La Terra può essere suddivisa su base composizionale in:
Nucleo → prevalentemente a base di ferro e nichel, con altri elementi (tra cui ossigeno e zolfo) in tracce; nella parte più centrale (nucleo interno) la pressione è talmente elevata che il materiale è cristallizzato man mano che la Terra si è raffreddata, mentre la parte più esterna (nucleo esterno) è ancora sufficientemente calda ed a pressione sufficientemente bassa da essere allo stato liquido. Mantello → è composto da materiali più pesanti rispetto a quelli della crosta ma più leggeri rispetto a quelli del nucleo; a parità di composizione chimica, troviamo rocce diverse a profondità diverse perché le condizioni termo-bariche influenzano la struttura cristallina che un minerale assume quando cristallizza (a maggiori pressioni, sono più stabili le strutture più compatte). Crosta → è la sottile pellicola di materiali relativamente leggeri che fin dalle origini della Terra si sono accumulati presso la sua superficie a causa della loro minore densità. Il principale componente della crosta è una roccia molto comune detta basalto, che è più leggero (densità di circa 3 g/cm3) rispetto alle rocce immediatamente sottostanti, però può venire subdotto all’interno del mantello e venire così riciclato man mano che l’attività vulcanica ne produce di nuovo. Vi sono però rocce della crosta che per ragioni legate al frazionamento magmatico sono molto impoverite di minerali pesanti, e quindi sono abbastanza leggere da galleggiare sul mantello senza subire mai subduzione; queste rocce (che complessivamente possiamo definire granitoidi) hanno continuato ad accumularsi alla superficie terrestre nel corso delle ere geologiche, aumentando sempre di più la superficie totale occupata da esse. I basalti sono più pesanti delle rocce granitoidi, per cui sprofondano nel mantello maggiormente ed il loro livello di base è più basso. Pertanto, le acque superficiali della Terra si accumulano nei bacini formati dalla crosta terrestre basaltica (crosta oceanica) mentre le rocce più leggere emergono al di sopra delle acque, costituendo le terre emerse (crosta continentale). Le rocce immediatamente sotto la crosta sono chiamate peridotiti ed hanno una composizione simile a quella basaltica, ma più arricchite di minerali pesanti (in realtà sono i basalti ad esserne impoveriti). La composizione chimica delle peridotiti è praticamente la stessa per tutto il mantello, ma a cambiare è la struttura cristallina a causa del progressivo aumento della pressione. Questo tipo di suddivisione (crosta, mantello, nucleo) non riflette le proprietà meccaniche delle rocce, le quali dipendono infatti non solo dalla composizione chimica ma anche dal comportamento delle rocce in diverse condizioni di temperatura e pressione. In generale vale che: A pressioni maggiori, le rocce sono più compatte, con gli atomi impaccati più strettamente ed un numero minore di lacune (spazi vuoti) nel reticolo cristallino; ciò significa che sono meno deformabili ed hanno una maggiore rigidità (resistenza alla deformazione). A temperature maggiori, le rocce sono meno dense e compatte e presentano un numero maggiore di lacune, con i loro atomi che possiedono uno spazio di manovra maggiore perché sono meno impaccati tra loro; ciò implica che all’aumentare della temperatura una roccia è più deformabile, ossia presenta una maggiore plasticità. Scendendo verso l’interno della Terra, temperatura e pressione aumentano progressivamente; la temperatura aumenta perché ci avviciniamo alla fonte del calore endogeno, ossia soprattutto il nucleo, e la pressione aumenta perché aumenta il carico delle rocce soprastanti. Tuttavia, esse non aumentano di pari passo e ciò fa sì che a profondità diverse vi siano combinazioni di valori di temperatura e pressione tali per cui le rocce possono essere complessivamente più plastiche o più rigide. In particolare questo fatto è degno di grande importanza (per le sue implicazioni nella tettonica delle placche) per quanto riguarda la parte più superficiale del mantello: Lo strato di rocce immediatamente sottostante alla crosta è abbastanza freddo da essere rigido e resistente alla deformazione; viene chiamato mantello litosferico perché è conveniente accorparlo alla crosta (dal momento che hanno le stesse proprietà fisiche e quindi si spostano di concerto) in uno strato unitario detto litosfera. Sotto al mantello litosferico, la temperatura è aumentata a sufficienza da vincere la pressione (che è a propria volta aumentata, ma più lentamente), cosicché le rocce sono parzialmente fuse ed hanno una grande tendenza a deformarsi plasticamente. Queste rocce, che hanno una composizione chimica identica a quella del mantello litosferico soprastante, se ne distinguono però dal punto di vista reologico (= del loro comportamento in risposta a sollecitazioni meccaniche), per cui questo strato è distinto e viene chiamato astenosfera. Il resto del mantello presenta proprietà reologiche variabili al proprio interno che dipendono soprattutto da come varia la temperatura; queste variazioni sono però complesse perché dipendono da molti fattori (ad esempio la presenza di placche in subduzione, pennacchi di materiale caldo in risalita dal nucleo, moti convettivi eccetera), quindi non ha senso operare una distinzione. La tomografia sismica è una tecnica molto sofisticata che ci permette di conoscere le differenti proprietà delle rocce all’interno della Terra in base alla velocità con cui le onde sismiche si propagano al loro interno. Infatti, la velocità di propagazione delle onde sismiche nelle rocce non è costante, ma dipende da due fondamentali proprietà dei materiali: La resistenza opposta dalla roccia alla compressione → le onde di compressione si propagano più velocemente nei materiali più resistenti alla compressione; ciò è vero sia per i liquidi che per i solidi e tendenzialmente questa proprietà aumenta all’aumentare della densità (perché più un materiale è denso, più è difficile avvicinare ulteriormente i suoi atomi). La resistenza alla deformazione → le onde di taglio si propagano più velocemente nei materiali più resistenti alla deformazione, ossia alle forze di taglio; ciò è vero solo per i solidi perché di fatto i liquidi non possiedono alcuna resistenza alle forze di taglio e quindi questo tipo di onde non possono propagarsi nei liquido. Queste due proprietà dipendono sia dalla composizione chimica delle rocce (infatti si tratta di proprietà meccaniche che dipendono direttamente dai tipi di legami considerati e dal tipo di struttura cristallina che possiedono), sia dalle condizioni termo-bariche, che influenzano la densità della roccia. Se la Terra fosse composta di un materiale uniforme in quanto a proprietà meccaniche, in seguito ad un terremoto le onde sismiche si propagherebbero in maniera radiale a partire dall’ipocentro. Ciò, tuttavia, non si verifica, per due motivi: Vi è una tendenza generale all’aumento della velocità di propagazione man mano che si scende verso il centro della Terra, perché aumenta la pressione e quindi la densità delle rocce. Variazioni nella composizione chimica o nel tipo di struttura cristallina dei minerali comportano differenti proprietà meccaniche e quindi differenti velocità di propagazione. La velocità di propagazione del fronte d’onda, quindi, sia per le onde compressive (dette anche onde P e più veloci), sia per quelle di taglio (dette anche onde S e più lente), non è costante all’interno della Terra ma aumenta o diminuisce in funzione dei due parametri appena descritti. Da uno stesso ipocentro, dunque, un fronte d’onda che si propaga in tutte le direzioni giungerà in momenti diversi in punti diversi della superficie, perché avrà attraversato regioni diverse dell’interno della Terra, sia in termini di composizione, sia in termini di condizioni termo- bariche. Inoltre, se un’onda di taglio attraversa una regione della Terra che è allo stato liquido, si blocca e viene dunque completamente schermata. Partendo da queste premesse, conoscendo la posizione dell’ipocentro e misurando i tempi di arrivo di uno stesso fronte d’onda in punti diversi della superficie terrestre (dove sono localizzati i sismografi) è possibile stimare prima di tutto la velocità a cui tali onde si sono propagate dall’ipocentro al sismografo, ed indirettamente le proprietà meccaniche della materia attraversata. Con questo approccio sono state individuate le superfici di discontinuità che delimitano i vari involucri: Discontinuità di Mohorovičić → costituisce il limite tra crosta terrestre e mantello litosferico; è posta a profondità diverse in regioni diverse della Terra perché lo spessore della crosta non è costante. È stata individuata per via del fatto che le onde sismiche che attraversano il mantello litosferico sono più veloci a causa della differenza composizionale tra le rocce granitoidi della crosta e quelle peridotitiche del mantello. Discontinuità di Gutenberg (2900 km) → si trova tra mantello e nucleo esterno ed è stata identificata grazie alla sola analisi delle onde di taglio; infatti, vi è un’ampia zona d’ombra sulla superficie terrestre dove queste onde non vengono registrate perché nell’attraversare la Terra si sono scontrate con il limite nucleo-mantello e non hanno potuto proseguire. Da ciò si è dedotto che il nucleo esterno è allo stato liquido. Discontinuità di Lehman (5150 km) → si tratta del limite tra nucleo esterno e nucleo interno ed è stato identificato sulla base dell’analisi di un doppio fenomeno di rifrazione delle onde compressive: prima un rallentamento (in corrispondenza della discontinuità di Gutenberg) e successivamente un’accelerazione a causa del passaggio attraverso il nucleo interno, solido. La tomografia sismica può anche essere applicata per valutare indicativamente la temperatura delle diverse regioni all’interno della Terra; conoscendone la composizione chimica e stimando la pressione presente ad una certa profondità, da alcuni parametri di tipo meccanico che vengono ricavati dalla velocità di propagazione delle onde sismiche è possibile dare una stima della temperatura. (L’idea di base è la stessa rispetto a quanto visto per la definizione degli involucri, però è ad una scala di risoluzione più piccola). Con questo metodo è stato possibile vedere come l’andamento della temperatura in funzione della profondità – soprattutto nel mantello – sia tutt’altro che regolare, con regioni apparentemente più fredde e regioni più calde, dovute ai complessi meccanismi di trasmissione del calore all’interno del mantello. Le differenti proprietà reologiche dei vari involucri della Terra sono di enorme importanza per spiegare le osservazioni connesse con i fenomeni della tettonica a placche. In particolare, è importante ricordare che: Crosta + mantello litosferico (litosfera), nonostante la differente composizione chimica, sono accomunate dal fatto di essere relativamente fredde e rigide. Sono quindi caratterizzate da una ridotta capacità di deformarsi elasticamente o plasticamente, e rispondono alle sollecitazioni meccaniche accumulando tensioni per poi fratturarsi quando queste tensioni diventano eccessive. Si dice dunque che la litosfera è caratterizzata da un comportamento fragile. L’astenosfera, al contrario, è abbastanza calda da potersi almeno parzialmente deformare in risposta alle sollecitazioni meccaniche, sia perché una parte di essa (una percentuale stimata attorno all’1-2%) è allo stato liquido, sia perché anche la maggioritaria componente solida è ricca di irregolarità nel reticolo cristallino che ne favoriscono la deformazione plastica. Possiamo dunque pensare all’astenosfera come ad un fluido molto viscoso che può deformarsi se sottoposto ad uno sforzo; essa è caratterizzata da un comportamento plastico. Questa dicotomia è importantissima perché è alla base della dinamica delle placche. Per quanto riguarda il mantello al di sotto dell’astenosfera, le sue proprietà reologiche sono più complesse e soprattutto non seguono un andamento regolare; possiamo però dire con certezza che esistono regioni del mantello caratterizzate da un certo grado di comportamento plastico, mediante il quale il calore proveniente dal nucleo viene trasportato per convezione verso la superficie.