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Prof. Ciliani
Prodotti ceramici: si possono dividere in base al colore e alla porosità (ovvero la quantità di acqua che possono assorbire.
LATERIZIO: prodotto artificiale da costruzione molto poroso, a basso peso specifico, con discrete proprietà meccaniche
TERRECOTTE: sonno prodotto ceramici poveri a pasta colorata, anch’essi caratterizzati da un tessuto poroso, simili al
laterizio comune che possono essere definiti mattoni lavorati a rilievo.
LATERIZI
Sono prodotti ceramici a pasta colorata provenienti dalla cottura in fornace (temperatura 900° -1100° C) di argille marnose
e impure, contenenti una percentuale tra il 16% ed il 25%, che conferisce al prodotto quella porosità indispensabile per
dare buona aderenza alle malte di allettamento ed essere un ottimo supporto per gli intonaci. La straordinaria diffusione
dei laterizi, in tutte le epoche storiche e in tutte le aree geografiche, è dovuta alla loro facilità di fabbricazione, di trasporto
e di maneggevolezza, caratteristiche a cui si aggiunge la buona resistenza a compressione, tale da eguagliare quella di
molte pietre naturali, e che hanno reso il loro utilizzo universale. In molte regioni di tutto il mondo l’argilla essiccata al sole
fu considerata un materiale efficace che rivelò la sua totale impermeabilità in seguito alla cottura. Questa constatazione fu
fatta da vasai, ma furono necessari molti secoli perché questo materiale domestico diventasse un materiale edilizio.
Classificazione cornicioni:
1. CORNICIONE DI TIPO B: cornice ad archetti trilobati, a coronamento di edifici più antichi, ultimo quarto ‘300 fino a
oltre metà ‘400. Tra via Garibaldi e Bocca canale di Santo Stefano, posta orizzontalmente su palazzo Pesciani che si
trova all’incrocio tra le due vie.
2. CORNICIONE TIPO C: cornice a conchiglia. Ultimo quarto ‘300 fino a oltre la metà del ‘400. Non si limita ad avere una
fascia decorative, ma ce ne sono altre poste nella parte superiore. Ha piccole mensoline, l’elemento della conchiglia e
altre fasce decorative. Es. Casa Romei, chiesa di S. Stefano.
3. CORNICE TIPO D: cornice ad archetti e conchiglie. Sovrapposizione tra tipo B e tipo C. Ultimo quarto ‘300 fino a oltre
la metà del ‘400. Es. chiesa di S. Romano
4. CORNICE TIPO E: più diffusa a Ferrara detta ‘cornice del Rinascimento’. Fine ‘400 – tutto ‘500. Varie fasce decorative
con dentelli, elementi a gola dritta con fogliette. Vi sono tante varianti identificate con i numeri civici, questo perché
l’ordine con il quale vengono alternate le fasce sono vari e diversi. Es. Palazzo di Ludovico il Moro. Si distinguono in 3
formati secondo una proporzione che riguarda il rapporto con il quale i cornicioni vengono visti dall’osservatore:
• Piccolo
• Medio
• Grande
5. CORNICE TIPO I: cornice a beccatelli, composta sol oda elementi in laterizio
6. CORNICE TIPO A: elementi posti in modo vario in modo da avere diverse decorazioni
7. CORNICE TIPO G: cornice architravata. A Ferrara ce ne sono poche. Si trova sul prospetto e sul fianco di San Francesco
8. CORNICE TIPO H: cornice a guscio. In laterizio e poi intonacata o dipinta. Si trova su Via Cammello.
PORTALI:
• Portale gotico: es. su via cammello.
• Portale rinascimentale: può presentare elementi ripetuti speculari.
• Portale architravato
TERRECOTTE ARCHITETTONICHE
COTTI DECORATIVI Sono la stessa cosa, ovvero mattoni usati a scopo decorativo oppure
DECORAZIONI IN COTTO mattoni/elementi lavorati a rilievo
Laterizi: mattoni comuni/cotti decorativi che derivano dalla stessa materia prima, ovvero l’argilla. Il metodo di lavorazione
e posa è spesso lo stesso.
Mentre i comuni mattoni sono stati usati continuamente nel corso dei secoli, le decorazioni in cotto hanno avuto due periodi
di massimo utilizzo a Ferrara:
1. Dominio estense, secc. XIV-XVI (periodo rossettiano, secc. XV-XVI)
2. Nell’ottocento (creazione e diffusione di repertori di modelli).
DIFFERENZE
• Nel 500 i cotti erano pieni con finitura superficiale
• Nell’800 erano cavi per essere cotti uniformemente (nel tempo si sono dimostrati però meno resistenti). Venivano creati
per essere lasciati a vista.
TERRECOTTE DECORATIVE
Realizzazione:
1. Metodo classico: a stampo. Quasi tutti i cotti decorativi sono prodotti così. L’uso degli stampi comincia a diffondersi
dalla metà del 200.
2. Metodo raro: scultura dei laterizi già posti in opera (tecnica molto diffusa a Bologna). Nei cantieri medievali, tra XI
e XIII sec, tra i muratori vi erano i tagliapietracottura, specializzati nel tagliare, squadrare, limare mattoni per creare
archi, gole e spigoli.
3. Metodo raro: a stampo ma con ritocchi a crudo. Nei secoli XV e XVI sul materiale diventato rigido avendo già
rilasciato buona parte dell’acqua di impasto, quando veniva a raggiungere una ‘consistenza cuoio’.
ESEMPI DI LAVORAZIONE:
• A stampo: avveniva modellando l’argilla cruda dentro stampi di legno o gesso, facendola essiccare. Ci sono stampi in
legno e gesso.
• Cotti scolpiti
• Scultura consistenza a cuoio: lavorazione della superficie ottenuta quando l’argilla era già essiccata (consistenza cuoio),
se non parzialmente cotta.
I trattamenti superficiali di laterizi e cotti decorativi avevano principalmente due scopi: decorativo e protettivo.
Sulle decorazioni in cotto:
• Intonachino sottile per coprire i giunti ed uniformemente i vari pezzi
• Tinta a calce: nel ‘400 i colori rafforzavano il colore naturale del cotto (rossi), nel ‘500 i colori chiari (avorio) venivano
usati per simulare le pietre naturali (materiali più ricchi).
LE FINITURE DELLE TERRECOTTE
Dopo la posa in opera i cotti venivano trattati con diversi tipi di finiture, per rendere omogeneo l’aspetto generale della
decorazione, trasformandola da un insieme di pezzi in un elemento architettonico. Lo strato di finitura aveva funzione
estetica e protettiva e poteva uniformare materiali diversi, come cotto e malta. Nei secoli è variato il gusto e con esso la
scelta delle finiture architettoniche. Le finiture quattrocentesche a Ferrara si presentavano di colore rosso; nel ‘500 si
preferirono la pietra naturale. Tra ‘800 e ‘900 ritorna il colore rosso, ma ottenuto con impiego di pigmenti diversi, a base di
olio, terre colorate e ossidi; negli strati più recenti si riscontra spesso il colore ocra. Il rosso con variazioni che vanno dall’ocra
al paonazzo era la coloritura più diffusa sui manufatti fino alla fine del ‘400. Il colore era costituito da un pigmento rosso,
calce, talvolta gesso, sostanze proteiche, e diveniva una pellicola aderente al supporto: rappresentava un rafforzativo della
tonalità naturale. Questo trattamento era molto usato su colonnati, cornici, archi e anche murature. Nel ‘500 viene preferita
la coloritura a scialbo di calce di gesso, con variazione dal bianco al beige, ad imitazione della pietra naturale, per creare
continuità tra i materiali litici e litoidi, come nella chiesa di S. Francesco. Anche la muratura era rifinita con intonaco
tinteggiato di rosso e stilato in bianco, a costituire una finta cortina laterizia.