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SANDRO BOTTICELLI

Nato a Firenze con nome Sandro di Mariano di Vanni Filipepi studiò brevemente nelle botteghe di Ghiberti, Filippo Lippi e Del Verrocchio, dove conobbe
Leonardi da Vinci. Dal 1470 fu pittore indipendente e aprì una sua bottega. Lavorò poi per i medici. Dal 1481 all’82 visse a Roma per lavorare alla Cappella Sistina.
Aderì al movimento religioso del frate domenicano Savonarola e ciò ispirò le sue opere e il suo stile, abbandonando la rappresentazione di figure mitologiche e
tornando anche alle vecchie iconografie medievali. Per tutto il suo periodo artistico fu più preso dalla rappresentazione in primo piano che dei paesaggi. Mori nel
1510 a Firenze.

Primavera: 1478, Tempera su tavola, 203x314 cm, Firenze Galleria degli Uffizi

È stata dipinta da Sandro Botticelli nel 1478 per la residenza di Lorenzo Pier Francesco de’ Medici in via Larga, poi spostata nella villa di Castello nel 1516. La
scena (ha riportato in vita l’interesse per i soggetti mitologici) è ambientata in una radura delimitata da alberi di arance colmi di fiori e frutti, mirto e fronde di
alloro. Il terreno è cosparso di fiori e piantine. Il dipinto si legge da destra a sinistra, in base all’ordinamento dei personaggi. Troviamo inizialmente Zefiro, il vento
primaverile, che insegue Clori, la ninfa della terra, che si trasforma in Flora, la primavera. Questa è ornata di fiori che provengono dalla bocca di Clori, il collo e la
testa sono circondati da ghirlande mentre il seno è tenuto da tralci di fiori. È intenta a spargere sul terreno fiori che tiene nella veste del grembo ripiegata. Al
centro è presente Venere (che scegliere Venere voleva dire humanitas quindi aveva anche valore pedagogico e solo per dotti), che ha dietro di sé una pianta di
mirto, il suo simbolo sacro. Sopra il suo capo aleggia Cupido che sta scoccando una freccia infuocata contro le tre grazie danzanti sulla sinistra. Infine Mercurio è
intento a scacciare le nuvole col suo caduceo. Un’interpretazione vede il dipinto come la rappresentazione delle nozze tra Filologia e Mercurio, quindi la
Primavera è la retorica. I personaggi sembrano sfiorare il prato. Si possono scorgere dalla radura un po’ di paesaggio, e tutta l’attenzione è su venere circoscritta
in un cerchio azzurro

Nascita di Venere: 1484/85, Tempera su tela 172,5x278,5 cm. Firenze Galleria degli Uffizi

Eseguita attorno tra il 1484 e il 1485 per la villa di castello di Lorenzo di Pier Francesco De Medici. Il tema sta a mostrare il significato spirituale della bellezza,
utilizzata per avvicinare l’uomo a Dio. Venere quindi è avvolta da un'aurea spirituale. L’episodio, profano, può essere paragonato alla scena religiosa del
battesimo dove una figura centrale è affiancata a destra da una seconda figura che tende la mano sopra la principale, e a destra da altre 2 o 3. Venere è appena
nata dalla schiuma del mare e, già cresciuta, è in piedi sopra un conchiglione. Alla sua destra Zefiro e Clori, intrecciati, soffiando e spargendo fiori rosa, la
spingono verso la sponda (Cipro) dove Flora la attende e le porge un mantello rosso cosparso di margherite per coprirla. La composizione dei personaggi è
triangolare. Il paesaggio è trascurato per far concentrare l’attenzione dello spettatore sui personaggi: le onde sono lievi increspature a V mentre la costa è una
comune linea spezzata. La parte destra di Venere è dominata dai suoi lunghi capelli dorati che la avvolgono, coprendole pure il pube; quella sinistra invece è una
semplice linea morbida. La dea appare fragile e delicata, questo aspetto è messo in risalto pure dal collo lungo e dall’impossibile posa del braccio sinistro. Gli
occhi chiari le conferiscono uno sguardo innocente.

Madonna del Magnificat: 1483, Tempera su tela, 118 cm. Firenze Galleria degli Uffizi

Eseguita intorno al 1483 (ci sono almeno 5 repliche). Il nome è preso dalle prime parole in latino che si vedono sul libro che Maria sta scrivendo (il cantico
innalzato alla cugina Elisabetta). Dipinto su una tavola circolare che raffigura un oculo racchiuso in una cornice modanata, dal quale si vede un paesaggio verde
con un fiume e un castello. Il polso della vergine è piegato in maniera del tutto arbitraria e tiene in mano Gesù e un melagrana. Il polso, se si considera insieme
alla figura arcuata di Maria, da l’effetto di uno specchio convesso. (vanno presi in considerazione molto gli sguardi degli angeli, Maria e Gesù). L’oro usato da
botticelli orna i capelli, le aureole e lumeggia i capelli.

PIENZA

Nel 1459 papa Pio II Piccolomini incaricò l’architetto e scultore Bernardo Rossellino, collaboratore dell’Alberti, di ristrutturare il piccolo borgo natìo di Corsignano
e muto nome in quello attuale di Pienza (cioè «Città di Pio»). L’intervento si concentra sull’organizzazione della piazza principale. Qui, vengono progettati e
costruiti la nuova Cattedrale, il Palazzo Piccolomini, quello del cardinale Bòrgia (poi Vescovile), quello Pretorio, nonché la Canonica 7. Viene, così, aperta la piazza
del mercato, alle spalle del Palazzo Pretorio, e si costruiscono anche un ostello per i visitatori, oltre a un ospedale e a delle case del tipo a schiera per i cittadini
più poveri.

Cattedrale

La cattedrale si erge sul lato minore della piazza trapezoidale di Pienza, la quale è costituita da grandi riquadri pavimentati con mattoni disposti a lisca di pesce
divisi da fasce di travertino. La cattedrale si compone di forme gotiche, soprattutto nell’abside, ma nei fianchi muta e gli archi da acuti divengono a tutto sesto e
le trifore bifore. La facciata è tripartita: i due ordini di colonne sono uniti da alte paraste che le collegano con la coronazione: un timpano al cui interno è
presente un tondo contenente le insegne papali. Le arcate sono di pari altezza ma non di pari larghezza, identico aspetto per le tre navate interne. Le volte a
crociera sono sostenute da pilastri intorno ai quali si articolano 4 colonne con capitello dorico sormontato da un segmento di trabeazione. L’interno della chiesa
ha le pareti bianche, poiché il bianco si avvicina al divino. Pio II vietò d’affrescarle per conservare il candore. Le pareti bianche e il vetro trasparente fanno sì che,
una volta illuminata la chiesa, essa trabocchi di luce.

Palazzo Piccolomini

A destra della cattedrale. Nella facciata viene sottolineato l’andamento per fasce orizzontali, attraverso le trabeazioni con architravi in travertino, il cui bianco
risalta sull’ocra del bugnato. Le paraste sono bugnate, così l’intero piano inferiore pare un blocco compatto. Le arcate vengono progressivamente rese più ampie
per motivi puramente ottici. Il palazzo è un immenso parallelepipedo che dà ad un cortile interno, accessibile sia dalla piazza che da corso Rossellino. La parte
posteriore si getta su di un giardino pensile ed è composto di un triplice loggiato. Era dall’età Classica che non si era dichiarato l’intento di voler compenetrare la
natura con la costruzione e è la prima volta che un committente si concentra di più sulla natura che sull’edificio.

URBINO

A Urbino la stabilità del potere politico, e la presenza alla sua corte di grandi artisti quali Leon Battista Alberti, Piero della Francesca, Luciano Laurana, Francesco
di Giorgio Martini lavorano nella ristrutturazione urbana L’intervento interessa peraltro il solo palazzo di Federico Monferrato. L’edificio, frutto di accorpamento
e trasformazione di palazzotti preesistenti, nonché di nuove. Fu iniziato attorno al 1463/1464 da Laurana che lasciò la cittadina marchigiana nel 1472, ma nel
1476 il suo posto fu preso dal senese Francesco di Giorgio Martini, che fini l’edificio. Il palazzo è in laterizi e ha forme articolate. I fronti tra loro ortogonali non si
discostano, a prima vista, da quelli del tipico palazzo quattrocentesco, con porte e finestre architravate e bugne piatte in pietra che rivestono (anche se solo
parzialmente) le facciate di mattoni. Il lato sinistro è attribuito a Laurana; quello frontale si deve invece a Francesco di Giorgio. Le differenti concezioni – allo
stesso tempo architettoniche e strutturali – dei due architetti sono rese immediatamente evidenti dal diverso modo di distribuire le aperture.
FERRARA

Già dal Trecento Ferrara era una delle città più importanti della Pianura Padana. Nel Quattrocento poteva vantare una situazione economica florida ed era sede
di una corte – quella degli Este – colta e raffinata, che ospitava l’Alberti, Piero della Francesca e Andrea Mantegna. Nel 1492 il duca Ercole I (1431-1505) dette il
via ai lavori per l’ampliamento della città affidandone la progettazione e l’esecuzione all’architetto ferrarese Biagio Rossetti (1447-1516). L’ampliamento, noto
come «addizione erculea» è giustificato essenzialmente da motivazioni d’ordine militare, economico e demografico. Nel 1484, disastrosa guerra contro Venezia.
Si rendevano pertanto necessarie nuove cinte murarie fortificate, tali da resistere a un esercito equipaggiato modernamente. Gli abitanti, inoltre, erano in
aumento e gli alloggi scarseggiavano. Le aree di proprietà ducale che sarebbero state inglobate dalle nuove mura, passando da una destinazione agricola (quindi
scarsamente redditizia) a quella urbana, sarebbero aumentate di valore grazie alla possibilità di essere edificate. Il piano di ampliamento è innanzitutto
progettazione dei tracciati stradali come in un’antica città romana. La popolazione, smise di crescere e molte aree rimasero inedificate. Una profonda crisi
economica rallentò i lavori e il passaggio della città sotto il governo diretto della Chiesa, nel 1598, ne bloccò definitivamente il processo di sviluppo.

ANTONELLO DA MESSINA

Antonello da Messina, sperimentò la combinazione delle tecniche prospettiche. Nato a Messina attorno al 1430, di lui si hanno scarse notizie, salvo che per gli
anni in cui operò a Venezia (dal 1475 al 1476), ma doveva essere attivo almeno dal 1450 circa. Lasciata la città lagunare, continuò il proprio lavoro nella nativa
Messina fino al 1479, anno in cui si spense. Fu probabilmente a Napoli, che l’artista siciliano venne a contatto con le opere fiamminghe. Se l’artista toscano
riusciva a rendere la realtà attraverso la costruzione di una griglia prospettica e lo studio scientifico dell’anatomia umana, quello fiammingo la svelava e la
rivelava dopo averla osservata con occhio attento e sensibile, quasi sottoponendola a un’indagine microscopica.

San Girolamo nello studio: 1475, Olio su tavola 45,7x36,2 cm Londra National Gallery

Dipinto da Antonella di Messina. La scena è racchiusa da un arco ribassato catalano. Al suo interno un ombroso spazio, un edificio gotico ambiguo (non si sa se
civile o religioso). All’interno sono presenti volte ogivali e bifore e regna l’ombra, tranne che sullo studio di San Gerolamo. Lo studio, un piccolo cubicolo, serve
ad esaltare l’intimità del raccoglimento del santo nella lettura. Pavimento composto da piastrelle policrome. A destra dello studio una fila di colonne domina la
prospettiva e si concludono con un’ampia finestra. Nell’ombra è presente un leone, simbolo del santo. Sulla sinistra un altro ampio spazio che anch'esso si
conclude con un'ampia finestra, più avanzata rispetto a quella di destra, dalla quale si scorge un fiume una fiorente campagna e una città con cinta murarie. Il
santo è seduto al suo studio intento a leggere. È vestito di rosso, salendo lo studio si è tolto i calzari e ha posto dietro di sé il galero. Sul bordo della pedana sono
presenti un gatto che riposa e due vasi policromi contenenti entrambi piante. Appesi alla libreria un asciugamano e una fiaschetta. La libreria contiene libri e
altro, come un crocifisso, contenitori in ottone e un cofanetto di legno intarsiato. Sull'uscio un pavone che si dirige verso una bacinella e una pernice; il primo
simbolo di eternità e il secondo di verità, alludono all’attività del santo. Le venature della pietra ottenute raschiando il dipinto con la punta del manico del
pennello. Punto di fuga poco sopra il libro letto da Girolamo.

Vergine annunciata: 1475, Olio su tavola, 46x34 cm. Palermo Galleria Regionale della Sicilia di Palazzo Abatellis

Riassume tutta la Grandezza di Antonello. Leggio di legno rappresentato con prospettiva obliqua, molto dettagliato, dalle venature ai fori dei tarli. Maria ha la
mano protesa e serve da metro per la misura dello spazio. Vestita di blu, si staglia sullo sfondo nero. Maria ha appena notato l’angelo, si capisce dallo sguardo e
dall’atteggiamento. Il volto è luminoso e dolce.

ANDREA MANTEGNA

Andrea Mantegna, nacque a Isola di Carturo, nei pressi di Padova, attorno al 1431. Compì il suo apprendistato artistico a Padova nella bottega di Francesco
Squarcione (1397-1468). Nel 1460 si trasferì a Mantova. Mantegna dimorò fino al 1506, anno della morte. Se ne allontanò solo per compiere due viaggi in
Toscana e a Roma. Formazione Padovana: In quel periodo Padova, una delle più note e prestigiose sedi universitarie d’Europa, era anche fra i più importanti
centri italiani della cultura antiquaria. Tale cultura divenne il fertile terreno su cui Mantegna costruì la propria attività artistica. A essa si sommano anche
l’osservazione diretta di antichi monumenti, lo studio di disegni di altri rinomati artisti.

Camera degli sposi

Commissionatagli da Ludovico II Gonzaga nel 1465 Mantegna realizza la sua massima opera. Dipinge le pareti della stanza da letto del committente, un cubo di
lato 8 metri. Mantegna dipinge una finta architettura. Ogni parete è tripartita da una coppia di paraste che poggiano su un basamento. Sulle paraste sono
presenti dei veri peducci sui quali poggiano costole dipinte che ripartiscono il soffitto a rombi, che convergono verso il centro dove è presente un foro circolare,
con parapetto, dal quale si vede un cielo azzurro. Dei putti giocano e sono presenti pure delle fanciulle. Sul parapetto è poggiato un pavone, simbolo di eternità,
e opposto ad esso un vaso posto in bilico contenente una pianta da frutto. Fra un peduccio e l’altro sono dipinti delle barre di ferro ai quali sono appese delle
tende di cuoio orlate di oro. Sulle pareti est e sud le tende sono completamente abbassate. Sulla parete Nord è dipinta la corte Mantovana mentre su quella
Ovest l’incontro del marchese col figlio cardinale.

Parete Nord

La corte Mantovana è riunita a palazzo. IL marchese e la moglie sono seduti sulla sinistra. Il marchese sta parlando con il suo segretario, il quale si è tolto il
berretto in segno di rispetto, e tiene una lettera fra le mani. La moglie li osserva severamente. Il resto della corte è rappresentato nei minimi dettagli, i figli, la
nana, i consiglieri. Sotto il tronetto del marchese è accucciato un cane. Tappeti di stile orientale portano a pensare ad una corte amante del lusso.

Parete Ovest

Incontro fra il marchese e il figlio cardinale. Francesco, il figlio, è al centro della scena. I volti sono tutti rappresentati di profilo o di ¾, scelta legata ancora alla
tradizione tardo-gotica. Mantegna riporta anche qui il tema dell’antico, sullo sfondo infatti è presente una raffigurazione di Roma, ricca di ruderi e monumenti:
se ne distinguono alcuni come il Colosseo e la Piramide Cestia. Le mura sono poi restaurate. La presenza della città è un omaggio al cardinale per il
raggiungimento di quella meta ambita e prestigiosa.

Cristo in scurto: 1482/83, Tempera su tela, 68x81 cm. Milano Pinoteca di Brera

Quasi monocromo. Il corpo di Cristo (legato al “Cristo in pietà”) è già lavato deposto su una lastra di un colore rosso-giallastro. La testa poggia su un cuscino di
seta di un color rosa pallido. La metà inferiore è coperta da un panno grigiastro. Un lembo gira attorno alla spalla. Non nasconde le forme del corpo. Sulla destra
è presente l’uscio dal quale entra la luce. Sulla sinistra San Giovanni, Maria e Maddalena piangenti e gementi. Il Cristo da quasi un senso di oppressione e disagio
a chi lo guarda. Cristo è fortemente scorciato, la misura del corpo equivale a 4 volte la testa. I piedi sporgono in fuori verso gli spettatori. Grazie alle posizioni di
questi ultimi e delle mani si riescono a vedere gli squarci nella carne, dipinti con crudo realismo. Il punto di fuga si può individuare fuori dal dipinto seguendo le
linee della lastra.

GIOVANNI BELLINI

Nato a Venezia attorno al 1435, Giovanni Bellini fu l’innovatore della pittura veneziana, chiusa nel tardo-gotico. allievo di Gentile da Fabriano, fu inizialmente
attivo nella bottega paterna assieme al fratello Gentile. Con il padre e il fratello collaborò nell’esecuzione di talune opere, ma fu l’incontro con Andrea Mantegna
a guidare l’artista nelle scelte definitive. La fama di Bellini, in continua ascesa, lo portò a essere nominato pittore ufficiale della Repubblica veneziana nel 1483.
Morì il 29 novembre 1516. In tale data il cronista veneziano Marìn Sanùdo lo definisce optimo pytór.

PIETRO PERUGINO

L’artista, nativo di Castel della Pieve (ca 1445/1452), iniziò la propria attività in Umbria ma, ben presto, volle recarsi a Firenze. Nella città toscana Pietro stette
per qualche anno, ma dal 1472 è pittore indipendente, già conosciuto con il soprannome di Perugino. Già a capo di una florida bottega a Firenze sin dai primi
anni Settanta, Perugino ne aprì un’altra a Perugia. Osannato e celebrato come il più grande pittore della Penisola, l’artista vide lentamente la propria fama
oscurata dal coetaneo Leonardo e dai giovani astri nascenti di Raffaello, che era stato suo allievo, e di Michelangelo. Perugino abbandonò, allora, i centri
maggiori (Firenze e Roma) per ritirarsi nella sua Umbria, dove operò fino alla morte, sopravvenuta a Fontignano, nel 1523. Stanti la formazione avuta e le
esperienze maturate, i caratteri della sua pittura furono quegli stessi degli artisti fiorentini del Quattrocento: soprattutto la linea di contorno, l’abilità nel disegno
e la prospettiva.

Consegna delle chiavi a San Pietro: 1481/83, Affresco, 340x550 cm. Citta del Vaticano Cappella Sistina

Un grande affresco realizzato nella cappella sistina tra il 1481 e il 1483. Eseguito in 51 giornate. Messaggio religioso molto importante: rende esplicita la
trasmissione del potere da Cristo a Pietro e ai papi successori. La scena è ambientata in una ampia piazza antistante ad un grande tempio affiancato da due archi
di trionfo ispirati a quelli di Costantino riportanti elogi a Sisto IV. Il tempio a pianta ottagonale ha quattro protiri (solo 3 visibili), allude alla nuova chiesa fondata
da cristo. La prospettiva è individuabile grazie alla pavimentazione a scacchi della piazza, e il punto di fuga coincide con il portale del tempio. I personaggi sono
collocati secondo due fasce orizzontali: la prima, più bassa, è più ampia, mentre la seconda più stretta e contiene le figure in lontananza. Cristo dona a Pietro due
chiavi quella d’oro, che allude al potere spirituale, e quella di bronzo, il potere temporale dei papi. Il cielo, quasi bianco in basso e di un azzurro intenso in basso
è ricorrente nel perugino, così come lo sfondo che via via si dissolve. La composizione non si basa solo sulla prospettiva ma anche sui rapporti numerici, come il
tempio abbia larghezza pari alla somma degli archi trionfali. La serenità e la solennità del momento alludono a un componimento classico.

San Sebastiano: 1490, Tempera su tavola, 176x116 cm. Parigi Museo del Louvre

San Sebastiano (martire) è raffigurato contro una colonna al centro del dipinto. Pavimento a riquadri, finisce con una transenna oltre la quale si apre un verde
paesaggio pieno di arbusti. Prima della transenna due pilastri (sono riferimenti al viaggio di Perugino a Roma). Mentre quello a destra prosegue con un arco solo
lateralmente, su quello a sinistra si nota un braccio di un arco spezzato. Il martire è trafitto da due frecce, vestito solo di un perizoma. La gamba destra è tesa e
sostiene il corpo mentre la sinistra è aperta verso l’esterno. Il busto è leggermente ruotato verso sinistra e la spalla destra è lievemente abbassata. La posa del
santo rimanda alla statuaria classica, la nudità eroica e le membra lunghe. Nella parte inferiore è riportata una scritta che recita Le tue frecce sono penetrate in
me. Ce anche il San Sebastiano del Louvre che è colpito da una freccia al collo, ha la firma di Perugino e il corpo giovanile del ragazzo taglia con lo sfondo scuro.

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