers, secolo XVII.

Fig. 3. Il cuore fedele nell’aureola del Nome divino. Museo degli Antiquari dell’Ovest, Poitiers.
Niente si oppone, invece, perché il cuore del fedele posto sotto il
monogramma sia inscritto nella stessa aureola del Nome divino, perché
Cristo, attirando a sé l’anima fedele, la introduce in qualche modo nel
suo irradiamento: è la ricompensa della sua fedeltà e del suo fervore. È
così che lo si vede nel frontespizio di L’Amour de Jésus, di Récollet,
Barthélemy, Solutive (1623) e su un’altra immagine della stessa tavola
ICONOGRAFIA ANTICA POSTERIORE AL
RINASCIMENTO 128
poitevina incisa che porta anche l’illustrazione precedente.
Quando invece il Cuore è posto sopra il monogramma stesso, o al di
sopra, sia ferito o meno - lo è nove volte su dieci -, è sempre il Cuore
del Signore, perché in questo caso il monogramma i H s è un denomi-
nativo che va messo in relazione al cuore e lo determina. È così che
appare al di sopra di Giano su un cartiglio iniziale del mese di gennaio,
in un calendario liturgico del secolo XVI55.

Fig. 4. Il Sacro Cuore al di sopra del monogramma. Miniatura del secolo XVI.

A maggior ragione si tratta sempre del Cuore Sacro, quando esso fa


corpo con il Nome di Gesù, così come lo si vede su una delle placche in
metallo dello Hiéron di Paray56 e sul medaglione di una casula ricamata
del Museo Storico dei Tessuti a Lione, di epoca Luigi XIV, qui
riprodotto.

55 Cfr. il capitolo «Un antico emblema del mese di gennaio» [nel presente volume],
56 Cfr. il capitolo «Documenti spagnoli del XVII secolo» [nel presente volume].
ICONOGRAFIA ANTICA POSTERIORE AL
RINASCIMENTO 129

Fig. 5. Medaglione centrale di una casula di epoca Luigi XIV, 28x23 cm.
Museo storico dei Tessuti, Lione, n. 1376.

Non dovrebbe esservi alcun dubbio anche quando il cuore stesso porta
il monogramma, come quello del Paradisius animae stampato nel secolo
XVI. Ma a volte, nel secolo XVIII, lo i H s in un cuore indica soltanto la
presenza di Gesù, per mezzo della grazia, nell'anima del fedele, o la sua
intima sovranità su quest’anima che fa del Nome sacro il suo marchio, il
suo sigillo. È quello che si deve leggere sull’ex li- bris a timbro apposto
su un esemplare del 1709 di Conférences ecclé- siastiques du diocèse
d’Angers, pubblicato per ordine del reverendissimo vescovo Poncet de
La Rivière.
Il mirabile movimento partito da Paray, che attivò meravigliosamente
la pietà verso il Cuore di Gesù, nella sua iconografia non provocò
nessun ritorno verso l’ordine, quand’anche la produzione di immagini
religiose che seguì a questo movimento non abbia aumentato
ulteriormente la confusione. Infine, le deplorevoli fantasie elucubrate nel
secolo XIX per le stampe popolari giunsero a varcare senza alcuna
difficoltà la soglia del ridicolo con le loro composizioni strampalate in
cui si frammischiano angeli beati, mocciosi estasiati, fiori qualsiasi,
cuori senza caratteri distintivi e voli di colombe che portano in alto altri
cuori per mezzo di ghirlande o legami invisibili; in conclusione, tutto
l’arsenale dell’arte (?) priva d'ispirazione e piagnucolosa che abbiamo
conosciuto, che ebbe il suo apogeo intorno al 1880 e che, per nostra
grande fortuna, è in agonia.
130 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Fig. 6. Contrassegno del frontespizio di Paradisius animae, secolo XVI.

Fig. 7. Timbro in legno stampato su un libro dcll’Anjou del secolo XVIII. Archivio dell’autore.

Il monogramma i n s, il Cuore e i tre chiodi

Il più conosciuto di questi motivi che radunano a un tempo la sigla i H


s, il cuore e i tre chiodi, è incontestabilmente quello che fa da cifra
araldica al sigillo d’arme della Compagnia di Gesù.
Consiste essenzialmente in un cartiglio di forma variabile in mezzo al
quale trionfa il monogramma del Nome di Gesù, i H s, posto al centro di
una gloria raggiante. Questo monogramma è sormontato dalla croce; al
di sotto di esso, si trova in postura di omaggio un cuore non ferito che
porta tre chiodi.
Lo riproduco dal legno ufficiale che fu consegnato nel 1761 agli
stampatori poitevini Jean e J. Félix Faulcon per il frontespizio di
Principes de la Grammaire del reverendo padre Jean Gaudin, s.j., opera
che fu adottata in tutti i collegi francesi della Compagnia57.

57 La Grammaire di padre Gaudin ebbe molte edizioni prima di quella del 1761. Il legno

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ICONOGRAFIA ANTICA POSTERIORE AL
RINASCIMENTO 131

Fig. 8. Contrassegno del frontespizio di Principes de la Grammaire, del reverendo padre Jean
Gaudin, s.j., secolo XVI-XVII.

Questa composizione di arte araldica religiosa risale all ultima parte


del secolo XVI, ma il blasone primitivo della Compagnia, determinato
dal suo fondatore sant'Ignazio di Loyola, comportava soltanto il
monogramma i H s al centro di una gloria e al di sotto tre chiodi, ma non
il cuore.
Di chi è dunque il cuore raffigurato nelle armi dei gesuiti almeno dal
1586, dato che lo si vede sul frontespizio della Ratio Studiorum
pubblicata allora dai gesuiti di Roma? Nel suo Historie de la dévotion
au Sacré-Cceur, di cui mi sono occupato ultimamente e che contiene dei
capitoli di grande valore, padre Hamon ritiene che questo cuore caricato
di tre chiodi non sia quello di Nostro Signore Gesù Cristo, bensì quello
emblematico del gesuita.
Ha perfettamente ragione. I chiodi, sebbene siano serviti a crocifig-
gere il corpo del Redentore, dal Rinascimento in poi non bastano affatto
per indicare un cuore quale sua rappresentazione.
Del resto, dalla fine del secolo XV i Gesuiti non erano i soli religiosi
che utilizzavano il cuore caricato o afflitto da tre chiodi; con o senza il
monogramma, i carmelitani, i francescani, le benedettine di Fonte-
vrault, le visitandine e quasi tutte le famiglie religiose hanno fatto al-
trettanto: questo perché tale cuore rappresentava molto semplice- mente
quello del mistico e specificatamente, in origine, il cuore monastico,
cuore dei religiosi.

per il frontespizio sembra essere stato inciso alla fine del secolo XVI o all’inizio del XVII, molto
tempo prima della prima edizione dell’opera che lo porta.
Ritorniamo al tempo che vide nascere questo emblema, all’ultimo

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132 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

terzo del secolo XV. Già da due secoli gli artisti di ogni genere rappre-
sentavano il Cuore di Gesù Cristo; gli scrittori e i predicatori, special-
mente i certosini e i francescani58, lo mostravano ai fedeli ripetendo loro:
contemplatelo, poi modellate il vostro cuore imperfetto su questo Cuore
perfettissimo. Loro compito era di ripetere la frase del testo sacro:
«Andate, e fate come il modello che vi è stato mostrato». Da allora
l'iconografia, come la vita spirituale, conobbe il tema del cuore fedele
che prova ad assomigliare a quello di Gesù Cristo; assimilazione audace,
certo, alla quale il mistico poteva lavorare efficacemente soltanto
attraverso una purificazione sempre più grande della sua vita, a una
ascensione costante delle sue idee, duro lavoro che solo un ascetismo
austero poteva sostenere. E la Chiesa del tempo non ha per nulla
imbrigliato questa concezione spirituale, che io sappia, né la sua
interpretazione iconografica.
La servirono molto meglio i suoi scrittori. Uno dei loro scritti fra i più
interessanti in merito, e il più conosciuto da quando l'iconografo
poitevino conte Grimouard de Saint-Laurent ne ha studiato il prezioso
contrassegno del frontespizio in Revue de VArt Chrétien59 60, è l'Exerct-
ce du Cceur Crucifié' del cordigliere Piene Regnart del convento di
Fontenay-le-Comte nel Poitou. L’autore espone in questa opera le
esortazioni e i metodi adatti per «crocifiggere» il proprio cuore a imi-
tazione spirituale di quello di Gesù. Nell'arte dell’epoca c era infatti una
pratica corrente, quella di raffigurare il Cuore di Gesù Cristo da solo
sulla Croce; così ce lo mostra lo stampo per ostie di Vich, del secolo
XIII o XIV61; lo stampo di piombo della confraternita di Champigny-sur-
Veude, secolo XV62; il marchio commerciale dello stampatore Levet,
secolo XV63; ma soprattutto, il blasone scolpito del Cristo assiso di
Venizy” in cui lo scultore, volendo mostrare che il Cristo è tutto cuore e
che fu l'amore del suo Cuore per noi che lo portò a lasciarsi crocifiggere,
ebbe la straordinaria idea di crocifiggere
questo Cuore Sacro mediante mani e piedi che partono direttamente da
esso senza che né corpo né testa siano presenti sulla Croce; immagine
della quale si può discutere o criticare il tema, ma di cui va senz’altro
riconosciuta la particolare potenza evocativa... Ecco ciò che si dipingeva
58 Per francescani si intendono qui lutti i figli spirituali di san Francesco d’Assisi.
59 Cfr. conte Grimouard de Saint-Laurent, «Les images du Sacré-Coeur au point de vue de
l’histoire et de lari», Revue de VArt Chrétien, aprile-giugno 1879, p. 330.
60Cfr. Pietre Regnart, Exercice du Cceur Crucifié, à l’Escu de France, Parigi, rue Neuve-
Notre-Dame.
61 Cfr. Regnab/f, settembre 1922.
62 Cfr. «Stampo per l’insegna della confraternita di Champigny-sur-Veude...», in «Docu-
menti popolari della line del Medio Evo» [nel presente volume].
63 Cfr. «Pierre Levet», in «Marchi commerciali...», art. cit. (Regnabit, n. 8, gennaio 1924).
" Cfr. il capitolo «Il Cristo assiso di Venizy e il suo blasone» [nel presente volume].

iteri al e protetto da copyright


ICONOGRAFIA ANTICA POSTERIORE AL
RINASCIMENTO 133
e si scolpiva poco prima della composizione di Exercice du Coeur
Crucifìé.
Il libro di Regnart fu in assonanza con l'arte e la spiritualità della sua
epoca. E l’incisione del suo titolo di cui, molto verosimilmente,
determinò egli stesso la composizione, ci mostra un cuore posto su una
croce al centro di una spaventosa corona di spine; in mezzo a questo
Cuore uno scudo tranciato porta solo il monogramma del Nome di Gesù
64 65 66
. Tre chiodi affondano nel Cuore, la cui crocifissione è puramente
ideale e non lo inchiodano affatto come ha detto padre Hamon B, perché
le loro punte possono colpire soltanto il vuoto dietro al cuore; quelli in
alto stanno sotto i bracci della croce. E questi tre chiodi si chiamano
Pauvreté, Chasteté ’4, Obédience; e cioè Povertà, Castità e Obbedienza,
che sono i nomi delle virtù dei voti religiosi che san Francesco, padre
spirituale del cordigliere Regnart, ha tanto esaltato. Sul Cuore e attorno
ad esso, fioriscono le virtù principali della vita religiosa: Patience,
Charité, Pénitence, Atrempance, Paix, loie, Longanimité, che sono la
Pazienza, la Carità 67, la Penitenza, la Temperanza, la Pace, la Gioia, la
Longanimità.
Tutto il significato contenuto in questa composizione è dunque do-
minato dai nomi delle tre virtù che simboleggiano, che personificano,
per così dire, i tre chiodi chiamati Povertà, Castità, Obbedienza. Senza
dubbio, l’ispiratore dell’incisione ha voluto mostrare che è mediante la
pratica di queste virtù, nell’àmbito della vita religiosa caratterizzata dai
tre voti, che si può meglio attuare questo «esercizio del Cuore
crocifisso» mediante il quale il cuore tende a rassomigliare, ad
assimilarsi a quello di Gesù Cristo.
E il nome di questi tre chiodi chiarisce e spiega il mistero della loro
presenza nel cuore emblematico che quasi tutti gli Ordini religiosi e le
congregazioni dai voti temporali hanno utilizzato, dal secolo XVI,

64 E non i due monogrammi di Gesù e Maria, come ha scritto padre Hamon in Historie, op.
cit., p. 335-336.
65” Cfr.M.,p.336.
66 L’incisore di padre Regnart, per una evidente e incontestabile distrazione, ha scritto sul
chiodo inferiore Charité («carità»), che è ripetuta sulla parte alta del Cuore.
67 Grimouard de Saint-Laurent, citato da Hamon, vede nella quadratura che porta la parola
carità l’immagine della lancia. Questa opinione, per lo meno assai contestabile, mi lascia molto
scettico.

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134 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Fig. 9. Incisione del titolo Exercice di Cceur Crucifìé di padre Regnai! (riproduzione per
procedimento fotografico tratta da Grimouard de Saint-Laurent).

nelle composizioni varie che hanno così spesso posto «in omaggio» ai
piedi del monogramma di Gesù Cristo, per rappresentarvi tutta la loro
famiglia religiosa.

Fig. 10. Blasone di Jean de Newland, Bristol, Inghilterra, secolo XV.

Talvolta i chiodi fanno sanguinare abbondantemente il cuore, per il


quale i tre voti sono una prova, una penitenza, sebbene diano al tempo
stesso gioia e sicurezza spirituali. Questo lato penitenziale è una
analogia in più con il Cuore del Maestro. Il cuore del blasone di Jean de

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ICONOGRAFIA ANTICA POSTERIORE AL
RINASCIMENTO 135
Newland, abate di Saint Augustin a Bristol, ce ne offre un esempio e
padre Hamon, a dispetto di quello che ci dicel0, può catalogarlo nei
semplici cuori fedeli. All'inizio delle mie ricerche sull’iconografia del
Cuore di Gesù Cristo, nel 1917, ho pensato anch'io per un istante che
fosse l’immagine di quello davanti al quale ogni ginocchio deve flettersi.
Tutti gli iconografi lo affermavano. Accostamenti, comparazioni e lo
studio dell'iconografia generale del cuore nel secolo XV me lo aveva
fatto subito rimettere al suo posto, fra i cuori monastici presi dall’ideale
desiderio di modellarsi sul Cuore sofferente di Gesù Cristo.
Sull’esempio o più esattamente su imitazione, un po’ troppo eccessiva
in questo caso, dei religiosi che pronunciavano veramente i voti effettivi
di Povertà, Castità e Obbedienza ’7, numerose confraternite,
congregazioni laiche, e altri raggruppamenti pii adottarono durante i
secoli XVII e XVIII l’emblema del Monogramma e del Cuore trafitto da
tre chiodi; le Confraternite dei Penitenti, del Buon Soccorso, della
Buona Morte, ecc. lo adottarono unanimemente in Francia, Spagna,
Italia.
Devo a mademoiselle Berthier, la devota e zelante fondatrice della
ditta Beaux-Livres (Vichy e Cannes), il poter riprodurre qui il cartiglio
scolpito sulla facciata della cappella dei Penitenti Bianchi a Biòt, presso
Antibes, nella diocesi di Nizza. Sul monogramma il cuore della
Confraternita è attraversato da tre chiodi mistici e il cuore del Penitente
abita il cuore fraterno nel quale ha trovato un rifugio, un’oasi protettrice.

Fig. 11. Scultura della cappella dei Penitenti di Biòt (Alpi Marittime), 1612.

16
Cfr. Hamon. op. cit., p. 334.

È piuttosto evidente che nel caso di queste pie associazioni, i cui


membri non erano legati da voti, i chiodi non avevano più il loro senso
iniziale; erano soltanto una tradizione incompresa. La cappella di Biót è
datata 1612 e nel 1613 il gesuita Nigronus, che scriveva a Roma, non

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136 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

sapeva già più cosa significassero i chiodi che sant’Igna- zio aveva fatto
entrare nel blasone della sua Compagnia Sant’Igna- zio, che visse gli
ultimi venti anni del secolo XV e che fondò la sua società all’incirca
quando il cordigliere del Poitou Regnart scriveva il suo Exercice du
Cceur Crucif té, conosceva e comprendeva 1 iconografia mistica del suo
tempo; cento anni dopo di lui essa non veniva più capita.
Il peggio avvenne durante i secoli successivi che arrivarono a sfigu-
rarla.

Come concludere questa lunga dissertazione?


Ritengo innanzi tutto che si debba trarre la seguente regola generale:
quando l'immagine del Cuore di Gesù accompagna il monogramma i H s
deve normalmente essere posta su questo o al di sopra. E che l’unico
posto che conviene alFimmagine del cuore fedele è la postura di
omaggio al di sotto del monogramma.
Moke eccezioni a questa regola sono state fatte durante gli ultimi tre
secoli soprattutto da ignoranti che non hanno saputo distinguere per
nulla le conformità relative alle immagini del Cuore di Gesù e del cuore
del fedele.
Infine, la presenza dei tre chiodi sopra o dentro un cuore che non porta
nettamente la ferita del colpo di lancia, indica le tre principali virtù
monastiche che sono l’oggetto dei tre voti dei Regolari. Talvolta, anche
isolati dal cuore come sul sigillo primitivo della Compagnia di Gesù, i
tre chiodi non hanno altro significato.
Se queste pagine non faranno altro che aiutare a riservare alle sole
rappresentazioni del Cuore di Gesù Cristo alcune delle adorazioni e delle
preghiere che soltanto a Lui sono dovute, saranno, oso credere,
ampiamente giustificate.
In ogni caso, le dedico a coloro che immaginano che sono troppo
propenso a vedere in ogni figura antica del cuore quello di Gesù Cristo.
Lo scrigno delle autentiche perle iconografiche antiche che cono-

Cfr. Hamonrop. cit., p. 337.

sco è troppo prezioso perché io sia tentato di lasciarvi scivolare den tro
con facilità delle contraffazioni.

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ICONOGRAFIA ANTICA POSTERIORE AL
RINASCIMENTO 137
L'habitat spirituale nel Cuore di Gesù

La terza questione, utile per lo più per esaminare e discernere il Cuore


di Gesù da quello del fedele al quale lu talvolta assimilato di comune
accordo dalla pietà e dallarte, è «l'habitat spirituale» del cuore fedele in
quello del suo Salvatore.
Nata sin dai primi secoli della Chiesa, questa forma di pietà la ve-
diamo maggiormente in auge nei chiostri del Medio Evo, ma sarebbe
assolutamente sbagliato pensare che fosse riservata in mòdo esclusivo ai
raffinati, se così posso dire, della mistica cristiana. Essa fu predicata
sempre a tutti e a partire dal secolo XVI, almeno, la troviamo
interpretata dall'iconografia in composizioni destinate a essere divulgate
ovunque.
Del resto, sono così poche le forme naturali per le quali l’anima cri-
stiana possa aspirare ad avvicinarsi mentalmente al suo Salvatore, ché
nel ricorrervi essa obbedisce a ciò che si può chiamare istinto di
conservazione.
Sempre e ovunque, il cristiano ha individuato dei pericoli per la sua
anima, e sempre ne conoscerà. Contro la sua sicurezza viene di tutto: le
condizioni in cui la sua vita si svolge, nella ricchezza e nella povertà, nel
vigore e nella malattia; i suoi simili che lo danneggiano, lo perseguitano,
lo umiliano o lo sollecitano a trascinarsi in terreni proibiti, cosa che
talvolta fa anche da solo per la doppia natura spirituale e animale e di cui
san Paolo ci dice che trasforma il suo spirito in un campo di battaglia.
Dunque, vi sono pericoli ovunque per colui che vuole conservare la sua
anima intatta, per quanto è possibile all’uomo che vive in questo mondo.
Davanti a tali molteplici pericoli, sale nell’anima la paura.
E, in ogni tempo, la paura ragionata fu, per l’essere umano, uno dei
sentimenti più fecondi: gli fece inventare l’arma per la difesa del suo
corpo e l’abitazione chiusa per la sicurezza del suo riposo e dei suoi
beni.
Anche l'anima fedele, sentendo la sua debolezza e presa dalla paura
davanti ai pericoli, volle avere un rifugio. E lo volle santo e sacro;
guardando il suo Redentore morto per la nostra salvezza, essa vide nel
suo fianco il passaggio spalancato dal quale è colato per lei il sangue del
Cuore, e si è detta: ecco il mio rifugio!
Così l’anima che ha paura dell'uomo che la spinge o la trascina verso
la sua perdizione, avendo anche paura di colui che la giudicherà, si getta
nel cuore del Salvatore e del suo giudice.
Se dovessi a questo punto azzardare un accostamento a una
espressione simile di desiderio e di bisogno di protezione, chiamerei in
causa quella di quel Faraone della XIX dinastia, circa milleduecento
anni prima di Cristo, il quale, rivolgendosi al dio Ammone, il dio Uno, il

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138 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

dio supremo, desiderava «che lo portasse nel suo cuore».


Ma restiamo in ambito cristiano. Tutto il primo millennio ripose la sua
speranza nella piaga del costato di Gesù, e se gli artisti di allora non la
mostrarono in una maniera così realistica come hanno fatto quelli
successivi nel corso dei secoli, per lo meno moltiplicarono ovunque la
sua immagine misteriosa al centro delle altre quattro ferite del corpo
divino, rappresentandola più grande o più gloriosa delle altre.
Dal secolo IV la grande voce del santo vescovo di Costantinopoli
Giovanni Crisostomo proclamò il motivo per cui questo posto d’onore
va tributato alla piaga laterale di Cristo nell arte cristiana: «Trapassando
il costato di Cristo, il soldato ci aprì l’ingresso al Santo dei Santi» ’9.
La porta aperta è l'invito a entrare; e la porta di cui parla il santo di
Costantinopoli non si apre forse sul più santo dei santuari e dei rifugi?
L’iconografia ci dimostra che anche ai tempi travagliati dei secoli IX
e X, questa attenzione della Chiesa verso la piaga laterale non si indebolì
affatto; e in tempi successivi, soprattutto dopo che san Bernardo nel
secolo XI ebbe guidato il pensiero dei mistici non soltanto verso la piaga
sanguinante, ma fino al Cuore di cui essa non è che la via sacra, le
anime, ancora più avidamente di quelle che non erano più, vi cercarono
per la loro salvezza un'oasi di sicurezza più protettiva di ogni altra.
Da allora, uno dopo l'altro gli autori spirituali stabilirono e man-
tennero la teoria teologica dell’habitat nella piaga del costato e nel Cuore
di Gesù Cristo, presentati nel duplice aspetto di santuario e di rifugio.
Per giustificare questa asserzione, devo citare qui alcuni brevi estratti
da ciò che hanno scritto.
Sant’Antonio da Padova, 1195-1231:
Se Gesù Cristo è la pietra, la fenditura della pietra in cui l’anima pia deve
rifugiarsi è la piaga del costato di Cristo. Foramen istud est vulnus in latere

” San Giovanni Crisostomo, Omelie, 84, cap. IX.

Christi. E infatti è in questo asilo esclusivo che il divino Sposo chiama 1 anima pia
quando le dice nel Cantico dei Cantici: «Alzati, mia colomba, amica mia, mia
sposa; vieni dalle fenditure della roccia, dai nascondigli dei dirupi» 68. Il divino
Sposo parla delle molte fenditure della pietra, ma parla anche della grotta profonda,
caverna maceriae. Nella sua carne vi sono numerose ferite e vi è la piaga del suo
costato; quella porta al suo Cuore ed è lì che chiama l’anima per farla sua sposa. Le
ha aperto le braccia, le ha aperto il suo costato e il suo Cuore affinché venisse a
nascondersi. Christus enitn non solum se, sed etiam latus et Cor columbae aperuit,

68Cfr. Ct 2,4.

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ICONOGRAFIA ANTICA POSTERIORE AL
RINASCIMENTO 139
ut se ibi absconderet. Ritirandosi nelle profondità della pietra, la colomba si mette al
riparo dalle persecuzioni dell’uccello rapace; al tempo stesso essa si assicura una
dimora tranquilla dove piacevolmente riposa. E l’anima pia troverà nel Cuore di
Gesù, assieme a un asilo sicuro contro tutte le macchinazioni di Satana, un delizioso
ritiro... Non restiamo sull’entrata della grotta, andiamo in profondità, sunimo ore
foraminis (il testo ebraico dice trans os foveae, assai avanti in profondità).
All’entrata della grotta, sull’orlo della piaga, troviamo, è vero, il sangue che ci ha
riscattati foraminis os est sanguis Christi. Parla, chiede misericordia per noi. Ma
l’anima pia non deve fermarsi qui. Quando ha sentito la voce del sangue divino, che
vada fino alla fonte dalla quale cola, nel più intimo del Cuore di Gesù. Là essa
troverà la luce, le consolazioni, la pace, delizie ineffabili69'.

San Bonaventura, 1221-1274:


Come è dolce, come è bello abitare in questo Cuore!... Andrò a pregare in questo
tempio, in questo Santo dei Santi... Accogliete [o Gesù] le mie preghiere nel
santuario in cui voi esaudite; anzi, trascinatemi tutto intero nel vostro Cuore70.

Giovanni Taulero, domenicano, 1294-1316, a Gesù fa dire:


Come il sigillo imprime la sua forma nella cera, così la violenza del mio amore
per l’uomo ha impresso in me la sua immagine: in me vuol dire nelle mie mani, nei
miei piedi e anche nel mio Divino Cuore, al punto che io non possa mai
dimenticarlo71.

Sarebbe stato possibile a questi santi autori essere più espliciti? Lo


ripetono, è nella piaga sacra e nel Cuore di Cristo, nominalmente in-
dicato, che si trova il beato e sicuro asilo dell'anima.
All'epoca in cui visse Giovanni Taulero vanno collocate le prime
rappresentazioni sicure che finora abbiamo del Cuore di Gesù, del Sacro
Cuore. In questa rivista ho già riprodotto molti esempi: il Cuore
crocifìsso sullo stampo da ostie di Vich, il Cuore raggiante del graffito di
Chinon, quello del sigillo di Jaques Muzekin, pellicciaio della corte di
Borgogna, e altri, tutti anteriori all’inizio del secolo XV.
È molto evidente, e devo ripeterlo qui, che accettando come hanno
fatto questa immagine del Cuore fisico di Gesù, i teologi e gli scrittori
spirituali di allora hanno collegato a detta immagine tutto ciò che i
dottori e gli oratori sacri avevano detto e scritto prima di loro sulla piaga
69 Sant'Antonio da Padova, Senno XCV1II in Psalm 54, in Henri de Grèzes, Le Sacré-
Cceur, Etudes Franciscaines.
70San Bonaventura, Vfris mystica, c. III.
712i Giovanni Taulero, Homeliae, p. 460, citato da Franciosi, Le Sacré-Cceur et la tradition,
col. 205.

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140 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

del costato divino. Per essi, Cuore e piaga sono due cose che ne formano
una, due cose sacre che un comune colpo di lancia ha unito per l'eternità.
I loro predecessori hanno parlato come loro, continuando l’inno
splendido che tutto insieme glorifica la ferita della lancia e il Cuore al
quale essa giunse.
Dom Henri Arnold, certosino, f 1487:
O uomini, dice Nostro Signore, vedete e considerate in quale posizione dolorosa
mi trovo sulla croce, ho le braccia aperte per essere sempre pronto ad accogliervi...
Ho i piedi inchiodati per farvi sapere che non posso separarmi da voi; le mie mani
trafitte vi fanno per di più capire che sarebbe loro impossibile, anche fermandole,
trattenere le grazie che voi desiderate. Ma sappiatelo bene, non sono i chiodi che mi
tengono alla croce, è il mio amore... Per non dimenticarvi mai, vi ho scritto
profondamente nelle piaghe dei miei piedi e delle mie mani; sono andato oltre, mi
sono fatto aprire il costato dalla lancia di un soldato per aprirvi l’ingresso del mio
Cuore e mostrarvi quanto è grande il mio amore per voi. Dopo la mia morte ho fatto
colare dal mio costato sangue e acqua, sangue per il vostro riscatto, e acqua per
lavare i vostri delitti.72.

Ludolphe de Saxe, certosino, 1295-1378:


Alzati, anima amica di Cristo. Come la colomba vai a fare il tuo nido nel
passaggio spalancato. Là, come il passero che ha trovato la sua dimora, non cessare
di vegliare; là, come la tortora, nascondi i frutti del tuo casto amore.

72 Dom Henri Arnold, in Franciosi, Mois du Sacrò-Cceur de Jésus, par d’anciens auteurs
chartreux, p. 60-61, col. 233.

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ICONOGRAFIA ANTICA POSTERIORE AL
RINASCIMENTO 141
In questi anfratti della pietra, in queste profondità della muraglia, sia per l’ora
presente che per la tua ultima, impara a correre; vai a nasconderti; vi troverai grandi
pascoli e sfuggirai alla bocca del leone73.

Santa Caterina da Siena, 1347-1380, ripete spesso che il costato


aperto di Gesù è un luogo di rifugio e la camera nuziale degli sposi di
Cristo74.
Dom Nicolas Kempf, 1393-1497:
Venite, mia colomba, e non andate a volteggiare alla ventura, ma vemte negli
anfratti della pietra, nella caverna praticata in mezzo alla muraglia di pietre a
secco. La pietra è Cristo stesso, gli anfratti che si trovano nella pietra sono le piaghe
di Gesù Cristo... Quanto a questa caverna praticata nella muraglia, è l’apertura del
costato di Nostro Signore, l’anima che vuole salire ed elevarsi fino al suo Amato,
quando i nibbi, gli avvoltoi e gli altri uccelli predatori, immagini dei demoni, stanno
per piombare su di essa, deve quindi darsi alla fuga come una timida colomba e
rifugiarsi negli anfratti della pietra, vale a dire nelle piaghe di Gesù Cristo, e
soprattutto nella caverna profonda, cioè nella piaga del costato di Gesù e nel suo
Cuore. Là, essa non ha più nulla da temere. Che essa costruisca il suo nido nel
Cuore di Gesù, che vi si rifugi, che vi riposi e prenda sonno: gli spiriti infernali non
proveranno mai a tenderle delle trappole, essi non osano avvicinarsi alla piaga del
Cuore di Gesù75.

San Tommaso da Villanova, 1486-1554:


Il nido della tortora è il petto del corpo, dico del corpo, del suo amato; essa vi
entra attraverso l’apertura del costato, vi fa il suo nido tranquilla e vi pone i suoi
piccoli in tutta sicurezza76.

Lansperge il Certosino, 1489-1539:


Se vi spingesse la devozione, potreste anche baciare questa immagine, intendo il
Cuore del Signore Gesù, persuadendovi che è proprio questo Cuore che preme le
vostre labbra, con il desiderio di imprimere in esso il vostro cuore, di affondarvi il
vostro spirito e di assorbirvi in lui77.

San Pietro d’Alcantara, 1499-1562:


73 Ludolphe de Saxe, Vita Jesu-Christe, parte II, cap. LXIV, n. 17, cit. in Franciosi, Le Sacré-
Cceur et la tradition, col. 208.
742* Cfr. Santa Caterina da Siena, Dialoghi, cap. 20, cap. 124 e cap. 126; Eadem, Lettere,
143,210,270, 309, 322 e 329.
75” Doni Nicolas Kempf, cit. in Franciosi, op. cit., col. 233, p. 63-65.
76“ San Tommaso da Villanova, In Ascensione Domini, conc. II.
77 Lansperge le Chartreux, Pharetra divini antoris, 1,V.

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142 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Quel giorno, si dovrà meditare sul colpo di lancia che fu dato al Salvatore... Un
soldato si avvicina con la lancia in mano, e l'affonda nel petto nudo del Salvatore.
Tale fu la violenza del colpo che la croce vacillò e uscì dalla piaga acqua e sangue
per la guarigione dei peccati del mondo. O fiume che sorgi dal Paradiso e che
abbeveri col tuo corso tutta la superficie della Terra! O piaga del suo costato sacro
fatta più dal suo amore che dalla lama crudele di una lancia! O porta del cielo,
apertura che rischiara il Paradiso, luogo di rifugio, torre di sicurezza, santuario dei
giusti, nido di timide colombe, coltre fiorita della sposa di Salomone! Dio ti
conservi preziosa piaga del costato che ferisce i cuori devoti, rosa di ineffabile beltà,
rubino di valore inestimabile, ingresso del Cuore di Gesù Cristo, testimonianza del
suo amore e pegno della vita eterna78 79.

Ecco il sunto dell’insegnamento dei nostri primi sedici secoli cristiani.


Questa spiritualità è quella che a torto si vuole considerare riservata ai
soli asceti e mistici dei monasteri. Era quello che si diceva ai fedeli
dall’alto dei pulpiti d’Italia, Francia, Spagna, Inghilterra e Germania.
Sant’Antonio da Padova, nel sermone di cui abbiamo letto alcune
righe, non si rivolgeva solo ai monaci; ho già riportato*’ il passo del
sermone sulla Passione del Signore predicato ai parigini da padre Olivier
Maillard e che, tradotto in latino per i dotti, fu stampato da Jehan Petit
nel 1513. Maillard termina così il passo relativo al colpo di lancia: «Voi
[Signore] avete voluto che il vostro costato fosse aperto, vi prego80, fate
che io possa abitare in mezzo al vostro Cuore».
Verso la fine del secolo XVI, anche san Francesco di Sales in un
sermone pubblico diceva:
Il secondo motivo per cui Nostro Signore volle che gli fosse aperto il costato, ci è
dato dalle parole del Cantico dei Cantici, che dice all’anima devota: «Veni, columba
mea, in foraminibus petrae, in caverna maceriae» 81. Venite, mia bella, venite mia
amata, venite a ritirarvi come una casta colomba negli anfratti della muraglia e nei
pertugi della pietra. Parole per le quali ci convince di andare a lui in tutta confidenza
per nasconderci e farci riposare nel suo divino costato, cioè nel suo Cuore che è
aperto a riceverci con amore e benignità ineguagliabili, al fine di darci rifugio e
riposo assicurati in tutte le nostre tribolazioni...34.

Come è stata trattata dalle arti figurative questa tesi dell’habitat


mistico nel Cuore di Dio?...
Iniziali di nomi battesimali e patronimici furono frequentemente
iscritti nella cornice di un cuore sui marchi corporativi e commerciali
78 San Pietro d Alcantara, cit. in Franciosi, col. 255, Traité de l’oraison et de la meditatoti.
parte I, cap. 4.
79” Cfr. per esteso il mio «La Blessure du Cóté de Jésus», Regnabit. n. 6, novembre 1913
[trad. it. in II giardino del Cristo ferito, op. cit., cap. XVII].
80 Passio domini nostri Jesu Xri a reverendo p. Oliverii Maillard Parisius declamata.
81” Ct 2, 14.

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ICONOGRAFIA ANTICA POSTERIORE AL
RINASCIMENTO 143
della fine del Medio Evo e perciò dobbiamo riconoscere che spesso è
impossibile affermare se questi cuori siano l’immagine di quello di
Gesù, nel quale un fedele si è rifugiato spiritualmente sotto l'emblema
delle sue iniziali, o se siano soltanto i cuori dell’artigiano, del
commerciante, indicato da queste iniziali; spesso, entrambe le inter-
pretazioni sono verosimili.

Fig. 12. Marchio commerciale di Johm Gresham, secolo XVI, sulla vetrata dell’ospedale
di Great Lefort, Essex. Da uno schizzo di M. E. W.

Più espressivo mi sembra essere il marchio commerciale dell’opu lento


John Gresham (t 1555), che prestò spesso somme considerevoli al re d'Inghilterra
Enrico Vili. Un grande cuore sormontato dalla doppia croce, polla le
iniziali di John Gresham accompagnate da un cuoricino che deve essere
il suo.
Anche l’impronta di uno stampo in bosso, di origine spagnola,

M
San Francesco di Sales, op. cit. in Franciosi, Sermon polirla feste de Saint-Jean-Porte-
Latine, col. 304.

bearnese o basca che ho avuto dal conte Raoul de Rochebrune, mi


sembra assomigliare ai marchi artigiani del secolo XVI. Il monogramma
s F o F s accompagna, nel Cuore di Gesù sormontato dalla croce, un
cuore più piccolo che non può essere che quello del possessore del
marchio rifugiatosi nel Santo dei Santi, per dirla con san Giovanni
Crisostomo.

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144 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

i.n

Fig. 13. Stampo di marchio commerciale (?) in bosso, secolo XVI.

Ecco la riproduzione delle due incisioni su legno, immagini molto


popolari della fine del secolo XVII o del XVIII, i cui legni originali sono
al Museo degli Antiquari dell'Ovest a Poitiers. Entrambe ci mostrano il
cuore fedele in quello del suo Salvatore. Sulla prima il cuore fedele è ai
piedi del monogramma, t H s, e nel suo irradiamento che illumina
l'interno di quello di Gesù Cristo. Il Cuore Sacro che porta la croce, la
lancia e la spugna, irradia a sua volta in un ovale in cui sono cantonati
degli elementi vari relativi al supplizio redentore.
La seconda immagine mostra semplicemente il cuore fedele in postura
di omaggio sotto il monogramma di Gesù e nella cornice del suo Cuore
Sacro circondato dalla corona di spine.
La singolare medaglia in rame sbalzato, raccolta dal reverendo padre
Georges Goyet a Saint-Loup-sur-Thouet (Deux-Sèvres), mi sembra da
rapportarsi al tema dell’habitat del cuore umano in quello di Gesù.
Nei nostri ultimi secoli, talvolta, si è avuta l’idea di rappresentare il
Cuore di Gesù in quello di sua Madre, nel qual caso entrambi sono stati
sufficientemente caratterizzati perché si possano riconoscere.
Un'altra maniera di raffigurare il ricorso all'ospitalità protettrice del
Cuore di Gesù che il secolo XVIII conobbe e che il XIX usò in
composizioni spesso pietose per la loro estrema sdolcinatezza, fu di
rappresentare un uccello, per la precisione una colomba (una, non uno
stormo intero), che arriva ad ali spiegate sulla piaga spalancata del
Cuore Sacro. È l’interpretazione dei versi dei Cantico dei Cantici ai
quali si ispirò sant’Antonio da Padova nel testo precitato. Era una

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ICONOGRAFIA ANTICA POSTERIORE AL
RINASCIMENTO 145

Figg. 14-15. Legni incisi per immagini popolari, secolo XVIII. Museo degli Antiquari
dell’Ovest, Poitiers.

occasione per stabilire un bel motivo artistico; i disegnatori dell’ulti- mo


secolo lo hanno affrontato con una carenza totale di senso ieratico e
hanno così guastato 1 espressione di un così bel pensiero.
In sintesi, appare dunque come regola generale che se il tema del-
l'habitat spirituale del cuore fedele in quello di Gesù Cristo non è, come
d’ordinario, chiaramente manifestato in iconografia dalle iniziali di nomi
umani posti soli su un cuore, d’altro canto come immagini del Cuore del
Signore si possono vedere con una certezza sufficientemente giustificata
quelle composizioni pie che anch’esse portano, con o senza iniziali, dei
piccoli cuori sprovvisti di caratteri particolari.

Fig. 16. Medaglia in rame sbalzato proveniente da Saint-Loup-sur-Thouet


(Deux-Sèvres).

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Capitolo 14
I documenti di Vendòme e Taverny

Nel proseguire l’indagine intrapresa sulle antiche raffigurazioni del


Cuore di Gesù, presento ora dei documenti francesi, due dei quali sono
degni dell'attenzione di coloro che, sempre più numerosi, si interessano
alla storia del culto del Cuore di Gesù.
Ogni giorno prove concrete conservate in musei pubblici, in collezioni
private o rimaste finora senza degna attenzione, sia in povere che in
splendide chiese, escono dall’oblio e giungono a proclamarci in che
modo è salito al Cuore del Salvatore il pensiero orante, veramente
ardente, dei nostri Padri.

Antica abbazia benedettina della Trini té di Vendòme

Una domenica sera, Goffredo Martello, conte sovrano d’Anjou che


regnò dal 1040 al 1060, guardava dall’alto delle torri del castello di
Vendòme la bellezza del cielo splendente, quando tre stelle sfavillanti si
distesero e si fecero lunghe, ognuna «come la lancia di un cavaliere»;
poi caddero, una dopo l’altra, nella fontana vicino alla chiesa di san
Martino.
Allora, il conte fece sorgere in quel luogo un monastero che popolò di
monaci di san Benedetto provenienti dalla grande Abbazia di Mar-
moutiers, nei pressi di Tours.
La nuova fondazione, dedicata alla Santa Trinità per via delle tre
lingue di fuoco cadute dal cielo, divenne ben presto una delle più potenti
case monastiche di Francia e, malgrado il tempo e l’incuria degli uomini,
essa conserva sempre la sua imponente grandiosità. La navata della
chiesa è immensa e si divide in parti costruite alla fine del secolo XII,
nel XIV e nel XV. Il suo antico corredo era estremamente sfarzoso,
come era costume in tutti i monasteri importanti dell'Ordi- ne di san
Benedetto. «La povertà per il monaco e il lusso per Dio», era un adagio
dei benedettini nel Medio Evo, la devozione dei quali, per

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I DOCUMENTI DI VENDÒME E TAVERNY 147

altro, mi è stato detto essere troppo virile, saldamente ancorata e ar-


roccata sui vertici teologici in maniera troppo esclusiva per accogliere
favorevolmente di buon ora una devozione così sentimentale come
quella che ha per soggetto il Cuore di Gesù.
Anzitutto, la verità è che, dalle origini e fino al secolo XVI, la pietà di
ordine sentimentale verso il Cuore di Gesù è né più né meno la stessa
che faceva prosternare il mondo davanti alla Vera Croce, davanti al
Prezioso Sangue, davanti alle Cinque Piaghe di Gesù e segnatamente
davanti alla ferita del suo costato aperto, di cui l'immagine del Cuore
trafitto è soltanto il fiore divinamente meraviglioso e trionfale; per di
più, la verità è che questa devozione si diffuse fra i benedettini
contemporaneamente agli altri grandi Ordini e nello stesso momento in
cui si diffuse nella Chiesa di Dio, di cui furono sempre i figli più istruiti
e docili.
Presso la Trinité di Vendóme abbiamo almeno una testimonianza
dell'antica devozione benedettina al Sacro Cuore. Nella cappella in cui si
trova attualmente il fonte battesimale, abbiamo una delle preziose
vetrate antiche che l’edificio conserva ancora in gran numero. Essa è
composta di due parti fatte in epoche diverse: quella in basso, del secolo
XVI, fu donata alla chiesa abbaziale da Jean Galloys, cellerario del
monastero, e porta le sue armi: un blasone dimandante d'argento alla
pianta di fragola doro, rampante, fogliata e fruttata del medesimo. Jean
Galloys, la cui pietra tombale è nella stessa cappella, morì il 21
settembre 1546.
La parte superiore della vetrata, che comprende tutta la fioritura della
finestra, è del secolo XV. Essa riporla ai lati lo scudo ripetuto di dom
Aimery de Coudun, abate della Trinité dal 1470 al 1492, di rosso alla
croce di sant’Andrea doro. In mezzo al vetro, le armi monarchiche di
Francia e sopra ad esse, nella «luce» più alta dell’apertura, quelle che
all’epoca venivano chiamate le «armi araldiche di Gesù Cristo», vale a
dire degli emblemi che richiamano le sofferenze mortali della Passione.
Sulla vetrata di Aimery di Coudun troviamo il Cuore di Gesù sulla
Croce, straziato da tre chiodi, ferito dalla lancia e attorniato da una larga
corona spinosa.
Ma perché il fusto della croce, dietro al cuore, è piegato verso la parte
destra dello scudo? Confesso di non capire il significato certo di questo
dettaglio sicuramente intenzionale.
Lo scudo è d’argento, la croce e la corona di spine sono d’oro, il
Cuore è bianco grigiastro. Penso che in orìgine fosse di un colore in-
carnato che poi si è alterato. Anche in altre vetrate dello stesso periodo i
visi dei personaggi sono diventati quasi bianchi.
Riguardo alla data dell’esecuzione di questa parte di vetrata, ritengo

>da c
148 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

sia attribuibile ai tempi di Carlo Vili, il secondo dei due sovrani che
regnarono quando Aimery de Coudun portava la croce abbaziale della
Trinité. Le forme particolari del blasone francese e delle «anni araldiche
di Gesù Cristo», mi pare che impongano questa attribuzione.
Il blasone che ci interessa, collocato nella parte destra, indurrebbe a
pensare che il pittore vetraio che lo ha disegnato fosse dell'Est o del
Nord della Francia, piuttosto che dell’interno o delle altre estremità del
regno.
Sempre nella chiesa della Trinité di Vendóme, una delle cappelle del
deambulatorio è consacrata al Sacro Cuore.
Il retablo dell’altare ivi presente è della metà del secolo XVI; si
compone di un fondo in pietra davanti al quale le colonnine staccate
sostengono una trabeazione ornata con un fregio scolpito. In mezzo a
questo fregio si trova, molto in rilievo, un grande cuore schiacciato
circondato da tralci di forma originale.

Fig. 1. Vetrata della chiesa della Trinité di Vendóme, secolo XVI.


Cosa rappresenta questo cuore? Quello di Gesù o quello del donatore

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/ DOCUMENTI DI VENDÒME E TAVERNY 149

ossequiente, come spesso si è fatto? Oppure esso è, con uguale e


altissimo concetto, il cuore emblematico del convento, cioè dell’as-
semblea conventuale dei monaci della Trinité?...
Un motivo scolpito sopra il cuore e che molto probabilmente avrebbe
risolto ogni esitazione è stato mutilato. Nell ombra dell'im- menso
edificio, avvolto nel giorno in cui mi ci trovavo da un cupo cielo di
tempesta, non ho potuto capire nulla del soggetto soppresso dalla
superficie della pietra cancellata dal vandalo martello; corona, mo-
nogramma, fascio di fiamme, croce raggiante o motivo araldico inu-
suale?...

Fig. 2. Scultura sulla trabeazione di un altare nella chiesa della Trinité di Vendòme,
secolo XVI.

Riproduco qui l'immagine di quel cuore con tutte le riserve del caso,
ricordando soltanto che un secolo prima che fosse scolpito l’immagine
del Cuore doloroso di Gesù trionfava, qualche campata più in là, nella
vetrata di Aimery de Coudun e che l'altare che porta questo cuore
enigmatico è quello della cappella del Sacro Cuore ’.

1
Ringrazio infinitamente e sentitamente il canonico Renvoise, arciprete di Vendòme, e don
Plat, presidente della Société archéologique du Vend-mois, ai quali devo la conoscenza dei
documenti di cui ho parlato. Gli stessi ringraziamenti vanno a dom Séjoumé, a padre Anizan,
segretario generale di questa rivista, a don Roux, curato di Tavemy, relativamente alle sculture
dell'altare di Anne de Montmorency.
La chiesa di Tavemy (Seine-et-Oise)

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150 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

La chiesa attuale di Tavemy, edificata dal glorioso casato dei Mont-


morency, fu cominciata nel 1230, anno della morte di Matthieu II de
Montmorency detto il Grande, conestabile di Francia, uno dei più valenti
ausiliari di Filippo Augusto nell’opera di unificazione nazionale delle
province e uno dei più validi sostenitori della regina Bianca allorché
servì, a sua volta, gli sforzi della monarchia capetingia per lo stesso
scopo.
Situata a pochi chilometri a ovest di Montmorency, la chiesa di Ta-
vemy beneficiò spesso nel corso dei secoli della pietà munificente di
quei grandi signori che, più di tutti gli altri titoli, stimavano quello solo
ad essi riservato, di «primi baroni cristiani».
Il più illustre di loro, il conestabile Anne de Montmorency, primo
duca con questo nome, favorì a sua volta l’umile chiesa di campagna che
i suoi avevano amato. Si conoscono i suoi sentimenti di pietà, e la stona
narra il suo cavalleresco valore nelle battaglie di Marignan e di Pavia, la
sua gloria di vincitore a Metz, a Toul, a Verdun contro gli imperiali e
contro i protestanti a Dreux e a Saint-Denis nel 1567, anno in cui fu
mortalmente ferito.

Fig. 3. Scultura della chiesa di Tavemy, secolo XVI. Da un disegno fornito dal rev. p.
dom Séjourné, o.s.b.
Quindici anni prima, nel 1552, faceva dono alla chiesa di Tavemy del
superbo altare della Santa Vergine che resta un perfetto esempio di ciò
che fu, nel gusto dell’epoca, la più sontuosa decorazione di un altare.

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/ DOCUMENTI DI VENDÒME E TAVERNY 151

L'insieme è pesante e sgraziato, ma assai prezioso; e i dettagli delle


decorazioni scolpite sono di una perfezione assoluta, degna del cesello di
Jean Bullant, al quale è stata attribuita.
Come l’altare del Sacro Cuore nella chiesa abbaziale di Vendóme, il
retablo di quello di Tavemy si compone nella palle inferiore di un co-
lonnato che sostiene una trabeazione, sul cui fregio serpeggia una de-
corazione di rami di quercia e di alloro. Nelle volute di questi rami, degli
emblemi occupano i punti in cui solitamente si trovano i triglifi della
decorazione dorica; vi si vede specialmente la colonna della fla-
gellazione, con le fruste e le corde, la lanterna, la Veronica con il Volto
Santo e soprattutto una croce sulla quale conviene soffermarci.
Sul fusto, i tre chiodi della crocifissione sono nella solita posizione e
al centro dei bracci figura, solo, il Cuore di Gesù, sul quale si appoggia
una lancia inclinata, la cui asta parte dalla stessa linea orizzontale del
basamento della croce. Quest’ultima è di solo 15 centimetri di altezza.

Fig. 4. Scultura della chiesa di Tavemy (Seine-et-Oise), secolo XVI. Da un disegno


fornito dal rev. p. doni Séjourné, o.s.b.

Non vi è in ciò, ancora una volta, la grande idea che gli artisti della
fine del Medio Evo hanno così spesso simbolizzato: il corpo sofferente
del Redentore riassunto per intero sul suo strumento di supplizio,
neH'immagine solitaria del Cuore trafitto?

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152 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Sulla prima trabeazione di cui abbiamo parlato, cariatidi che separano


le nicchie concave, in cui si trovano dei santi, sostengono una secondai
trabeazione al centro del fregio, sul quale è visibile un cuore solitario in
mezzo a una corona di spine molto stilizzata. Ai lati, appena sotto la
corona, partono due lunghi tralci di vite carichi dì pampini e di uva.
Malgrado la corona e la ghirlanda di vite (pianta eucaristica) mi
sembra che, nel suo attuale aspetto, il cuore che occupa il punto centrale
imponga altrettante riserve di quello dell'altare della Trinité a Vendòme.
Può darsi che l’artista avesse avuto l’intenzione di rappresentare per
mezzo di esso il Cuore di Gesù, ma più volte nel corso dei secoli - e
specialmente all’inizio del XIX - la scultura fu coperta da varie mani di
intonaco e pittura; al limite, può essere che il segno della ferita di lancia
necessariamente poco visibile - dato che la sua corona ha soltanto dodici
centimetri di diametro - ne sia rimasto impastato al punto da non vedersi
più.
Così come oggi, manca di carattere e il dubbio si impone fortemente;
la corona di spine che indicherebbe abbastanza bene il Cuore del
Salvatore come un cuore dipinto o scolpito prima della fine del terzo
quarto del secolo XV circa non basta più, a mio umile avviso, per un
cuore eseguito posteriormente a questa data, perché a quel tempo si
diffuse una usanza iconografica - della quale abbiamo precise
indicazioni -, cioè quella di assimilare il cuore del fedele fervente o
religioso al Cuore di Gesù.
È da questa ardita idea che ci è pervenuta l’immagine del «cuore
crocifisso a imitazione di quello di Gesù Cristo» in cui ogni chiodo che
lo fissa alla croce porta scritto sul ferro il nome di uno dei tre voti
monastici82; da ciò derivano anche numerosi cuori emblematici di molte
famiglie religiose, in cui la corona di spine che li circonda sembra non
essere altro che il geroglifico della regola monastica, barriera e muraglia
del cuore religioso; tale è, per esempio, il cuore delle benedettine di
Fontevrault, che trovo nei secoli XVI, XVII e XVIII sempre circondato
dalla corona di spine, ma mai ferito. Del resto, ciò non vuol dire che la
devozione al Sacro Cuore non sia stata praticata in questa illustre dimora
che fu il più importante monastero femminile in Francia, ma quando lo
si rappresentò lo si seppe caratterizzare abbastanza perché non si potesse
creare confusione con quello circondato soltanto dalla corona di spine.
Talvolta anche semplici fedeli, negli ultimi secoli, simboleggiarono le
prove dolorose della vita mediante una corona di spine, il cui cerchio
racchiude il loro cuore.
Solitamente, queste diversità di idee sono nettamente indicate da
circostanze di luogo o da dettagli che le accompagnano. Non è il caso
82 Cfr. il frontespizio inciso de L'Exercice du Cceurcrucifìé, di Pierre Regnai!, francescano di
Fontenay le Comte, 1525.

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/ DOCUMENTI DI VENDÒME E TAVERNY 153

dell'altare di Vendòme, e nemmeno per la palle alta di quello di Taverny.


Una cosa è certa: che queste due chiese forniscono validi documenti
per le nostre ricerche; come tanti altri, essi sono come perle carpite
all'oblio del passato. Raccogliamoli gelosamente, ovunque se ne trovino;
essi permetteranno un giorno, se Dio vuole, di risalire almeno in parte -
abbastanza forse per farsi un’idea della ricchezza nel suo insieme - alla
parure magnifica che la pietà implorante consacrò un tempo al Cuore di
Gesù, epoca che, anche piuttosto recentemente, si dava per certo non lo
avesse conosciuto.

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Capitolo 15
Le immagini del Cuore eucaristico in Inghilterra
nei secoli XV e XVI

La quasi totalità dei cattolici fino a ieri guardava alla pietà verso il
Cuore di Gesù come a una innovazione del secolo XVIII, quando invece,
fin dal secolo XI, già san Bernardo la celebrava, i teologi e i mistici dei
secoli successivi la glorificavano, e alle soglie del XIV, ma forse anche
prima, artisti di tutti i generi ne moltiplicavano le immagini. Per di più,
generalmente, si guarda ancora oggi alla devozione al Cuore eucaristico
di Gesù come a un aspetto piuttosto recente della pietà contemporanea.
Vi è in ciò un altro errore simile al primo; se per la verità l’espres-
sione «Cuore eucaristico» è in effetti abbastanza recente 83, l’idea che
rappresenta e il culto che designa nell'iconografia sacra sono già almeno
sei volte secolari.
L’ambito della questione del Cuore eucaristico di Cristo si estende a
tutto quello che, nella liturgia, negli studi teologici o storici, nella
letteratura sacra, in tutte le arti figurative, accosta l’idea del Cuore e del
costato ferito di Gesù a quella della materia del sacramento del-
l'eucaristia sotto il duplice aspetto di pane e vino, di carne e sangue.
Come quasi tutte le forme particolari della pietà cristiana, l’adora-
zione del Cuore di Gesù Cristo, in quanto fonte del sangue redentore che
l’eucaristia ci offre sotto l’apparenza del Vino transustanziato, ha avuto
un periodo di preparazione, di formazione, che si potrebbe chiamare «la
preistoria del Cuore eucaristico di Gesù»: a questo periodo appartengono
le frasi di fervente adorazione scritte dai Padri e dai Dottori del primo
millennio in onore della piaga aperta nel costato divino; ad esso spetta
anche il racconto del Santo Graal, scritto fra il 1168 e il 1191. Chrétien
de Troyes e il suo continuatore Robert de

83 La si trova tuttavia dal 1705 nel seguente titolo di un libro di Ginther, Speculimi amorfo et
doloris in Sacratissimo ac Divinissimo Corde Jesu Incarnati, Eucharistici et Crucifìxi orbi
christiano propositum [«Speculo d'amore e di dolore presentato al mondo cristiano nel sacratissimo
e divinissimo Cuore di Gesù Incarnato. Eucaristico e Crocifìsso», N.d.T.].

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LE IMMAGINI DEL CUORE EUCARISTICO 155

Boron vi adattarono, più o meno consapevolmente, antiche tradizio-


Passione, mostrandoci Giuseppe d’Ari matea che raccoglie nella coppa
dell'ultima Cena il sangue e l'acqua della fonte aperta dalla lancia nel
costato del Redentore; aggiungiamo anche le opere dipinte o scolpite da
Giotto, degli altri «primitivi» d'Italia e dei nostri prestigiosi maestri
gotici nei secoli XIII e XIV, opere in cui angeli sconsolati raccolgono in
calici meravigliosi il sangue del Crocifisso; dove si vede il rivolo
curvilineo sgorgare dal suo costato e ricadere in una coppa posta a terra
davanti a lui; tutto ciò non è ancora la giustapposizione in una stessa
composizione artistica del Cuore visibile dell'eucaristia, ma vi è già
l'idea. Infatti, il pensiero del semplice cristiano di allora e ancor più
quello dell’intellettuale e del mistico risalivano da soli la via purpurea
causata dalla lancia, il getto di sangue che ricade dalla fonte interiore che
lo formò, e dalla quale si dipartì per giungere a noi.
Tanto più che, per altro naturalmente, dalla fine del secolo XIII o
dall'alba del successivo, alcuni artisti rappresentavano deliberata- mente
l’immagine del Cuore carnale di Gesù, crogiolo fisico in cui si formò
nell’arco di trentanni il sangue umano che gli diede la vita corporea e, in
conclusione, la materia del dono supremo e divino che ci fece
nell’ultima Cena e del riscatto che pagò per noi sul tragico legno.
Ciò fu la sorte provvidenziale degli artisti del secolo XV, special-
mente in Francia, Inghilterra e Germania: quella di accostare l'immagine
visibile del Cuore aperto agli emblemi del sacramento del suo amore.
Per quanto concerne la Germania, Regnabit ha già riprodotto pa-
recchie incisioni dei secoli XV e XVI che mostrano questo accostamento
in modo lampante; una, soprattutto, malgrado sia spoglia di qualsiasi
pregevolezza artistica e la sua astrusità si presti alle critiche. Due angeli
elevano un calice verso il Cuore di Gesù crocifisso e, a lato, questo
Cuore è ripetuto e coronato da una ostia, mentre dalla ferita che porta ne
esce un’altra84.
Vi è qui una di quelle fantasie oltranziste e complicate in cui al tempo
i mistici renani e gli artisti al loro servizio - incluso Dùrer - si erano
compiaciuti smisuratamente.
Generalmente, in Francia, in Inghilterra e nelle Fiandre, ci si ac-
contentava di giustapporre il Cuore ferito, sia nel gruppo di Cinque
Piaghe che da solo, a uno degli emblemi consacrati dell’eucaristia.
Ora passerò a raggnippare solamente alcune delle composizioni
conservatesi presso i nostri vicini d’Oltremanica e precedenti al pro-
testantesimo.
84 Cfr. Regnabit. febbraio 1922.

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156 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Stemma della chiesa Sainte-Meriadoc di Combourg (Comovaglia)

Ho già riprodotto questa composizione araldica nella presente rivista,


in occasione di un articolo sulle Fonti del Salvatore5.
Come in molte sculture inglesi simili e contemporanee ad essa - se-
colo XV - le ferite delle membra divine sono dette fonti di pity, confort,
grace e mercy, cioè fonti o sorgenti di pietà, di conforto, grazia e
misericordia; e il cuore, everlasting life, sorgente di Vita eterna.

Fig. 1. Sainte-Meriadoc di Combourg (Cornovagiia).

Questa sorgente alimenta il calice eucaristico, il Vaso della Vita del


quale dobbiamo parlare come san Tommaso d’Aquino parla dell’Ostia
nel Lauda Sion: «Panis vivus et vitalis», dice. Il sangue di Cristo che
cade dal suo Cuore è anche il vino vivente che dà la vita, everlasting
life, la vita per l'eternità!
Questo documento, come quasi tutto quello che segue, lo devo alla

1
Cfr. il mio «Les sources du Sauveur», Regnabit, nn. 3-4, agosto-settembre 1923 [trad. it. in II
giardino del Cristo ferito, op. ciz.].
cortesia della dotta conservatrice del Museo Archeologico di Winche-
ster, miss Edith E. Wilde.

Stemma della cappella del vescovo Fox, a Winchester

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LE IMMAGINI DEL CUORE EUCARISTICO 157

Possiamo ritrovare il senso eucaristico anche su questo scudo della


cappella funebre del vescovo Fox di Winchester, nella cattedrale di
quella città.
È uno scudo partito, a destra della lancia e della spugna legate in de-
cusse; a sinistra, di un calice sormontato da un ostia. È evidente che qui
la spugna vi figura soltanto, come in molti motivi religiosi di simile
ispirazione, per fare un pendant simmetrico con la lancia; e l’accosta-
mento di quest’ultima con l’Ostia e il calice è una evocazione del sangue
che è sgorgato dalla ferita aperta da essa e che è divenuto, o piuttosto
che lo era già dall’ultima Cena, parte della realtà eucaristica.

Fig. 2. Winchester, cappella del vescovo Fox.

Sul fregio della cappella del vescovo Fox questo scudo fa parte di una
serie di blasoni, personali o mistici, separati e sostenuti da angeli;
l’insieme è di un bell’effetto decorativo.

Le insegne e le bandiere del Pilgrimage of Grace e della Western


Rebeltion

Agli inizi del regno di Edoardo VI, che portò la corona d’Inghilterra
dal 1549 al 1553, il malcontento causato in molte province dall’istitu-
zione del protestantesimo, conseguenza della maledetta rottura del re
Enrico Vili con la Chiesa romana, accrebbe. Gruppi di cattolici si ar-
marono per difendere la loro fede, e vennero organizzate varie ribellioni,
analoghe all'eroica rivolta della Vandea contro la Rivoluzione Francese.
Queste turbolenze cominciarono nel 1536; ebbero come principali
focolai le contee di Devon, di Oxford e di York, ma mancarono di coe-
sione e, malgrado l’eroismo di Constable, di J.-Rose Tromp, di Arun-
del e di altri valorosi capi, non ebbero i risultati sperati. Essi diedero vita
soprattutto a due importanti movimenti: il Pilgrimage of Grace e la

ivi ateriale protetto da copyright


158 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Western Rebellion.
Dapprima gli insorti tennero vittoriosamente testa alle truppe prote-
stanti comandate dal marchese di Northampton, ma in seguito furono
vinti, alla fine del regno di Edoardo VI, dal conte di Warwich.
Come fecero i nostri vandeani duecentocinquanta anni dopo di loro,
gli insorti cattolici d’Inghilterra adottarono un emblema religioso come
segno di appartenenza; il Sacro Cuore occupava la parte centrale circon-
dato dall’accompagnamento, allora in uso presso la pietà cattolica ingle-
se, di immagini o emblemi delle quattro ferite principali di Gesù.

L'insegna portata da sir R. Constable al Pilgrimage of Grace


La duchessa di Norfolk conserva come una eroica e assai preziosa
reliquia di famiglia l’insegna che portò dal 1537 e durante il Pilgrimage
of Grace il suo avo sir R. Constable.

Fig. 3. L'insegna insurrezionale di sir R. Constable.

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LE IMMAGINI DEL CUORE EUCARISTICO 159

È un rettangolo di stoffa sul quale è inscritto a ricamo uno stemma che


porta un calice sormontato da un’ostia caricata deH’immagine del Cuore
di Gesù Cristo ferito e il cui sangue cola. Ai quattro angoli dello stemma
i piedi e le mani del Salvatore sono fissati dai chiodi del crocifisso e,
sopra all’emblema eucaristico, si trova l’abbreviazione del Nome di
Gesù sormontata dalla corona di spine. Degli asterischi sono cosparsi
sulla superficie dell’insegna, sulla parte bassa della quale il ricamo
disegna le due lettere i e G, iniziali del Pellegrinaggio di Grazia, in latino
Itinerarium Gratiae.
Alcuni pensano che il disco che porta il Cuore del Signore, sul calice,
rappresenti qui la patena invece dell’Ostia, molto probabilmente perché
questo disco è ornato da cerchi concentrici che danno l’illusione del
contorno formato dalla piega del bordo della patena; ma le altre
rappresentazioni delle insegne degli insorti cattolici inglesi del secolo
XVI pollano l'Ostia, spesso raggiante; è quindi permesso riconoscerla
anche su quella di sir Constable. Del resto, con la patena, il carattere
eucaristico del Cuore sanguinante nel calice sarebbe altrettanto
plausibile, ma sarebbe rafforzato dall’associazione deH’imma- gine del
Cuore con quella del Pane eucaristico, assieme a quella della coppa.

L’insegna di Kingerley

Nel 1889 il Catholic Times descriveva così, a proposito dell’Esposi-


zione Tudor, la borsa liturgica in uso nella cappella del castello di
Kingerley, nel Lincolnshire:
Fra gli oggetti esposti, uno dei più interessanti per il visitatore cattolico è una
immagine del Pilgrimage of Grace, la rivolta armata degli abitanti del Nord per la
difesa della fede dei loro padri. È un pezzo di velluto rosso ricamato d’oro che
rappresenta le Cinque Piaghe, l’antico emblema della cattolica Inghilterra. Gli
insorti lo portavano sui loro stendardi.
In mezzo si vede il Sacro Cuore ferito che riversa del sangue; questo Cuore si
mostra al centro di una grande ostia posta sopra il calice. Ai quattro angoli, si
vedono i piedi e le mani di Nostro Signore trapassati da chiodi mentre riversano
sangue e diffondono raggi d oro, al di sotto vi sono le lettere i H S, e in basso le
iniziali i e G, cioè Itinerarium Gratiae, il Pilgrimage of Grace.
Con questa immagine è stata fatta una borsa per la cappella del castello di
Kingerley.

Il Catholic Times ha ragione: la bandiera di Kingerley non era di


quelle che gli insorti portavano sul braccio o sul cappello, non poteva
ornare altro che uno stendardo, poiché è abbastanza grande per coprire

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160 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

una borsa liturgica, cioè una custodia quadrata e rigida nella quale si
rinchiude il corporale e con cui il sacerdote ricopre il calice per
trasportarlo prima e dopo la Messa.

Altra insegna del Pilgrimage of Grace

Contrassegno stampato per frontespizio di libro, del quale don Thiéry


di Louvain ha avuto la cortesia di mandare a Regnabit uno schizzo.
Sopra il calice vediamo l’Ostia raggiante caricata del Cuore ferito e
del solito motivo delle insegne del Pilgrimage of Grace che le lettere i e
G contraddistinguono.

Fig. 4. Contrassegno stampato che porta l’insegna de\V Itinerarium Gratiae.

Il rame stampato di Th. S. Smith, di Londra

Nel maggio 1924, ho riprodotto in questa rivista l’immagine di un


piccolo oggetto di rame che deve trovare spazio nel presente studio.
Apparteneva nel 1885 a Th. S. Smith, di Londra. Per il Calice sor-
montato dall’Ostia segnata dal Sacro Cuore, per i chiodi evocatori delle
ferite divine, sembra sia simile alle insegne usuali degli insorti cattolici
d'Inghilterra della Western Rebellion piuttosto che a quella del
Pilgrimage of Grace, perché non porta le lettere iniziali i e G.

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LE IMMAGINI DEL CUORE EUCARISTICO 161

Fig. 5. Rame stampato, Londra.

Comunque sia, il Cuore che si trova Sull’Ostia è certo del tipo euca-
ristico, poiché è in contatto con i due elementi sensibili che costituiscono
la materia del Sacramento.

I graffiti della Torre di Londra

Molti insorti del Pilgrimage of Giace, della Western Rehellion e di al-


tri cattolici del tempo, catturati o meno sui campi di battaglia, furono
incarcerati nella Torre di Londra, come lo erano stati durante il regno di
Enrico Vili il vescovo Fisher e il cancelliere Moro.
Nella pesante inattività della loro detenzione questi prigionieri co-
prirono i muri di iscrizioni e disegni vari, fra i quali mi è stato assicurato
che si ripete spesso - nelle Torri del Sale e di Beauchamp - l'immagine
venerabile del Cuore di Gesù Cristo accompagnato da emblemi
eucaristici.
Malgrado ripetuti tentativi, non ho ancora potuto ottenere la ripro-
duzione di queste impressionanti testimonianze della fede di cattolici
coraggiosi, fede che difesero fino alla morte.

Pannello scolpito a Saint Patrock Padston (Comovaglia)

Sotto il regno di Maria I Tudor, che regnò dopo Edoardo VI dal 1553
al 1558, i Cattolici d’Inghilterra ritrovarono la pace.
Squadre di scultori stranieri, dei quali molti provenienti dalla Francia,
percorsero allora il paese per decorare le ultime chiese cattoliche
terminate o che si voleva abbellire. Ai ceselli di quegli abili artisti si
devono certe opere molto belle di cui molte interessano l’iconografia del
Cuore di Gesù Cristo, specialmente un pannello del pulpito di Saint
Patrock Padston, in Comovaglia, a loro attribuito.
162 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Fig. 6. Pannello del pulpito di Saint Patrock Padston (Comovaglia).

Vediamo il Cuore ferito e posto fra le altre Quattro Piaghe di Gesù, e


questo Cuore intinge la sua punta nel contenuto di un calice. La ferita è
aperta e non sanguina più: tutto ciò che la fonte di vita conteneva di
sangue e di acqua è finito nell'alma coppa dove ora la linfa del Cuore di
Dio attende che le anime giungano ad abbeverarsi. Era una maniera più
felice, e nello stesso tempo più semplice, per dare a intendere attraverso
la scultura che la coppa eucaristica è proprio il Vaso di Vita e che si può
dire di essa quello che il testo liturgico dice del Cuore di Gesù: quella è
la «Fonte di Vita e di Santità».

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Capitolo 16
Sculture della chiesa inglese di Saint Mawgan
(Comovaglia)

A causa di una confusione di cliché - cosa che mi rincresce, anche se


ritengo che ciò non abbia avuto particolari conseguenze - ho attribuito 85
alla chiesa di Saint Patrock Padston (Comovaglia), una scultura che in
realtà si trova in quella di Saint Mawgan, anch'essa in Cor- novaglia.
Posta sul pannello di un pulpito da predica, essa presenta fra le mani e
i piedi trapassati di Gesù Cristo il suo Cuore aperto, posto sopra un
calice. Anche il pulpito di Saint Patrock Padston porta lo stesso motivo
scolpito molto similmente; entrambi i due pulpiti sono stati fatti nella
stessa epoca, verso il 1540, da una di quelle squadre itine-

Fig. 1.

85 Cfr. il capitolo «Le immagini del cuore eucaristico in Inghilterra nei secoli XV e XVI» [nel
presente volume].

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164 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

ranti di compagnoni scultori che allora percorrevano l’Inghilterra, dei


quali molti erano francesi86. È in virtù di queste analogie così grandi di
soggetto, esecuzione, autori e date che mi permetto di non stimare
eccessivamente grave la svista che ha causato la sostituzione
dell’immagine di una di queste sculture con l’altra.
Approfitto dell’occasione che mi offre questa rettifica per presentare
altre tre sculture sempre della chiesa di Saint Mawgan. Tutte e tre sono
state eseguite su antichi banchi di legno, contemporanei al pulpito di cui
ho appena parlato.
Una ci mostra uno scudo di forma più o meno sviluppata in altezza
rispetto a quelli dell’araldica francese contemporanea; esso porta il
Cuore di Gesù Cristo nettamente indicato dalla ferita della lancia. Sopra
di esso, questa arma si incrocia in decusse con la spugna.
L’altra scultura ci mostra il Cuore di Gesù afflitto dal colpo di lancia e
sormontato da una larga croce. I bracci di questa croce si sollevano
obliquamente senza che vi sia, credo, alcun senso particolare da
collegare a questa fantasia dell’artigiano.

Fig. 2.
Infine, l'ultima di queste sculture porta un Cuore non ferito sul fusto
di una lancia. È molto evidente che qui si tratta del Cuore del Salvatore:
che essa lo scalfisca o meno, la lancia come la ferita che la sua lama ha
86 Informazione di madame E.E. Wilde di Winchester.

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SCULTURE DELLA CHIESA Di SAINT MAWGAN 165

prodotto, è la più sicura delle caratteristiche che contraddistinguono il


Cuore del Signore dal comune cuore umano: che sia diritta od obliqua,
che lo penetri o semplicemente lo accompagni, basta da sola a indicarlo.

Fig. 3.

Ecco dunque in questa chiesa di Saint Mawgan quattro sculture


rappresentanti il Cuore del Signore. Esse sono del secolo XVI in quanto
a esecuzione, ma come stile, aspetto e idea che interpretano,
appartengono a quella famiglia numerosa di sculture inglesi che, nella
seconda metà del secolo XV, rappresentano in molteplici maniere il
Cuore di Gesù: in una parola, sono di ispirazione ancora medievale.
Nella prima, il Cuore divino appare con le quattro membra trapassate
e lo accompagna la coppa eucaristica.
Nella seconda, è coronato dalla lancia e dalla spugna, poste in trofeo.
Nella terza, è sormontato dalla Croce.

Nell'ultima, è portato dalla lancia.


Per gli attributi che lo accompagnano, tutte e quattro le immagini (le
membra ferite, la lancia, la spugna, la croce e poi ancora la lancia),
mettono il Cuore del Salvatore in relazione di idee con il fatto misterioso

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166 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

della nostra redenzione. Inoltre, il primo con il calice rimanda


direttamente al mistero dell eucaristia che con il sangue divino è la vita
spirituale e la forza delle nostre anime; esso lo collega anche all'acqua
che colò dalla ferita divina assieme al sangue, per la purificazione delle
nostre anime. Qui vi sono propriamente le tre grandi opere d’amore che
il Verbo di Dio fatto uomo è venuto a compiere in questo mondo,
operando così il riscatto e la salvezza della stirpe umana, la sua stirpe
secondo la carne.
Che sia accompagnata da quattro membra trapassate o che sia rap-
presentata sola, l'immagine del Cuore di Cristo, in qualunque epoca sia
rappresentata, è sempre apparsa agli occhi del più semplice dei cristiani
come l’emblema di questi tre grandi atti dell’amore divino: il riscatto e
la purificazione delle nostre anime mediante il sangue e l’acqua e il dono
divino della vita eternamente felice mediante l'eucaristia3. Queste tre
opere principali dell'amore del Salvatore provengono dal suo Cuore,
come l’acqua proviene da una sorgente, come ogni luce emana da una
fonte, come ogni forza parte da un principio.
Dunque, riguardo a quelle composizioni medievali molte delle quali
ho già pubblicate su Regnabit, in cui vediamo il Cuore ferito accom-
pagnato dalla rappresentazione o dagli emblemi delle quattro ferite
principali di Gesù, non è esatto dire, nonostante alcuni tuttora lo fac-
ciano, che nell'iconografia di quell'epoca il Cuore ferito è solo l’im-
magine di una delle Cinque Piaghe, come è per la mano o il piede.
Per lo meno, fra le piaghe redentrici è la più importante e talvolta
addirittura le riassume, le riunisce tutte in sé. Essa appare al tempo
stesso come evocazione della ferita della lancia, come memoriale di tutti
i dolori della Passione e come emblema dell’amore che li ha fatti
accettare.
Capisco che coloro che oggigiorno cercano di minimizzare la portata
delle rappresentazioni finora praticamente sconosciute e il fatto che il
Medio Evo abbia rappresentato il Cuore di Gesù non vogliono che esso
possa significare qualcosa di più della ferita provocata dalla lancia al
costato della vittima, quando le stigmate delle mani e dei piedi sono solo
immagini dei passaggi dei chiodi in tali membra.
Va tuttavia convenuto che, nell’accettare dalla mano degli artisti

’ «Io sono il pane vivo Chi mangia la mia carne c beve il mio sangue [...] vivrà in eterno» (Gv
6, 51 -55).
l’immagine del cuore in quanto raffigurazione della piaga del costato, i
teologi e i mistici della fine del Medio Evo hanno inteso trasferire al-
l’immagine del Cuore tutto ciò che i loro predecessori e loro stessi
avevano detto e scritto precedentemente sulla piaga laterale, prima che

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SCULTURE DELLA CHIESA Di SAINT MAWGAN 167

qualche artista la raffigurasse nella forma di un Cuore; significa che da


essa, e quindi da Lui, nacque la Chiesa come Èva nacque dal costato di
Adamo, che da esso proviene attraverso il canale dei sacramenti ogni
aiuto, ogni forza e ogni perdono; che è il rifugio delle anime, l'arca della
salvezza, il fuoco dell’amore redentore.
Ferita solcata dalla lancia nel fianco del Crocifisso, dalla lancia che
aprì in lui, più a fondo, l’organo stesso del suo amore, getto di sangue e
acqua che fuoriesce: tutte cose divinamente misteriose ma che, tuttavia,
anche per la nostra ragione, non formano che un tutt'uno inseparabile
come la sorgente, la fontana e l’acqua che vi scorre, un tut- t uno il cui
principio originario è unico; e questo principio l'evangelista ce lo espone
così: «Gesù [...], dopo avere amato i suoi che erano nel mondo, li amò
sino alla fine»87.
Il secolo XV, che fece uso dell’immagine del cuore per simboleggiare
l’amore dell’essere umano, come avrebbe potuto servirsi di questa
immagine per rappresentare la ferita suprema di un Dio morto per amore
per noi, senza pensare minimamente a questo amore ma pensando
soltanto allo squarcio fatto alla sua carne dalla lancia?
Questo è quanto viene affermato: noi riteniamo che ciò significhi
giocare in modo assai strano con l’inverosimile.

87 Gv 13, 1.

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Capitolo 17
A proposito di due libri

Gli studi di archeologia sacra intrapresi e poi condotti metodicamente


durante il secolo scorso, e da allora continuati, sono stati estremamente
rivelatori: alcune affermazioni gratuite presentate fino ad allora come
certezze sono andate fuggendo davanti ad essi, finite nel cimitero in cui
giacciono, ahimè numerosi, i vecchi errori del sapere umano. Con esse,
si è arresa anche quella insolita scuola storica della prima metà del
secolo XIX che si basava sul principio - il quale sicuramente faceva
comodo ai suoi fautori - secondo cui la storia è fatta per raccontare e non
deve provare affatto ciò che racconta. Le ultime radici di questa mala
erba si trovano ancora, troppo piene di vigore, nei manuali in uso nelle
scuole e nei collegi.
Nondimeno, resta il fatto che da ottantanni a questa parte si è
compiuto un effettivo lavoro di chiarimento, che è un approccio felice
dell’animo umano verso la verità.
Fra gli innumerevoli monumenti iconografici antichi studiati durante
questo periodo, le ricerche degli archeologi ne rivelano alcuni che si
ricollegano innegabilmente alla iconografia del Cuore di Gesù Cristo e
che, per la loro datazione sicura, dimostrano che la devozione e le arti di
un tempo si sono occupate di lui in periodi in cui non lo si credeva
conosciuto.
Studiosi come monsignor Barbier de Montault, Cloquet, Gri- mouard
de Saint-Laurent studiarono e riprodussero questi documenti nelle loro
opere; altri esperti ne hanno parlato in articoli pubblicati su vari
periodici: sono stati pochi, però; ma in quanto al valore ponevano tutti
delle questioni e sancivano delle realtà che vale la pena di esaminare ed
esporre.
Gli storici del Sacro Cuore, e coloro che scrissero in quel tempo opere
relative ai personaggi collegati alla storia del suo culto, non accolsero
affatto con favore i documenti che l’archeologia iconografica

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A PROPOSITO DI DUE LIBRI 169

presentava loro: quelle vecchie testimonianze di una pietà dimenticata


turbavano e demolivano idee radicate e insegnate da due secoli, si
rivoltavano contro sistemi accuratamente edificati; per alcuni era penoso
dover ritrattare, altri trovavano difficile uscire dai sentieri battuti che
tutti avevano seguito fino a quel momento. Altri ancora continuavano a
dire che, anteriormente alle vicende di Paray-le-Monial, la pietà verso il
Cuore del Signore non esisteva e che fu santa Margherita Maria la prima
a rivelare il Sacro Cuore alla Chiesa.
Gli eudisti replicavano che il loro fondatore, padre Jean Eudes, aveva
composto una messa del Sacro Cuore prima di suor Margherita Maria; i
certosini constatavano negli scritti dei confratelli del secolo XV
un’autentica e assai viva pietà verso il Sacro Cuore e le sue immagini;
anche i francescani, i benedettini e i cistercensi affermavano che la storia
dei loro Ordini rivelava che anticamente era stato conosciuto e amato il
Cuore di Gesù Cristo. Gli archeologi cristiani insistevano: «Abbiamo per
la santità meravigliosa di Margherita Maria tutta la venerazione
possibile; riconosciamo che nella propagazione del culto al Sacro Cuore
il suo ruolo sia stato di primissimo piano, ma a Langeac, per esempio, o
altrove, abbiamo delle superbe sculture del secolo XVI che
rappresentano il Cuore di Gesù trafitto dalla lancia; conosciamo in
Francia, in Inghilterra, in Germania, sculture analoghe che sono
incontestabilmente del secolo XV; siamo certi che il cuore del Redentore
è stato rappresentato su marchi commerciali dell’epoca; sosteniamo
dunque che il pensiero cristiano si è rivolto verso di lui molti secoli
prima del mirabile movimento di fede di cui Paray fu, alla fine del
secolo XVII, il fulcro radioso».
Cosa si poteva rispondere a ciò?... Alcuni replicarono che i documenti
non sembravano loro sufficientemente caratterizzati; altri, che erano dei
fatti isolati che indicavano soltanto delle fantasie personali degli artisti;
la maggior parte degli autori adottò per comodità il seguente
atteggiamento: misero la fiaccola sotto il moggio e ripeterono
tranquillamente la vecchia tesi, soprattutto negli scritti destinati alla
massa dei cattolici.
Tuttavia alcuni scrittori si accorsero coscientemente degli inconve-
nienti vari che poteva far nascere il modo di procedere dei loro prede-
cessori. E sebbene ancora troppo spesso sussista la tendenza a mini-
mizzare gli sforzi che hanno preceduto il movimento di Paray, i libri si
fanno più tolleranti sui documenti iconografici. Nel suo libro La France
et le Sacré-Coeur, il padre gesuita Victor Alet ne riproduce un buon
numero e mostra in particolare lo stallo della Regina d’Inghilterra nella
cappella di Windsor; è un mobile molto bello, in stile gotico

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170 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

fiammeggiante scolpito all’inizio del secolo XVI, sopra al quale vi


figura il Sacro Cuore con la sua piaga sanguinante
Il reverendo padre Bainvel, s.j., la cui opera Zzi Dévotion au Sacré-
Coeur de Jésus ebbe un grande successo, non rende all’iconografia an-
tica del Cuore Divino il posto che meriterebbe in un lavoro così consi-
derevole come il suo. Tuttavia nell’edizione del 1921, e per la prima
volta all’epoca, segnala in una appendice di tre pagine vari documenti
dipinti o scolpiti dei secoli XV e XVI2.
Il libro di padre Hilaire de Barenton, religioso francescano. La Dé-
votion au Sacré~Coeur\ è diversamente esplicito: egli afferma resistenza
di una autentica pietà al Cuore di Gesù durante il Medio Evo e riproduce
circa una dozzina di raffigurazioni francesi e tedesche del Sacro Cuore
nei secoli XV e XVI. È un lavoro onesto nel quale l’autore si occupa
soprattutto del ruolo, effettivamente molto considerevole, che ebbe il suo
ordine durante la seconda parte del Medio Evo, relativamente alla
diffusione della forma di pietà che stiamo esaminando; pur notando delle
piccole inesattezze nei dettagli, si deve ringraziare l’autore di avere
rappresentato nelle sue pagine un insieme di documenti figurativi atti a
sconfessare le teorie degli «anticordicoli» che si oppongono
all’estensione del culto reso al Cuore di Gesù Cristo, con il pretesto che
si tratta di una forma di pietà nuova nella Chiesa, ad essa sconosciuta
prima della visitandina di Paray.
Il 1925 ha visto pubblicare due opere nuove che fanno stato dell’ico-
nografia del Cuore di Gesù. La prima, Dévotions et Pratiques ascèti-
ques du Moyen àge di dom Gougaud, monaco benedettino4, contiene un
capitolo intitolato «Les antécédents de la dévotion au Sacré- Cceur» nel
quale l’autore tratta specialmente delle raffigurazioni inglesi in cui il
Cuore ferito dalla lancia appare fra le mani e i piedi trafitti di Gesù
Cristo; egli dice che le più antiche rappresentazioni del Sacro Cuore
risalgono all’epoca in cui si diffusero le prime incisioni destinate a
promuovere la devozione alle Cinque Piaghe. In effetti vi è un tipo di
«Sacro Cuore» che viene raffigurato così, ma non è esatto dire che esso
sia «una delle più antiche rappresentazioni»: ve ne sono di anteriori a
questo raggruppamento realista di membra ferite, nelle

’ Cfr. padre Victor Alet, s.j., La Fratice et le Sacré-Caeur, Lethielleux et Demoulin, Parigi,
1905, p. 377. È pur vero che. sebbene attribuisca al secolo XVI l’insieme di questo documento, egli
porta al secolo XVII (addirittura alla sua fine) la parte che raffigura il Cuore di Gesù.
2
Cfr. padre V. Bainvel. s.j.. La Dévotion au Sacré-Cceur de Jésus, Beauchesne, Parigi, 1921,
p. 640 ss. La prima edizione è del 1906.
’ Cfr. fr. Hilaire de Barenton, La Dévotion au Sacré-Cceur, Livrairie St Francois, s.d.
4
Cfr. dom Louis Gougaud, o.s.b., Dévotions et Pratiques ascétiques du Moyen àge, Let-
hielleux, Parigi. 1925.
171 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

quali il Cuore Sacro appare solo, per esempio, sullo stampo per ostie del
vescovado di Vich in Spagna, dove il Cuore di Gesù non ha rapporto
alcuno con le Cinque Piaghe.
Ma dom Gougaud non accenna minimamente ai pur notevoli do-
cumenti raccolti in Germania dal reverendo padre Karl Richstaetter, s.j.,
né a quelli pubblicati in vari paesi, o a quelli che anche noi abbiamo
riprodotto da diversi anni con tutti i riferimenti del caso su Regnabit.
Con tutta probabilità avrà ritenuto che il suo ambito limitato non glielo
permetteva: solo che la questione in questo modo risulta stranamente
incompleta.
Molto più ampio e comprensivo è il quadro del nuovo libro del re-
verendo padre Hamon, Histoire de la Dévotion au Sacré-Coeur-. I lettori
di Regnabit hanno letto nel fascicolo dell’agosto-settembre scorso6 la
recensione di questa opera. L'autore dimostra un grande talento da
scrittore e ci parla apertamente di documenti scritti o figurativi
sfavorevoli alla cosiddetta Scuola di Paray, con la quale egli ha tuttavia
una grande affinità di concezione; in compenso, però, ne passa sotto
silenzio - molto probabilmente non li conosceva - molti altri di portata
considerevole...
Come dom Gougaud, padre Hamon si dilunga sulle rappresentazioni
dei secoli XV e XVI, in cui il Cuore ferito appare su un blasone fra le
mani e i piedi di Gesù trafitti dai chiodi. Anch’egli non ammette che la
figura del Cuore vulnerato sia qualcosa di più dell’evocazione stretta del
colpo di lancia: è sicuramente così, ma essendo il cuore la cornice della
rerita, è qualcosa di più: è innanzi tutto quello che non può non essere
stato nel pensiero degli scultori e dei pittori di allora, è il Cuore di colui
che è stato crocifisso per la nostra salvezza; esso è la fonte naturale del
suo sangue che è scorso a causa dell’amore per noi; è il fuoco del suo
amore, tutto questo lo è perché in realtà è un cuore, ma è proprio per
questo - checché se ne voglia o se ne dica - che significa molto di più
della mano o del piede.
Nella valutazione che dà, il Cuore che accompagna le mani e i piedi
trafitti soltanto come geroglifico di una ferita, padre Hamon si unisce a
dom Gougaud che dice: «Come raffigurare araldicamente la piaga del
costato di Cristo fatta dalla lancia del soldato nello spazio ristretto dello
scudo? Per questo si disegnò un cuore - il Cuore di Gesù -, un cuore
vulnerato come se lo stesso colpo di lancia che aveva trafitto il costato di
Nostro Signore avesse trafitto anche il Cuore». Certamente

5
Cfr. padre A. Hamon, s.j., Histoire de la Dévotion au Sacré-Coeur. L'Aube de la Dévotion,
Beauchesne, Parigi, 1925.
b
Cfr. «Bibliographie du Sacré-Coeur», Regnabit. agosto-settembre 1925.
172 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

no: non è affatto perché essi non sapevano come raffigurare araldica-
mente la piaga del costato che i nostri vecchi artisti hanno raffigurato il
cuore! Essi non sono mai stati imbarazzati nel «raffigurare araldi-
camente» e in tantissimi altri modi le Cinque Piaghe su degli scudi,
ferita del costato compresa! Non anteriormente o posteriormente alla
moda dei blasoni che portano le membra ferite, ma, nello stesso periodo,
gli artisti dipingevano o scolpivano delle ferite orbicolari o oblunghe,
disposte a quinconce sul campo dello scudo, due, una e due;
rappresentavano le ferite da cui colavano a festone delle gocce o dei
rigagnoli di sangue, che talvolta incoronavano con diademi, e che erano
di un aspetto araldico molto più artistico delle immagini realistiche del
cuore o delle membra tagliate88. Soltanto il cuore, ripeto, aveva il
privilegio di aggiungere alla semplice evocazione delle ferite ricevute
dal nostro Salvatore sulla croce l’idea dell’amore che gliele aveva fatte
accettare, e questo semplicemente perché è il Cuore, organo naturale
dell’amore e anche dell’idea dell’assoluto nel sacrificio, perché è il
serbatoio e la fonte del sangue e anche della vita.

Fig. 1. Le armi araldiche mistiche di Jeanne de Valois.

È per questo che, sempre nello stesso periodo, esso appare talvolta su
certi scudi senza che le altre quattro sante piaghe siano rappresentate, se
non da ferite orbicolari od oblunghe. Ed è ciò che espresse sul suo
blasone mistico la beata Jeanne de Valois, figlia di Luigi XI89.
Sul bel Salterio Labarre di Marsiglia, anch’esso del secolo XVI, la
ferita laterale è raffigurata da sola, con le sue labbra oblunghe e in tutta
la sua profondità, sul Cuore offeso dalla punta dell’arma. Il Cuore è stato
raffigurato per incorniciare la ferita? Oppure le labbra di questa sono
state rese così ampiamente aperte per mostrarci nel fondo dello scrigno
purpureo il fuoco dell’amore del Salvatore, principio primo della nostra
88 Cfr. lo scudo di Sidmouth Church e di Cambridge, per esempio, nel mio «Les Sources du
Sauveur», Regnabit, agosto-settembre 1923 [trad it. in //giardino del Cristo ferito, op. cit., cap. I].
89 Cfr. Regnabit, n. 2, luglio 1924.
173 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

redenzione9?
Padre Hamon descrive e interpreta perfettamente il marchio com-
merciale dello stampatore parigino Pierre Levet, fine del secolo XV, sul
quale il Cuore è rappresentato sulla croce, ferito dalla lancia e circondato
dalla corona di spine. Egli parla anche, un po’ meno felicemente, a mio
umile avviso, di due marchi commerciali degli stampatori Nicole e
Antoine de La Barre, sui quali un cuore fa bella mostra con caratteri
meno decisi, per gli inesperti, dato che i marchi professionali di questo
periodo sono pieni di significati nascosti. Sarebbe stato auspicabile che
padre Hamon conoscesse l'altro marchio di Antoine de La Barre, in cui
figurano tre cuori: in basso, quello dello stampatore; in alto altri due, dei
quali uno è marchiato con la sigla i H s, Jesus, e l’altro con le lettere M
A, Mafia ,0.
Come, ancora, padre Hamon si rifiutò di riconoscere il Cuore di Gesù
sul marchio di Jean Corbon, secolo XVI, quando il Salvatore è
rappresentato nella persona che tiene in mano questo Cuore”?... E come
mai i marchi degli stampatori Vérard e Le Caron, in cui il Cuore di Gesù
marchiato con i H S è posto addirittura all’interno di una preghiera, sono
passati sotto silenziol2?...
Sono molto dispiaciuto di dover segnalare queste lacune, tanto più che
padre Hamon mi assegna una pane davvero importante, parlando di
«veri tesori dell’iconografia» che ho riprodotto su Regnabit. Sarebbe
stata buona cosa se l’illustre gesuita avesse avuto la possibilità di leggere
tutti i fascicoli di Regnabit', infatti, se egli tuttavia parla riconoscendo
senza difficoltà il Cuore del Maestro Divino nella scultura di Langeac,
nella brocca di Poitiers, nella scultura di Bois-Rogues, se contesta il
Cuore del sigillo di Couret e ha delle riserve su quello del torrione di
Chinon, si sarebbe certamente inchinato, se li avesse conosciuti, davanti
a quel Cuore, scolpito sullo stampo per ostie del vescovado di Vich
(Spagna)B, inciso su una ostia da sacerdote al centro della croce, e sul
quale si legge il motto Xristus; oppure di fronte a

' Cfr. il mio «La Blessuredu Coté de Jesus», Regnabit, n. 6, novembre 1923, illustrazione
finale [trad. it. in II giardino del Cristo ferito, op. c7/., cap. XVII].
10
Ho riprodotto questi marchi nello studio «I marchi commerciali dei primi stampatori
francesi» [cfr. nel presente volume].
" Cfr. ibid.
12
Cfr. ibid.
11
Cfr. il mio «Moule à Hostie du XIV* siècle...», Regnabit, n. 4, settembre 1922.
174 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

quel marmo prestigioso della Certosa di Saint-Denis d’Orques, fine del


secolo XV o inizio del XVI’ 4, in cui il cuore ampiamente ferito,
circondato da un irraggiamento di gloria, fa da centro al cerchio celeste
dei sette pianeti e a quello delle costellazioni dello Zodiaco. Potrei
ricordare un’altra ventina di simili documenti.
In merito al Cuore inciso sulle mura del torrione di Chi non, la cui
origine templare e il carattere cristico sono sempre più riconosciuti dagli
specialisti dell’ermetismo del Medio Evo, padre Hamon riconosceva non
essere impossibile l'identificazione con quello di Gesù Cristo, perché è
giustapposto agli strumenti della Passione; egli si stupiva che esso
avesse a lato dei segni particolari, le mani aperte e altre cose... Non si
dovrebbe dimenticare tuttavia che qui ci troviamo di fronte a una
composizione in cui le influenze orientali sono manifeste, in cui
l’ermetismo, perfettamente ortodosso, si mischia a raffigurazioni
religiose correnti: nell’ultimo fascicolo di Regnabit René Guénon ci ha
parlato, con la sua incontestabile autorità, di quell’ermeti- smo cristiano
di cui sarebbe puerile contestare l’esistenza e il ruolo importante che
ebbe nel Medio Evo,5.
Padre Hamon non sottolineava il silenzio di Richaud nel suo Hi-
stoire de Chinon, relativamente alla rappresentazione del Cuore rag-
giante nel graffito sul torrione di quella città! Sono stato il primo a se-
gnalare questa lacuna, che non prova del resto assolutamente niente. Mi
è stato detto - ma sarà la verità? - che Richaud si rifiutava di vedere un
cuore nella rappresentazione che ci interessa perché alla sommità non
presenta lavvallamentoo carenatura che si vede solitamente nella parte
alta dei cuori. Fatico a credere a una simile obiezione da parte sua,
perché gli basterebbe rifarsi all’araldica del cuore in Francia e in
Inghilterra nei secoli XIV e XV, per convincersi che quello di Chinon
non è unico come forma. Ho segnalato e riprodotto molte volte altri
cuori, perfettamente simili, che figurano tra le mani e i piedi trafitti del
Salvatore, dunque...
Del sigillo di Estèrne Couret padre Hamon rifiuta il carattere divino
perché i raggi che vi si vedono non arrivano dal cuore bensì dal piede
della Croce che sormonta il cuore. Sostengo assolutamente che essi non
siano da mettere in relazione con la croce: le regole dell’araldica, che
governavano la sigillografia nel secolo XV, e anche precedentemente e
successivamente, proibivano formalmente di irradiare

u
Cfr. il mio. «Le marbré astronomique de la Chartreuse de Saint-Denis d’Orques». Regnabit,
n. 9, febbraio 1924 [(rad. it. in 11 giardino del Cristo ferito, op. cit., cap. XVIII].
15
Cfr. René Guénon, «Le Sacré-Coeur et la légende du Saint-Graal», Regnabit, agosto-
settembre 1925, p. 192.

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A PROPOSITO DI DUE LIBRI 175

il piede di una croce quando la sua parte superiore, che ha portato la


divina vittima, non lo è; se ciò fosse avvenuto, sarebbe stato un assurdo
non senso.

Fig. 2. Piccolo sigillo di Estèrne Couret.

I raggi del sigillo di Couret non partono dalla croce più di quanto non
siano attorno al cuore che, posti dove sono, non possono avere affatto il
compito di aureolare: essi dunque possono soltanto fuoriuscire dalla
scalfitura fatta al cuore dalla croce piantata sulla sua som-

guità del sigillo o dal metallo, nondimeno resta che essi, razionalmente,
non possono provenire da nessun altra parte.
Il sigillo di Couret, per sua stessa natura e per la sua ornamentazione
incisa, rimanda esclusivamente ai campi della sigillografia e del-
l’araldica religiosa; esso può essere valutato soltanto in conformità alle
regole e allo spirito che reggevano queste arti alla fine del Medio Evo,
ed è ad essi soltanto che bisogna chiederne il significato autentico. Come
quasi tutti gli emblemi di allora, il cuore che vi si vede mi sembra avere
due funzioni: primariamente, quella di fungere da armi parlanti del nome
di Couret che deriva da cceur, secondariamente di portare il pensiero
verso il Cuore per eccellenza, quello del Salvatore Gesù Cristo.
Sicuramente è una questione di valutazione, ma credo che questa sia la
verità.
In tutte queste trattazioni molto cariche di significato, e per le quali è
molto interessante seguire padre Hamon, le nostre personalità di autori o
ricercatori non sono nulla; la sola cosa importante è l'onesta ricerca della
verità. Su questo punto dovremmo essere tutti d’accordo.

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Capitolo 18
I Cuori reliquiari della vera Croce

Durante tutto il Medio Evo, l’arte del reliquiario fu il trionfo delFore-


ficeria francese. Fin dall’inizio, nella Legge Salica - l’atto più solenne
della monarchia - i Franchi vedevano come un grande merito agli occhi
del Cristo, a cui si donavano, il ricoprire d’argento, d'oro e di gemme
preziose le ossa dei martiri che i Romani avevano messo a morte.
Questi reliquiari di santi, nel corso dei secoli ebbero ogni sorta di
fattura: casse a forma di chiesa, bauli, tombe, busti e teste di santi, bracci
benedicenti, ostensori o pissidi a traforo, medaglioni di ogni grandezza...
Anche le reliquie della Passione del Salvatore furono conservate in
custodie dalle fogge molto varie. Solo gli innumerevoli frammenti della
Vera Croce ebbero quasi sempre due tipi particolari di reliquiario.
Dapprima, com’è naturale, le minute particelle furono racchiuse in croci
di metallo prezioso, come prova la splendida croce d’oro a due bracci
del secolo VI, inviata per la regale monaca di Poitiers, santa Radegonda,
dall’imperatore Giustino IL Poi, a partire dagli ultimi secoli del Medio
Evo, capitò che la Vera Croce del Salvatore venisse inclusa
nell’immagine del suo Cuore.
Dei reliquiari, solo questi ultimi ci interessano in questa sede e, per
tanto rari che siano, non per questo sono meno interessanti da studiare.

Sacro Cuore reliquiario del castello di Oysonville (XVII secolo)

Devo alla cortese amicizia del proprietario di questo interessante


oggetto - il conte Francois de Rilly -, un eccellente acquerello qui tra-
sposto in linee, che ci permette di studiarlo.
L’esterno è costituito da una spessa lastra di cristallo inciso collocata
sulla parte anteriore di uno di quei piccoli mobili che solitamente si
chiamano «angoliere» perché, costruiti su un piano triangolare, erano
destinati ad arredare gli angoli di un appartamento.

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/ CUORI RELIQUIARI DELLA VERA CROCE 177

Quello del castello di Oysonville è in legno di rosa intarsiato e di


origine probabilmente lombarda. Molti studiosi lo attribuiscono alla
metà del secolo XVII.
Secondo me, originariamente doveva trovarsi nell’oratorio privato di
un prelato, di una abbadessa o di qualche dama di alto rango.

Fig. 1. Reliquiario in cristallo e ricamo proveniente dal castello di Oysonville (Eure-et-


Loire).

La lastra di vetro ricopre un Sacro Cuore dipinto in rosa pallido su


seta bianca, dal quale si sprigiona una gloria composta da diciannove
fasci di raggi in filo d’oro intrecciato. Da sopra il Cuore, escono delle
fiamme purpuree in mezzo alle quali si erge una croce di seta che

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178 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

contiene un frammento deila Vera Croce. Sopra di essa, l'iscrizione


SANCT/E CRUCIS CHRISTI

Intorno al Cuore di Gesù, le seguenti parole:


PECCATORUM DOLORIBUS OPPRESSUM COR JESU
AMORE NOSTRI IN CRUCE M0RTUUM COR JESU 90

Le ghirlande di fiori, come gli Strumenti della Passione che alcuni


angioletti naif pollano nei cesti, sono dipinti su seta; le cornucopie e le
pigne alla sommità sono in fili d oro intrecciati, come il monogramma
del nome di Gesù, i H s, ai piedi del quale sta in ossequio un fedele
cuoricino infiammato.
Tutto il resto è inciso molto finemente sul vetro del cristallo che
racchiude una reticella scura.
L’altezza totale dell’insieme è di 0,42 m, e la larghezza alla base è di
0,34 m.
Certamente, la perfezione del gusto italiano che ha governato la deco-
razione di questo reliquiario può essere contestata: l'amore per il com-
plicato, ('«arzigogolo», tanto per citare Huysmans, la maniera, sono as-
solutamente non artistiche. Solo il Cuore radioso di Gesù, piuttosto sti-
lizzato, è trattato notevolmente; si sente che in esso si concentra tutta
l'idea; anche la mano dell'artista, che opera con una concezione un po’
puerile il contesto ornamentale, crea alrimprowiso un disegno più fermo
quando comincia a tracciare i contorni dell'oggetto divino.
Nondimeno, l'insieme è estremamente ricco e il reliquiario del conte
di Rilly è un prezioso documento sull'epoca alla quale appartiene. Ve-
dremo, risalendo un pochino la scala degli anni, che in Francia e in In-
ghilterra, lo stesso pensiero così logico di unire la Vera Croce al Cuore
del Salvatore aveva dato adito, molto prima, a notevoli opere d'arte.

Croce pettorale di una abbadessa di Fontevrault (XVI secolo)


Questa croce d'argento, di provenienza locale, alla fine del secolo
XIX apparteneva al curato di Lencloitre (Vienna), che successivamente
la cedette a un collezionista del Poitou, il canonico Ripault, dal quale ho
tratto il disegno.

90 [«Cuore di Gesù oppresso dai dolori dei peccati, Cuore di Gesù morto sulla croce per amore
nostro», N.d. T. ].

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1 CUORI RELIQUIARI DELLA VERA CROCE 179

Lencloìtre-en-Gironde, grosso borgo situato fra Loudun e Chatelle-


rault, dal secolo XII fino alla Rivoluzione fu uno dei più importanti
priorati della celebre Abbazia reale delle Benedettine di Fontevrault,
situata a sette leghe di distanza. E infinitamente probabile che la croce
pettorale qui raffigurata fosse quella di una abbadessa del grande
monastero.

Fig. 2. Croce pettorale di Lencloitre (Vienne), secolo XVI, grandezza reale.

La data, metà del secolo XVI, coincide con l’inizio dell'illustre serie
di sette grandi abbadesse, tutte uscite dalla casa reale di Francia, che si
tramandarono molto dignitosamente la croce di Fontevrault; e di per sé,
il giglio di Francia ai piedi della croce, molto verosimilmente induce ad
attribuirlo ad una di esse91.

91 A Renéede Bourbon (1491-1534) oppure a Louise de Bourbon (1534-1575).

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180 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Al centro, un medaglione raffigurante il Cuore di Gesù conteneva la


reliquia; attorno, la corona di spine intreccia i suoi rami e caratterizza
ulteriormente il Cuore raffigurato. Sui bracci della Croce, si leggono le
parole del Vexilla Regis di san Fortunato da Poitiers, O crux ave, spes
unica.
Se non sapessimo che le abbadesse - come ancora oggi avviene per la
maggior parte dei superiori di congregazione che non sono sacerdoti -
benedicevano i loro sottoposti con una reliquia della Vera Croce,
Tiscrizione della croce di Lencloìtre basterebbe a informarci sulla natura
della reliquia contenuta anticamente in essa.
Alla base, un piccolo tenone che discende da un cartiglio in stile ri-
nascimentale permetteva di fissare la croce su un tabor o un basamento
forato all’uopo, per esporla alla venerazione.
Ecco dunque un secondo esempio del Cuore di Gesù reliquiario della
Vera Croce.

Fig. 3. Croce pettorale dell’ultimo abate di Colchester, secolo XVI.


Croce pettorale dell'ultimo abate di Colchester (XV-XVI secolo)

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181 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Il reverendissimo abate benedettino di Buckfast, in Inghilterra, ha


ricevuto recentemente dal figlio di lord Clifford una croce pettorale
antica, il cui ornamento cesellalo è, di per sé, estremamente interes-
sante92. Oltretutto, essa è una autentica reliquia perché anticamente fu
poilata da Thomas Becket, ultimo abate di san Giovanni Battista di
Colchester, condannato a morte nel dicembre 1539 per avere rifiutato il
giuramento scismatico di supremazia che re Enrico Vili esigeva.
Sulla palle anteriore che qui riproduco, il centro della croce è oc-
cupato, come quella di Lencloìtre, da un Cuore circondato dalla corona
di spine; alle due estremità del braccio trasversale, due medaglioni
contengono 1 effigie delle mani trapassate; il monogramma i H S occupa
il posto del corpo divino e i due piedi vulnerati sono, come le mani, al
loro posto sulla croce.
Sul retro del monile, tutti gli altri emblemi della Passione: la colonna
e le corde, i chiodi, la tenaglia e il martello, il gallo e i dadi.
In questo modo, sulla croce abbaziale di Colchester, come in nu-
merose sculture o dipinti inglesi fra il 1480 e il 1530, il Cuore di Gesù
non appariva solo come centro delle Cinque Piaghe, ma di tutte le
sofferenze del Redentore nella sua dolorosa Passione.

Cuore reliquiario dall’antica collezione Fillon, in Vandea (XV se-


colo)

Riproduco qui l’immagine di un monile assai grazioso del secolo XV


che francamente, lo dico subito, non riporta un carattere specifico
abbastanza preciso.
Esso fu messo in mostra nel 1878 all'Esposizione Universale di Parigi
e Alfred Darcel in un suo articolo lo segnalò in questi termini:
Un monile esposto da mademoiselle Gabrielle Fillon, un cuoricino circondato
dall’iscrizione filosofica in caratteri del secolo XV, Ubi amor ibi fre- quens
cogita [t io] che sulla punta riporta il monogramma i. R93.

A leggere queste righe, si può pensare soltanto a un monile profano, e


il pensiero corre a quei cuori, oggigiorno così frequenti, con

92 Questo interessante monile, mi è stato anzitutto segnalato da don Lagrillicre di Bour-


ges, ed è alla cortesia di dom J. Stéphan, direttore della rivista Chirnes, che devo la possibilità di
produrlo in questa sede. Sentiti ringraziamenti a entrambi.
93 Alfred Darcel, Gaiette des Beaux Arts, ottobre 1878, p. 561.

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182 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Fig. 4. Cuore reliquiario dell’antica collezione Fillon, secolo XV.

l’immagine o i capelli di un caro defunto più o meno fortemente com-


pianto. Tuttavia, nulla può darci la sicurezza se siamo in presenza di un
medaglione da cintura per il cordiglio di una vedova o di un reliquiario
devozionale di un membro del terz’ordine francescano, montato sul
cordone a nodi dei figli di san Francesco; e sappiamo che molti, fra i
signori altolocati e le nobili dame di allora, ne facevano parte.
Credo anche che il cordiglio, in quanto insegna araldica di vedovanza,
sia stato adottato in un periodo di poco posteriore al reliquiario Fillon;
quanto alla «iscrizione filosofica», la quale ci assicura che «laddove è
l’amore, frequentemente va il pensiero», nello spirito dell’epoca avrebbe
potuto avere un significato sia religioso sia profano; infatti, gli stessi
emblemi e lo stesso vocabolario hanno servito spesso sia l’amore
spirituale sia l’amore umano.
In seguito, pubblicherò l’effigie centrale dello stendardo dei Con-
fratelli del Cristo Nero a Cartagena, in Spagna; vi si vede una grande
effigie del Cuore di Gesù cimato dalla corona di spine, nella quale sono
contenuti i cuori dei trentatré membri della Confraternita. Attorno al
Cuore Divino, cingendolo proprio come sul monile Fillon, si legge una
iscrizione che dice t/fef enim thesaurus vester est, ibi et cor vestrum erit,
cioè laddove è il vostro tesoro, sarà il vostro cuore.
Queste parole si differenziano così poco da quelle del reliquiario
Fillon, che autorizzano a pensare, e quasi a credere, che i due cuori che
lo circondano siano della stessa divina natura.
Per di più, aggiungo che, anche se il medaglione cordi forme che ci

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183 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

interessa avesse un incontestabile significato profano, vale la pena di


pubblicarlo in questa sede, come termine artistico di comparazione con
certi reliquiari che lo precedono.

I Cuori reliquiari dell’inventario di Carlo V (XVI secolo)

Quali saranno quei cuori, gioielli infinitamente preziosi, che ven-


nero citati alla fine del secolo XIV nell’inventario del 1379 del tesoro di
Carlo V re di Francia?
2500 - Item, ung cueur d'or esmaillé de rouge cler: ou dedens est ung cruci-
fiement de Nostre Dame.
[...]
2930 - Item, ung autre reliquiaire ou il y a ung roi et une royne qui soustien-
nent un ballay5 en fasori d'ung cueur ou ily a une croisette en laquelle il y a du fust
de la Vrave Croix, et au dessoulx une grosse perle et deux esmeraudes pe- sant
deux onces6.

È possibile che il primo di questi cuori sia stato la raffigurazione di


quello di Maria e che, ponendo la sua immagine sulla croce, sia stato già
in relazione d’idee con ciò che l’arte del secolo XV volgarizzerà più
avanti con il nome di «Passione di Nostra Signora»; ma il secondo?
Questo è espressamente un reliquiario della Vera Croce. È fatto con
una pietra di grosso taglio, un rubino caricato di una piccola croce in cui
riposa la reliquia sacra, alla quale fanno da contorno «una grossa perla e
due smeraldi del peso di due once»!
E il re e la regina di Francia, facendo atto di sottomissione, elevano in
trionfo questo cuore assai prezioso in cui, come in quelli di Oyson- ville
e delle precitate croci abbaziali, la Croce è inclusa.
Come potrebbe non essere l’immagine del Cuore di Gesù?
Non vedo proprio a quale altro cuore re e regina del «più bel reame
dopo quello del cielo», potrebbero così, senza degradarsi, fungere da
«reggitori» nella cappella del loro palazzo; in questo caso, infatti, non
potrebbe rappresentare il loro cuore o un cuore emblematico qualun-

Rubino rosso chiaro o rosa violaceo.


* («2500 - Item, un cuor d’oro smaltato di rosso chiaro ove dentro v'è una cruci fissione di
Nostra Signora. / 2930 - Item, un altro reliquiario su cui v'è un re e una regina che reggono un
carbonchio in guisa di cuore ov’è una crocetta che ha del fusto della Vera Croce e intorno una
grossa perla e due smeraldi del peso di due once», N.d.T.}. que: quale ai loro occhi
poteva essere degno di fare da scrigno all adorabile croce?...

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184 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Non abbiamo e non avremo mai più l’immagine del meraviglioso


gioiello di re Carlo V; la sua perdita è estremamente deplorevole, ma la
descrizione dell’inventario del 1379 è tale, mi pare, che nel contemplarlo
attraverso le vecchie parole del testo, coloro che sanno ciò che furono le
prime rappresentazioni del Cuore di Gesù, con tutta naturalezza
sentiranno affiorare sulle loro labbra una frase simile a quella
dell’Apostolo Pietro: «Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente!».
E ora, che dire dell'idea che fece scegliere come forma di reliquiario
per la Vera Croce di Gesù Cristo quella del suo Cuore? Che dire, se non
ammirare come i nostri vecchi orefici hanno felicemente simboleggiato
con ciò l’amore effettivo del Cristo Salvatore che, partito dal suo Cuore,
«per noi uomini e per la nostra salvezza» lo ha condotto alla morte della
croce! E ancora, come essi hanno saputo, per così dire, dare corpo a
questa verità, che la Vera Croce è divenuta degna di adorazione per noi
solo per l’imbibizione del Sangue prezioso sgorgato dal Cuore di Gesù e
riversato su di essa da tutte le ferite del Crocifisso.
Come il Vexilla Regis, è una sorta di epitalamio dell’unione a un
tempo materiale e mistica del Sacro Sangue e della Croce Redentrice,
che la fece accedere al grado divino e davanti alla quale le fronti si
chinano in adorazione.

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Capitolo 19
L’iconografìa antica del Cuore di Gesù a Loudun

Molti lettori e amici di Regnabit hanno spesso voluto comunicarci


Finteresse che riconoscono alla nostra ricerca dei documenti antichi,
relativi al culto del Cuore di Gesù, e di esprimerci il desiderio che hanno
- ciò di cui siamo loro sentitamente riconoscenti - di aiutarci a ritrovare
antiche testimonianze di una forma di pietà che molti ancora credono
essere relativamente nuova nella Chiesa, ma che in realtà è plurisecolare.
A coloro che mi hanno chiesto da che parte cominciare, ho sempre ri-
sposto: cominciate a cercare attorno a voi, nelle vecchie chiese, negli ex
monasteri, nei vecchi castelli, in vecchie case, in viuzze vetuste, e se an-
che abitaste nella più piccola cittadina di provincia, potrete certamente
fai'usciredall’ombradei documenti che varrà la pena di citare.
Mi accingo ora ad offrire loro come esempio la prima arrivata di
queste cittadine francesi, quella da dove scrivo, Loudun, nella diocesi di
Poitiers.
Ex capitale della regione loudunese, piccola provincia indipendente
racchiusa dal Poitou, dalla Turenna e dall'Anjou e che, come ognuna di
queste quattro province, possedeva una sua legislazione speciale e il suo
particolare governo, Loudun, dall epoca gallica fino alla fine del Medio
Evo, scrisse una gloriosa pagina della storia affatto particolare.
In ambito religioso, essa ebbe, nel corso degli anni, due parrocchie
con quattro chiese parrocchiali, due collegiate, tre priorati benedettini,
uno carmelitano, monasteri di cordiglieri, di cappuccini, una commenda
di Cavalieri di Malta, case agostiniane, trinitari, gesuiti, conventi di
benedettine fontevraultiste, benedettine del Calvario, orsoline,
visitandine, ospedaliere della Misericordia, per parlare soltanto degli
istituti scomparsi dopo la Rivoluzione.
Va detto che la vita religiosa fu intensa anche fra i civili in contatto
quotidiano con i monaci, i sacerdoti o i religiosi.
Nei secoli XV e XVI Loudun, che contava soltanto cinquemila abi-
tanti, ne dava rifugio a tredici o quattordicimila.

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186 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Fig. 1. Boiserie del secolo XV, Loudun.

La più antica testimonianza che conosco del culto del Cuore di Gesù a
Loudun può essere attribuita al terzo quarto del secolo XV. Si trovava in
una casa molto interessante dell’epoca, tutta in legno e ardesia con i
travicelli a graticcio incrociati esternamente; situata all’angolo di rue de
la Poulaillerie e rue de la Boucherie, di fronte a rue de la Porte de
Chinon, fu deplorevolmente demolita intorno al 1900, per fare posto a
un banale magazzino moderno!
Sulla tromba delle scale a chiocciola, due pannelli scolpiti in una
cornice rettangolare erano ornati da una losanga i cui quattro angoli
avevano ognuno un ornamento gotico trilobato; una di queste losanghe
portava una croce fatta da quattro martelli riuniti dal manico a un
medaglione centrale sul quale si leggevano le due lettere gotiche p n,
monogramma di un artigiano.
Sull’altro pannello, la losanga conteneva al centro di una croce un
cuore in rilievo stiacciato sul quale erano tracciate profondamente le
cifre gotiche di «Jesus»:
i f)
Lo riporto qui dallo schizzo ritrovato fra le carte di un archeologo
loudunese, il dottor Gilles de La Tourette, che lo fece sul retro di una
lettera a lui indirizzata con il timbro postale 26 maggio 1867. Non vi è
1
Ho già riprodotto la losanga centrale di questo pannello in «Le sceau d'Estème Couret et les
Emblèmes bas-poitevins du Sacré-Cceur», Revuedu Bas-Poitou, 1917. dubbio che nel
secolo XV un cuore posto sulla croce e caricato del monogramma del
Nome di Gesù avesse lo scopo di rappresentare il Cuore del Signore.
Probabilmente va riconosciuto al secolo successivo l’abbozzo assai
singolare di una immagine del Cuore ferito che, pur non essendo pro-
priamente una fine opera d’arte, nondimeno rimane un espressivo atto di
fede.
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ICONOGRAFIA ANTICA DEL CUORE DI GESÙ A
LOUDUN 187
Anticamente, la nostra chiesa di Saint-Pierre du Marché, nelle im-
mediate vicinanze, possedeva due o tre case vicariali; una di queste è
incassata esternamente in una rientranza formata dalla tribuna del-
l’organo e dal fonte battesimale; era la dimora del vicario guardiano; ciò
che spiega come mai dalla principale camera da letto della casa una
finestra, oggigiorno murata, guardasse verso l’interno della chiesa,
assicurando così una guardia notturna.

Fig. 2. Lavoro su roccia, probabilmente del secolo XVI, Loudun.

Un’altra casa vicariale si trovava sulla piccola piazza Saint-Pierre a


pochi passi e a sinistra del portale principale della chiesa. Questa casa ha
un sotterraneo estremamente profondo; è scavato in un blocco massiccio
di calcare del secondario turoniano che sostiene la città e vi si discende
da una scala ripida e assai lunga, a metà della quale si aprono delle
nicchie da entrambi i lati. Sulla parete di destra, discendendo verso la
metà delle scale, un Cuore grande circa ottanta centi

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188 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO
metri di altezza è stato disegnato a colpi di piccone; la parte inferiore del
tracciato è formata da un solco di una larghezza media di 10 centimetri e
pressa poco altrettanto profondo; il tracciato in alto non è stato terminato
ed è segnato con un tratto molto meno profondo; la parte curva in cima
al Cuore tocca un grosso ciottolo di arenaria ferrosa che forma nodosità
nel terreno e un rilievo sulla parete; la ferita del Cuore è nettamente
indicata, e un tratto preciso fa pensare che lo «scultore» avesse
l'intenzione di raffigurare la lancia; sopra la ferita due tratti formano una
croce. Posteriormente a questo lavoro incompiuto, un incastro che lo
incide è stato praticalo per la posa di una asse di legno destinata con
tutta probabilità a facilitare la difficoltosa discesa dei fusti di vino giù
per la scala.
Per quanto grossolana sia questa immagine, non lascia dubbi sulla sua
identificazione; le lettere iniziali G e s in corsivo gotico decadente del
secolo XVI, incise su alcuni scalini più in basso, sono state scavate
probabilmente contemporaneamente al Cuore.
In quel tempo, a più riprese i protestanti la facevano da padroni a
Loudun, molestavano il clero secolare, uccidevano i religiosi dei quali
devastavano o incendiavano le case, si impadronivano delle chiese e
interdivano il culto cattolico; non sarei per nulla sorpreso se il vicario
che occupava all'epoca quella casa si fosse ritirato nel sotterraneo per
celebrare la Messa; attraverso gli scritti del tempo, sappiamo infatti che i
due culti dovevano nascondersi alternativamente sotto terra per la Messa
e per la Cena.

A Loudun cerano, come ho detto sopra, le benedettine fontevraul-


tiste, e la «grande abbadessa» Signora di Fontevrault, come si diceva a
Corte, dentro le mura della città aveva - non lontano dal suo priorato
della Asnerie e dalla sua signorìa di Saint-Mathurin (senza contare i suoi
alloggi fuori le mura) - una casa che porta ancora le armi araldiche
dell’abbadessa Jeanne-Baptiste di Borbone, figlia di Enrico IV. Ora,
sappiamo da documenti certi che la devozione al Cuore di Gesù ferito e
sanguinante era viva già dal secolo XV nell Ordine fontevraul- tista.
Di questo belYalbero, un ramo che conservò intatto il suo spirito di
devozione, fu staccato al tempo di re Luigi XIII nella persona di Madre
Antoniette d'Orléans (seguita da alcune compagne) e trapiantato a
Poitiers con il nome di Congregazione Benedettina del Calvario, sotto le
cure del frate cappuccino Joseph du Tremblay, l’« Eminenza Grigia».
Nel 1623, padre Joseph fondò a Loudun un convento di calvariane, e
questa casa prosperò fino alla Rivoluzione. Fu demolita verso il 1830,
salvo le sale a volta del pianterreno che furono utilizzate dalla famiglia
Confex-Lachambre per la costruzione di un castello a torrette di pretese
romantiche. Nella servitù di questa abitazione, che a tut- t oggi si chiama
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ICONOGRAFIA ANTICA DEL CUORE DI GESÙ A
LOUDUN 189
«11 Calvario», ancora nel 1911 si trovava una vecchia porta di mobile
della fine del secolo XVII o del XVIII, utilizzata per chiudere un altro
vecchio baule. Questo pannello, che proveniva certamente dal mobilio
delle calvariane, al centro della sua parte inferiore portava una scultura
molto suggestiva; una lira di 15 centimetri di altezza formata
internamente dal Cuore di Gesù sormontato dalla croce.
Vi è qui una di quelle ispirazioni mistiche che fanno la poesia e il
fascino delle ore placide nel pio silenzio dei chiostri e davanti alle quali
le anime nutrite di Dio si elevano a pensieri che i semplici cristiani non
sospettano nemmeno. Ricordo che venticinque anni fa un vecchio
cantico diceva molto ingenuamente tre cose molto elevate; si cantava
ancora nelle chiese di campagna della valle del Poitou della Sèvre-
Nantaise e cominciava così:

Chante, chante, ó ma lyre,


L amour de mon sauveur:
Que tout ce qui respire
Lui consacre son coeur
(Canta, canta o mia lira,
L’amore del mio salvatore
Che tutto ciò che respira
A lui consacri il cuore).

Molto probabilmente risaliva anch esso agli inizi del secolo XVIII e,
se io dovessi illustrare il testo, è la lira mistica delle calvariane di Lou-
dun che riprodurrei nel frontespizio: non è al tempo stesso l’emblema
della melodia religiosa e quello deH’«amore del nostro Salvatore»? 94

94 E se dovessi progettare una bandiera per una società musicale cattolica, sarebbe sempre
il disegno di questa lira che utilizzerei.
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190 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Fig. 3. Boiserie del monastero del Calvario, secolo XVII, Loudun.

Il priorato benedettino di Notre-Dame-du-Chàteau, che dipendeva


dall’Abbazia di Tournus in Borgogna, fu fondato nella cinta della for-
tezza di Loudun da Carlomagno, che scrisse da questo luogo ad Al-
cuino, abate di Saint-Martin di Tours, una carta di cui possediamo il
testo. È il suolo santo del loudtinese: vi si tenne un Concilio, successi-
vamente vi celebrò un Papa, vi morì un santo mentre altri vi pregarono e
dieci re, Du Guesclin e Clisson vi si inginocchiarono. Nel 1606, E
Abbazia di Tournus la cedette ai gesuiti di Poitiers che raserò al suolo il
venerabile monastero per costruire al suo posto una sorta di casa
borghese, divenuta oggigiorno arcipretura. Nel secolo XVIII, essi so-
stituirono anche l’entrata romanica della vecchia cappella di Notre-
Dame con una porta quadrata sormontata da un orribile timpano
triangolare e, più tardi, incisero la sommità del timpano per incastrarvi
una pietra caricata dell'immagine del Sacro Cuore. Sebbene si affacci
direttamente sulla strada, la Rivoluzione, che rase la cappella a cinque o
sei metri di altezza, rispettò questa immagine che solo le intemperie
hanno incresciosamente alterato.

Non fu tuttavia per merito dei gesuiti che nel secolo XVIII, appena
dopo gli avvenimenti di Paray-le-Monial, Loudun divenne un vero
centro di rinnovamento regionale della pietà verso il Cuore ferito di
Gesù, e di diffusione delle immagini; questo onore spetta alle religiose
della Visitazione.

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ICONOGRAFIA. ANTICA DEL CUORE DI GESÙ A
LOUDUN 191

Fig. 4. Porta del secolo XVIII dell’antica chiesa di Notre-Dame du Chàteau.

Esse si stabilirono a Loudun nel 1648 e alcuni anni dopo vi fecero


costruire, per 68.000 lire, uno dei più bei monasteri del loro Ordine. Ai
tempi di santa Maria Margherita Alacoque, questa casa era abitata da
cinquantatré religiose e fu soprattutto a partire da questa epoca che le
visitandine di Loudun si fecero attive propagandiste della pietà al Cuore
di Gesù. Per servire questo apostolato, esse lavorarono alacremente con
le loro stesse mani e fra i numerosi oggetti devozionali che distribuirono
nel paese, molti riproducevano il Sacro Cuore. Monsignor Barbier di
Montault ha donato al Museo di Poitiers tutta una serie di immagini, da
loro eseguite in pergamena traforata a mo' di pizzo, e dipinte con motivi
religiosi; più di sessanta rappresentano il Cuore di Gesù o quello del
fedele simile a lui.
Alcune di queste piccole composizioni mistiche ci mostrano il Cuore
sacro elevato alla croce, o posto sulla lancia e la spugna, e sormontato da
corone araldiche più o meno regolari.
Nella cappella delle visitandine anche i chiodi, che attaccavano i
parati o i mobili, terminavano con teste cordiformi e nella sacrestia
192 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO
una patera di ferro fissata nel muro, vicino alla porta che dà sul chiostro,
alla sua estremità verticale porta una raffigurazione del Sacro Cuore. Il
centro della croce che lo sormonta è traforato a stella e sul cuore, la
seguente iscrizione è impressa a bulino nel metallo: DIVLN coeuR DE
JESUS, DIVINO CUORE DI GESÙ.

Fig. 5.

Lo studioso loudunese Roger Drouault, dal quale ho ricevuto uno dei


chiodi appena segnalati, mi ha fatto conoscere anche un vecchio ferro
per marchiatura a caldo proveniente dalla Visitazione di Loudun: esso
porta in una corona di spine il Cuore di Gesù caricato di un
monogramma che riunisce i nomi di Gesù e di Maria. A causa di una
probabile distrazione dell’incisore, il colpo di lancia sull’impronta è sul
lato sinistro del cuore.

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ICONOGRAFIA ANTICA DEL CUORE DI GESÙ A
LOUDUN 193
Dalla Rivoluzione, l’ex monastero visitandino è diventato ospizio
municipale e, con grande vantaggio di tutti, ha la fortuna di essere tenuto
ancora da religiose della Presentazione di Tours, che hanno conservato
fedelmente tutto ciò che ancora restava degli oggetti appartenuti alle
visitandine.

Fig. 6. Ferro da marchiatura del monastero della Visitazione, secolo XVIII, Loudun.

Da segnalare anche la vetrata posta nella volta a crociera del secolo


XV della cappella di Notre-Dame de Recouvrance nella Chiesa di
Martray, ex monastero dei carmelitani; i due cuori di Gesù e di Maria si
vedono in colore viola scuro su un fondo blu intenso.

Fig. 7. Vetrata della Chiesa di Martray.

Naturalmente il fervore così manifesto verso il Cuore di Gesù delle


case religiose della cittadina non poteva mancare di avere un con-
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194 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO
traccolpo sulla devozione della popolazione civile; è infatti abbastanza
numerosa l’oggettistica che ancora ce lo testimonia. Su Regnabit ho già
riprodotto una acquasantiera popolare di quell'epoca in cui la vaschetta è
formata dal Cuore del Salvatore; un sigillo araldico in cui il rivolo di
sangue che esce dal Cuore ferito si prolunga in una enorme goccia.
Conosco anche incisioni o dipinti molto interessanti che ebbero un posto
d'onore nelle case, e davanti alle quali i nostri padri hanno pregato.
Proprio con questo ordine di idee ho raccolto un grande acquerello di
cui ecco il tema: su una base rettangolare, un basamento cilindrico
scanalato sostiene una vasca vagamente Luigi XVI riempita con un
mazzo di rose, di papaveri e fiorellini vari; nel mezzo di questa fioritura
si erge una grande croce aureolata con la corona di spine che porta in
mezzo al suo fusto il Cuore vulnerato dietro al quale la lancia e la
spugna si incrociano decussate. Il Cuore è color carne e tutto venato di
blu; anche la ferita è blu e, per renderla più impressionante, con tutta
probabilità, e più realisticamente aperta, la carta è stata incisa con una
taglierina.

Fig. 8. Sigillo in argento del secolo XVII, Loudun.

Sotto a questa composizione si legge la seguente iscrizione: Dédié à


Madame Bérault, née Mane Moulier, dedicato a madame Bérault, nata
Marie Moulier.
Chiudo questa panoramica dei nostri documenti loudunesi situati
intra muros senza soffermarmi su quelli della periferia; essi formano una
serie di prove sufficiente a dimostrare che qui, come quasi ovunque in
Francia, il Cuore di Gesù Cristo fu veramente, dalla metà del secolo XV
almeno fino alla Rivoluzione, oggetto di venerazione e ricorso spirituale
dei fedeli.

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Capitolo 20
Il Cuore ferito della chiesa di Langeac (1526)

Langeac è un grosso cantone dell’Alta Loira, situato sulle rive del-


l’Allier. La sua chiesa è il capoluogo di una delle arcipreture dell’attuale
diocesi di Puy, ma anticamente faceva parte di quella di Saint- Flour
d’Auvergne.
Questa chiesa, edificata nel secolo XV, è un bell edifìcio di stile go-
tico costellato di opere d’arte, di cui una quindicina sono state classi-
ficate come monumenti storici dalle Belle Arti.
Fra le altre, il primo posto va a un magnifico trittico dipinto su legno e
argento, i gruppi scultorei del Rosario e della Deposizione nel sepolcro.
All’epoca in cui la chiesa di Langeac fu costruita e abbellita dei suoi
preziosi capolavori, la signoria civile di quella città apparteneva alla
nobile famiglia omonima, vecchio e illustre casato sorto dai re di Sicilia,
rappresentato allora da Tristan de Langeac e Marie d’Alègre, sua
moglie. Fra i loro figli, si distinse soprattutto Jean de Langeac, il fastoso
vescovo di Limoges, al quale Francesco I affidò in seguito delle
importanti missioni diplomatiche e che fu uno dei prelati più blasonati e
più opulenti del regno.
Senza dubbio, la chiesa di Langeac, sede di un collegio di canonici, il
capitolo di San Gallo, risentì felicemente della generosità del signore del
luogo, il cui spirito familiare di liberalità divenne celebre soprattutto con
il vescovo Jean de Langeac e suo fratello, Francois de Langeac, abbé
commandataire di Chézy. Tuttavia, non è affatto alla loro munificenza
che la collegiata deve il possesso dei bellissimi stalli del suo santuario,
l'opera dalle di cui stiamo per occuparci; infatti, esso fu pagato solo dal
capitolo dei canonici di San Gallo, come attesta la seguente iscrizione
scolpita in splendido gotico ornato sul legno degli stalli, che ci dice a un
tempo l’origine e la data esatta.

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IL CUORE FERITO DELIA CHIESA DI LANGEAC (1526)
197
VT GLORIA XPI DIETIM EXALTETVR
DIVINV EXERCENDO OEFICIV
VENERABILE LANGIACI CAPITVLVM
MOTVM DEVOTIONE FECIT HVNC
ERIGERE CHORVM
ANNO DOMINI

Al fine di esaltare quotidianamente la gloria di Cristo compiendo l’ufficio divino, il


venerabile capitolo di Langeac, animato dalla devozione, ha fatto erigere questo
coro nell’anno del Signore 1526.

Ora, sul legno degli stalli quattro sculture evocano, in un linguaggio


lineare dalle più belle forme araldiche e mistiche, le ultime sofferenze
del Salvatore Gesù; esse le presentano così, nell'ordine dei racconti
evangelici:
1) Un angelo inginocchiato tiene obliquamente sulle braccia tese in
modo ineguale la colonna della flagellazione.
2) Un busto di angelo, di cui sono visibili soltanto il viso, le ali e le
mani, tiene poggiato al petto uno scudo di forma ogivale caricato di una
frusta a tre corde intrecciate.
L'angelo, utilizzato in qualità di «reggente araldico» dello stemma, fu
un motivo molto in voga nei blasoni di Francia e di Inghilterra nei secoli
XIV e XV; e noi dobbiamo complimentarci con lo scultore di Langeac
di aver saputo preservare nel suo lavoro le forme tradizionali nazionali
dell’arte nobiliare, in un'epoca in cui tanti blasoni si trasformavano in
quei complessi cartigli italiani che, al di fuori del loro contesto, sono
penosi.
3) Un angelo simile a quello che porta lo scudo con la frusta, a sua
volta regge, ma obliquamente, uno scudo su cui si allarga un fascio di
verghe.
Prima di proseguire, mi sia permesso di segnalare la straordinaria
analogia esistente fra il disegno della frusta e quello degli strumenti di
flagellazione sull'affresco della chiesa di san Giovanni Battista a Chau-
mont (Alta Marna), del 1471, pubblicata da Regnabit qualche mese fa
1
Cfr. Regnabit, marzo 1922, p. 409.

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198 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

-2-

Fig- 1.

—3—
Fig. 2.

4) Se le prime tre sculture degli stalli di Langeac, con la colonna, la


frusta e le verghe evocano solo le sofferenze della flagellazione, la
quarta invece, da sola, riassume gli altri supplizi della Passione: l’inco-
ronazione di spine, la crocifissione, l’apertura del Cuore di Gesù per
mezzo della lancia; è uno dei più begli esempi che io conosca di quelle
che anticamente si chiamavano «armi araldiche della Passione» o
«Blasone di Gesù Cristo» e talvolta «Scudo dalle Cinque Piaghe».
Riproduco qui tale superba scultura nelle dimensioni reali che ha a
Langeac, dal disegno che mi è gentilmente pervenuto, come per gli altri
due scudi, per merito del canonico Ollier, arciprete di Langeac.
Come per lo scudo con la frusta, l’angelo scudiere regge sul petto un
grande blasone verticale. Tutto il campo di questo scudo è occupato da
una robusta corona di spine a due polloni intrecciati, in mezzo alla quale
il Cuore Divino si mostra trafitto dai chiodi che fecero

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IL CUORE FERITO DELLA CHIESA DI LANGEAC (1526)
199

Fig. 3.
200 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

sanguinare le membra di Gesù crocifìsso e dalla lancia che gli aprì il


costato. Il cuore non è forse la dimora umana in cui va a finire ogni
pena, ogni sofferenza delle nostre anime e delle nostre affezioni, dei
nostri spiriti e dei nostri pensieri, dei nostri corpi e della loro sensibilità?
È il riassunto di tutto l'uomo.
E poiché Dio si è fatto uomo per salvare l'uomo, un uomo un giorno
osò riassumere Dio. Dio morto per noi, e l’infinito delle sue sofferenze,
nell’unico disegno del suo Cuore vulnerato da tutte le ferite del suo
corpo.
Lo scultore di Langeac cesellò la sua opera con totale devozione, ma
non fu quell’uomo; egli lo sorpassò nella padronanza del mestiere e
tuttavia fu soltanto il suo tardo imitatore.

Fig. 4. Marchio di Pierre Levet, stampatore a Parigi (fine del secolo XV).
Inciso su legno da Charbonneau-Lassay, tratto dalla riproduzione fornita da Claudin,
Histoire de l'imprimerie en France, Bibliothèque de l’Arsenal, Parigi.
Da secoli, mani cristiane incidevano, cesellavano, dipingevano l’ado-

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IL CUORE FERITO DELLA CHIESA DI LANGEAC (1526)
201
rato Cuore di Gesù Cristo; da molto tempo blasoni scolpiti sui muri dei
chiostri e delle chiese, sulle tombe e sugli arredi, ripollavano le mani e i
piedi trafitti del Salvatore attorno al suo Cuore ferito.
Quarantanni prima che il capitolo di San Gallo facesse scolpire gli
stalli della collegiata, uno stampatore parigino, Piene Levet (1487-
1491), prendeva come marchio e firma commerciale un grande scudo
che accentrava così nel Cuore di Gesù, nel centro della sua corona
dolorosa, gli strumenti delle Cinque Piaghe principali.
E se l’arte del blasone può forse accordare una superiorità allo scudo
di Langeac, su quello di Levet i due sono da mettere a confronto con
l’espressione araldica di uno stesso pensiero di pietà, di un identico
modo di rappresentare il Cuore del Salvatore, in quanto fonte della
nostra redenzione e ricetto sensibile delle infinite sofferenze di Gesù
morto per noi.

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Capitolo 21
Il Cuore «Fontana di Vita e di Salvezza»

La Società degli Antiquari dell’Ovest, in uno dei suoi musei di Poi-


tiers, quello degli agostiniani, possiede un vaso del secolo XVII la cui
decorazione entra nel merito degli studi di Regnabit. È una grande idria
di circa 35 centimetri di altezza, panciuta come una giara provenzale e
munita di due anse come le anfore antiche.

Fig. 1. Fontana-lavabo del Museo degli Agostiniani di Poitiers.

È di terracotta ricoperta da una vernice grigioverdastra; la sua larga


bocca era anticamente chiusa da un coperchio dello stesso materiale, il
cui centro convesso doveva terminare con un pomello più o meno
decorato.

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IL CUORE «FONTANA DI VITA E DI SALVEZZA» 203

Quale unica decorazione, questo vaso polla sul collo il viso radioso
del sole e, alla base, il Cuore di Gesù, la cui estremità inferiore si pro-
lunga nel tubo di sbocco da cui fluisce all’esterno il liquido contenuto. Il
Cuore è sormontato da una croce collocata fra due fiamme rigide,
bruscamente incurvate ad arco; è dunque indubbiamente l’effigie del
Cuore di Gesù Cristo.
A prima vista, la trasformazione del Cuore Sacro in volgare tubinetto
da fontana sembrerebbe di una audacia piuttosto infelice, per non dire
assolutamente irriverente; tuttavia, per poco felice che sia il simbolismo
del secolo XVII, il più delle volte anemico discendente di quello del
Medio Evo, mi sembra che in questo caso abbia raggiunto una dirittura e
una pienezza di significato inusitate, perché si è rifatto direttamente ai
Libri sacri e non allo sdolcinato sentimentalismo che quasi sempre gli ha
male giovato.
Ritengo che sarà il puteale di un pozzo, più antico della broccafontana
di Poitiers, a darci la soluzione dell’enigma del Cuore.

HA V R I ETB
AQ.V A M IN*
GAV D I 0 ♦ DE
FONTI
t A V ATORI 5
Fig. 2. Iscrizione da un pozzo del secolo XVI, castello di Bois-Rogues, Loudun
(Vienne).
Ancora nel secolo XIX, sulla corte d'onore del castello di Bois-

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204 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Rogues presso Loudun - dove in tempi passati Francesco T aveva fatto


deportare per una cattività molto relativa e assai signorile Massimiliano
Sforza duca di Milano -, si trovava un pozzo d’epoca rinascimentale sul
quale, sotto il monogramma del nome di Gesù caricato da una croce la
cui asta portava il Cuore sacro, si leggeva riscrizione HAURIETIS AQUAS
IN GAUDIO DE FONTIBUS SALVATORIS, Attingerete nella gioia alle acque
delle fontane di salvezza.
Questo pozzo non esiste più, e l’iscrizione che qui riproduco* ci è
pervenuta tramite la copia che ne fece il 23 luglio 1863 lo studioso ar-
cheologo loudunese Joseph Moreau de la Ronde, come termine di pa-
ragone per l’iscrizione cesellata sul pozzo della sua dimora patrimoniale
di De la Ronde, che portava anch esso, ma in caratteri del secolo XVII,
Haurietis aquas in gaudio de fontibus salvatoris. Isayce li.

HAVRIETLS AQVAS
IN GAVTDIO DE FONTI
BVS SALVATORIS ISAYAE II

Fig. 3. Iscrizione del pozzo nel castello di De la Ronde, Loudun (Vienne).

Il pozzo di De la Ronde, come quello di Bois-Rogues, è stato demo-


lito e riempito; ma la demolizione del puteale ha risparmiato la pietra
con l’iscrizione che è stata incastrata sopra la porta di un padiglione del
giardino, dove si trova tuttora. Il riferimento alle parole bibliche non è
totalmente esatto: esse sono sì del profeta Isaia, ma non nel capitolo II,
bensì nel terzo versetto del capitolo XII, sono il magnifico incipit del
seguente passo:
v 3 Attingerete con gioia alle acque delle fonti di salvezza.
v 4 E quel giorno canterete. Rendete grazie al Signore di Israele, invocate il suo
nome, testimoniate davanti al popolo le sue meraviglie e proclamate che Egli è un
riparo sicuro.

1
Ho già citato questo documento in L'Echo de Saint Gabriel, 1904, p. 8.
Ecco, dunque, l'idea che nella prima metà del secolo XVI ha indotto

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205 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

all’epigrafiadel pozzo di Bois-Rogues; non vi è alcun dubbio, alcuna


esitazione: la «sorgente di salvezza», la «Fontana del Salvatore»
secondo la traduzione di san Bernardo, la «Fonte salvifica», avrebbero
detto i nostri avi del Poitou, è il Cuore del Salvatore Gesù, il Cuore che
sulla pietra del pozzo fa tutt uno con la croce redentrice, con il nome di
Gesù, i H S; ed è di fronte a lui, in relazione immediata con lui, che si
pone YHaurietis aquas di Isaia.
E per chi vuole andare oltre la materialità apparente delle parole,
l'acqua limpida del pozzo, vivificante e purificatrice, non è altro che
l’immagine materiale, la figura emblematica, dell’invisibile dono divino
scaturito dal Cuore e che zampilla per ridare alle anime la purificazione
nella via della giustizia, la gioia salutare.
Al di là di questa interpretazione - la compenetrazione, la giustap-
posizione del Cuore, della Croce, del monogramma e del testo biblico -
penso sia impossibile un altro significato, verosimile e sicuro.
E questa idea, che la proclamazione che il Cuore del Salvatore è la
fonte della nostra redenzione mediante la cancellazione - diciamo
volgarmente il «lavaggio» - delle umane colpe, pur essendo meno
ostentatamente scritta, ritengo sia abbastanza chiaramente espressa sulla
brocca-fontana di Poitiers. Su di essa non c’è nessuna iscrizione a dirci
il consolante segreto, ma il fatto di fare fluire dal Cuore Divino il
benefico liquido non è un linguaggio abbastanza eloquente? La mano
del vasaio che l’ha fissata così, nella sua pia funzione, non sembra aver
voluto dire a tutti: «O voi che siete sudici, venite a me che sono la
sorgente e il mezzo di ogni purificazione, ritroverete così il vivente
splendore delle vostre anime...»?
Le stesse parole nella frase delle Litanie del Sacro Cuore ritornano
nel significato:
Cor Jesu, fons vita; et sanctitatis.
[Cuore di Gesù, fonte di vita e santità].
E più avanti, quando lo stesso testo liturgico saluta il Cuore con il
titolo di «Fonte di ogni consolazione», il pensiero non ritorna forse
all’«z7? gaudio» del libro di Isaia?
Certamente, applicando al Cuore di Gesù YHaurietis aquas del pro-
feta, l’ispiratore della scultura di Bois-Rogues non era stato certo un
inventore, ma arrivava dopo molti altri.
Nell’ultimo fascicolo di Regnabit, nello splendido studio sul sermone
di san Bernardo per la Natività del Signore, dom Séjoumé ha riprodotto i

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206 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

brani con i quali il grande abate mostrava ai suoi monaci del secolo XII
«le sorgenti del Salvatore», la «sorgente di misericordia» che purifica, la
«sorgente di sapienza» che appaga l’anima, la «sorgente di grazia» che
irriga e fa crescere, la «sorgente dello zelo» alla quale il cuore del
cristiano va ad attingere il suo ardore. E il grande mistico aggiunge:
«Vedete se queste non sono le fontane di cui aveva parlato Isaia:
"Attingerete con gioia alle acque delle sorgenti del Salvatore”». Poi,
dopo aver contemplato le quattro sorgenti che egli paragona alle piaghe
delle quattro membra di Gesù crocifisso, il santo si raccoglie in
preghiera e volgendo lo sguardo verso la piaga aperta del Cuore, la
definisce sorgente suprema, quella della vita, quella autentica, che per
l'uomo ha inizio esalando dal petto l’ultimo respiro.
È per questa ragione che ritengo certo che, se il grande abate di Ci-
teaux avesse visto il vasaio del Poitou modellare nell'argilla il cuore-
fontana che decora Fidila degli Antiquari dell'Ovest, si sarebbe inchi-
nato davanti a quella immagine evocatrice e avrebbe mormorato
Haurietis aquas di Isaia.

Procedendo nella stessa direzione, nel campo dell’interpretazione


iconografica oso anche spingermi oltre, in merito a un altro vaso per
l’acqua; penso che l’incomparabile artista che lo ha concepito abbia
obbedito a una ispirazione mistica abbastanza vicina a quella che guidò
il ceramista della brocca-fontana di Poitiers.
A poca distanza da Loudun e dal castello di Bois-Rogues, dove il
Cuore di Gesù sormontava l'iscrizione del pozzo, all’epoca in cui la
frase biblica vi fu incisa, i Gouffier d'Oiron, duchi di Roanne, risiede-
vano nella loro principesca dimora di Oiron, dove avevano dato vita a
un centro in cui le arti - tutte le arti - erano tenute in grande conside-
razione.
Héléne di Hangest, duchessa di Roanne, all'epoca faceva modellare
negli ateliers vicini a Saint-Porchaire, quelle meravigliose maioliche
dette d’Oiron, che sono i più puri, i più splendidi gioielli della nostra
ceramica francese, il cui minimo coccio viene stimato letteralmente
molto più che a peso d’oro95.

95 Si conoscono solo sei o sei te pezzi interi delle maioliche di Oiron, che sono state clas-

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207 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

L’antica collezione Dutuit possedeva tre pezzi di Oiron; uno di questi,


una brocca d'acqua, sulla curvatura della pancia dal fondo bianco latte e
nell’incanto di un incredibile decoro a intrecci e arabeschi di svariati
colori, presenta un cartiglio monocromatico sopra il quale un
emblematico pellicano si apre il petto affinché, attraverso l'abluzione nel
suo sangue, la sua nidiata possa riprendere vita.

Fig. 4. Il pellicano su una maiolica di Oiron, secolo XVI.

Questa sorgente purpurea aperta nel cuore dal volatile che, per suo
tramite, ridona l'esistenza a degli esseri morti, è forse una concezione
diversa dalla quinta sorgente aperta nel fianco divino, di cui parla san
Bernardo? Infatti, non dimentichiamo che nell'iconografia cristiana del
Medio Evo, dal secolo X al Rinascimento, il pellicano che si becca il
cuore per aprirselo è un emblema della Redenzione rivivificante e non
dell'eucaristia.
Ascoltiamo Guillaume de Normandie, uno dei maestri più fidati di
simbolismo del secolo XII, il quale, nel suo Bestiaire divin, ci dice:
I piccoli di pellicano, divenuti grandi, feriscono con il becco il padre e questi,
giustamente in collera, li uccide; tre giorni dopo, però, ritorna da loro, si trapassa il
fianco cosicché il suo sangue, versato su di essi, li riporta in vita.

Indi Guillaume applica questo toccante racconto al Salvatore Gesù.


Tutto ciò si sviluppa su novantacinque versi in lingua romanza, la cui
riproduzione sarebbe qui troppo lunga3.

sificate nella collezione Rothschild e nelle antiche collezioni Sauvageot e Dutuit, che si trovano al
Louvre. Soltanto il candeliere di maiolica smaltata con le iniziali di Enrico II fu acquistato da
Dutuit alla fine del secolo XIX per 91.000 franchi. Questo per dire la magnificenza dei pezzi e il
loro attuale esorbitante valore.
’ Cfr. C. Hippeau, Le Bestiaire Divin de Guillaume, Clerc de Normandie, Hardel, Caen, 1852,
VI. p. 93 e p. 207.

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208 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Alberto Magno, Vincenzo di Beauvais, Ugo di San Vittore, hanno


spiegato il simbolo del pellicano mediante lo stesso favoloso racconto;
secondo loro, tutte le nidiate ribelli castigate a morte vengono purificate,
lavate, perdonate e ritornano in vita solo mediante 1 abluzione del
sangue paterno, e non mediante l’incorporazione nutrizionale. I morti
non possono essere alimentati. E se sant'Agostino, commentando il
Salmo 101, previde che il pellicano sarebbe diventato un emblema
eucaristico, il suo pensiero non ha trovato affatto eco nell’iconografia
medievale.
È per questo che quando anche san Tommaso d'Aquino, nell’inno
Adoro te devote àe\\'Ufficio del santissimo Sacramento, a sua volta ap-
plicò la figura del pellicano al Salvatore, espresse soltanto il concetto di
redenzione dell’anima umana mediante l’abluzione purificatrice del
sangue divino, e non mediante l'atto di nutrizione eucaristica:
Pie Pellicane, Jesu Domine
Me immundum munda tuo sanguine,
cujus una stilla salvutn facere
Totum mundum quit ab omni scelere.
O pio pellicano, Gesù Signore
Purifica me immondo col tuo sangue,
di cui una sola goccia può salvare
Tutto il mondo da ogni delitto.

Mentre il geniale ceramista della duchessa di Roanne modellava le


morbide forme delle anse e decorava i contorni della sua brocca, Du
Bartras96, nello stile della Scuola di Ronsard, dava al pellicano simbolico
lo stesso significato mistico degli autori dei secoli precedenti. Fu
soltanto dopo tutti costoro, per alterazione, per incompetenza sul
pensiero dei grandi secoli di intellettualismo cristiano, che il pellicano
divenne uno dei simboli tardi dell’eucaristia. Ecco perché artisti,
scultori, pittori e incisori del Medio Evo lo collocavano quasi sempre
alla sommità della croce o nel fogliame dell’«Albero della Vita».
Su una brocca antica, vedo il pellicano in stretto rapporto di idee con
il racconto che ce lo mostra come colui che purifica, resuscita e
rivivifica con la sorgente del cuore - e mediante tutta la linfa del cuore:
sangue e acqua - i suoi piccoli colpevoli e castigati con la morte. Non è
proprio questo, il più caldo simbolo della sua effusione, quell’acqua che
san Giovanni, nell’isola di Pathmos, vede «uscire dal fianco destro del
Tempio» e che «salva tutti quelli che ne vengono toccati», quella
sorgente purificatrice sulla quale tutta l’anima mistica del Medio Evo si
è chinata con la gioia «del cervo anelante all’acqua delle fonti», secondo
96 Cfr. ibid., p. 96.

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209 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

l’espressione del Salmo 41, e che ha magnificato in tanti modi5?


È dunque troppo azzardato se attribuisco al pellicano sulla brocca di
Oiron un valore anagogico quasi uguale a quello del Cuore-fontana della
brocca di Poitiers, e quasi anche lo stesso significato? Per i due ispiratori
di questi vasi, come per il pensiero che sta dietro alla decorazione del
pozzo di Bois-Rogues, l’acqua che fluiva dagli uni e dall’altro portava ai
corpi rivivificazione e purificazione fisica e materiale; e dal Cuore
aperto del Salvatore, rappresentato nella forma classica o raffigurato dal
pellicano ferito, sgorgava per le anime «la sorgente di vita e di ogni
santità».

E per concludere, perché non ci si illuda al punto da credere che


anticamente questo simbolismo fosse riservato a una elite intellettuale di
fedeli, alla cui altezza la pietà può tuttavia elevare i semplici di-
scendendo la scala dei tempi fino a giungere all’estremo, alle arti più
umili, voglio incidere l'immagine di una acquasantiera assai popolare
nei miei paraggi; una di quelle povere acquasantiere da comodino con
cui si segnavano quei nostri avi che portavano la veste di bigello o la
blusa di tela, o le nostre nonne in abito di lana o di fustagno.
Essa è fatta della più grezza maiolica del secolo XVII o XVIII, come
i vecchi piatti delle case di campagna, e la decorazione policroma è di

’ È la stessa idea di purificazione mediante l'abluzione, il bagno, che ha sovrinteso alla


composizione delle Fontane di Vita, attraverso le quali il secolo XV ha glorificato l'azione re-
dentrice del Prezioso Sangue e che hanno ispirato all'eminente maestro Eniile Male delle pagine fra
le più belle e pure dell’archeologia sacra (cfr. E. Male, Z/art religieux à la fin du Moyen-Age en
France, Colin, Parigi, 1922, p. 110 ss.). Il tema ordinario di queste «Fontane di Vita» si svolge così:
la croce su cui spira Gesù crocifisso si erge su una vasca nella quale gocciola il sangue delle cinque
piaghe e soprattutto di quella del cuore come fossero cinque sorgenti, in tale abbondanza che la
vasca ne è ricolma; e i peccatori vi giungono per lavarsi e a immergersi con efficacia. È «la Fontana
del Salvatore», «il bagno di vita», «la Fontana della purezza», per usare i termini degli inni liturgici
contemporanei che Emile Male cita.

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210 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Fig. 5. Acquasantiera campagnola di Loudun, secolo XVII o XVIII.

un naif tra i più infantili. Ebbene, la vaschetta in cui riposa l’acqua


sacramentale e benedetta ha la forma del Cuore di Gesù. È dunque
proprio in questo che le dita del cristiano vanno ad attingere l'acqua
salutare, esorcizzante e protettrice. Anche qui si sarebbe potuto scrivere
Haurietis aquas in gaudio de fontibus Salvatoris.

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Capitolo 22
Documenti spagnoli del XVII secolo

Sono felice di pubblicare alcune antiche rappresentazioni del Cuore di


Gesù che devoti amici di Regnabit hanno voluto mandare dalla Spagna
per i lettori.
Sono tutte all’incirca del secolo XVII; ciò che non vuole dire che
prima di quel periodo, nell'arte spagnola, il Cuore del Salvatore Gesù
non sia mai stato raffigurato.
Abbiamo già riprodotto l'immagine di un ferro o stampo per ostie del
secolo XIV, che l'importante Museo Episcopale di Vich attualmente
possiede; esso porta il Sacro Cuore posto sulla Croce del Calvario. E
questo bell’oggetto, di datazione incontestabile, resta uno dei più
preziosi documenti che abbiamo sulla devozione spagnola di quel
lontano periodo.
D’altro canto, il canonico don Juan Llado di Vich ha voluto segna-
larci, tramite il reverendo padre Antonio Capuano, o.m.i., il n. 98
contenuto nel catalogo dell'antica collezione Francesco Miguel y Badia.
È la rappresentazione in tessuto del secolo XV o dell'inizio del XVI, in
seta e filo nero e bianco, ornato «di una immagine del Cuore di Gesù
con le fiamme e la ferita della lancia, sopra alle lettere i H S».
Spero di poter riprodurre un giorno l'immagine di questo pezzo di
stoffa; nell'attesa, ho voluto registrarne l'esistenza all’inizio di queste
righe e contemporaneamente esprimere i dovuti ringraziamenti a don
Juan Llado e a padre Antonio Capuano.

Stendardo della Confraternita di Cartagena

È sempre alla cortesia di padre Antonio Capuano che devo l’imma-


gine del Cuore raffigurato sullo stendardo della Confraternita del Cristo
Nero di Cartagena.
La «Confraternita del Cristo Nero», detta anche «del Cristo del

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212 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

l'Aiuto», comprende trentatré membri soltanto, probabilmente in onore


dei trentatré anni che Gesù passò sulla terra.
Il suo emblema ufficiale è un Cuore incoronato da un intreccio di
spine, nel quale sono inclusi trentatré cuoricini che raffigurano i membri
di detta «fraternità».
Nel capitolo XIX delle Costituzioni del Cristo dell'Aiuto, approvate
nel 1697, sta scritto:
DEI BENI CHE DEVE POSSEDERE LA CONFRATERNITA
Una bandiera di colore violetto con un grande Cuore nel mezzo, sormontato da
una corona di spine. In questo Cuore, trentatré cuoricini, e attorno la seguente
iscrizione: Ubi enim thesaurus vesterest, ibi et cor vestrum erit.

Fig. 1. Cuore emblema della Confraternita dei Cristo Nero di Cartagena.

Questa divisa è tratta dal Vangelo di san Matteo 6, 21: «Perché là


dove il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore», che ho accostato in un
precedente studio a un piccolo reliquiario francese del secolo XV, at-
torno al quale sta scritto: «Laddove è 1 amore vostro, frequentemente va
il vostro pensiero». È proprio lo stesso concetto, con termini un po’
diversi.
Sullo stendardo del Cristo Nero il Cuore è cimato alla maniera del
diadema araldico dalla corona di spine, ciò che lo identifica come quello
del Salvatore. La collana dell'Ordine dei Cavalieri del Toson d’Oro, di
cui i re di Spagna sono Grandi Maestri, circonda il Cuore e

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DOCUMENTI SPAGNOLA DEL XVII SECOLO 213

10 racchiude, dando all'insieme un carattere e un senso nettamente


araldico. Esso richiama probabilmente l'affezione privilegiata di un
sovrano di Spagna alla Confraternita del Cristo Nero.
Attorno al Cuore, un cartiglio a nastro che ne segue nettamente i
contorni porta la succitata divisa della Confraternita. Da sottolineare la
forma contorta e appuntita del Cuore, caratteristica frequente nel-
l’iconografia al di là dei Pirenei, ma piuttosto rara altrove.

11 Sacro Cuore della chiesa di San Clemente a Siviglia

Anche Siviglia, città meravigliosa di leggendaria bellezza, possiede


un’antica rappresentazione del Sacro Cuore che i reverendissimi padri
Gonzales e Gea, s.j. ci hanno molto gentilmente fatto conoscere.
È possibile vedere questa rappresentazione nella chiesa di San Cle-
mente sopra un grande retablo il cui centro è occupato da un dipinto del
Volto Santo ed è tutta decorata da un ornamento complicato di
colonnine, nicchie, frontoni, arabeschi, intrecci, modanature e angioletti.
È in altorilievo, al centro di un medaglione che funge da co

ke *
Fig. 2.
rona e dal quale si dirama una gloria di raggi. La sommità del Cuore

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DOCUMENTI SPAGNOLA DEL XVII SECOLO 214

sostiene una croce alta che domina l’insieme e che a sua volta è cinta da
una grossa corona spinosa.
Non so se questo Cuore sia assolutamente contemporaneo all’altare
che lo porta, ma l’aspetto più anatomico rispetto a quello di Carta- gena
mi indurrebbe ad attribuirlo, soprattutto se fosse francese, soltanto alla
prima patte del secolo XVIII.

Stampo per ostie di Vich

All’inizio di queste righe, ho ricordato l’assai prezioso stampo per


ostie del secolo XIV che si trova in Catalogna, nella collezione del
Museo Episcopale di Vich.
Il Museo ne possiede anche un altro della fine del secolo XVII o del
XVIII, cui dobbiamo l’immagine alla cortesia di don Juan Llado, che,
senza avere l’importanza del primo, ha tuttavia per noi un certo inte-
resse.
Dal secolo XV, soprattutto in Francia e in Germania, gli artisti co-
minciarono a rappresentare l’immagine di Gesù Cristo sotto le sem-
bianze del suo Cuore. Solitamente, essi lo raffiguravano bambino e lo
circondavano degli strumenti della Passione o glieli mettevano in mano,
per far capire che dalla sua venuta al mondo fino al giorno della morte,
egli soffrì in anticipo in fondo al Cuore i dolori del supplizio redentore.
Nel corso del secolo XVI era di moda un altro soggetto dello stesso
genere, ma di un misticismo meno solido e di significato meno chiaro:
su un cuore dischiuso da una larga ferita vellicale, si riposa Gesù
adolescente o giovanetto. Il reverendo padre Hi lai re de Barenton,
dell’Ordine di san Francesco, nell’opera sul Sacro Cuore 97 fornisce una
riproduzione di queste incisioni fra le più notevoli del secolo XVII; e sul
frontespizio di una bella edizione, la seconda credo, del Traicté de
l’amour de Dieu de Francois de Sales evesque de Genere - stampato a
Lione da Rigaud nel 1617, vivente l'autore -, vedo che il santo fondatore
delle visitandine amava molto questo soggetto: vi appare infatti
quell’immagine. In entrambe il Salvatore è seduto sulla ferita del suo
stesso cuore; i piedi sono incrociali, la testa riposa sulla mano sinistra
mentre la destra trattiene sulle ginocchia il globo terrestre. Gesù sembra
meditare o dormire. Un nimbo quadrilobato gli circonda la testa; il busto
è raggiante, mentre il cuore è circondato di fiamme ardenti: doppio
simbolo di gloria e d'amore.
Nel cuore che funge da trono al Salvatore, padre de Barenton vede il
Cuore Sacro. Penso che egli abbia ragione, a causa della ferita diffi-
cilmente attribuibile a un altro cuore, sebbene la sua verticalità, che
97 Hilaire de Barenton, Li Dévotion au Sacré-Coeur, Librairie Saint-Fran^ois, Parigi, p. 247.

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DOCUMENTI SPAGNOLA DEL XVII SECOLO 215

divide il cuore a metà, sia in disaccordo con la tradizione, la quale al-


trove l’ha raffigurata sempre orizzontale o obliqua.
Inoltre, sottolineo che le fiamme che circondano il Cuore potrebbero
convenire altrettanto bene a simboleggiare l’ardente amore di un cuore
fedele, da non contraddistinguere a sufficienza quello di Gesù.
L’incisore che eseguì lo stampo di Vich, che qui riportiamo, fu me-
glio ispirato: egli volle che su un’ostia da sacerdote, dove la rappre-
sentazione di un cuore profano sarebbe stata inammissibile, nessun
dubbio fosse possibile riguardo alla natura del cuore rappresentato e a
tale scopo lo circondò non di fiamme, simbolo d’amore, di ardore, ma di
raggi, simbolo della gloria divina. Così, la precisazione diveniva
perfetta e il cerchio di cherubini che fa da corona intorno poteva adorare,
allo stesso titolo, sia il Cuore sia la persona intera del Salvatore del
mondo, mentre le immagini di entrambi, sotto forma di specie
eucaristiche, scendevano nel petto del comunicante.

Fig. 3. Stampo per ostie, secolo XVII o XVIII. Museo Episcopale di Vich.
L’incisione qui presente è la riproduzione di un rilievo a frottage, le
linee bianche indicano quelle cave dello stampo, le quali apparivano in
rilievo sull’ostia.

Placche metalliche del Museo dello Hiéron

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DOCUMENTI SPAGNOLA DEL XVII SECOLO 216

De Noaillat, direttore del Museo dello Hiéron a Paray-le-Monial, ha


avuto la gentilezza di comunicare al devoto direttore di Regnabit, padre
Anizan, i disegni delle due placche metalliche che, in assenza di
indicazioni sulla provenienza, e facendo fede solo su quelli, credo di
potere ricollegare all’arte spagnola del secolo XVII.
Le due placche sono state ottenute mediante un processo comune fin
dal Medio Evo a tutti i «piombi da pellegrinaggio» e alle «insegne delle
confraternite»: veniva versato del metallo in fusione in uno stampo di
pietra in cui si solidificava, assumendo in rilievo la forma di tutte le parti
cave dello stampo.

Fig. 4. Placca metallica del Museo dello Hiéron a Paray-le-Monial (Saóne-et-Loire).

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DOCUMENTI SPAGNOLI DEL XVII SECOLO 217

Fig. 5. Altra placca dello Hiéron a Parav-le-Monial.

Il primo di questi oggetti ci dà una immagine della Santissima Trinità,


rappresentata nel bel mezzo di un gruppo di nuvole popolate da
angioletti. Il Padre, caratterizzato dal simbolico nimbo triangolare,
presiede alla sommità della composizione; il Figlio è raffigurato dal
monogramma i H s, Jhesus, e dal cuore - il suo, che troviamo affisso al
Nome e di cui fa parte - dal quale discende una gloria che fa da aureola
alla colomba, emblema usuale dello Spirito Santo.
In basso alla placca pende un altro cuoricino collegato al tutto da tre
anelli.
Mi sembra che qui i due cuori siano perfettamente determinati: il
primo, quello di Gesù, fa tutt’uno con il Nome divino: occupa il punto
centrale del motivo trinitario e da esso si diparte una gloria. Il secondo
può essere solo l’immagine del cuore di un fedele, quello del portatore
della placca, attaccato con fede ferma al grande dogma cristiano della
Trinità.
La seconda delle placche dello Hiéron porta semplicemente il mo-
nogramma abbreviativo del Nome sacro, con sotto un cuore infiammato.
Questo cuore manca di sufficienti precisazioni; per accostamento con
l’altra, si è portati a vedere in esso quello di Gesù, ma il fatto che la
parte superiore delle fiamme si collega al monogramma non significa

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218 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

nulla, dato che era necessario per far circolare il metallo liquido nello
stampo: le bande che collegano i bracci della croce ai montanti della
lettera H, non hanno altra ragione d'essere. E il rilievo che cinge il cuore
è una corona di spine o un vaso sanguigno?... Ciò che è sicuro è che il
posto che occupa sotto al monogramma ne fa piuttosto un cuore da
fedele. È il momento di ricordare una regola che vale nel novanta per
cento dei casi:
a) Quando un cuore, infuocato o meno, è posto sopra al monogramma
i H s o ad un motivo artistico di ordine sacro quali ostia, calice, croce o
trofeo degli strumenti della Passione, ecc., o quando fa tuttìmo con, è
una immagine quasi sempre cella del Cuore di Gesù.
b) Quando un cuore è posto sotto a tali motivi artistici, si dice allora
che «è in adorazione o in ossequio», ed è quasi sempre l’immagine del
cuore cristiano che esprime amore, ardore, fedeltà.

Il Cuore Sacro sulla croce di Caravaca

Non raffiguro qui l’immagine di certe croci spagnole - perché avrò


probabilmente modo di riparlarne -, bensì le insegne del grande e se-
colare pellegrinaggio di Caravaca che, nel secolo XVII, talvolta erano
ornate al centro dall’immagine del Sacro Cuore.
Siccome dal secolo XIV la forma generale di queste croci con due
bracci orizzontali e con le estremità allargate, è rimasta invariata, una di
esse una trentina di anni fa fu citata come uno dei documenti europei più
antichi relativi al culto del Cuore di Gesù.
Non è così.
Questa croce, in mezzo alla quale si vede il Cuore Divino, riporta
anche delle iscrizioni in lettere capitali romane, quando nel secolo XIV
la minuscola gotica era l’unica scrittura in uso. Ma ce dell’altro: la croce
è ornata anche sul retro, con una riproduzione della Medaglia di San
Benedetto; ora, storicamente sappiamo che questa medaglia è stata
eseguita e diffusa solo in seguito a un altisonante processo per
stregoneria del 1647 a Nattemberg, in Baviera, e che riproduce una
scultura dell’Abbazia benedettina di Metten che, prima di quel periodo,
non suscitava particolare interesse nemmeno nelle immediate vicinanze.
Perciò, siamo obbligati a depennare dall’iconografia del Cuore di
Gesù un documento die sarebbe stato per noi di estrema importanza, se
fosse stato veramente attribuibile archeologicamente al secolo XIV. Mi
rincresce che non sia così, ma non ci sono rincrescimenti che tengano
davanti alla verità.

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Capitolo 23
Un libro corale dei Penitenti Bianchi di Marsiglia

Una giovane e abile artista, la signorina Rossollin di Marsiglia, e sua


madre, attive e devote amiche di Regnabit, hanno avuto la cortesia di
spedimi, con ampi cenni storici che ho il dispiacere di non potere
riprodurre per intero qui, degli acquerelli assai belli che riproducono le
miniature di un grande libro corale dei Penitenti Bianchi di Marsiglia.
Questa confraternita, detta anche dei Penitenti della Trinité-Vieille,
secondo alcuni fu fondata nel 1306, secondo altri storici locali nel 1514,
per aiutare i monaci Trinitari nell'opera così bella di riscattare gli schiavi
cristiani fatti prigionieri dai pirati sulle coste africane.
Disgregati dalla Rivoluzione, i Penitenti Bianchi della Trinité- Vieille
si ricostituirono nel 1817 e, assieme ad alcuni privilegi ecclesiastici,
poterono recuperare il loro abito, i costumi così particolari della
confraternita, nonché i numerosi oggetti che erano appartenuti ai
confratelli dei secoli precedenti.
A tutt oggi possiedono un antico grande libro corale che come prima
cosa contiene un Ufficio per la festa del Sacro Cuore di Gesù, seguito
dalle feste del re san Luigi di Francia, di san Giovanni evangelista e di
altri.
Questo libro corale, non datato, sembra attribuibile all’epoca in cui
monsignor De Belzunce, vescovo di Marsiglia dal 1710 al 1755, e m. de
Anne de Rémuzat propagavano ardentemente in quella città il culto del
Sacro Cuore; e, se è a loro anteriore, può esserlo soltanto di molto poco,
in ogni caso non oltre le iniziative di m. de Capei - superiora della
Visitazione di Marsiglia, 1691-1696’ - che nel regno di Luigi XTV
furono le prime manifestazioni del culto al Cuore Sacro nella grande
città focese.
Il libro si apre con un OFFICIUM s. S. CORDIS DNI NTRI JESU CHRISTI, e
sot-

1
Cfr. don Buron, «La Vénérable Rémuzat», Regnabit, ottobre 1922.

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220 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

to questo titolo si erge un grande Cuore rosso sormontato da una croce


dello stesso colore, ai piedi della quale i tre chiodi della crocifissione
sono appuntati nel Cuore la cui parte centrale è aperta da una larga ferita
d oro attraversata da una freccia azzurra.
Tutto è simbolico in questi colori, il Cuore è rosso perché è fisica-
mente di carne e fonte di sangue prezioso; la prosa dell’antica messa In
capite libri del Rito Parigino non ci dice forse che «è in Esso che si
elabora e si tinge la porpora di cui i santi sono rivestiti»? La ferita è
d’oro perché è il ricettacolo divino del tesoro di grazie, e la freccia è
azzurra perché viene dal cielo.

LCL
Fig. 1. Riduzione a un terzo della grandezza reale.

Nel suo eccellente articolo «A Paray, devant une vieille pietre» 98, pa-
dre Anizan ci ha indicato il significato da dare a questo dardo lanciato
dall’alto sul Cuore del Salvatore e che una incisione su legno del secolo
XV ci mostra nella mano del Padreterno mentre ferisce il Cuore del Fi-
glio99: esso permette la nostra redenzione mediante le sofferenze mortali
della Passione, riassunta nella ferita che la freccia fa al Cuore.
Sul libro dei Penitenti marsigliesi, la lettera ornata che comincia la
notazione musicale dell’inno dei Vespri, CorJesu melle dulciti’, una C
in

98 Cfr. padre Anizan, «A Paray, devant une vieille pierre», Regnabit, dicembre 1921.
99J Cfr. ibid.

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UN LIBRO CORALE DEI PENITENTI BIANCHI DI MARSIGLIA 221

Fig. 2. Grandezza reale.

forma di luna crescente racchiude un’altra immagine del Cuore di Gesù


quasi simile a quella del titolo dell’ufficio, ma coronata da un fascio di
fiamme. Come il primo, esso ostenta la forma contorta e appuntita che
fu in uso dal secolo XVI fino a quello attuale, nelle regioni meridionali:
Italia del Nord, Provenza, Languedoc orientale, Roussillon, Spagna; ab-
biamo già sottolineato questa forma singolare sullo stendardo della
Confraternita del Cristo Nero di Cartagena (Spagna)100.

Fig. 3. Grandezza reale.

È probabilmente ancora il Cuore di Gesù che la miniatura del libro


marsigliese ha voluto raffigurare sull’intestazione delle Laudi di quel-
l’ufficio; l’oro che Io ricopre corrisponde proprio a una intenzione di
glorificazione, ma bisogna tuttavia ammettere che manca assoluta-

100 Cfr. il capitolo «Documenti spagnoli del XVII secolo» [nel presente volume].

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222 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

mente di carattere specifico e che, collocato in un luogo diverso da un


Ufficio del Sacro Cuore, si potrebbe vedere in esso soltanto un qualsiasi
cuore ardente e niente più.
L'ufficio si conclude con grazioso cartiglio di colore rosa mattone che
al centro ha il monogramma del Nome Divino, Jesu, i H S, sotto al quale
brucia un cuore adorante che altro non può essere se non l’immagine di
quello del fedele, nella fattispecie il cuore emblematico della
confraternita della Trinité-Vieille; il monogramma, il cuore e la bordura
del cartiglio sono rosso cupo. Ai lati, sono inginocchiati due Penitenti
Bianchi.
Tutti gli emblemi del Cuore di Gesù sul libro dell’antica confraternita
marsigliese, così carichi di gusto regionale, mi sembrano completare
mirabilmente l'illustrazione degli eccellenti studi che don Bu- ron ci ha
donato sul culto del Sacro Cuore a Marsiglia all'inizio del secolo XVIII,
ed è a buon diritto che rispettosamente ringraziamo la signora e
signorina Rossollin di averceli fatti conoscere.

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Capitolo 24
I Cuori votivi dei calvari e delle croci di missione

Avrei potuto iniziare queste righe con il titolo «Utilizzo irragione-


vole dell’immagine del Cuore di Gesù». Sebbene Dio sia, secondo
l’espressione del buon messer de Joinville, «cosa sì buona che di mi-
gliore non v’è», non bisogna tuttavia utilizzare in modo assurdo le sue
immagini e i suoi emblemi, ponendoli ovunque senza riflettere.
Ciononostante, spesso questo è avvenuto, da tre quarti di secolo in
qua, in merito ai calvari o ai semplici crocifissi eretti frequentemente
agli incroci delle grandi strade, sulle piazze delle città, talvolta all'in-
terno delle chiese, sulle quali una pietà più sincera che illuminata dis-
semina il fusto e i bracci di piccoli Sacri Cuori in metallo dorato.
Per dare una collocazione all'origine di questa usanza, portiamoci alla
fine del secolo XVII e durante il XVIII.
Quest’epoca, che per l’alta società delle grandi città fu un’epoca di
corruzione morale e soprattutto di perversione intellettuale, per gli
ambienti rurali e per le piccole città di quasi tutta la Francia fu invece un
periodo di vita religiosa attivo, grazie alle missioni, agli Avventi, alle
Quaresime predicate ovunque dai religiosi dei grandi Ordini e dalle
ardenti compagnie di missionari diocesani o regionali.
A fianco dei «sacri oratori», che miravano allo stile accademico e
predicavano «alla greca», si misero in mostra Bridaine, che a lui solo
furono affidate duecentoquarantasei missioni, e predicava da dottore;
poi, in Bretagna, il reverendo padre Maunoir; in Poitou, Sainton- ge, nel
nantese e in Anjou, il beato Luigi Grignion da Montfort e la sua
compagnia di missionari; in Franche-Comté il venerabile e terribile
Antoine Receveur, che predicava da apostolo; poi i gesuiti, come i padri
Gros e Caussade; i cappuccini, come padre Ambroise de Lom- bez, che
predicavano da mistici, e molti altri.
Quasi tutte queste predicazioni, che si facevano in tutto il regno, si
concludevano con l’erezione di un calvario per ricordo; e, in questo
periodo, si stabilizzò un’usanza toccante.

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224 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Si facevano fondere dei piccoli cuori di stagno o di piombo, oppure si


lavoravano in latta o in legno; spesso, sul retro portavano una formula di
devozione. I capi delle famiglie devote li acquistavano inscrivendovi il
loro nome; questi cuori venivano in seguito inchiodati alla croce attorno
al Redentore crocifisso.
Vedremo che a volte, in alcune province molto cristiane, l’apposi-
zione di questi cuori corrispondeva anche ad avvenimenti familiari e di
conseguenza veniva fatta da singoli elementi.
La Rivoluzione, falcidiando calvari di strade e di piazze pubbliche, ha
fatto sparire quasi tutti i cuori da calvario che risalivano agli anni
precedenti e oggigiorno si possono trovare soltanto eccezionalmente.

Fig. 1. Saint-Aubin-Baubigné (Deux-Sèvres), del curato Gabard,


grandezza dimezzata.

Don Gabard, curato di Saint-Aubin-Baubigné (Deux-Sèvres), ne


aveva rinvenuto uno nei possedimenti del castello De la Durbelière, in
cui visse l’eroico e giovane capo degli insorti vandeani, Henri de la
Rochejacquelein. Ne riproduco qui l’immagine a grandezza dimezzata;
essa porta soltanto un fascio di fiamme sulla sommità e, sulla superficie
concava all’interno, l’iscrizione qui sotto rappresentata e che si deve
leggere: A (Jésus) MON (coeur) ET MA VIE.
Sembra una fedele eco della preghiera così popolare nelle famiglie
cristiane del Poitou ai tempi dei nostri nonni:
Coeur de Jésus, Coeur de Marie
Je vous donne mon Coeur, mon esprit et ma vie;
Coeur de Jésus, Coeur de Marie

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I CUORI VOTIVI DEI CALVARI E DELLE CROCI DI
MISSIONE 225
Assistez-moi durant ma agonie
Cceur de Jésus, Coeur de Marie Faites que je meurre en votre compagnie

Fig. 2. Saint-Aubin-Baubigné (Deux-Sèvres). Iscrizione interna di un cuore votivo,


grandezza reale.

Dopo la Rivoluzione, soprattutto durante i primi anni della Restau-


razione monarchica, le missioni ripresero in quasi tutta la Francia e le
grandi croci furono nuovamente erette ai crocicchi delle strade, sulle
piazze pubbliche e addossate ai muri delle chiese; così avvenne, per
esempio, nel 1817 a Bordeaux, nel 1819 o nel 1821 nella chiesa di Saint-
Jean d’Angely e, intorno allo stesso periodo, nell’antica Cattedrale di
Grasse, in Provenza.
La croce di Bordeaux è assai bella: la lancia e la spugna sono poste ai
lati di Cristo; le estremità delle loro aste si incrociano sotto i piedi del
Salvatore e la loro sommità oltrepassa le sue mani. Dietro alla testa un
grande cuore, posto all’incrocio dei bracci della croce, porta il fascio di
fiamme e la corona di spine; è proprio l’immagine del suo. Ma il fusto
della croce è tutto adorno di cuori molto più piccoli che hanno soltanto il
fascio di fiamme e sono dei semplici cuori umani votivi, emblemi di
quelli dei donatori: l’iscrizione del basamento, del resto, lo attesta; essa
riporta: «Missione del 1817. - Questa croce ornata di cuori dorati, su cui
sono inscritti i cuori dei fedeli, fu benedetta solennemente da monsignor
d’Aviau sulla piazza di Rohan [...]» e il seguito del testo indica che dal
1830 è custodita nella Cattedrale.
La croce della chiesa di Grass è costellata allo stesso modo da picco-

1
[«Cuor di Gesù, Cuor di Maria vi dono il cuore e l'anima mia, / Cuor di Gesù, Cuor di Maria
assistetemi nell’ultima mia agonia, / Cuor di Gesù, Cuor di Maria fate che io muoia in vostra
compagnia», N.d.T.]-
li cuori e le due estremità ne portano quattro grandi, le cui dimensioni
più considerevoli rispondono soltanto a una preoccupazione di ordine
decorativo; tutti quanti sono solo delle immagini del cuore fedele.
I cuori che decorano la croce di Saint-Jean d’Angely sono di latta

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226 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

dorata; quelli che decorano i lati della croce sono un terzo più piccoli di
quelli davanti.
Per la cortese intermediazione di don Dougny, l’arciprete di Saint-
Jean ha avuto la gentilezza di comunicarmi tre dei piccoli quadrati di
carta che riportano all'interno i nomi dei donatori. Su uno di essi, si
legge: Aglaè de [...]; sull’altro, Le Bar [...] Louis d’ [...] ale; il terzo è
completamente illeggibile. È chiaro che sono i nomi dei donatori e i
cuori che li contengono possono essere soltanto gli emblemi dei loro
cuori. Tutti sono sormontati dalla croce.

Fig. 3. Poitiers, stampo (chiuso) per la fusione dei cuori. Collez. Fr. Eygun, due terzi
della grandezza reale.

Intorno allo stesso periodo, per le croci esposte alle intemperie si


riprende l’uso dei cuori di piombo e stagno che non si ossidano e di cui
si dora quasi sempre la parte esterna. La collezione del Poitou del mio
eccellente amico Fr. Eygun, dell’École de Chartres, contiene uno stampo
che è servito alla fabbricazione di questi cuori.
Esso è composto da due placche combacianti, fra le quali, nello spazio
vuoto a forma di cuore, il metallo di fusione penetrava e si solidificava.
Le riproduco qui, ridotte a due terzi della loro vera grandezza; queste

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I CUORI VOTIVI DEI CALVARI E DELLE CROCI DI
MISSIONE 227
due parti sono giustapposte, vale a dire che lo stampo si chiude; le punte
laterali che esso porta si conficcavano nei manici di legno che
permettevano all’operatore di mantenere le due placche in contatto,
mentre un altro operatore versava nell’orifizio superiore il metallo fuso.

Fig. 4. Poitiers, uno dei cuori prodotti dallo stampo della collezione Eygun, lato interno,
grandezza reale.

L’incisione qui sopra rappresenta a grandezza naturale uno dei cuori


così ottenuti, visto dal lato interno e concavo. Vi si legge l’iscrizione
j'OFFRE MON (cceur) A J. C.
Questo cuore porta al tempo stesso il fascio di fiamme del cuore più
antico di Saint-Aubin-Baubigné, e la croce dei cuori di Saint-Jean
d’Angely.

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228 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Fig. 5. Jallais (Maine-et-Loire), grandezza dimezzata. Collezione dell’autore.

Ho ricevuto dal dottor Fiévé di Jallais (Maine-et-Loire) un cuore di


stagno proveniente da un vecchio calvario di questa località e che, di
poco posteriore allo stampo di Eygun, mi sembra attribuibile al periodo
1830-1840. Esso si avvicina più dei precedenti al tipo «Sacro Cuore»
attuale, perché è cinto da una corona di spine; tuttavia, è soltanto un
cuore umano votivo e al suo interno in rilievo si legge la solita formula
J’OFFRE MON (coeur) A JÉSUS CHRIST.

Il dottor Fiévé, che è un colto folclorista dell’Anjou, assieme a questo


cuore mi ha dato gentilmente i seguenti ragguagli, preziose testi-
monianze dello spirito di fede che animava e santificava la vita familiare
di un tempo e che ancora sopravvive in gran parte del suo paese:
Un tempo, le nostre vecchie croci, i nostri vecchi calvari di legno erano per la
maggior parte coperti da questi cuori di stagno, di piombo o di altri metalli; ne ho
visto alcuni che ne avevano una cinquantina. Nelle nostre contrade, quando un
bambino veniva al mondo, era usanza fissare alla croce

del più vicino incrocio un cuore, all’interno del quale si scriveva spesso il nome del
neonato101.

101 Lettera del 27 settembre 1921.

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I CUORI VOTIVI DEI CALVARI E DELLE CROCI DI
MISSIONE 229
In altre zone dei nostri paesi dell’Ovest, il giorno del loro matrimonio
i novelli sposi fissavano il cuore votivo al legno della croce che stava
all’incrocio attraversato dal corteo nuziale di ritorno dalla chiesa. Ai
suoi piedi si deponeva anche, ahimè!, una piccola croce di legno, quando
un corteo funebre passava per portare all’altare il mantello di carne
abbandonato dall’anima chiamata da Dio.

.JoFRE MON
ACJESUS CWR.IST.
Fig. 6. Jallais (Maine-et-Loire), iscrizione interna di un cuore votivo, grandezza
reale.

È molto chiaro, lo ripetiamo, che i cuori presentati a Gesù crocifisso


per la nascita, il matrimonio, oppure offerti come azione di grazie di una
missione, tutti testimonianze materiali d’amore, fedeltà o riconoscenza,
possono essere soltanto i simboli dei cuori di coloro che «li offrivano a
Gesù Cristo».
Ora, vedremo che i fabbricanti che fondevano questi cuori li hanno
progressivamente avvicinati sempre più alla tipologia del «Sacro Cuore
di Gesù»; a quello di Jallais manca soltanto il caratteristico colpo di
lancia, per essere veramente l’effigie del Cuore Divino.
Dai primi anni del Secondo Impero, questo passaggio sarà allegra-
mente superato per l’incomprensione dei fabbricanti - come dimostra
l'immagine qui sopra - e la devozione dell’epoca, ignorante e ingenua
quanto sincera, accoglierà questi oggetti senza esitazione, per destinarli
allo stesso uso votivo dei cuori umani tradizionali.
Ne deriva che, per affermare fede, pietà, fedeltà e cordiale ricono-
scenza, il cristiano che inchioda al fusto della croce l’immagine del
Cuore di Gesù agisce secondo un’intenzione perfetta mediante un gesto
inopportuno e privo di significato: esso offre a Gesù Cristo il Cuore di
Gesù Cristo.
So bene che una mistica complessa, quintessenziale, può giustificare
il dono fatto al Salvatore del suo stesso Cuore, in quanto meravi-

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230 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Fig. 7. Loudun (Vienne), grandezza dimezzata. Collezione dell’autore.

glioso e unico dono che gli si possa fare; ma vi è in ciò la sottigliezza di


una concezione assolutamente inaccessibile alla massa cattolica, e
l’utilizzo del tradizionale cuore umano con le parole A JÉSUS MON
CCEUR ET MA VIE oppure J'OFFRE MON CCEUR À JÉSUS-CHRIST
rispondeva perfettamente all’uso al quale era stato destinato, che da solo
aveva fatto nascere la pietà popolare più semplice e retta.
Non dimentichiamo infatti che, dal secolo XVII al XVIII, non furono
oratori «alla maniera greca» che misero in voga l’ingenuo e toccante uso
dei piccoli cuori votivi, ma missionari, che all’epoca facevano pregare la
brava nobiltà della terra e il popolo dei campi.
In materia di pie pratiche bisogna innanzi tutto risalire alle origini
delle usanze locali; e il clero, che ha il compito di spiegarle e mantenerle
nel significato integro della loro istituzione, non le conoscerà mai
abbastanza.
Su tutto il territorio di Francia, abbiamo usanze tradizionali e ripe-
tiamo gesti ancestrali e secolari - che praticano anche molti indifferenti -
degni di ammirabile e meraviglioso senso cristiano. Vi è in questa
eredità una riserva di nutrimento per le anime cento volte più vivificante
di tutte quelle piccole devozioncine di recente invenzione, che spesso
sono solo delle banalità.
Anche fra le pratiche che oggigiorno rientrano nel campo della su-
perstizione, molte hanno un’origine molto nobile le cui deviazioni, le cui
alterazioni sono dovute soltanto all’oblio del pensiero che le ha

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I CUORI VOTIVI DEI CALVARI E DELLE CROCI DI
MISSIONE 227
generate. Partendo dal rimpianto di questo oblio e per tornare agli
oggetti di cui abbiamo parlato, oso dire: che si moltiplichi ovunque
l’immagine del Cuore di Gesù Cristo, crogiolo divino in cui è avvenuta
la nostra redenzione, è perfetto; ma che si lascino ai cuori votivi dei
nostri grandi crocifissi il loro carattere umano. Alla fiamma che
simbolizza le loro ardenti palpitazioni si aggiunga pure, se si vuole, la
croce mediante la quale essi sono stati riscattati, ma che non si sosti-
tuisca ad essi l’immagine adottata e consacrata per rappresentare quello
del Signore. L'idea che li ha creati è abbastanza nobile perché si riservi
loro di interpretarla in tutto il suo pieno significato, e il nostro povero
cuore umano, malgrado quello che, ahimè!, facciamo talvolta, è cosa per
lo meno abbastanza preziosa per essere offerta a Dio, perché esso è,
dopo il Suo, il più meraviglioso tra i frutti di carne ai quali la sua bontà
fece il dono della Vita.

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Capitolo 25
L’immagine del Sacro Cuore e le armi araldiche
dei sovrani

Da quando un uomo ebbe l’audace e provvidenziale idea di riassume-


re tutta la persona del Figlio di Dio fatto uomo nella sola rappresenta-
zione del suo Cuore, è successo molte volte che, per fare onore a questa
divina immagine, alcuni sovrani l’abbiano presa come emblema e l’ab-
biano associata alle insegne della loro dignità suprema rivestendola, tal-
volta, con determinati oggetti, segni distintivi della regalità, oppure
l’hanno messa in contatto con il blasone dei loro principi, sia per porre
questi sotto la sua protezione, sia per unire in un comune e grande
omaggio il Cuore del Signore dei Re e il loro sovrano di quaggiù.
Di queste forme di glorificazione - la glorificazione più alta sulla terra
dopo l’atto di adorazione - ci sono rimaste poche rare testimonianze; e
nel momento in cui da diverse parti Roma viene sollecitata a istituire la
festa speciale del Regno sociale di Gesù Cristo, mi è parso opportuno
raggruppare quelle che ho potuto reperire, e di studiare quelle che altri
hanno già segnalato.

Le armi araldiche regali del Portogallo

Uno dei più antichi autori, che al di qua dei Pirenei si sono occupati
del significato del blasone regale portoghese, Antonio Ginther, curato di
Saint-Croix a Biberac (Wurttemberg), stranamente si sbaglia
sull’argomento.
Questo blasone, nel linguaggio araldico regolare si legge così: D'ar-
gento ai cinque scudi d azzurro posti in croce, caricati ciascuno da cin-
que bisunti d'argento in decusse; alla bordura di rosso caricata da sette
castelli castigliani d argento, ammattonati di nero ’.

' Cfr. M.L., Nouvelle Méthode raisonnée du blason ou de l’Art Héraldique dii P. Méne- strier,
Bruysset-Ponthus, Lione, 1770, p. 394; aggiungiamo che dall’inizio del secolo XVII, i castelli di
Castiglia del blasone regale portoghese si semplificarono in sette toni distinte; i

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L’IMMAGINE DEL SACRO CUORE 233

Ecco ciò che scrive Ginther:


Alfonso I, re del Portogallo, per ordine di Gesù Cristo che gli apparve durante la
notte, fece dipingere e scolpire le cinque sacre piaghe del Redentore, non soltanto
sulle bandiere e gli stendardi del suo esercito, ma anche sul suo blasone, ed egli vi
mise al centro il SS. Cuore di Gesù trafitto dalla lancia; l’indomani, nel
combattimento contro i Mori, elevando tale scudo, egli vide i suoi nemici
terrorizzati, dispersi e distrutti in maniera mirabile. È dal quel giorno che i re del
Portogallo portano questo scudo sacro in guisa di blasone2.

Ginther evoca il combattimento di Ourique in cui il conte Alfonso


Henriquez, nel 1139, sfidò cinque re mori, e fu proclamato re del Por-
togallo sul campo di battaglia. Al mattino, infatti, egli aveva raccontato
alle sue truppe che la notte precedente Gesù Cristo gli aveva promesso la
vittoria dicendogli di prendere come insegna l’immagine delle sue
Cinque Piaghe; ecco come mai egli le mise sullo scudo regale che
divenne perciò una sorta di ex voto solenne: su ciascuno dei cinque scudi
d’azzurro dei re vinti che egli collocò in modo da formare una croce, a
monumento della sua quintupla vittoria, egli mise il

Fig. 1. Blasone dei re del Portogallo.

documenti più antichi riportano dei castelli con un numero maggiore; così, le armi araldiche
portoghesi sul quarto marchio dello stampatore parigino Gilles Hardouin (1491-1521) riportano
dodici torrioni. Nello stesso periodo, i castelli di Castiglia sulle armi araldiche del conte del Poitou
hanno subito una simile semplificazione.
2
Antonio Ginther, Speculimi amoris et doloris in sacratessimo ac divinissimo Corde Je- su,
J.J. Lotteri, Augsbourg, 1731, p. 68.

segno, già plurisecolare, delle Cinque Piaghe, vale a dire i cinque tondi
d’argento in decusse, che altro non sono se non la stilizzazione delle
cinque ferite3. Ma Ginther va oltre la verità, quando aggiunge che il
nuovo re mise anche l’immagine del Cuore di Gesù.
So bene che la spiritualità, la mistica, la letteratura pia possono dire,
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234 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO
spesso a ragione, che la piaga del costato di Gesù è comunque il suo
Cuore. L’iconografia non ammette questo genere di interpretazione,
nemmeno l’araldica; per esse la piaga del costato è la rappresentazione
naturale o stilizzata della ferita superficiale del corpo del Salvatore e
nulla più; non è la piaga del Cuore e quindi non è il Cuore; essa è
soltanto il passaggio esterno della vita di grazia aperto dal l'arma del
soldato e può evocare il Cuore, ma non lo rappresenta. Il re Alfonso non
mise il Cuore di Gesù sul suo blasone, come a torto hanno ripetuto molti
autori francesi, da Ginther in poi.

Fig. 2. L'emblema particolare del re don Ferdinando del Portogallo.

Certamente, la nozione di culto del Cuore Sacro poteva veramente


non essere estranea alla pietà del vincitore di Ourique: francese di
origine da parte di nonno, il duca Enrico di Borgogna, pronipote del re
Roberto di Francia, era in corrispondenza con il primo dei grandi
apostoli del culto del Cuore di Gesù, l’altro illustre borgognone, san 102
Bernardo; e questi, quando l’altro fondò FAbbazia di Alcoba^a, mandò
dei monaci di Citeaux per popolarla. Ma anche sapessimo che con
costoro il re pregò espressamente il Cuore del Salvatore, questo non
cambierebbe nulla della rettificazione araldica che ho appena fatto al
testo di Ginther.

L’emblema del re Ferdinando del Portogallo

Nella succitata opera, Ginther parla anche di un emblema araldico


adottato dal re del Portogallo don Ferdinando, che regnò dal 1367 al
1383. Egli dice:

102 E non dei bisanti (tipo di moneta orientale), come dicono i trattati sul blasone da tre
secoli in avanti.
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L’IMMAGINE DEL SACRO CUORE 235

Anticamente Ferdinando, re del Portogallo, prese come simbolo di famiglia 103 104
due cuori, il Sacratissimo Cuore di Gesù, ferito e crudelmente trapassato dal ferro
della lancia e, vicino a questo divino Cuore, a sinistra, il suo cuore senza ferita con
le seguenti parole: Curnon utrumque, Perché non entrambi...

«Cur non utrumque». Ciò che gli iconografi e i mistici hanno tradotto:
perché non saranno feriti entrambi.
Riproduco qui l’immagine in questione del libro di Ginther, da un
calco di don Buron. Devo sottolineare che vi è disaccordo fra il testo
dell’autore e l'incisione che lo accompagna: l'emblema regale, composto
nel secolo XIV, è trattato in uno stile decisamente secolo XVIII e non vi
vedo affatto una lancia, ma una spada; e il secondo cuore è vulnerato
come l'altro. Il primo si mostra glorificato da una corona di rose, fiori
della Passione, il secondo porta delle spighe mature; è il caso di
ricordare che il frumento, talvolta, ha simboleggiato la Terra, della quale
è il frutto più prezioso.
I simbolisti e gli autori portoghesi riconoscono nel primo di questi due
cuori quello del Salvatore e nell’altro quello del re Ferdinando e,
malgrado il carattere enigmatico dell’emblema in questione, non vedo
proprio quale ragione precipua potrebbe imporci il rifiuto della loro
opinione. Gli uni riconoscono, nella giustapposizione del cuore regale,
del Cuore Divino e nella divisa, l’espressione del desiderio che ebbe il re
di partecipare misticamente alla ferita del Cuore di Gesù; gli altri, al
contrario, vi vedono il simbolo del Cuore di Gesù «che penetra il cuore
del sovrano portoghese, fino dentro ai suoi pensieri e nelle sue pieghe
più recondite»5.
Sappiamo che il Cuore di Gesù fu rappresentato nella penisola iberica
prima del regno di Ferdinando che morì il 22 ottobre 1383, e lo stampo
per ostie gotico con reminiscenze di arte romanica del Museo Episcopale
di Vich, dove ci appare solo sulla Croce del Calvario, ne è una
incontestabile testimonianza6.

Il blasone mistico della beata Jeanne de Valois

Un secolo dopo che re Ferdinando ebbe lasciato questo mondo, fu la


più nobile figlia della terra di Francia che a sua volta prese l'immagine
materiale del Cuore di Gesù e lo accomunò in autentica unione con le
sue armi araldiche di famiglia.
Jeanne de France, della branca dei Valois, figlia del re Luigi XI e
sorella di re Carlo Vili, fu data in sposa al cugino duca di Orléans che
nel 1498 divenne a sua volta re di Francia, alla morte di Carlo Vili. Il
principe fece quindi dichiarare nullo il matrimonio dalla Sacra Rota dì
Roma, sia a causa della stretta parentela, sia perché lo aveva contratto in
103 Secondo la testimonianza di Typotius,
L. I.
104 Cfr. Antonio Caetano de Souza, Hist. genealogica de casa Rea! Portugueza, J. a. de Sil-
va, Lisbona 1735,1.1, p. 429.
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236 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO
costrizione, sotto la temibile pressione di re Luigi XI. Jeanne de France
ricevette allora il ducato di Berry e prese il nome di Jeanne de Valois.
Con il cuore infranto, perché ella amava il marito e mai si consolò
della sua disgrazia, Jeanne si ritirò nella città di Bourges, dove nel 1501
fondò l'Ordine delle Annunziate.
Finché Jeanne de Valois fu duchessa d’Orléans e durante il poco
tempo che fu regina di diritto, essa portò come armi araldiche di alleanza
due scudi azzurri a tre gigli di Francia d'oro, cimati dalla corona
gigliata, l’uno di suo padre, l'altro di suo marito Luigi di Valois, duca
d’Orléans. Una volta ripudiata, a Bourges, si donò interamente a Dio, e
sostituì lo scudo del re suo marito con quello del Re del Cielo, Gesù
Cristo: Partito, a destra d argento al Cuore di Gesù Cristo di rosso, af-
flitto da una ferita aperta in fascia e cantonato da altre quattro ferite in
decusse, anch’esse di rosso e sanguinanti; a sinistra, di rosso all’Ostia
d’argento nascente da un calice d’oro.
L’Ari Catholique7 ha riprodotto la bella incisione in scala ridotta di
Claude Gellé, secolo XVII, che rappresenta la beata Jeanne con scudo
mistico con il Sacro Cuore e il calice raffigurato alla sua destra. Più che
questi due scudi separati, ho preferito produrre qui il vero blaso-

0
Cfr. il mio «Moule à Hostie du XIV* siede au Musée Episcopal de Vich», Regnabit, n. 4,
settembre 1922.
7
Cfr. L'Art Catholique, Place St.-Sulpice 6, Parigi.
ne di alleanza da un’antica incisione su legno, un tempo del defunto Guy
Jouanneaux, che fu un fine letterato del Poitou; anch'essa rìsale
probabilmente al secolo XVII, ma i due blasoni accomunati sono stati
certamente copiati dall’incisore da un documento del secolo precedente.

Fig. 3. Le armi araldiche mistiche di Jeanne de Valois.

Sotto una comune corona gigliata, i due blasoni sono giustapposti in


autentiche armi araldiche d’alleanza fra Gesù Cristo e il casato di
Francia nella persona di Jeanne de France: lo sposo a destra, la sposa a
sinistra.

Il Sacro Cuore dello stallo reale a Windsor (Inghilterra)


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L’IMMAGINE DEL SACRO CUORE 237

Nel coro della cappella di San Giorgio del castello reale di Windsor,
alla sommità dello stallo dei sovrani inglesi, che è dell’inizio del secolo
XVI, e sopra al posto della regina, il Cuore di Gesù, circondato dalla
corona di spine e afflitto da una ferita dalla quale esce un fiotto di
sangue, si mostra glorioso fra l'Agnello immolato sul Libro dell'Apo-
calisse con i suoi sette sigilli, e la mano divina che lo addita all’adora-
zione di tutti.
Produco qui la sua rappresentazione traendola dall’opera del reve-
rendo padre Alet105. Avrò modo di riparlarne dallo stretto punto di vista
archeologico e cronologico, ma ora voglio sottolineare soltanto il fatto
che, se il Sacro Cuore non è circondato dallo scettro, dalla corona e dalle
altre insegne della regalità, la mano, che qui lo ha voluto, lo

105 Cfr. padre Alet, s.j., La France et le Sacré-Cceur, p. 261.


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238 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

ha posto al di sopra di tutti gli attributi supremi che egli domina, in cima
al trono occupato dalla maestà regale in preghiera davanti all'onnipotente
Maestà Divina.

Fig. 4. Il Sacro Cuore sullo stallo reale di Windsor.

A titolo informativo, ricordo solamente un altro documento icono-


grafico inglese, in cui l’omaggio regale viene in qualche modo tributato
al sangue di Gesù Cristo generato dal suo Cuore: è la vetrata del secolo
XV di Sidmouth Church sulla quale le Cinque Piaghe sanguinanti sono
tutte incoronate da diademi d’oro9.

L'iniziale del titolo del «Tesoro dei Poveri» del 1527

Nello stesso periodo, anche un modesto artista di Francia mise la co-


rona d’oro dei re sul Cuore del Signore: «Il giorno XVIII d’augusto mil-
le cinque cento XVII» si terminò di stampare a Lione, nelle stamperie di
«Claude Mourry, detto II Principe», abitante «nei pressi di Notre

9 Cfr. «Les Sources du Sauveur», Regnabit, n. 3-4, agosto-settembre 1923 [trad. it. in //
giardino del Cristo ferito, op. cit. ].
L’IMMAGINE DEL SACRO CUORE 239

sriale p
Dame de Confort, Le trésordes pouvres selon maistre Amoult de Villeno-
ve, maistre Bérard de Solo et plusieurs aultres Docteurs en médicìne de
Montpellier». La prima pagina di quest opera, interamente incisa su le-
gno, è ornata dall’immagine di un dottore insediato nella sua cattedra
carica di libri, e un angelo ci presenta sopra un cartiglio il suo nome:
«Maistre Amoult de ville nove». Sotto a questa composizione si trova il
suddetto titolo in cui il capolettera, una L maiuscola, si accompagna a
uno scudo caricato di un cuore sormontato dalla corona.

Fig. 5. L’iniziale del «Tesoro dei Poveri».

Certamente, un incisore più fausto avrebbe forse collocato meglio e


marcato maggiormente la ferita del cuore, ma i rari artisti d'oggi, che
incidono il legno con l’attrezzatura rudimentale degli incisori ri-
nascimentali, sanno quanto sia facile, anche se si è abili, mancare un
tratto di un soggetto così piccolo: una imperfezione del legno, un mo-
vimento leggero, basta un nonnulla.
So bene che, poiché si tratta del «Tesoro dei Poveri», alcuni diranno
che questo cuore è soltanto l’emblema della Carità. Non nego che
10 sia e sono le Litanie liturgiche del Sacro Cuore che risponderanno:
«Cor Jesu, fomax ardens caritatis», il Cuore di Gesù è una fornace ar-
dente di carità. Carità di un Dio per gli uomini, di un uomo per i suoi
fratelli sofferenti; trovate dunque un emblema che, meglio del Cuore di
Gesù, la possa felicemente e pienamente simbolizzare106 107.

11 marchio professionale degli stampatori Vérard e Le Caron


Forse i lettori di Regnabit si ricorderanno che anche lo stampatore
parigino Anthoine Vérard, contemporaneo di Claude Mourry, inserì sul
suo marchio commerciale, che anche Pierre Le Caron adottò, il Cuore di
Gesù raffigurato in mezzo al testo di una preghiera, fra nubi che
dominano il blasone regale e la corona di Francia, al di sopra del suo
stesso cuore11.

Blasone di una Bibbia di La Roche-Clermault (Indre-et-Loire)


106 Devo la conoscenza di questo documento, assieme a molti altri aiuti intellettuali per
107 lavoro che sto perseguendo, a una delle assai devote amiche di Regnabit, mademoiselle
Madeleine Berthier, direttrice e fondatrice di Firme des Beaux-Livres. I miei rispettosi e vivissimi
ringraziamenti.
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240 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO
Una ventina di anni fa, ho rilevato su una Bibbia in-IV della canonica
di La Roche-Clermault, nei pressi di Chinon, il qui presente disegno a
colori.
Sul rovescio della copertura di cuoio rossiccio, uno scudo oracolare, o
scudo rotondo azzurro, riporta un Sacro Cuore di carnicino, con sopra tre
gigli reali di Francia; attorno allo scudo, due palme verdi. Il tutto è
disegnato in quello stile particolarmente pesante della seconda metà del
regno di Luigi XIV.

Fig. 6. Bibbia di La Roche-Clermault (Indre-ct-Loirc).

Anni fa, abbiamo visto il discendente del sedicente Luigi XVII,


Naundorf, adottare una composizione analoga per il «nuovo blasone del
casato di Borbone» con la sola differenza che due gigli furono posti in
capo allo scudo, il Sacro Cuore al centro e un giglio in punta.
Il blasone dei La Roche-Clermault non sembra essere soltanto un

" Cfr. il capitolo «I marchi commerciali dei primi stampatori francesi» [nel presente volume].
marchio di devozione di ispirazione particolare, dovuta allo stesso
sentimento che fece nascere il disegno raffigurante il Cuore di Gesù che
l’abbadessa Flandrine de Nassau (1579-1640) fece eseguire su tutti i libri
manoscritti della sua Abbazia benedettina di Sainte-Croix a Poitiers; a
meno che la Bibbia di La Roche-Clermault non sia un relitto del grande
monastero della Visitation di Loudun, la cui biblioteca e numerosi
oggetti devozionali sono stati dispersi in tutta la regione durante la
Rivoluzione.
Fondato nel 1648, questo monastero è stato uno dei primi ardenti
centri di diffusione delle immagini del Sacro Cuore in tutto il paese; ma
voglio sottolineare che questa ipotesi sullorigine del blasone di La
Roche-Clermault è solo una possibilità, a tutt oggi priva di ogni sostegno
documentario.
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L’IMMAGINE DEL SACRO CUORE 241

Scultura di Rue de la Juiverie, a Fréjus

È sempre grazie a mademoiselle Berthier di Cannes che nel maggio


scorso ho potuto rilevare a Fréjus, nella piccola Rue de la Juiverie, vi-
cino alla piazza del mercato, un assai grazioso medaglione di legno
scolpito degli inizi del secolo XVIII, allora inserito in una curiosa porta
più antica.
Esso mostra un cuore in rilievo sormontato dalla croce, sulla su-

Fig. 7. Medaglione da porta, Rue de la Juiverie, Fréjus.

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242 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Fig. 8. La Terra nel Cuore di Gesù. Motivo centrale di una incisione tedesca del 1708 -
Hiéron, Paray.

perfide del quale vi sono tre gigli di Francia. Dai piedi della croce
partono due ghirlande vegetali; il tutto è leggermente consumato dal
tempo.
Che interpretazione dare a questo motivo?
Può trattarsi dell’immagine del cuore di chi lo fece scolpire e che
volle in tal modo proclamare il suo doppio e vivo amore per la religione,
simboleggiata dalla croce, e per la casa reale di Francia; oppure è il
Cuore di Gesù - sebbene non porti traccia del colpo di lancia - e, anche
guardandolo con gli occhi dell'epoca che lo ha prodotto, è certo alla
prima ipotesi che viene da pensare; il Cuore di Gesù alla protezione del
quale un fedele soggetto confida la persona del suo re, una sorta di
«Domine salvum fac Regem» cantato dallo scalpello; «Che Dio vi
custodisca» scrivevano a tal proposito i nostri antichi re ai loro sudditi
chiudendo le loro lettere, «Che Dio custodisca nel suo cuore il nostro
Re!» sembra rispondere qui il notabile di Fréjus che con questo grazioso
medaglione contrassegnò la sua porta...
Ebbene, quali conclusioni possiamo trarre dai documenti iconografici
che abbiamo esaminato?

Nessuna, per ora.


Ho voluto soltanto raggruppare le immagini anteriori alla Rivoluzione
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L’IMMAGINE DEL SACRO CUORE 243

che mostrano, in contatto con l'idea di regalità terrestre e con gli


emblemi dei sovrani di un tempo, il Cuore del Signore Gesù Cristo, con
la speranza che altri ne traggano vantaggio per i loro lavori, che si tratti
della storia o dell'iconografia del culto del Sacro Cuore.

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Capitolo 26
L’iconografia del Cuore di Gesù negli eserciti
controrivoluzionari della Vandea (Z)

Gli esordi dell'insurrezione nel Poitou e nell’Anjou.


Le prime insegne

Erano già tre anni che i fermenti rivoluzionari avevano gettato la


Francia nello scompiglio e, con il pretesto di instaurare la libertà, fa-
cevano gravare sul paese una tirannia odiosa che ogni giorno si faceva
sempre più opprimente. Il Tenore avanzava.
I paesi dell’Ovest, Poitou, Bretagna, Anjou. non ignoravano l’utilità
delle riforme sociali, ma le si voleva vedere attuate nella pace, nel ri-
spetto dell’ordine e dell’autorità necessari, nella piena libertà delle
coscienze e delle persone.
In queste contrade, più che altrove, il clero esercitava con dignità una
influenza grandemente apprezzata da tutti; a parte rare eccezioni, mai
come qui i nobili vivevano vicini al popolo, senza sciocca e inopportuna
arroganza, e molti di loro non si riconoscevano solo come primi
cittadini: il più delle volte erano benefattori e amici rispettati dei
contadini.
I primi provvedimenti vessatori, che fecero partire per l’estero i primi
rifugiati minacciati, dapprima destarono solo preoccupazione fra i
sacerdoti; ma successivamente, quando costoro furono perseguitati
anche nelle funzioni più essenziali delle loro cariche, suscitarono vio-
lente polemiche, primi rombi di un tuono che avrebbe ben presto
scatenato una terribile tempesta.
Questa si sarebbe estesa soprattutto sugli attuali territori dei vescovadi
di Poitiers, Angers, Lugon e Nantes, zone che sarebbero state devastate e
si sarebbero spopolate spaventosamente; quella zona era chiamata la
Vandea militare, ben più vasta del dipartimento della Vandea.
Dall’inizio del 1792, gruppi di malcontento si erano costituiti in vari
punti di Deux-Sèvres e della Vandea e avevano apertamente af

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L'ICONOGRAFIA DEL CUORE DI GESÙ (1) 245

fermato la loro disapprovazione in merito ai provvedimenti persecutori,


promulgati ufficialmente e successivamente applicati.
Segnatamente, il decreto di Bressuire - del 27 maggio 1792 -, che
condannava alla deportazione i sacerdoti i quali si rifiutavano di prestare
giuramento scismatico, causò i primi rumorosi tumulti.
Infine, il 27 luglio seguente - giorno in cui a Bressuire si svolgeva la
fiera di san Giacomo - a causa dei «patrioti» cittadini che avevano
costretto con la forza i contadini dei dintorni a pollare la coccarda
tricolore, avvennero degli scontri per cui il sangue sgorgò anche nei
giorni successivi; il sindaco di Bressuire, Joseph Delouche, non riuscì a
sedare gli animi e dovette abbandonare la città, rifugiandosi nel borgo di
Montcoutant.
Il 19 agosto seguente, i giovani di dodici Comuni vicini, venuti in
quella località per le operazioni di reclutamento, si raggrupparono
attorno a Delouche e chiamarono alle armi tutti gli uomini contro un
governo di tiranni che rifiutavano di servire, chiedendo la restaurazione
del re e del pieno possesso della sua autorità quale solo mezzo per
ritornare all ordine sociale e alla libertà religiosa.
Gli insorti si diressero subito verso il castello di Pugny, residenza del
marchese di Mauroy, ex colonnello del reggimento di Médoc, per farne
il loro comandante e con lui divenire più forti. Non lo trovarono, ma ot-
tennero dal suo amministratore la bandiera del vecchio reggimento: una
seta bianca costellata di gigli di Francia d oro con al centro le insegne
regali. Si ritiene che 1 acclamazione VIVE LE ROI che vi si legge a grandi
lettere capitali sia stata aggiunta nel corso della guerra.
Questo fu il primo vessillo di quelle lotte di giganti conosciute con il
nome di «Guerre di Vandea».
Da Pugny, la truppa si recò alfabitazione di Brachain, da Gabriel
Baudry d’Asson, anch'egli ex ufficiale, che accettò il comando dei due-
mila uomini già presenti e ritornò con essi a Montcoutant. Là, un tale
chiamato Micheneau fu incaricato di organizzare l'armamento e Bazin
ebbe il compito di fare confezionare e distribuire agli insorti delle coc-
carde bianche come segno di riconoscimento. Le prime furono ritagliate
dalla copertina di un libro.
Non è dunque esatto scrivere, come molti hanno fatto, che «fin dal
primo giorno dell'insurrezione il Sacro Cuore fu adottato come segno di
riconoscimento da tutti i vandeani». Fu la coccarda reale, sotto l’egida
della bandiera regale, la prima insegna ufficiale. Questa è la verità.
Cinque giorni più tardi, mentre la truppa - forte di seimila uomini - si
prepara ad attaccare Bressuire, De Hanne da Montcoutant la raggiunge
pollando viveri e coccarde bianche', quindi vanno in marcia a Bressuire
con qualche fucile da caccia, bastoni di ferro, lance im- prowisate,
246 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

forche e altre armi di fortuna; ma erano appena arrivate due compagnie


di fanteria da sbarco - chiamate in fretta e furia da Rochefort fin dalle
prime ore della rivolta - e le guardie nazionali di Niort, La Mothe-Saint-
Héraye, Saint Maixent e Parthenay, le quali, bene armate di fucili da
guerra e con l’ausilio di due cannoni, aprono il fuoco sui contadini e li
disperdono.
Il Joumal des Deux-Sèvres di Averti scrisse all’epoca che centodi-
ciotto insorti rimasero sul terreno, aggiungendo che «erano tutti coperti
di croci e rosari».
Dunque, oltre alla coccarda reale portavano degli emblemi religiosi di
loro gusto e, sebbene Averti non ne parli, è infinitamente probabile che
vi fossero delle immagini del Sacro Cuore di Gesù - vedremo più avanti
ciò che lo fa pensare -, ma in numero abbastanza ridotto, visto che non
furono notatel.

Una sorta di bonaccia seguì questa prima rivolta, ma, di quando in


quando, qui e là degli episodi di violenza dimostravano quale fuoco
covasse sotto la cenere. Si raggiunsero così penosamente i mesi d’in-
verno. Il 21 gennaio dell’anno successivo - il 1793 - Luigi XVI finisce
sul patibolo, ciò che papa Pio VI chiamò precisamente il «suo martirio»;
e davanti a quel parricidio insensato che la Francia ribelle commetteva,
tutto l’Ovest fu in preda allo stupore e, sempre più, ebbe in odio
quell’anarchia che, dopo avere assassinato giuridicamente il re, rendeva
impossibile il culto dovuto a Dio.
Due mesi soltanto dopo la morte del re, il 13 marzo, un contadino di
un paesino dell'Anjou, Jacques Cathelineau di Pin-en-Mauges, raduna
nella sua capanna i ventisette «giovanotti» della sua parrocchia che la
legge militare reclama e li fa giurare di morire piuttosto che servire la
Repubblica persecutrice. Essi lo acclamano e poi, come lui, si mettono
un rosario al collo e si appuntano sui risvolti della giacca un Sacro
Cuore.
Appena usciti, si portano verso i borghi di Jallais e Chemillé, a loro si
aggiungono altri uomini valorosi, ed ecco che diventano cinquecento!
Tutti si adornano come i primi, «con rosari e Sacri Cuori». Ve-

’ Cfr. C. Pulchaud, «L Hisloirc d’un drapeau vendéen. L'insurrection d'aout 1792», Revue du
Bas-Poitou, 1899; cfr. pure H. Bagucnier Desormeaux, «Le Premier Drapeau de la Vendée
Catholique et Royaliste», Revue du Bas-Poitou, 1921, voi. II. dremo come mai queste

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L’ICONOGRAFIA DEL CUORE DI GESÙ a) 247

ultime insegne si trovassero così facilmente nelle loro mani, già pronte.
L’indomani, sono milleduecento. Dice un documento dagli Archivi di
Angers: «Portano tutti delle coccarde bianche decorate con delle
medagliette quadrate in stoffa sulle quali sono ricamate varie figure di
piccoli cuori trafitti da lance e da altri segni del genere»108.
A partire da quel giorno e per tutta la durata della «Grande Guerra»
così come durante la corsa alle armi del 1815 e nell'insurrezione degli
chouans del 1830, la coccarda bianca e il Sacro Cuore furono i segni di-
stintivi e inseparabili del combattente vandeano. I capi vi aggiungevano
solitamente la cintura o la sciarpa bianca. Poco dopo, tutto il paese - da
Angers all'Atlantico, da Parthenav a Nantes e da Bressuire a Lucori -
correva alle anni, e Jacques Cathelineau, acclamato generalissimo delle
«Armate Cattoliche e Reali» dai grandi signori e dai contadini, vide
accettare ovunque senza contestazioni la pia immagine che nella sua
capanna aveva assunto il carattere di insegna ufficiale della rivolta, con
titolo pari almeno a quello della coccarda reale.
Coincidenza singolare, negli stessi giorni - il 15 marzo 1793 -, a una
certa distanza da Pin-en-Mauges, nel Poitou, il cavaliere Saint- Laurent
de la Cassaigne spediva alla signorina de la Rochejaquelein una dozzina
di Sacri Cuori dipinti da lui stesso. La lettera che accompagnava la
spedizione conteneva queste parole: «Vi mando una piccola provvista di
Sacri Cuori che ho disegnato per voi. Sapete che le persone che hanno
fede in questa devozione riescono in tutte le loro imprese [...]. E una
devozione consolidata che si pratica in modo vantaggioso da molti
secoli»109.

Le insegne vandeane dette «scapolari del Sacro Cuore»

Nessun tipo di uniformità fu imposto a questi pezzi di stoffa im-


108 E. Boisseleau, Zx Sacré-Cceur des Vendéens, p. 4, in-XIl di p. 11, Lu^on Bideaux s.d.
109’ A proposito di questa lettera, la redazione di Regnabit ha ricevuto dal canonico Uzu- reau
una nota di grande interesse (per la quale, Eccellenza, permettetemi di ringraziarvi): «All’indomani
della presa di Cholet da parte dell’armata cattolica, il 14 marzo, il cavaliere Saint-Laurent de la
Cassaigne scriveva a sua cugina, mademoiselle de la Rochejaquelein: “Vi mando una piccola
collezione di Sacri Cuori di Gesù di cui mi ero munito per voi e che avevo conservato nella
speranza di farvene omaggio di persona. È una devozione consolidata che si pratica in modo
vantaggioso da molli secoli. Mai è stata così necessaria come nelle disgraziate circostanze in cui ci
troviamo e non potrei mai raccomandarla abbastanza, per lutto il gran bene che ne hanno tratto
coloro che vi si sono votati con quella fiducia che si deve avere nella bontà e nella misericordia del
migliore di tutti i padri ”. Ouesta lettera - come indica la copia inviata agli amministratori di Maine-
et-Loire - fu “trovata in possesso di un domestico del signor Lescure c sequestrata dai patrioti che lo
arrestarono sulla via di Chàlillon-sur-Sèvre”. Si trova menzione di questo incidente nelle Mémoires
della marchesa

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248 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

propriamente denominati «scapolari», ai quali si richiedeva soltanto di


portare l’immagine del Cuore di Gesù.
La maggior parte era di stoffa bianca o nera con in mezzo un cuore, il
cui carattere divino è precisato dalla ferita laterale o dalla croce sulla
sommità o, spesso, da tutte e due le caratteristiche.
Il «Sacro Cuore» di padre Guignard di Voultegon (Deux-Sèvres),
quello dei fedeli del marchese di Lescure prima e dei La Rochejaque-

Fig. 1. Il Sacro Cuore di Guignard di Voultegon (Deux-Sèvres), inedito.

de la Rochejaquelein: "Il signor de la Rochejaquelein mandò il suo domestico da sua zia, che stava
soltanto a quattro o cinque leghe da Herbiers. Costui fu arrestato a Bressuire e su di lui venne
trovata una lettera del signor de la Cassaigne per mademoiselle de la Rochejaquelein, di cui era
parente e amico, e una dozzina di Sacri Cuori dipinti su carta. La lettera era molto corta e conteneva
praticamente soltanto questa frase: 'Vi mando, mademoiselle, una piccola provvista di Sacri Cuori
che ho fatto per voi. Vi prego di notare che tutte le persone che fanno forza su questa devozione
riescono in tutte le loro imprese'. Vi erano queste parole, testualmente; per la precisione, gli insorti
avevano tutti un Sacro Cuore appuntato ai loro abiti; noi lo ignoravamo completamente’’»
(Mémoires, ed. or., p. 103-104, di F. Uzureau, direttore de L’Anjou Historique).

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L’ICONOGRAFIA DEL CUORE DI GESÙ (l) 249

lein poi, è un drappo verde cupo con un grande cuore fatto di una sorta
di lanugine gialla; la ferita è rappresentata da tre «punti» lunghi e
paralleli in lana rossa.
Attribuito a un oggetto, il giallo - colore dell’oro presso i contadini
dell’Ovest - è una sorta di glorificazione del medesimo, essendo l’oro il
re dei metalli e la sua tinta, ai loro occhi, la più stimata fra i colori.
Un pezzo di passamano bianco permetteva di appenderlo alla veste
con una spilla o con ago e filo.
Raffiguro qui tale insegna a grandezza naturale.
Gli archivi della Prefettura di Lavai conservano molti «scapolari» del
Sacro Cuore trovati sui prigionieri e i morti vandeani, all’epoca della
spedizione al di là della Loira; tutti, salvo uno di cui parleremo più
avanti, sono semplici come quello di Guignard: un cuore rosso su stoffa
nera o bianca, e niente di più.
Devo alla cortesia del dottor G. Fiévé di Jallais (Maine-et-Loire) il di-
segno inedito a grandezza naturale di un «Sacro Cuore» conservato dalle
sue parti e che si compone di un quadrato di stoffa bianca con un cuore
rosso sormontato da una croce scura. Attorno al cuore, l'iscrizione DIEU
ET LE ROI afferma il carattere religioso e monarchico dell’eroica rivolta
vandeana.
Lo stesso grido dell'anima si legge anche su un «Sacro Cuore» della
collezione Parenteau, oggi al Museo Archeologico di Nantes.

Fig. 2. Sacro Cuore conservato a Jallais (Maine-et-Loire), inedito.


In uno studio pubblicato con il titolo Médailles Vendéennes, Paren-

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250 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

teau vi ha dedicato la seguente menzione: «Tutti conoscono questi


quadrati di stoffa bianca o verde in seta, dipinti o ricamati con uno o due
cuori ardenti che i vandeani appuntavano sul loro petto»110.
Egli aggiunge che quello di cui fornisce l’immagine è «un pezzo di
satin broccato, con disegnato in rosso un cuore sanguinante e ardente e
la scritta a inchiostro nero DIEU ET LE ROI. Proviene da Chàteau-
Thébaud»111, nei pressi di Vertou (Bassa Loira).

Fig. 3. Sacro Cuore di Chàteau-Thébaud (Bassa Loira). Collezione Parenteau.

Il Sacro Cuore dell’ufficiale angioino L'Huillier de la Chapelle - se-


gnalatosi soprattutto nella rivolta del 1815, quando prese gloriosa- mente
parte alla battaglia di Rocheservière - è formato da un rettangolo di
velluto bianco su cui è stato cucito un cuore ardente sormontato da una
croce, ritagliato con la sua cornice in pezzo unico da una specie di
flanella o di mollettone rosso. Sulla sinistra del cuore, la ferita della
lancia è stata fatta in nero.
Ai due lati della croce che si trova sul cuore, due lunghi gigli di
Francia a ricamo in lana gialla completano l'insieme che ancora una
volta interpreta la divisa vandeana: DIEU ET LE ROI.

110 Parenteau, «Médailles Vendéennes», Revue des Provinces de l’Ouest, n. 57, 1866, tira-
tura a parte, p. 8.
111 Cfr. ibid.

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L’ICONOGRAFIA DEL CUORE DI GESÙ a) 251

Fig. 4. Il Sacro Cuore di L’Huillier de la Chapelle, grandezza reale.

Accanto a questa insegna gelosamente conservata da Marie de


L’Huillier a Gesté, Maine-et-Loire, due vecchi monili vandeani: la
coccarda bianca dell’ex comandante suo nonno e il suo sigillo d’arme
d’azzurro ai due leoni affrontati tenenti insieme una spada in palo.
Gli Archivi Dipartimentali di Mayenne possiedono un altro «Sacro
Cuore» piuttosto curioso - di cui devo la conoscenza a H. Baguenier
Desormeaux, l’erudito storico vandeano - che riproduco qui a grandezza
naturale, da un acquerello che possiedo per la magnanimità di Laurain,
lo studioso archivista della prefettura di Lavai. E quello del famoso
chouan Bergère, detto «Jambe d’Argent», fatto prigioniero il 5 frimaio,
anno VI.
Laurain mi scrive: «La stoffa è una sorta di satin nero doppiato in seta
bianca, sul quale è stato cucito un cuore di tessuto rosso contornato da
una spighetta giallognola, che anticamente doveva avere una colorazione
dorata. Il fondo è ornato da una trama di semicerchi punteggiati di
lustrini per tutta l’altezza dell’oggetto e ubicati a incastro».
Aggiungo che il cuore è circondato da una corona di spine a punti
lunghi che sormonta una croce e un’ostia raggiante.
Anche il «Sacro Cuore» portato dal generale vandeano Stofflet esce
dai soliti schemi e invita ad alcune osservazioni iconografiche.

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252 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Fig. 5. Il Sacro Cuore dello chouan «Jambe d’Argent» deU’Archivio dipartimentale di


Mayenne, inedito, grandezza reale.

Ecco ciò che scrive in proposito Parenteau ne\Y Inventai re della sua
collezione:
Sacro Cuore in stoffa bianca posto su drappo nero con ricami in seta colorata. Nel
campo, Cristo in croce con due Sacri Cuori ardenti ricamati in seta rossa. La
legenda LE ZÈLE DU SEIGNEUR vous DÉVORE. Sopra, nastro in seta bianca per
appenderlo. Grandezza naturale.
«Questo cuore ricamato è quello che portava Stofflet il giorno in cui fu arrestato
dai Repubblicani. Esso mi è stato dato da A. Dupuv-Vaillant, sostituto procuratore
generale della Corte d’Appello di Poitiers, il quale lo aveva ri
L’ICONOGRAFIA DEL CUORE DI GESÙ fi) 253

cevuto da Alain-Targé, allora procuratore generale della suddetta Corte. Questi, lo


aveva raccolto ad Angers nel 1847. Firmato B. Fillon».
Questa nota è stata redatta da B. Fillon quando mi diede il Sacro Cuore sopra
descritto.

Ci sono serie probabilità - se non garanzie certe - sull’autenticità, ma


l’oggetto descritto richiede un’altra spiegazione: in realtà nessuno dei
due cuori che si vedono può essere una immagine del Cuore del
Salvatore. Nel trattarlo, Stofflet vi scorse certamente i Cuori di Gesù e
Maria, i quali, effettivamente, furono ricamati insieme su alcune rare
insegne. Stofflet si è sbagliato.

Fig. 6. Lo pseudo «Sacro Cuore» portato dal generale vandeano Stofflet grandezza reale.

Questi cuori ardenti raffigurano semplicemente quelli dei fedeli di-


vorati dallo zelo per Gesù Cristo, che è stato ricamato sopra di essi e il
cui fianco sanguina abbondantemente: essi non sono che la traduzione in
immagine della divisa che li accompagna Le zèle du. Seigneur vous
dévore («Lo zelo del Signore vi divori»); è per questo che le fiamme li
consumano.
Ritengo che questa sia una immagine antecedente alla rivolta van-
deana e per essa supporrei volentieri una origine carmelitana. Che sia
stata fatta in un carmelo della regione o che provenga dal convento
carmelitano di La Focellière, in ogni caso fu fatta nei paraggi del

otetto da eoe
254 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

paese che comandava Stofflet. La divisa che essa porta sembra addirittura un sunto di quella del grande Ordine dei Carmelitani:
Zelo ze- latus sum prò Domino Deo exercitum («Sono stato divorato dallo zelo

Fig. 7. Il Sacro Cuore del generale vandeano Athanase Charette de la Contrie.


per il Signore Dio degli eserciti»). Stofflet non l’avrebbe rinnegata nella
sua forma integrale.
L’illustre casato dei Charette conserva gelosamente il «Sacro Cuore»

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L'ICONOGRAFIA DEL CUORE DI GESÙ 0) 255

del grande cavaliere vandeano. È un rettangolo di tessuto nero dentellato


che contiene un altro rettangolo più piccolo in stoffa bianca, in mezzo al
quale trionfa un semplice cuore rosso sormontato dalla croce.
Ho voluto riprodurre con esso la cornice che funge da scrigno al-
l’eroica reliquia perché è come se fosse l’inno al Sacro Cuore scritto con
il sangue dalla Vandea cattolica e monarchica, dal 1792 ai nostri tempi.
Alla sommità della cornice, il blasone dei Charette: d argento al leone
di nero accompagnato da tre anatroccoli anch’essi di nero, il tutto
marcato dalla corona di marchese e incorniciato da bandiere reali; in alto
e in basso della cornice, le iniziali del grande comandante del 1793
Athanase di Charette, delle A e delle c riunite, con al centro il Sacro
Cuore. Sopra ai due montanti, l’immagine dello stendardo degli Zuavi
pontifici alla battaglia di Patay, nel 1870, con l'implorante iscrizione
CCEUR DE JÉSUS, SAUVEZ LA FRANGE! («Cuore di Gesù, salvate la
Francia!»); sotto, le due spade gloriose, quella di Athanase - che compì
l’epopea meravigliosa contro la Rivoluzione - e quella dell’ultimo
generale di Charette, l’eroe magnifico di Mentana, di Castelfidardo e di
Patay. Attorno alle spade, l’altera divisa dei Charette: JE NE CÈDE JA-
MAIS! («IO non cedo mai!»).
Più in basso, il doppio cuore vandeano di cui tratteremo in altra oc-
casione. Ai quattro angoli della cornice e sui montanti, il giglio di
Francia, il regale e fedele compagno del Cuore di Gesù che, antica-
mente, stava sul petto dei vandeani.
E in basso, sul fondo, in un cartiglio incastonato fra rami di quercia,
Tiscrizione SACRE-CCEUR ET FAC-SIMILE DE LA PORTE CONTRE
LAOUELLE A ÉTÉ FUS1LLÉ LE GÉNÉRAL ATHANASE DE CHARETTE DE LA
CONTRIE LE 1 5 MARS 1796 («Sacro Cuore e facsimile della porta contro la
quale è stato fucilato il generale Athanase de Charette de La Contrie il
15 marzo 1796»).
Il suo sangue fu soltanto una goccia nello spaventoso olocausto di
tutto quel popolo vandeano che si offrì spontaneamente alla morte per
una causa liberatrice e vendicativa; ma da quel sangue sparso germinò
come prima cosa la tolleranza religiosa e, subito dopo, la libertà.

I martiri

Nell’Ovest, furono numerosi coloro che ricevettero la corona del


martirio solo per avere semplicemente indossato o confezionato delle
insegne con l'immagine del Cuore di Gesù.

1 ateriale protetto da cop1


256 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Così fu, per esempio, per mademoiselle d’Aux, condannata a morte


nel Bas-Poitou dal comitato rivoluzionario «per avere ricamato dei
Sacri Cuori».
Così fu per i coniugi La Billiais, arrestati nel loro castello di Saint-
Etienne di Montluc (Bassa Loira). Il principale capo d’accusa che li fece
condannare al patibolo fu che «le dame di La Billiais erano state viste
ricamare e distribuire dei Cuori di Gesù». Esse confessarono.
La medesima condanna raggiunse in Bretagna Victoria di Saint- Luc e
poi Jean Benard, ex cappellano dell’ospedale generale di Rennes, il
quale aveva anch’esso «distribuito l’insegna della ribellione».
11 processo verbale per l'arresto del conte Geslin de Villeneuve, ar-
restato a Tillers (Maine-et-Loire) il 2 nevoso anno IV e che fu condan-
nato a morte, ci informa che era un ex rifugiato e «Ri trovato portatore
di svariati segni monarchici, fra gli altri un emblema a matita rap-
presentante una croce portata da un cuore posto fra due spade decussate;
due uomini armati, l’uno di lancia e l'altro di mazza, sostenevano sopra
il cuore una corona reale sormontata dal motto VIVE LE ROI».
Il «Sacro Cuore» che fece condannare a morte Catherine Jousse- met
fa parte della collezione Parenteau. Sembra essere stato inciso su legno,
stampato su carta e dipinto a mano in un cerchio verde con la cornice
rossa, e contiene l’invocazione CCEUR SACRÉ AYEZ PITIÉ DE NOUS
(«Sacro Cuore, abbiate pietà di noi»).
Ne riporto qui soltanto la parte centrale a grandezza reale, secondo
Parenteau. Facendone dono a questi, Fillon lo accompagnò della se-
guente nota:

Fig. 8. Parte centrale del Sacro Cuore di Catherine Joussemet de la Longeais.

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L'ICONOGRAFIA DEL CUORE DI GESÙ (V 257

Cuore vandeano sequestrato dopo la battaglia di Savenay alla mia prozia materna
Catherine Joussemet, ex religiosa dell’ordine di Notre-Dame, che aveva seguito
l’esercito cattolico al di là della Loira.
Su di essa furono trovati duecento cuori o poco più, sempre disegnati da lei.
Citata per questo davanti alla commissione militare di Nantes, fu condannata a
morte e fucilata.
Catherine Joussemet de la Longeais era nata a Roche-sur-Yon; al momento della
sua morte aveva compiuto cinquantasette anni.

È tutta una pleiade di vittime sante sacrificate all’immagine del Cuore


di Gesù, che lo storico vandeano potrebbe citare ancora recitando
l'ufficio dei Martiri: «Isti sunt Sancti qui prò testamento Dei sua
corpora tradiderunt»f ecco i santi che hanno consegnato i loro corpi a
testimonianza di Dio e che sono entrati nella sua gloria, rivestiti degli
abiti tinti nel sangue del Cuore di Cristo!

Dell'origine dell'insegna detta «scapolare del Sacro Cuore»

È innegabile che, nonostante ciò che è stato scritto, l’invenzione di


questi quadrati di stoffa recanti il Cuore di Gesù e destinati a essere
ostentati sugli abiti, non fu affatto dovuta alla grande devozione di
Jacques Cathelineau. Il «santo d’Anjou» era soltanto l'erede di un culto
fervente per il Sacro Cuore presente da tempo nella regione del- l’Ovest,
e san Luigi Grignion de Montfort era stato il più instancabile seminatore.
Nel giorno della beatificazione di questo ardente apostolo, l’illustre
vescovo di Angers, monsignor Freppel, lo proclamava solennemente
davanti a ventimila vandeani, a Saint-Laurent-sur-Sèvre, dove riposano
le spoglie dello straordinario sovvertitore d’anime: è per mezzo di
Montfort e dei suoi figli spirituali, i Missionari di Saint-Laurent, che il
fiotto fecondo di linfa cristiana si riversò sulle campagne del- l’Ovest
durante tutto il secolo XVIII.
Questo secolo, se altrove fu un periodo di decadenza morale, al
contrario nell’Ovest - salvo nelle grandi città - fu un'epoca di vivifica-
zione cristiana durante la quale il popolo di quella regione, racconta
monsignor Freppel, «fu come impastato da due sentimenti ugualmente
atti a generare eroismo: la fede religiosa e la fedeltà al potere

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258 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

legittimo. Così, quando in un giorno di odio e di cecità si arrivò a prendersela con gli unti del Signore, con tutto ciò che
rappresentava Cristo nello Stato e nella Chiesa, questo popolo si sollevò dai bocages112 fino al fondo delle sue forre. Esso si levò per
difendere tutto ciò che egli amava, tutto ciò che rispettava; e il mondo fu testimone di un lutto tale come non se n’erano visti di simili
dal tempo dei Maccabei».
Ecco la chiave dellenigma che Barère, alla seduta della Convenzione
del primo ottobre 1793, chiamava «l’inspiegabile Vandea».
Dunque, da un secolo almeno gli «scapolari» del Sacro Cuore erano
in uso. Dal 1705, nella chiesa di Beaufou - diocesi di Lu<;on - si ve-
nerava un quadrato in stoffa bianca dal contorno tutto frastagliato; al
centro si vedeva un piccolo cuore di stoffa rossa sormontato da una
croce. Questo cuore era circondato da una specie di corona di spine e
alcune gocce di sangue vi colavano.
«A quel tempo tutti i parrocchiani di Beaufou ne portavano sul petto
all’altezza del cuore uno simile a quello della chiesa. Più tardi, molti
uomini sostituirono il cuore di stoffa con uno di piombo; sovente si
rinvenivano assieme alle ossa dei morti»113.

Fig. 9. Pin-en-Mauges (Maine-et-Loire). La casa di Jacques Cathelineau è quella la


cui porta è sormontata da una piccola croce (da un antico disegno per gentile
concessione di don Madiot, curato di Pin).
Poco dopo, nel 1726, i missionari di Saint-Laurent, predicando a
Brézé - l’antico paese loudunese, oggi nella diocesi di Angers - distri-
buivano dei piccoli Sacri Cuori che aggiungevano «agli altri scapolari»8.
Infatti, al momento della Rivoluzione, il Sacro Cuore di stoffa esi-
steva quasi in ogni casa e ciò spiega come mai Cathelineau con i suoi
primi compagni d arme - e con loro i cinquecento uomini che si ag-
112 [Caratteristiche regioni normanne o vandeane in cui i prati si alternano alla boscaglia,
N.d.T.].
113’ Canonico Huet, Lettre, del 4 ottobre 1921, e Chroniques paroissiales du diocèse de Lu-
cori, t. VI. p. 531 ss.

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L’ICONOGRAFIA DEL CUORE DI GESÙ fi) 259

giunsero l’indomani della corsa alle armi - poterono subito inalberare


un’insegna che si trovava ovunque.
Ecco perché sono convinto che dovettero trovarsi anche fra gli oggetti
religiosi che avevano addosso i contadini caduti nell’attacco di Bressuire
il 24 agosto 1792, all'epoca della prima rivolta del Poitou.
Non fu dunque, come così spesso è stato ripetuto, il voto che fece
Luigi XVI poco prima del 10 agosto 1791- su consiglio di padre Hé-
bert, superiore generale dei religiosi eudisti e suo confessore - di con-
sacrare al Cuore Divino il suo regno e la sua famiglia, che diede i natali
nell’Ovest alla propagazione deH'immagine-insegna del Sacro Cuore.

Il blasone dei Cathelineau

Ed ecco l'omaggio reale:


Quando salì sul trono restaurato, Luigi XVIII si volse alla Vandea e, sebbene non
potesse fare per essa tutto quello che avrebbe voluto, egli tese a dimostrarle
ammirazione e riconoscenza9.

Uno dei primi interventi reali fu di rendere onore alla povera famiglia
e al nome di Jacques Cathelineau... L'eroe di Pin-en-Mauges era morto a
causa della gloriosa ferita riportata nel combattimento di La Tremblaye,
nei pressi di Cholet, il 29 giugno 1793. Delle lettere reali concessero al
figlio dell’eroico contadino un posto d'onore fra la nobiltà del regno,
assieme a un blasone da vero cavaliere.
E che blasone! D’azzurro all’asta gigliata posta in banda alla fiam-
ma 10 d’argento caricata di un Sacro Cuore di rosso, cimato da una

* F. Uzureau, «Origine du culte du Sacré-Cosur en Anjou», Regnabit, n. 6, novembre 1921, p.


45.
9
E. Gabory, Archivista della Bassa Loira, «Les Bourbons et la Vendée», Revue du Bas-
Poitou, 1921-1923, libro II, p. 149.
10
[In araldica, sorta di bandiera, N.d.T.].

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260 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

croce del medesimo, il tutto accompagnato dalla divisa del motto di


Jacques Cathelineau colpito a morte: DIEU ET LE ROI!
In sintesi, la bandiera bianca della Francia di allora caricata del Sacro
Cuore.

Fig. 10. Armi araldiche concesse da Luigi XVIII ai discendenti di Jacques Cathelineau.

Singolare accostamento: quando, nel 1870, per soccorrere la Francia


in difficoltà, il glorioso reggimento degli zuavi pontifici si trasformò in
quello dei volontari dell'Ovest sotto il comando del barone de Charette e
del conte Henri de Cathelineau, all’ombra del chiostro, mani di religiose
ricamarono per il nuovo reggimento un orifiamma. E questa nuova
bandiera - che doveva tingersi del rosso del sangue più nobile di Francia
nell’epica battaglia di Patay - era una fiamma bianca recante il Sacro
Cuore - lo stesso stendardo del blasone dei Cathelineau - con la supplice
invocazione CCEUR DE JESUS, SAUVEZ LA FRANCE! («Cuore di Gesù,
salvate la Francia!»).
Luigi XVIII muore nel 1824. Il 6 luglio 1826, la duchessa di Berry,
visitando la Vandea a nome di Carlo X, si inginocchiò con emozione
nell'umile capanna di Pin-en-Mauges, nella povera camera in cui il 13
marzo 1793 Jacques Cathelineau aveva puntato la coccarda bianca al

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L'ICONOGRAFIA DEL CUORE DI GESÙ (I) 261

cappello e il Cuore di Gesù sul cuore dei suoi primi ventisette compagni
d'arme.
Dovettero essere queste due insegne e il punto in cui erano state poste,
che alcuni giorni dopo ispirarono la superba replica dei vandeani di
Maulévrier, che uno degli ufficiali della duchessa di Berry trovava bassi
di statura: «In Vandea, Signore, gli uomini si misurano dalla testa al
cuore...».
In tutto il suo sussulto di eroismo e nella sublime prova, il culto ar-
dente del Cuore di Gesù fu per la Vandea grande rifugio e grande
sprono. Vedremo che il portare l’insegna ufficiale di cui ci siamo oc-
cupati non fu la sola manifestazione esteriore e materiale, ma che tutta
una serie di oggetti molto caratteristici nacque dall’ardente devozione di
un popolo che donò il suo sangue per difendere il suo Dio, i suoi re.
Un semplice post scriptum a quanto detto sulle insegne di apparte-
nenza allarmata vandeana dette «scapolari del Sacro Cuore»: dopo le
guerre controrivoluzionarie, ancor più che nel secolo XVIII, l'uso del

Fig. 11. Croce commemorativa innalzata nei pressi del castello di La Chabotterie, a
Saint-Sulpice-le-Verdon (Vandea), nel punto in cui Charette, ferito, fu fatto prigioniero
dai Rivoluzionari. Sullo zoccolo: QUI FU CATTURATO DAL GENERALE TRAVOT IL GENERALE VANDEANO
FRAN^OIS-ATHANASE CHARETTE DE LA CONTRIE, IL 23 MARZO 1796.
Cuore di Gesù su stoffa, in Vandea, fu un emblema al quale rimase
affezionata la devozione popolare.

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262 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Durante il secolo XIX e a tutt’oggi, esso fu l’insegna dei pellegrinaggi


e dei pellegrini vandeani. In molte parrocchie, l’usanza voleva che si
ponesse sul cuore degli agonizzanti, a preservare dalle ultime tentazioni
e affinché il cuore del cristiano cessasse di palpitare sotto la protezione
del suo Salvatore. Altrove, lo si metteva in casa al posto d’onore; l’ho
visto addirittura nel granaio di una fattoria della parrocchia di Largeasse
(Deux-Sèvres) con l’iscrizione a matita Morì Dien protèges nous et nos
afferes («Mio Dio, proteggi noi e i nostri affari»), preghiera ingenua che
la liturgia esprime più dottamente - ma non meno espressamente - nelle
suppliche delle litanie dei santi. Per questi usi familiari, fu creato e
messo in commercio un modello speciale di insegne. Esso presenta su
una tela bianca dentellata un Sacro Cuore stampato in rosso, circondato
da una corona di spine che forma una cornice ovale, accompagnata
dall’imperiosa ingiunzione ARRÈTE, LE CCEUR DE JÉSUS EST LÀ
(«Fermati, il Cuore di Gesù è qui»).
Molte di queste insegne furono raccolte sui campi di battaglia del
1870 e alcune sono state inserite nelle collezioni della Scuola di An-
tropologia di Parigi, sezione amuleti, sotto la designazione «Protezioni
dalle pallottole» (!!!). Gli organizzatori non hanno capito l’iscrizione
che, nel pensiero del suo inventore, si rivolge non ai proiettili prussiani o
di altri, ma allo Spirito del Male!
Pur essendo più regolare e più significativo con la sua formula di
esorcismo, questo tipo di «scapolare del Sacro Cuore» non può tuttavia
far dimenticare le antiche insegne in cui ciascuno metteva un po’ di se
stesso; a volte un po' di personale affezione politica, ma soprattutto
molto dall’attaccamento alla propria fede.
Nel giugno 1888, ai festeggiamenti trionfali della beatificazione di
padre Montfort - il grande promotore della devozione al Cuore di Gesù
nell’Ovest, ai tempi di Luigi XIV -, i venticinquemila fedeli venuti a
Saint-Laurent-sur-Sèvre (Vandea), soprattutto da quella che fu la
«Vandea militare», portavano quasi tutti la tradizionale insegna.
Possiedo quello che pollò sulla porpora romana l’eminentissimo
arcivescovo di Rennes, cardinale Place. È un grande rettangolo di fine
stoffa bianca dal contorno dentellato, di dodici centimetri e mezzo per
undici. Nel mezzo, un ovale di velluto porpora dai riflessi cangianti
porta un cuore d'oro ferito di un rosso straordinariamente brillante,
sormontato da fiamme ricamate in passamaneria d’oro e da una croce
formata da cinque placchette d’oro; dal cuore cadono delle gocce in seta
scarlatta.

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L'ICONOGRAFIA DEL CUORE DI GESÙ (I) 263

Fig. 12. Sacro Cuore portato da S.E. il cardinale Place, arcivescovo di Rennes.

A inquadrare il cuore, una corona di spine in fine passamaneria doro


segue l’ovale della porpora dentellata. È la più sontuosa insegna del
Sacro Cuore che conosco, e, se la mia povera incisione ne ricalca
fedelmente le linee, è ben lontana dal lasciarne intuire la magnificenza.

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Capitolo 27
L’iconografia del Cuore di Gesù
negli eserciti controrivoluzionari della Vandea
(//. Seguito)

A proposito delle immagini delle insegne in stoffa segnate dal Sacro


Cuore e portate dai combattenti durante le epiche guerre della Vandea
Militare’ contro la Rivoluzione, mi sono pervenute molte insegne di
identica origine con sicure garanzie di autenticità, e il fatto che ogni
combattente facesse comporre a suo piacimento l’insegna personale del
Sacro Cuore mi permette di riprodurle senza il timore della monotonia,
perché, se l’idea principale che proclamano è unica per tutte, la varietà di
disegni ne fa una serie affascinante nella sua bellezza naif: tutte le donne
dei nostri vecchi eroi, castellane blasonate e contadine, borghesi e serve,
non hanno forse «lavorato per fare dei Sacri Cuori», a «ricamare le
insegne della ribellione»? Questi sono gli estremi giudiziari per cui
molte di loro sono state condannate a morte.
Vieppiù, per coloro che sanno esattamente ciò che fu, nei nobili
motivi e nelle tragiche peripezie, la sublime insurrezione della piccola
contrada fedele contro la grande nazione nel delirio della rivolta, questi
poveri «scapolari» stinti ricordano sì tanto eroico e disinteressato
coraggio, sì tanto spirito di sacrificio, sì tanta tradizionale e cristiana
fedeltà a tutti i doveri, che possono essere visti tutti come emozionanti
testimonianze, spesso anche come sante reliquie di veri e propri martiri.

Insegne del conte di Lusignan

In questa crociata volontaria - durante la quale più cordialmente di


qualsiasi altra il gentiluomo e il contadino servirono fraternamente il più
alto ideale con la medesima dedizione e nelle stesse sofferen-

’ Ricordiamo che con il nome di «Vandea Militare» si designano tutte le parti del Poi- tou,
dell’Anjou e di Nantes che si coalizzarono contro la Rivoluzione per la difesa armata dei diritti
legittimi della Chiesa e del re di Francia.

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L’ICONOGRAFIA DEL CUORE DI GESÙ (H) 265

ze - poteva forse il più illustre casato del Poitou trovarsi lontano dalla
lotta?
L antico sangue poitevin che secoli prima aveva dato dei re ai troni di
Gerusalemme, Cipro e Armenia, scorreva all’epoca in mezzo a noi, nelle
vene di un giovanetto: Tite-Marie-Louis, conte di Louhé- Lusignan. Egli
non aveva ancora compiuto i quindici anni, quel giorno di marzo 1794
che lo vide lasciare il castello materno di Villemort, non lontano da
Poitiers, per correre a raggiungere «l’esercito cattolico e monarchico»,
nella Vandea centrale. E tale fu la sua giovane audacia e la sicurezza del
suo buonsenso militare, che il 10 maggio 1795 fu nominato capitano di
cavalleria dello stato maggiore vandeano.

Fig. 1.

All’epoca, egli portava sul davantino dell'abito un piccolo disco di


satin bianco con un Sacro Cuore sormontato da una croce scura, alle cui
estremità sbocciava un giglio di Francia rosso. Per una sorprendente
singolarità, il cuore deH’immagine del conte di Lusignan è per metà
verde e per metà rosso... Speranza e sacrificio? Forse. Nella parte alta
del disco, l’acclamazione vandeana DIEU ET LE ROI.
Questa venerabile insegna, ricordo di un eroico giovane, è stata in
seguito gelosamente conservata dal nipote, simpaticissimo collega degli
Antiquari delI’Ovest, il conte Hugues de Lusignan.
Successivamente, la vita militare di Tite de Lusignan non è che una
serie di avventure, per lui molto onorevoli, del resto: fatto prigioniero
con altri ufficiali vandeani, il 17 novembre 1795, a Bois-Giraud (nel-
l’Anjou), è condannato a morte e ciò nonostante rilasciato 1’8 dicembre,
per via della sua giovane età. Ben presto, egli passa in Sologne, dove De
Phélipeaux, del quale diviene sul campo il braccio destro, tenta di
riorganizzare un movimento controrivoluzionario. Fatto nuovamente

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266 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

prigioniero, viene incarcerato a Orléans, poi a Chàteau- roux, ma trova


ancora il modo di farsi rilasciare.
Non appena libero, il 31 agosto 1796 raggiunge Tarmata vandeana in
Anjou, dove D’Autichamp lo nomina maggiore di divisione, ai suoi
ordini.
La Rivoluzione volge al termine con il Direttorio e l’impero, e non
appena Luigi XVIII ritorna, il conte di Lusignan lo raggiunge e si ar-
ruola volontario nella sua guardia. Al ritorno di Napoleone, egli ac-
compagnò il re fino alla frontiera e corse a spron battuto per raggiungere
Saint-Aubin-de-Baubigné, presso La Rochejaquelein, dove i capi
vandeani, che stavano organizzando la seconda corsa alle armi della
Vandea, lo accolsero presentandogli il diploma di aiutante generale.

Fig. 2.

Quando, nel 1832, la duchessa di Berry tenta di sollevare la Vandea


contro Tusurpatore al trono in favore del figlio esiliato - Enrico V -, Tite
de Lusignan è ancora presente! E i suoi, di questo vano sforzo,
conservano una partita di insegne del Sacro Cuore preparate in anticipo
in Vandea e che la stessa principessa distribuiva ai suoi partigiani.
Queste insegne ricalcano tutte uno stesso modello: su un rettangolo di
flanella bianca, un cuore ardente in panno rosso porta una croce dello
stesso colore; sopra, il grido della doppia fedeltà vandeana: DIEU ET LE
ROI.

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L'ICONOGRAFIA DEL CUORE DI GESÙ (U.) 267

Insegna del marchese di Razilly

Jean, marchese di Razilly, era di un’antica e nobile discendenza ai


confini fra la Turenna e Loudun, che risale a Renaud de Razillé, come
testimonia il cartulario dell’abbazia di Fontevrault, nel 1110. Egli
nacque a Filadelfia, mentre suo padre prestava servizio a Santo Domingo
in qualità di ufficiale degli ussari di Rohan.

All’epoca del primo ritorno in Francia di Luigi XVIII, Jean de Razilly


si imbarcò come allievo ufficiale di prima classe sul brigantino «le
Railleur»; ma, al ritorno di Napoleone, il marinaio lasciò la nave e andò
a Chàteau-Gonthier come volontario nelle file degli chouans di Manche i
quali, d’accordo con i Vandeani, si sollevarono in favore dei Borboni.
Egli fu nominato luogotenente, radunò il paese insorto e prese parte a
tutti i movimenti che vi si svolsero fino al definitivo ritorno del re. Fu in
questa campagna che portò lo scapolare che mi ha procurato con grande
cortesia il nipote, il conte Odart de Rilly. Si tratta di un rettangolo di
flanella gialla sospeso a un passamano per appenderlo; in mezzo, il
Cuore di Gesù in stoffa rossa porta una ferita nera; una corona verde
268 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

pallido lo circonda, sopra alla quale si erge una grande croce argentata a
punto catenella, che parte dal Cuore. Nella parte bassa dell’insegna, due
fioroni lavorati come la croce.
Con la sua stoffa stinta, le dentellature sfilacciate, un angolo strap-
pato, lo «scapolare» di Jean de Razilly ha l’aspetto magnifico di una
vecchia bandiera che ha fatto la guerra. Appena diciannove anni dopo,
potrebbe avere decorato il petto di quell altro marchese di Razilly -
Michel-Robert, zio di Jean e ufficiale di marina come lui - il quale, dopo
essersi arruolato nel reggimento degli Émigrés de Condé, passò in
Inghilterra per giungere in soccorso dei vandeani e fu abbastanza
fortunato da sfuggire al massacro dopo il combattimento di Quiberon.
Nell’esaminarlo, tutto lo fa pensare.

Insegna di Jean L. Hommedé

Molto semplice e assai grazioso, questo piccolo scapolare che sul


retro riporta in caratteri dell’epoca questa iscrizione: Jean L. Hommedé
capitain de paroisse. Su un fondo di stoffa nera, ha un cuore di panno
rosso sormontato da una grande croce dello stesso colore; il tutto è
circondato da una doppia palma verde.
Questo Sacro Cuore fu trovato in Vandea dall'illustre artista incisore
Octave de Rochebrune, ed è in seguito appartenuto alla figlia, la
contessa di Fontenioux; devo a suo figlio, il conte Raoul de Rochebrune,
dotto archeologo e collezionista, l’onore di riprodurlo qui.

Fig. 4.

I capitani di parrocchia, capi locali dei contadini vandeani, furono


spesso eroi magnifici le cui gesta eguagliarono per sublime nobiltà
quelle dei tipi più perfetti dell’antica grande cavalleria; come Joseph
Bonin di Saint-Armand-sur-Sèvre, che si era costruito una leggenda

irotetto da copyright
L’ICONOGRAFIA DEL CUORE DI GESÙ (W 269

ria e terribile spada da stocco con il manico di una padella e che fu, con
lamico Texier di Courlay, uno dei più bravi compagni di La Ro-
chejaquelein e uno degli artefici della vittoria di Boismé; come Jacques
Vendangeon, detto «Jacques le Sabreur», che ebbe la magnanimità di
fermare le persone della sua parrocchia, quando volevano uccidere
coloro che avevano appena messo a morte suo padre, la sua famiglia, i
suoi amici, perché questi massacratori si erano costituiti prigionieri;
come il capitano di Cerqueux-de-Maulévrier e Devaux che prese parte a
cinquantasei battaglie, e padre Francois Suire che morì martire; come
molti altri, e soprattutto Piene Bibard, il capitano della Tessouaille che
fu uno dei più ammirevoli contadini della Vandea: prigioniero da nove
giorni a Fontenay-le-Comte e brutalizzato senza tregua da un carceriere
bestiale, Bibard, non appena la città venne conquistata dai vandeani,
prese il carnefice sotto la sua protezione e gli salvò la vita.
Nell’apprendere dagli altri prigionieri questo gesto di grandezza
d’animo, La Rochejaquelein si getta al collo del contadino e lo abbraccia
gridandogli davanti a tutta l’armata: «Caro vecchio Bibard, non avrei
voluto per niente al mondo che ti fossi dimostrato meno generoso».
Quale abbraccio rituale valse mai per un barone dei tempi epici, quello
del glorioso marchese vandeano al contadino Bibard! Posso quindi
ripetere che questi contadini armati avevano degli animi da veri
cavalieri! Dopo il sacrificio dei loro beni e quello della loro vita, molto
spesso seppero fare il sacrificio più difficile, dei loro sentimenti più
naturali, più legittimi. È per questo che talvolta sbocciavano sulle labbra
di quei semplici delle sentenze che Corneille avrebbe adorato!
Ecco ciò che furono i cuori dei vandeani coperti dai Cuori di Gesù!

Insegna proveniente da Cholet

Ho ricevuto da una venerabile religiosa la comunicazione del povero e


vecchio «scapolare» qui presentato, che proviene dai dintorni di Cholet.
Su un rettangolo di bigello114 consunto dalla trama grossolana e i bordi
a smerlatura ondulata, è stato cucito un cuore di panno rosso.
Questo cuore e la croce che lo sormonta sono un pezzo unico di
stoffa; dal cuore cadono quattro gocce, ciascuna fatta con un «punto» di
lana, due di rossa e due di bianca.

114 [Panno di lana grezza a pelo lungo, AZ.d.7'.].

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270 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Fig- 5.

E vedendo che era già morto, i soldati non gli spezzarono le gambe. Ma uno dei
due gli aprì il costato con una lancia e ne uscì sangue misto ad acqua (Gv 19,33-34).

Il sangue e l’acqua, le gocce di lana rossa e le gocce di lana bianca!...


Nei tempi passati, il Vangelo era l’unico libro veramente familiare ai
nostri contadini dell’Ovest, e nelle lunghe veglie di Avvento o di
Quaresima, mentre gli uomini intrecciavano panieri o ruches e le donne
filavano la canapa o il lino, una voce di ragazza leggeva le sante
preghiere. Ancora oggi, in molte parrocchie dei cantoni di Chàtillon-sur-
Sèvre, Montcoutant e Cerizay (Deux-Sèvres) - il cuore dell’antica
Vandea militare - è un onore, di cui le madri sono fiere, quando un
bambino in età da cresima sa recitare a memoria la Passione secondo
san Matteo.
Ed ecco come che una povera vandeana, nel cucire su un pezzo di
stoffa grezza l’immagine del Cuore di Gesù, abbia potuto avere la felice
idea di evocare non solo il sangue, ma anche l’acqua di cui parla il
Vangelo.
Non conosco altri esempi di questo tipo né in pittura né in ricamo,
nemmeno in altre forme d’arte: nel campo della devozione, i semplici
hanno talvolta delle intuizioni e delle idee magnifiche che sfuggono ai
dotti e di cui gli esperti restano stupiti.

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L’ICONOGRAFIA DEL CUORE DI GESÙ (H) 271

Insegna anonima della collezione Rochebrune

Il conte Raoul de Rochebrune ha voluto offrirmi un’altra insegna delle


guerre vandeane proveniente anch essa dalla collezione del grande artista
che fu suo padre.

Fig. 6.

È uno «scapolare» ovale in flanella bianca tutt'intorno dentellata; il


cuore in stoffa rossa, imbottito in modo che abbia un rilievo convesso, è
cinto da una corona di spine; piccole fiamme rosse escono dal cuore ai
piedi della croce, che è dello stesso colore. Un fine ricamo ovale in seta
verde circonda il cuore.
In origine aveva solo l’ovale di flanella bianca dentellata che si fissava
all’abito mediante un passamano che si trova sul retro. Successivamente,
sul passamano fu posta una grande croce di flanella bianca decorata con
una croce rossa più piccola, di mollettone, mentre il cuore è in sargia
rossa, più vecchia. Due parti distinte, dunque, in questa insegna; ritengo
che, portata durante la grande guerra, venne utilizzata anche nella

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272 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

seconda rivolta, e accresciuta allora dalla grande croce più recente della
parte ovale, comunque antica.

Sacro Cuore di Catherine Joussemet de la Longeais

Abbiamo visto in precedenza il disegno che orna una effigie di carta


autenticamente attribuita a Catherine Joussemet de la Longeais, la quale
fu condannata a morte, a Nantes, per essere stata trovata in possesso di
più di duecento disegni del Sacro Cuore, di sua produzione, che
distribuiva ai combattenti dellesercito vandeano.

La signora Pervinquière di La Roche-sur-Yon, nipote di Catherine


Joussemet, mi ha trasmesso un’altra effigie ugualmente disegnata e
dipinta dalla pia vittima, conservata con venerazione da madame de la
Borde, nel suo castello di Boisniard, nei pressi di Chambretaud
(Vandea).
Al centro dell’effigie il Cuore di Gesù ferito e dipinto in rosso pallido
è sormontato da un fascio di fiamme dominate da una croce, an- ch essa
rossa. Il cuore occupa il centro di una larga corona di spine.
Questo disegno fatto e colorato completamente a mano, è posto nel
mezzo di un rettangolo formato da quattro segni di colore arancione.
Attorno al bordo esterno, si snoda in corsivo la seguente iscrizione:

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L’ICONOGRAFIA DEL CUORE DI GESÙ (H) 273

O Sacré-Coeur de Jésus, Cceur de mon doux Sauveur, donnei au


mieti pour vous ime pareille ardeur («Sacro Cuore di Gesù, cuore del
mio caro Salvatore, infondete nel mio un simile ardore per voi»).
Dietro all’effigie, un'altra iscrizione ci indica che Catherine Jousse-
met di La Roche-sur-Yon venne fucilata a Nantes nel gennaio 1794 per
avere seguito l'esercito vandeano fino a Savenay e avere distribuito degli
emblemi religiosi!
Così, l’effigie del castello di Boisniard conferma la nota di Fillon, già
pubblicata in Regnabit e relativa all’altra effigie, quella della collezione
Parenteau. Luna e l’altra affermano che Catherine Joussemet de la
Longeais, anziana religiosa della Congregazione delle Figlie di Notre-
Dame, venne condannata a morte e fucilata per avere fatto e distribuito
fra i vandeani le immagini del Cuore di Gesù.
La sua condanna è dunque una delle più esemplari fra quelle che
motivarono a portare e a diffondere le effigi e le insegne del Sacro Cuore
durante le guerre controrivoluzionarie dell'Ovest.

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Capitolo 28
L'iconografia del Cuore di Gesù
negli eserciti controrivoluzionari della Vandea
(III. Documenti vari. L’Ordine di san Michele degli chouans)

Nel precedente capitolo, abbiamo visto l'eroica rivolta dei paesi


dell'Ovest contro le persecuzioni che la Rivoluzione faceva pesare sulla
Francia, svolta sotto le insegne del Sacro Cuore di Gesù e della coccarda
reale.
Subito dopo il reclutamento di Cathelineau a Pin-en-Mauges, tutta la
regione che avrebbe poi formato la Vandea militare - Poitou, An- jou e
paesi di Nantes - era sull’attenti. Con Cathelineau, proclamato
generalissimo, D’Elbée, Bonchamp, Stofflet guidarono l'Anjou; il
marchese di Lescure e Henri de la Rochejaquelein con De Marigny, De
Baudry d’Asson, De Sapinaud, De Royrand, De Beauvollier, La Ville-
Beaugé comandarono il Poitou nelle regioni di Bressuire e di Parthenay;
i figli di Bocage, di Marais, del Bas-Poitou e di Nantes marciarono con
Des Essarts, Des Nouhes, De Béjarry, l'epico cavaliere Charette de la
Contrie e il principe di Talmont.
Il 2 maggio 1793 fu conquistata la città di Bressuire: seguirono
Thouars, Fontenay-le-Comte, Cholet, Saumur, Chinon.
Il 18 ottobre le «armate cattoliche e reali» passarono la Loira e furono
successivamente ad Angers, Lavai e Dol. Contro i vandeani vittoriosi
sulle truppe locali, la Rivoluzione mandò i suoi migliori generali alla
testa di armate che avevano combattuto all'estero, e per tutto il tempo
che il Terrore gravò sulla Francia, la Vandea si batté giorno e notte fino
a quando, morti nella lotta i grandi capi e svaniti i sogni, essa accettò
l’amnistia che la Rivoluzione offrì assieme alla tolleranza religiosa.
Ma quando più tardi Napoleone, di ritorno dall’isola d’Elba, fece in
modo che il re legittimo, dopo i «cento giorni», prendesse di nuovo la
via dell'esilio, la Vandea che aveva acclamato la restaurazione del trono
di san Luigi mise mano nuovamente alle armi agli ordini di Louis de la
Rochejaquelein, Suzannet, D’Autichamp e dei figli dei precedenti grandi
comandanti.

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L’ICONOGRAFIA DEL CUORE DI GESÙ (N) 275

Queste due levate darmi furono l'epopea più nobilmente disinte-


ressata, la più cavalleresca che nessun altra provincia di Francia abbia
mai scritto con il suo sangue in onore della fedeltà a Dio e al re, inviato
da Dio; quegli anni di eroiche lotte, dice monsignor Pie, furono ricolmi
di «duecento conquiste e riconquiste di città, settecento combattimenti
minori, diciassette grandi battaglie campali» ’, incendi di centinaia di
città, lo spaventoso olocausto di migliaia di combattenti e di martiri.
Abbiamo visto che l’efficace devozione che sostenne soprattutto il
coraggio straordinario di quegli eroi contadini e di quei gentiluomini, da
loro stessi nominati comandanti, fu un culto ardente verso il cuore
trafitto del Salvatore, il cuore vittima espiatoria, che essi portavano quale
segno ostentato di appartenenza sul loro petto. Oltre a questa insegna,
divenuta ufficiale, il culto del Sacro Cuore si espresse fra loro anche con
il portare una moltitudine di oggetti marchiati con l’immagine del cuore
divino.

Fig. 1. Medaglia di piombo o stagno e argento, 1791, grandezza reale.

Eccone alcuni fra quelli che ci sono rimasti115 116: dagli esordi della Ri-
voluzione, due anni prima della rivolta armata, quando già gli oggetti
religiosi non si fabbricavano più da nessuna parte e non si vendevano più
alla luce del sole, in Vandea si fondevano clandestinamente delle
medaglie di piombo che portavano sul dritto il Cuore di Gesù con
l'iscrizione Ego dilexi vos in fìnem («Vi ho amato fino alla fine») e la
data 1791 ; sul rovescio, il cuore di Maria con la frase tratta dallo Sta-
bat Mater; «Doloris pertransivit gladius» («Una spada di dolore la tra-
passò»).
Un esemplare di questa medaglia di piombo si trovava nella colle-
115 Mons. Pie, Oraison funebre de la marquise de La Rochejaquelein.
116 Gli oggetti raffigurati in questo articolo sono stati incisi su legno dall’autore a grandezza
reale, salvo indicazione contraria.

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276 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

zione Parenteau di Pouzages, e attualmente dovrebbe essere al Museo


Archeologico di Nantes; un altro in lega d’argento e stagno apparteneva
nel 1898 a frate Fulgent, direttore della Scuola congregazionista di
Chàtillon-sur-Sèvre (Deux-Sèvres). Non mi stupirei se queste medaglie
fossero state fuse a Saint-Laurent-sur-Sèvre, centro religioso della
Vandea durante la Rivoluzione.

Fig. 2. Cuoricino in rame rosso, grandezza reale, spessore 2 millimetri.

Cuoricino in rame fuso e battuto, destinato a essere portato come


medaglia, raccolto nei dintorni di Saint-Amand-sur-Sèvre (Deux-
Sèvres). Di buono spessore ma completamente piatto, la ferita del colpo
di lancia non vi figura affatto; tuttavia, non ce da esitare sul suo carattere
religioso, né sulla datazione. Esso ricorda quei cuoricini di piombo con
cui gli abitanti di Beaufou sostituirono verso la fine del secolo XVIII il
cuore di stoffa che avevano portato sui risvolti degli abiti, come abbiamo
visto nell’articolo precedente: è comunque un monile devozionale
contadino.
Ecco un'altra medaglia che proviene dallo stesso borgo di Mont-
coutant (Deux-Sèvres), dove fermentò la prima rivolta armata della
Vandea controrivoluzionaria: un giorno un vandeano trovò questo
gettone, vecchio di circa duecento anni; egli credette di vedervi due
cuori sotto la corona reale di Francia - due cuori regali - ed ebbe la felice
idea di farne un oggetto di devozione trasformando questi due cuori
profani neH'immagine di quelli di Gesù e Maria e, molto semplicemente,
con l’aiuto di un martello e della punta di una lama, incise su quello di
destra i H s - l’abbreviazione del nome di Gesù - e sull’altro l’iniziale M
del nome di Maria. Fece un foro sopra la corona per lasciar passare
l’anello di sospensione e la medaglia fu belle fatta.
Ma, se si guarda il rovescio, si vedono due volti di profilo sovrapposti
in prospettiva, con la gorgiera al collo e la corona in testa; la legen-

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L’ICONOGRAFIA DEL CUORE DI GESÙ (TU) 277

Fig. 3. Gettone di matrimonio di Luigi XIII, trasformato in medaglia di devozione.

da latina che li accompagna ci dice che sono i volti di «Luigi XIII, per
grazia di Dio re di Francia e di Navarra, e di Anna d’Austria-Spagna».
Vogliate credere che il vandeano che portò sul petto l'antico gettone
del matrimonio reale - poco prima forse di dare la vita per il suo Dio e
per i figli del Re - fu certamente fiero di ostentare quell’inge- gnosa
insegna, in cui due cuori riassumevano le sue due eroiche fedeltà: Gesù e
Maria con il re e la regina di Francia!
Su questo souvenir del matrimonio reale del 1615, i due cuori sono
uniti da tre cartigli in cui si leggono i nomi delle tre virtù teologali: CA-
RITAS, SPES, FIDES. Più in basso, un giglio di Francia - malamente ri-
prodotto - con le due iniziali L (Luigi) e A (Anna). Sotto, il nome del-
l'incisore: Hans Lauffer. I Lauffer erano dei medaglisti di Norimberga
che incisero abbondantemente per conto dei re di Francia Enrico IV,
Luigi XIII e Luigi XIV.

Fig. 4. Timbro controrivoluzionario vandeano, dalla collezione Max Deloche.

Per merito del mio distinto confratello degli Antiquari dell'Ovest Max
Deloche, possiedo l’impronta di un sigillo controrivoluzionario
vandeano della sua preziosa collezione.

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278 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Al centro dell’area piatta e oblunga di questo sigillo, lo stemma dei


Borboni è cimato dalla corona reale; tutto attorno, due rami di quercia e
lauro lo accompagnano e sono uniti - oserei dire annodati insieme -
dall’immagine indubitabile del Sacro Cuore di Gesù, come per dire ai
difensori di Dio e del re che ogni forza e ogni vittoria possono venire
soltanto dal cuore del Salvatore onnipotente.
Attorno al timbro si sviluppa l’acclamazione vandeana LA RELIGION
ET LE ROY! («La religione e il re!»).
I combattenti vandeani non si accontentarono di portare sul petto 1
adorata immagine del Cuore Divino; taluni marchiarono anche le armi
stesse: lo testimonia questa pistola ad avancarica, grossa arma corta e
tozza di fabbricazione inglese di cui devo la conoscenza a don
Courteaud, curato di Adilly, proveniente da Neuvy-Bouin (Deux-
Sèvres).

Fig. 5. Cuore inciso a coltello su un’arma proveniente da Neuvy-Bouin (Deux-Sèvres).

Lo chouan che se ne servì incise sul calcio due cuori con la punta di
un coltello; l’uno, caratterizzato dalla croce e afflitto dalla ferita, è
incontestabilmente il Cuore di Gesù, e l’altro, cimato da un inelegante
giglio di Francia, è il Cuore di Maria.
Nel raffigurarli così, uno dentro l’altro, la mano che li incise seppe
abbordare, mediante la semplice dirittura della sua fede, la grande tesi
teologica tanto cara a padre Montfort: la venuta di Gesù attraverso
Maria. Dal lato pratico, la raffigurazione dei due Cuori aveva il
vantaggio di occupare poco posto sulla parte bombata del calcio del-
l’arma.
Nel prossimo capitolo, dedicato a quello che fu - nella fattispecie - il
«monile vandeano», vedremo i due cuori della Vergine e del suo Figlio
divino accostati nelle forme più artistiche, più araldiche, ma non
altrettanto chiaramente comprensibili.
Come tipo di cuore fissato su delle armi, ne raffiguro qui uno di rame
- a un terzo soltanto della sua dimensione reale - piatto e leg

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L’ICONOGRAFIA DEL CUORE DI GESÙ (HI) 279

germente molato ai bordi, che fu rinvenuto da madame De la


Rochebrochard-Tinguy durante la ristrutturazione dell'antico castello di
Cerizay (Deux-Sèvres), del quale Gobillaud, sindaco di Moulins, mi ha
gentilmente mandato un disegno fedele.

Fig. 6. Placca cordifonne in rame proveniente dall'antico castello di Cerizay,


(Deux-Sèvres), un terzo della grandezza reale.

Sei rivetti sulla placca di rame servivano a fissarla sul cuoio di un


budriere da sciabola. In questo oggetto non vedo certamente l'immagine
del cuore di Gesù; lo ritengo addirittura staccato da un finimento
dell'armata rivoluzionaria, tanto è sorprendente la somiglianza con i
«risvolti» cordi formi di fabbricazione nantese che recano riscrizione
RÉPUBLIQUE FRANf AISE3. Ma il fatto che sia stato trovato nel castello
di Cerizay, occupato dai vandeani, nascosto insieme a un medaglione
ottagonale rappresentante l'Annunciazione, mi fa pensare a un trofeo
raccolto probabilmente sul campo di battaglia da un vandeano il quale,
disprezzando l'origine e il carattere profano di questo cuore, lo avrà
nascosto con lo stesso titolo e con lo stesso sentimento devozionale della
medaglia della santa Vergine trovata con esso. Non vale la pena di
ricordarsi che la buona e diritta intenzione purifica tutto, divinizza tutto?
Devo alla cortesia del conte Jean de Villoutreys se posso qui ripro-
durre un documento inedito e di prim'ordine, che ci dà per certa resi-
stenza finora appena sospettata di una sorta di ordine o di società - forse
un po'segreta - fra gli insorti cattolici e monarchici: l’Ordine di san
Michele degli chouans (è noto che il nome di chouans - alterazione della
parola chat-huantA - fu dato agli insorti dell’Ovest nel 1793,

1
Cfr. Parenteau, Invenlaire Archéologique, p. 99, tav. 46, n. 8-9.
4
[In italiano, «allocco», «barbagianni». N.d.T. J.

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280 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

J» PAR IX ROt DE FRANGE ET. Ut NAv ARE»

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,qui «pt au Firoument, corame le» giains vie <ible
qui «on?au bord de h Mcr-

FA«T «O Conseil le
fan de grifo 179

Fig. 7. Diploma dell’ordine di san Michele degli chouans.

perché di notte si riconoscevano e comunicavano a distanza imitando le


variazioni di ululato dei gufi).
Il curioso documento di De Villoutreys è un esemplare del diploma di
tale ordine. Sotto le armi araldiche reali accompagnate dalla divisa
vandeana DIEU ET LE ROI, riporta il seguente testo:
De par le ROI DE FRANCE ET DE NAVARRE
SALUT à vous Frères de l’Ordre Royal de S' Michel, sumommés CHOUANS, apuis
de la Réligion et du Tróne.
Nous, Membres du Conseil, en correspondence avec les puissans Concur- rateurs,
avons délivré et délivrons par cette présente à brevet de propagandi- ste de l’Ordre
de CHOUANS Royalistes, en foi de quoi avons signé le présent.
Je multiplirai votre race comme les Étoiles qui sont au Firmamene coni- me les
grains de Sable qui sont au bord de la Mer.
FAIT au Conseil de fan de grace 179.
(«Da parte del Re di Francia e di Navarro, SALUTE a voi, Fratelli dell'Ordine
Reale di San Michele, detti CHOUANS, sostegno della Religione e del Trono.

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L'ICONOGRAFIA DEL CUORE DI GESÙ (IH) 281

Noi, Membri del Consiglio, di concerto agli autorevoli Cooperatori, abbiamo


deliberato e deliberiamo con la presente il diploma di propagandista dell’Or- dine
degli CHOUANS Monarchici, in fede del quale abbiamo firmato la presente. Che la
vostra discendenza sia come le Stelle del Firmamento, come i granelli di Sabbia
delle rive del Mare. Delibera del Consiglio dell’anno di grazia 179»).

Al di sotto, come sigillo dell’ordine, il cuore di Gesù nei raggi di una


gloria circondata da queste parole: VOILÀ LE CCEUR QUI A TANT AIMÉ
LES HOMMES ET DONT IL EST si PEU AIMÉ («Ecco il cuore che tanto ha
amato gli uomini ed è così poco amato da essi»).
È il compendio del testo di santa Marguerite-Marie Alacoque, che
letteralmente è:
Ecco questo Cuore che tanto ha amato gli uomini, che nulla ha risparmiato fino a
sfinirsi e a consumarsi per testimoniare il suo amore per loro e, per riconoscenza, io
ricevo soltanto l’ingratitudine delle loro irriverenze e dei loro sacrilegi e la
freddezza e il disprezzo che hanno per me nel sacramento d’amore117.

Non c’è da dubitare che i fondatori dell'Ordine di san Michele degli


chouans conoscessero questo testo, e il timbro del loro diploma - che qui
riproduco nelle sue dimensioni reali - resta il documento più preciso che
meglio parla del culto del Cuore di Gesù nelle armate contro-
rivoluzionarie dell’Ovest.

Fig. 8. Timbro dell’ordine di san Michele degli chouans, grandezza reale.


Fino ad ora non abbiamo ragguaglio alcuno su ciò che riguarda tale
ordine, che pare sia stato piuttosto segreto, e la cui creazione - immagino
- ha forse seguito molto da vicino la pacificazione apparente della
Vandea, verso il 1795.
Suppongo anche che all’ordine di san Michele degli chouans siano
collegate le conchiglie di piombo e stagno fuse in Vandea, sia negli
117 Mons. Gauthey, Vie et Oeuvres de S" Marguerite-Marie, t. Il, p. 102.
282 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

ultimi anni del secolo XVIII sia all’epoca delle rivolte del 1815 e della
chouannerie del 1830. Fornisco qui la riproduzione di due diversi tipi di
conchiglia. Una di esse (fig. 9), che ricalca secondo me il primo
modello, l’ho avuta dal canonico Pierre Charbonneau, ex curato di
Bressuire: il Sacro Cuore vi figura solo, al centro della concavità della
conchiglia.

Figg. 9-10. Conchiglie in stagno e piombo di origine vandeana.

L’altra conchiglia (fig. 10) si trova nella collezione Parenteau. È del


tipo del 1830; l’iniziale del Conte di Chambord, Enrico V di Francia, fa
da guardia, oserei dire da custode, al cuore di Gesù, e tutto intorno un
cartiglio porta queste parole N.-DAME ET SAINT MICHEL PRIEZ POUR
NOUS («Nostra Signora e san Michele, pregate per noi»).
L’invocazione all’arcangelo vittorioso vi figura qui a doppio titolo,
anzitutto perché fu il protettore ufficiale della monarchia francese e poi
perché il conte di Chambord nacque il giorno della festa di san Michele,
il 29 settembre.
Lo stampo che servì per fondere questa conchiglia proviene dal ca-
stello di Angebaudière, Comune di La Gaubretère (Vandea). Nel 1898
apparteneva alla famiglia De Saint-André6.
La nobiltà del Poitou annoverava sotto Luigi XV e Luigi XVI un certo
numero di cavalieri dell’antico grande Ordine Reale di san Michele
fondato da Luigi XI nell’illustre Abbazia di Mont Saint-Michel; non
sarei per nulla sorpreso se l’Ordine di San Michele degli chouans fosse
stato organizzato più o meno direttamente da uno di loro.

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283 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

È risaputo che la collana dell’Ordine fondato da Luigi XI era formata


da cordoncini intrecciati e conchiglie d’oro, e che una delle principali
insegne dei pellegrini dell’abbazia di Mont Saint-Michel - fin dal Medio
Evo - fu la conchiglia di piombo al centro della quale l’arcangelo
vincitore, spada levata e ali spiegate, prossimo al volo di gloria, calpesta
il drago sconfitto.
Il fatto che le nostre conchiglie vandeane pollino il Sacro Cuore,
invece dell'immagine arcangelica, non può bastare per rendere infondata
l’ipotesi di una relazione fra esse e l’Ordine di san Michele degli
chouans, dato che il diploma di questa società - che dobbiamo al conte di
Villoutreys - porta anch’esso, come sigillo, il cuore di Gesù in vece e nel
posto del sigillo dell’antico Ordine di Luigi XI, in cui appariva il
combattimento fra l’arcangelo e Satana.

* Cfr. Parenteau, Inventaire Archéologique, p. 94, n. 10.

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Capitolo 29
L’iconografia del Cuore di Gesù
negli eserciti controrivoluzionari della Vandea
(IV. Gli antichi monili: cuori del Poitou e anelli.
Altri monili delle ultime rivolte)

Invece di essere quasi sempre insignificanti come quelli dell’industria


attuale, molto spesso i monili di un tempo avevano un significato che le
forme e la decorazione manifestavano al primo sguardo o, almeno,
avevano un’anima che occhi attenti potevano intravedere.
Se questo è assolutamente vero per gli antichi monili civili, a maggior
ragione lo si può dire dei monili religiosi. Infatti, se i nostri padri se ne
servirono spesso a titolo di talismani devozionali ed essi furono ai loro
occhi come delle preghiere che l’arte aveva avuto il dono di
materializzare - di fissare nella bellezza delle forme -, spesso li porta-
rono anche come manifestazioni esteriori della fede, della devozione,
delle affezioni spirituali o della speranza delle anime. È proprio questo,
in primo luogo, il carattere dei monili così rozzi, consunti o deli-
ziosamente ingenui che fossero, durante le guerre controrivoluzionarie
nelle province delI’Ovest.
Abbiamo già visto che la maggior parte di questi oggetti devozionali
affermavano e glorificavano al tempo stesso un indomabile attaccamento
a Dio e al re legittimo di Francia. Essi furono energiche professioni di
fede, eloquenti dichiarazioni.
Fin da quando la persecuzione religiosa rivoluzionaria aleggiava sulla
Francia, due anni prima della rivolta militare furono fatte fabbricare in
Vandea delle medaglie di piombo e di altra bassa bigiotteria in onore del
Sacro Cuore; possiamo concludere senza esitazione che tutti i monili
locali più antichi, rappresentando la stessa immagine divina, furono
portati sempre con fervore durante quello spaventoso tormento che tutto
un popolo sfidò con fierezza.

Il cuore del Poitou, origine e tipi

Ora, da due secoli almeno, il Poitou era in possesso di un monile lo-


cale, unico nel suo genere fra le gioie dello scrigno nazionale delle
province di Francia; si tratta del cceur-poitevin, semplice o doppio,

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L'ICONOGRAFIA DEL CUORE DI GESÙ (W) 285

conosciuto attualmente con il nome inesatto di «cuore vandeano». Dico


inesatto perché questo monile è più antico della creazione della parola
geografica «Vandea» e, d’altra parte, anticamente si portava nella
diocesi di Poitiers come nell'attuale territorio di Lu$on.
Il coeur-poitevin semplice si compone essenzialmente di una sottile
lamina piatta di metallo a forma di cuore, appunto, che lascia al centro
uno spazio vuoto. Dietro, una spilla a pressione la cui punta si blocca in
un gancetto, serviva a fissarla sia all’abito sia sul cappello.
Nel coeur-poitevin doppio, due cuori identici a quello semplice si
fondono armoniosamente, compenetrando fra di essi le loro linee curve.
Solitamente, il monile è sormontato da una corona o un diadema
ondulato che sovrasta la croce.
Prima della Rivoluzione questi cuori erano fatti solitamente d argento,
alcuni in rame, eccezionalmente in oro. Il diritto è quasi sempre ornato
da un disegno di linee spezzate praticato a punta.
Il tipo più antico che conosco di coeur-poitevin è inciso profonda-
mente sul castone di un anello di rame massiccio del Museo degli An-
tiquari dell’Ovest a Poitiers, di provenienza locale (fig. 1). Ho studiato
questo anello con il dotto archeologo e sigillografo Max Deloche, e lo
riteniamo almeno del secolo XVII.

Fig. 1.

Attribuisco un grande cuore doppio (fig. 2) della collezione del conte


Raoul de Rochebrune, alla fine del regno di Luigi XI o alla prima parte
di quello di Luigi XV. La corona che lo sormonta è decorata da sette
perle che portano ciascuna un ornamento stellato. Questa corona
autorizza la mia attribuzione cronologica, perché la sua forma
straordinariamente arcuata si ritrova nell’araldica lapidare dello stesso
periodo in Poitou. La si direbbe segnatamente copiata da quella che
sovrasta lo scudo di Pierre de Mondion nella chiesa di Chassei- gnes, nei
dintorni di Loudun (Vienne), del 1733.

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286 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Fig- 2.

Riguardo alle corone, diciamo subito che per quelle che sormontano i
cceurs-poitevins antichi si è quasi sempre evitato di dare loro lo stesso
numero di perle delle corone nobiliari di conte e visconte, che
nell'araldica francese ne hanno nove o cinque; quelle dei cceurs-
poitevins ne hanno generalmente sette o cinque, eccezionalmente tre
fioroni (figg. 3-4).

Fig. 3. Fig. 4.
Quando il cuore porta una corona non periata, il numero delle on-
dulazioni non è fisso e va da tre a sette; ecco due antichi cuori di Deux-
Sèvres (figg. 5-6) che hanno visto 1 epoca eroica. Il più piccolo mi
appartiene.

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L’ICONOGRAFIA DEL CUORE DI GESÙ (IV) 287

Fig. 5. Fig. 6.

Il secolo XVIII può rivendicare anche la deliziosa fibbia-fermaglio


formata da un cerchio d’argento e ornata da tre cuoricini doppi,
incoronati come quelli grandi (fig. 7).
La stessa epoca conobbe inoltre un tipo di cuore semplice, contorto e
appuntito, attraversato da una freccia orizzontale od obliqua che si
portava al nastro del cappello da uomo.
In un articolo intitolato «Le Cceur Vendéen», apparso nel 1904 nella
Revue du Bas-Poitou, Baudouin e Lacoloumière hanno descritto così il
cceur-poitevin che portava sul cappello il celebre comandante vandeano
La Rochejaquelein: «Questo cuore ovale dalla punta obliqua rivolta a
destra possedeva una corona a nove dentelli o perle, che era sormontata
da una croce latina ornata; inoltre, portava una freccia con la punta a
sinistra, quasi orizzontale».

Fig. 7. Fig. 8.
Il conte Raoul de Rochebrune non possiede questo storico cuore nella
sua preziosa collezione, ma ha quello che portò - anch’egli sul cappello -
il nipote del grande La Rochejaquelein, ucciso sulle rive dell’Atlantico
nella battaglia di Mattes, durante la seconda rivolta della Vandea del
1815 (fig. 9). È un monile uguale a quello portato da suo zio, secondo i
precitati autori, con la differenza che su quello del 1815 la corona non è
sormontata da perle ma da fiamme, che la freccia è molto obliqua invece

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288 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

di essere orizzontale, e che il cuore porta l’acclamazione vandeana DIEU


ET LE ROI! scritta in quel gotico incerto e stravagante che dà inizio al
Romanticismo.

Fig. 9.

Considero posteriori alla Rivoluzione anche gli antichi cuori il cui


centro è ornato da un giglio di Francia: appartengono a un tipo fab-
bricato sotto Luigi XVIII e Carlo X e che fu molto in uso durante la
chouannerie del 1830.
Ritengo che si debba ugualmente attribuire al primo quarto del secolo
XIX, se non con più certezza, forse, al regno di Luigi XVI, un magnifico
anello di fabbricazione poitevina che appartiene a madame Lartigue di
Loudun (fig. 8). Sulla montatura d’oro, il doppio coeur-poitevin è
decorato con una luminosa fascia di diamanti che gira per tutta la
circonferenza. Al centro del cuore, l’incarnato si legge nei riflessi quasi
malva di un rubino e la corona tradizionale è qui sostituita da un motivo
di oreficeria che esalta tre piccoli diamanti. Il cerchio d'oro si unisce ai
cuori mediante un fiorone che gli antichi orafi hanno usato spesso nel
Poitou.
Portato lontano dalla culla natale da eventi di cui conserverà il se-
greto, questo delizioso e sontuoso gioiello è stato trovato verso il 1857
sull’isola di Cuba.
L’industria moderna ha ripreso la fabbricazione del coeur-poitevin,

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L'ICONOGRAFIA DEL CUORE DI GESÙ (W) 289

Fig. 10.

ma troppo spesso lo ha ornato al centro di svariati motivi: crocifissi,


moscature d’ermellino, stelle, gigli di Francia di deplorevoli forme,
fiamme, ecc. Molte di queste creazioni sono delle sgradevoli alterazioni
di tipo secolare, ma sopra tutte si pongono le felici produzioni della ditta
Gérard-Levrier di Niort, che mira a ricondurre il gusto pubblico verso i
monili tradizionali dell’Ovest. Il doppio coeur- poitevin (fig. 9) altri non
è se non il fedele facsimile di un autentico cuore antico, sul quale è stato
290 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

aggiunto il giglio di Francia della Restaurazione. Nell’impresa artistica


di Levrier c'è qualcosa di più che una semplice operazione commerciale.

Significato religioso del cuore poitevino

Dunque, il Poitou possiede un tipico monile ancestrale, molto par-


ticolare nell'aspetto e assai araldico nella forma, che non ha potuto non
divenire tradizionale perché possiede un significato profondo.
Coloro che guardano solo le cose in superficie nel coeur-poiteviri ve-
dono solo un emblema dell’amore coniugale e non sanno che senso
plausibile attribuire al cuore unico, eppure originato dalla stessa idea che
fece nascere l'altro.
Nel precitato articolo, Baudouin e Lacoloumière riconoscono tuttavia
che i coeurs-poitevins sono il prodotto di una «influenza ignota,
probabilmente religiosa e di origine straniera, forse spagnola». Non sono
affatto d’accordo con questa ultima ipotesi, perché i cceurs- poitevins
non provengono particolarmente dalle rive dell’Atlantico dove, di fatto,
una colonna spagnola prese piede anteriormente alla seconda metà del
secolo XVII: l’area di ritrovamento dei più antichi fra questi monili porta
più alle regioni di Bressuire, Parthenay e Niort che sulla Vandea
costiera; addirittura alcuni, fra i più antichi, provengono dai dintorni di
Thouars, Loudun e Poitiers. Nel secolo XIX i centri di fabbricazione
sono stati Niort, Bressuire e Sables d’Olonne.
Quanto al senso reale e primario del cceur-poitevin, credo di essere
assolutamente nel vero designando il cuore semplice come una delle
figure più ieratiche, stilizzate e araldiche del cuore di Gesù, come per il
doppio cuore riunito di Gesù e Maria.
Mi sembra di trovare chiara conferma di questa interpretazione nella
composizione di uno stampo da cera del Poitou, accuratamente inciso su
legno delle Isole e che serviva nel 1710 a Migné nei pressi di Poitiers per
la fabbricazione di oggetti in cera fusa «da messere Francois Courbe,
mastro ceraiolo» (fig. 10).
Questo stampo di proprietà del notaio Houdaille è stato pubblicato
dall’esperto confratello della società degli Antiquari dell’Ovest, Émile
Ginot, al quale devo la possibilità di riprodurne qui l’impronta.
Il motivo centrale di questo stampo mostra esattamente il disegno del
doppio cceur-poitevin senza i due tratti interni che sono stati eliminati
per fare posto ai due monogrammi dalla forma antica 1 H S, Ihesus, e M R
A, Maria. A sottolinearlo, ciascuno dei due Cuori è ulteriormente
disegnato: quello di Gesù con il sole e quello di Maria con la luna;
vecchi simboli il cui significato non dà adito ad equivoci.
Sotto i Sacri Cuori compare il cuore del fedele, infuocato dall'ardore

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L'ICONOGRAFIA DEL CUORE DI GESÙ (W) 291

della sua devozione.


Il significato del coeur-poitevin semplice deriva naturalmente da
quello che ci svela lo stampo per cera del cuore doppio: non può essere
altro che l'immagine del Cuore di Gesù.
Aggiungo questo raffronto: nei secoli XVII e XVIII, i religiosi del
monastero della Visitazione di Loudun si dedicavano attivamente alla
fabbricazione di piccoli oggetti devozionali, specialmente di miniature
dipinte al centro di fogli di carta pergamena finemente intagliata.
Molte di queste immagini sono state conservate nella zona e il dotto
archeologo di Loudun, monsignor Barbier de Montault, ne ha donato una
partita di 315 al Museo di Poitiers. Una sessantina rappresentano sia il
Cuore Divino sia quello dei fedeli; alcune di queste piccole
composizioni mistiche ci mostrano raffigurato chiaramente il Cuore di
Gesù sormontato da una corona più o meno regolare da conte o da
visconte: è il tema del coeur-poitevin singolo. Come potrebbe non essere
uguale il significato?...
Quindi, è proprio il Cuore di Gesù al quale i nostri avi hanno voluto
rendere omaggio con il più nobile, il più particolare dei loro monili,
perché esso è la più nobile parte del corpo del Dio fattosi uomo, nonché
la fonte materiale del sangue che egli ha versato per la salvezza del
mondo.

Cuore poitevino profano?

A titolo di semplice documentazione, voglio confrontare il coeur-


poitevin tradizionale e cattolico con un tipo di cuore molto raro, più
sobrio, più spoglio...
Quello che riproduco proviene da Ardin (Deux-Sèvres). Come or-
namento ha soltanto un sottile rilievo ai bordi (fig. 11). Baudouin e
Lacoloumière ne hanno pubblicato uno che addirittura non ha nemmeno
questa lieve decorazione.
Non credo di sbagliare attribuendo questi freddi e austeri monili a
gruppi protestanti del Poitou e collocandoli nel secolo XVII.
In un altro dei suoi studi (che ho sottomano), Baudouin afferma che i
protestanti del Bas-Poitou avevano adottato il coeur come segno di
appartenenza alla fine delle guerre religiose del secolo XVI. Ancora

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292 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

oggi, al cimitero protestante di Pouzauges (Vandea), per la maggior


parte le tombe sono sormontate da un piccolo e basso zoccolo in pietra
da cui si diparte un lungo gambo di ferro, alla sommità del quale un
grande cuore piatto porta l’epitaffio del defunto. Non ho riscontrato tale
particolarità in altri cimiteri protestanti del Poitou.
Sarebbe interessante sapere se anche i ri formati attribuivano un’idea
religiosa ai loro cuori emblematici e, se sì, quale.

LCL
Gli anelli popolari con l’immagine del Sacro Cuore
Fig. II. Fig. 12.
I Musei e le collezioni del Poitou, dell’Anjou e di Nantes annoverano
un numero sufficiente di anelli del secolo XVIII ornati con l’immagine
dei Cuori di Gesù e di Maria perché possiamo essere sicuri che questi
monili popolari, come i coeurs-poitevins, abbiano goduto del favore dei
combattenti della Vandea militare.
In particolare, un modello mi sembra che fosse abbastanza diffuso
nell’Ovest. È l’anello detto «della Sacra Famiglia», nel cui castone tre
cuori sbalzati o scavati si presentano in varie combinazioni. Ne conosco
molti, e riproduco qui uno di quelli della collezione del conte Raoul de
Rochebrune (fig. 12).
Questi anelli potrebbero anche essere - come certi contemporanei
dello stesso tipo - la conseguenza di uno degli apostolati preferiti dai
sulpiziani, i quali, in quello stesso periodo, misero in circolazione un
monogramma devozionale fino ad allora inusitato, che riunisce le tre
iniziali dei nomi Jesus, Maria e Joseph.
Del resto, all’epoca era un tema iconografico in uso quello di rap-
presentare - come per esempio nel retablo della cappella dell’Hotel-
Dieu di Beaugé - «la Trinità della terra» in parallelo con «la Trinità

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L’ICONOGRAFIA DEL CUORE DI GESÙ (TV) 293

LCU

Fig. 13. Fig. 14.

del cielo»; e monsignor de Montault ’, il quale sottolinea questa usanza,


fa osservare che in numerose tavole del tempo che rappresentano la
Sacra Famiglia i pittori non hanno mai mancato di irraggiare il cielo
sovrastante. L’idea di questo emblema di gloria non sembra essere stata
dimenticata sul grazioso anello di De Rochebrune. Allo stesso modo,
appare attorno al triangolo trinitario posto sui Cuori di Gesù, Maria e
Giuseppe sul sigillo (secolo XVII) dei Benedettini di Saint-Jean-
d’Angely.
Max Deloche mi fornisce un altro anello della sua collezione, della
stessa epoca del precedente e di provenienza vandeana. Esso ha inca-
stonato un grande ovale schiacciato ai lati, all’esterno del quale si ve-
dono due Sacri Cuori dalla forma bizzarra, circondati dall’iscrizione À
LA GLOIRE DES CCEURS DE JÉSUS ET DE M. («Alla gloria dei cuori di
Gesù e di Mfaria]) (fig. 13).

Il Cuore di Gesù e i monili delle ultime rivolte vandeane

La seconda corsa alle armi della Vandea Militare contro Napoleone,


tornato dall’isola d’Elba, non durò a lungo, perché questa volta il nuovo
esilio di re Luigi XVIII fu solo di cento giorni, dal 20 marzo al 20
giugno 1815. Poco dopo il suo ritorno, si diffusero nell'ovest alcuni
nuovi monili che glorificavano la grande e doppia causa servita dalla
Vandea fin dal 1793, quella di Dio e del Re. Su alcuni di questi monili il
carattere religioso è manifestato dall’immagine del Cuore di Gesù. È il
caso di questa assai graziosa crocetta d’argento, proveniente da Cholet, i
cui bracci si diramano in gigli di Francia (fig. 14).
Anche la Chouannerie del 1832 ebbe una fioritura di monili politico-
religiosi fabbricati, credo, in Inghilterra.
Cosa fosse questo movimento è noto: nel 1826 la duchessa del Ber-

1
Cfr. Barbier de Montault, Traité d’iconographie Chrétienne, t. II, p. 126. ry, a nome di
294 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

re Carlo X, aveva compiuto in Vandea un viaggio che fu un


meraviglioso trionfo. Quattro anni più tardi, spodestato dal trono dal
cugino Luigi Filippo d’Orléans, Carlo X abdicava in favore del giovane
Enrico di Francia duca di Bordeaux e conte di Chambord, figlio del
defunto duca e della duchessa del Beiry, e prendeva con lui la via dell
esilio.
Due anni dopo, la madre del giovane principe si ricordò dell acco-
glienza dei vandeani e, nonostante il decreto di espulsione che colpiva
lei come suo figlio, affrontando tutti i pericoli con autentica spavalderia
da cavaliere, si recò in Vandea per organizzare militarmente la difesa dei
diritti legittimi del giovane Enrico V.
Vi furono certamente dei devoti alla causa della principessa fra nobili
e contadini, vi furono gruppi isolati di insorti che si organizzarono, ma
non vi furono eserciti; vi furono colpi di fucile attraverso le siepi sui
soldati orleanisti, ma non vi furono battaglie.
La Vandea guardava a Luigi Filippo come a un usurpatore, qual era;
ma non era affatto un tiranno. Le sue truppe in Vandea si opponevano
alle imprese dei legittimisti, ma al di là di questo non perseguitavano i
sacerdoti, né i nobili, neppure i contadini rimasti fedeli al vecchio re
decaduto. L’impresa cavalleresca della duchessa del Berry non poteva
riuscire.
Benché braccata da tutte le parti, nascondendosi sotto il nome di
«Petit-Pierre», la principessa volle raggiungere il figlio in esilio; aveva
già raggiunto clandestinamente Nantes per poi, da là, guadagnare il
mare. Fu in questa città che venne tradita e consegnata per denaro da
Deutz, uno di quei giudei che spuntano sempre, laddove possa ripetersi il
gesto di Giuda. Essa fu subito rinchiusa nella roccaforte di Blaye.
È ai moti insurrezionali del 1832 che si collegano i pendenti d’argento
formati dall’immagine del Cuore di Gesù, sostenuta da una catenina e
sormontata da una corona di fiamme e da una croce; sul Cuore
Fiscrizione incisa a puntasecca: DIEU ET LE ROI. HENRI v OU LA MORT
(«Dio e il Re, Enrico V o la morte»), o qualche altra acclamazione della
medesima ispirazione (fig. 15). Al di sotto pende una medaglietta con
l’effigie del giovane pretendente. La collezione di De Ro- chebrune
racchiude un esemplare molto bello di questo monile.
Fino alla morte, il conte di Chambord godette in tutto l’Ovest del-
l’appoggio della maggioranza. Ho visto o raccolto da vari siti dell’antica
Vandea Militare una varietà considerevole di medaglie o di piccoli
monili incisi in suo onore, e su qualcuno dei Cuori di Gesù e di Maria
viene evocata la grande devozione vandeana, come per esempio questa
medaglia, che da una parte porta le cifre regali circondate da quattro
corone e dall’altra il Cuore di Gesù con il millesimo 1792,

otetto da eoo
L'ICONOGRAFIA DEL CUORE DI GESÙ (W) 295

Fig. 15.

data del voto di Luigi XVI al Sacro Cuore nella Torre del Tempio, poi il
Cuore di Maria sopra al 1636, anno in cui il 15 agosto il re di Francia
istituì la cerimonia votiva che porta ancora il nome di «Processione del
voto di Luigi XVI».
Questa serie di oggetti relativamente recenti potrebbe allungarsi
ancora; io la termino con una medaglia comune in Vandea, il cui si-
gnificato può prestarsi a una discussione. Da un lato, l'effigie del conte
di Chambord, dall’altra, un’àncora, un cuore e una croce sovrapposti
simboleggiano rispettivamente la Speranza, la Carità, la Fede (fig. 16).
Questa interpretazione è del resto sicura perché altre meda-

Fig. 16.
glie dello stesso principe, che designano le stesse virtù teologali per
mezzo dei loro nomi scritti, non le raffigurano mediante gli emblemi dell

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296 SIMBOLI DEL CUORE Dì CRISTO

ancora, del cuore e della croce.


È dunque molto verosimile che a torto si è voluta vedere sulla me-
daglia in esame l'immagine del Cuore di Gesù raffigurato come sola
speranza del partito monarchico. Va comunque detto che, se questa idea
è stata sottintesa, è indubbio che non è espressa esplicitamente.

Termino qui questa panoramica sull’iconografia del Cuore di Gesù nei


paesi dell’ovest insorti contro la Rivoluzione.
Ho già descritto quali prove, quali spaventose sofferenze, quali reali
disastri l’insurrezione di un intero popolo a difesa dei suoi più sacri
diritti attirò su di sé e sul suo paese; ho già detto come il culto ardente
del Cuore Divino per questi eroi così semplici e così grandi fu la più
potente spinta e la suprema consolazione.
Vecchi scapolari da combattenti, vecchi monili fusi o forgiati in se-
greto nelle contrade; vecchi coeurs-poitevins degli antenati, sacri nei
tormenti per l’eroismo e il sangue dei figli; anelli o medaglie con l’im-
magine del Cuore adorato dove la fedeltà al re si unisce alla fedeltà a
Dio; povere e sante reliquie di una fede che non volle conoscere la ca-
pitolazione né il compromesso, ecco i gioielli dello scrigno epico della
Vandea del Poitou, di Angers, di Nantes.
E da questo insieme si sprigiona un profumo penetrante di poesia e
sacro eroismo, anche se alcuni fra i testimoni di quella lotta, incom-
parabili per bellezza, sono prodotti industriali - e tuttavia di che alta
ispirazione! -, per la maggior palle restano la creazione di sentimenti
individuali e spontanei. E sembra che il loro insieme canti meglio di
qualsiasi inno, fatto di parole, le virtù di questo popolo che seppe tra-
durre a suo modo, con il sangue dei suoi sparso a profusione, la frase dei
Maccabei: meglio per noi morire nella nostra semplicità che ab-
bandonare la Legge del nostro Dio e la causa del nostro re.

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Capitolo 30
Le «croci di padre Montfort»

In precedenza, ho riprodotto un buon numero di documenti icono-


grafici del Poitou relativi alla devozione del Cuore di Gesù 118 e, in par-
ticolare modo, agli oggetti che si collegano alla grande insurrezione
religiosa e monarchica della Vandea contro la Rivoluzione.
In molti brani del mio testo ho parlato della parte indiretta, ma
grandiosa e reale, che ebbe nelle cause efficienti dell eroica rivolta
Fazione del beato [oggi santo] Montfort, azione che gli sopravvisse.
Lo straordinario missionario, uomo stranamente originale, il santo che
fu Luigi Grignion de la Bachellerie, detto «padre Montfort», dal 1700 al
1716 evangelizzò di persona le diocesi di Poitiers, Lu^on, la Rochelle,
Angers e Nantes. Nel corso di quei lavori apostolici, fondò il primo
nucleo della congregazione dei Missionari della Compagnia di Maria, i
quali continuarono l'opera del fondatore, soprattutto nella medesima area
dazione.
Le popolazioni dell’Ovest, quindi, all'epoca della Rivoluzione si ri-
trovavano pregne degli insegnamenti e dello spirito cristiano seminati
così abbondantemente da Montfort e dai suoi figli, per tre generazioni. E
sotto il soffio cocente della persecuzione, la semente germogliò per dare
ben presto una magnifica fioritura. Si vide levarsi l'anima di un popolo
campagnolo, il più semplice di Francia, per servire a grandi compiti, a
una grandezza di sentimenti soprannaturali, un disinteressamento
materiale, una abnegazione della vita terrena tali da non poter essere
superati.
Tutte le testimonianze storiche concorrono a proclamare che questa
insorgenza di eroismo si manifestò primariamente e toccò l’apogeo nelle
contrade che oggigiorno formano il Nordovest della Vandea, il Nordest
del Deux-Sèvres, il Sudest del Maine-et-Loire, il Sudovest della Loira
inferiore, quindi, nella regione compresa in un raggio che ha

118 Regnabit, fascicoli dall’aprile al luglio 1922 [cfr. vari capitoli nel presente volume].

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298 SIMBOLI DEL CUORE Dì CRISTO

attorno al villaggio di Saint-Laurent-sur-Sèvre il suo perno centrale. Là


morì Luigi Grignion da Montfort; vi si trovano la sua tomba oggi
glorificata e le case madri delle famiglie religiose che fondò.
Negli ultimi due fascicoli di Regnabit119, don David, che conosce così
bene lo spirito di Montfort, ci ha meravigliosamente dimostrato le
grande parte che ebbe il Cuore di Gesù nella devozione personale e nell
apostolato del potente missionario.
Questo apostolato fu esercitato sulle folle con i più svariati mezzi:
posti di prim ordine spettano, alla stregua dei sermoni, ai cantici che
componeva e faceva cantare alla gente, ai grandi calvari che erigeva alla
fine della missione, ai crocifissi e alle croci che distribuiva per ricordo ai
fedeli.
Abbiamo visto nelle pagine così perfette di don David come Montfort,
nei suoi cantici, seppe orientare l’attenzione e la preghiera delle anime
verso il Cuore di Gesù come verso il punto da cui parte e da cui proviene
tutto ciò che può andare da Cristo all’uomo e dall’uomo verso il suo
Salvatore. Questi cantici sono giunti a noi perché sono stati scritti e
presto stampati; i calvari, eretti all’aria aperta, sono crollati sotto
l’azione degli elementi e del tempo, e le rare descrizioni che ci restano di
alcuni di essi non sono abbastanza dettagliate perché possiamo sapere
quale parte abbia avuto il Sacro Cuore nella loro ornamentazione.
Invece, nelle famiglie cristiane piuttosto numerose delle contrade che
egli evangelizzò, si conservano ancora oggi delle croci dette «crocifissi
di padre Montfort», che sarebbero state distribuite da lui nel corso delle
sue predicazioni.
Non conosco alcun testo antico che descriva questi crocifissi - ciò non
significa che non ce ne siano! - ma tutti i biografi del beato ci dicono che
le distribuzioni di questi oggetti devozionali rientravano nelle sue
abitudini apostoliche. Del resto, proprio all'inizio della sua opera,
quando, prostrato ai piedi di papa Clemente XI ricevette il titolo di
Missionario Apostolico, chiese e ottenne l’indulgenza della Buona
Morte per il crocifisso d'avorio che gli serviva nelle predicazioni; con
essa, probabilmente, ottenne al tempo stesso di poter distribuire al
termine di ogni missione, ai fedeli che avevano assistito ai trentatré
sermoni, delle piccole croci di carta o stoffa che portavano i nomi di
Gesù e Maria3.
È possibile che nel corso del suo apostolato padre Montfort abbia
sostituito queste fragili croci con quelle più resistenti che la tradizione
gli attribuisce.
A mia conoscenza, esse sono di due tipi:
119 Cfr. A. David, «Le Bx Louis Marie Grignion de Montfort, chantre du Sacré-Cceur», Re-
gnabit , aprile-maggio 1923.
’ Cfr. Pauvert, Vie du vénérable L.-M. Grignion de Montfort, Oudin, Poìtiers, 1876, p. 202.

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LE «CROCI DI PADRE MONTFORT» 299

I ) Delle croci abbastanza grandi di legno, decorate con un Cristo e


con soggetti vari inchiodati sulla croce.
2) Delle piccole croci in rame, fuse in un solo pezzo.
Nella sua Revue d'Archéologie Poitevine, monsignor Barbier de
Montault ha riprodotto l'immagine intera di uno di quei crocifissi di
legno, rinvenuto da sua sorella a Doué, Maine-et-Loire. Scrive il dotto
prelato: «In Poitou, oggetti di questo genere passano per essere stati
distribuiti ai fedeli dal beato Luigi Grignion da Montfort, fondatore dei
Figli della Sapienza, a Saint-Laurent-sur-Sèvre, dove si venera la sua
tomba, durante le sue popolari predicazioni»120.
Questa croce, che è in legno annerito, misura 34 centimetri di altezza
e si erge su un piedistallo a tre gradini; è ricoperta da elementi in stagno
indipendenti distaccati fra di loro e inchiodati sul legno della croce.
Attorno al corpo centrale di Gesù crocifisso, rappresentano la colonna
della flagellazione, il gallo di san Pietro, il teschio simbolico e
leggendario, la spugna e la lancia, le tenaglie, i chiodi e il martello, la
spada di san Pietro che tagliò l'orecchio a Malco, la corona di spine e la
targa della croce. Una decorazione ritorta di stagno segue i contorni della
croce, le cui estremità sono ornate da un fiorone trilobato.
II Sacro Cuore è assente in questa ornamentazione.
Lo è anche da quella di un altro crocifisso dello stesso tipo che nel
1898 era in possesso del curato di Varennes (Vienne), al quale si ri-
collega la stessa origine tradizionale e che monsignor Barbier descrive
assieme a quello di sua sorella.
Ma per molti altri non è così: nel 1917, uno di essi 121 mi fu mostrato
da don Davin, curato di Sigournais (Vandea) che lo aveva trovato nella
sua parrocchia.
Sopra il Cristo crocifisso, il Cuore Sacro di stagno applicato sul
braccio superiore della croce ne occupa tutta l'altezza; come una pro-
clamazione divina di amore supremo, esso domina l'insegna della re-
galità umana, LNRI, Gesù dì Nazareth, re dei Giudei.
La ferita di questo Cuore è messa fortemente in rilievo; singolarità
che, quando mi fu mostrata la croce di Sigournais, da sola bastò a

convincermi a prenderne il disegno esatto, la lancia attraversa com-


pletamente il Cuore e vi esce da dietro; sicuramente non perché lo
stagnaio avesse pensato sul serio che il Cuore del Salvatore fosse stato
«infilzato», se così posso dire, in quel modo dalla lancia del legionario,
ma forse per accostare maggiormente agli occhi dei semplici l’arma e la
120 Cfr. Monsignor Barbier de Montault, Revue d’Archéologie Poitevine, agosto 1898, p. 240.
121s In occasione di un articolo che pubblicai in quell’epoca, «Anciens emblèmes bas-
poitevins du Sacré-Cceur», Revue du Bas-Poitou, 1917, III.

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LE «CROCI DI PADRE MONTFORT» 300

ferita; oppure soltanto per pura distrazione della mano, che scavò la
pietra in cui fu colato lo stagno e che, avendo prolungato più del
necessario fino alla superficie del Cuore già scavato la scanalatura che,
con la colata, doveva dare rilievo al fusto della lancia, non volle rompere
il suo stampo e fare la fatica di inciderne uno nuovo.

Fig. 1. Sigoumais (Vandca).

Sulla croce di Sigoumais, come attorno a quella di monsignor Bar-


bier, una decorazione di stagno orna i bordi del legno e termina alle
estremità in fioroni trilobati. Sul resto della croce vi figuravano ancora,
nel 1917, il martello, le tenaglie e il fascio di verghe. Gli altri elementi
che vi erano attaccati sono andati perduti; la stessa croce era soltanto un
fragile frammento.
Un altro crocifisso, in buono stato di conservazione, appartiene al

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LE «CROCI DI PADRE
MONTFORT»
mio eccellente e distinto amico René Vailette, direttore della Revue du
Bas-Poitou, che lo ha trovato a Fontenay-le-Comte, sua città natale.
Come quelli di cui abbiamo parlato, il crocifisso di Fontenay si
compone di una croce di legno nero piantata su una scalinata ed è de-
corato da elementi di stagno: a metà altezza, Gesù inchiodato alla croce
e alla base la Vergine Maria in piedi, in conformità alla prosa
dell'ufficio dei suoi Dolori:
Stabat Mater dolorosa...
In piedi, vicino alla croce da cui pendeva il corpo di suo Figlio, la Madre
dolorosa piangeva.

Sul resto della croce di Fontenay, sono stati fissati anche il teschio, la
brocca di Pilato, il gallo di san Pietro e, sotto la targa della croce, INRI,
sopra la testa del crocifisso e proprio all’incrocio dei bracci del sacro
legno, una larga corona di spine circonda il Cuore infiammato e ferito.

Fig. 2. Fontenay-le-Comte (Vandea).

Una seconda corona di spine, purtroppo attualmente semicancellata


ma ancora abbastanza visibile, cinge il cuore stesso al di sopra della
ferita. Non riesco a capire perché l’immagine del diadema spinoso sia
ripetuta. Riproduco questo soggetto - come il precedente - a grandezza
reale.
Tre grandi gigli di Francia ornano le estremità di questo crocifisso,
che così riunisce l’emblema araldico della Francia di allora alle im-
magini delle tre grandi devozioni di Montfort: Gesù crocifisso, il Cuore
ferito e la Vergine Maria. E il simbolo di tutto ciò che la Vandea,

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302 SIMBOLI DEL CUORE. DI CRISTO

ottani anni dopo, difenderà con tutte le sue forze, con tutti i suoi averi,
con tutto il suo sangue.
Su uno dei pezzi di stagno, nella stessa fusione, è stata segnata la data
del crocifisso di Fontenay: 1716. Il diciottesimo giorno di aprile di
quell’anno Luigi Grignion da Montfort rimise a Dio la sua anima
ardente.

Le croci della seconda delle categorie sopra citate, dette anche nelle
campagne dell’ovest «croci di padre Montfort», sono di piccole di-
mensioni e la loro altezza varia da cinque a dieci centimetri. Sono in
rame o in bronzo, fuse in un pezzo unico. Su quelle che ho potuto avere
fra le mani, il centro è occupato dal Cuore ferito e dal monogramma del
nome di Gesù, i H S, circondato da una gloria; gli Strumenti della
Passione sono distribuiti diversamente sulla croce; certe croci hanno un
anello alla loro sommità, altre sono elevate su due o tre piccoli scalini
che le fanno stare in un equilibrio instabile, ma questi scalini le rendono
simili ai crocifissi sopra descritti.
Una di quelle che portavano il Sacro Cuore fu mostrata a suo tempo
da madame Plumant di Saint-Amand-sur-Sèvre (Deux-Sèvres),
proprietaria e residente nell’area in cui sorgeva la casa abitata da padre
Montfort durante la lunga e fruttuosa missione predicata in quella
eccellente parrocchia. È una di quelle che più verosimilmente potrebbe
giustificare la tradizione di un legame originario collegato al santo
missionario. Attualmente rimpiango di non averla disegnata quando mi
sarebbe stato facile farlo.
Fornisco qui accanto la riproduzione di un’altra croce, simile quasi in
tutto a quella di Saint-Armand-sur-Sèvre, ma più piccola, mi sembra. E
esposta nelle vetrine del Museo degli Agostiniani che la Società degli
Antiquari dell’ovest possiede a Poitiers.
L'immagine mi dispensa dal descriverla, ma sottolineo la forte ana-
logia che esiste fra la decorazione di questo oggetto e quella della croce
pettorale donata dal papa a monsignor de Belsunce, che don Bu- ron ci
ha fatto conoscere nel suo interessante studio storico dedicato all’illustre
vescovo di Marsiglia, nell’ultimo fascicolo di questa rivista 122.

122 Cfr. L. Buron, «Mgrde Belsunce», maggio 1923.

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LE «CROCI DI PADRE MONTFORT» 303

Fig. 3. Dal Museo degli Agostiniani di Poitiers.

Attraverso il prezioso monile di questo prelato contemporaneo di


padre Montfort, vedo che le croci che ci interessano erano di un tipo
relativamente diffuso all’epoca; a quel tempo, però, non era il solo di
uso corrente, e perché nell’Ovest l’appellativo di «croce di padre
Montfort» sia dato esclusivamente a questa croce, a questo crocifisso
ornato da immagini evocatrici delle sofferenze varie del Salvatore nella
sua passione, bisogna che abbia avuto le preferenze del potente apostolo.
Insisto e aggiungo che, siccome l’opinione popolare - ancora vivente da
duecentosette anni a questa parte, nelle quattro diocesi limitrofe
evangelizzate da Montfort - attribuisce a lui questa croce, significa che
alla base di questa tradizione vi deve essere una larga parte di verità, e
non può essere travalicata dall’attribuzione al santo missionario di
oggetti simili distribuiti in realtà dai suoi primi figli.
E se queste croci, più di altri oggetti dello stesso genere, sono state
gelosamente conservate con il ricordo del grande missionario, è perché -
come dice monsignor Barbier - le aveva benedette e ad esse aveva
assegnato l’indulgenza della Buona Morte, prezioso favore ottenuto dal
Papa, privilegio che il clero rurale non aveva. Questo vantaggio spi-
rituale aveva reso tali oggetti i crocifissi familiari per eccellenza, quelli
utili nelle ore più solenni dell’esistenza e soprattutto nell’ora impres-
sionante della morte.
È per questo che mai ho toccato questi oggetti venerabili senza un
notevole rispetto, pensando ai cuori di quei cristiani i cui ultimi sospiri
sono stati esalati sull’immagine del Cuore e delle Piaghe del Salvatore,
nell’unione delle loro labbra di moribondi con l'impegno assicurato di
salvezza che la Chiesa indica alle supreme angosce e alla speranza totale

ra ater i al e protetto da copyright


304 SIMBOLI DEL CUORE. DI CRISTO

dei suoi figli:


CorJesu, pax et reconcìliatio nostra,
CorJesu, spes in Te morientium.
(«Cuore di Gesù, nostra pace e riconciliazione, Cuore di Gesù, speranza di coloro
che muoiono in Te»).

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Capitolo 31
Rappresentazioni varie, afferenti o estranee
al culto del Cuore di Gesù

Dopo i miei studi sull’iconografia del Sacro Cuore nelle armate


controrivoluzionarie della Vandea ’, conclusi con un esame dei monili
popolari del Poitou recanti l’immagine del Cuore di Gesù, da molti
lettori di Regnabit ho avuto l'onore di essere informato su altri oggetti o
monili vari di ogni provenienza, chiedendomi se fra essi e la devozione
al Cuore di Gesù esistano delle relazioni.
Affinché Regnabit divenga veramente una sorta di enciclopedia di
tutti gli argomenti afferenti al Cuore di Gesù, la Direzione è dell avviso
che io faccia conoscere attraverso le sue pagine gli oggetti pervenuti, che
siano o meno rappresentazioni del Cuore di Gesù, essendo la precisione
utile, sia per i documenti negativi che per quelli che hanno veramente
per soggetto il Cuore Divino.

Anelli pegni d’amore del Poitou

Ecco anzitutto degli anelli del Poitou di cui non si capisce più il si-
gnificato. Il loro tipo così particolare fu creato nella regione che concepì
il nobile e caro monile detto cceur-poitevin? Io lo credo; qui infatti se ne
trovano molti di più, rispetto alle altre province vicine.
Quelli che raffiguro rappresentano le tre principali varietà conosciute:
il primo è un anello da donna ornato da una L e da un cuore; è in oro di
bassa lega, «oro da poveri», avrebbero detto i nostri padri nella loro
lingua franca. Il secondo è un grosso anello da uomo in argento dello
stesso tipo ornamentale del primo. Il terzo, anch esso

1
[Cfr. i relativa capitoli nel presente volume].

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306 SIMBOLI DEL CUORE. DI CRISTO

in argento, da uomo o da donna, porta un cuore nella svasatura di una v.

Fig. 1. Anelli d'amore del Poitou, secolo XVII.

Questi monili sono assolutamente estranei a qualsiasi idea religiosa,


ma restano fra i più dignitosi e cortesi emblemi dellamore umano.
I rebus che vi si vedono incisi vanno così interpretati: per l'anello
femminile, il cuore dentro la lettera L si leggeva «il mio cuore in Lui».
Sull’anello da uomo, voleva dire «il mio cuore in Lei» e colui che of friva il terzo,
nel presentarlo, diceva «il mio cuore è in Voi».
Vi è in ciò leco, seppure graziosamente naif, di una vecchia canzone
del Poitou il cui ritornello diceva:
Ho sognato ch’egli era un uccellino
e che il cuore mio era la sua gabbia.

Questi tre anelli, di mia proprietà, sono del secolo XVII. Quelli che
conosciamo vanno dalla fine del secolo XV a tutto il XVIII; sia sui più
recenti che sui più antichi, le lettere sono rimaste come cristallizzate
nella loro forma, come erano ai tempi di Luigi XII.

Medaglia del Poitou con i Cuori di Gesù e Maria

La presente singolare medaglia è stata molto gentilmente mandata a


Regnabit dal reverendo padre Georges Goyet e proviene da Saint- Loup-
sur-Thouet (Deux-Sèvres).
Essa è chiaramente simile ai due Cuori incisi a coltello, uno dentro
l’altro, sul calcio di una pistola di epoca rivoluzionaria, proveniente
anch’essa da Deux-Sèvres (Neuvy-Bouin, non lontano da Saint- Loup),
della quale riproduco qui l'immagine.

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RAPPRESENTAZIONI VARIE DEL CUORE DI GESÙ 307

Fig. 2. Medaglietta di Saint-Loup-sur-Thouet (Deux-Sèvres).

I Cuori di Gesù e Maria sono caratterizzati l’uno da una croce, l'altro


da un giglio di Francia intagliato grossolanamente nel duro legno
dell'impugnatura.
Sulla medaglia che ho sotto gli occhi, la croce e le stelle simboliche
sembrerebbero anch’esse indicare i Cuori di Gesù e di sua Madre; essa è
fatta di una sottilissima lamina in ottone stampato per cui i Cuori,
lavorati «a sbalzo», da una parte si vedono a rilievo e dall’altra ad
incavo.

Fig. 3. Cuore inciso sul calcio di una pistola (Neuvy-Bouin, Deux-Sèvres).

Le raffigurazioni dell’arma di Neuvy e della medaglia di Saint- Loup,


vicine per provenienza, si completano a vicenda. Esse sono l'il-
lustrazione della forma particolare di pietà cara al beato Luigi Grignion
da Montfort e instancabilmente predicata nel Poitou per tre secoli dai
suoi figli spirituali, i Missionari di Saint-Laurent-sur-Sèvre: «Andare a
Gesù per mezzo di Maria».

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308 SIMBOLI DEL CUORE. DI CRISTO

Croci e cuori bretoni

I cuori bretoni antichi differiscono totalmente dai cceurs-poitevins per


forma e per significato.
Mentre i secondi, semplici o doppi, hanno sottili contorni piatti che
lasciano il centro del cuore vuoto, i cuori bretoni sono estrema- mente
bombati su tutt'e due le facce.
La faccia retrostante è finestrata da tre aperture: le estremità di un
nastro vanno infilate nelle due in alto per farlo uscire congiuntamen-

Fig. 4. Croce e cuori bretoni, secolo XVIII.


te da quella in basso; appena sotto il cuore, il nastro sostiene una croce

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RAPPRESENTAZIONI VARIE DEL CUORE DI GESÙ 309

terminale. L’insieme forma ciò che anticamente si chiamava pend- à-col


e questo nome ci informa sull’uso.
Le croci bretoni tradizionali sono sempre ornate da fiori al centro e
alle estremità. Il cuore che unisce i due pezzi di nastro può essere sol-
tanto un cuore umano, un cuore terreno sempre caratterizzato da ciò che
di più grazioso produce la terra: i fiori.

Fig. 5. Retro del cuore bretone.

Esso è l’emblema dell’anima cristiana legata alla croce, non per


motivi di sofferenza come i cuori crocifissi, ma per affetto. La bretone
che lo portava - sono essenzialmente monili femminili, infatti -
sembrava dire a Dio: tutto il mio cuore mi lega a voi.

Croci e cuori savoiardi

Non c’è nulla che somigli di più alla forma generale dei pends-à-col
bretoni dei cuori e delle croci della Savoia.
Sia nei primi che nei secondi, il cuore funge da anello scorritore della
tradizionale fettuccia nera che sostiene la croce.
Però le croci savoiarde differiscono dalle croci bretoni, e differiscono
anche fra di esse, a seconda della regione. Quelle del paese di Chambéry
hanno le estremità allargate ornate da fioroni e, solitamente, da una parte
recano il crocifisso e dall’altra la Vergine a figura intera; quelle della
Tarentaise, che assomigliano maggiormente alle croci bretoni, hanno il
centro ornato da uno Spirito Santo; quelle della Maurienne si
differenziano totalmente dalle altre e ricordano certe decorazioni da
Ordine di cavalleria.

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310 SIMBOLI DEL CUORE. DI CRISTO

Chiaramente, come i pends-à-col bretoni, i monili savoiardi vanno


collegati ai sentimenti affettuosi dell'anima per il mistero del Calvario e
non al culto del Cuore di Gesù.
Devo allo studioso Émile Ginot di Poitiers, già presidente della So-
cietà degli Antiquari dell'Ovest, la conoscenza dei monili tradizionali
della Savoia, e di ciò lo ringrazio sentitamente.

Fig. 6. Croce particolare del paese di Mauriennc (Savoia).


Cuori profani dell’Italia settentrionale

Cuori completamente profani, in effetti, come i nostri anelli rebus del


Poitou o i pends-à-col, i sontuosi pendenti che ritengo di fabbricazione
veneziana (?) e che con i nostri coeurs-poitevins hanno in comune
soltanto una sorta di diadema che li sormonta123. Essi non ne sono
certamente il prototipo, come ritiene uno dei miei amici.
Quello che riporto qui risale al secolo XVIII. Il cuore in argento
massiccio è contornato e incoronato da ornamenti in filigrana traforata,
anch’essi d’argento. Esso proviene dal Mezzogiorno della Francia.

rivolte».
123 Cfr. il capitolo «Gli antichi monili: cuori del Poitou e anelli. Altri monili delle ultime

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RAPPRESENTAZIONI VARIE DEL CUORE DI GESÙ 311

Fig. 7. Cuore veneziano (?) in argento.

Conosco anche un altro monile dello stesso tipo, meno elegante forse,
ma più prezioso: è in oro ugualmente filigranato e nell’ottobre 1922 si
poteva vedere nella vetrina della bottega orafa Arman- Demeyer, a
Vichy.
Perché i nostri artisti cristiani non si ispirano più spesso a questi
modelli antichi, profani o meno, per glorificare sontuosamente il cuore
divino? Il monile, soprattutto femminile, si presta a meravigliose
combinazioni e l’arte degli orafi, dei cesellatori, dei gioiellieri e degli
smaltisti può anch’essa cantare il suo inno - e più meravigliosamente di
altre - nel concerto d’onore che l’Arte fa attualmente salire, ogni giorno
più ardente, verso il Cuore glorificato di Gesù Cristo.

Sigillo dal «Cuore crocifisso» ed ex libris delFAnjou

Il colonnello Picard, di Saumur, ha insistito nel comunicarmi re-


centemente, e senza ingannarsi sul suo autentico significato, il bellis-
simo sigillo (fig. 8), conservato da generazioni dalla famiglia di madame
Picard.
Esso è del secolo XVII. L’iscrizione che lo circonda ne precisa l'esatto
significato CONFIXVS.SVM.CRVCI., «Sono legato, inchiodato alla croce».
È l’emblema malinconico e rassegnato del cristiano provato dalla vita e
che unisce in modo meritorio le sue sofferenze a quelle del Salvatore.

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312 SIMBOLI DEL CUORE. DI CRISTO

Fig. 8. Sigillo del secolo XVII del tipo dal Cuore crocifisso.

Nell'iconografia del Cuore di Gesù, la differenza di epoche impone


diversità d’interpretazione dei fattori che sono linearmente gli stessi, per
esempio: mentre, prima dell'ultimo quarto del secolo XV, la croce che
marchi in un modo qualsiasi un cuore sembrava bastasse da sola a
designare quello del Salvatore, non è più così per i periodi successivi.
Nei secoli XVII e XVIII, le singolari e sovente confuse fantasie degli
iconografi mistici costringono a tenere conto di ogni relatività:
dell’oggetto che porta il cuore e della sua utilizzazione normale o della
sua destinazione, della scenografia che circonda il cuore, dell’epoca e
addirittura del paese in cui è stata eseguita l’interpretazione; è una
fortuna quando una iscrizione giunge a precisare il pensiero che
sovrintese a tali composizioni.
Così è per un cuore che occupa il centro di un timbro ex libris, im-
presso sul titolo di un libro ecclesiastico angioino del 1710: non è altro
che un cuore di fedele, sebbene porti le cifre del nome di Gesù, i H s,
associate alla croce, dato che la legenda che lo circonda fa dire al
possessore del libro le parole del Salmo di Davide SIGNACULUM CORDI
MEI DEUS, «Il sigillo del mio cuore è Dio».

Fig. 9. Donazione di monsignor Barbier de Montault, Museo degli Antiquari


dell’Ovest, Poitiers.

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RAPPRESENTAZIONI VARIE DEL CUORE DI GESÙ 313

E un cuore umano è anche quello che contiene un Cristo in croce e


che si trova su un piccolo sigillo di rame dei carmelitani di Loudun124; un
Cristo al quale l'iscrizione fa dire del cuore di cui occupa tutto l’interno
IL N'Y A PLACE QUE POVR MOY, «Ce posto solo per me» (secolo XVII).

Incisione monetaria della Carolina (Stati Uniti)

Non è nemmeno un cuore umano, malgrado la sua aureola raggiante,


quello dell’incisione che gentilmente avete mandato qui in Vandea, mio
caro Amico, in cui dodici cuori proclamano che da esso non si
separeranno mai: QUIS SEPARABIT?.
No, non sono i dodici apostoli disposti a nimbo attorno a quello del
Maestro divino: il vostro contrassegno è di carattere civile e totalmente
profano; è la riproduzione del motivo centrale della banconota emessa
nel 1776 dallo Stato della Carolina del Sud; i cuori sono semplicemente
quelli dei tredici Stati fondatori deìVAmerican Union.

Fig. 10. Contrassegno monetario della Carolina.

Due anni dopo, la Carolina e la Georgia adottavano insieme un altro


simbolo dell’Unione federale, una piramide quadrangolare a tredici
gradini.

124 Confréries ecclésiastiques du diocèse d'Angers sur le Sacrement de l’Ordre, Angers, Oli
vier, MDCCX (collezione dell’Autore).

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314 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Notiamo nondimeno che l’emblema così tenero di quei cuori in-


trecciati di fogliame, rompe stranamente con l’aridità, il freddo rigore
della ricorrente emblematica protestante, quella ufficiale degli Stati
Uniti; ciò che obbliga a ricordare che all’epoca in diversi paesi, quali la
Spagna, il Portogallo e il Messico (con i quali gli stati meridionali del
Nordamerica erano in frequenti contatti), si rappresentavano spesso i
cuori dei membri di una collettività, monastero - capitolo, collegio o
confraternita - disposti attorno al Cuore raggiante di Gesù, oppure
raggruppati all’interno dello stesso Cuore, come per esempio sullo
stendardo della Confraternita del Cristo Nero nella Cattedrale di
Cartagena (Spagna) dove i cuori dei trentatré confratelli sono raffigurati
all’interno di quello di Gesù125.
Non sarei per nulla sorpreso se nel comporlo l’autore dell'emblema
della Carolina degli Stati Uniti, sebbene protestante come la massa dei
compatrioti, avesse subito l’influenza dell’arte cattolica, dato che per il
soggetto che aveva da simbolizzare i raggi che circondano il cuore
centrale non si spiegano proprio. Ma senz’altro si ferma qui l’unico e
debole legame che, forse, collega vagamente il suo lavoro all’idea del
Sacro Cuore.

Una vecchia medaglia con l’immagine del Cuore raggiante

Per concludere, inchiniamoci davanti alla vecchia medaglia in cui il


Cuore, e solo quello, senza ferita né corona dolorosa, è il centro stesso
di un sole sfolgorante dominato dalla Croce. Nessun cuore umano, per
quanto incandescente d’amore per i propri simili o per Dio stesso, fosse
anche quello della Vergine gloriosa, potrebbe prendere il suo posto.
Nel vederlo, ci si ritrova a pensare al Dio-Sole, al Cristo vittorioso e
caritatevole che i nostri padri dell’epoca merovingia raffiguravano
mediante il simbolo costantiniano della x e della P greca, al centro di un
sole raggiante126.

125 Da confrontare con il contrassegno della Carolina l’incisione di KJauber (secolo XVIII)
pubblicata nel bellissimo articolo di padre Anizan, «Quelques témoignages sur le Centre du Pian
divin», Regnabit, settembre 1922, p. 293. Il Cuore del Salvatore è circondato da quelli dell’umanità
intera, disposti anch’essi a nimbo.
126 Patena per eulogie di Saint-Just-sur-Dive, presso Loudun (secolo VI).

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RAPPRESENTAZIONI VARIE DEL CUORE DI GESÙ 315

Fig. 11. Medaglia del secolo XVIII.

Fig. 12.

Ecco che, dal secolo VI al XVIII, il pensiero è uguale e simile è anche


il simbolo; soltanto, lungo i secoli, con la pietà, l’iconografia si è fatta
non più bella, ma più affettiva, e la sigla costantiniana del Laba- rum ha
lasciato il posto, al centro del Sole divino, al Cuore fatto tutto di
accogliente misericordia, di dolce bontà e di radiosa bellezza.
RAPPRESENTAZIONI VARIE DEL CUORE DI GESÙ 316

Croce pettorale di una religiosa benedettina di Craon

Ho ricevuto per gentile cortesia del conte Francois de Rilly una ele-
gante croce stile Luigi XIII in rame, al di sotto della quale si trova un
cuore prò fondamente inciso, accompagnato da due stelline.
Destinata ad essere portata sul petto, ostentatamente o meno, questa
croce poteva servire anche da sigillo per la corrispondenza. Essa
proviene dal monastero delle Benedettine di Craon (Mayenne).
Il cuore che vi è stato fatto incidere è sicuramente un cuore umano
invaghito di ardore perché infiammato; il fatto che si trovi al di sotto
della croce ci dice che questo ardore può avere origine soltanto da un
vivissimo sentimento di amore per essa, per il Salvatore Gesù, che ai
nostri occhi simboleggia contemporaneamente i dolori mortali e reterno
trionfo.
Capitolo 32
Il viso di Nostro Signore Gesù Cristo
sulla Santa Sindone di Torino

Nel dicembre 1932, a proposito del simbolismo del verme, su Le


Rayonnement Intellectuel parlavo delle più antiche rappresentazioni
della figura del Salvatore nell’arte cristiana, che non soltanto non
concordano su un tipo accettato, ma addirittura si contraddicono to-
talmente. E aggiungevo:
Se si potesse fare sul tessuto che riporta la magnifica e tragica effigie della Sacra
Sindone di Torino una prova che dimostrasse la sua origine fisicochimica, sarebbe
per il mondo intero il più prezioso di tutti i documenti auspicabili

Ho seguito la questione della Santa Sindone all'inizio del secolo, e poi


non più per una decina danni. Ecco che ora si riparla molto, da un po’ di
tempo, di questo prezioso sudario che riporta l'immagine di tutto il corpo
del Salvatore. Alcuni attribuivano a questa preziosa figura una origine
assolutamente miracolosa; altri volevano vedere in essa solo un dipinto
per mano di qualche pittore medievale di grande talento. Ecco che
sempre più sembra che entrambi si sbaglino.
Riassumiamo brevemente la storia di tale questione negli ultimi
trentanni: il casato dei Savoia, che attualmente regna in Italia, da molto
tempo possiede a Torino la Sindone che la tradizione identifica con
quella che fu a contatto con il corpo di Gesù e l’avvolse all'ombra del
sepolcro.
I Vangeli dicono in merito che Giuseppe d’Arimatea aveva acquistato
un lenzuolo con il quale avvolse il corpo di Gesù127 128 dopo che Ni-

127 Cfr. Le Rayonnement intellectuel, t. Vili, nov.-dic. 1932, p. 218. Tale articolo è stato in
gran parte ripreso nel capitolo «Il Verme» del Bestiaire du Christ (trad. it.: Il bestiario del Cristo,
op. cit.].
128 Cfr. Ale 15,46.

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318 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

codemo lo aveva unto e cosparso con «una mistura di mina e di aloe di


circa cento libbre»
Il prezioso sudano di Torino è esposto periodicamente e quindi offerto
alla venerazione delle folle cristiane.
Fu quello che si fece nel 1898; per l’occasione, l’insigne reliquia fu
per la prima volta fotografata. Ora, con grande sorpresa degli operatori e
degli studiosi, l'apparecchio diede una immagine inversa rispetto a
quella che ogni apparecchio fotografico dà di un oggetto normale: la
figura di Cristo sulla Sindone si mostrava qual era, non un dipinto, ma
una sorta di fotografia negativa del corpo che il panno aveva sviluppato!
Due rinomati studiosi francesi, Colson, professore di chimica alla
École Polytechnique di Parigi, e Vignon, professore di biologia allìn-
stitut Catholique di Parigi, sulla scorta di questo soiprendente risultato si
impegnarono in notevoli lavori che esposero in un’opera di grande
interesse. Tuttavia, gli studiosi di ogni ordine si divisero sull’origine
della sorprendente immagine: molti si schierarono con Colson e Vignon,
ammettendo che non ci si trova affatto di fronte a un miracolo, né a un
dipinto di mano umana, bensì a un fenomeno fisio- chimico inspiegabile.
Anche lo scienziato fisico francese Lippmann lo dichiarò inspiegabile.
Senza fermarsi a questo verdetto, Colson e Vignon lavorarono tena-
cemente a esperimenti tesi a scoprire come si fosse formata l’immagine
sulla Santa Sindone. Essi furono aiutati specialmente da nuove e più
perfette fotografie del sacro oggetto fatte nel 1931 per mezzo di
procedimenti e apparecchi più perfezionati, che permisero importanti
precisioni tecniche; poi, mediante lavori parallelamente praticati su
un’altra insigne reliquia della Passione conservata in Francia, la Santa
Tunica di Argenteuil, vicino Parigi, da sempre ritenuta l’abito senza
cuciture che Gesù portò durante la sua Passione 129 130. Studiata
scientifica- mente in questo stesso anno, il 1934, da Gerard Cordonnier,
ingegnere del Genio Marittimo francese, la Santa Tunica, sotto l'azione
dei raggi infrarossi, rivelò le placche di sangue di cui la stoffa è
imbevuta e la cui distribuzione corrisponde assolutamente a quella della
posizione delle piaghe della flagellazione - una flagellazione atroce -
sulla riproduzione del corpo di Gesù della Sindone di Torino.
Il ventisette ottobre scorso, a Parigi, davanti a una assemblea ristretta
in cui si mescolavano cattolici ferventi e colti a molti studiosi e storici
affermati di varie opinioni, religioni, e di tutte le scuole filosofiche,
Gérard Cordonnier ha tenuto una conferenza durante la quale ha
sapientemente trattato i suoi lavori e quelli di Colson, di Vignon e di
molti altri, e lavori che si avvaloravano a vicenda.
129 Gv 19,39.
130 Cfr. Gv 19, 23: «Questa tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a
fondo».

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IL VISO DI GESÙ SULLA SANTA SINDONE 319

All’indomani della conferenza, con la firma di Robert Pelletier, ab-


biamo trovato sulle colonne di un quotidiano parigino a grande tiratura
che nessuno ha mai considerato come un organo specificata- mente
cattolico, Le Joumal, una eco molto interessante della conferenza di
Cordonnier.
In questo articolo, dopo avere riassunto perfettamente i primi lavori di
Colson e Vignon, il collaboratore de Le Joumal si esprime così:
Colson e Vignon hanno cercato di ripetere sperimentalmente la formazione di
immagini per emanazione, come quelle prodotte dal corpo di Cristo, su un panno
cosparso di aloe come aveva dovuto esserlo il sudario di Gesù. Dopo i loro
esperimenti, sono giunti alla conclusione che sotto l’azione del sangue e del sudore
il panno lentamente scuritosi dava come la Santa Sindone una sorta di fotografia
negativa di quello che aveva avvolto.
Ma la constatazione più stupefacente fatta nel corso di questi lavori è che la
durata della reazione chimica è tale che non debba durare meno di due giorni e non
più di tre perché l’immagine sia visibile.
Conferma, secondo la chimica del secolo XX, del testo dei Vangeli che fissa al
terzo giorno la resurrezione di Cristo.
La conferenza di Gérard Cordonnier è stata piena di altri particolari. Accenniamo
soltanto alla puntualizzazione che la Santa Sindone stabilisce che l’altezza di Cristo
era di un metro e ottanta centimetri.
Lo studio parallelo sulla Santa Tunica, fatto in questi ultimi tempi da Gérard
Cordonnier ai raggi infrarossi, mostra le macchie di sangue corrispondenti a quelle
della Santa Sindone e sottolinea la posizione anatomica delle piaghe della
flagellazione riapertesi a causa del peso della croce.
E su questi dati scientifici e precisi, Gérard Cordonnier ha ricostruito un quadro
commovente del dramma sovrumano che millenovecento anni fa insanguinò
Gerusalemme.

Sembra dunque che oramai i nuovi lavori non possano che confermare
l’esattezza, e la fedele somiglianza - niente affatto un’immagine
miracolosa ma del tutto naturale - dell'immagine che si è impressa sulla
Santa Sindone di Torino, viso della più magnifica bellezza che nella
morte, malgrado i tormenti indicibili di una serie spaventosa di supplizi,
conservò una serenità, una maestosità incomparabile.
L’iconografia cristiana non poteva augurarsi una conquista più im-
portante.

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Capitolo 33
La ferita al Cuore di Gesù Cristo
e la Santa Sindone di Torino

Nel capitolo precedente mi sono appellato alla testimonianza della


Sindone di Torino in merito ai lineamenti del viso di Gesù, come a un
documento sul quale si è impressa automaticamente attraverso la via
naturale del fenomeno fisiochimico l’immagine mirabile e fedele della
figura del Salvatore.
Da allora, l’eminente dottor Pierre Barbet, chirurgo all ospedale Saint-
Joseph di Parigi, ha pubblicato uno studio anatomico molto accurato e
molto chiaramente strutturato sulla Santa Sindone di Torino, il quale non
sembra lasciare spazio ad alcuna obiezione di ordine scientifico. Non si
può leggere questo limpido e dotto lavoro senza una intensa emozione; i
due ultimi capitoli soprattutto, dedicati alla Piaga del Cuore e al colore
delle Piaghe sul sudario, sono particolarmente commoventi.
Per la nostra rivista ci interessa la piaga del costato divino, ancor più
delle altre quattro ferite principali, ed ecco come il dottor Barbet
comincia il capitolo che la concerne:
PIAGA DEL CUORE
Dico piaga del cuore e non piaga del costato perché lo afferma tutta la tradizione
e perché l’esperienza lo ha confermato. Il colpo di lancia inferto al costato destro ha
colpito il cuore, perforando il pericardio.

11 dottor Barbet ricorda il brano evangelico in cui san Giovanni ci


dice che quando i soldati giunsero sul Calvario fino a Gesù in croce,
vedendolo già morto, non gli spezzarono le gambe come fecero agli altri
due crocifissi, suoi compagni di agonia, «ma uno dei due soldati gli
colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua»2.
Passando in rassegna ogni particolare dell’immagine della Santa

' Cfr. nota 1 del precedente capitolo.


2
Gv 19.34.

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LA FERITA AL CUORE DI GESÙ E LA SANTA SINDONE
321
Sindone di Torino, l’autore la mostra in concordanza perfetta con il testo
evangelico; per fare questo, egli espone esaurientemente gli esperimenti
radiografici sui corpi viventi e sulla dissezione di cadaveri freschi che ha
praticato per convincersene. Queste cose lo hanno indotto a concludere
formalmente che per prima cosa Gesù è stato colpito al costato destro,
fra la quinta e la sesta costola; poi, che la lama dell’arma ha dovuto
attraversare successivamente la pleura e il polmone, e incontrare il
cuore, dopo un tragitto di otto centimetri.
Ritraendosi, la lancia lascia colare fuori della ferita prima il liquido
pericardico, abbondante nel caso di molle violenta, che ha tutta l’ap-
parenza dell’acqua, e poi il sangue. Infatti è l’orecchietta destra del
cuore, prolungata in alto dalla vena cava superiore e in basso dalla ven<ì
cava inferiore, e non l’orecchietta sinistra che in un cadavere fresco
conserva del sangue liquido. Dunque, se il colpo non fosse stato inferto
con estrema precisione dove ci indica la Sindone, non sarebbero usciti
dal fianco del crocifisso prima acqua e poi sangue.
Nel suo ultimo capitolo, il dottor Barbet ci dice l’emozione che provò
esaminando direttamente la Sindone stessa sulla quale l'immagine del
coipo intero si impresse di bruno, colore prodotto dalle emanazioni
ammoniacali della carne sul sudario impregnato di succo di aloe, mentre
le piaghe dei piedi, delie mani e del cuore sono di una tonalità rossa che
per il chirurgo è evidentemente quella del sangue, di vero sangue e non
di altro.
Ecco perché sui cliché fotografici del sudario le Cinque Piaghe e al-
cune ferite della testa e del corpo sono positive mentre tutto il resto è
negativo.
E questo sangue che si trova impresso nella stoffa è il Sangue stesso
di Cristo!...
Mi scuso se riassumo così male la fine del mirabile lavoro del dottor
Barbet, ma è di così eccezionale importanza per lo studio della storia e
del culto delle Piaghe redentrici, che il presidente di Rayonne- ment deve
impegnare vivamente tutti i membri della società e i lettori del bollettino
a procurarsi questa opera così probante e appassionatamente
interessante.
Concludendo, mi permetto un accostamento: il dottor Barbet, d’ac-
cordo con quello che scriveva nel 1902 Vignon, dottore in scienze na-
turali, precisa che la ferita del costato di Gesù aveva 45 millimetri di
grandezza, larghezza minima della lama della lancia che la aprì. E ri-
saputo che il Vaticano conserva la Lancia del Calvario offerta dal sul-
tano Bajazet a papa Innocenzo Vili fra il 1481 e il 1492. Conservata al
riparo da ogni insidia, accessibile soltanto al cardinale arciprete di San
Pietro, che due volte all'anno la mostra al popolo, l’arma sacra non può
322 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

essere avvicinata quasi da nessuno; fui quindi molto felice quando, nel
1923, grazie alla buona mediazione del reverendo padre Léon de Lvon,
conservatore del Museo Francescano di Roma, potei avere della Santa
Lancia un calco a matita che, fatto da lui stesso, non può non essere
esatto. Questo mi ha permesso di produrre nel numero di novembre 1923
della vecchia rivista Regnabit una rappresentazione dell'arma sacra a
grandezza naturale. Ora, sul calco del reverendo padre Léon de Lyon la
larghezza maggiore della lama da lancia è di 45 millimetri.
Sottolineo semplicemente la concordanza fra tale dimensione e le
precisazioni date dagli studiosi anatomisti Vignon, Barbet, e altri sulla
ferita aperta nel costato di Cristo redentore, che lascia cadere sul mondo
le ultime gocce del sangue del suo Cuore.

Fig. 1. La santa lancia conservata a San Pietro, Roma.

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Capitolo 34
Rappresentazioni blasfeme del Cuore di Gesù

La parodia, l’uso provocatorio, la rappresentazione ironica o grottesca


degli emblemi divini per empietà, o degli emblemi degli uomini potenti,
da parte dei loro nemici, appartengono a tutti i tempi. Vi sono dii sempre
gesti di odio rabbioso, affermazioni di un trionfo, manifestazioni di una
riprovevole presa in giro o espressioni di una sfida.
In ambito religioso le rappresentazioni della Circoncisione, dell’eu-
caristia, della crocifissione, l’immagine della croce, il triangolo trini-
tario, il pellicano e altri emblemi, furono a turno ridicolizzati o raffi-
gurati con caratteristiche leggermente diverse, per esprìmere sentimenti,
pensieri o per simboleggiare dei credo opposti a quelli che l’iconografia
cristiana ortodossa ha eletto a emblemi sacri.
La rappresentazione del Cuore del Signore, il più pieno, il più elo-
quente di tutti i simboli divini, che spesso è anche l’immagine nascosta
di tutta la sua Persona, non poteva sfuggire all’insulto dei deviati che
servono «l’Altro». Fra di essi, i gruppi massonici soprattutto, spe-
cialmente da qualche anno a questa parte, hanno prodotto alcuni tipi ben
riusciti di Sacri Cuori blasfemi.
Forse anche lo pseudo Rinascimento del secolo XVI potrebbe averne
prodotti, epoca che ci ha lasciato dei cuori pendenti il cui vero si-
gnificato è tanto oscuro quanto la loro oscenità sfacciatamente mani-
festa. Ammetto di non conoscere alcuna raffigurazione derisoria o empia
del Cuore di Gesù, che sia anteriore al periodo rivoluzionario.

Di questo periodo, ho il calco di un cuore di rame che nel mezzo porta


le lettere i H S, monogramma abbreviato del nome di i H E S U S, con in
cima tre fiamme.

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324 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

La forma di questo cuore, flessa e appuntita, è esattamente quella dei


grandi cuori raffigurati sui risvolti in stoffa rossa delle antiche uniformi
di cavalleria rivoluzionaria trovate a Nantes dal collezionista F.
Parenteau, cuori sui quali sono ricamate in giallo, con bandiere e berretti
frigi, le parole république fran^aise ’.

Fig. 1. Monile in rame, Machecoul (Loira Inferiore).

Sul monile in questione, il cuore è inscritto in un triangolo rovesciato,


particolarità che indubbiamente da sola non giustifica la maggiore
facilità grafica di inscrivere il cuore nel triangolo, della qual cosa più
avanti troveremo una utilizzazione motivata.
Questo monile fu rinvenuto a Machecoul (Loira Inferiore) da un
notabile di Saint-Jean de Monts che lo diede a don Chevalier, decano di
Montagne (Vandea) recentemente deceduto. Machecoul è una località
che nel secolo XV rese tristemente celebri nell'Ovest i crimini
dell’alchimia e della magia satanica di Gilles de Rais, il Barbablù delle
fiabe di Perrault. Durante la Rivoluzione, i «ragazzi» del paese di Retz,
di cui Machecoul era la capitale, assieme a quelli del Marais set-
tentrionale della Vandea ai comandi dell'epico cavaliere Athanase de
Charette, ebbero una parte attiva e gloriosa nelle guerre controrivolu-
zionarie della Vandea, e come gli eroici contadini di Cathelineau, di La
Rochejaquelein, di Lescure e di Bonnechamp, loro compagni d’arme,
ostentarono l’immagine del Sacro Cuore sui cappelli e sul petto.
A Machecoul vi era anche una loggia massonica organizzata - già
all’epoca, mi è stato assicurato - della quale il nostro collezionista Pa-
renteau ha posseduto il sigillo. Ritengo che sia la creatrice del pendente
raffigurato qui, in cui il Sacro Cuore è imprigionato dal trian-

1
Cfr. F. Parenteau, Inventairearchéologique, Forest, Nantes, 1878, p. 98, tav. 48. Attualmente
si trova al Museo di Nantes, coll. Parenteau.
golo; potrebbe essere verosimilmente una replica oscura dei Sacri Cuori

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RAPPRESENTAZIONI BLASFEME DEL CUORE DI GESÙ
325
vandeani.

Tre quarti di secolo dopo, durante la guerra del 1870, il Sacro Cuore
viene nuovamente inalberato sui campi di battaglia dagli zuavi pontifici,
ora Reggimento Volontari dell'Ovest ai comandi di un altro Charette e di
un altro Cathelineau; e all eroica giornata di Patay, il sangue dei conti di
Bouillé, padre e figlio, e di Verthamont, fece arrossare, quale mollale
omaggio, il bianco gagliardetto che lo portava.
Si ignora se queste gesta e l'omaggio nazionale che il Parlamento
francese fece tre anni dopo, il 24 luglio 1873, al Cuore di Gesù Cristo
avvalorando con 382 voti contro 138 l'erezione del santuario di Mont-
martre, fecero nascere qualche contraffazione sacrilega dell’immagine di
Gesù Cristo.
Invece la guerra del 1915-18, nell'arco della sua troppo lunga durata,
ci ha portato una certa varietà di immagini del Sacro Cuore tracciate
dietro diretta ispirazione dei centri massonici oppure dietro quella, più
mediata ma reale, delle opere derivate da essi.
Sin dagli inizi della guerra, migliaia di cattolici mobilitati si fregia-
rono sia della medaglia che dell’immagine del Cuore di Gesù, non sol-
tanto, come si è detto, come talismano o amuleto devozionale contro il
pericolo, ma soprattutto per non morire, se fossero stati colpiti, senza
avere con essi il segno più espressivo dell'amore e della pietà
misericordiosa del Salvatore.
Quantità considerevoli di immagini impresse su tela, carta o medaglie
furono inviate ai combattenti dalla pietà francese e contempora-
neamente, soprattutto tre particolari zone del territorio, il Lionese, il
Poitou e Parigi-Montmartre, divennero centri ardenti di preghiera, centri
di diffusione delle immagini del Cuore di Gesù.
La replica massonica di questo apostolato non si fece attendere a
lungo: tra le fila del fronte, ben presto comparvero, sebbene in numero
ridotto, delle immagini del Sacro Cuore anch'esse impresse su tela o
carta, alle quali sulle prime non si fece caso; il Cuore di Gesù vi risaltava
sopra all'iscrizione CCEUR DE JÉSUS, SAUVEZ LA FRANCE; esso era
raggiante, la sua cima infiammata portava la croce e la corona tradi-
zionale lo stringeva. Ma guardando da vicino, si vide che questa corona
non era fatta di rami spinosi, bensì... di corde!

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326 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Il Cuore di Gesù veniva dunque legato saldamente in effigie! «Cuore


di Gesù, salvate la Francia», adesso che siete legato!
Queste parole fanno da eco a quelle di una bestemmia vecchia di
millenovecento anni: rileggete i primi tre evangelisti c il loro racconto
della Passione: Gesù è inchiodato mani e piedi al suo patibolo, sta per
morire. Davanti a lui i suoi nemici lo sfidano e lo scherniscono: «Hai
salvato gli altri, salva te stesso e discendi dalla croce!».
Ecco l'immagine di uno di questi cuori blasfemi rinvenuto nel 1917,
nella Champagne; al di sotto di esso si snoda la solita iscrizione: CCEL’R
DE JÉSUS SAUVEZ LA FRANCE. State pur certi che il novanta per cento dei
nostri soldati non vi avranno visto altro che il Cuore del Signore
Onnipotente, nient altro che l'emblema del suo amore e della sua bontà.

Fig. 2. Sacro Cuore legato da corde. Guerra del 1915-18.

Spesso, addirittura, per imitare ancora meglio il tipo consacrato dalla


pietà cattolica, gli sfilacciamenti della corda imitano le spine della
corona classica. Ecco dunque un Dio legato con una corda che si
sfilaccia da sola in più punti.

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RAPPRESENTAZIONI BLASFEME DEL CUORE DI GESÙ
327
Così, assai simile all’incisione precedente - per di più con la sua
forma, il suo irraggiamento e la sua croce, ma di una esecuzione artistica
superiore - il Cuore di Gesù figura sulla copertina di un periodico
intitolato Littérature1, organo dadaista il cui testo dà spazio all'ospedale
della Salpétrière come anche alle case chiuse. Per il posto che vi occupa,
il Cuore santissimo non è solo l’oggetto di una bestemmia ma, come
sottolinea il laccio che lo stringe, esso funge anche da trappola
sfacciatamente sleale per le anime.
Da notare che lo stesso fascicolo di Littérature protesta a p. 23 contro
la ricongiunzione dell'Alsazia e della Lorena alla Francia. Questo non
potrebbe essere un marchio di origine?

Assieme alle insegne di stoffa e di carta, i soldati cattolici hanno


portato anche dei piccoli medaglioni orbicolari smaltati dove, su tre
cerchi o su tre bande verticali blu, bianche e rosse, figurava il Cuore di
Gesù con varie formule: Cceur de Jésus, sauvez la Trance, oppure
Espoir et salut de la Trance, ecc.
La massoneria rispose fabbricando a Bordeaux e spedendo al fronte in
gran quantità il medaglione a forma di stella che qui riproduco al doppio
della sua grandezza reale.
Al centro della stella, su un tondo di smallo bianco, un cuore rosso
non ferito è sormontato da una fiamma e una croce; è circondato da una
catena, la «catena fraterna» dei massoni, sicuramente. All’intorno si
leggono queste parole: PSYCHOLOGIE - SCIENCE.
Scendendo dall’alto in basso e da sinistra a destra, le punte della stella
sono rispettivamente oro, rosso, verde, blu, rosso. Confesso di non
riuscire a cogliere il simbolismo di questi colori, che rendono il monile
una chiassosa arlecchinata più stridente che armoniosa131 132.
Un’altra variante di questo medaglione stellato e variopinto ci mostra
il cuore cinto non da una catena ma da fiori, circondato da fogliame, con
sempre le due parole PSYCHOLOGIE - SCIENCE con in più DIEU - PATRIE.
E stato detto che i cuori di questi medaglioni non rappresentano quello
di Gesù, bensì il cuore dell'umanità in opposizione a quello del Salvatore
che adorano i cattolici; lo vedo bene, ma non per questo è

131 Cfr. Littérature, n. 19. settembre 1922.


132' Anche i Soviet russi hanno adottato quale emblema una stella.

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328 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

Fig. 3. Cuore legato da una catena. Guerra del 1915-18.

meno vera la bestemmia che era nell’intenzione. Forse sto sbagliando,


ma non arrivo a persuadermi che questo apostolato a favore del Cuore
dell’umanità non abbia fatto, fra i combattenti, un sì grave torto al culto
del Cuore di Gesù.
Cuore dell’umanità... Non è così che chiama l’emblema, di cui ci stia-
mo occupando, la rivista massonica L’Echo de l'Invisible, gennaio-
marzo 1917:
Nel cerchio interno alla stella multicolore, il cuore divino [Cuore divino...] è
circondato da fronde di lauro e di olivo. Questo cuore è incoronato da miosotidi e
non da spine, ciò che ci dice: da questa scienza onnipotente, basta sofferenza in
verità; questo cuore simboleggia quello della Patria umana, della santa alleanza. Sì,
da questa scienza, basta miseria, basta flagelli che avviliscono la dignità umana 133.

Ma quelle persone sapevano quello che dicevano? Il cuore della loro


stella non ha che uno scopo, una ragione d’essere: parodiare le medaglie
cattoliche del Sacro Cuore, tutto qui. Il resto non è che vaniloquio.

Durante la guerra, desiderando più che lomaggio personale di tutti,


soldati e civili, la pietà francese ha postulato, e con voci eloquenti,
lomaggio nazionale al Cuore di Gesù Cristo con lapposizione sulla
bandiera della sua immagine.
Questo desiderio, assai lodevole in sé, partiva da una interpretazione
di quello che è stato chiamato il «Messaggio» di santa Maria Margherita
133 Cfr. mons. Jouin e can. Gaudeau, Le Sacré-Coeur de Jesus et le coeur mafonnique, Cat-
tiers. Tours, 1881, p. 28.

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RAPPRESENTAZIONI BLASFEME DEL CUORE DI GESÙ
329
Alacoque a Luigi XVI, messaggio che, secondo 1 autorevole opinione
del reverendo padre Bainvel, s.j., chiedeva al re vari gesti di devozione
personale, ma non intendeva obbligare lui né la Francia in quanto
nazione a un omaggio nazionale nel senso in cui lo intendiamo oggi134
135
.
Comunque sia, molte bandiere furono confezionate con il Cuore di
Gesù sulla banda mediana, e molte furono spiegate sotto il fuoco dei
tedeschi.
E subito apparve la contraffazione blasfema. Nel già citato opuscolo,
monsignor Jouin, curato di Saint-Augustin a Parigi, e il canonico
Gaudeau ne hanno ampiamente parlato, e citano in merito il seguente
passo da L’Echo de ITnvisible che sembra scritto dall'ideatore di uno di
questi tipi di bandiera0:
Bandiera tricolore ornata dal simbolo del Sacro Cuore di Gesù, da rami di
vischio, vite, quercia, grano, fronde di lauro, di olivo, croce; dietro, il Cuore di
Maria che simboleggia il cuore materno della Patria umana, cuore femminile, e il
cuore di Gesù che simboleggia il cuore paterno dell’umanità, cuore maschile; cuore
dell’uomo, cuore della donna, tutti e due divini nel loro principio spirituale e
naturale. Su questa bandiera solenne brillava a lettere doro la seguente frase:
«Gioire au Très Hauti Honneur et Patrie! Coeur de Jésus, sauvez la France!
Amour, solidarité, paix aux hommes de bonne volonté, 1914, 1915, 1916,
Bordeaux-Montmartre, Sacré-Coeur...»136.

Ed ecco il Sacro Cuore, per gli uni incatenato, per gli altri simbolo del
cuore paterno dell’umanità... Effettivamente, tutte queste insegne di
guerra direttamente o indirettamente massoniche come cuori portatili,
medaglioni, stelle e bandiere pseudo religiose, sono soltanto parodie,
intellettualmente piuttosto miserabili, di quelle cattoliche.

134 Cfr. J. V. Bainvel: La Dévotion au S.-C. de Jésus - Sens précis du Message, Beauchesne,
Parigi, 1921, p. 589-596.
135 Cfr. l'opuscolo citato (p. 23).
136 («Gloria all’Altissimo! Onore e Patria! Cuore di Gesù, salvate la Francia! Amore, soli-
darietà. Pace agli uomini di buona volontà», N.d.T.}.

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330 SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO

L’empietà volle andare anche oltre; quando fu istituita la Società delle


Nazioni, fu proposta la creazione di una bandiera per tale invenzione, la
bandiera nuova che Jean Hennesy chiese tutta blu «colore del cielo e dei
mari», cosa per la quale nessuno, credo, vide grossi inconvenienti, ma il
giornale Lei Sociétédes Nations volle che fosse segnata nel suo mezzo
«da un disco d oro, immagine del sole, e di un triangolo, la punta in
basso a significare l’emancipazione dell’umanità, mentre il triangolo con
la punta in alto è l’emblema dell’autocrazia e della divinità. Ma, dato
che il popolo non coglierebbe appieno l’apporto di libertà, fraternità e
sovranità democratica contenuto nel triangolo rovesciato, la proposta si
completa come segue: inserendo al centro del triangolo l’immagine di un
cuore, si può dare a tale simbolo una espressione sensibile più alla
portata delle masse»8.
Ed eccoci ritornati al vecchio monile rivoluzionario di Machecoul,
che porta anch'esso un cuore nel suo triangolo rovesciato, triangolo che
trovo rivolto allo stesso modo sullo stemma del Capitolo dei Rosa-Croce
di Heredum de Kilwining, fondato a Parigi nel 1776 da massoni di Rito
Scozzese9.
Mi è stato comunicato un altro progetto, che qui raffiguro, per il
motivo centrale della stessa bandiera e che risponde esattamente a quello
di cui parla la brochure anonima Le Drapeau de la Société des Nations,
che riporta in copertina uno stendardo rosso e blu caricato al centro da
un disegno simile a quello che qui riproduco: un cuore, spiega la detta
brochure, circondato da spine e trafitto dall’alto al basso da una spada,
immagine dell’umanità sofferente, posta in un triangolo rovesciato al
centro di un sole; esso significa la soppressione di Dio e la marcia
dell’umanità verso il sole con le proprie forze... ’°.

s
Cfr. mons. Jouin e can. Gaudeau, op. cit.. p. 11.
9
Cfr. Cader de Gassicourt e Du Roure de Paulin: L’Hennétisine dans l’Art Héraldique,
Dragon, Parigi. 1907, p. 143 [trad. il.: /x- origini simboliche del blasone e L'ermetismo nell’arte
araldica, Arkeios, Roma, 1998].
10
Sarei più severo con la loggia della quale il mio erudito collega di araldica, Pallu du Bellay,
possiede il sigillo, che porla su un cartiglio cordiforme tre piccoli cuori infiammati accompagnati da
compasso, squadre, livelle, filo a piombo, goniometro, ecc., il tutto fra due rami di acacia; in alto il
motto VIRTUTI, SILENTIO, CONCORDI® e in basso L.D.S.C, che alcuni traducono LOGGIA DEI SACRI
CUORI, LOGGIA DEI SANTI CUORI, e che altri leggono LOGGIA DEI SUBLIMI CUORI...?

Ancora una volta, ecco il buon Dio prigioniero del triangolo... Deve

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RAPPRESENTAZIONI BLASFEME DEL CUORE DI GESÙ
331
esserne piuttosto irritato... In sintesi, tutte le insegne che abbiamo visto,
come tutto quello che proviene dalle Logge, sono solo grida impotenti di
rivolta contro un Dio che insultano, ma non raggiungono affatto.
Devo fare delle riserve parlando di Logge? E precisare: tutto ciò che
proviene dalle Logge massoniche - giacché mi si assicura che «un
gruppetto molto segreto» (che forse non è unico al mondo) costituito a
mo’ di Loggia e recentemente organizzato a Parigi -, sarebbe lontano
tanto quanto noi dallo spirito empio e non avrebbe contro la religione
cattolica alcuna ostilità, anzi, al contrario e pur tenendosi ai margini di
essa, adorerebbe il Cristo in una sorta di manicheismo in cui la Persona
di Gesù sarebbe da sola la Trinità e il suo cuore il solo Principe Buono,
opposto nel dualismo al Principe Malvagio, Satana; dunque, sarebbe
questa l’origine effettiva di ogni giustizia, di ogni bontà, di ogni
devozione, come anche la sola fonte di grazia.

Fig. 4. Motivo proposto per la bandiera della Société des Natiorts, 1921.

Questo raggruppamento rivela dunque ai nostri occhi una falsa


concezione nata dall’ignoranza religiosa e non dalla perversione della
volontà. Una sana fede, reale e sincera, può ricollegare le sue membra
inconsapevolmente all’«Anima della Chiesa» che donerà loro, il giorno
in cui essi lo chiederanno, la luce che cercano.
Cosa dire ora, se non constatare che, nella misura in cui cresce il culto
magnifico del Cuore di Gesù Cristo, la moltiplicazione delle sue
immagini e la parte che gli spetta nella vita cattolica, così sale la collera
della Contro-Chiesa e i suoi sforzi per associare, come simbolo,
l'immagine del Cuore Sacro, o la parodia di tale immagine, è tutto ciò
che essa può intraprendere contro di Lui?

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RAPPRESENTAZIONI BLASFEME DEL CUORE DI GESÙ
332
È la guerra fra le due Città, la battaglia fra i due campi e i due Sten-
dardi, di cui sant’Agostino e sant’Ignazio hanno scrìtto ai loro tempi.
Altri più qualificati parleranno con tutta probabilità in Regnabit di
questa lotta eterna di Satana contro il Cristo, contro il Cuore di Gesù
Cristo; il povero iconografo in queste righe ha voluto soltanto fissare in
anticipo alcuni fra i documenti più recenti per illustrare i loro commenti
futuri.
E davanti a queste immagini del Cuore di Gesù stretto fra corde, da
catene impotenti o rinchiuso in cinte che non lo imprigioneranno mai,
flettiamo le ginocchia come davanti alle tavole degli artisti che ci fanno
adorare il Redentore insanguinato, legato contro la colonna alla quale i
suoi carnefici in quel tempo lo legarono per flagellarlo. A coloro che
oggi si aggiungono alla loro turba, conviene solo la frase di Moreno: NO,
DIO NON MUORE!

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(Edizioni
>\rfceios
IL BESTIARIO DI CRISTO
Louis Charbonneau-Lassay
2 volumi
Siamo circondati da simboli, ma abbiamo smarrito la capacità di vederli e
di interpretarli. Recuperando una tradizione che si era smarrita, Char-
bonneau-Lassay si riappropria del linguaggio simbolico dell'araldica e
degli artisti medievali che operavano secondo \x\x ortodossia artistica,
certamente non frutto del capriccio né dell’immaginazione individuale.
Il Bestiario del Cristo è l'opera maggiore di Louis Charbonneau-Lassay
(1871-1946), lavoro formidabile per erudizione e ricchezza artistica, in cui
l'Autore ha esplorato tutte le fonti disponibili del mondo cristiano e di
quello precristiano per offrirci tutto quello che si può sapere sui simboli
animali esaminati in rapporto al Mistero dell’Incarnazione.
La figura di Gesù Cristo, simbolo per eccellenza della reale essenza divina
nel mondo, unisce e raccoglie a sé lutto il creato. Ogni essere vivente è un
inno di lode al Creatore e in sé riflette una parte della Rivelazione divina,
che si manifesta nella bellezza e complessità della Natura.
Risultato di un lavoro di decine di anni, il Bestiario del Cristo offre final-
mente a studiosi, letterati e semplici appassionati di simbologia e di arte
un prezioso e insostituibile strumento di ricerca e di approfondimento del-
l’iconografia cristiana.

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IL GIARDINO DEL CRISTO FERITO
Louis Charbonneau-Lassay

Se «z7 sìmbolo rivela determinati aspetti della realtà - i più profondi -


che sfuggono a qualsiasi altro mezzo di conoscenza», allora è necessario
spogliare l'uomo moderno e aiutarlo a guardare il mondo con gli stessi
occhi candidi e incantati di coloro che, in ogni tempo, dietro ogni
apparenza intravvedono realtà invisibili, tutte emananti da Dio e gravitanti
attorno a lui.
Per Louis Charbonneau-Lassay... questo è stato possibile, e forse la sua
straordinarietà risiede nel fatto di essere ancora oggi un propedeuta per gli
altri; per lui, «spiegare una cosa consiste sempre nel mostrare che essa
non è ciò che sembrerebbe essere, che essa è il segno e il simbolo di una
realtà più profonda, che essa annuncia e che significa altra cosa».
La lezione che l’uomo di oggi può apprendere anche attraverso queste
pagine sarà forse veicolata da un gusto dell’armonia che vi traspare, da
un'idea di bellezza che ne costituisce quasi la trama.
Charbonneau-Lassay stesso sembra farvi riferimento in un suo studio: «Se
Dio sparge la Bellezza a piene mani sotto i nostri passi, perché, chiu-
dendo gli occhi, passare nella vita come bestie da soma, indifferenti alle
iservate a chi sa spalancare, nei campi e nei
porte della sua anima e gli occhi del proprio cuore
all'incantesimo seda cente delle cose!».

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LE PIETRE MISTERIOSE DEL CRISTO
Louis Charbonneau-Lassay

Dopo il successo de // Bestiario del Cristo e de II Giardino de! Cristo


ferito; con il volume Le Pietre misteriose del Cristo prosegue la
presentazione al pubblico italiano dell’opera omnia di Louis
Charbonneau-Lassay (1871-1946).
Si tratta di un lesto in cui si incontrano una serie di continui rimandi che
non sfuggiranno all’appassionato di simbolismo e a chi per la prima volta
si accostasse ai lavori del celebre iconografo francese.
Così, al tema del tridente - di per sé congiunto al simbolismo geometrico,
altrove espresso in questo medesimo volume nel celebre studio sulla
triplice cinta, in cui l’autore rievoca fra l’altro le «circostanze singolari»
che lo avvicinarono ad alcuni raggruppamenti ermetico-mistici del
medioevo sopravvissuti sino al suo tempo - si accompagna lo studio sulla
simbolica delle sirene; al tema dei monogrammi fanno seguito le rievo-
cazioni di altre sigle alte a rappresentare la misteriosa emblematica di
Gesù Cristo e di alcuni suoi attributi; al tema dei graffiti ermetici rinve-
nuti in un’antica chiesa carmelitana - che riprenderebbero tutta una tradi-
zione simbolica proveniente dalla Terra Santa e dunque rappresentereb-
bero un’evoluzione in epoca medievale dell’antico simbolismo giudeo-
cristiano - si collega l'affascinante indagine sugli altri graffiti lasciati con
ogni probabilità dai cavalieri templari nel torrione di Chinon. Il volume
presenta inoltre in assoluta anteprima alcuni saggi sino ad oggi conservati
allo stato di manoscritti.
Finito di stampare
nel mese di luglio 2003
presso la Tipografia S.T.A.R.
Via Luigi Arali, 12 - 00151 Roma
Volume conclusivo dell'opera omnia
sul simbolismo di Louis Charbonneau-
Lassay (1871-1946), Simboli del
Cuore di Cristo antologizza i vari testi
del celebre iconografo francese -
divenuto nolo anche in Italia dopo il
successo editoriale de // Bestiario del
Cristo (Arkeios, 1994) - dedicati alla
profondità non solo ascetica e mistica,
ma anche storica, sociale, artistica e -
finalmente - simbolica dì quello che
l’autore reputava, quale fedele interprete
della Tradizione cristiana, il suo
simbolo supremo: il Cuore di Cristo.
Scrivendo queste pagine in vari articoli
e saggi comparsi nei primi decenni del
ventesimo secolo, Louis Charbonneau-
Lassay recepiva fra l’altro una scuola di
pensiero che negli anni 1920 e’1930
darà vi- la a influenti riviste alle quali
egli stesso col labore) in maniera fecon-
da: Regnabit e Le Rayoimemeitt In-
lellectiiel. Negli anni della sua maturità
intellettuale, Charbonneau-Lassay
rivelava così la sua particolare maestria
- anche artistica, tenuto conto della
consuetudine d’illustraTcda sé i propri
studi con numerose immagini incise su
legno - nel districarsi nell’immenso
patrimonio del simbolismo cristiano,
che veniva riscoperto grazie al nuovo
visore assunto dalla devo- zione al
Sacro Cuore.
Dalla nozione di Cuore nellAntico
Egitto ai celebri studi sulle insegne
vandeane, dai marchi commerciali dei
primi stampatori alle rappresentazioni
enigmatiche, è tutto un universo
simbolico a dischiudersi di fronte al
lettore, conducendolo attraverso un
itinerario lu uso i se- coli con la costante
rappresentata dal simbolo del Cuore di
Cristo, autentica bussola e orizzonte
dell’amore divino.
4
[«Tutti sappiano che io, Jaques Musequin mercante di pellicce e borghese di Bruges riconosco
e confesso aver avuto e ricevuto da Josset de Halle tesoriere di monsignore lo duca di Borgogna la
somma di venti cinque franchi d oro che mi sono stati dati da monsignore per la vendita e la consegna
di cinque cento venti di minuto vaio al prezzo di V franchi ogni cento di minuto vaio che monsignore
diede a messer Phelippe de Florigny, cavaliere, tale emendamento di monsignore potè risultare
appieno. Dei suddetti XXV mi ritengo contento e ben pagato e libero lo detto tesoriere di tutto il resto
testimonia il mio sigillo e la firma in calce a questa quietanza - Lo IX giorno di giugno dell’anno
mille CCCIIII** e undici», N.d.T.].
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Lettera del 22 settembre 1923.

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