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Andrea Scapellato
7 novembre 2021
Avvertenza
Le presenti note non intendono sostituire alcun libro di teoria e/o esercizi e dun-
que non hanno alcuna pretesa di completezza. Si tratta soltanto di un elenco det-
tagliato dei contenuti che sono stati oggetto delle lezioni e di alcune esercitazioni,
redatto al fine di agevolare lo studente nello studio della materia.
Si fa presente che tali appunti sono alla loro prima versione e dunque è inevita-
bile che vi siano refusi e inesattezze. Essi sono infatti opera di vari collage e di varie
modifiche e, per ovvie questioni di tempo, non sono stati rivisti. Pertanto, si invitano
gli studenti a studiare con atteggiamento critico e a informare il docente sia diretta-
mente che per e-mail (andrea.scapellato@unict.it) su qualunque errore (certo o
sospetto) notato. Si cercherà di correggere nel più breve tempo possibile qualunque
errore trovato. Pertanto questi appunti saranno continuamente aggiornati: la data
dell’ultimo aggiornamento appare sia in alto che in basso ad ogni pagina. Alla luce
di ciò, si suggerisce agli studenti di non stamparli immediatamente.
Si sottolinea, inoltre, che tali note sono rivolte esclusivamente agli studenti che
hanno seguito il corso di Analisi Matematica 1 (Canale 2: Cp-I), erogato nei Corsi di
Laurea in Ingegneria Elettronica e in Ingegneria Informatica dall’Anno Accademico
2018-2019. La Legge Italiana sul Diritto d’Autore, fra l’altro, protegge anche i ma-
teriali creati ad hoc dai docenti e pertanto ogni diffusione di queste note deve essere
autorizzata. Tenendo conto di ciò, si dichiara che non è autorizzata la diffusione (per
qualsiasi scopo) di tale dispensa al di fuori del gruppo di studenti del canale Cp-I;
non si autorizza neppure l’uso per fini commerciali.
Indice
1 Insiemi numerici 1
1.1 Numeri reali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1
1.2 Alcune conseguenze degli assiomi sui numeri reali . . . . . . . . . . . . 6
1.2.1 Intervalli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9
1.3 Valore assoluto di un numero reale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
1.4 Estremi di un insieme numerico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14
1.4.1 Estremi inferiore e estremo superiore . . . . . . . . . . . . . . . . 17
1.5 L’insieme N . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20
1.6 Proprietà di Archimede . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22
1.6.1 Parte intera inferiore di un numero reale . . . . . . . . . . . . . . 23
1.7 Densità di Q e di R \ Q in R . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24
1.8 Potenze con esponente reale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26
1.9 Numeri complessi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29
1.9.1 Definizioni di base . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29
1.9.2 Ordinamento totale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34
1.9.3 Coordinate polari nel piano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36
1.9.4 Forma trigonometrica di un numero complesso . . . . . . . . . . 37
1.9.5 Prodotto e potenza di numeri complessi in forma trigonometrica 38
1.9.6 Forma esponenziale di un numero complesso . . . . . . . . . . . 40
1.9.7 Prodotto e potenza di numeri complessi in forma esponenziale . 41
1.9.8 Radici n−esime di un numero complesso . . . . . . . . . . . . . . 41
1.10 Equazioni algebriche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45
1.11 Esercizi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47
2 Funzioni e limiti 49
2.1 Concetti preliminari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49
2.1.1 Funzione composta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54
2.1.2 Funzione inversa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56
2.2 Funzioni reali di una variabile reale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58
iv INDICE
INDICE v
CAPITOLO 1
Insiemi numerici
N = {0, 1, 2, 3, ...};
e = 2, 718281...
π = 3, 141592...
Data una retta r, fissiamo su di essa due punti distinti O e U e associamo ad essi
rispettivamente i numeri 0 e 1. Il segmento OU viene detto unità di misura e quello dei
due versi di percorrenza di r secondo il quale O precede U viene detto verso positivo.
Il punto O viene detto origine della retta r.
Se n è un qualunque numero naturale maggiore di 1, ad esso associamo il punto
sulla retta r che si ottiene riportando di seguito n volte il segmento OU a partire da
O e muovendosi nel verso positivo.
Similmente, se −m è un qualunque numero intero negativo, ad esso associamo
il punto sulla retta r che si ottiene riportando di seguito m volte il segmento OU a
partire da O e muovendosi nel verso negativo, cioè quello opposto al verso positivo.
In questo modo, ad ogni numero intero relativo resta associato un ben determi-
nato punto della retta r.
Occupiamoci adesso di rappresentare sulla retta i numeri razionali. Sia mn ∈ Q;
osserviamo innanzitutto che non è restrittivo supporre n > 0. Dividiamo allora il
segmento OU in n parti uguali e associamo al numero mn il punto della retta r che si
ottiene riportando m volte di seguito il segmento così ottenuto (avente lunghezza n1 )
a partire dall’origine O, muovendosi nel verso positivo oppure negativo secondo che
m sia positivo oppure negativo.
Ovviamente se mn è una frazione apparente, cioè mn = q ∈ Z (a parole: m è multiplo
di n), allora la procedura appena descritta conduce ad associare al numero mn lo stesso
punto che avremmo associato all’intero q mediante la procedura già descritta per i
numeri interi.
A questo punto ci chiediamo se tutti i punti della retta sono stati esauriti, oppure
se restano punti non associati ad alcun numero razionale. La seconda alternativa
è quella corretta. Costruiamo un quadrato sul segmento unitario OU e consideria-
mo l’estremo del segmento ottenuto a partire da O e lungo quanto la diagonale del
quadrato ora costruito.
√
2
√
0 1 2 R
Tale punto non è associato ad alcun numero razionale in quanto, in caso contrario,
il quadrato di tale numero sarebbe uguale a 2. Tuttavia, adesso dimostreremo che non
esiste alcun numero razionale il cui quadrato sia uguale a 2. Premettiamo la seguente
proposizione.
Assiomi di campo
L’insieme R è un campo, cioè in esso sono definite due operazioni (cioè fun-
zioni da R × R in R che ad ogni coppia ordinata di numeri reali associano un
numero reale), denominate addizione (indicata con il segno +) e moltiplicazio-
ne (indicata con il segno · o semplicemente accostando le lettere che indicano
i due numeri) che godono delle seguenti proprietà:
( x + y) + z = x + (y + z), ∀ x, y, z ∈ R;
( xy)z = x (yz), ∀ x, y, z ∈ R;
x + y = y + x, ∀ x, y ∈ R;
xy = yx, ∀ x, y ∈ R;
∀ x ∈ R ∃y ∈ R : x + y = 0;
∀ x ∈ R \ {0} ∃z ∈ R : xz = 1;
x (y + z) = xy + xz, ∀ x, y, z ∈ R.
x − y := x + (−y), ∀ x, y ∈ R;
x
= x · y −1 , ∀ x, y ∈ R, y 6= 0.
y
Per ragioni di comodità tipografica l’ultimo rapporto si scrive anche x/y; in partico-
lare y1 = y−1 .
Assiomi di ordine
Il campo R è totalmente ordinato, cioè in esso è definita una relazione di ordine
totale, indicata con ≤ (minore o uguale). Si richiede, inoltre, che la relazione
≤ sia compatibile rispetto alle operazioni. Quindi:
x≤y ⇒ x + z ≤ y + z, ∀ x, y, z ∈ R;
( x ≤ y ∧ z ≥ 0) ⇒ xz ≤ yz, ∀ x, y, z ∈ R, z ≥ 0.
R∗ = { x ∈ R | x 6 = 0 } , R+ = { x ∈ R | x ≥ 0 } , R+
∗ = { x ∈ R | x > 0} ,
R− = { x ∈ R | x ≤ 0 } , R−
∗ = { x ∈ R | x < 0}.
A1 = R− , B1 = R+ A 2 = R−
∗ , B2 = R
+
A3 = { x ∈ R | x ≤ −2}, B3 = R+ A4 = R− , B4 = N
Assioma di completezza
x+y = x+z ⇔ y = z.
xy = 0 ⇒ x = 0 ∨ y = 0.
da cui la tesi.
Passiamo ad alcune conseguenze degli assiomi d’ordine. Osserviamo innanzitutto
che in virtù del fatto che la relazione d’ordine ≤ è totale, per ogni x, y ∈ R vale una
ed una sola delle seguenti tre alternative:
x = y, x < y, y < x.
Indichiamo con il simbolo max{ x, y} il più grande tra i due numeri x e y, intendendo
che tale simbolo coincida con il valore comune ai due numeri qualora essi siano
uguali.
Diamo adesso un elenco di proprietà che possono essere considerate come regole
per la manipolazione delle disuguaglianze.
Proposizione 1.2.2 I
Siano x, y, z, w ∈ R.
1. se x < y e y ≤ z (oppure x ≤ y e y < z), allora x < z;
2. se z ≤ 0 e x ≤ y, allora xz ≥ yz;
4. se x ≤ y e z ≤ w, allora x + z ≤ y + w;
L’ultima affermazione implica la ben nota regola dei segni: il prodotto di due nu-
meri reali concordi (cioè di ugual segno) è positivo, il prodotto di numeri reali discordi
(cioè di segno diverso) è negativo. Si osservi che dal fatto che 1 6= 0 e 1 = 12 , per la
proprietà 3 del Teorema 1.2.2, segue che 1 > 0.
Introduciamo ora altri concetti e alcuni risultati legati alla relazione d’ordine. Il
risultato che segue, elementare ma non banale, sarà più volte utilizzato nel seguito.
Proposizione 1.2.3 I
Siano a, b ∈ R+ . Allora:
1. a2 = b2 se e solo se a = b;
2. a2 ≤ b2 se e solo se a ≤ b;
Dimostrazione.
1. Se a = b è ovvio che a2 = b2 .
Viceversa, se a2 = b2 , per la legge di cancellazione per la somma si ha
a2 − b2 = ( a − b)( a + b) = 0
b2 − a2 = (b − a)(b + a) ≥ 0.
Osservazione. Si noti che, nel teorema precedente, l’ipotesi che i due numeri reali a e
b siano non negativi è essenziale. Infatti, in caso contrario, l’affermazione può essere
falsa. Si considerino, per esempio, a = −2 e b = 1; si ha, ovviamente, a < b ma
a2 = 4 > 1 = b2 . Analogamente, se a = −1 e b = 1, si ha a2 = b2 ma a 6= b.
1.2.1 Intervalli
a, b ∈ I, a < b ⇒ { x ∈ R : a ≤ x ≤ b} ⊆ I.
[ a, b] = { x ∈ R : a ≤ x ≤ b}.
] a, b] = ( a, b] = { x ∈ R : a < x ≤ b}.
[ a, +∞[= { x ∈ R : x ≥ a}.
] − ∞, a] = { x ∈ R : x ≤ a}.
Poniamo
] − ∞, +∞[= (−∞, +∞) = R.
I simboli +∞ e −∞ si leggono "più infinito" e "meno infinito".
Il numero a di cui si calcola il valore assoluto si dice argomento del valore assoluto.
Esempio 1.3. Si ha che: |3| = 3, | − 3| = 3, | − 43, 3462| = 43, 3462.
Sia t ∈ R. Il valore assoluto di t, indicato con |t|, è per definizione
(
t se t ≥ 0
|t| = .
−t se t < 0
Supponiamo che t sia un numero reale che dipenda da un altro numero reale x per
mezzo di una formula che indichiamo con t = F ( x ). Allora:
( (
t se t ≥ 0 F(x) F ( x ) se F ( x ) ≥ 0
|t| = | F ( x )| = = .
−t se t < 0 − F ( x ) se F ( x ) < 0
Esempio 1.4. Si ha:
(
x2 − 3x + 2 se x2 − 3x + 2 ≥ 0
| x2 − 3x + 2| =
−( x2 − 3x + 2) se x2 − 3x + 2 < 0
(
x2 − 3x + 2 se x ≤ 1 ∨ x ≥ 2
=
−( x2 − 3x + 2) se 1 < x < 2
Siano a, b ∈ R. Allora:
1. | a| ≥ 0, | − a| = | a|, a ≤ | a|;
2. | a| = 0 se e solo se a = 0;
3. | a|2 = a2 ;
4. | a · b| = | a| · |b|;
Dimostrazione.
Le proprietà 1 e 2 seguono subito dalla definizione di valore assoluto.
come si voleva.
come si voleva.
come si voleva.
Proposizione 1.3.2
Siano x, b ∈ R. Allora:
Dimostrazione.
|x| ≤ b ⇔ ( x ≤ b se x ≥ 0) ∨ (− x ≤ b se x < 0)
Dunque:
• se b ≥ 0, si ottiene 0 ≤ x ≤ b ∨ −b ≤ x ≤ 0 ovvero −b ≤ x ≤ b;
• se b < 0, allora −b > 0 e dunque non esiste alcun numero reale x
che verifica "x ≤ b se x ≥ 0" e non esiste alcun numero reale x che
verifica "− x ≤ b se x < 0". Pertanto non esiste alcun numero x ∈ R
che verifica la disequazione assegnata.
|x| ≥ b
⇔ ( x ≥ b se x ≥ 0) ∨ (− x ≥ b se x < 0)
⇔ ( x ≥ 0 ∧ x ≥ b) ∨ ( x < 0 ∧ x ≤ −b)
Dunque:
• se b > 0, si ottiene x ≤ −b ∨ x ≥ b;
• se b ≤ 0, si ottiene x < 0 ∨ x ≥ 0 cioè ogni x ∈ R è soluzione della
disequazione.
3. Analoga alla 1.
4. Analoga alla 2.
| x − 4| ≤ 8 ⇔ −8 ≤ x − 4 ≤ 8 ⇔ −4 ≤ x ≤ 12.
Sia A 6= ∅, A ⊆ R.
Si noti che nella Definizione 1.4.1 non si richiede che gli eventuali minoranti
e maggioranti di un insieme appartengano all’insieme stesso.
Esempio 1.6.
Sia A = [−3, 1] ∪ [3, 8] ∪ {10}. Un minorante di A è −4, in quanto −4 ≤ a, per
ogni a ∈ A. Un maggiorante di A è 30, in quanto a ≤ 30, per ogni a ∈ A. Si noti
che 2 non è un minorante di A in quanto non è vero che 2 ≤ a per ogni a ∈ A.
Infatti tutti i numeri dell’intervallo [−3, 1] ⊆ A sono minori di 2. Per ragioni
analoghe, 9 ad esempio non è un maggiorante di A in quanto non è vero che
a ≤ 9 per ogni a ∈ A. Infatti 10 ∈ A è maggiore di 9.
Sia A 6= ∅, A ⊆ R.
• Si dice che A è inferiormente limitato se esiste un minorante di A, cioè se
∃h ∈ R : h ≤ a, ∀ a ∈ A.
h ≤ a ≤ k, ∀ a ∈ A.
Dire che A è inferiormente illimitato significa dunque che A non ammette mino-
ranti cioè che
∀h ∈ R ∃ a ∈ A : a < h.
Dire che A è superiormente illimitato significa dunque che A non ammette maggio-
ranti cioè che
∀k ∈ R ∃ a ∈ A : a > k.
Esempio 1.7.
Sia A 6= ∅, A ⊆ R.
xm ∈ A, xm ≤ a, ∀ a ∈ A.
x M ∈ A, x M ≥ a, ∀ a ∈ A.
2 − a2 2a + 2
a0 = a + = .
a+2 a+2
Innanzitutto osserviamo che a0 > a in quanto 2 − a2 > 0 essendo a2 < 2. Inoltre, a0 ∈ A
perché ( a0 )2 < 2. Infatti:
4a2 + 8a + 4 − 2( a2 + 4a + 4) 2( a2 − 2)
( a 0 )2 − 2 = 2
= < 0.
( a + 2) ( a + 2)2
Dunque, per ogni a ∈ A, con a > 0, si può trovare a0 ∈ A, con a0 > a: ciò prova che A
non ha massimo.
Analogamente si ragiona per B: se b ∈ B, b0 = 2b +2 0
b+2 ∈ B e b < b. Pertanto B non ha
minimo.
Sia A 6= ∅, A ⊆ R.
Denotiamo con
m A = {y ∈ R : y è minorante di A}
Denotiamo con
M A = {y ∈ R : y è maggiorante di A}
Sia A 6= ∅, A ⊆ R. Allora:
Sia A 6= ∅, A ⊆ R.
m A = { x ∈ R | x ≤ 0} , M A = { x ∈ R | x ≥ 1}.
Sia A 6= ∅, A ⊆ R. Allora:
1.5 L’insieme N
Fino ad ora abbiamo assunto come noti i numeri naturali: 0, 1, 2, 3, ...; non abbia-
mo dato alcun assioma al riguardo, e dunque non siamo stati in grado di dimostrare
alcunché. Dopo aver dato gli assiomi del campo reale, possiamo descrivere l’insieme
N in quanto sottoinsieme di R. Consideriamo i sottoinsiemi di R che contengono
i due elementi neutri 0 e 1 e sono "stabili" rispetto all’addizione, tali cioè che se
contengono due numeri contengono anche la loro somma. In modo più formale:
Definizione 1.5.1 I Insieme induttivo
• S contiene lo zero: 0 ∈ S;
• da x ∈ S segue x + 1 ∈ S, cioè: x ∈ S ⇒ x + 1 ∈ S.
Dalla quanto visto sopra e dalla Definizione 1.5.2 segue che N è il più piccolo
insieme induttivo di R. Infatti, se S ⊆ R è induttivo, esso è parte della famiglia di
cui N è l’intersezione, cosicché N ⊆ S.
Se n ∈ N, il numero n + 1 si chiama successivo di n.
In generale, dato un enunciato p(n) definito per tutti i numeri naturali n, ci si
chiede se esiste un criterio che ci consenta di affermare che le proposizioni p(n) sono
vere per ogni n ∈ N. In tal senso, è di fondamentale importanza il seguente risultato:
Teorema 1.5.1 I Principio di induzione
1.5 L’insieme N 21
(1 + x )n ≥ 1 + nx.
Dimostrazione.
Sia
p(n) : " (1 + x )n ≥ 1 + nx, ∀ x ∈ R, x > −1, ∀n ∈ N "
Base. Per n = 0 e n = 1 i due membri della disuguaglianza in esame sono
uguali e quindi p(0) e p(1) sono vere.
Ipotesi induttiva. Supponiamo che la disuguaglianza valga per un assegnato n,
cioè supponiamo vera p(n).
Tesi. Proviamo p(n + 1), cioè
(1 + x )n+1 ≥ 1 + (n + 1) x.
Si ha:
a n ≥ 1 + n ( a − 1) , ∀ a > 0, ∀n ∈ N.
Concludiamo tale sezione enunciando alcune proprietà di N:
• Principio del buon ordinamento (o principio del minimo). Sia A ⊆ N, A 6= ∅.
Allora l’insieme A ammette minimo.
nx ≥ y.
nx < y, ∀ n ∈ N∗ . (1.1)
A x = {nx, n ∈ N∗ }.
nx ≤ a, ∀ n ∈ N∗ .
Per l’arbitrarietà di n dalla disuguaglianza precedente segue
(n + 1) x ≤ a, ∀ n ∈ N∗
da cui
nx ≤ a − x, ∀ n ∈ N∗ .
Ciò significa che a − x è un maggiorante di A x e ciò contraddice il fatto che a è
l’estremo superiore di A x (e quindi, il maggiorante minore).
Osservazione. Applicando la proprietà di Archimede al numero reale x = 1, si ottiene
che
∀y ∈ R∗+ ∃n ∈ N : n ≥ y
cioè, comunque si fissi y (e quindi, ad esempio, molto grande), esiste un numero
naturale n maggiore o uguale di y. Cioè N è illimitato superiormente.
Osservazione. Evidentemente, se x ∈ R∗+ e y ≤ 0, allora ogni numero naturale n
verifica la proprietà di Archimede.
Esempio 1.12. Siano a e b due numeri reali, con a > 1. Allora esiste un intero
n tale che
an ≥ b.
Se b ≤ 0 tale disuguaglianza è verificata per ogni n ∈ N. Sia, allora, b > 0.
Poiché a > 1, il numero a si può scrivere nella forma a = 1 + x con x > 0. Per
la proprietà di Archimede esiste n ∈ N∗ tale che nx ≥ b. Per la disuguaglianza
di Bernoulli, si ha
an = (1 + x )n ≥ 1 + nx ≥ nx ≥ b.
A = { p ∈ Z | p ≤ x }.
Esempi.
• b3, 5c = max{ p ∈ Z | p ≤ 3, 5} = 3;
Allora, essendo A ⊆ Z non vuoto e limitato superiormente, ammette massimo e la Definizione 1.6.1 è
ben posta.
Inoltre, la parte intera di x, b x c, è l’unico intero che verifica
1.7 Densità di Q e di R \ Q in R
L’insieme Q è denso in R.
1.7 Densità di Q e di R \ Q in R 25
Scelto un siffatto n, sia d la parte intera del prodotto na, cioè il più grande
intero che non supera na:
d = bnac.
Dalla doppia disuguaglianza d ≤ na < d + 1 e dalla (1.3), segue allora
d ≤ na
na d+1 d 1 1 (1.3)
a= < = + ≤ a+ < a + (b − a) = b.
n n n n n
d +1
Pertanto il numero razionale r = n è maggiore di a e minore di b.
L’insieme R \ Q è denso in R.
s ∈ R\Q
a r1 s r2 b R
Sia √
2
s = r1 + (r2 − r1 ).
2
Proviamo che s ∈]r1 , r2 [⊆ [ a, b] e che s è irrazionale.
• Controlliamo se s > r1 , cioè
√
2
r1 + (r2 − r1 ) > r1 .
2
√
2
Tale disuguaglianza equivale a 2 (r2 − r1 ) > 0 che è palesemente vera
giacché r2 > r1 .
Le principali proprietà delle potenze con esponente intero naturale sono le se-
guenti:
(P1) an · am = an+m ,
(P2) ( an )m = anm ,
(
an < am se a > 1
(P3) n < m ⇒ ,
an > am se 0 < a < 1
an a n 1 1 n
(P4) an · bn = ( ab)n ,
bn = b (con b 6= 0), an = a (con a 6= 0),
• Per ogni a ∈ R+
∗ , dovendo essere
a = a 1 = a 1+0 = a 1 · a 0 = a · a 0 ,
si deve avere
a0 := 1.
a−n · an = a−n+n = a0 = 1,
si deve avere
n
−n 1 1
a := n = .
a a
• Sia r = m
n ∈ Q, con m ∈ Z e n ∈ N. Dovendo essere
( ar )n = arn = am ,
si deve avere
√
ar = am/n :=
n
am .
A = { ar : r ∈ Q, r < x }, B = { as : s ∈ Q, s > x }.
a x = sup{ ar : r ∈ Q, r < x }
ma anche
a x = inf{ as : s ∈ Q, s > x }.
Ebbene, si prova che sup{ ar : r ∈ Q, r < x } = inf{ as : s ∈ Q, s > x } e quindi si può
indifferentemente definire a x nell’uno o nell’altro modo.
Nel caso 0 < a < 1, le disuguaglianze devono essere tutte invertite e quindi come
definizione di a x con 0 < a < 1 si può porre
Si prova che, con le definizioni appena date, per le potenze con esponente reale
valgono effettivamente le proprietà (P1)-(P4).
Dall’assioma di completezza discende il seguente teorema:
Osserviamo che dal teorema ora enunciato segue subito una proprietà che utiliz-
zeremo spesso nel seguito:
aloga y = y.
x 1
(L4) loga ( xy) = loga x + loga y, loga y = loga x − loga y, loga x = − loga x, per
ogni x > 0, y > 0,
√ 1
(L5) loga ( x n ) = n loga x, loga n
x= n loga x, loga ( x y ) = y loga x per ogni x > 0,
y ∈ R.
loga x
logb x =
loga b
per ogni a > 0, con a 6= 1, b > 0, con b 6= 1, x > 0. Infatti, posto u = logb x si ha
x = bu e quindi loga x = loga (bu ) = u loga b, da cui la tesi.
Pertanto basta conoscere i logaritmi in una base, per conoscere i logaritmi in
qualunque base. Ovviamente una base particolarmente interessante è la base a = 10;
per ogni x > 0 il logaritmo in base 10 di x dicesi logaritmo decimale (o di Briggs) di x
e si denota con il simbolo Log( x ). Esiste però un altro numero reale che, per motivi
che saranno chiari in seguito, costituisce una base fondamentale per le potenze e per
i logaritmi; si tratta del numero e , detto numero di Nepero, numero irrazionale le cui
prime cifre sono 2, 71828.... Per ogni x > 0 il logaritmo in base e di x dicesi logaritmo
naturale di x e si denota con il simbolo log x o ln( x ).
z1 + z2 = ( a, b) + (c, d) := ( a + c, b + d) ∈ C,
z1 · z2 = ( a, b) · (c, d) := ( ac − bd, ad + bc) ∈ C.
∀z ∈ C \ {0} ∃v ∈ C : zv = 1;
z1 (z2 + z3 ) = z1 z2 + z1 z3 , ∀z1 , z2 , z3 ∈ C.
Osserviamo che
i 2 = −1 .
Infatti, alla luce delle Definizioni 1.9.3 e 1.9.2 si ottiene
a + ib,
Quindi:
C = { a + ib : a, b ∈ R}.
Si sottolinea che sia la parte reale che la parte immaginaria di un numero complesso,
sono numeri reali.
Dalla Definizione 1.9.4 segue che l’entità matematica i non è un numero reale e
che tutti i numeri reali sono i numeri complessi con parte immaginaria nulla.
Se z è assegnato nella forma z = a + ib, allora si dice anche il numero complesso
z è scritto in forma cartesiana. Questa denominazione deriva dalla possibilità di
mettere in corrispondenza biunivoca l’insieme dei numeri complessi con l’insieme dei
punti di un piano. Ad esempio, se consideriamo il piano cartesiano Oxy dove lungo
l’asse ~x disponiamo la parte reale e lungo l’asse ~y disponiamo la parte immaginaria,
allora ogni punto P( a, b) del piano individua in modo unico il numero complesso
z = a + ib, e viceversa. In tal caso l’asse ~x è detto asse reale, ed è denotato con Re,
e l’asse ~y è detto asse immaginario, ed è denotato con Im. Il piano è detto piano di
Argand-Gauss (o piano complesso).
Im
P( a, b)
b z = a + ib
O a Re
Quindi due numeri complessi scritti in forma algebrica sono uguali se hanno la
stessa parte reale e la stessa parte immaginaria.
z + z0 = ( a + ib) + ( a0 + ib0 ) = ( a + a0 ) + i (b + b0 ),
z · z0 = ( a + ib) · ( a0 + ib0 ) = aa0 + iab0 + ia0 b + i2 bb0 = ( aa0 − bb0 ) + i ( ab0 + a0 b).
Come per il prodotto fra numeri reali, sovente si scrive zz0 in luogo di z · z0 .
Poiché le operazioni di somma e prodotto fra numeri complessi sono le medesi-
me dell’algebra letterale, che altro non sono che le operazioni di somma e prodotto
fra numeri reali, esse godono delle classiche proprietà: associativa, commutativa,
distributiva del prodotto rispetto alla somma.
Inoltre, esiste un unico elemento neutro per la somma che è il numero complesso
(reale) 0 = 0 + i0 ed esiste un unico elemento neutro per il prodotto, che è il numero
complesso (reale) 1 = 1 + i0. Per ogni numero complesso z si ha che
z + 0 = 0 + z = z, z · 1 = 1 · z = z.
a − ib a − ib
1 −1 1 1 a b
=z = = · = 2 = 2 +i − 2 .
z a + ib a + ib a − ib a + b2 a + b2 a + b2
Si verifica facilmente che le operazioni ora definite, ristrette all’insieme dei numeri
reali, riproducono le analoghe operazioni di somma e prodotto fra numeri reali.
Im
P( a, b)
b z = a + ib
|z| = OP
O a Re
Osserviamo che: √
z=a∈R =⇒ |z| = a2 = | a | ,
√
z = ib, b ∈ R =⇒ | z | = b2 = | b |.
Detto P( a, b) il punto del piano Oxy associato a z = a + ib, il punto che corri-
sponde a z = a − ib è il punto P0 ( a, −b), cioè il simmetrico di P rispetto all’asse
reale.
Im
P( a, b)
b
z = a + ib
O a Re
z = a − ib
−b
P0 ( a, −b)
Quindi si ha che
Proposizione 1.9.1
1. w + z = w + z;
2. wz = w z;
3. z = z;
4. z = z se e solo se z ∈ R;
5. z + z = 2 Re (z);
6. z − z = 2i Im (z);
7. zz = |z|2 .
0<x<1 =⇒ xn > xm ,
x>1 =⇒ xn < xm .
Una relazione d’ordine per essere tale deve soddisfare le proprietà 1.-4. dell’elen-
co precedente e per essere compatibile con le proprietà algebriche deve soddisfare le
proprietà 5.-7.
Supponiamo per assurdo che esista un ordinamento totale in C denotato con ≤C
conforme con quello di R e compatibile con le proprietà algebriche. In particolare, se
z, z0 ∈ R, allora
z ≤C z 0 ⇔ z ≤ z 0
e se z, z0 ∈ C, allora
z ≤C z0 , w ≥C 0 =⇒ zw ≤C z0 w
z ≤C z0 , w ≤C 0 =⇒ zw ≥C z0 w.
Posto
z ≤C z 0 ⇔ z <C z0 oppure z = z0 ,
è facile dimostrare che ≤C è un ordinamento totale su C. Inoltre, se z, z0 ∈ R, allora
z ≤C z 0 ⇔ z ≤ z0 .
Non useremo mai le seguenti disuguaglianze fra numeri complessi non reali:
z < z0 , z > z0 , z ≤ z0 , z ≥ z0 .
OP
O s
Se denotiamo con O il polo e con s l’asse polare, ogni punto P del piano diverso
da O è univocamente determinato dalla sua distanza da O, cioè da OP, e dall’angolo
ϑ che la semiretta passante per O e P e prolungata dalla parte di P forma con l’asse
polare s, misurato in radianti a partire da s.
Posto ρ = OP, allora il punto P diverso da O è identificato dalle coordinate polari
(ρ, ϑ), con ρ > 0 e ϑ ∈ [0, 2π [, e scriveremo P(ρ, ϑ). Il punto O è individuato da ρ = 0
e ϑ qualsiasi.
Consideriamo adesso il sistema di coordinate cartesiane ortogonali Oxy e il siste-
ma di coordinate polari Os, dove s è il semiasse positivo delle ascisse. Sia P un punto
del piano diverso da O e siano ( a, b) le coordinate cartesiane e (ρ, ϑ ) le coordinate
polari di P.
~y
P( a, b)
b z = a + ib
ρ = OP
ϑ
O a ~x
a = ρ cos ϑ, b = ρ sin ϑ
e quindi
z = a + ib = ρ(cos ϑ + i sin ϑ ).
L’espressione z = ρ(cos ϑ + i sin ϑ ) è detta forma trigonometrica del numero
complesso z. Se z = 0, allora la forma trigonometrica è 0 = 0(cos ϑ + i sin ϑ ),
per ogni ϑ ∈ R.
√
Osserviamo che ρ = a2 + b2 = |z|. L’angolo ϑ è detto argomento del numero
complesso z e si scrive ϑ = arg (z). Poiché l’argomento non è unico, è più corretto
dire un argomento anziché l’argomento. Spesso si parla di argomento principale,
e lo si indica con Arg (z), per indicare l’argomento di z appartenente all’intervallo
[0, 2π [.
~y
P( a, b)
b z = a + ib
ρ = |z|
ϑ = Arg(z)
O a ~x
Quindi due numeri complessi in forma trigonometrica sono uguali se hanno lo stesso
modulo e se gli argomenti sono uguali oppure differiscono per uno o più angoli giro.
Esercizio. Determinare una forma trigonometrica di z nei seguenti casi:
zn = ρn (cos nϑ + i sin nϑ ).
Ciò prova che la formula, se vale per n = k allora è valida per n = k + 1. Per
il principio di induzione si conclude che la formula è vera per tutti gli n interi
positivi.
Per n = 0, la formula si riduce alla semplice identità cos 0ϑ + i sin 0ϑ = 1 + i0 e
z0 = 1.
Per n < 0, consideriamo l’intero positivo m = −n. Si ha:
zn = ρn (cos ϑ + i sin ϑ )n
= ρ−m (cos ϑ + i sin ϑ)−m
1
= ρ−m
(cos ϑ + i sin ϑ)m
1
= ρ−m
cos mϑ + i sin mϑ
cos mϑ − i sin mϑ
= ρ−m
cos2 mϑ + sin2 mϑ
= ρ−m (cos mϑ − i sin mϑ)
= ρ−m [cos(−mϑ) + i sin(−mϑ)]
= ρn (cos nϑ + i sin nϑ).
Sia x ∈ R. Poniamo
eix = cos x + i sin x.
La scrittura precedente è detta formula di Eulero.
Sia z = ρ(cos ϑ + i sin ϑ ) un numero complesso in forma trigonometrica. In
base alla formula di Eulero, si può scrivere
z = ρeiϑ .
La notazione utilizzata per la formula di Eulero deriva dal fatto che l’espressione
cos x + i sin x gode di proprietà che sono tipiche delle potenze, quali le ben note
proprietà sul prodotto e la potenza. Infatti, da quanto visto in precedenza a proposito
del prodotto di due numeri complessi in forma trigonometrica, segue che
0 0
eiϑ eiϑ = (cos ϑ + i sin ϑ )(cos ϑ0 + i sin ϑ0 ) = cos(ϑ + ϑ0 ) + i sin(ϑ + ϑ0 ) = ei(ϑ+ϑ ) ,
(
0 ρ = ρ0
z=z ⇐⇒ .
∃k ∈ Z : ϑ = ϑ0 + 2kπ
Si osservi che
3
− i = ei 2 π = e − i 2 .
π π
1 = ei0 , −1 = eiπ , i = ei 2 ,
Esercizio. Determinare una forma esponenziale di z nei seguenti casi:
eix − e−ix
sin x = .
2i
Infine, segnaliamo che dalla formula di Eulero segue la seguente, nota come la
formula più bella della matematica:
eiπ + 1 = 0.
dove
ϑ + 2kπ
ϕk = ,
n
per ogni k = 0, 1, ..., n − 1.
ϑ ϑ
≤ ϕk < + 2π.
n n
Infatti, se 0 ≤ k ≤ n − 1, allora
ϑ ϑ + 2kπ ϑ + 2( n − 1) π ϑ + 2nπ − 2π ϑ − 2π ϑ
≤ ≤ = = + 2π < + 2π.
n 0≤ k n k ≤ n −1 n n n n
√ √
Sia Xk1 = n ρeiϕk1 e Xk2 = n ρeiϕk2 sono due soluzioni dell’equazione X n = z,
con 0 ≤ k1 , k2 ≤ n − 1, k1 6= k2 , allora certamente ϕk1 6= ϕk2 . Inoltre, per quanto
appena visto si ha che
ϑ ϑ ϑ ϑ
≤ ϕk1 < + 2π, ≤ ϕk2 < + 2π.
n n n n
Quindi non esiste alcun numero intero h tale che ϕk1 = ϕk2 + 2hπ. Per l’u-
guaglianza fra numeri complessi in forma esponenziale, si ha allora Xk1 6=
Xk 2 .
Infine, resta da dimostrare che le altre soluzioni della forma Xk con k ∈ / [0, n − 1]
√
coincidono con quelle ottenute per k ∈ [0, n − 1]. Precisamente, se Xh = n ρeiϕh
con h ∈ / [0, n − 1], allora proviamo che esiste k ∈ [0, n − 1] tale che Xh = Xk .
Effettuando la divisione fra h e n si ottiene h = nq + k, dove q ∈ Z è il quoziente
e k è il resto, 0 ≤ k ≤ n − 1. Allora
√ ϑ + 2kπ
Xk = n ρeiϕk , ϕk = , k = 0, 1, ..., n − 1
n
√ p
hanno tutte modulo | Xk | = n ρ = n |z| e quindi appartengono alla circonferenza di
p
centro l’origine O e raggio r = n |z|. Inoltre, per ogni k = 0, 1, ..., n − 2, si ha che
2π
ϕ k +1 − ϕ k = .
n
X k +1
p Xk
n
r= |z|
O ϕ k +1 − ϕ k
sin ϑ 4
tan ϑ = = ,
cos ϑ 3
si può scrivere, ad esempio, che
4
ϑ = arctan
3
e quindi una forma trigonometrica di z è
4 4
z = 5 cos arctan + i sin arctan .
3 3
x2 = 4 ∨ x2 = −1.
X1 = 2 + i, X2 = − 2 − i = − X1 .
b2 b2
b c b c
0 = z2 + z + = z2 + 2 z+ 2 + − 2
a a 2a 4a a 4a
ossia
2
∆
b
z+ = < 0,
2a 4a2
dunque otteniamo
√
b −∆
z+ = ±i ,
2a 2a
cioè
√
−b ± i −∆
z= .
2a
1.11 Esercizi 47
1.11 Esercizi
Esercizio. Di ciascuno degli insiemi numerici A assegnati, determinare l’insieme
dei minoranti m A , l’insieme dei maggioranti M A e infine determinare l’estre-
mo inferiore e l’estremo superiore, indicando se si tratta, rispettivamente, di
minimo e di massimo.
® ´
− x2 − x + 2
• A= x∈R: ≤0
x2 − 9
ß √ √ 1 − 3x
™
• A = x ∈ R : 3x − 2 − x < − √
x
ß ™
1
• A = x ∈ R : 3x >
27
¶ ©
• A = x ∈ R : 2| x −1| < 2 x
( x −2 x 2 )
1 1
• A= x ∈ [−1, 3[: >
2 2
(1 + 2i )2 − (1 − i )3
•
(3 + 2i )3 − (2 + i )2
√
• (−1 + i 3)60
(1 + i )9
•
(1 − i )7
Esercizio.
• z2 + 4z + 6 = 0
• z4 − 4z2 + 8 = 0
CAPITOLO 2
Funzioni e limiti
graf f = {( a, b) : a ∈ A, b = f ( a)} ⊆ A × B
Sottolineiamo che
( a, b1 ) ∈ graf f e ( a, b2 ) ∈ graf f =⇒ b1 = b2 .
Una funzione non è individuata unicamente dalla sua legge: oltre alla legge,
bisogna sempre specificare il dominio e il codominio.
f nel piano reale. Per convenzione, l’asse orizzontale è quello di riferimento per il
dominio ed è usuale scrivere
graf f = {( x, y) ∈ R2 : x ∈ A, y = f ( x )}.
• Si dice che f e g sono diverse se non sono uguali, cioè se esiste a ∈ A tale
che f ( a) 6= g( a). In tal caso si scrive f 6= g.
f ( A 0 ) = { f ( a ) : a ∈ A 0 }.
x f (x)
f
im f = f ( A)
A = dom f
A0
f ( A0 )
f
im f = f ( A)
A = dom f
Se A0 = { a}, allora in luogo della scrittura f ({ a}) si usa f ( a). Inoltre, per
convenzione f (∅) = ∅.
im f = { f ( x ) : x ∈ R} = { x2 : x ∈ R} = [0, +∞[;
f ([0, 2]) = { f ( x ) : x ∈ [0, 2]} = { x2 : x ∈ [0, 2]} = [0, 4];
f ([−2, 2]) = { f ( x ) : x ∈ [−2, 2]} = { x2 : x ∈ [−2, 2]} = [0, 4].
Nel caso specifico di funzioni reali di una variabile reale, in generale, non è sem-
pre semplice determinare esplicitamente la sua immagine. Con gli strumenti che esa-
mineremo nei prossimi capitoli, riusciremo in molti casi a determinare l’immagine di
una funzione, a patto che la funzione presenti certe "qualità".
f −1(b)
b
f
im f = f ( A)
A = dom f
f −1( B0 )
B0
f
im f = f ( A)
A = dom f
Si noti che
1
f −1 6 = .
f
f −1 (0 ) = { x ∈ R : f ( x ) = 0 } = { x ∈ R : x 2 = 0 } = { 0 } ;
√
f −1 (3) = { x ∈ R : f ( x ) = 3} = { x ∈ R : x2 = 3} = {± 3};
f −1 (−3) = { x ∈ R : f ( x ) = −3} = { x ∈ R : x2 = −3} = ∅;
f −1 ([0, 9]) = { x ∈ R : f ( x ) ∈ [0, 9]} = { x ∈ R : 0 ≤ x2 ≤ 9} = [−3, 3];
√ √
f −1 ([−7, 5[) = { x ∈ R : f ( x ) ∈ [−7, 5[} = { x ∈ R : −7 ≤ x2 < 5} =] − 5, 5[.
• suriettiva se im f = B, cioè se
∀b ∈ B ∃ a ∈ A : f ( a) = b.
∀b ∈ B ∃!a ∈ A : f ( a) = b.
Esempio 2.4.
g( x1 ) − g( x2 ) = x12 − x22 = ( x1 − x2 ) ( x1 + x2 ) 6= 0,
| {z } | {z }
6 =0 >0
Esempio 2.6.
√
1. Siano f : [0, +∞[→ R, f ( x ) = x e g : R → R, g( x ) = − x2 − 3. Osser-
viamo che per ogni x ∈ dom f = [0, +∞[ si ha che f ( x ) ∈ R = dom g.
Dunque dom g ◦ f = [0, +∞[. Pertanto, per ogni x ∈ [0, +∞[, si ha
√ √
( g ◦ f )( x ) = g( f ( x )) = g( x ) = −( x )2 − 3 = − x − 3.
2. Siano f : R → R, f ( x ) = 2x − 5 e g : R → R, g( x ) = 3x + 1. Osserviamo
che per ogni x ∈ dom f = R si ha che f ( x ) ∈ R = dom g. Dunque
dom g ◦ f = dom f = R. Pertanto, per ogni x ∈ R, si ha
f ( x ) = [ g( x )]h(x) .
Se invece im h ⊆ Z, allora
x + 1 > 0} =] − 1, 4].
Evidentemente im h ⊆ Z. Si ha:
f −1 : B → A
b 7→ a : f ( a) = b
dom f −1 = im f , im f −1 = dom f .
f ( a) = b
( f −1 ◦ f )( a) = f −1 ( f ( a)) = f −1 ( b ) = a = I A ( a ).
f −1 ( b ) = a
( f ◦ f −1 )(b) = f ( f −1 (b)) = f ( a ) = b = IB ( b ).
( a, b) ∈ graf f = {( x, y) ∈ R2 : x ∈ A, y = f ( x )},
Le funzioni x 7→ sin x, x 7→ cos x, x 7→ tan x non sono iniettive nei loro domini,
ma lo sono le loro restrizioni agli insiemi, rispettivamente, [− π2 , π2 ], [0, π ], ] − π2 , π2 [,
ovvero le funzioni seno, coseno, tangente sono invertibili rispettivamente in [− π2 , π2 ],
[0, π ], ] − π2 , π2 [.
Si verifica che
In questa sezione introdurremo alcune nozioni che hanno senso per le funzioni
reali di una variabile reale e non in generale.
Nel seguito con dom f indicheremo il dominio di una funzione f reale di una
variabile reale e dunque un sottoinsieme non vuoto di R.
• crescente in A se ∀ x1 , x2 ∈ A : x1 < x2 si ha f ( x1 ) ≤ f ( x2 ).
• decrescente in A se ∀ x1 , x2 ∈ A : x1 < x2 si ha f ( x1 ) ≥ f ( x2 ).
Esempi.
x 7→ b x c
b x c = max{n ∈ Z : n ≤ x }, ∀x ∈ R
~y
O 1 2 ~x
Infatti, dal grafico di f si vede subito che ogni retta orizzontale di equazione y = k
con k ∈ [0, 2] nel piano Oxy interseca il grafico di f in uno e un solo punto. Tuttavia,
essendo f (0) < f (1) e f (1) > f (2), si ha che f non è monotona. Determiniamo
esplicitamente f −1 . Posto y = f ( x ), occorre ricavare x. Se x ∈ [0, 1[, allora y =
f ( x ) = x da cui x = y e quindi y ∈ [0, 1[. Se x ∈ [1, 2], allora y = f ( x ) = 3 − x da cui
x = 3 − y e quindi, dovendo essere x = 3 − y ∈ [1, 2] si ricava che y ∈ [1, 2]. Dunque
(
−1 y se y ∈ [0, 1[
x = f (y) = .
3 − y se y ∈ [1, 2]
pertanto f = f −1 .
Il grafico di una funzione affine è una retta non passante per l’origine. Il
grafico di una funzione lineare è una retta passante per l’origine. Sia per
le funzioni affini che per le funzioni lineari, si osserva che se a < 0, allora
f è strettamente decrescente e se a > 0 allora f è strettamente crescente.
Consideriamo, ad esempio, il caso a < 0 per una funzione affine f . Fissiamo
ad arbitrio x1 , x2 ∈ R con x1 < x2 . Si ha:
( a <0)
x1 < x2 ⇔ ax1 > ax2 ⇔ ax1 + b > ax2 + b ⇔ f ( x1 ) > f ( x2 ).
Dunque f è decrescente.
f ( x1 + x2 ) = a( x1 + x2 ) = ax1 + ax2 = f ( x1 ) + f ( x2 ).
|{z} |{z}
= f ( x1 ) = f ( x2 )
f (− x ) = (− x )n = − x n = − f ( x ).
f (− x ) = | − x | = | x | = f ( x ).
f (− x ) = sin(− x ) = − sin x = − f ( x ).
f (− x ) = cos(− x ) = cos x = f ( x ).
Siano f : dom f → R e T 6= 0.
Si dice che f è periodica di periodo T (oppure che f è T-periodica) se valgono le
seguenti proprietà:
Esempio 2.9.
1. Le funzioni f , g : R → R definite dalle leggi f ( x ) = sin x e g( x ) = cos x
sono periodiche di periodo 2π.
2. Le funzioni f : dom f → R e g : dom g → R definite dalle leggi f ( x ) =
tan x e g( x ) = ctg x, essendo
n π o
dom f = x ∈ R : x 6= + kπ, ∀k ∈ Z ,
2
dom g = { x ∈ R : x 6= kπ, ∀k ∈ Z} ,
Esempio 2.10.
h ≤ f ( x ), ∀ x ∈ A.
f ( x ) ≤ k, ∀ x ∈ A.
| f ( x )| ≤ M, ∀x ∈ A
o, equivalentemente, se
f ( A) è un sottoinsieme limitato di R.
inf f = −∞.
A
sup f = +∞.
A
Sia f : dom f → R.
f ( xm ) = m, m ≤ f ( x ), ∀ x ∈ dom f .
f ( x M ) = M, f ( x ) ≤ M, ∀ x ∈ dom f .
Si noti che
min f = min im f , max f = max im f .
Osservazione. Siano f : dom f → R e A ⊆ dom f non vuoto. Riassumendo quanto descritto preceden-
temente, si ha:
Definizione 2.3.1
Definizione 2.3.2
(λ1 f + λ2 g)( x ) = λ1 · f ( x ) + λ2 · g( x ).
( f · g)( x ) = f ( x ) g( x ).
f
• Si definisce funzione quoziente tra f e g, la funzione g : { x ∈ dom f ∩
dom g : g( x ) 6= 0} → R definita dalla legge
f f (x)
(x) = .
g g( x )
f + = max{ f , 0}
f − = max{− f , 0}.
Precisamente: (
+ f (x) se f ( x ) ≥ 0
f ( x ) = max{ f , 0}( x ) = ,
0 se f ( x ) < 0
(
− f ( x ) se f ( x ) ≤ 0
f − ( x ) = max{− f , 0}( x ) = .
0 se f ( x ) > 0
Osserviamo che f + ≥ 0, f − ≥ 0, f = f + − f − e | f | = f + + f − .
2.4 Topologia di R
Distanza in R Formalizziamo il concetto intuitivo di distanza.
Definizione 2.4.1 I Distanza in R
de ( x, y) = | x − y|, ∀ x, y ∈ R.
2.4 Topologia di R 69
Siano x0 ∈ R e δ ∈ R+∗.
Si definisce intorno di centro x0 di raggio δ, e si indica con Iδ ( x0 ) (o più
semplicemente con Ir o ancora con I), l’intervallo aperto
x<y ⇔ x − y < 0, ∀ x, y ∈ R,
− ∞ < x < +∞, ∀ x ∈ R.
Infine, se x, y ∈ R, si pone
x≤y ⇔ ( x < y ∨ x = y ).
Siano A ⊆ R e x0 ∈ A.
Si dice che x0 è un punto interno ad A se esiste un intorno I di x0 tale che I ⊆ A.
Si definisce parte interna di A l’insieme dei punti interni di A. La parte interna
2.4 Topologia di R 71
Evidentemente int A ⊆ A.
Esempio 2.12.
1. Sia A = [ a, b]. Dimostriamo che i punti interni di A sono tutti e soli i punti
dell’intervallo aperto ] a, b[. Allo scopo, sia x0 ∈] a, b[, cioè a < x0 < b
e consideriamo 0 < r < min{ x0 − a, b − x0 } e Ir ( x0 ) =] x0 − r, x0 + r [.
Mostriamo che Ir ( x0 ) ⊆ A. Essendo r < min{ x0 − a, b − x0 } si ha che
r < x0 − a, r < b − x0 .
Siano A ⊆ R e x0 ∈ R.
Si dice che x0 è un punto esterno ad A se esiste un intorno I di x0 che non
contiene alcun punto di A.
Sia A ⊆ R.
Si dice che A è aperto se ogni punto di A è interno ad A, cioè se int A = A.
Si dice che A è chiuso se R \ A è aperto.
Per convenzione ∅ e R sono contemporaneamente aperti e chiusi.
Esempio 2.14.
1. Gli intervalli aperti sono aperti; gli intervalli chiusi sono chiusi.
Siano A ⊆ R e x0 ∈ A.
Si dice che x0 è un punto isolato di A se esiste un intorno I di x0 tale che
A ∩ I = { x0 }, cioè x0 si definisce isolato in A se esiste un suo intorno che come
unico punto di A contiene x0 stesso.
Si dice che A è discreto se A è costituito solo da punti isolati.
Esempio 2.15.
Siano A ⊆ R e x0 ∈ R.
Si dice che x0 è un punto di accumulazione per A se ogni intorno di x0 contiene
almeno un punto di A diverso da x0 .
Si definisce derivato di A l’insieme dei punti di accumulazione di A. Il derivato
2.4 Topologia di R 73
Esempio 2.16.
• se r ≤ b − a, allora A ∩ Ir = [ a, a + r [,
• se r > b − a, allora A ∩ Ir = [ a, b[.
• se b ≤ a, allora A ∩ I = [ a, +∞[,
• se b > a, allora A ∩ I = [b, +∞[.
Sia A ⊆ R e sia x0 ∈ R.
Allora x0 è di accumulazione per A se e solo se ogni intorno di x0 contiene
infiniti punti di A.
Dimostrazione.
⇐= Banale. Se in ogni intorno di x0 vi sono infiniti punti di A, allora se ne
trova almeno uno.
=⇒ Se x0 = −∞ o x0 = +∞, la tesi è ovvia. Sia, allora, x0 ∈ R. Per assurdo,
si supponga che esista un intorno di x0 che tale contenga un numero finito di
punti di A, che denotiamo con
x1 , x2 , ... , xn .
Posto
δ = min{| x0 − x1 |, | x0 − x2 |, ..., | x0 − xn |},
nell’intorno di centro x0 e raggio δ non vi è alcun punto dell’insieme A. Dal
momento che x0 è un punto di accumulazione per A, siamo pervenuti ad un
assurdo.
Il seguente teorema, che non dimostriamo, fornisce una condizione sufficiente per
l’esistenza in R di punti di accumulazione per un insieme.
Teorema 2.4.2 I Teorema di Bolzano-Weierstrass
2.4 Topologia di R 75
Punti di frontiera
Definizione 2.4.11 I Punto di frontiera, Frontiera (o bordo) di un insieme
Siano A ⊆ R e x0 ∈ R.
Si dice che x0 è un punto di frontiera per A se per ogni intorno I di x0 si ha che
A ∩ I 6= ∅ e (R \ A) ∩ I 6= ∅.
Si definisce frontiera di A (o bordo di A) l’insieme dei punti di frontiera di A. La
frontiera di A si denota con ∂A oppure con Fr ( A).
Praticamente, i punti di frontiera sono quei punti che in un certo senso "separano"
l’insieme A dal suo complementare (R \ A). È chiaro che la frontiera di A coincide
con quella del suo complementare.
Esempio 2.17.
Proposizione 2.4.1
Sia A ⊆ R. Allora:
1. A ⊆ int ( A) ∪ ∂A;
Siano A ⊆ R e x0 ∈ R. Allora:
x0 ∈
/ A di frontiera per A ⇒ x0 di accumulazione per A;
:
2.5 Limite
Definizione 2.5.1 I Definizione generale di limite
2.5 Limite 77
x ∈ dom f ∩ I ( x0 ), x 6= x0 ⇒ f ( x ) ∈ I ( l ).
In tal caso scriviamo
lim f ( x ) = l.
x → x0
m
∀e > 0 ∃δ > 0 : ∀ x ∈ dom f , 0 < | x − x0 | < δ si ha che | f ( x ) − l | < e.
m
∀ a ∈ R ∃δ > 0 : ∀ x ∈ dom f , 0 < | x − x0 | < δ si ha che f ( x ) > a.
m
∀ a ∈ R ∃δ > 0 : ∀ x ∈ dom f , 0 < | x − x0 | < δ si ha che f ( x ) < a.
La definizione diventa:
lim f ( x ) = l
x →+∞
m
∀e > 0 ∃ a ∈ R : ∀ x ∈ dom f , x > a si ha che | f ( x ) − l | < e.
La definizione diventa:
lim f ( x ) = l
x →−∞
m
∀e > 0 ∃ a ∈ R : ∀ x ∈ dom f , x < a si ha che | f ( x ) − l | < e.
La definizione diventa:
lim f ( x ) = +∞
x →+∞
m
∀ a ∈ R ∃b ∈ R : ∀ x ∈ dom f , x > b si ha che f ( x ) > a.
La definizione diventa:
lim f ( x ) = −∞
x →+∞
m
∀ a ∈ R ∃b ∈ R : ∀ x ∈ dom f , x > b si ha che f ( x ) < a.
I (l ) =] a, +∞[, I ( x0 ) =] − ∞, b[.
La definizione diventa:
lim f ( x ) = +∞
x →−∞
m
∀ a ∈ R ∃b ∈ R : ∀ x ∈ dom f , x < b si ha che f ( x ) > a.
I (l ) =] − ∞, a[, I ( x0 ) =] − ∞, b[.
La definizione diventa:
lim f ( x ) = −∞
x →−∞
m
∀ a ∈ R ∃b ∈ R : ∀ x ∈ dom f , x < b si ha che f ( x ) < a.
lim f ( x ) = l1 , lim f ( x ) = l2 ,
x → x0 x → x0
allora l1 = l2 .
lim f ( x ) = l1
x → x0
m
0 0
∃ I ( x0 ) intorno di x0 : ∀ x ∈ (dom f ∩ I ( x0 )), x 6= x0 si ha che f ( x ) ∈ I ( l1 ) .
lim f ( x ) = l2
x → x0
m
∃ I ( x0 ) intorno di x0 : ∀ x ∈ (dom f ∩ I 00 ( x0 )), x 6= x0
00
si ha che f ( x ) ∈ I ( l2 ) .
Allora
f ( x ) ∈ I ( l1 ) ∩ I ( l2 ) , ∀ x ∈ (dom f ∩ I 0 ( x0 ) ∩ I 00 ( x0 )) \ { x0 }
I (l1 ) ∩ I (l2 ) 6= ∅.
Ciò è assurdo visto che I (l1 ) e I (l2 ) per quanto detto sopra hanno intersezione
vuota.
Dunque, si conclude che deve essere l1 = l2 .
Dimostrazione.
cioè
l − e < f ( x ) < l + e.
Scelto e = 2l > 0, esiste I∗ ( x0 ) intorno di x0 tale che per ogni x ∈ dom f ∩
I∗ ( x0 ), x 6= x0 si ha
l 3
< f ( x ) < l.
2 2
In particolare f ( x ) > 2l > 0 per ogni x ∈ (dom f ∩ I∗ ( x0 )) \ { x0 }.
Si procede analogamente se l < 0.
1. esista lim f ( x ) = l ∈ R;
x → x0
• Il Teorema della permanenza del segno non dice nulla nel caso in cui l = 0.
Infatti, in tal caso può succedere qualsiasi cosa. Ad esempio, se f ( x ) = ex > 0,
si ha
lim ex = 0,
x →−∞
lim (−ex ) = 0.
x →−∞
lim f ( x ) = l1 , lim g( x ) = l2 , l1 , l2 ∈ R.
x → x0 x → x0
Allora si ha che:
1. lim f ( x ) + g ( x ) = l1 + l2 ;
x → x0
2. lim f ( x ) g( x ) = l1 l2 ;
x → x0
1 1
3. se l1 6= 0, allora lim = ;
x → x0 f (x) l1
f (x) l
4. se l2 6= 0, allora lim = 1.
x → x0 g( x ) l2
| g( x )| ≤ M ∀ x ∈ ( A ∩ I ( x0 )) \ { x0 }.
e
Inoltre, fissato ad arbitrio e > 0 e considerato il numero M +|l1 |
> 0, dalle
ipotesi si ha:
e
∃ I 0 ( x0 ) intorno di x0 : ∀ x ∈ ( A ∩ I 0 ( x0 )) \ { x0 } si ha che | f ( x ) − l1 | < .
M + | l1 |
e inoltre
e
∃ I 00 ( x0 ) intorno di x0 : ∀ x ∈ ( A ∩ I 00 ( x0 )) \ { x0 } si ha che | g( x ) − l2 | < .
M + | l1 |
| f ( x ) g( x ) − l1 l2 | = |( f ( x ) g( x ) − l1 g( x )) + (l1 g( x ) − l1 l2 )|
≤ | f ( x ) − l1 || g( x )| + | g( x ) − l2 ||l1 |
e e
< ·M+ · | l1 |
M + | l1 | M + | l1 |
e
= ( M + |l1 |) = e,
M + | l1 |
da cui la tesi.
f (x)
11. se lim f ( x ) = l ∈ R e lim g( x ) = +∞ (oppure −∞), allora lim = 0;
x → x0 x → x0 x → x0 g ( x )
Dimostrazione.
Dimostriamo solo il caso 12. Il lettore dimostri gli altri (seguono subito dalla
definizione di limite).
Consideriamo il caso in cui l > 0 (analogamente se l < 0 oppure l = +∞ o
l = −∞). Supponiamo che g sia positiva in ( A ∩ I ( x0 )) \ { x0 } (analogamente
f (x)
lim = +∞.
x → x0 g( x )
l 1 2a f (x) l 2a
0 < g( x ) < ⇒ > ⇒ > = a.
2a g( x ) l g( x ) 2 l
f (x)
Dunque lim = +∞.
x → x0 g( x )
Ovviamente quanto asserito dal Teorema 2.7.2 vale nel caso in cui i limiti
esistano.
Riguardo il caso 12, è sufficiente l’ipotesi che esista un intorno I ( x0 ) di x0 tale
che g abbia segno costante su ( A ∩ I ( x0 )) \ {0} affinché il limite esista. Allora
f
in tal caso il limite di g è +∞ oppure −∞. Il segno dipende dal quoziente
dei segni di f e g in un intorno di x0 escluso al più il punto x0 .
f (x)
• lim f ( x ) = 0, lim g( x ) = 0, allora lim =?
x → x0 x → x0 x → x0 g( x )
f (x)
• lim f ( x ) = +∞, −∞, lim g( x ) = +∞, −∞, allora lim =?
x → x0 x → x0 x → x0 g( x )
Questi limiti vengono detti forme indeterminate perché in ognuno dei quattro
casi il limite non è determinato a priori. Tali limiti sono indicati con i seguenti
simboli: h∞i
0
[ ∞ − ∞ ] , [0 · ∞ ] , , .
0 ∞
Quindi si ha che
lim [ f ( x )] g(x) = lim eg(x) ln[ f (x)] .
x → x0 x → x0
Si dice che questo limite è una forma indeterminata di tipo esponenziale se il limite
dell’esponente lim g( x ) ln[ f ( x )] è una forma indeterminata [0 · ∞]. Questa
x → x0
situazione si può presentare solo in tre casi:
Nelle ipotesi della Definizione 2.7.1, per calcolare il limite lim [ f ( x )] g(x) , si proce-
x → x0
de nel seguente modo:
• si determina separatamente il limite dell’esponente, cioè lim g( x ) ln[ f ( x )] che è
x → x0
sempre una forma indeterminata [0 · ∞];
se lim g( x ) ln[ f ( x )] = l ∈ R
el
x → x0
lim [ f ( x )] g( x )
= lim e g( x ) ln[ f ( x )]
= + ∞ se lim g( x ) ln[ f ( x )] = +∞ .
x → x0 x → x0 x → x0
se lim g( x ) ln[ f ( x )] = −∞
0
x → x0
Quindi
(
g( x ) g( x ) ln[ f ( x )] +∞ se g( x ) ln[ f ( x )] → +∞
lim [ f ( x )] = lim e = .
x → x0 x → x0 0 se g( x ) ln[ f ( x )] → −∞
Dimostrazione.
Allora l ≤ m.
Dimostrazione.
lim h( x ) = lim ( f ( x ) − g( x )) = l − m.
x → x0 x → x0
Allora
lim g( x ) = l.
x → x0
lim g( x ) = l.
x → x0
lim f ( x ) = l
x → x0
m
0 0
∃ I ( x0 ) intorno di x0 : ∀ x ∈ ( A ∩ I ( x0 )) \ { x0 }si ha che | f ( x ) − l | < e.
lim h( x ) = l
x → x0
m
00 00
∃ I ( x0 ) intorno di x0 : ∀ x ∈ ( A ∩ I ( x0 )) \ { x0 }si ha che |h( x ) − l | < e.
l − e < f ( x ) ≤ g( x ) ≤ h( x ) < l + e,
Siano f : dom f → R e l ∈ R.
• Se x0 ∈ R un punto di accumulazione per dom f ∩] − ∞, x0 [, si dice che
f ha limite l per x che tende a x0 da sinistra se
si ha f ( x ) ∈ I (l ).
e si scrive
lim f ( x ) = l.
x → x0−
si ha f ( x ) ∈ I (l ).
e si scrive
lim f ( x ) = l.
x → x0+
Si ha
inf f = −∞ ⇔ ∀ h ∈ R ∃ x ∈ A+
x0 : f ( x ) < h.
A+
x0
f ( x ) ≤ f ( x ), ∀ x ∈ A+
x0 , x < x.
cioè
lim f ( x ) = −∞ = inf f .
x → x0+ A+
x0
∃ x ∈ A+
x0 : f ( x ) < λ + e.
f ( x ) ≤ f ( x ), ∀ x ∈ A+
x0 , x < x.
Quindi
f ( x ) < λ + e, ∀ x ∈ A, x0 < x < x.
Inoltre, visto che λ = inf f , per il Teorema di caratterizzazione dell’estremo
A+
x0
λ ≤ f ( x ), ∀ x ∈ A+
x0 .
λ − e < f ( x ), ∀ x ∈ A+
x0 .
cioè
lim f ( x ) = λ = inf f .
x → x0+ A+
x0
Allora
lim ( g ◦ f )( x ) = l.
x → x0
ln(sin x ) = ( g ◦ f )( x ).
Osserviamo che
lim f ( x ) = lim sin x = 0,
x → 0+ x → 0+
2.9 Successioni 93
2.9 Successioni
Anziché scrivere a(n) si è soliti scrivere an ; an si dice termine generale della succes-
sione ed n si dice indice della successione.
Nel seguito, per semplicità, assumeremo che A = N, quindi:
Sia ( an )n∈N una successione numerica reale. In analogia a quanto fatto con le funzioni reali
di una variabile reale, si dice che ( an )n∈N è
• crescente se per ogni n1 , n2 ∈ N, con n1 < n2 , si ha che an1 ≤ an2 ;
• decrescente se per ogni n1 , n2 ∈ N, con n1 < n2 , si ha che an1 ≥ an2 ;
• strettamente crescente se per ogni n1 , n2 ∈ N, con n1 < n2 , si ha che an1 < an2 ;
• strettamente decrescente se per ogni n1 , n2 ∈ N, con n1 < n2 , si ha che an1 > an2 .
Le suddette nozioni di monotonia e stretta monotonia, possono essere formulate
equivalentemente come segue. Si dice che ( an )n∈N è
• crescente se per ogni n ∈ N si ha che an ≤ an+1 ;
• decrescente se per ogni n ∈ N si ha che an ≥ an+1 ;
• strettamente crescente se per ogni n ∈ N si ha che an < an+1 ;
• strettamente decrescente se per ogni n ∈ N si ha che an > an+1 .
Infatti, se ( an )n∈N è crescente, allora per ogni n1 , n2 ∈ N, con n1 < n2 , si ha che an1 ≤ an2 . Da
ciò segue che, posto n1 = n e n2 = n + 1, si ha che an ≤ an+1 .
Viceversa, supponiamo che per ogni n ∈ N si abbia an ≤ an+1 e siano n1 , n2 ∈ N con n1 < n2 .
Allora esiste h ∈ N \ {0} tale che n2 = n1 + h. Quindi,
Nel primo caso si dice che la successione ( an )n∈N converge al numero l; nel secon-
do caso si dice che la successione ( an )n∈N diverge positivamente; nel terzo caso si dice
che la successione ( an )n∈N diverge negativamente.
Una successione ( an )n∈N non convergente e non divergente, né positivamente né
negativamente, si dice irregolare o oscillante. Valgono tutti i teoremi studiati per i limiti
di funzioni, con le dovute modifiche formali.
Inoltre, il Teorema di limitatezza locale viene sostituito dal seguente teorema di
limitatezza (totale).
Teorema 2.9.1 I Limitatezza delle successioni convergenti
Scelto e = 1,
∃n0 ∈ N : ∀n ∈ N, n ≥ n0 si ha | an − l | < 1.
Allora, per ogni n ≥ n0 si ha:
| an | = |( an − l ) + l | ≤ | an − l | + |l | < 1 + |l |.
2.9 Successioni 95
lim f ( x ) = l
x → x0
m
∀( xn )n∈N ⊆ A \ { x0 } : lim xn = x0 =⇒ lim f ( xn ) = l.
n→+∞ n→+∞
Inoltre, essendo sin( xn0 ) = 1 e sin( xn00 ) = 0 per ogni n ∈ N si deduce che
Pertanto, per il Teorema ponte si deduce che @ lim sin x (se per assurdo tale
x →+∞
limite esistesse e valesse l ∈ R, per il teorema ponte, posto f ( x ) = sin x, per
ogni ( xn )n∈N ⊆ R tale che lim xn = +∞ si dovrebbe avere lim f ( xn ) = l).
n→+∞ n→+∞
Sia ( an )n∈N una successione reale. Si dice che una successione (bn )n∈N è una
successione estratta (o sottosuccessione) di ( an )n∈N se
bn = a ϕ ( n ) ,
Usualmente una successione estratta da ( an )n∈N si scrive nella forma ( ank )k∈N (si
osservi che l’indice è k e non n) oppure nella forma ( akn )n∈N (si osservi che questa
volta l’indice è proprio n come nella successione di partenza).
Esempio 2.21. Sia ( an )n∈N una successione reale. Sono successioni estratte da
( an )n∈N le seguenti:
f n = aln n , gn = a15−n .
lim an = l ∈ R.
n→+∞
Allora, una qualsiasi successione estratta da ( an )n∈N , diciamo ( a ϕ(n) )n∈N con
ϕ : N → N successione strettamente crescente, tende pure ad l:
lim a ϕ(n) = l.
n→+∞
n ≥ n0 ⇒ ϕ ( n ) ≥ ϕ ( n0 ) ≥ n0 ,
In altre parole, se una successione ammette limite, ogni sua successione estratta
ammette il medesimo limite.
Dal punto di vista operativo è spesso utile ricorrere al seguente teorema:
2.9 Successioni 97
Teorema 2.9.4 I
Dimostrazione.
=⇒ Discende dal Teorema 2.9.3.
Allora, per ogni n pari maggiore o uguale di 2n1 si ha | an − l | < e e, per ogni
n dispari maggiore o uguale di 2n2 + 1 si ha | an − l | < e. Dunque, per ogni
n ≥ max{2n1 , 2n2 + 1} si ha | an − l | < e, da cui la tesi. Infatti:
quindi
lim a2n 6= lim a2n+1
n→+∞ n→+∞
lim an .
n→+∞
Inoltre, abbiamo visto che se una successione reale è convergente, allora è limitata
e abbiamo mostrato che non vale il viceversa. Cioè, esistono successioni reali che pure
essendo limitate, non sono convergenti (addirittura alcune non ammettono limite). Il
prossimo teorema garantisce però che è possibile estrarre da ogni successione reale
limitata una successione convergente.
Teorema 2.9.5 I Bolzano-Weierstrass
Sia ( an )n∈N una successione reale limitata. Allora esiste una successione
estratta da ( an )n∈N convergente.
CAPITOLO 3
I ( f ( x0 )) = Ie ( f ( x0 )) = ] f ( x0 ) − e, f ( x0 ) + e[, I ( x0 ) = Iδ ( x0 ) = ] x0 − δ, x0 + δ[,
f è continua in x0
m
∀e > 0 ∃δ > 0 : ∀ x ∈ dom f con | x − x0 | < δ si ha | f ( x ) − f ( x0 )| < e.
Inoltre:
• Si dice che f è continua se f è continua in ogni punto di dom f .
f è continua in x0 ⇐⇒ lim f ( x ) = f ( x0 );
x → x0
Dimostrazione.
1. Segue subito dalle definizioni. Si osservi che tale affermazione è vera solo
se x0 ∈ dom f è un punto di accumulazione per dom f . Infatti, in questo
caso è possibile parlare di limite per x che tende a x0 di f ( x ).
1. f ( x ) = c, c ∈ R;
2. f ( x ) = x n , n ∈ N;
3. f ( x ) = x q , q ∈ Q;
4. f ( x ) = x α , α ∈ R;
5. f ( x ) = loga x, a > 0, a 6= 1;
6. f ( x ) = a x , a > 0;
7. f ( x ) = sin x;
8. f ( x ) = cos x;
9. f ( x ) = tan x;
10. f ( x ) = arcsin x;
11. f ( x ) = arccos x;
12. f ( x ) = arctan x.
Esempio 3.1.
Fissiamo e > 0 qualunque. Dobbiamo far vedere che esiste δ > 0 che ve-
rifica quanto scritto sopra. Per far ciò, partiamo da ciò che deve accadere,
ovvero da | f ( x ) − f ( x0 )| < e. Si ha che
Pertanto,
| f ( x ) − f ( x0 )| < e ⇔ | a|| x − x0 | < e.
Se a = 0, allora quanto appena scritto è vero per ogni x ∈ R e quindi
qualsiasi δ > 0 va bene.
Se a 6= 0, allora si ottiene
e
| x − x0 | < .
| a|
e
Alla luce di ciò, posto δ = | a|
si ottiene che
cioè f è continua in x0 .
Fissiamo e > 0 qualunque. Dobbiamo far vedere che esiste δ > 0 che ve-
rifica quanto scritto sopra. Per far ciò, partiamo da ciò che deve accadere,
Pertanto,
| f ( x ) − f ( x0 )| < e ⇔ | x | − | x0 | < e.
• f + g e f g sono continue in x0 ;
1
• se f ( x0 ) 6= 0, allora f è continua in x0 ;
f
• se g( x0 ) 6= 0, allora g è continua in x0 .
g continua in f ( x0 )
m
∃ I ( f ( x0 )) intorno di f ( x0 ) : ∀y ∈ dom g, y ∈ I ( f ( x0 )) si ha g(y) ∈ I ( g( f ( x0 ))).
f continua in x0
m
∃ I ( x0 ) intorno di x0 : ∀ x ∈ dom f , x ∈ I ( x0 ) si ha f ( x ) ∈ I ( f ( x0 )).
Se una funzione f non è continua in un punto x0 del suo dominio, si dice che x0
è un punto di discontinuità per f o che f è discontinua in x0 .
La parola discontinuità induce (lecitamente!) subito a pensare alla negazione della
continuità ma spesso tale termine viene usato nel linguaggio dell’Analisi per aggre-
gare certi altri punti a quelli in cui una funzione f non è continua. In realtà, se x0 è
un punto di accumulazione per dom f e non appartiene a dom f , non si può parlare
di continuità di f in x0 (perciò neppure di non continuità), ma si può parlare di limite
per x → x0 . Dunque, riteniamo che la locuzione punto di discontinuità non sia adatta
per indicare punti di accumulazione per dom f , non appartenenti a dom f .
Per lo studio di una funzione è importante ricercarne il limite non solo nei punti
in cui essa non è continua, ma anche in quelli in cui non è definita (purché siano
punti di accumulazione per dom f ). Di qui l’esigenza di individuare in modo unico
gli uni e gli altri. Al fine di evitare equivoci con la negazione di continuità (ovvero,
discontinuità), è stata scelta la locuzione punto di singolarità.
lim f ( x ) = l ∈ R.
x → x0
Esempio 3.2.
Sia data la funzione f : R \ {0} → R definita dalla legge
(√
|x| » x se x > 0
f (x) = |x| = √ .
x − − x se x < 0
quindi
lim f ( x ) = 0.
x →0
lim f ( x ) = l1 ∈ R, lim f ( x ) = l2 ∈ R, l1 6 = l2
x → x0− x → x0+
S ( f , x 0 ) = | l2 − l1 | .
Esempi.
lim H ( x ) = 0, lim H ( x ) = 1.
x → 0− x → 0+
lim f ( x ) = ±∞.
x → 0±
• Teorema di Weierstrass.
Dimostrazione. Per fissare le idee, supponiamo che sia f ( a) < 0 < f (b). Altri-
menti, è sufficiente considerare la funzione − f che soddisfa ancora le ipotesi
del teorema e si annulla negli stessi punti di f .
Chiamiamo c0 il punto medio dell’intervallo [ a, b], c0 = a+2 b , e calcoliamo f (c0 ).
Si possono presentare tre casi:
Ne viene che 0 ≤ f (c) ≤ 0, cioè f (c) = 0. Pertanto, il limite comune alle suc-
cessioni ( an )n∈N\{0} e (bn )n∈N\{0} è un numero reale in cui f si annulla.
Infine, sia f strettamente monotona in [ a, b]. Proviamo innanzitutto che f è
iniettiva. Infatti, per fissare le idee, supponiamo che f sia monotona stretta-
mente crescente. Se x1 , x2 ∈ [ a, b] con x1 6= x2 , allora occorre mostrare che
f ( x1 ) 6= f ( x2 ). In effetti, se x1 < x2 si ha che f ( x1 ) < f ( x2 ) e se x1 > x2 si
ha che f ( x1 ) > f ( x2 ). In ogni caso f ( x1 ) 6= f ( x2 ). Dall’iniettività segue dun-
que che se c1 , c2 ∈] a, b[ sono tali che f (c1 ) = f (c2 ) = 0, allora necessariamente
dovrà aversi c1 = c2 , dunque f si annulla in uno ed un solo punto.
Osservazione. Per il Teorema dei carabinieri anche la successione dei punti medi
(cn )n∈N\{0} , costruita nel corso della dimostrazione, converge allo stesso limite di
( an )n∈N\{0} e (bn )n∈N\{0} ; pertanto i termini di tale successione possono essere usati
come valori approssimati dello zero di f . Inoltre, per esso abbiamo la seguente stima
dell’errore:
1 b−a
| c n − c | ≤ | bn − a n | = n + 1 .
2 2
Esempio 3.3. Consideriamo l’equazione x3 + x + 1 = 0.
Come applicazione del Teorema di esistenza degli zeri, verifichiamo soltanto
che l’equazione assegnata ammette almeno una soluzione nell’intervallo [−1, 0].
Ciò equivale a provare che esiste almeno uno zero della funzione f ( x ) = x3 +
x + 1 nell’intervallo [−1, 0]. In effetti, f è continua in [−1, 0] e, poiché f (−1) =
−1 e f (0) = 1, si ha f (−1) f (0) < 0. Dunque, per il Teorema di esistenza degli
zeri, esiste c ∈] − 1, 0[ tale che f (c) = 0, cioè c3 + c + 1 = 0, ovvero c è soluzione
dell’equazione assegnata.
f ( x ) < 0, ∀ x ∈ I ∩ I (α),
f ( x ) > 0, ∀ x ∈ I ∩ I ( β ).
Supponiamo adesso che f sia monotona. Dal Corollario 3.3.2 e dalla monotonia
di f seguono subito i seguenti corollari:
Corollario 3.3.3 I Secondo corollario del Teorema dei valori intermedi
lim xn = m = inf A.
n→+∞
lim xn = −∞ = inf A.
n→+∞
m = min f , M = max f .
[ a,b] [ a,b]
f ( xm ) = m = min f , f ( x M ) = M = max f .
[ a,b] [ a,b]
Dimostrazione. Proviamo che f ammette minimo (si ragiona in modo simile per
provare l’esistenza del massimo).
Per il Lemma 3.3.1 esiste una successione (yn )n∈N in f ([ a, b]) tale che
lim yn = inf f .
n→+∞ [ a,b]
lim f ( xn ) = inf f .
n→+∞ [ a,b]
lim f ( x ) = f ( x0 ).
x → x0
lim f ( xnk ) = f ( x0 ).
k→+∞
f ( x0 ) = inf f .
[ a,b]
f ( x0 ) = inf f = min f
[ a,b] [ a,b]
Dimostrazione.
⇐= Segue subito dalle definizioni di stretta monotonia e iniettività (si veda il
Teorema 2.2.1).
=⇒ Per assurdo, supponiamo che f non sia strettamente monotona. Essendo
f iniettiva, ciò implica che f non è monotona. Allora esistono x1 , x2 , x3 ∈ I, con
x1 < x2 < x3 tali che
f ( x1 ) < f ( x2 ) , f ( x2 ) > f ( x3 )
oppure
f ( x1 ) > f ( x2 ) , f ( x2 ) < f ( x3 ).
[ f ( x1 ), f ( x2 )], [ f ( x3 ), f ( x2 )] ⊆ im f .
c ∈] f ( x1 ), f ( x2 )[∩] f ( x3 ), f ( x2 )[.
f ( x00 ) = f ( x000 ) = c.
Assegnando ad n valori via via sempre più grandi, si trova che le prime cifre decimali
di e sono
e = 2.71828182845905...
Il numero e costituisce una tra le basi più usate per le funzioni esponenziali e lo-
garitmiche. La funzione esponenziale y = ex sarà talvolta indicata con la notazione
y = exp x. Il logaritmo in base e viene detto logaritmo naturale o neperiano e sarà
indifferentemente indicato nel seguito con il simbolo ln oppure log, in luogo di loge
(ricordiamo che il logaritmo in base 10, detto logaritmo decimale, viene indicato con il
simbolo Log o log10 ).
Proposizione 3.6.1
è strettamente crescente.
Dimostrazione.
Per n = 1 si ottiene a1 = 2 e per n = 2 si ottiene a2 = 2.25.
Per n ≥ 2 si ha
n
1 + n1 n + 1 n n − 1 n −1
an
= n −1 =
a n −1 1 + n− 1 n n
1
2 n
n +1 n n −1 n n −1 n
1 − n12
n n n2
= n −1
= = .
n 1 − n1 1 − n1
quindi
an
> 1,
a n −1
ovvero ( an )n∈N\{0} è strettamente crescente.
Proposizione 3.6.2
è limitata.
Dimostrazione.
Si consideri la successione (bn )n∈N\{0} di termine generale
n +1
1 1
bn = 1+ = an 1+ > an . (3.1)
n n
1 n +1 1
bn 1+ n 1+ n
= 1
n = n
n n
n
bn − 1 1 + n− n +1 n −1
1
1 + n1 1 + n1 1+ 1
n
= n = n = n .
n2 n2 −1+1 1
2
n −1 n2 −1
1+ n2 −1
quindi
bn
< 1,
bn − 1
ovvero (bn )n∈N\{0} è decrescente. Allora, per (3.1), riesce
0 < an < bn ≤ b1 = 4
ossia
sin x
1> > cos x.
x
Ora, visto che
lim cos x = 1, lim 1 = 1,
x → 0+ x → 0+
sin x
lim = 1.
x → 0+ x
quindi
sin x
lim = 1.
x → 0− x
Pertanto, visto che i due limiti laterali esistono e sono uguali, concludiamo che
sin x
lim = 1.
x →0 x
π 180
x= α, α= x,
180 π
da cui, tenendo presente che sin x = sin α, si ottiene
sin α π sin x π
lim = lim = .
α →0 α x →0 180x 180
Poiché, dunque,
sin x
lim =1
x →0 x
solo se l’angolo è misurato in radianti, mentre, negli negli altri casi, appare un coef-
π
ficiente numerico (precisamente, abbiamo appena visto che compare 180 se la misura
è in gradi), il radiante si presenta come l’unita di misura naturale degli angoli, nello
stesso senso in cui il numero di Nepero si presenta come la base dell’esponenziale e
del logaritmo.
sin x
3.7.1 Alcuni limiti notevoli dedotti da lim =1
x→0 x
tan x
Esempio 3.4. lim = 1 Infatti:
x →0 x
tan x sin x 1
lim = lim · = 1 · 1 = 1.
x →0 x x →0 x cos x
1 − cos x
Esempio 3.5. lim =0
x →0 x
Infatti:
1 − cos x (1 − cos x )(1 + cos x ) 1 − cos2 x
lim = lim = lim
x →0 x x →0 x (1 + cos x ) x →0 x (1 + cos x )
2
sin x sin x 1
= lim = lim · sin x ·
x →0 x (1 + cos x ) x →0 x 1 + cos x
1
= 1 · 0 · = 0.
2
1 − cos x 1
Esempio 3.6. lim 2
=
x →0 x 2
Infatti:
1 − cos x (1 − cos x )(1 + cos x ) 1 − cos2 x
lim = lim = lim
x →0 x2 x →0 x2 (1 + cos x ) x →0 x 2 (1 + cos x )
sin2 x
sin x sin x 1
= lim 2 = lim · ·
x →0 x (1 + cos x ) x →0 x x 1 + cos x
1 1
= 1·1· = .
2 2
x
1
3.7.2 Limiti dedotti da lim 1+ = e.
x→±∞ x
α x
Esempio 3.7. lim 1+ = eα , α ∈ R
x →±∞ x
Se α = 0 il limite è evidente. Sia α 6= 0. Distinguiamo due casi: α > 0 e α < 0.
In entrambi i casi si pone αx = t.
Se α > 0, allora se x → ±∞ si ha che t → ±∞ e
" x #α " #α
1 t
α x 1 α
lim 1 + = lim 1+ x = lim 1 + = eα .
x →±∞ x x →±∞ t→±∞ t
α
In particolare,
x mx
1 1 k
lim 1− = lim 1+ = ekm
x →±∞ x e x →±∞ x
1
Esempio 3.8. lim (1 + αx ) x = eα , α∈R
x →0
Se α = 0 il limite è evidente. Sia α 6= 0. Distinguiamo due casi: α > 0 e α < 0.
In entrambi i casi si pone αx = 1t .
Se α > 0, allora se x → 0± si ha che t → ±∞ e
tα " t #α
1 1 1
lim (1 + αx ) x = lim 1 + = lim 1 + = eα .
x → 0± t→±∞ t t→±∞ t
In particolare,
1 1 1
lim (1 + x ) x = e lim (1 − x ) x =
x →0 x →0 e
loga (1 + x ) 1
Esempio 3.9. lim = , a > 0, a 6= 1
x →0 x ln a
Il limite presenta la forma indeterminata [ 00 ]. Tenendo conto del limite
precedente, si ha:
loga (1 + x ) 1 1 1
lim = lim loga (1 + x ) = lim loga (1 + x ) x = loga e = .
x →0 x x →0 x x →0 ln a
In particolare,
ln(1 + x )
lim =1
x →0 x
ax − 1
Esempio 3.10. lim = ln a, a > 0
x →0 x
Il limite presenta la forma indeterminata [ 00 ]. Se a = 1 il limite è evidente. Sia,
allora, a 6= 1. Posto a x − 1 = t, si ha a x = t + 1 da cui risulta ln a x = ln(1 + t),
ln(1+t)
ossia x = ln a . Inoltre, se x → 0, allora dalla sostituzione effettuata si ricava
che t → 0. Pertanto, tenendo conto del limite precedente, si ha:
ax − 1 t 1
lim = lim · ln a = lim ln(1+t)
· ln a = 1 · ln a = ln a.
x →0 x t→0 ln(1 + t ) t →0
t
In particolare,
ex − 1
lim =1
x →0 x
(1 + x ) k − 1
Esempio 3.11. lim = k, k ∈ R
x →0 x
Il limite presenta la forma indeterminata [ 00 ]. Se k = 0, il limite è evidente. Sia,
allora, k 6= 0. Tenendo conto dei due limiti precedenti, si ha:
k
(1 + x ) k − 1 eln(1+ x) − 1 ek ln(1+ x) − 1
lim = lim = lim
x →0 x x →0 x x →0 x
e k ln ( 1 + x ) −1 ln(1 + x )
= lim ·k· = ln e · k · 1 = k.
x →0 k ln(1 + x ) x
ek ln(1+ x) − 1 et − 1
lim = lim = 1.
x →0 k ln(1 + x ) t →0 t
(1 + x ) k − 1
lim = 1.
x →0 kx
c
Scrivendo ora x 2 in luogo di x nella disuguaglianza ln x < x, si ha:
c c c c 2 c
ln x 2 < x 2 ⇒ ln x < x 2 ⇒ ln x < x2,
2 c
e quindi, dividendo ambo i membri per x c , per ogni x > 1, si ha
ln x 2 c
0< c
< x− 2 .
x c
Essendo
2 −c
lim x 2 = 0,
x →+∞ c
ln x
lim = 0.
x →+∞ x c
ex
Esempio 3.15. lim = +∞, c∈R
x →+∞ x c
c
Infatti, scrivendo x c = eln x = ec ln x , e tenendo presente l’Esempio 3.14, si ha:
ex ex ex
lim = lim c = lim = lim ex−c ln x
x →+∞ x c x →+∞ eln x x →+∞ ec ln x x →+∞
ex
e, poiché lim ( x − c ln x ) = +∞, segue che lim = +∞.
x →+∞ x →+∞ x c
1
lim x c e− x = lim x = 0.
x →+∞ x →+∞ e c
x
f (x)
lim = 0.
x → x0 g( x )
Esempio 3.17.
• x2 = o ( x ) per x → 0. Infatti:
x2
lim = lim x = 0.
x →0 x x →0
x 1
lim 2
= lim = 0.
x →+∞ x x →+∞ x
√
• sin x = o ( x ) per x → 0+ e x → +∞. Infatti
• x2 − 3x + 2 = o ( x − 3) per x → 2. Infatti:
x2 − 3x + 2
lim = 0.
x →2 x−3
Osservazioni.
f (x) f ( x ) g( x ) f ( x ) g( x )
lim = lim · = lim · = 0 · 0 = 0.
x → x0 h( x ) x → x0 h ( x ) g ( x ) x → x0 g ( x ) h ( x )
f = o ( g), h = o ( g) ; f = h.
Infatti, x2 = o ( x ) e x3 = o ( x ) per x → 0, ma x2 6= x3 .
f (x)
3. f = o ( g) per x → x0 ⇐⇒ limx→ x0 g( x )
= 0. Quindi
f (x) o ( g( x ))
lim = lim = 0.
x → x0 g( x ) x → x0 g ( x )
Ne segue che
o ( g( x ))
lim =0
x → x0 g( x )
f (x)
4. f = o (1) per x → x0 ⇐⇒ lim = 0, cioè lim f ( x ) = 0. Quindi f è un
x → x0 1 x → x0
infinitesimo in x0 . Pertanto
Ne viene che
1 = o ( f ) per x → x0 ⇐⇒ f è un infinito in x0
5. Si ha che
lim f ( x ) = l ∈ R ⇐⇒ f ( x ) = l + o (1) , x → x0 .
x → x0
f ( x ) → l ∈ R ⇐⇒ ( f ( x ) − l ) → 0 ⇐⇒ f ( x ) − l = o (1) ⇐⇒ f ( x ) = l + o (1).
o ( f ( x ))
lim o ( f ( x )) = lim f ( x ) = 0,
x → x0 x → x0 f (x)
ko ( f ) = o (k f ) = o ( f ) per x → x0
ko ( f ( x )) o ( f ( x ))
lim = lim = 0.
x → x0 k f (x) x → x0 f (x)
o (k f ( x )) o (k f ( x ))
lim = lim k = 0.
x → x0 f (x) x → x 0 k f (x)
−o ( f ) = +o ( f ) = o ( f ) per x → x0
Inoltre
o (k ) = o (1) per x → x0 , per ogni k ∈ R, k 6= 0
f 1 = o ( f ), x → x0 , g1 = o ( g ) , x → x0 .
Allora
f (x) + f1 (x) f (x)
lim = lim .
x → x0 g ( x ) + g1 ( x ) x → x0 g ( x )
Dimostrazione. Si ha che
f1 (x)
f (x) + f1 (x) f ( x ) 1+ f (x)
lim = lim .
x → x 0 g ( x ) + g1 ( x ) x → x0 g1 ( x )
g( x ) 1 + g( x )
f1 (x) g1 ( x )
lim = 0, lim = 0.
x → x0 f (x) x → x0 g( x )
f (x)
Se esiste il limite lim = l ∈ R, allora per l’algebra dei limiti si ha che
x → x0 g ( x )
f1 (x)
f (x) + f1 (x) f ( x ) 1 + f (x) f (x)
lim = lim = l · 1 = l = lim .
x → x 0 g ( x ) + g1 ( x ) x → x0 g1 ( x ) x → x0 g ( x )
g( x ) 1 + g( x )
f (x) + f1 (x)
lim = L ∈ R,
x → x0 g ( x ) + g1 ( x )
poiché
g1 ( x )
f (x) f (x) + f1 (x) 1 + g( x )
= f1 (x)
,
g( x ) g ( x ) + g1 ( x ) 1 +
f (x)
f ( x ) + o ( f ( x )) = f ( x ), x → x0
lim f ( x ) + o ( f ( x )) = lim f ( x )
x → x0 x → x0
x2 + sin x
lim .
x →0 x2 − sin x
x2 x
lim = lim x = 0.
x →0 sin x x →0 sin x
f (x)
lim = 1.
x → x0 g( x )
Esempi.
sin x
lim = 1.
x →0 x
1 − cos x 1 − cos x 1
lim 1 2
= lim 2 · 2
= 2 · = 1.
x →0
2x
x → 0 x 2
g( x ) 1
lim = lim f (x) = 1.
x → x0 f (x) x → x 0
g( x )
f (x) f ( x ) g( x ) f ( x ) g( x )
lim = lim · = lim · = 1 · 1 = 1.
x → x0 h( x ) x → x 0 h( x ) g( x ) x → x 0 g( x ) h( x )
g( x ) f (x) l
lim g( x ) = lim f ( x ) = lim f (x) = = l.
x → x0 x → x0 f (x) x → x0 1
g( x )
f ( x ) − g( x )
f (x)
lim = lim − 1 = 0,
x → x0 g( x ) x → x0 g( x )
cioè f − g = o ( g) per x → x0 .
Viceversa, se f = g + o ( g) per x → x0 , cioè f − g = o ( g ) per x → x0 , proviamo che
f (x) f (x)
f ∼ g per x → x0 , cioè che lim = 1, ossia che lim − 1 = 0. Infatti,
x → x0 g ( x ) x → x0 g( x )
f ( x ) − g( x )
f (x)
lim − 1 = lim = 0.
x → x0 g( x ) x → x0 g( x )
Esempi.
1
cos x = 1 − x2 + o ( x2 ) per x → 0
2
Infatti, per x → 0 si ha
1 2 1 2 1 2
1 − cos x ∼ x ⇐⇒ 1 − cos x = x +o x
2 2 2
1 2 1
1 − cos x = x + o ( x2 ) ⇐⇒ cos x = 1 − x2 + o ( x2 ).
2 2
sin x
• lim =1 =⇒ sin x = x + o ( x ), x→0
x →0 x
1 − cos x 1 1 2
• lim = =⇒ 1 − cos x = x + o ( x2 ), x→0
x →0 x2 2 2
loga (1 + x ) 1 1
• lim = =⇒ loga (1 + x ) = x + o ( x ), x→0
x →0 x ln a ln a
ln(1 + x )
• lim =1 =⇒ ln(1 + x ) = x + o ( x ), x→0
x →0 x
ax − 1
• lim = ln a =⇒ a x = 1 + x ln a + o ( x ), x → 0 , per ogni a > 0
x →0 x
ex − 1
• lim =1 =⇒ ex = 1 + x + o ( x ), x→0
x →0 x
(1 + x ) k − 1
• lim =k =⇒ (1 + x )k = 1 + kx + o ( x ), x → 0 , per ogni k ∈ R
x →0 x
ln x
• lim =0 =⇒ ln x = o ( x c ), x → +∞ , per ogni c > 0
x →+∞ x c
1. o ( f ) + o ( f ) = o ( f ), per x → x0 ;
2. o (o ( f )) = o ( f ), per x → x0 ;
3. o ( f + o ( f )) = o ( f ), per x → x0 ;
4. o ( f ) · o ( g) = o ( f g), per x → x0 ;
5. f · o ( g) = o ( f g), per x → x0 ;
7. ( f + o ( f )) p = f p + o ( f p ), per x → x0 ;
o( f ) f
8. g = o g , per x → x0 .
Esempi.
√
• f ( x ) = x è un infinito di ordine inferiore a g( x ) = x per x → +∞.
Infatti, f = o ( g) per x → +∞, essendo
f (x) 1
lim = lim √ = 0.
x →+∞ g( x ) x →+∞ x
f (x) √
lim = lim+ x = 0.
x → 0+ g( x ) x →0
f (x) sin x
lim = lim = 1.
x →0 g( x ) x →0 x
Esempi.
√
• f ( x ) = x è un infinitesimo di ordine superiore a g( x ) = x per x → 0+ .
Infatti, f = o ( g) per x → 0+ , essendo
f (x) √
lim = lim+ x = 0.
x → 0+ g( x ) x →0
f (x) 1
lim = lim √ = 0.
x →+∞ g( x ) x →+∞ x
f (x) x
lim = lim = 1.
x →0 g( x ) x →0 sin x
Sin qui abbiamo introdotto una terminologia per confrontare tra loro gli infiniti
e gli infinitesimi. Poiché la casistica è estremamente vasta, per poter confrontare
in modo rapido gli infiniti o gli infinitesimi è necessario avere a disposizione delle
funzioni che svolgano il ruolo di "sistema di riferimento" con cui confrontare gli
infiniti e gli infinitesimi. Queste funzioni sono gli infiniti e gli infinitesimi campione.
Poiché le funzioni più "semplici" sono quelle razionali, gli infiniti e gli infinitesimi
campione sono proprio funzioni razionali.
1
Se x0 ∈ R, allora l’infinito campione è la funzione u( x ) = .
| x − x0 |
Se x0 = ±∞, allora l’infinito campione è la funzione u( x ) = | x |.
Se x0 ∈ R, allora l’infinitesimo campione è la funzione u( x ) = | x − x0 |.
1
Se x0 = ±∞, allora l’infinitesimo campione è la funzione u( x ) = .
|x|
f (x)
lim = l ∈ R, l 6= 0,
x → x0 [u( x )]α
o, equivalentemente, se
f ( x ) ∼ l [u( x )]α , x → x0 , l ∈ R, l 6= 0,
ovvero se
In tal caso, si dice che l [u( x )]α è la parte principale dell’infinito (risp. infinitesimo)
f rispetto all’infinito (risp. infinitesimo) campione u per x → x0 .
ex − cos x − 2 sin x
lim f ( x ) = lim = 0.
x →0 x →0 1+x
L’infinitesimo campione è u( x ) = | x |. Proviamo a scrivere
ossia
f ( x ) = l | x |α + o (| x |α ), x → 0, l ∈ R, l 6= 0.
Per x → 0 si ha:
ex − cos x − 2 sin x
f (x) = = (ex − cos x − 2 sin x )(1 + x )−1
1 + x
1 2 2
= (1 + x + o ( x )) − 1 − x + o ( x ) − 2( x + o ( x )) (1 − x + o ( x ))
2
1 2 2
= − x + o ( x ) + x + o ( x ) (1 − x + o ( x ))
2
= (− x + o ( x ))(1 + o (1)) = − x + o ( x ), x → 0.
f (x)
lim = l ∈ R \ {0}.
x → x0 g( x )
f (x)
lim = l ∈ R.
x → x0 g( x )
Osserviamo che:
• è possibile dare una definizione di f = O( g) per x → x0 più generale di quella fornita (senza
richiedere l’esistenza del limite in questione). Precisamente, con il simbolo f = O( g) per x → x0 ,
si intende che esiste una costante M > 0 ed esiste un opportuno intorno I ( x0 ) di x0 tale che
| f ( x )| ≤ M| g( x )| per ogni x ∈ ( A ∩ I ( x0 )) \ { x0 };
• il simbolo di O-grande è largamente usato nella teoria della complessità computazionale e per
questo motivo spesso si usa con le successioni.
Siano ( an )n∈N e (bn )n∈N due successioni numeriche reali. Si dice che ( an )n∈N è controllata da
(bn )n∈N se esiste un numero reale M > 0 tale che
∃n0 ∈ N : ∀n ∈ N, n ≥ n0 si ha | a n | ≤ M | bn | .
Proposizione 3.9.1
Siano ( an )n∈N e (bn )n∈N due successioni numeriche reali e si supponga che esista n0 ∈ N tale
che bn 6= 0 per ogni n ≥ n0 . Allora:
an
1. an = O(bn ) per n → +∞ ⇐⇒ la successione bn è limitata;
n ≥ n0
an
2. se la successione bn converge, allora an = O(bn ) per n → +∞.
n ≥ n0
Dimostrazione.
da cui la tesi.
an
2. Poiché la successione bn converge, essa è limitata (si veda il Teorema 2.9.1).
n ≥ n0
Dunque, per quanto dimostrato al punto precedente, an = O(bn ) per n → +∞.
Osserviamo che non è possibile invertire l’implicazione 2 della Proposizione 3.9.1. Infatti, se per ogni
n ∈ N, n ≥ 1, poniamo
an = n cos n, bn = n,
la successione bann = (cos n)n≥1 è chiaramente limitata ma non ammette limite. In questo senso, la
n ≥1
definizione di O-grande in cui si richiede espressamente l’esistenza del limite in questione (Definizione
3.9.5) è più restrittiva di quella in cui si richiede solo la disuguaglianza (Definizione 3.9.6).
3.10 Asintoti
Siano f : dom f → R e x0 ∈ R.
lim f ( x ) = ±∞,
x → 0±
Siano f : dom f → R.
Proposizione 3.10.1
2. lim f ( x ) − mx = q.
x →+∞
( x →−∞)
f ( x ) − mx − q
f (x) q
lim = lim −m− = 0.
x →+∞ x x →+∞ x x
q
Dal momento che lim = 0, segue che necessariamente deve aversi
x →+∞ x
f (x)
m = lim .
x →+∞ x
lim [ f ( x ) − mx ] = lim [( f ( x ) − mx − q) + q] = 0 + q = q.
x →+∞ x →+∞
cioè
f ( x ) − mx − q = o (1), x → +∞
ossia
f ( x ) = mx + q + o (1), x → +∞.
3x2 −1
Esempio 3.23. Sia data la funzione f ( x ) = 2x +5 . Si ha
lim f ( x ) = ±∞.
x →±∞
f (x) 3x2 − 1 3
m = lim = lim =
x →±∞ x x →±∞ 2x 2 + 5x 2
e
3x2 − 1 3 −15x − 2
15
q = lim − x = lim =− ,
x →±∞ 2x + 5 2 x →±∞ 2(2x + 5) 4
si conclude che la retta di equazione y = 32 x − 15
4 è asintoto obliquo per f .
Esempi.
| f ( x1 ) − f ( x2 )| = | x1 − x2 | < δ = e,
| g( x1 ) − g( x2 )| = || x1 | − | x2 || ≤ | x1 − x2 | < δ = e.
CAPITOLO 4
Calcolo differenziale
f ( x ) − f ( x0 )
lim .
x → x0 x − x0
In tal caso tale limite verrà indicato con uno dei simboli
df
f 0 ( x0 ) , D f ( x0 ) , ( x0 ) , f˙( x0 )
dx
e verrà chiamato derivata (prima) di f in x0 .
Il quoziente
f ( x ) − f ( x0 )
R f ,x0 ( x ) =
x − x0
si dice rapporto incrementale di f in x0 ed è definito in dom f \ { x0 }. Tale rapporto
rappresenta la variazione relativa di f rispetto a quella della variabile indipendente
x nel passare da x0 a x. Il limite di tale rapporto incrementale, se esiste in R, è la
derivata prima di f in x0 . Quindi rappresenta la variazione relativa di f rispetto a
quella della variabile indipendente x nel passare da x0 a x, quando x tende a x0 .
Se il limite è +∞ oppure −∞ o non esiste, allora f non è derivabile in x0 .
h = x − x0 −−−→ 0
f ( x ) − f ( x0 ) x → x0
f ( x0 + h ) − f ( x0 )
lim = lim .
x → x0 x − x0 h →0 h
Se A ⊆ dom f è non vuoto e aperto (dunque ogni punto di A è interno ad A), si
dice che f è derivabile in A se f è derivabile in ogni punto di A. In tal caso è definita
una funzione, detta funzione derivata (prima) di f è semplicemente derivata prima di f ,
df
denotata con f 0 (oppure D f , dx o f˙):
f 0 :A → R
x 7→ f 0 ( x )
1. Poiché la derivata è il limite del rapporto incrementale, quando esiste finito, ha senso
definirla solo quando si può calcolare il limite. Per questo motivo si è scelto di definirla
per i punti interni, che sono quindi di accumulazione. Ne segue che non ha senso
calcolare la derivata nei punti isolati. In particolare, non si può calcolare la derivata di
una successione in quanto i punti del dominio sono tutti isolati.
2. Alla luce della Definizione 4.1.1, al momento, possiamo parlare solo di funzione de-
rivabile in un insieme aperto (tipo ] − 3, 4[, ] − ∞, 1[∪]2, 5[). Più avanti introdurremo le
derivate laterali in modo da poter parlare di derivabilità in insiemi non necessariamente
aperti (ad esempio, [3, 5[, ] − 1, 4[) in cui, quindi, non tutti i punti sono interni.
~y y = f (x)
Ph
f ( x0 + h )
f ( x0 +h)− f ( x0 )
y = f ( x0 ) + h (x − x0 )
y = f ( x0 ) + f 0 ( x0 )( x − x0 )
P0
f ( x0 )
f
αh
α
O x0 x0 + h ~x
g
Il rapporto incrementale
f ( x0 + h ) − f ( x0 )
h
f ( x0 + h ) − f ( x0 )
lim = f 0 ( x0 ) ,
h →0 h
y = f ( x0 ) + f 0 ( x0 )( x − x0 ).
Consideriamo un punto materiale che si muove lungo una retta e sia f la funzione
che descrive lo spostamento s del punto sulla retta in funzione del tempo t. Quindi
si ha che s = f (t), cioè la variabile indipendente è il tempo t e quella dipendente è lo
spostamento s lungo la retta.
Se t0 e t sono due istanti di tempo, per esempio con t0 < t, allora la variazione
dello spostamento nell’intervallo di tempo [t0 , t] è f (t) − f (t0 ). La variazione relativa
dello spostamento rispetto a quella della variabile indipendente t nell’intervallo di
tempo [t0 , t] è il rapporto incrementale
f ( t ) − f ( t0 )
t − t0
cioè che
lim f ( x ) − f ( x0 ) = 0.
x → x0
Quindi f è continua in x0 .
derivabilità =⇒ continuità
f ( x ) − f (0) |x|
lim = lim ,
x →0 x−0 x →0 x
f ( x ) − f ( x0 ) = f 0 ( x0 )( x − x0 ) + o ( x − x0 ), x → x0 ,
f ( x ) = f ( x0 ) + f 0 ( x0 )( x − x0 ) + o ( x − x0 ), x → x0 .
2. f ( x ) = x, =⇒ f 0 ( x ) = 1, ∀ x ∈ R
f ( x0 + h ) − f ( x0 ) ( x0 + h ) − x0
lim = lim = lim 1 = 1,
h →0 h h →0 h h →0
3. f ( x ) = x n , n ∈ N , n ≥ 2 =⇒ f 0 ( x ) = nx n−1 , ∀ x ∈ R
Se x0 = 0, per ogni n ≥ 2 si ha
f ( x0 + h ) − f ( x0 ) hn
lim = lim = lim hn−1 = 0.
h →0 h h →0 h h →0
Se x0 6= 0, per ogni n ≥ 2 si ha
f ( x0 + h ) − f ( x0 ) ( x0 + h)n − x0n
lim = lim
h →0 h h →0 h
n
x0n 1 + xh0 − x0n
= lim
h →0 h
n
1 + xh0 − 1
= lim x0n−1 h
= nx0n−1 .
h →0
x0
5. f ( x ) = a x , a > 0 =⇒ f 0 ( x ) = a x ln a, ∀ x ∈ R
Infatti, se x0 ∈ R, si ha
f ( x0 + h ) − f ( x0 ) a x0 + h − a x0 ah − 1
lim = lim = lim a x0 = a x0 ln a.
h →0 h h →0 h h →0 h
In particolare, se a = e, allora f 0 ( x ) = ex .
Infatti, se x0 > 0, si ha
f ( x0 + h ) − f ( x0 ) loga ( x0 + h) − loga x0
lim = lim
h →0 h h →0 h
h i
loga x0 1 + xh0 − loga x0
= lim
h →0 h
loga x0 + loga 1 + xh0 − loga x0
= lim
h →0 h
h
1 loga 1 + x0 1
= lim h
= .
h →0 x 0 x0 ln a
x 0
7. f ( x ) = sin x =⇒ f 0 ( x ) = cos x, ∀ x ∈ R
Infatti, se x0 ∈ R, si ha
f ( x0 + h ) − f ( x0 ) sin( x0 + h) − sin x0
lim = lim
h →0 h h →0 h
sin x0 cos h + sin h cos x0 − sin x0
= lim
h →0 h
cos h − 1
sin h
= lim sin x0 + cos x0
h →0 h h
1 − cos h
sin h
= lim − sin x0 + cos x0 = cos x0 .
h →0 h h
Per l’arbitrarietà di x0 , segue la tesi.
8. f ( x ) = cos x =⇒ f 0 ( x ) = − sin x, ∀ x ∈ R
Si procede come nel caso precedente.
in x0 se esiste finito
f ( x ) − f ( x0 )
lim .
x → x0− x − x0
In tal caso questo limite si denota con f −0 ( x0 ) (oppure D − f ( x0 )) e lo si chiama
derivata sinistra di f in x0 .
Le derivate destra e sinistra sono anche dette derivate laterali.
Osservazioni.
1. Le derivate laterali, come la derivata, esistono solo se il limite (laterale) esiste
finito. In caso contrario (cioè se il limite non esiste oppure vale +∞ oppure
vale −∞), allora la derivata laterale non esiste. Dal punto di vista geometrico,
la derivata destra f +0 ( x0 ) (risp. sinistra f −0 ( x0 )) è il coefficiente angolare della
semiretta tangente nel punto ( x0 , f ( x0 )) alla porzione di grafico di f che si
sviluppa a destra (risp. sinistra) del punto ( x0 , f ( x0 )).
3. L’ipotesi che esista δ > 0 tale che [ x0 , x0 + δ[⊆ dom f (risp. ] x0 − δ, x0 ] ⊆ dom f ),
ci assicura che il punto x0 non sia un punto isolato per dom f .
2. Sia (
− x se x < 0
f (x) = √ .
x se x ≥ 0
Il punto x0 = 0 è angoloso per f . Infatti, f è continua in 0, f −0 (0) = −1 e
√
f ( x ) − f (0) x 1
lim = lim+ = lim+ √ = +∞.
x →0 + x x →0 x x →0 x
f ( x ) − f ( x0 )
lim .
x → x0± x − x0
in x0 = 0. Infatti:
f ( x ) − f (0) x|x|
lim = lim = lim | x | = 0 =⇒ f 0 (0) = 0,
x →0 x x →0 x x →0
√
g ( x ) − g (0) 3
x x √
lim = lim = lim 3 x = 0 =⇒ g0 (0) = 0.
x →0 x x →0 x x →0
La presenza di un valore assoluto o di una radice deve farci pensare che potrebbe
esserci un punto di non derivabilità. Questo punto candidato ad essere punto di non
derivabilità è un punto che annulla l’argomento del valore assoluto o il radicando.
x 2 + sin 1x
f ( x ) − f (0)
1
lim = lim± = lim± 2 + sin @.
x → 0± x−0 x →0 x x →0 x
Siano f : dom f → R una funzione e x0 ∈ dom f un punto interno a dom f . Si dice che f
è differenziabile in x0 se f è derivabile in x0 e in tal caso chiamiamo differenziale di f in x0 la
funzione lineare d f ( x0 ) : R → R definita da
d f ( x0 )( x ) = f 0 ( x0 ) x.
Quindi il differenziale di f in x0 è una funzione il cui grafico è una retta passante per l’origine e di
coefficiente angolare f 0 ( x0 ).
Alcuni autori indicano il differenziale di f in x0 con d x0 f . In ogni caso, comunque lo si denoti, è
una funzione.
Posto dx : R → R la funzione lineare identica, cioè la funzione tale che dx (h) = h per ogni h ∈ R,
ossia tale che dx ( x ) = x per ogni x ∈ R, allora il differenziale di f in x0 diventa
d f ( x0 ) = f 0 ( x0 )dx.
Esempio 4.3.
• f ( x ) = x2 =⇒ d f ( x ) = f 0 ( x )dx = 2xdx.
• f ( x ) = sin x =⇒ d f ( x ) = f 0 ( x )dx = cos xdx.
• f ( x ) = ex =⇒ d f ( x ) = f 0 ( x )dx = ex dx.
• f ( x ) = ln x =⇒ d f ( x ) = f 0 ( x )dx = 1x dx.
1. f + g è derivabile in x0 e si ha che
( f + g ) 0 ( x0 ) = f 0 ( x0 ) + g 0 ( x0 );
2. f g è derivabile in x0 e si ha che
( f g ) 0 ( x0 ) = f 0 ( x0 ) g ( x0 ) + f ( x0 ) g 0 ( x0 );
1
3. se f ( x0 ) 6= 0, allora f è derivabile in x0 e si ha che
0
1 f 0 ( x0 )
( x0 ) = − ;
f [ f ( x0 )]2
f
4. se g( x0 ) 6= 0, allora g è derivabile in x0 e si ha che
0
f f 0 ( x0 ) g ( x0 ) − f ( x0 ) g 0 ( x0 )
( x0 ) = .
g [ g( x0 )]2
f ( x ) − f ( x0 ) g ( x ) − g ( x0 )
lim = f 0 ( x0 ) ∈ R, lim = g0 ( x0 ) ∈ R.
x → x0 x − x0 x → x0 x − x0
1. Si ha:
( f + g)( x ) − ( f + g)( x0 ) f ( x ) + g ( x ) − f ( x0 ) + g ( x0 )
lim = lim
x → x0 x − x0 x → x0 x − x0
f ( x ) − f ( x0 ) + g ( x ) − g ( x0 )
= lim
x → x0 x − x0
f ( x ) − f ( x0 ) g ( x ) − g ( x0 )
= lim +
x → x0 x − x0 x − x0
f ( x ) − f ( x0 ) g ( x ) − g ( x0 )
= lim + lim
x → x0 x − x0 x → x0 x − x0
= f 0 ( x0 ) + g 0 ( x0 ).
Quindi f + g è derivabile in x0 e si ha
( f + g ) 0 ( x0 ) = f 0 ( x0 ) + g 0 ( x0 ).
lim g( x ) = g( x0 ).
x → x0
Quindi f g è derivabile in x0 e si ha
( f g ) 0 ( x0 ) = f 0 ( x0 ) g ( x0 ) + f ( x0 ) g 0 ( x0 ).
lim f ( x ) = f ( x0 ).
x → x0
Inoltre, visto che per ipotesi f ( x0 ) 6= 0, dal Teorema della permanenza del
segno segue che esiste un opportuno intorno I ( x0 ) di x0 tale che f ( x ) 6= 0
f (x) 1
= f (x) · , ∀ x ∈ A ∩ I ( x0 )
g( x ) g( x )
e si ottiene
0
1 0
f
( x0 ) = f· ( x0 ) =
g g
1 g 0 ( x0 )
= f 0 ( x0 ) − f ( x0 )
g ( x0 ) [ g( x0 )]2
f 0 ( x0 ) g ( x0 ) − f ( x0 ) g 0 ( x0 )
= .
[ g( x0 )]2
D (λ f )( x0 ) = Dλ( x0 ) · f ( x0 ) + λ · D f ( x0 ) = λ f 0 ( x0 ).
| {z }
=0
Quindi, l’operatore di derivata, cioè la funzione D : Fd → F , definito sull’insieme delle funzioni derivabili
Fd e a valori in quello delle funzioni F , è lineare dal momento che
Esempi.
Ad esempio,
sin x
3. La derivata di f ( x ) = tan x = cos x è per ogni x ∈ dom f
x −1
4. La derivata di f ( x ) = x +1 è
x + 1 − ( x − 1) 2
f 0 (x) = 2
= , ∀ x 6= −1.
( x + 1) ( x + 1)2
( g ◦ f )0 ( x0 ) = g0 ( f ( x0 )) f 0 ( x0 ).
x → x0 . Preso y = f ( x ), si ha che
g( f ( x )) − g( f ( x0 )) = g0 ( f ( x0 ))( f ( x ) − f ( x0 )) + o ( f ( x ) − f ( x0 )), x → x0 .
( g ◦ f )( x ) − ( g ◦ f )( x0 ) g( f ( x )) − g( f ( x0 ))
lim = lim
x → x0 x − x0 x → x0 x − x0
f ( x ) − f ( x0 ) o ( f ( x ) − f ( x0 ))
= lim g0 ( f ( x0 )) +
x → x0 x − x0 x − x0
f ( x ) − f ( x0 ) f ( x ) − f ( x0 )
0
= lim g ( f ( x0 )) +o
x → x0 x − x0 x − x0
f ( x ) − f ( x0 )
= lim g0 ( f ( x0 )) = g0 ( f ( x0 )) f 0 ( x0 ).
x → x0 x − x0
Quindi g ◦ f è derivabile in x0 e si ha
( g ◦ f )0 ( x0 ) = g0 ( f ( x0 )) f 0 ( x0 ).
o( f ) f
Nel corso della dimostrazione è stata usata l’uguaglianza g = o ( g ), x → x0 . Essa sussiste
dal momento che
o( f )
g o( f )
lim f
= lim = 0.
x → x0 x → x0 f
g
sin (·)2
x −→ sin x −−→ (sin x )2 = sin2 x.
Quindi,
(·)2 sin
x −−→ x2 −→ sin x2 .
Quindi,
x |x|
f 0 ( x ) = sgn x = =
|x| x
mentre non è derivabile in 0.
Infatti, se x0 > 0, allora
f ( x ) − f ( x0 ) | x | − | x0 |
lim = lim =
x → x0 x − x0 x → x0 x − x0
poiché x0 > 0 e x → x0 , per il Teorema della permanenza del segno, definitivamente, si ha x > 0
e quindi si ottiene
x − x0
= lim = 1.
x → x0 x − x0
Quindi f 0 ( x0 ) = 1.
Se x0 < 0, allora
f ( x ) − f ( x0 ) | x | − | x0 |
lim = lim =
x → x0 x − x0 x → x0 x − x0
poiché x0 < 0 e x → x0 , per il Teorema della permanenza del segno, definitivamente, si ha x < 0
e quindi si ottiene
− x + x0 −( x − x0 )
= lim = lim = −1.
x → x0 x − x0 x → x0 x − x0
Quindi f 0 ( x0 ) = −1. Pertanto, per ogni x 6= 0, risulta
(
0 −1 se x < 0 x |x|
f (x) = = sgn x = = .
1 se x > 0 |x| x
Osserviamo che
|x| x |x| −x
lim = lim+ = 1, = lim+
lim = −1.
x → 0+ x x →0 x x x → 0−
x →0 x
f ( x ) − f (0)
Poiché i limiti laterali sono diversi, ne segue che non esiste lim , cioè non esiste la
x →0 x
derivata di f in 0.
• g( x ) = sgn x è derivabile per ogni x ∈ R, con x 6= 0, e si ha
g0 ( x ) = 0
mentre non è derivabile in 0.
Infatti, se x0 6= 0, allora
g ( x ) − g ( x0 ) sgn x − sgn x0
lim = lim .
x → x0 x − x0 x → x0 x − x0
Se x0 > 0 e x → x0 , per il Teorema della permanenza del segno, definitivamente, si ha x > 0 e
quindi si ottiene sgn x = sgn x0 = 1, da cui
sgn x − sgn x0
lim = 0.
x → x0 x − x0
Quindi f 0 ( x0 ) = 0.
Se x0 < 0 e x → x0 , per il Teorema della permanenza del segno, definitivamente, si ha x < 0 e
quindi si ottiene sgn x = sgn x0 = −1, da cui
sgn x − sgn x0
lim = 0.
x → x0 x − x0
Quindi f 0 ( x0 ) = 0.
Pertanto, per ogni x 6= 0, si ha
g0 ( x ) = 0.
Consideriamo ora x0 = 0. Allora:
g ( x ) − g (0) sgn x
lim = lim .
x →0 x x →0 x
Osservato che
sgn x 1 sgn x −1
lim = lim+ = +∞, lim = lim− = +∞.
x → 0+ x x →0 x x → 0− x x →0 x
Quindi
g ( x ) − g (0)
lim = +∞
x →0 x
e, secondo definizione, g non è derivabile in 0 (allo stesso risultato si poteva giungere osservando,
più semplicemente, che la funzione g non è continua in 0 e dunque non può essere ivi derivabile).
Esempi.
g |·| ln
x−→ g( x ) −
→ | g( x )| −
→ ln | g( x )|.
| {z }
|·|◦ g
1
= ( D | · |)( g( x )) g0 ( x )
| g( x )| | {z }
= | gg((xx))|
1 | g( x )| 0 g0 ( x )
= g (x) = .
| g( x )| g( x ) g( x )
Quindi
g0 ( x )
D [ln | g( x )|] = .
g( x )
In particolare, D [ln | x |] = 1x .
g0 ( x )
0 h( x ) 0
f ( x ) = [ g( x )] h ( x ) ln g( x ) + h( x ) .
g( x )
Quindi:
f 0 ( x ) = D eh(x) ln g(x)
g0 ( x )
h( x ) ln g( x ) 0
= e h ( x ) ln g( x ) + h( x )
g( x )
g0 ( x )
h( x ) 0
= [ g( x )] h ( x ) ln g( x ) + h( x ) .
g( x )
• Sia f ( x ) = x x = ex ln x . Si ha:
1 x 1
= ex ln(1+ x ) . Si ha:
• Sia f ( x ) = 1 + x
1
f 0 ( x ) = D ex ln(1+ x )
x ln(1+ 1x ) 1 1
= e ln 1 + −
x 1+x
x
1 1 1
= 1+ ln 1 + − .
x x 1+x
f −1 ( y ) − f −1 ( y 0 ) x − x0
lim = lim =
y → y0 y − y0 x → x0 f ( x ) − f ( x0 )
x = f −1 (y) −−−→ f −1 (y0 ) = x0
y → y0
1 1
= lim = .
x → x0 f ( x )− f ( x0 ) f 0 (x 0)
x − x0
Osservazione. La tesi del Teorema di derivazione delle funzioni inverse può essere
scritta anche in questo modo:
0 1
f −1 ( x ) =
f 0 ( f −1 ( x ))
1
f 0 (x) = .
( f −1 )0 ( f ( x ))
Nella dimostrazione del Teorema 4.7.1 si è affermato che y0 è interno a J. Ciò si può giustificare
rigorosamente come segue. La funzione f , per ipotesi, è derivabile (e quindi continua) e
invertibile (quindi biiettiva, ovvero iniettiva e suriettiva) su I. Dunque, in particolare, f è
continua e iniettiva e quindi strettamente monotona su I (per il Teorema 3.5.1). Per fissare
le idee, supponiamo che f sia strettamente crescente su I (discorsi analoghi valgono se f è
strettamente decrescente). Poiché x0 è interno ad I, a norma di definizione, esiste δ > 0 tale
che ] x0 − δ, x0 + δ[⊆ I. Allora, dal Teorema dei valori intermedi, segue che
f ] x0 − δ, x0 + δ[ = ] f ( x0 − δ), f ( x0 + δ)[⊆ J = f ( I ).
Esempi.
1 1 1
f 0 (x) = = = , ∀ x ∈ R.
( f −1 )0 ( f ( x )) 1 + tan2 (arctan x ) tan(arctan x)= x 1 + x2
1 1
f 0 (x) = = , ∀ x ∈] − 1, 1[.
( f −1 )0 ( f ( x )) cos(arcsin x )
Osserviamo che
i π πh
x ∈] − 1, 1[ =⇒ y = arcsin x ∈ − , =⇒ cos y ≥ 0
2 2
»
=⇒ cos y = 1 − sin2 y =⇒
» p
=⇒ cos(arcsin x ) = 1 − sin2 (arcsin x ) = 1 − x2 .
sin(arcsin x )= x
Quindi
1 1
f 0 (x) = =√ , ∀ x ∈] − 1, 1[.
cos(arcsin x ) 1 − x2
Consideriamo ora i punti x = ±1. Si ha che
f ( x ) − f (1) arcsin x − π
2
lim = lim− =
x → 1− x−1 x →1 x−1
y = arcsin x −
π
−−−−→ 0−
2 x →1−
y 1
= lim− = lim− cos y−1
= +∞.
y →0 cos y − 1 y →0
y
∃ δ > 0 : f ( x0 ) ≤ f ( x ) , ∀ x ∈ Iδ ( x0 ) ∩ dom f .
∃ δ > 0 : f ( x ) ≤ f ( x0 ) , ∀ x ∈ Iδ ( x0 ) ∩ dom f .
Osservazione. In molte circostanze, la Definizione 4.8.1 vale in senso forte e si parla di punto di minimo
(risp. massimo) locale forte. In tal caso, x0 è un punto di minimo locale forte per f se
Questa sfumatura, in molti casi, è praticamente irrilevante. Se, ad esempio, consideriamo il caso del
punto di minimo locale forte, la definizione data precisa solo che, escluso il punto x0 in cui f ( x ) assume
il valore f ( x0 ), in tutti gli altri punti in questione (cioè in Iδ ( x0 ) ∩ dom f \ { x0 }) si ha f ( x0 ) < f ( x ), cioè
f ( x ) non assume nuovamente il valore f ( x0 ) in Iδ ( x0 ) ∩ dom f \ { x0 }.
• f sia derivabile in x0 ;
f ( x ) − f ( x0 )
lim = f 0 ( x0 ) ∈ R.
x → x0 x − x0
f ( x ) − f ( x0 )
≥ 0, ∀ x ∈] x0 − δ, x0 [,
x − x0
f ( x ) − f ( x0 )
≤ 0, ∀ x ∈] x0 , x0 + δ[
x − x0
Poiché per ipotesi f è derivabile in x0 , esiste il limite del rapporto incrementale
di f in x0 e, per le proprietà dei limiti e dei limiti laterali, esistono e coincidono
con f 0 ( x0 ) anche i limiti laterali del rapporto incrementale di f in x0 . Per il
Corollario del Teorema della permanenza del segno, si ha:
f ( x ) − f ( x0 )
f 0 ( x0 ) = lim ≥ 0,
x → x0− x − x0
f ( x ) − f ( x0 )
f 0 ( x0 ) = lim ≤ 0.
x → x0+ x − x0
1. Dal Teorema di Fermat segue che i punti di minimo e di massimo vanno cercati
anche tra i punti stazionari ma ciò non significa che i punti stazionari sono
necessariamente di minimo o di massimo. Infatti, il punto x0 = 0 è stazionario
per la funzione f ( x ) = x3 , essendo f 0 ( x ) = 3x2 e quindi f 0 (0) = 0, ma non
è di estremo, dato che in ogni intorno ] − δ, δ[ di 0 esistono punti x tali che
f (− x ) < f (0) < f ( x ).
2. L’ipotesi che x0 sia interno non si può omettere. Infatti, se x0 non è interno
ed è un punto di estremo, allora non è detto che sia stazionario. Ad esempio,
consideriamo la funzione f : [0, 1] → R definita da f ( x ) = x. Allora x = 0
è un punto di minimo per f e x = 1 è un punto di massimo per f , essendo
f (0) = 0 ≤ f ( x ) ≤ 1 = f (1) per ogni x ∈ [0, 1]. Però f non ha punti stazionari
essendo f 0 ( x ) = 1 per ogni x ∈ [0, 1]. Osserviamo che 0 e 1 non sono interni a
dom f = [0, 1].
3. f ( a) = f (b).
f ( xm ) ≤ f ( x ) ≤ f ( x M ), ∀ x ∈ [ a, b].
f ( x ) = f ( xm ) = f ( x M ), ∀ x ∈ [ a, b] =⇒ f è costante su [ a, b].
Osservazione. Le ipotesi del Teorema di Rolle sono essenziali, cioè se una di queste
ipotesi non è verificata, allora è possibile fare un esempio in cui non vale la tesi.
• f non continua nell’intervallo chiuso e limitato.
La funzione f : [0, 1] → R definita da
(
x se 0 ≤ x < 1
f (x) =
0 se x = 1
f (b) − f ( a)
f 0 ( x0 ) = .
b−a
f (b) − f ( a)
g( x ) = f ( x ) − ( x − a ).
b−a
Sia ha che g è continua in [ a, b] perché composizione di funzioni continue in
g( a) = f ( a),
f (b) − f ( a)
g(b) = f (b) − (b − a) = f (b) − f (b) + f ( a) = f ( a),
b−a
cioè g( a) = g(b). Quindi g soddisfa le ipotesi del Teorema di Rolle. Ne segue
che, per il Teorema di Rolle, esiste x0 ∈] a, b[ tale che g0 ( x0 ) = 0, cioè
f (b) − f ( a) f (b) − f ( a)
f 0 ( x0 ) − =0 =⇒ f 0 ( x0 ) = ,
b−a b−a
da cui la tesi.
Osservazione. Il Teorema di Lagrange afferma che se f è continua nell’intervallo chiu-
so e limitato [ a, b] ed è derivabile nell’intervallo aperto ] a, b[, allora esiste almeno un
punto in questo intervallo in cui la derivata di f coincide con il valor medio di f in
[ a, b], che è proprio f (bb)−
−a
f ( a)
. Tale punto è detto punto di Lagrange. In termini geo-
metrici, ciò significa che esiste una retta tangente al grafico di f parallela alla retta
passante per i punti ( a, f ( a)) e (b, f (b)).
Dimostrazione.
=⇒ Banale. Se f è costante, allora essa è derivabile e la sua derivata è identi-
camente nulla.
⇐= Siano x1 , x2 ∈ I qualsiasi. Proviamo che f ( x1 ) = f ( x2 ). Per la seconda
f ( x1 ) − f ( x2 ) = f 0 (t)( x1 − x2 ) = 0.
| {z }
=0
f ( x ) − f ( x0 )
≥ 0, ∀ x ∈ I, x < x0 .
x − x0
Poiché f è derivabile in x0 , esiste il limite del rapporto incrementale di f
in x0 e, per le proprietà dei limiti e dei limiti laterali, esistono e coincidono
con f 0 ( x0 ) anche i limiti laterali del rapporto incrementale di f in x0 . Per il
Corollario del Teorema della permanenza del segno applicato al rapporto
incrementale di f in x0 , si ha che:
f ( x ) − f ( x0 )
f 0 ( x0 ) = lim ≥ 0.
x → x0− x − x0
f ( x ) − f ( x0 )
≥ 0, ∀ x ∈ I, x < x0 ,
x − x0
e quindi, per il Corollario del Teorema della permanenza del segno
applicato al rapporto incrementale di f in x0 , si ha che:
f ( x ) − f ( x0 )
f −0 ( x0 ) = lim ≥ 0,
x → x0− x − x0
da cui la tesi.
f ( x1 ) − f ( x2 ) = f 0 (t)( x1 − x2 ) ≤ 0.
Corollario 4.8.2
Dimostrazione.
f ( x ) − f ( a)
f 0 ( t1 ) = =⇒ f ( x ) − f ( a) = f 0 (t1 )( x − a) ≥ 0 =⇒ f ( a) ≤ f ( x ),
x−a
f (b) − f ( x )
f 0 ( t2 ) = =⇒ f (b) − f ( x ) = f 0 (t2 )(b − x ) ≥ 0 =⇒ f ( x ) ≤ f (b).
b−x
Quindi f è crescente in [ a, b].
Dimostrazione.
f ( x ) < f ( x0 ) , ∀ x ∈ I, x < x0 ,
f ( x ) < f ( x0 ) , ∀ x ∈ I, x > x0 .
Osservazioni.
• In riferimento al caso 1. (analogamente per il caso 2.), dalla dimostrazione si
evince che x0 è un punto di massimo locale forte giacché f ( x ) < f ( x0 ) per ogni
x ∈ I \ { x0 }.
• Se nei casi 3. e 4. si ha che f è derivabile in x0 con f 0 ( x0 ) = 0, cioè x0
è stazionario per f , allora si dice che x0 è un punto di flesso a tangente
orizzontale.
Se una funzione f presenta un estremo locale in un punto x0 , non è detto
che sia monotona alla sinistra e alla destra di tale punto. A tal proposito, con
un qualsiasi software si provi a tracciare il grafico della funzione f : R → R
definita dalla legge
(
x4 sin 1x + 2 se x 6= 0
f (x) =
0 se x = 0
Questi teoremi sono uno strumento molto potente per calcolare limiti che sono
∞
forme indeterminate del tipo [ 00 ] o [ ∞ ]. La dimostrazione è omessa.
1. lim f ( x ) = lim g( x ) = 0;
x → x0 x → x0
Osservazioni.
1
sin x = x − x3 + o ( x3 ), x → 0.
6
sin x − x + 16 x3
2. Calcolare lim .
x →0 x5
Il limite presenta la forma indeterminata [ 00 ]. Inoltre, sia il numeratore
che il denominatore sono funzioni derivabili. Poiché
D (sin x − x + 61 x3 ) cos x − 1 + 21 x2
lim = lim
x →0 D ( x5 ) x →0 5x4
cos x − 1 + 21 x2 1
lim 4
=
x →0 5x 120
e che
sin x − x + 61 x3 1
lim 5
= .
x →0 x 120
In particolare, si ha che
1 1 5
sin x = x − x3 + x + o ( x5 ), x → 0.
6 120
1. Se una delle ipotesi non è verificata, allora non possiamo concludere nulla.
Bisogna cambiare metodo. Il caso più comune è quello in cui non è verificata la
f 0 (x)
terza ipotesi, cioè che non esiste lim 0 . In tal caso è errato dire
x → x0 g ( x )
f 0 (x) f (x)
!! @ lim =⇒ @ lim . !!
x → x0 g0 ( x ) x → x0 g( x )
1. f sia continua in I;
2. f sia derivabile in I \ { x0 };
3. esista lim f 0 ( x ) = l ∈ R.
x → x0
f ( x ) − f ( x0 )
lim =l∈R
x → x0 x − x0
e dunque f è derivabile in x0 e si ha f 0 ( x0 ) = l.
Infine, da lim f 0 ( x ) = f 0 ( x0 ), segue la continuità di f 0 in x0 .
x → x0
Osservazioni.
1. Se non esiste lim f 0 ( x ), allora non possiamo concludere nulla sulla derivabi-
x → x0
lità di f in x0 . In tal caso bisogna ricorrere al calcolo del limite del rapporto
incrementale, senza utilizzare il Teorema di De L’Hôpital.
2. Si ha:
lim f 0 ( x ) = +∞ (oppure − ∞) =⇒ f non è derivabile in x0 .
x → x0
Infine,
x cos x − sin x
lim f 0 ( x ) = lim .
x →0 x →0 x2
Applicando il Teorema di De L’Hôpital si ottiene
quindi
lim f 0 ( x ) = 0
x →0
Osservazioni.
2. Il Teorema sul limite della derivata è solo una condizione sufficiente. Per far
vedere ciò, si consideri la funzione
(
x2 sin 1x se x 6= 0
f (x) = .
0 se x = 0
f ( x ) − f (0) x2 sin 1x 1
lim = lim = lim x sin = 0
x →0 x x →0 x x →0 x
e quindi f è derivabile in 0 e risulta f 0 (0) = 0. Evidentemente in questo caso f 0
non è continua in 0.
• se i limiti laterali lim f 0 ( x ) esistono finiti e diversi tra loro, oppure se uno è
x → x0±
finito e l’altro è infinito, allora x0 è un punto angoloso per f ;
• se i limiti laterali lim f 0 ( x ) esistono infiniti e diversi tra loro, allora x0 è una
x → x0±
cuspide per f ;
d2 f
f 00 ( x0 ), D 2 f ( x0 ) , ( x0 ) , f¨( x0 ).
dx2
Quindi
se esiste finito f 0 ( x ) − f 0 ( x0 )
f 00 ( x0 ) = ( f 0 )0 ( x0 ) = lim .
x → x0 x − x0
Osservazione.
Siano I ⊆ R un intervallo, n ∈ N ∪ {∞} e f , g ∈ C n ( I ). Allora f + g, f g ∈ C n ( I ).
Si vede facilmente che tutte le funzioni che sono composizione delle funzioni
elementari x α (α ∈ R), a x , loga x, sin x, cos x sono di classe C ∞ su ogni intervallo
contenuto nel loro dominio.
f ( x ) = f ( x0 ) + f 0 ( x0 )( x − x0 ) + o ( x − x0 ), x → x0 .
P1, f ( x ) = f ( x0 ) + f 0 ( x0 )( x − x0 ),
f ( x ) − P1, f ( x ) = f ( x ) − f ( x0 ) − f 0 ( x0 )( x − x0 ) = o ( x − x0 ), x → x0 ,
f ( x ) − P1, f ( x )
lim .
x → x0 ( x − x0 )2
Si ha che
f ( x ) − P1, f ( x ) f ( x ) − f ( x0 ) − f 0 ( x0 )( x − x0 )
lim 2
= lim .
x → x0 ( x − x0 ) x → x0 ( x − x0 )2
È una forma indeterminata [ 00 ]. A numeratore, f è derivabile in x0 e P1, f è un polino-
mio e dunque ammette derivate di ogni ordine; il denominatore è un polinomio di
secondo grado e quindi ammette derivate di ogni ordine. Senza altre informazioni o
ipotesi non possiamo calcolare questo limite.
Supponiamo quindi che f sia derivabile due volte in x0 . In particolare, è derivabile
in un intorno di x0 . Allora anche la seconda ipotesi del Teorema di De L’Hôpital nella
forma [ 00 ] è soddisfatta e si ha che
f ( x ) − P1, f ( x ) f ( x ) − f ( x0 ) − f 0 ( x0 )( x − x0 ) H
lim = lim =
x → x0 ( x − x0 )2 x → x0 ( x − x0 )2
f 0 ( x ) − f 0 ( x0 ) 1 f 0 ( x ) − f 0 ( x0 ) 1
= lim = lim = f 00 ( x0 ).
x → x0 2( x − x0 ) x → x0 2 x − x0 2
Ne segue che se f è derivabile due volte in x0 , allora
1 00
f ( x ) − P1, f ( x ) = f ( x0 )( x − x0 )2 + o (( x − x0 )2 ), x → x0 ,
2
f ( x ) = P2, f ( x ) + o (( x − x0 )2 ), x → x0 ,
f ( x ) − P2, f ( x ) = o (( x − x0 )2 ), x → x0 ,
n! = n · (n − 1) · (n − 2) · ... · 2 · 1.
Questo procedimento si può iterare a patto di supporre di volta in volta che l’or-
dine di derivabilità di f in x0 aumenti. In generale, se f è derivabile n volte in x0 , con
n ∈ N, n ≥ 1, allora è plausibile che in tutto un intorno di x0 contenuto in dom f si
possa approssimare f con il polinomio:
1 00 1
Pn, f ( x ) = f ( x0 ) + f 0 ( x0 )( x − x0 ) + f ( x0 )( x − x0 )2 + f 000 ( x0 )( x − x0 )3 +
2! 3!
1 (n)
+... + f ( x0 )( x − x0 )n
n!
o, in forma più compatta,
n
1
Pn, f ( x ) = ∑ k! f (k) (x0 )(x − x0 )k ,
k =0
f ( x ) − Pn, f ( x ) = o (( x − x0 )n ), x → x0 ,
ossia
f ( x ) = Pn, f ( x ) + o (( x − x0 )n )
1 00 1
= f ( x0 ) + f 0 ( x0 )( x − x0 ) + f ( x0 )( x − x0 )2 + f 000 ( x0 )( x − x0 )3 +
2! 3!
1 (n)
+... + f ( x0 )( x − x0 )n + o (( x − xo )n ), x → x0 .
n!
Il polinomio Pn, f è detto polinomio di Taylor di ordine (grado) n di f centrato in
x0 . Se x0 = 0, il polinomio di Taylor è anche detto polinomio di McLaurin. L’errore
rn ( x ) = f ( x ) − Pn, f ( x ) è detto resto di ordine n.
Teorema 4.12.1 I Formula di Taylor con resto di Peano
f ( x ) = Pn, f ( x ) + o (( x − x0 )n ), x → x0 .
1 00 1
Pn+1, f ( x ) = f ( x0 )( x − x0 )2 + f 000 ( x0 )( x − x0 )3 +
f ( x0 ) + f 0 ( x0 )( x − x0 ) +
2! 3!
1 1
+... + f (n) ( x0 )( x − x0 )n + f (n+1) ( x0 )( x − x0 )n+1
n! ( n + 1) !
f ( x ) − Pn+1, f ( x )
lim = 0.
x → x0 ( x − x 0 ) n +1
Osserviamo a tale scopo che la derivata del polinomio Pn+1, f ( x ) coincide con il polinomio di Taylor di ordine
n centrato in x0 della derivata f 0 ( x ):
f ( n ) ( x0 ) 1
Pn0 +1, f ( x ) = f 0 ( x0 ) + f 00 ( x0 )( x − x0 ) + ... + ( x − x0 )n−1 + f (n+1) ( x0 )( x − x0 )n = Pn, f 0 ( x ).
( n − 1) ! n!
f 0 ( x ) = Pn, f 0 ( x ) + o (( x − x0 )n ), x → x0
1
rn ( x ) = f ( x ) − Pn, f ( x ) = f (n+1) (t)( x − x0 )n+1 ,
( n + 1) !
cioè vale la seguente formula di Taylor con resto di Lagrange:
1
f ( x ) = Pn, f ( x ) + f (n+1) (t)( x − x0 )n+1 .
( n + 1) !
1
Il resto rn ( x ) = ( n +1) !
f (n+1) (t)( x − x0 )n+1 è detto resto di Lagrange.
Esempio 4.5.
Abbiamo visto che
1 1 5
sin x = x − x3 + x + o ( x5 ), x → 0.
6 120
Quindi r5 ( x ) = o ( x5 ) per x → 0. Scriviamo il resto r5 in forma di Lagrange. Sia
x 6= 0. Allora esiste t compreso tra 0 e x tale che
con un errore
1
|r5 (1)| ≤ = 0, 00138.
720
Questo significa che se approssimiamo sin 1 con 0, 8416, le prime due cifre
dopo la virgola sono corrette.
Esercizio. Determinare il minimo ordine n a cui arrestare lo sviluppo di McLaurin della funzione f ( x ) = sin x
affinché approssimando f (1) con il polinomio di Taylor di grado n si abbia che le prime 10 cifre dopo la
virgola siano corrette.
(Suggerimento: si proceda come nell’esempio, imponendo che il resto sia minore di 10−11 ).
x2 xn
ex = 1 + x + + ... + + o ( x n ), x → 0.
2! n!
In particolare (
0 se n = 2k,
f ( n ) (0) = , k ∈ N,
(−1)k se n = 2k + 1
cioè le derivate di ordine pari in 0 sono nulle mentre quelle di ordine dispari sono alternativamente
1 e −1. Ne segue che nello sviluppo di McLaurin di f i termini di grado pari non ci sono e quelli
di grado dispari hanno segno alternativamente + e −:
x3 x5 (−1)n 2n+1
sin x = x − + + ... + x + o ( x2n+1 ), x → 0.
3! 5! (2n + 1)!
Poiché lo sviluppo di McLaurin della funzione seno contiene solo le potenze dispari, si può scrivere
il termine trascurabile come o ( x2n+2 ) anziché o ( x2n+1 ).
Osserviamo che per n = 0 si ottiene sin x = x + o ( x ), x → 0, già noto per il limite notevole.
3. f ( x ) = cos x
È una funzione di classe C ∞ su R e per ogni x0 ∈ R e per ogni n ∈ N si ha che
(
(n) (−1)k cos x0 se n = 2k,
f ( x0 ) = k + 1
, k ∈ N.
(−1) sin x0 se n = 2k + 1
In particolare (
(n) (−1)k se n = 2k,
f (0) = , k ∈ N,
0 se n = 2k + 1
cioè le derivate di ordine dispari in 0 sono nulle mentre quelle di ordine pari sono alternativamente
1 e −1. Ne segue che nello sviluppo di McLaurin di f i termini di grado dispari non ci sono e quelli
di grado pari hanno segno alternativamente + e −:
x2 x4 (−1)n 2n
cos x = 1 − + + ... + x + o ( x2n ), x → 0.
2! 4! (2n)!
Poiché lo sviluppo di McLaurin della funzione seno contiene solo le potenze pari, si può scrivere il
termine trascurabile come o ( x2n+1 ) anziché o ( x2n ).
x2
Osserviamo che per n = 1 si ottiene cos x = 1 − 2 + o ( x2 ), x → 0, già noto per il limite notevole.
La funzione seno è dispari e ogni suo polinomio di McLaurin contiene solo potenze dispari, la funzione coseno
è pari e ogni suo polinomio di McLaurin contiene solo potenze pari. Questo è un fatto generale riguardante
ogni funzione simmetrica derivabile n volte in 0.
e x − e− x
4. (Seno iperbolico) f ( x ) = sinh x =
2
È una funzione di classe C ∞ perché composizione di funzioni di classe C ∞ . Inoltre f è dispari.
Quindi ogni suo polinomio di McLaurin contiene solo potenze dispari. Lo sviluppo di McLaurin
arrestato all’ordine 2n + 1 è
" #
e x − e− x 1 2n+1 x k 2n+1 (− x )k
2 k∑
sinh x = = − ∑ + o ( x2n+1 )
2 =0
k! k =0
k!
" #
1 2n+1 x k 2n+1 (−1)k x k
2 k∑
= − ∑ + o ( x2n+1 )
=0
k! k =0
k!
" #
1 x2 x2n+1 x2 x2n+1
= 1+x+ + ... + −1+x− + ... + + o ( x2n+1 )
2 2! (2n + 1)! 2! (2n + 1)!
x3 x2n+1
= x+ + ... + + o ( x2n+1 ), x → 0.
3! (2n + 1)!
Quindi
x3 x2n+1
sinh x = x + + ... + + o ( x2n+1 ), x → 0.
3! (2n + 1)!
Poiché lo sviluppo di McLaurin della funzione seno iperbolico contiene solo le potenze dispari, si
può scrivere il termine trascurabile come o ( x2n+2 ) anziché o ( x2n+1 ).
e x + e− x
5. (Coseno iperbolico) f ( x ) = cosh x =
2
È una funzione di classe C perché composizione di funzioni di classe C ∞ . Inoltre f è pari. Quindi
∞
ogni suo polinomio di McLaurin contiene solo potenze pari. Lo sviluppo di McLaurin arrestato
all’ordine 2n è
" #
e x + e− x 1 2n x k 2n
(− x )k
2 k∑
cosh x = = +∑ + o ( x2n )
2 =0
k! k =0
k!
" #
1 2n x k 2n
(−1)k x k
2 k∑ k! k∑
= − + o ( x2n )
=0 =0
k!
x2 x2n x2 x2n
1
= 1+x+ + ... + +1−x+ − ... + + o ( x2n )
2 2! (2n)! 2! (2n)!
x2 x2n
= 1+ + ... + + o ( x2n ), x → 0.
2! (2n)!
Quindi
x2 x2n
cosh x = 1 + + ... + + o ( x2n ), x → 0.
2! (2n)!
Poiché lo sviluppo di McLaurin della funzione coseno iperbolico contiene solo le potenze pari, si
può scrivere il termine trascurabile come o ( x2n+1 ) anziché o ( x2n ).
1
6. f (x) =
1−x
È una funzione di classe C ∞ su ] − ∞, 1[ perché quoziente di funzioni di classe C ∞ . Per determinare
lo sviluppo di McLaurin di ordine n di f , calcoliamo il suo polinomio di McLaurin di ordine n:
f 00 (0) 2 f 000 (0) 3 f ( n ) (0) n
Pn, f ( x ) = f (0) + f 0 (0) x + x + x + ... + x .
2! 3! n!
Si può provare (si invita il lettore a farlo per esercizio avvalendosi del principio di induzione) che
k!
f (k) ( x ) = , ∀k ∈ N,
(1 − x ) k +1
da cui
f (k) (0) = k!.
Quindi:
Pn, f ( x ) = 1 + x + x2 + x3 + ... + x n .
Da ciò segue subito che:
1
= 1 + x + x2 + x3 + ... + x n + o ( x n ), x → 0.
1−x
Sostituendo − x a x, si ottiene:
1
= 1 − x + x2 − x3 + ... + (−1)n x n + o ( x n ), x → 0.
1+x
x2 x3 (−1)n−1 n
Pn, f ( x ) = x − + + ... + x .
2 3 n
Pertanto:
x2 x3 (−1)n−1 n
ln(1 + x ) = x − + + ... + x + o ( x n ), x → 0.
2 3 n
Osserviamo che per n = 1 si ottiene ln(1 + x ) = x + o ( x ), x → 0, già noto per il limite notevole.
In particolare, sostituendo − x a x si ottiene
x2 x3 xn
ln(1 − x ) = − x − − − ... − + o ( x n ), x → 0.
2 3 n
8. f ( x ) = arctan x
È una funzione di classe C ∞ (R) e dispari. Quindi ogni suo polinomio di McLaurin contiene solo
potenze dispari. Per determinare lo sviluppo di McLaurin di ordine 2n + 1 di f , calcoliamo il suo
polinomio di McLaurin di ordine 2n + 1. Sia
Infine, poiché P2n+1, f (0) = a0 e P2n+1, f (0) = f (0) = arctan 0 = 0, si ha che a0 = 0. Quindi,
x3 x5 (−1)n 2n+1
P2n+1, f ( x ) = x − + + ... + x .
3 5 2n + 1
Pertanto:
x3 x5 (−1)n 2n+1
arctan x = x − + + ... + x + o ( x2n+1 ), x → 0.
3 5 2n + 1
Poiché lo sviluppo di McLaurin della funzione arcotangente contiene solo le potenze dispari, si
può scrivere il termine trascurabile come o ( x2n+2 ) anziché o ( x2n+1 ).
9. f ( x ) = (1 + x ) α , α ∈ R
È una funzione di classe C ∞ su ] − 1, +∞[. Per determinare lo sviluppo di McLaurin di ordine n di
f , calcoliamo il suo polinomio di McLaurin di ordine n:
da cui
f (k) (0) = α(α − 1)(α − 2) · ... · (α − (k − 1)).
Quindi:
α(α − 1) 2 α(α − 1)(α − 2) 3 α(α − 1)(α − 2) · ... · (α − (n − 1)) n
Pn, f ( x ) = 1 + αx + x + x + ... + x .
2! 3! n!
Per ogni α ∈ R poniamo (α0 ) = 1 e
α ( α − 1) α(α − 1)(α − 2)
α α α α
= = α, = , = .
1 1! 2 2! 3 3!
Alla luce di ciò, il polinomio di McLaurin di ordine n di f diventa
α 2 α 3 α n
Pn, f ( x ) = 1 + αx + x + x + ... + x .
2 3 n
Dunque,
α 2 α 3 α n
(1 + x )α = 1 + αx + x + x + ... + x + o ( x n ), x → 0.
2 3 n
√
1
1 1 1 3
1 + x = 1 + x − x2 + x + ... + 2 x n + o ( x n ), x → 0.
2 8 16 n
Per α = − 12 si ottiene
1
1 1 3 5 −2 n
√ = 1 − x + x2 − x3 + ... + x + o ( x n ), x → 0.
1+x 2 8 16 n
10. f ( x ) = arcsin x
È una funzione di classe C ∞ su ] − 1, 1[ e dispari. Procedendo come nel caso dell’arcotangente (il
lettore lo faccia per esercizio), si ottiene che
(−1)n − 12 2n+1
1 3 3 5
arcsin x = x + x + x + ... + x + o ( x2n+1 ), x → 0.
6 40 2n + 1 n
Poiché lo sviluppo di McLaurin della funzione arcoseno contiene solo le potenze dispari, si può
scrivere il termine trascurabile come o ( x2n+2 ) anziché o ( x2n+1 ).
f ( x ) ≥ f ( x0 ) + f 0 ( x0 )( x − x0 ), ∀ x0 , x ∈ I. (4.1)
f ( x ) > f ( x0 ) + f 0 ( x0 )( x − x0 ), ∀ x0 , x ∈ I, x 6= x0 . (4.2)
~y
y = f (x)
f convessa
y = f ( x0 ) + f 0 ( x0 )( x − x0 )
f ( x0 )
O x0 ~x
f ( x ) ≤ f ( x0 ) + f 0 ( x0 )( x − x0 ), ∀ x0 , x ∈ I. (4.3)
f ( x ) < f ( x0 ) + f 0 ( x0 )( x − x0 ), ∀ x0 , x ∈ I, x 6= x0 . (4.4)
g
~y
y = f ( x0 ) + f 0 ( x0 )( x − x0 )
y = f (x)
f ( x0 )
f concava
O x0 ~x
Siano f : dom f → R una funzione, I ⊆ dom f un intervallo, si supponga che f sia derivabile
in I e che f sia convessa in I. Inoltre, si supponga che x0 sia un punto interno ad I che sia
stazionario per f (quindi f 0 ( x0 ) = 0). Allora il punto x0 è un punto di minimo assoluto per f .
Infatti, dalla Definizione 4.13.1, si ha
f ( x ) ≥ f ( x0 ) + f 0 ( x0 ) ( x − x0 ) = f ( x0 ) , ∀ x ∈ I.
| {z }
=0
f ( x ) ≤ f ( x0 ) + f 0 ( x0 )( x − x0 ), ∀ x ∈] x0 − δ, x0 [,
0
f ( x ) ≥ f ( x0 ) + f ( x0 )( x − x0 ), ∀ x ∈] x0 , x0 + δ[.
~y
y = f (x)
f ( x0 ) y = f ( x0 ) + f 0 ( x0 )( x − x0 )
x0 ~x
O
g
~y y = f ( x0 ) + f 0 ( x0 )( x − x0 )
y = f (x)
f ( x0 )
x0 punto di flesso discendente
O
f1 x0 ~x
Osservazioni.
1. Se x0 è un punto di flesso e anche un punto stazionario per f , cioè tale che
f 0 ( x0 ) = 0, allora si dice che x0 è un punto di flesso a tangente orizzontale. Infatti,
in tal caso la retta tangente al grafico di f in ( x0 , f ( x0 )) ha equazione y = f ( x0 )
e quindi è parallela all’asse delle ascisse y = 0 che usualmente si rappresenta
orizzontalmente.
4. In molte circostanze, le Definizioni 4.13.3, 4.13.4 valgono in senso forte, ossia con
il simbolo di < in luogo di ≤. Ciò, in molti casi, è praticamente irrilevante. Se,
ad esempio, consideriamo il caso del punto di flesso ascendente, tale eventualità
precisa solo che in ] x0 − δ, x0 [ il grafico di f è strettamente al di sotto della retta
di equazione y = f ( x0 ) + f 0 ( x0 )( x − x0 ) e che in ] x0 − δ, x0 [ il grafico di f è
strettamente al di sopra della retta di equazione y = f ( x0 ) + f 0 ( x0 )( x − x0 ).
Osservazione. Abbiamo definito la convessità e la concavità di una funzione in un
intervallo I nell’ipotesi che tale funzione sia derivabile in I. Se la funzione non è
derivabile in un dato punto di I, allora tale definizione non si applica. Per casi del
genere daremo più avanti ad una definizione di convessità e di concavità globale più
generale di quella ora introdotta. Si può comunque provare che nelle ipotesi in cui ci
siamo posti ora le due definizioni coincidono.
I grafici presentati sopra e illustranti i casi di punto di flesso ascendente e di punto di flesso
discendente, non illustrano tutti i casi possibili e non devono trarre in inganno. Precisamente,
se il punto x0 è di flesso per una funzione f , allora il grafico di tale funzione non deve
necessariamente essere quello di una funzione convessa in un intorno sinistro di x0 e concava
Dimostrazione.
=⇒ Siano x1 , x2 ∈ I, x1 < x2 . Proviamo che f 0 ( x1 ) ≤ f 0 ( x2 ). Essendo f
convessa, per la Definizione 4.13.1, per ogni x ∈ I si ha:
f ( x ) ≥ f ( x1 ) + f 0 ( x1 )( x − x1 ), (4.5)
0
f ( x ) ≥ f ( x2 ) + f ( x2 )( x − x2 ). (4.6)
f ( x2 ) ≥ f ( x1 ) + f 0 ( x1 )( x2 − x1 ),
f ( x1 ) ≥ f ( x2 ) + f 0 ( x2 )( x1 − x2 ),
f ( x2 ) − f ( x1 )
f 0 ( x1 ) ≤ ≤ f 0 ( x2 )
x2 − x1
e dunque
f 0 ( x1 ) ≤ f 0 ( x2 ).
f ( x ) − f ( x0 )
= f 0 (c)
x − x0
f ( x ) − f ( x0 )
= f 0 ( c ) ≤ f 0 ( x0 ).
x − x0
Pertanto, visto che x < x0 (e quindi x − x0 < 0), moltiplicando ambo i membri
della disuguaglianza precedente per x − x0 e cambiando il verso, si ha
f ( x ) ≥ f ( x0 ) + f 0 ( x0 )( x − x0 ).
Osservazione. Con ovvie modifiche il Teorema 4.13.1 può essere adattato ai casi di
funzioni strettamente concave e di funzioni strettamente convesse:
Teorema 4.13.2 I Caratterizzazione della stretta concavità e della stretta
convessità tramite la monotonia della derivata prima
Siano I ⊆ R un intervallo, f : I → R una funzione derivabile in I.
Allora f è strettamente convessa (risp. strettamente concava) in I se e solo se
f 0 è strettamente crescente in I (risp. f 0 strettamente decrescente in I).
Allora f 00 ( x0 ) = 0.
Dimostrazione.
Supponiamo che x0 sia un punto di flesso ascendente per f (analogamente se è
f ( x ) ≤ f ( x0 ) + f 0 ( x0 )( x − x0 ), ∀ x ∈] x0 − δ, x0 [,
0
f ( x ) ≥ f ( x0 ) + f ( x0 )( x − x0 ), ∀ x ∈] x0 , x0 + δ[.
1 00
f ( x ) = f ( x0 ) + f 0 ( x0 )( x − x0 ) + f ( x0 )( x − x0 )2 + o (( x − x0 )2 ), x → x0 .
2
Allora:
1 00
f ( x0 )( x − x0 )2 + o (( x − x0 )2 ) = f ( x ) − f ( x0 ) − f 0 ( x0 )( x − x0 ) ≤ 0, ∀ x ∈] x0 − δ, x0 [,
2
1 00
f ( x0 )( x − x0 )2 + o (( x − x0 )2 ) = f ( x ) − f ( x0 ) − f 0 ( x0 )( x − x0 ) ≥ 0, ∀ x ∈] x0 , x0 + δ[.
2
Pertanto:
≤0
z }| {
1 00 2 2
o (( x − x0 )2 ) f ( x0 )( x − x0 ) + o (( x − x0 ) )
f 00 ( x0 ) + = 2 ≤ 0, ∀ x ∈] x0 − δ, x0 [,
( x − x0 )2 1 2
( x − x0 )
|2 {z }
>0
≥0
z }| {
1 00 2 2
o (( x − x0 )2 ) f ( x0 )( x − x0 ) + o (( x − x0 ) )
f 00 ( x0 ) + = 2 ≥ 0, ∀ x ∈] x0 , x0 + δ[.
( x − x0 )2 1 2
( x − x0 )
|2 {z }
>0
Per il Corollario del Teorema della permanenza del segno applicato alla
funzione
o (( x − x0 )2 )
g( x ) = f 00 ( x0 ) +
( x − x0 )2
si ha che
o (( x − x0 )2 )
00 00
f ( x0 ) = lim f ( x0 ) + ≤ 0,
x → x0− ( x − x0 )2
o (( x − x0 )2 )
00 00
f ( x0 ) = lim f ( x0 ) + ≥ 0.
x → x0+ ( x − x0 )2
derivata seconda ma ciò non significa che i punti che annullano la derivata
seconda sono di flesso. Infatti, il punto x0 = 0 annulla la derivata seconda della
funzione f ( x ) = x4 , essendo f 0 ( x ) = 4x3 , f 00 ( x ) = 12x2 e quindi f 00 (0) = 0, ma
non è di flesso poiché f è convessa in R. Infatti f 0 ( x ) = 4x3 è chiaramente una
funzione crescente in R.
2. L’ipotesi che x0 sia interno non si può omettere perché per definizione di punto
di flesso deve esistere un intorno del punto tutto contenuto nel dominio della
funzione.
3. I punti di flesso di una funzione reale di variabile reale vanno cercati tra:
Dimostrazione. Segue subito dal Teorema 4.8.5 (Legame tra monotonia e segno
della derivata) applicato non a f ma a f 0 e tenendo presente il Teorema 4.13.1.
f ( x ) > f ( x0 ) + f 0 ( x0 )( x − x0 ), ∀ x, x0 ∈ R, x 6= x0 .
Dunque occorre provare che per ogni x, x0 ∈ R, con x 6= x0 , si ha x4 > x04 + 4x03 ( x − x0 ) cioè
che x4 − 4x03 x + 3x04 > 0. In effetti, si vede facilmente che
cioè la tesi.
In alternativa, per provare che f è strettamente convessa in R, basta osservare che f 0 ( x ) = 4x3
è strettamente crescente in R e applicare il Teorema 4.13.2.
~y
y = f (x)
f convessa
f ( x2 )
y = f ( x1 ) + t( f ( x2 ) − f ( x1 )) →
f (x)
f ( x1 )
x1 ↑ x2
O ~x
x = x1 + t ( x2 − x1 )
~y
y = f (x)
f concava
f ( x1 )
f (x)
y = f ( x1 ) + t( f ( x2 ) − f ( x1 )) →
f ( x2 )
x1 ↑ x2
O ~x
x = x1 + t ( x2 − x1 )
im g = [ g(0), g(1)] = [ x1 , x2 ].
o, equivalentemente,
da cui la tesi.
Grazie alla Definizione 4.13.5 è possibile provare un teorema che lega la convessità
di una funzione in un intervallo chiuso al segno della derivata seconda nell’intervallo
aperto.
Teorema 4.13.5
Concludiamo questa sezione presentando un test per la ricerca dei punti di flesso.
Dimostrazione.
f ( x ) > f ( x0 ) + f 0 ( x0 )( x − x0 ), ∀ x ∈] x0 − δ, x0 [,
0
f ( x ) < f ( x0 ) + f ( x0 )( x − x0 ), ∀ x ∈] x0 , x0 + δ[.
f ( x ) > f ( x0 ) + f 0 ( x0 )( x − x0 ), ∀ x ∈ I ∩] − ∞, x0 ], x 6= x0 ,
f ( x ) > f ( x0 ) + f 0 ( x0 )( x − x0 ), ∀ x ∈ I ∩ [ x0 , + ∞ [ , x 6 = x0 .
Da ciò segue che non esiste un intorno ] x0 − δ, x0 + δ[ di x0 tale che sia
verificata una delle Definizioni 4.13.3, 4.13.4.
Osservazione. Osserviamo esplicitamente che affinché un punto x0 sia di flesso ascendente o discen-
dente per una funzione f , non è necessario che f sia derivabile due volte in tale punto (ovviamente, se
lo fosse, per il Teorema 4.13.3 si avrebbe f 00 ( x0 ) = 0). Il Teorema 4.13.6 ingloba anche i casi in cui f non
è derivabile due volte in x0 . Un esempio è dato dalla funzione f : R → R definita dalla legge
(
x2 se x ≥ 0
f (x) = .
− x2 se x < 0
Tale funzione è derivabile in 0 (e risulta f 0 (0) = 0) ma non è derivabile due volte in 0 (lo studente, per
esercizio, provi questi fatti). Tuttavia, il punto 0 è di flesso ascendente per f (infatti, la tangente ad f
in (0, f (0)) ≡ (0, 0) è la retta di equazione y = 0 e risulta f ( x ) < 0 = f (0) + f 0 (0) x per ogni x < 0 e
f ( x ) > 0 = f (0) + f 0 (0) x per ogni x > 0).
f ( x ) < f ( x0 ) + f 0 ( x0 )( x − x0 ), ∀ x ∈] x0 − δ, x0 [,
0
f ( x ) > f ( x0 ) + f ( x0 )( x − x0 ), ∀ x ∈] x0 , x0 + δ[.
f ( x ) > f ( x0 ) + f 0 ( x0 )( x − x0 ), ∀ x ∈] x0 − δ, x0 [,
0
f ( x ) < f ( x0 ) + f ( x0 )( x − x0 ), ∀ x ∈] x0 , x0 + δ[.
n pari n dispari
f ( n ) ( x0 ) < 0 x0 punto di massimo locale forte x0 punto di flesso discendente forte
f ( n ) ( x0 ) > 0 x0 punto di minimo locale forte x0 punto di flesso ascendente forte
Dimostrazione. Proviamo solo due casi (in modo analogo si dimostrano i casi
restanti).
n pari, f (n) ( x0 ) < 0
Per la formula di Taylor con il resto di Peano arrestata all’ordine n, si ha che
1 00
f (x) = f ( x0 ) + f 0 ( x0 )( x − x0 ) + f ( x0 )( x − x0 )2 + ... +
2
1 (n)
+ f ( x0 )( x − x0 )n + o (( x − x0 )n ), x → x0 .
n!
Poiché per ipotesi f 0 ( x0 ) = f 00 ( x0 ) = ... = f (n−1) ( x0 ) = 0, si ottiene
1 (n)
f ( x ) = f ( x0 ) + f ( x0 )( x − x0 )n + o (( x − x0 )n ), x → x0 . (4.7)
n!
Dalla (4.7) e dal fatto che per ipotesi f (n) ( x0 ) < 0, segue che
f ( x ) − f ( x0 ) o (( x − x0 )n )
1 (n) 1
lim = lim f ( x0 ) + = f (n) ( x0 ) < 0.
x → x0 ( x − x0 ) n x → x0 n! ( x − x0 ) n n!
Allora, per il Teorema della permanenza del segno esiste un intorno ] x0 −
δ, x0 + δ[ tale che
f ( x ) − f ( x0 )
<0 ∀ x ∈ (] x0 − δ, x0 + δ[ ∩ I ) \ { x0 }. (4.8)
( x − x0 ) n
Poiché n è pari per ipotesi, si ha ( x − x0 )n > 0 per ogni x ∈ (] x0 − δ, x0 +
δ[ ∩ I ) \ { x0 }. Tenendo conto di ciò, dalla (4.8) segue che f ( x ) < f ( x0 ) per ogni
x ∈ (] x0 − δ, x0 + δ[ ∩ I ) \ { x0 }, cioè
f ( x ) < f ( x0 ) ∀ x ∈ (] x0 − δ, x0 + δ[ ∩ I ) \ { x0 },
f ( x ) − f ( x0 )
>0 ∀ x ∈] x0 − δ, x0 + δ[\{ x0 } (4.9)
( x − x0 ) n
e, in particolare, si ha:
f ( x )− f ( x0 )
• > 0 per ogni x ∈] x0 − δ, x0 [ da cui f ( x ) − f ( x0 ) < 0 per ogni
( x − x0 ) n
x ∈] x0 − δ, x0 [, ovvero
f ( x ) < f ( x0 ) = f ( x0 ) + f 0 ( x0 )( x − x0 ), ∀ x ∈] x0 − δ, x0 [; (4.10)
f ( x )− f ( x0 )
• > 0 per ogni x ∈] x0 , x0 + δ[ da cui f ( x ) − f ( x0 ) > 0 per ogni
( x − x0 ) n
x ∈] x0 , x0 + δ[, ovvero
f 0 ( x ) = x4 − 3x3 + 2x2 .
x1 = 0, x2 = 1, x3 = 2.
Sebbene i Teoremi 4.14.1, 4.14.2 siano utili in alcune circostanze, essi rappresentano condizio-
ni sufficienti e non necessarie affinché un punto x0 sia di minimo, di massimo o di flesso. I
suddetti teoremi, infatti, prevedono che esista una derivata di f non nulla in x0 ma tale even-
tualità, purtroppo, non è sempre verificata. Un esempio classico in proposito è la funzione
f : R → R definita da
( 1
−
e x2 se x 6= 0
f (x) = .
0 se x = 0
Evidentemente f presenta un minimo globale in x = 0 poiché f ( x ) ≥ f (0) = 0 per ogni x ∈ R.
Ebbene, si può dimostrare che f ∈ C ∞ (R) e che tutte le derivate di f in 0 sono nulle: