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Delle donne, dei cavalieri, delle battaglie, degli amori, degli atti di cortesia, delle audaci imprese io canto ,che ci furono
nel tempo in cui gli Arabi attraversarono il mare d’Africa, e arrecarono tanto danno in Francia, seguendo le ire e i
furori giovanili del loro re Agramante, il quale si vantò di poter vendicare la morte di Traiano contro il re Carlo,
imperatore romano.

Nello stesso tempo, racconterò di Orlando cose che non sono state mai dette né in prosa né in rima: che per amore,
divenne completamente folle, lui che prima era considerato uomo così saggio; dirò queste cose se da parte di colei
che mi ha quasi reso tale e che a poco a poco consuma il mio piccolo ingegno, me ne sarà concesso a sufficienza (di
ingegno) che mi basti a finire l’opera che ho promesso.

Vi piaccia, generosa e nobile prole del [duca] Ercole I, che siete ornamento e splendore del nostro tempo, Ippolito, di
gradire questo poema che vuole e darvi solo può il vostro umile servitore. Il mio debito nei vostri confronti, lo posso
solo pagare in parte con le mie parole ed opere scritte; non mi si potrà accusare di darvi poco, perché io vi dono tutto
quanto posso donarvi, non ho altro.

Voi mi sentirete ricordare fra i più valorosi eroi, che mi appresto a citare lodandoli, di quel Ruggiero che fu il vostro e
dei vostri nobili avi il capostipite. Il suo grande valore e le sue imprese vi farò udire se mi presterete ascolto; e ile
vostre profonde preoccupazioni cedano un poco, in modo che tra loro i miei versi possano trovare spazio.

Orlando, che per tanto tempo era stato innamorato della bella Angelica e per lei in India, in Oriente, aveva lasciato
trofei immortali ed in numero infinito, era tornato infine con la donna amata in Occidente dove, sotto gli alti monti
Pirenei, con i Francesi ed i Tedeschi, il re Carlo si era insediato in campo aperto

perché il re Marsilio ed il re Agramante si pentissero ancora una volte delle loro folli azioni; Agramante per avere
condotto dall’Africa tante persone quanto erano in grado di portare spada e lancia, Marsilio per avere condotto la
Spagna nella distruzione del bel regno di Francia. E così Orlando arrivò sul posto al momento giusto, ma subito si pentì
di esservi giunto.

Gli anche fu tolta la donna che amava: ecco come il giudizio umano spesso sbaglia! La donna che dalle coste Orientali
a quelle Occidentali aveva difeso con una tanto lunga guerra, ora gli viene tolta tra tanti suoi amici, senza che sia
adoperata spada alcuna, sulla sua terra. Il saggio imperatore, con la volontà di estinguere un grave incendio
(pericolosa contesa d’amore), fu a togliergliela.

Pochi giorni prima era infatti iniziato un conflitto tra il conte Orlando e suo cugino Rinaldo, poiché entrambi, per la rara
bellezza di Angelica, avevano l’animo infiammato dal desiderio amoroso. Carlo non vedeva di buon occhio tale lite, che
poteva mettere in dubbio il loro aiuto, questa fanciulla (Angelica), che ne era la causa, prese e consegno nelle mani del
duca Namo di Baviera;

promettendola in premio a chi dei due, nell’imminente conflitto, in quella battaglia campale, avesse ucciso il maggior
numero di infedeli, e con la sua mano avesse quindi reso maggior servizio. Gli eventi fecero però venire meno le
promesse; perché i cristiani dovettero ritirarsi, insieme a molti altri, il duca Namo fu fatto prigioniero e la sua tenda
rimase vuota (Angelica rimase incustodita).

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Rimasta sola nella tenda, la donzella, che avrebbe dovuto essere la ricompensa del vincitore, visto l’andamento degli
eventi, salì in sella ad un cavallo e ad momento opportuno scappò, avuto presagio che, quel giorno, avversa alla fede
cristiana sarebbe stata la fortuna. Entrò in un bosco e per lo stretto sentiero incontrò un cavaliere che avanzava a
piedi.

11

Con addosso la corazza, in testa l’elmo, al fianco la spada ed al braccio lo scudo, correva per la foresta più
rapidamente di un contadino poco vestito in una gara di corsa. Una timida pastorella mai così rapidamente sottrasse il
piede dal morso di un serpente letale, quanto rapidamente Angelica tirò le redini per cambiare direzione non appena
si accorse del guerriero che sopraggiungeva a piedi.

12

Era questo guerriero (Rinaldo) quel paladino, figlio di Amone, signore di Montauban, al quale poco prima il proprio
destriero per uno strano caso era fuggito di mano. Non appena posò lo sguardo sulla donna, riconobbe, nonostante
fosse lontana, l’angelica figura ed il bel volto che lo avevano fatto prigioniero delle reti dell’amore.

13

La donna volta indietro il cavallo e per il bosco lo lancia in corsa a briglia sciolta; più per la rada (sgombra) che per la
fitta boscaglia non va cercando la via migliore e più sicura, perché pallida, tremante, e fuori di sé, lascia che sia il
cavallo a frasi strada da solo. L’animale da ogni parte, nell’inospitale foresta, tanto vagò che infine giunse alla riva di
un fiume.

14

In riva al fiume trovò Ferraù tutto impolverato e sudato. Poco prima lo aveva tolto dalla battaglia una grande desiderio
di bere di riposarsi; e poi, contro la sua volontà, lì si dovette fermare , perché, nella fretta di bere, lasciò cadere nel
fiume il proprio elmo ed ancora non era riuscito a ritrovarlo.

15

Sopraggiunse, gridando quanto più poteva la donzella spaventata. Udita la voce, il Saracino salta sulla riva la guarda
attentamente in viso e subito riconosce che chi sta arrivando arriva al fiume, nonostante fosse pallida e turbata dalla
paura e fossero passati più giorni dall’ultima volta che ne ebbe notizia, era senza dubbio la bella Angelica.

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Essendo di indole gentile e forse avendo anche l’animo infiammato non meno dei due cugini, porse a lei tutto l’aiuto
che era in grado di dare, come se avesse riavuto l’elmo, temerario e spavaldo: sguainò la spada e corse minaccioso
verso Rinaldo, che in realtà non era per niente intimorito da lui. Più volte si era già non solo visti ma anche scontrati
con le armi.

17

Cominciò lì una battaglia crudele, a piedi, come si trovavano entrambi, con le spade sguainate, Non solo le piastre
della corazza e la maglia di ferro ma neanche gli scudi reggevano ai loro colpi. Ora, mentre l’uno si occupa
affannosamente dell’altro, il destriero di Angelica è costretto ad affrettare il passo, perché con quanta forza riesce a
spronarlo, la donna lo spinge a correre per il bosco e l’aperta campagna.
18

Dopo che si furono affaticati invano i due cavalieri nel tentativo ognuno di fare soccombere l’altro, in quanto, con la
spada in mano, non meno istruito, capace, era l’uno dell’altro; fu per primo il signore di Montauban a rivolgersi al
cavaliere spagnolo, così come colui ha in petto, nel cuore, tanto fuoco che lo fa ardere tutto senza trovare pace.

19

Disse al pagano: “Avrai creduto me solo di ferire quando invece ferisci anche te stesso, se questo accade perché la
sfavillante bellezza di Angelica ha acceso d’amore anche il tuo petto, che cosa guadagni facendomi perdere tempo
qui? Che anche se tu mi catturi o mi uccidi non riuscirai a fare tua la bella donna, da momento che, mentre noi ci
attardiamo, lei scappa via.

20

Quanto sarebbe meglio, poiché ancora la ami, che tu le vada invece ad incrociarne la strada a trattenerla e farla
fermare, prima che ancora più lontano scappi Appena ne avremo il possesso, allora a chi dei due avrà appartenere
verrà poi deciso con la spada: non so altrimenti, dopo una lungo e faticoso combattimento, cosa riusciamo ad ottenere
se non un danno.”

21

Al pagano (Ferraù) la proposta piacque: così il duello fu rimandato e la tregua proposta fu subito fra loro attuata; tanto
l’odio e l’ira vengono dimenticati, che il pagano nel partire dalle fresche acque del fiume non lasciò a piedi il buon
figlio di Amone: lo preghiere lo invita ed alla fine lo fa montare a cavallo ed all’inseguimento di Angelica galoppa.

22

Oh bontà dei cavalieri antichi! Erano rivali, parlavano una diversa lingua, si sentivano dei duri colpi crudeli ancora
dolere tutto il corpo; eppure per boschi oscuri e sentieri tortuosi vanno insieme senza temersi tra loro. Da quattro
speroni punto, il destriero arriva ad un bivio.

23

E come quelli che non sapevano se l’una l’altra via avesse imboccato la donzella (poiché senza alcuna differenza, su
entrambi i sentieri l’impronta appariva fresca, recente) misero la propria sorte nelle mani della fortuna. Rinaldo per
questo sentiero, il saracino per quello. Per il bosco Ferraù molto s’aggirò ad alla fine si ritrovò al punto di partenza.

24

Viene a ritrovarsi infine ancora sulla riva del fiume, là dove l’elmo gli cascò dalla testa tra le onde. Poiché non ha più
speranze di ritrovare la donna, per riavere l’elmo che il fiume gli nasconde, dalla parte dove gli era caduto scende fino
alle estreme umide sponde: ma l’elmo era così ben nascosto nella sabbia che dovrà operare molto prima di poterlo
riavere.

25

Con un lungo ramo d’albero ripulito da rami e foglie, con il quale si era costruito una lunga pertica, sonda il fiume e
cerca fino sul fondo, battendo e pungendo con la punto in tutti i punti del fiume. Mentre con un enorme risentimento,
stizza, prolunga oltre la sua permanenza in quel luogo, vede in mezzo il fiume un cavaliere uscire dall’acqua fino al
petto, di aspetto fiero.

26

Era, ad eccezione della testa, completamente armato, ed aveva una elmo nella mano destra: aveva in particolare lo
stesso elmo che aveva cercato Ferraù invano per così tanto tempo. Il cavaliere si rivolse a Ferraù in tono adirato, disse:
“Ah traditore che non mantiene la parola data! Perché ti dispiace anche di abbandonare l’elmo, che invece mi avresti
dovuto rendere già da tanto tempo?

27
Ricordati, pagano, di quanto hai ucciso il fratello di Angelico, sono io quello (Argalia), insieme alle altre armi tu mi
promettesti di gettare entro pochi giorni anche il mio elmo. Ora, se la fortuna (quello che non hai voluto fare tu) ha poi
voluto che si realizzasse il mio volere, non ti devi dispiacere; e se anzi ti devi dispiacere, devi solo dispiacerti di non
avere mantenuto la parola data.

28

Ma se desideri ancora un buon elmo, trovane un altro e portalo con te con più onore; uno di buona fattura lo porta il
paladino Orlando, un altro Rinaldo, forse anche migliore di quello d’Orlando: prima uno apparteneva ad Almonte e
l’altro a Mambrino: conquistane uno dei due con il tuo valore, questo invece, che avevi già promesso di lasciarmi, farai
bene a lasciarmelo effettivamente.”

29

Non appena, all’improvviso, appare dall’acqua il fantasma, si rizzo ogni pelo del Saracino ed il viso gli si fece scolorito;
la voce gli si strozzò in gola. Udendo poi da Argalia, che ucciso lui aveva (perché Argalia si chiamava), rimproverare a sé
stesso di non aver mantenuto la parola data, di scocciatura e di ira si accese tutto, dentro e fuori.

30

Non avendo tempo per cercare una altra scusa, sapendo benissimo che Argalia diceva il vero, Ferraù rimase a bozza
chiusa, senza controbattere; ma il suo cuore fu talmente trafitto dalla vergogna, che giurò sulla vita di sua madre
(Lanfusa) non volere indossare più nessun altro elmo se non quello di buona fattura che nell’Aspromonte Orlando levò
dal capo di Almonte (dopo averlo ucciso).

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E mantenne questo giuramento meglio di quanto non aveva fatto con quell’altro prima. Ripartì dal fiume con tanto
malcontento che per molti successivi giorni si tormentò e consumò. Ha voglia solo di cercare il Paladino (Orlando) in
ogni luogo dove ritiene possa trovarlo. Avventura diversa accadde al valoroso Rinaldo che si incamminò su sentieri
diversi da quelli percorsi da costui.

32

Rinaldo non fa molta strada che vede comparire davanti a sé il proprio focoso destriero: “Fermati, Boiardo mio, dai,
arresta il galoppo! Perché stare senza di te è per me troppo pericoloso.” Non per questo il cavallo, sordo ai richiami,
torna da lui, anzi si allontana veloce sempre di più. Rinaldo lo segue, tormentandosi d’ira: ma seguiamo ora Angelica in
fuga.

33

Fugge tra spaventosi ed oscuri boschi, per luoghi inabitati, selvaggi e solitari. Il rumore provocato dal movimento dei
rami e dalla vegetazione di querce, olmi e faggi, che Angelica sentiva, causa le improvvise paure, le avevano fatto
intraprendere insoliti sentieri da ogni parte; perché ogni ombra che vedeva sui monti o nelle valli, le facevano temere
di avere ancora alle spalle Rinaldo.

34

Come un cucciolo di daino o capriolo, che tra i rami del boschetto nel quale è nato abbia visto la gola della madre dal
morso del leopardo stretta, o che le squarcia il petto od il fianco, scappa dall’animale crudele di bosco in bosco e
trema per la paura e per il sospetto della sua presenza: per ogni cespuglio che tocca al proprio passaggio crede di
essere già già in bocca alla belva crudele.

35

Quel giorno, la stessa notte e per metà del giorno seguente vagò senza sapere dove stesse andando. Venne a trovarsi
infine in un boschetto leggiadro, mosso delicatamente da un vento fresco. Due ruscelli trasparenti, riempiendo l’aria
del loro gorgoglio, consentono la presenza sempre dell’erba e la sua crescita; e rendevano piacevole da ascoltare il
concerto, interrotto solo tra piccoli sassi, del loro scorrere lento.
36

Qui, credendo di essere al sicuro e lontana mille miglia da Rinaldo, per lo stancante tragitto ed il caldo estivo decide di
riposare per un po’ tempo: scende da cavallo tra i fiori e lascia andare a nutrirsi, senza briglia, libero, il proprio
destriero; l’animale vaga quindi nei dintorni dei ruscelli, che avevano piene le rive di fresca erba.

37

Non lontano da sé Angelica scorge un bel cespuglio, fiorito di susine e di rose rosse, che si specchia nelle onde limpide
dei ruscelli ed è riparato dal sole dalle alte querce ombrose; vuoto nel mezzo, così da concedere fresco giaciglio tra le
ombre più nascoste: le sue foglie ed i suoi rami sono talmente intrecciati che non passa il sole, e nemmeno la vista
dell’uomo, meno penetrante.

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L’erbetta morbida crea un letto all’interno del cespuglio, invitando a stendersi sopra chi vi giunge. La bella donna si
mette in mezzo al cespuglio, lì si corica e quindi si addormenta. Ma non rimane lì addormentata molto tempo, che le
sembra di sentire avvicinarsi un rumore di calpestio: si solleva piano piano e presso la riva di un ruscello vede essere
giunto un cavaliere armato.

39

Angelica non riesce a capire se gli è amico o nemico: il timore e la speranza le scuotono il suo cuore dubbioso; attende
che quella avventura giunga ad un termine senza emettere neanche un solo sospiro. Il cavaliere si siede in riva al
ruscello reggendosi la testa con un braccio; e viene tanto rapito dai propri pensieri, al punto che, immobile, sembra
essersi mutato in insensibile pietra.

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Assorto dai propri pensieri, con il capo basso, per più di un’ora stette, cardinale Ippolito, il cavaliere abbattuto; dopo di
ché cominciò con un lamento afflitto e dolente a lamentarsi in modo tanto struggente, che avrebbe infranto un sasso
per pietà, una crudele tigre fatta misericordiosa. Piangeva tra i sospiri, tanto che un ruscello sembrava scorrergli sulle
guance ed il petto un vulcano infuocato.

41

Diceva: “Pensiero che mi ghiaccia ed arde il cuore, e causa il dolore che sempre lo consuma, che ci posso fare se sono
giunto tardi ed altri, arrivati prima, avevano già colto il frutto (Angelica)? Ho ricevuto a stento suoi sguardi e parole,
altri hanno invece ricevuto tutto il ricco bottino. Se a me non spettano né il frutto né il fiore, perché per lei voglio
ancora tormentare il mio cuore?

42

La vergine è simile ad una rosa, che in un bel giardino, sul rovo che l’ha generata, si riposa finché è sola ed al sicuro, e
né gregge né pastore le si avvicinano; la brezza delicata e la rugiada del mattino, l’acqua e la terra si inchinano davanti
al suo fascino: giovani amanti e donne innamorate amano ornarsi il collo e la testa lei, la rosa.

43

Ma non appena dallo stelo materno e dal ceppo verde del cespuglio viene staccata, quanto aveva per gli uomini e per
il cielo fascino, grazia e bellezza, tutto perde. La vergine che il proprio fiore, del quale deve avere cura più che dei
propri begli occhi e della propria vita, lascia cogliere ad altra persona, perde l’ammirazione che poco prima aveva nel
cuore di tutti i propri amanti.

44

Diviene di scarso valore agli occhi degli altri, ed amata solo da colui al quale fece così grande dono di sé. Ah, fortuna
crudele, fortuna ingiusta! Gli altri godono mentre io muoio di stenti. Non potrebbe allora essermi lei meno cara? Non
potrei forse abbandonare la mia propria vita? Ah, che io muoia oggi stesso piuttosto che vivere più a lungo, se non
dovessi amare lei!”

45

Se qualcuno mi domandasse chi sia questo cavaliere, che versa così tanta lacrime sopra il torrente, io risponderò che
lui è il re di Circassia, Sacripante, tormentato dall’amore; dirò ancora che della sua pena, grave da sopportare, la prima
e sola causa è l’amare una donna, ed è proprio uno degli amanti di Angelica: è subito fu infatti da lei riconosciuto.

46

In Occidente, dove il sole tramonta, per amore di lei era giunto dal confine estremo dell’Oriente; appena, in India,
venne a conoscenza, con suo grande dolore, che lei aveva seguito Orlando in occidente: poi seppe, giunto in Francia,
che l’imperatore l’aveva allontanata dalle altre persone, con l’intento di darla a chi dei due, contro gli arabi, avesse
meglio aiutato la Francia.

47

Era stato sul campo di combattimento ed aveva intravisto la crudele confitta che di lì a poco avrebbe subito re Carlo:
cercò tracce della bella Angelica, ma non era ancora riuscito a trovarne. Questa è dunque la triste e dolorosa vicenda
che lo fa penare per il male d’amore, lo fa affliggere, lamentare, e dire parole che potrebbe fare fermare il sole per
pietà nei suoi confronti.

48

Mentre Sacripante in tale modo si affligge e soffre, rende i suoi occhi una tiepida fonte di lacrime, e pronuncia queste
e molte altre parole, che non mi sembra necessario siano raccontate; la sua buona sorte vuole che dalle orecchie di
Angelica siano conosciute: e così accadde in un’ora, in un solo momento, quello che il mille anni, od anche mai, può
succedere.

49

Con molta attenzione Angelica, presa ascolto al pianto, alle parole, ai gesti di colui che di amarla si affaccenda molto; e
non è una scoperta di questo giorno: ma, dura e fredda più di una colonna, non si degna di avere pietà di lui, come
colei che snobba tutto il mondo e pensa non esista persona alcuna degna di lei.

50

Solo il fatto di trovarsi sola tra quei boschi le fa pensare di prendere il cavaliere come guida; perché chi sta nell’acqua
fino alla gola, annegando, sarebbe molto ostinato se non chiedesse aiuto. Se questa occasione ora le sfugge, non potrà
poi mai più trovare una scorta più fidata; poiché già in precedenza aveva sperimentato a lungo quel re, fedele più di
qualunque altro suo amante.

51

Non pensa però di alleviare l’affanno che distrugge lui che la ama, e rimediare ad ogni precedente danno donandogli
quel piacere che ogni amatore più desidera: ma con qualche finzione, con qualche inganno, trama ed ordisce di
mantenerne viva la sua speranza; tanto che per quel suo fine se ne servirà, per poi tornare alle sue abitudini,
insensibile ed ostinata.

52

Fuori da quel cespuglio oscuro e buio all’improvviso si mostra nella sua bellezza, come dalla foresta o fori dall’ombrosa
grotta Diana o Venere si mostrarono; e dice non appena è visibile: “La pace sia con te; ai tuoi occhi Dio difenda la
nostra reputazione, e non tolleri, contro ogni giustizia, che tu abbia di me una così falsa opinione.”

53
Mai con tanta felicità e stupore una madre posò i propri occhi sul figlio, che aveva pianto e sospirato pensandolo
morto, dopo che aveva sentito ritornare l’esercito senza di lui appresso; con quanta felicità il saraceno, e con quanto
stupore, la nobile figura ed il leggiadro comportamento, e le angeliche sembianze, si vide all’improvviso apparire
dinnanzi a sé.

54

Pieno di dolce ed amoroso affetto, corse dalla sua sua donna amata, dalla sua dea, la quale lo tenne stretto al collo con
le sue braccia, come in Catai non avrebbe mai forse fatto. Al regno del padre, al nido ove era nata, avendo ora
Sacripante con sé, come guida, rivolge il pensiero: subito in lei si riaccende la speranza di poter presto rivedere la sua
ricca reggia.

55

Angelica gli raccontò, nei minimi particolare, ciò che successe dal giorno che fu mandato da lei a chiedere soccorso in
Oriente al re Gradasso di Sericana e Nabatea; e come Orlando la salvò all’ultimo dalla morte, dal disonore e da
situazioni pericolose: e che così aveva avuto la propria verginità inviolata, come l’aveva avuta dalla nascita.

56

Forse era vero ciò che diceva, ma non era però credibile a chi fosse padrone della propria ragione; ma parve
facilmente possibile a Sacripante, che aveva commesso un ben più grave errore, innamorandosi. Quel che l’uomo
potrebbe vedere, l’amore gli nasconde, e ciò che non sarebbe visibile viene fatto vedere dall’amore. Il racconto fu
creduto; poiché l’uomo misero è solito credere troppo facilmente a ciò che ha bisogno di credere.

57

“Se male seppe Orlando, cavaliere di Anglante, approfittare per sua sciocchezza della situazione favorevole, pagherà
poi le conseguenze; perché da ora in avanti la fortuna non gli proporrà più una tale buona occasione (disse tra sé e sé
Sacripante): ma io non intendo imitarlo, così da lasciare tutto il bene che mi è concesso per poi avere di che
rammaricarmi di me stesso.

58

Coglierò la fresca e mattutina rosa, che, con il tempo, potrebbe perdere la sua freschezza. So bene che a una donna
non si può far cosa che sia più dolce e piacevole, anche se si mostro disdegnosa a riguardo, ed a volte se ne stia triste e
piangente: non permetterò che un rifiuto o un finto sdegno non lasci prender forma e realizzare il mio intento.”

59

Così pensa Sacripante; e mentre si appresta al dolce assalto, un rumore forte proveniente dal vicino bosco gli
rimbomba nelle orecchie, così che contro voglia è costretto ad abbandonare l’impresa: si rimette l’elmo (avendo la
vecchia abitudine di girare sempre armato), raggiunge il destriero, gli rimette le briglie, rimonta in sella ed impugna la
lancia.

60

Ed ecco sopraggiungere per il bosco un cavaliere, le cui sembianze sono di uomo vigoroso e fiero: candido come la
neve è il suo vestiario, un pennacchio bianco aveva come cimiero. Re Sacripante, non potendo sopportare che quel
cavaliere, con l’inopportuno suo percorso, gli abbia interrotto la situazione piacevole nella quale si trovava, lo guarda
con occhi minacciosi e pieni di sdegno.

61

Non appena è a lui più vicino, lo sfida a combattere; credendo di disarcionarlo, farlo cadere da cavallo, facilmente.
L’altro cavaliere, che di Sacripante non stimo possa valere meno, e di questo ne dà la prova, le orgogliose minacce
lascia a metà, sprona subito il cavallo e pone in posizione di attacco la lancia Sacripante con furore, presa la rincorsa,
va al galoppo, e si corrono incontro per ferirsi.

62

Non vanno i leoni od i tori in amore ad affrontarsi, a scontrarsi con così tanta crudeltà, come i due guerrieri al fiero
assalto, che allo stesso modo trapassano l’uno lo scudo dell’altro. Lo scontro fece tremare dal basso all’alto le valli
erbose fino alle spoglie vette; e fu vantaggioso che furono di buona fattura e perfette le corazze, tanto che salvarono i
loro petti da ferite mortali.

63

I due cavalli, uno di fronte all’altro, non deviarono in corsa, anzi si scontrarono violentemente tra loro come fanno i
montoni: il cavallo di Sacripante morì sul colpo, pur potendo essere annoverato, da vivo, tra i buoni destrieri: anche
l’altro cadde a terra, ma si rialzò non appena sentì pungere al suo fianco gli speroni. Quello del re saracino restò
disteso, tendendo schiacciato con il proprio peso il padrone.

64

Il misterioso campione che rimase dritto a cavallo, e vide l’altro cavaliere in terra con il cavallo, ritenendo di avere
avuto sufficiente trionfo da quel conflitto, non ritenne necessario rinnovare il combattimento; la dove, attraverso la
selva, il sentiero è dritto, si lancia invece al galoppo; e prima che il pagano riesca a liberarsi dall’impaccio, si è già
allontanato di un miglio o poco meno.

65

Come lo stordito e stupito aratore, dopo che è passato il fulmine, si alza in piedi dal posto dove il fragore assordante
l’aveva sbattuto a terra vicino ai buoi uccisi dallo stesso; guarda privo di rami, e quindi privo di onore, il pino che da
lontano era abituato a scorgere: allo stesso modo si alzò Sacripante, con Angelica testimone alla situazione
imbarazzante.

66

Sospira e geme, non perché gli dia fastidio l’essersi rotto o slogato un braccio od un piede, ma solamente per la
vergogna, per la quale, mai in vita sua, né prima né dopo quel momento, arrossì tanto in viso: ed in aggiunta, oltre
all’essere caduto, fu Angelica a liberarlo dal grande peso che aveva addosso. Il saraceno sarebbe restato muto, lo
posso capire, se Angelica non gli avesse ridato la voce ed il dono della parola.

67

Disse lei: “Dai! Signore, non preoccupatevi! Perché la colpa della caduta non è vostra ma del cavallo, il quale di riposo
e di cibo aveva più bisogno che di un altro duello. E l’altro guerriero non esalti troppo il proprio trionfo perché ha
dimostrato di essere stato lui lo sconfitto: valuto, per quel poco che ne capisco a riguardo, così l’accaduto, dal
momento che per primo ha abbandonare il combattimento.

68

Mentre lei conforta così il saraceno, ecco che, con il corno ed al fianco la borsa, sopraggiunge, galoppando sopra un
ronzino, un messaggero che appariva stanco e sconsolato; dopo essersi avvicinato a Sacripante, gli chiese se, con un
scudo bianco e con un pennacchio bianco sul l’elmo, avesse visto passare un cavaliere attraverso la foresta.

69

Sacripante rispose: “Come vedi, il cavaliere che cerchi mi ha disarcionato ed è appena ripartito; affinché io possa
sapere chi mi ha fatto cadere da cavallo, fammi conoscere il suo nome, nelle armi l’ho già conosciuto.” Ed il
messaggero a lui: “Il tuo desiderio di sapere verrà soddisfatto senza alcuna esitazione: devi perciò sapere a
disarcionarti è stato l’alto valore di una nobile donzella.

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Lei è energica, ma soprattutto bella; ma il suo famoso nome non ti nasconderò oltre: è stata Bradamante ha toglierti
più onore di quanto tu ne abbia mai guadagnato al mondo.” Dopo essersi così pronunciato, il messaggero ripartì al
galoppo lasciando molto poco allegro Sacripante, che non sa più che dire o fare, con la faccia completamente
infiammata dalla vergogna.

71

Dopo aver pensato a lungo, invano, alla situazione fortunosa che gli era capitata, si trovò infine steso a terra da una
femmina, e più ci pensa e più ne soffre; monta sul cavallo di Angelica, silenzioso ed incapace di parlare: senza proferire
parola, con calma, prede in groppa Angelica, e rimanda quindi i suoi piani ad una momento più lieto, ad un luogo più
tranquillo.

72

Non avevano percorso più di due miglia, che udirono risuonare il bosco che li circondava con un tale rumore e
strepitio, che sembrava tremasse tutta la foresta: poco dopo compare dalla vegetazione un destriero possente,
abbellito con oro e adornato riccamente, che procede scavalcando con balzi cespugli e torrenti, travolge e distrugge gli
alberi ed ogni altro impedimento al suo passaggio.

73

“Se la presenza di rami intricati e la scarsa luce (disse la donna) non mi ingannano gli occhi, è Baiardo quel destriero
che in mezzo al bosco, con tale frastuono, si apre a forza la strada. Questo destriero è di certo Baiardo, lo riconosco:
deh, quanto bene può fare alla nostra causa! Perché un solo destriero per due perone sarebbe poco adatto, ed è lui
venuto a soddisfare subito il nostro bisogno!

74

Sacripante smonta e si avvicina al fianco di Baiardo, pensando di riuscire ad impugnarne il freno. Il destriero risponde
al tentativo con i muscoli posteriori, girandosi velocemente come un fulmine; ma non arriva a colpire là dove aveva
indirizzato i calci: povero il cavaliere se avesse colpito in pieno! Poiché il cavallo aveva una tale forza nel calciare da
riuscire a spezzare anche una montagna di metallo.

75

Poi va invece mansueto dalla donzella con fare umile ed atteggiamento docile, così come il cane è solito saltellare
introno al proprio padrone, dopo essere da lui stato lontano per due o tre giorni. Boiardo si ricordava ancora di lei, che
in Albracca lo aveva accudito e governato personalmente, nel periodo in cui Angelica tanto amava Rinaldo, che invece
si mostrava allora crudele ed insensibile.

76

Angelica impugna con la mano sinistra la briglia del cavallo, accarezzandone con la destra il collo ed il petto; quel
destriero, dotato di ottima intelligenza, nei confronti di lei si dimostra mansueto come un agnello. Nel frattempo
Sacripante coglie l’attimo favorevole: monta Boiardo, lo sprona tendendolo a freno nello stesso tempo. Angelica
abbandona quindi la groppa del suo ronzino ora alleggerito, e si rimette quindi, più comoda, in sella.

77

Poi, posando intorno a se lo sguardo, vede sopraggiungere di corsa un possente guerriero a piedi. Angelica si accende
d’ira e di disappunto; riconosce infatti in lui Rinaldo. Più dalla propria vita lui la ama e desidera: lei lo odia e lo evita più
di quanto faccia la gru con un falcone. Prima accadde che lui odiasse lei più della morte; lei amò invece lui: ora la
propria sorte hanno invertito.

78

Ciò è stato causato da due fontane che rilasciano liquidi che producono effetti contrari, entrambe si trovano nelle
Ardenne, poco distanti tra loro: l’una riempie il cuore di desiderio d’amore chi beve dall’altra viene invece privato
dell’amore, e tramuta in ghiaccio il proprio ardore iniziale. Rinaldo assaporò un liquido e si tormenta ora d’amore;
Angelica dall’altra ed ora lo odia e fugge da lui.
79

Quel liquido mescolato ad un filtro magico, che trasforma in odio la passione amorosa, rende la donna che ha visto
Rinaldo subito oscura negli occhi sereni; e con una voce tremante ed un viso triste lei supplica e scongiura Sacripante
di non aspettare più vicino quel cavaliere, ma di fuggire insieme a lei.

80

-Valgo dunque- disse il Saraceno (Sacripante) – valgo dunque così poco ai vostri occhi, visto che mi credete inutile, e
non capace da potervi difendere da costui? Le battaglie d’Albracca già avete dimenticato, e la notte in cui io, per la
vostra salvezza, fui solo e nudo a proteggervi contro Agricane e tutto il campo?

81

Lei non risponde e non sa cosa fare, perché Rinaldo ormai le è troppo vicino, e minaccia il Saraceno da lontano quando
vede il cavallo e quando riconosce il viso angelico che gli aveva messo in cuore la passione amorosa. Quello che seguì
tra questi due superbi, voglio che sia riservato per il prossimo canto.

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