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L'innovazione delle imprese della componentistica automotive: risorse


interne e relazioni tra imprese

Article  in  Sociologia del Lavoro · August 2017


DOI: 10.3280/SL2017-147007

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2 authors:

Anna Moretti Francesco Zirpoli


Università Ca' Foscari Venezia Università Ca' Foscari Venezia
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L’innovazione delle imprese della
componentistica automotive: risorse interne e
relazioni tra imprese

Abstract (italiano)
Dopo un iniziale entusiasmo verso i benefici dell’esternalizzazione
dell’innovazione attraverso lo sviluppo di relazioni inter-organizzative
finalizzate a co-progettare componenti e sistemi, la letteratura ha iniziato a
osservare che la scelta di basare i propri processi innovativi su fonti
esterne, per avere successo nel tempo, deve associarsi allo sviluppo di
risorse e competenze interne e a sofisticate pratiche inter-organizzative. Lo
studio presentato in questo articolo ha ad oggetto lo sviluppo delle relazioni
verticali nel settore automotive italiano. In linea con le pratiche
internazionali, la filiera italiana si è configurata secondo una logica
gerarchica e multi livello. Essa, tuttavia, non sembra essere ancora nelle
condizioni di sfruttare a pieno i vantaggi dell’innovazione distribuita. Lo
studio individua due ragioni principali, tra di loro collegate: (1) la scarsa
qualificazione della forza lavoro che rende difficile un miglioramento nelle
attività di innovazione svolte all’interno dell’impresa; (2) il basso ricorso a
fonti esterne di innovazione e la conseguente impossibilità di sfruttare le
sinergie normalmente rese possibili dalle relazioni di fornitura.

Abstract (inglese)
Title: Innovation processes in the automotive suppliers’ network:
internal resources and inter-firm relationships.
From an initial enthusiasm towards benefits of inter-organizational
relationships aimed at co-engineering components and systems, the
literature started highlighting that the choice of basing innovation processes
on external sources, in order to be successful in the long term, needs to be
associated with the development of internal competences and sophisticated
inter-organizational practices. The study presented in this article analyzes
the development of vertical relationships in the Italian automotive industry.
In line with international practices, the Italian supply-chain has developed
following a hierarchical and multi-level logic. Nevertheless, it seems to
lack the ability to exploit all advantages of distributed innovation. The
study identifies two main reasons, connected to each other: (1) the scarce
qualification of human resources, which makes difficult to improve internal
innovation activities; (2) the limited reliance on external sources of

1
innovation, with the consequent impossibility to exploit synergies normally
offered by client-supplier relationships.

Parole chiave (italiano)


Relazioni inter-organizzative; reti di imprese; innovazione; automotive.

Parole chiave (inglese)


Inter-firm relationships; networks; innovation; automotive.

Introduzione

L’industria automotive è un settore centrale per l’economia Europea, sia


per il suo contributo alla generazione di valore economico (stimato
approssimativamente in un 4% del PIL Europeo), sia per gli oltre 12
milioni di posti di lavoro legati direttamente o indirettamente al settore. La
rilevanza dell’industria per l’economia Europea e per le economie nazionali
fa sì che competitività e sostenibilità del settore siano una priorità per i
policy makers. In un ambiente caratterizzato da una crescente pressione
competitiva e da una riconfigurazione della geografia della concorrenza, è
riconosciuto come la competitività della filiera automotive sia guidata dai
processi di innovazione tecnologica di prodotto e di processo.
Tali processi innovativi, tuttavia, devono essere letti alla luce dei
profondi cambiamenti avvenuti rispetto a ruoli e dinamiche che
intercorrono tra Original Equipment Manufacturer (OEM) e fornitori negli
ultimi trent’anni. Alla fine degli anni ottanta, la spinta dei carmaker verso
l’outsourcing della produzione derivava dalla crescente convinzione diffusa
nel settore che l’esternalizzazione di larga parte della produzione fosse
oramai diventata una necessità competitiva (Whitford, 2005, p. 57), e che i
carmaker dovessero focalizzarsi sul design, l’assemblaggio, e il marketing.
I fornitori, per contro, investiti d’un tratto di responsabilità completamente
nuove, si riorganizzarono in quella che viene definita come la rete verticale
della fornitura, che si sostanzia in una stratificazione gerarchica di imprese
altamente specializzate, legate solamente ai fornitori di primo livello (e
quindi non più in relazione diretta con gli assemblatori finali).

2
L’approccio dominante, infatti, fu quello di segmentare e classificare i
fornitori in relazione alla complessità e rilevanza strategica del prodotto
oggetto di scambio. I fornitori diretti dovettero fare investimenti importanti
per integrarsi con i processi dell’assemblatore, fornendo moduli completi o
almeno parzialmente assemblati, e partecipando attivamente ai processi di
design e sviluppo. Lo sforzo e gli investimenti richiesti per rimanere un
fornitore diretto (in termini di competenze, capacità, e infrastrutture),
portarono ad un processo di auto-selezione delle imprese appartenenti alla
base di fornitura dell’OEM, che o lasciarono l’industria, oppure si
ricollocarono alla base della piramide diventando fornitori di secondo o
terzo livello (fornendo i componenti ai fornitori di primo livello).
Queste particolari condizioni dettate dalla riconfigurazione
dell’industria richiesero non solo processi di adattamento reciproco tra i
carmaker e i fornitori, ma anche uno sforzo importante in termini di attività
e processi di coordinamento con gli altri attori della rete di produzione, al
fine di garantire la massima coerenza tra tutti i processi e le componenti di
prodotto in un ambiente caratterizzato da processi di innovazione
distribuita.
Tale configurazione dei processi di produzione diede vita ad una intensa
rete di interdipendenze tra tutti gli attori coinvolti a diversi livelli dalle
pratiche di outsourcing, con esiti controversi sul fronte delle performance
degli attori coinvolti. Per quanto riguarda il caso Italiano, per esempio, è
stato evidenziato come le pratiche di outsourcing provocarono
un’importante perdita di competenze in Fiat Auto (ora Gruppo FCA), tale
da provocare una parziale retromarcia e un processo di insourcing di alcuni
dei processi precedentemente ceduti ai fornitori di primo livello (Zirpoli,
2010).
La complessità organizzativa del sistema produttivo automotive attuale,
ancora rappresentato da una rete verticale con al vertice l’OEM e ai livelli
inferiori una stratificazione gerarchica dei fornitori sulla base della
rilevanza strategica dell’oggetto di scambio, è ulteriormente stressata dalla
centralità dei processi di innovazione per la competitività dei produttori,
che devono gestire pratiche di co-engineering, competenze e conoscenze
distribuite (Lee & Berente, 2012). In un contesto empirico di questo tipo, le
relazioni inter-organizzative per i processi innovativi divengono un tema di
centrale importanza (Gulati, Nohria, & Zaheer, 2000).
Tale complessità è particolarmente pronunciata nel contesto Italiano,
caratterizzato da una significativa frammentazione del sistema di offerta in
una pletora di piccole e medie imprese, altamente specializzate in piccole
fasi del processo di produzione, e con attitudini molto diverse rispetto alle

3
attività innovative (Volpato, 2004). L’integrazione della conoscenza per lo
sviluppo dei processi di innovazione è una delle sfide più problematiche
della rete di fornitura del settore automotive Italiano, spinto dall’evoluzione
dell’industria internazionale verso un’articolata rete di relazioni inter-
organizzative (Zirpoli e Caputo, 2002).
Capire quanto i processi di sviluppo dell’innovazione si fondino sullo
sviluppo di relazioni inter-organizzative e quale, invece, sia il ruolo giocato
dalle risorse interne all’impresa, è un punto cruciale per il perseguimento
della competitività dell’industria automotive.
Il presente lavoro di ricerca mira a contribuire alla comprensione di
questo fenomeno attraverso l’analisi dei dati raccolti sulle attività
innovative condotte da un campione di imprese Italiani fornitrici
automotive. La prossima sezione inquadra la problematica nel dibattito
sulla letteratura internazionale, fornendo le premesse e le basi per il
contributo del presente articolo. La terza sezione propone la presentazione
dell’indagine sui fornitori, dalla raccolta dati all’analisi dei risultati. Chiude
l’articolo una sezione di discussione dei risultati, proponendo alcune
considerazioni conclusive sul tema delle risorse interne e delle reti
d’impresa per i processi di innovazione nell’industria automotive.

L’innovazione: risorse interne e relazioni inter-organizzative

L’innovazione è in misura sempre maggiore il frutto di un risultato


collettivo realizzato attraverso un network di attori (Powell et al., 1996).
Come osservato da Iansiti e Levien (2004) la sostenibilità del successo di
un’impresa è strettamente legata al destino dell’ecosistema cui essa
appartiene. Indipendentemente dalla circostanza che l’impresa giochi un
ruolo chiave o meno nell’ecosistema, il suo modello di business deve
adattarsi allo scopo di fare leva su risorse e competenze sulle quali essa non
detiene potere gerarchico (fornitori, clienti, concorrenti, centri di ricerca,
etc.). Tale circostanza è ben rappresentata dal concetto di open innovation.
Il termine descrive un modello di business che si basa sull’idea di utilizzare
fonti esterne di innovazione allo scopo sia di accelerare i processi di
innovazione interni sia di espandere i potenziali sbocchi per gli output
innovativi dell’impresa (Chesbrough, Vanhaverbecke and West, 2006).
Il dibattito sui confini dell’impresa innovativa è tutt’altro che recente (si
veda ad esempio von Hippel, 1988, Womack et al., 1990 ed anche Sobrero,
1996 e Lomi, 1990) e ha prodotto, nella pratica, il risultato che le imprese
hanno investito sostanziali risorse finanziarie e umane per adattare i loro

4
modelli di business (Chesbrough, 2003), i processi organizzativi interni e
l’architettura della catena del valore cui appartengono (Jacobides and
Billinger, 2006) a un modello basato sull’open innovation (da qui in avanti
si utilizzerà l’espressione innovazione distribuita che meglio si addice al
contesto empirico di riferimento, Zirpoli, 2010).
Da un periodo di grande entusiasmo e supporto, la letteratura ha,
tuttavia, iniziato a osservare e analizzare gli aspetti problematici e le
controindicazioni connesse alla scelta di basare i propri processi innovativi
su fonti esterne. Evidenze empiriche nell’industria dei motori per
l’aeronautica (Brusoni, Prencipe e Pavitt, 2001), degli hard disk
(Chesbrough and Kusunoki, 2001), dell’auto (Takeishi, 2001, 2002; Zirpoli
and Becker, 2011a) e dell’ingegneria chimica (Brusoni, 2005) hanno
mostrato che la gestione dei processi di innovazione distribuita incontrano
molte più difficoltà di quanto previsto.
Le strategie di innovazione distribuita nel settore auto, originano negli
studi degli anni ‘80 che avevano ad oggetto i nuovi paradigmi di lean
production e di lean supply (Helper, 1991a,b; Lamming, 1993; Smitka,
1991; Nischiguchi, 1994; Helper e Sako, 1995). Come noto, questi studi
avevano ad oggetto l’approfondimento del modello giapponese, il noto
Keiretsu, e la possibilità che esso fosse trasferito ai contesti economici
occidentali. La caratteristica distintiva del sistema Giapponese è stata
individuata nella differenziazione dei fornitori lungo i vari livelli di
fornitura (Dyer, 1996). Questa segmentazione coincide con l'appartenenza
a diversi livelli nella struttura piramidale (Keiretsu) e, secondo la gran parte
degli studiosi, è la chiave di successo del sistema giapponese (Clark e
Fujimoto, 1991; Kamath e Liker, 1994; Calderini e Cantamessa, 1997):
fornitori di componenti a basso valore aggiunto operano normalmente sulla
base di relazioni occasionali e basate su meccanismi di mercato, mentre i
fornitori di moduli e sistemi tendono ad operare in stretta partnership con
gli OEM. Tra questi due estremi si sviluppa un continuum di relazioni e di
scambi, con diverse tipologie di meccanismi di coordinamento ad esse
associate1.
La letteratura, inoltre, ha evidenziato un secondo risultato, in parte
collegato con l’idea di segmentazione della filiera: il percorso verso un
maggior coinvolgimento, maggiore responsabilità e maggiori profitti dei
fornitori passa attraverso maggiori investimenti in R&S e sistemi produttivi

1
Per una critica di tale approccio “contingentista” si veda Zirpoli e Camuffo
(2009). Per una rassegna di tali meccanismi, un’analisi critica e la loro
rappresentazione empirica nel contesto Italiano si veda Zirpoli e Caputo, 2002.

5
(Kamath e Liker, 1994, Liker et al., 1995). Su un piano più generale, in due
noti articoli Coehn e Levinthal (1990) e Henderson e Clark (1990)
mostrano che gli investimenti interni in ricerca e sviluppo sono
indispensabili per preservare, rispettivamente, la capacità di acquisire
conoscenza da soggetti esterni all’impresa e preservare la capacità di
integrare conoscenze e competenze diverse nel tempo (sul punto si veda
anche Fine e Whitney 1996). Tra i problemi legati a scarsi investimenti
interni in R&S la letteratura mette in guardia rispetto al potenziale
disallineamento tra l’insieme delle core competence di un’impresa e quelle
richieste dalle dinamiche evolutive del settore (Chesbrough e Kusunoki,
2001; Becker and Zirpoli, 2011b).
Gran parte della letteratura citata, tuttavia, ha studiato il fenomeno delle
strategie e dell’organizzazione dell’innovazione distribuita dal punto di
vista delle imprese che nella rete di innovazione giocano il ruolo di
integratori di sistema; ad esempio, nel caso dell’automotive il focus è stato
sui produttori auto e su come questi gestiscono il loro network verticale di
fornitura (in particolare per il settore automotive si veda Takeishi, 2001,
2002; MacDuffie, 2008; Zirpoli e Becker, 2011a, 2011, b). Tali studi hanno
evidenziato come la capacità innovativa della filiera sia spesso “spinta”
dagli OEM, interessati ad una riorganizzazione delle relazioni di
outsourcing in termini di riduzione del numero di fornitori, sempre più
specializzati e inseriti in una fitta rete di collaborazione con i fornitori di
secondo e terzo livello (Whitford & Zeitlin, 2004). La riorganizzazione
della piramide verticale della fornitura basata sulle pragmatic collaboration
(Helper, MacDuffie, & Sabel, 2000) ha permesso lo sviluppo di relazioni
tra imprese fornitrici orientate all’innovazione e alla condivisione della
conoscenza, attraverso i processi di learning-by-monitoring in cui le
imprese da un lato, avanzano la propria conoscenza grazie alla
collaborazione con i partner, e dall’altro sono in grado di controllare le
possibili derive opportunistiche dello scambio (Sabel, 1996).
Tuttavia, la focalizzazione sul ruolo degli OEM, specialmente in
contesti empirici come quello italiano in cui negli ultimi trenta anni vi è
stato il dominio indiscusso di un unico produttore di auto – Fiat Auto ora
FCA – ha prodotto, con qualche eccezione (Calabrese, Coccia, & Rolfo,
2002; Calabrese & Erbetta, 2004; Enrietti, Follis, & Whitford, 2003;
Volpato, 2004), il risultato di una scarsa conoscenza empirica
dell’evoluzione del contesto della filiera automotive, in particolare per
quanto concerne gli effetti del consolidamento di un modello di
innovazione distribuita sulle performance di innovazione dei fornitori.

6
Questo articolo prova a contribuire a colmare questa lacuna, riportando i
risultati di un’indagine empirica condotta sulla filiera di fornitura in Italia.
In particolare, lo studio ha avuto a oggetto le modalità con le quali i
fornitori che operano nella filiera hanno approcciato la sfida
dell’innovazione distribuita e gli effetti di tale approccio. Nello specifico, il
lavoro analizza la relazione che esiste tra le scelte strategiche relative
all’innovazione (ad esempio, approccio alla ricerca e sviluppo e allo
sviluppo di risorse umane), l’attitudine e le modalità di collaborazione con
le altre imprese e la performance innovativa delle imprese della filiera
automotive.

L’indagine sui fornitori italiani automotive

La raccolta dati

Il presente lavoro di ricerca si basa su una survey sui fornitori italiani


automotive sviluppata dal CAMI (Center for Automotive and Mobility
Innovation) del Dipartimento di Management dell’Università Ca’ Foscari
Venezia nel 2014, volta ad indagare i temi dell’innovazione e delle
relazioni inter-organizzative. La survey è stata realizzata in un’ottica di
complementarietà con l’Osservatorio nazionale sulla filiera automotive 2
realizzato, fino all’edizione 2015, dalla Camera di Commercio di Torino,
da ANFIA (Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica), e
dalla Camera di Commercio di Modena. Al fine di ottenere dei risultati dal
più elevato potenziale interpretativo, la survey è stata strutturata in tre
diverse sezioni, mutuate da diversi studi specifici in modo da permettere la
confrontabilità dei dati:
- La sezione di descrizione anagrafica e strutturale dell’impresa,
ripresa dal questionario somministrato alle imprese della filiera da
parte dell’Osservatorio nazionale,

2
L’Osservatorio costituisce da oltre 15 anni un punto di riferimento per la
fotografia annuale del settore auto in Italia, proponendo a valle delle analisi di
scenario, i dati sulla struttura e sullo stato di salute del settore. Edizione 2014
disponibile al link: https://www.to.camcom.it/rapporto-2014-2015-osservatorio-
sulla-filiera-autoveicolare-italiana. Il CAMI e l’Osservatorio hanno raggiunto un
accordo per realizzare a partire dal 2016 un’indagine comune
(http://edizionicafoscari.unive.it/media/pdf/book/978-88-6969-118-8/978-88-6969-
118-8.pdf).

7
- La sezione sulle attività di innovazione, ripresa dalla Community
Innovation Survey (sviluppata dalla Commissione Europea e
somministrata dagli stati membri alle imprese operanti in tutti i
settori),
- La sezione sulle relazioni inter-organizzative, strutturata a partire
dalla letteratura internazionale sulle reti tra imprese (tra gli altri,
Zaheer, McEvily, and Perrone (1998)).
Il questionario così costruito è stato sottoposto all’attenzione di un focus
group di imprese appartenenti alla filiera automotive, invitate prima a
rispondere al questionario online, e poi a discuterne in una sessione di circa
2 ore alla presenza dei ricercatori, per individuare criticità
nell’interpretazione delle domande o nella formulazione delle risposte
chiuse.
La survey è stata somministrata ad un dataset di 913 imprese selezionate
sulla base dei codici Ateco (2007) riconducibili all’industria automotive,
così come indicato dall’Osservatorio nazionale, ripulito attraverso una
ricerca specifica per parole chiave, e contenente solo le imprese per le quali
è stato possibile reperire un indirizzo email.
La somministrazione della survey è stata sviluppata tramite un
questionario on-line sviluppato su piattaforma Qualtrics
(www.qualtrics.com). Ciascuna impresa è stata contattata tramite email
personalizzata (laddove fosse disponibile il nome di un referente,
indirizzata espressamente ad esso) contente l’invito e il link personale per
accedere al questionario, anche in sessioni distinte (permettendo una
compilazione del questionario frazionata). Seguendo le tecniche di Dillman
(1991, 2000), al primo invito è seguita una serie di recall al fine di
massimizzare il tasso di risposta. Il totale dei questionari ricevuti è pari a
313, per un tasso di risposta di 34,28%, considerato generalmente più che
buono dalla letteratura (Fowler, 2013).

Il campione

Dei 313 questionari raccolti, 249 sono stati i questionari ritenuti validi, e
178 i questionari completi. Il campione è quindi costituito da 178 imprese
fornitrici della filiera automotive, appartenenti alle diverse categorie di
fornitori così come descritto dalla Tabella 1.

Tabella 1 – Distribuzione dei rispondenti per categoria di attività

8
Attività
Sist/Mod 13%
Specialisti 27%
Subfornitori 47%
Servizi 13%

Gli integratori di moduli e sistemi (Sist/Mod) rappresentano i produttori


di sistemi e/o moduli che si collocano al vertice della filiera, i cui clienti
diretti sono gli stessi car-maker. La categoria deli specialisti è costituita
dalle imprese produttrici di parti e componenti altamente specifiche e dal
contenuto innovativo. Normalmente gli “specialisti” forniscono i
sistemisti/modulisti o direttamente i car-maker. I subfornitori sono invece
coloro i quali producono parti e componenti standardizzate su disegno del
cliente, e tipicamente (ma non necessariamente) si posizionano come
fornitori di terzo livello o inferiore. Infine, l’ultima categoria dei servizi
rappresenta principalmente le attività di “engineering e design”, cioè le
imprese dedicate allo sviluppo dell’ingegneria di prodotto e di processo.
Tale categorizzazione delle attività ricalca la proposta dell’Osservatorio
nazionale sulla filiera autoveicolare, e permette quindi un confronto sulla
composizione del campione rispetto alla popolazione di riferimento. Sui
dati 2014 dell’Osservatorio, le categorie descritte erano così ripartite:
Sist/Mod 2%, Specialisti 34%, Subfornitori 53%, Servizi 11%. Il campione
qui oggetto d’analisi, quindi, rispetta sostanzialmente la ripartizione della
popolazione di riferimento, fatta eccezione per una sovra rappresentazione
di sistemisti e modulisti (che visto la numerosità del campione è comunque
ritenuta necessaria per la significatività delle elaborazioni statistiche).
La tabella 2 propone un’analisi descrittiva delle principali caratteristiche
delle imprese rispondenti, riportando le distribuzioni percentuali per
ciascuna categoria di attività.

Tabella 2 – Distribuzione percentuale dei rispondenti per categoria di attività

Sist/Mod Specialisti Subfornitori Servizi


Posizione principale nella filiera
Tier I 61 31 0 71
Tier II 39 36 38 18
Tier III 0 33 39 6
Oltre il Tier II 0 0 23 6
Appartenenza ad un gruppo
No, è un’azienda indipendente 67 61 42 24

9
Sì, è la controllante 11 11 11 12
Si, è controllata da gruppo
estero 22 14 25 24
Sì, è controllata da gruppo
italiano 0 14 22 41
Classe di fatturato
0 - 2 milioni di euro 39 17 17 6
2 - 5 milioni di euro 6 31 14 6
5 - 10 milioni di euro 17 14 13 6
10 - 20 milioni di euro 6 6 14 38
20 - 50 milioni di euro 11 20 13 13
Oltre i 50 milioni di euro 22 11 30 31
Numero di addetti
Meno di 20 39 22 19 12
tra 20 e 49 22 39 22 24
tra 50 e 99 0 14 17 29
tra 100 e 249 22 11 22 18
tra 250 e 499 11 8 6 0
Oltre i 500 6 6 14 18

Il quadro che ne emerge è di un campione di imprese di piccole


dimensioni e per lo più indipendenti. La categoria delle imprese di servizi
sembra differenziarsi dalle altre categorie, e appare composto per il 65% da
filiali di gruppi italiani (41%) ed esteri (24%), il cui 31% presenta fatturati
oltre i 50 milioni di euro.
La tabella 3 propone una rappresentazione della distribuzione territoriale
delle imprese rispondenti, messe a confronto con la distribuzione
percentuale delle imprese appartenenti all’universo di riferimento
dell’indagine. Come emerge dal confronto, il campione risulta significativo
dal punto di vista della distribuzione territoriale dei rispondenti, che
sostanzialmente ricalca quella dell’universo di riferimento, dove il 50%
delle imprese sono localizzate a Nord-ovest, il 27% a Nord-est, l’11% al
Centro, e il 12% nel Mezzogiorno3.

3
Per la definizione delle macro-aree è stata seguita la classificazione regionale proposta
dall’Istat.

10
Tabella 3 – Distribuzione percentuale dell’universo delle imprese e rispondenti per area
geografica
Universo Rispondenti
Nord ovest 50 58
Nord est 27 24
Centro 11 7
Mezzogiorno 12 11

Risultati

Come anticipato nei paragrafi introduttivi, il presente lavoro di ricerca


mira a investigare quanto le risorse interne e le collaborazioni fra imprese
possano influenzare le attività di innovazione delle imprese della filiera
automotive. Prima di introdurre i risultati dell’analisi di regressione
logistica effettuata, si ritiene utile offrire un quadro descrittivo delle
imprese rispondenti rispetto alle variabili rilevanti ai fini dell’analisi.
Per quanto riguarda le attività di innovazione, la Tabella 4 descrive la
situazione delle imprese intervistate, suddivise per categoria di attività,
rispetto alla realizzazione delle innovazioni di prodotto e di processo.
La grande maggioranza delle imprese rispondenti dichiara di aver
realizzato, nel triennio precedente, almeno un’innovazione di prodotto e/o
una innovazione di processo. Per modulisti o sistemisti il 19% delle
imprese intervistate dichiara di non aver realizzato alcuna innovazione di
prodotto o processo, un dato significativo trattandosi di imprese che
prevalentemente si posizionano al primo o secondo livello della piramide di
fornitura. Per la categoria degli specialisti, tutti i rispondenti riportano di
aver effettuato almeno un’innovazione di prodotto o processo, risultato
coerente con il fatto che in questa categoria si collochino per lo più gli studi
di ingegneria e design con rapporti diretti o con il carmaker (il 71% si
classifica come tier I, come riportato in tabella 2) o con i fornitori di primo
livello (il 18% è posizionato al secondo livello della piramide di fornitura,
si veda la tabella 2).

Tabella 4 – Distribuzione dei rispondenti per realizzazione delle innovazioni di prodotto e/o
processo

11
Sist/Mod Specialisti Subfornitori Servizi
No 19 16 12 0
Sì 81 84 88 100

La larga maggioranza dei rispondenti sviluppa le attività di innovazione


in-house, facendo ricorso alle proprie risorse e competenze interne per le
attività di innovazione sia di prodotto sia di processo. Questo è vero
soprattutto per la categoria dei Sist/Mod: i due terzi degli intervistati
risultano sviluppare internamente le innovazioni di prodotto, e il 90%
quelle di processo. I fornitori di servizi, invece, risultano essere la categoria
maggiormente orientata alle collaborazioni con altre imprese e istituzioni
sia in un’ottica di innovazione incrementale, sia in un’ottica di outsourcing.

Tabella 5 – Distribuzione dei rispondenti per modalità di sviluppo delle innovazioni di


prodotto e processo

Innovazione di prodotto Sist/Mod Specialisti Subfornitori Servizi


L’impresa stessa (in-house R&D) 75 67 69 50
L’impresa in collaborazione con
altre imprese o istituzioni 8 24 21 17
L’impresa modificando prodotti o
servizi sviluppati da altre imprese
o istituzioni 8 10 3 17
Altre imprese o istituzioni
(outsourced R&D) 8 0 8 17
Innovazione di processo
L’impresa stessa (in-house R&D) 91 76 59 53
L’impresa in collaborazione con
altre imprese o istituzioni 0 24 37 27
L’impresa modificando prodotti o
servizi sviluppati da altre imprese
o istituzioni 9 0 2 20
Altre imprese o istituzioni
(outsourced R&D) 0 0 2 0

Le attività di innovazione delle imprese rispondenti, si traducono solo


nel 23% dei casi in un brevetto, mentre il 77% del campione non ha

12
depositato alcun brevetto nel triennio precedente.Per quanto riguarda le
risorse interne, la maggior parte delle imprese rispondenti si caratterizza
per la presenza di basse percentuali di addetti in possesso del diploma di
laurea. Nello specifico, il 12% delle imprese dichiara di non avere addetti
laureati, mentre circa il 40% riporta di avere una quota tra l’1 e il 4% di
risorse in possesso di tale titolo di studio (Tabella 6). Le percentuali più
elevate sono registrate soprattutto tra le imprese appartenenti alla categoria
dei servizi, dove gli studi di engineering e design contribuiscono a questo
risultato.

Tabella 6 – Distribuzione dei rispondenti per addetti laureati e impiegati in ricerca e


sviluppo

Quota di addetti laureati Sist/Mod Specialisti Subfornitori Servizi


0% 17 8 9 12
1-4% 50 58 33 35
5-9% 17 17 22 0
10-24% 6 11 22 29
25-49% 6 6 13 6
Oltre il 50 6 0 2 18
Quota di addetti impiegati in R&S
0% 28 26 27 18
1-4% 50 51 38 35
5-9% 6 14 25 24
10-19% 11 6 3 12
20-39% 6 3 6 6
Oltre il 40% 0 0 2 6

E’ importante sottolineare come il dato registrato sul campione mostri


una certa distanza rispetto, ad esempio, al dato rilevato dalla Community
Innovation Survey4 sulle imprese automotive tedesche (prese a riferimento
quale principale competitor delle imprese del campione): il 9% dichiara di
non avere alcun impiegato laureato, e il 47% dichiara di impiegare tra il 10

4
Dati accessibili dal portale Eurostat:
http://ec.europa.eu/eurostat/web/microdata/community-innovation-survey (ultima
consultazione: 2016-11-08)

13
e il 50% di personale in possesso di diploma di laurea (rispetto al 26% delle
imprese italiane).
Relativamente alla presenza di addetti impiegati in ricerca e sviluppo da
parte dell’impresa, similarmente a quanto avviene per il personale laureato,
la distribuzione delle imprese rispondenti vede una preponderanza delle
categorie con percentuali più basse (Tabella 6Errore. L'origine
riferimento non è stata trovata.). La categoria dei servizi, seguita da
sistemisti e modulisti, è la categoria che dichiara le quote più elevate di
personale impiegato nelle attività di ricerca e sviluppo, con oltre il 35% del
campione che dichiara di dedicare tra il 5 e il 20% del proprio personale a
tale attività. Circa il 30% di tutti i rispondenti delle altre categorie di
attività, invece, dichiarano di non avere alcuna risorsa umana dedicata alla
R&S (il 18% è invece il dato per i fornitori di servizi).
Tali risultati sulle risorse interne impegnate sulle attività di R&S può
essere utilmente confrontato con i risultati dell’Osservatorio nazionale
sull’industria dell’auto riferito allo stesso periodo (si veda nota 2 per il link
ai dati). Infatti, nonostante l’Osservatorio non riporti i dati sugli addetti
impiegati in R&S, è possibile evidenziare come la percentuale di fatturato
investita in queste attività sia assolutamente contenuta per la categoria dei
subfornitori (circa il 60% del campione dichiara di non effettuare alcun
investimento in R&S), mentre molto più significativa per sist/mod (il 50%
dichiara di investire oltre l’8% di fatturato in R&S), per i fornitori di servizi
(il 35% investe oltre l’8% del fatturato in R&S), e per gli specialisti (oltre il
60% investe più dell’8% di fatturato in R&S). Tali risultati sembrano
suggerire via sia un certo disallineamento rispetto alle risorse investite dalle
imprese in attività R&S e in risorse umane dedicate a queste attività. La
Tabella 7 ripropone il quadro degli addetti in R&S in base alla
distribuzione geografica delle imprese presso le quali risultano impiegati.

Tabella 7 – Distribuzione dei rispondenti per addetti impiegati in ricerca e sviluppo per
area geografica

% addetti impiegati in R&S Nord-ovest Nord-est Centro Mezzogiorno


1-4% 28 19 6 4
5-9% 20 4 0 2
10-19% 7 0 1 0
20-39% 7 0 0 0
Oltre il 40% 1 0 0 1
Tot. % 63 23 7 7

14
Come emerge, il 63% delle imprese che impiegano almeno l’1% di
addetti in R&S è collocato nell’area Nord-ovest, mentre meno del 10%
delle imprese è localizzato rispettivamente al Centro e al Sud.
Confrontando il dato con quello relativo agli impiegati R&S nelle imprese
Italiane, emerge come lo squilibrio territoriale sia particolarmente marcato
per il settore automotive: nelle imprese italiane, infatti, gli addetti R&S
sono impiegati per il 34% al Nord-ovest, per il 26% in Nord-est, per il 24%
al Centro, e per il 16% al Sud (Fondazione COTEC, 2016). Le imprese che
sembrano quindi maggiormente orientate allo sviluppo delle risorse interne
per le attività di innovazione sembrano collocarsi nelle aree geografiche
caratterizzate da una particolare vocazione produttiva, sostenendo l’ipotesi
delle teorie distrettuali.
Il terzo ambito di interesse del presente lavoro di ricerca è relativo alle
relazioni di collaborazione che le imprese avviano con l’obiettivo di
sviluppare attività di innovazioni congiunte. Per approfondire quindi il dato
già presentato in Tabella 5, è stato chiesto alle imprese intervistate di
indicare se nel triennio precedente avessero avviato relazioni di
collaborazione con altre imprese e/o organizzazioni per sviluppare progetti
di R&S prodotto, o per innovare i processi aziendali. La Tabella 8 riporta la
frequenza con la quale il campione ha avviato collaborazioni per
l’innovazione. Come emerge dai dati, meno del 40% dei modulisti e
sistemisti dichiara di aver avviato collaborazioni per l’innovazione, e
principalmente in modo non sistematico. Anche se con numeri più
contenuti, lo stesso risultato emerge per le categorie degli specialisti e dei
subfornitori, dove circa metà dei rispondenti dichiara di avere
collaborazioni con altre imprese, e circa il 20% in modo frequente. La
categoria dei fornitori di servizi risulta nuovamente la categoria più
orientata alle collaborazioni, con il 47% dei rispondenti che dichiara di
avere collaborazioni frequenti con altre imprese e organizzazioni ai fini
dell’innovazione.

Tabella 8 – Distribuzione dei rispondenti che hanno avviato collaborazioni per


l’innovazione con altre imprese e organizzazioni nell’ultimo triennio, per frequenza

Innovazione di prodotto Sist/Mod Specialisti Subfornitori Servizi


No 62 56 44 13
Sì, occasionalmente 19 19 31 27
Sì, frequentemente 19 19 15 47
Sì, sempre 0 6 10 13

15
Innovazione di processo
No 63 44 47 20
Sì, occasionalmente 13 25 22 53
Sì, frequentemente 13 19 20 20
Sì, sempre 13 13 10 7

Il quadro fornito dall’analisi descrittiva dei risultati dell’indagine


permette di delineare la situazione del campione di imprese intervistate
rispetto ai temi oggetti del presente lavoro di ricerca.
Tuttavia, per rispondere alla domanda di ricerca è importante capire
quale sia la relazione tra l’attività di innovazione delle imprese e le risorse
impiegate per realizzarla. A tal fine, è stata sviluppata un’analisi di
regressione logistica, utilizzando il seguente modello:

p(x)≡P(y=1|x)=G(xβ)
dove , e G(⋅) è la funzione di distribuzione
cumulativa che mappa xβ nella probabilità di risposta (Wooldridge, 2001).
Nel modello logit, in cui G(z) è la funzione logistica, il segno dell’effetto di
xj sulla probabilità di sviluppare un’innovazione è dato dal segno di βj. E’
importante sottolineare che la grandezza dei parametri non è interpretabile
come appartenente ad una scala definita, quindi è possibile effettuare solo
confronti relativi.
La Tabella 9 riporta la matrice di correlazione tra le variabili del
modello proposto. La tabella suggerisce come la variabile “Coll. Prodotto”,
ossia quella riguardante i progetti avviati dall’impresa per realizzare attività
di innovazione di prodotto, potrebbe presentare dei problemi di
significatività, in quanto molto correlata con la variabile relativa alle
collaborazioni per innovazioni di processo (Coll. Processo) e alla quota di
addetti impiegati in ricerca e sviluppo (Addetti R&S).

Tabella 9 – Matrice di correlazione tra le variabili oggetto di analisi


1 2 3 4 5 6 7 8
Innovazione 1.00
Attività 0.20 1.00
Pos. Filiera -0.11 -0.11 1.00
Addetti 0.21 0.11 -0.29 1.00

16
Laureati 0.06 -0.07 0.15 -0.30 1.00
Addetti R&S 0.32 0.15 -0.15 0.42 -0.19 1.00
Coll. Processo 0.34 0.18 0.05 0.01 -0.03 0.29 1.00
Coll. Prodotto 0.32 0.26 -0.09 0.09 0.03 0.50 0.67 1.00

La Tabella 10 riporta i risultati dell’analisi di regressione effettuata


attraverso due diversi modelli, sulla variabile indipendente “Innovazione”
(cioè la variabile che assume valore ‘1’ qualora l’impresa abbia sviluppato
almeno un’innovazione di prodotto e/o processo nel corso dell’ultimo
triennio, e assume valore ‘0’ in caso contrario).

Tabella 10 – Risultati della regressione logistica sulla variabile “Innovazione”


Modello 1 Modello 2
Coeff. Coeff.
std.err. std.err.
Intercetta -6.560 ** -6.314 **
2.201 2.176
Attività 0.407 0.382
0.3234 0.336
Pos. Filiera -0.243 -0.280
0.258 0.255
Addetti 0.347 0.336
0.237 0.237
Laureati 0.309 . 0.320 .
0.171 0.167
Addetti R&S 0.896 . 1.010 *
0.481 0.454
Coll. Processo 1.216 ** 1.329 **
0.469 0.419
Coll. Prodotto 0.326 -
0.662
Signif. codes: 0.001 ‘***’, 0.01 ‘**’, 0.05 ‘*’, 0.1 ‘.’

In entrambi i modelli, con pari livello di significatività, emerge come


all’aumentare del numero di laureati, della quota di addetti impiegati in
R&S, e della frequenza delle collaborazioni per le innovazioni di processo
attivate, aumenti la probabilità delle imprese di sviluppare delle
innovazioni. In particolare, la variabile relativa alle collaborazioni attivate
risulta quella di maggiore impatto (il cui coefficiente ha il valore più
elevato).
Interessante è sottolineare che le variabili relative alla categoria di
attività, alla posizione occupata nella filiera, e alla dimensione dell’impresa

17
(in termini di numero di addetti) non influenzino la probabilità dell’impresa
di realizzare un’innovazione.
Nel Modello 2 è stata eliminata la variabile relativa alle collaborazioni
attivate al fine di sviluppare attività di innovazione di prodotto, in quanto
non significativa e scarsamente esplicativa della variabile indipendente,
come confermato dall’analisi ANOVA (Tabella 11).

Tabella 11 – Analisi della varianza (ANOVA)


Df Deviance Resid. Df Resid.Dev Pr(>Chi)
Null 147 127.864
Attività 1 5.166 146 122.698 0.023 *
Pos. Filiera 1 1.365 145 121.333 0.243
Addetti 1 6.839 144 114.494 0.009 **
Laureati 1 3.298 143 111.196 0.069 .
Addetti R&S 1 13.559 142 97.636 0.000 ***
Coll. Processo 1 13.207 141 84.43 0.000 ***
Coll. Prodotto 1 0.255 140 84.175 0.614

L’analisi ANOVA permette di confrontare quanto il modello analizzato


sia in grado di spiegare i dati rispetto al modello nullo (dove la variabile
indipendente è spiegata dalla sola intercetta). Le variabili che per il nostro
modello mostrano una buona capacità esplicativa dei dati sono la categoria
di attività dell’impresa, la sua dimensione (in termini di numero di addetti),
la quota di addetti laureati, la quota di addetti impiegati in attività di R&S,
e infine le collaborazioni attivate per sviluppare innovazioni di processo.

Discussione e conclusioni

Il presente lavoro di ricerca ha investigato il tema dell’innovazione dal


punto di vista delle risorse necessarie per lo sviluppo delle attività
innovative. In particolare, l’enfasi è stata posta sul dibattito tra lo sviluppo
delle risorse interne rispetto all’accesso alle risorse esterne attraverso le
relazioni di collaborazione inter-impresa. L’analisi è stata condotta su un
campione di imprese Italiane impegnate nella filiera automotive, un settore
normalmente caratterizzato da un alto tasso di innovazione tecnologica, e
dunque in cui l’innovazione dovrebbe essere un fattore chiave per la
competitività delle imprese.
Le statistiche descrittive mostrano come le imprese italiane privilegino
largamente la strategia di sviluppare l’innovazione in-house, ovvero

18
facciano scarsamente ricorso a fonti esterne di innovazione. La ricerca ha,
tuttavia, evidenziato un dato dissonante, ovvero che nonostante il fatto che
le imprese dichiarino di fare innovazione di processo e di prodotto, esse
non siano dotate di personale qualificato a tale scopo.
Al fine di investigare nel dettaglio la relazione tra attitudine
all’innovazione e strategia di sviluppo delle risorse interne e collaborazioni
esterne, è stata, quindi, condotta un’analisi di regressione logistica che ha
permesso di comprendere meglio il ruolo delle risorse interne e delle
relazioni esterne nei processi di innovazione di prodotto e/o di processo.
Come riporta la Tabella 10 sopra, i risultati confermano l’ipotesi che sia
le risorse interne, sia l’accesso a risorse esterne, influenzino la probabilità
delle imprese di realizzare almeno un’innovazione (indistintamente di
prodotto o processo). I dati suggeriscono che per avere buone performance
sul fronte dell’innovazione, le imprese fornitrici del settore automotive
dovrebbero puntare ad aumentare la quota di addetti laureati impiegati, la
quota di impiegati in ricerca e sviluppo, e investire in relazioni di
collaborazione con altre imprese della filiera orientate allo sviluppo di
attività innovative.
E’ interessante notare che, come riportato in Tabella 9, le due variabili
“quota di addetti laureati” e “collaborazioni per l’innovazione di processo”
siano negativamente correlate. Ciò sembra suggerire che le imprese che
fanno minor ricorso alle risorse qualificate, sono maggiormente spinte
verso l’attivazione di relazioni di collaborazioni esterne. Facendo quindi
riferimento alle quote molto basse di addetti laureati impiegati nelle
imprese del campione (si veda la Tabella 6) appare plausibile che la
variabile relativa alle collaborazioni risulti quella con il coefficiente
relativamente più alto (e quindi con il maggiore impatto sulla probabilità di
realizzare un’innovazione). Sembra importante sottolineare come, l’anno
successivo alla rilevazione oggetto di analisi, in Italia fossero costituiti 47
contratti di rete operanti nel settore automotive, comprendenti un totale di
295 imprese collocate per lo più nelle regioni Emilia-Romagna, Piemonte,
Liguria, e Lombardia5. Lo sviluppo e la crescente adozione dello strumento
normativo del contratto di rete, probabilmente avrà degli effetti importanti
sul fronte dei risultati in termini di innovazione e delle risorse impiegate
dalle imprese per raggiungere tali risultati, che potranno essere analizzati
nei prossimi anni.
Il quadro che ne risulta è quello di una catena di fornitura automotive
che, sebbene si sia sviluppata nel tempo secondo la logica di una divisione

5
Dati accessibili al seguente link: http://contrattidirete.registroimprese.it/reti/

19
del lavoro innovativo tra i vari attori della filiera, di fatto non sia nelle
condizioni di sfruttare in pieno i vantaggi dell’innovazione distribuita. Ciò
per due ragioni: in primis, la scarsa qualificazione della forza lavoro e
scarsi investimenti in conoscenza di frontiera, rendono difficile se non
impossibile un salto di qualità nelle attività di innovazione svolte
all’interno dell’impresa, con effetti complessivi per l’intera capacità
innovativa della filiera. In secondo luogo, e probabilmente a causa delle
limitate conoscenze interne6, il basso ricorso a fonti esterne di innovazione,
e la conseguente impossibilità di sfruttare le sinergie normalmente rese
possibili dalle relazioni verticali di fornitura7. Su questo fronte, solo alcuni
spunti sono stati offerti dal nostro lavoro relativamente alla localizzazione
delle imprese rispondenti, e alla distribuzione territoriale delle risorse
umane impiegate in attività di R&S. Una delle limitazioni del presente
studio è senz’altro la mancanza di un più approfondito confronto con la
localizzazione degli hub dell’innovazione e dei centri produttivi
automotive, tema che dovrebbe essere oggetto di future ricerche mirate ad
indagare gli aspetti sinergici in un’ottica distrettuale o di cluster
tecnologico.
Tali risultati hanno due importanti implicazioni: da un lato,
suggeriscono che le imprese del settore necessitino di rivalutare il proprio
orientamento strategico verso lo sviluppo delle risorse interne, assieme al
perseguimento delle relazioni inter-organizzative; dall’altro, indicano ai
policy maker che gli sforzi di indirizzo verso lo sviluppo delle reti di
impresa potrebbero essere maggiormente efficaci se sostenuti da interventi
per l’impiego in azienda di risorse qualificate.

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6
Si veda Coehn e Levinthal, 1990 per l’associazione tra scarsi investimenti in
risorse interne e attitudine a beneficiare delle fonti esterne di conoscenza.
7
Questo risultato, dopo più di dieci anni, mostra una realtà della fornitura non
dissimile da quella riscontrata da Whitford e Enrietti (2005), con i limiti in termini
di innovazione evidenziati da Zirpoli e Caputo (2002).

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