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«Ci è stato detto che la condizione degli

umani, lungo la loro esistenza in questo


mondo terreno, è quella del sonno. Nel corso
di tale sonno potranno essi percepire il
senso, comprendere le parabole di cui i ver­
setti coranici ci dicono che solo i Saggi com­
prendono? Ma chi sono dunque i Saggi? I
Saggi sono coloro che in tre meravigliosi
capitoli Ibn ‘Arabi ci descrive come i “cava­
lieri” o i “cavalieri dell’Invisibile” ; è grazie a
essi che in questo mondo terreno può esiste­
re una “scienza delle corrispondenze” . [...]
Ta'bir al-ru’ya è l’interpretazione delle vi­
sioni, dei sogni, ed è una delle applicazioni
per eccellenza della “scienza della Bilan­
cia” . Essa permette di compiere il passaggio
dalle forme percepite nella visione al signifi­
cato segreto della loro apparizione. Le nostre
visioni in sogno nel mondo della Notte,
come quelle che percepiamo in ciò che chia­
miamo il mondo del Giorno, necessitano del
medesimo passaggio, affinché noi possiamo
percepirne il significato segreto. La ragione
di questo è che sia le une che le altre sono
motivate da un’intenzione segreta propria a
un altro mondo e da esso proveniente. Ecco
perché il mondo del nostro presente, della
Notte come del Giorno, è un ponte che si
tratta di oltrepassare. Un ponte è un luogo di
transito; non ci si ferma, né si prende dimo­
ra su un ponte. Lo si varca, e occorre varcar­
lo per comprendere il significato segreto, la
“corrispondenza” invisibile di quel che è tra­
sceso e lasciato da questa parte. Tale è il
compito degli interpreti, degli ermeneuti del
senso esoterico, promossi al rango di “cava­
lieri dell’Invisibile” ».

In copertimi: ShamM'll e Kultd'll, nil uniteli o cupo del sesto e ilei


settimo Cielo, Illustrazione del XIV secolo per l.e ttteeoelnlle dello
efeditone e le curiosità tlell'e,sistemo di ZnkurlylUd-Ou/wtnT (punì-
[j CONOSCENZA RELIGIOSA
]

• 42 -

HENRY CORBIN
LA SCIENZA DELLA BILANCIA
E LE C O R R IS P O N D E N Z E F R A I M O N D I
N E L L A G N O S I IS L A M IC A

TR A D U Z IO N E D I R O BER TO R O SSI TESTA


C O N U N O SC R IT TO DI JE A N BRUN

n SE n
Titolo originale: La Science de la Balance
et les correspondences entre les m ondes en gnose islamique

© A S SO C IA T IO N DES AM IS DE H EN RY ET STE LLA C O R B IN

© 2009 SE SRL
VIA MANIN 13 - 2012 I MILANO
ISBN 978-88-77IO -795-4
INDICE

[.A SCIENZA DELLA BILANCIA


E LE CORRISPONDENZE FRA I MONDI NELLA GNOSI ISLAMICA 9

1. La scienza della Bilancia 11


2. La Bilancia dei Sette e dei Dodici 17
3. La Bilancia dei Diciannove 43
4. La Bilancia dei Ventotto 69
5. I cavalieri dell'Invisibile e la scienza delle corrispondenze 79
APPENDICE 87

un FILOSOFO IN CERCA d e l l ’« OR IEN TE» di Jean Brun 105


La Science de la Balance et Ics correspondences entre Ics mondes en gnose isla-
mique fu presentato sotto forma di conferenza agli incontri di Eranos ad Asco-
na, e quindi pubblicato nell’«Eranos Jahrbuch», x l i i , 1975. Dopo la morte di
Henry Corbin è stato incluso, seguendo la sua volontà, nel volume Tempie et
Contemplation, Flammarion, Paris 1980.
LA SCIENZA DELLA BILANCIA
E LE CORRISPONDENZE FRA I MONDI
NELLA GNOSI ISLAMICA
S E C O N D O l ’ o p e r a D I H A Y D A R À M O L I , S E C O L O V I I l/ x iV
[Nella presente edizione italiana tutti i termini arabi e persiani seguono la
trascrizione usata da Corbin. Per le citazioni coraniche si è fatto riferimento
all’edizione del Corano curata da Luigi Bonelli per l’editore Hoepli. Le tra­
duzioni coraniche sono tratte da quest’ultima edizione o riprendono la tra­
duzione dello stesso Corbin, quando questi suggerisce un’interpretazione
diversa da quella corrente. Le parti fra parentesi quadre sono a cura del tra­
duttore.]
I.

LA SCIENZA DELLA BILANCIA

Il fondamento metafìsico e mistico della scienza del­


le corrispondenze nella gnosi islamica^ è chiamato
« scienza della Bilancia» {‘ilm al-Mtzàn). E una scienza
clic per eccellenza è stata praticata dagli alchimisti e al­
la quale si lega in particolare il nome di Jàbir ibn
I layyàn. Dicendo questo, preme dissipare per quanto
possibile ogni ambiguità riguardante il concetto stesso
di alchimia, se si vuole comprendere come l’operazione
alchemica e le operazioni ermeneutiche di cui stiamo
per trattare siano tutte attinenti alla scienza della Bi­
lancia.
<letto, da Jàbir sappiamo che «la nozione della Bi­
lancia comporta numerosi aspetti e varia secondo gli
i >ggct ti ai quali si applica. Esistono delle bilance per mi­
si ira re l’Intelligenza, l’Anima del mondo, la Natura, la
l 'orma, le Sfere celesti, gli astri, le quattro qualità natu-
i ali, l’animale, il vegetale, il minerale, e infine la Bilan-
i ia delle lettere, che è la più perfetta di tutte».1 Di que-
sl'ultima avremo modo di esaminare qui parecchi esem­
pi. Ma è da considerare soprattutto questo: se «la Bi­
lancia è il principio che misura l’intensità del desiderio
dell’Anima al momento della sua discesa nella mate-
i la », o, in altri termini, se la Bilancia « è il principio che
misura le quantità delle nature che l’anima ha fatto pro-
pi ie per formarne i corpi»,2 ci pare esagerato, azzarda­
lo, prendere la parola «misura» nel senso in cui Bin­
ici idi- la scienza dei giorni nostri, interpretando la scien­
za della Bilancia come avente «lo scopo di ridurre tutti
i dal i della conoscenza umana a un sistema di quantità e
di misura, in questo modo conferendo loro un carattere

< h. Paul Kraus, jàbir ibn Hayyàn, voi. n: Jàbir et la science grecque, Le
< .me i «>.|-•, |>|). 187-188 [Les Belles Lettres, Paris 1986].
l/'hl , |>. 161.
12 L A S C IE N Z A D E L L A B IL A N C IA

di scienza esatta ».' Ciò significa voler trovare a ogni co­


sto dei precursori a quest’ultima. Esistono altri mezzi
per valorizzarne e giustificarne i sedicenti precursori.
I numeri di cui si serve o che formula la scienza della
Bilancia non tendono a costituire una scienza esatta nel
senso in cui al giorno d’oggi intendiamo tale termine.
Essi hanno un valore e un significato che sono a loro
volta qualitativi, del tutto diversi dal ruolo che rivesto­
no le cifre nelle nostre statistiche. Ridurli a un identico
concetto equivale in poche parole a confondere il lavoro
del chimico con l’opera dell’alchimista. A ll’epoca, l’uno
e l’altro potevano lavorare in tutto o in parte sugli stessi
materiali, ma il livello ermeneutico delle loro rispettive
operazioni era completamente differente. «Misurare il
desiderio dell’Anima del mondo» significa essenzial­
mente sprigionare delle energie psico-spirituali trasmu-
tatrici; si tratta di trasferire l’oro, come dice Jaldakl (se­
colo xiv), dalla sua miniera naturale alla miniera dei fi­
losofi, in altri termini di extrahere cogitationem, ossia li­
berare il pensiero, l’energia spirituale, immanente al
metallo.2 E questo è tutt’altra cosa dall’analisi «chimi­
ca» praticata ai nostri giorni; la scienza della Bilancia
non fa dell’alchimia un capitolo della preistoria della
nostra chimica moderna; essa non tende a formulare
«leggi matematiche», più di quanto negli esempi che ci
accingiamo a studiare non tenda a risultati precorritori
delle nostre filosofie della storia.

' Ibid., p. 187. Cfr. le riserve da noi già formulate nel nostro studio Le li-
vre du Glorieux de Jdbir ibn Hayydn, in «Eranos-Jahrbuch», xvm, Ziirich
1950, pp. 83-84. [Cfr. anche Henry Corbin, L'alchimia come arte ieratica,
Aragno, Torino 2001.]
2 Pensiamo qui al commentario dell’alchimista Jaldakl (originario di Jaldak,
nel Khorassan) sul Libro delle sette statue (Kitdb al-asnam) attribuito ad Apol­
lonio di Tiana. È fatta d’oro filosofale, non d’oro naturale, la statua del « fi­
glio del Sole» che pronuncia il primo dei sette sermoni che costituiscono
t’opera. Su questo argomento si veda il nostro rapporto in « Annuaire de la
Section des Sciences religieuses de l’Ecole pratique des Hautes-Etudes »,
I973' I974’ e il nostro articolo, De l’alchimie cornine art hiératique: Le Ltvre
des Sept statues d’Apollonios de Tyane, conserve en arabe par l’alchimiste Jal­
dakl, in «Cahiets de l’Herne». Sull’alchimia e sull’energetica dell’Anima,
cfr. il nostro Le livre du Glorieux..., cit. [Cfr. inoltre Henry Corbin, L'alchi­
mia..., cit.]
L A S C IE N Z A D E L L A B IL A N C IA 13

Ma è proprio questo che ne costituisce l’interesse,


nell’intera misura in cui la scienza delle corrisponden­
ze, ai nostri giorni dimenticata, ci offre un rimedio con-
1i o le ideologie cosiddette moderne, completamente de­
private della dimensione che rappresenta tale scienza,
l iceo perché, se sono ovviamente esistite delle bilance
reali in uso fin dall’antichità (quelle, ad esempio, di cui
parla Zosimo, oppure la bilancia idrostatica di Archi-
mede), non è affatto di queste bilance che si parla,
quando si tratta del fondamento della scienza delle cor­
rispondenze. Si tratta in questo caso d’una Bilancia la
cui nozione esprime essenzialmente l’armonia e l’equili­
brio delle cose; una nozione della Bilancia elevata all’al­
tezza d ’un principio metafìsico, da Jàbir ibn Hayyàn1
assai ben delineato, al punto che il principio della Bi­
lancia è superiore a tutte le categorie della nostra cono­
scenza, nel senso che la Bilancia è causa d’ogni deter­
minazione, senza mai essere a propria volta determina­
la da alcuna di esse.
Nel medesimo tempo si comprende la sua importan­
za nel vocabolario religioso e nel complesso della teo­
sofia speculativa. L’idea dell’equilibrio delle cose e
quella dell 'equità divina {‘adì) vanno di pari passo, per
all ormarsi nel simbolo della Bilancia quale simbolo
escatologico (cfr. Corano 21,48 & passim). Nella gnosi
islamica la Bilancia segna l’equilibrio fra la Luce e le te­
nebre. Nella gnosi ismailita, in Hamldoddln KermànI
(morto verso il 408/1017) ad esempio, la Bilancia delle
cose religiose (.mizdn al-diyàna) permette di precisare la
101 rispondenza fra la gerarchia esoterica terrena e la
gerarchia angelica celeste, e in generale le corrispon­
denze fra il mondo spirituale e il mondo corporeo.2 La
parie visibile d’un essere presuppone infatti che essa
sia equilibrata dalla sua controparte invisibile, celeste,
•duci che appare, l’exoterico (zàhir), è equilibrato dal
nascosto, l’esoterico (bàrin). La negazione agnostica

1 ili-, Paul Kraus, op. di., p. 311.


//>/</, pp. 31 1 spp. Cfr. il nostro Trilogie ismaélienne, Bibliothèque Ira­
ni. mie, voi. 9, Tchcran-Paris 1961, indice s.irv. Balance, hierarchies.
'4 LA SCILNZA D U LIA BILANCIA

moderna ignora questa legge dell’essere integrale e non


fa dunque che mutilare l’integrità di ogni essere. A
chiunque consideri che la controparte invisibile, cele­
ste, degli esseri è oggetto di un’ipotesi o d’un atto di fe­
de, la scienza della Bilancia risponde mediante il princi­
pio che ne fonda e ne garantisce la necessità ontologica.
Da questo punto di vista, la conoscenza analogica come
forma tipica della scienza delle corrispondenze è sem­
pre una anafora (atto di portare in alto), una anagoge
(atto di far salire, elevare); la via analogica segue essen­
zialmente il senso anagogico (che conduce in alto), altri­
menti detto il senso della gerarchia degli esseri determi­
nata dalla funzione spirituale o esoterica assegnata a
ciascun grado.
E, a grandi tratti, quel che noi tentiamo di portare
alla luce da un’opera di teosofia shì'ita duodecimana in
corso d’edizione a Teheran. Essa ha per autore un
grande pensatore e spirituale shì'ita iraniano del xiv
secolo, Haydar Amoll (nato nel 720/1320, morto dopo
il 787/1385). Haydar Amoll era spiritualmente un di­
scepolo del grande teosofo visionario andaluso, Ibn
'Arabi, nella colossale opera del quale seppe ritrovare il
bene che apparteneva allo shl'ismo imàmita, pur man­
tenendo una grande libertà di spirito critico nei riguar­
di deU’imàmqìogia dello stesso Ibn 'Arabi. Facendo que­
sto, Haydar Amoll ha segnato con la propria opera un
punto saliente nelle relazioni tra shl'ismo e sufismo. Ta­
le notevole opera, scritta parte in persiano parte in ara­
bo, era rimasta per lungo tempo inedita (come tante al­
tre); noi non abbiamo potuto rimetterla insieme e co­
minciare a pubblicarla che da qualche anno.1 L’opera
di cui analizzeremo alcuni capitoli è nel novero di quel­
le che l’autore ha scritto in arabo. Essa ha per titolo II
Testo dei Testi. Si tratta di un immenso commentario su

1 Su Haydar Amoll si veda la nostra opera En Islam iraniani aspects spiri­


tuals et philosophiques, Gallimard, Paris 1971-1972 (riedizione 1978), t. in,
pp. 149-213. Si veda anche Haydar Amoll, La Philosophic shi ite: 1. Somme des
doctrines ésotériques (]àmi al-asràr); 2. Traité de la connaisance de l’ètra, testo
pubblicato con una doppia introduzione di Henry Corbin e Osman Yahya,
Bibliothèque Iranienne, voi. 16, Adrien-Maisonneuve, Teheran-Paris 1969.
LA S C IE N Z A D E L L A B IL A N C IA

in\/n al-hikam (Gemme della sapienza dei Profeti), li­


dio nel quale Ibn ‘Arabi aveva condensato le dottrine
>oniemite nelle decine di migliaia di pagine che costi-
imscono l’insieme della sua opera.1
I prolegomeni del Testo dei Testi si caratterizzano, fra
l'alno, per un gran numero di diagrammi ingegnosa-
melile elaborati dall’autore (ce ne sono per l’esattezza
venutilo), il cui intento è quello di rendere percettibile
a livello deW immaginale, intermediario fra la percezio­
ne sensibile e l’intuizione intellettuale, la struttura dei
mondi spirituali. Tali diagrammi hanno altresì la virtù
di una verifica spirituale sui generis dell’esplorazione
nini alisica. Nell’opera di Haydar Amoll essi adempiono
a una I unzione analoga a quella del Libro delleFigure di
( intacchino da Fiore. Parecchi di essi sono un’illustra-
/ione dei tratti della scienza della Bilancia. La loro for­
ma circolare ci invita, particolarmente quando si tratta
di icmsioria, a intendere le cose mediante un’Immagine
del liuto diversa da quella di una progressione tempo-
iale rettilinea e indefinita, solidale con l’idea evoluzio­
ne.! a e con un criterio d’interpretazione che fa ricorso
al concetto di causalità storica.
l'ale Immagine è quella dei cicli, dei cerchi o delle
■■ «upole », come dicono certi testi nosayriti,2 che non
••oli.mio hanno la prerogativa di presentarci la succes­
se me temporale finalmente consolidata nell’ordine di
mia simultaneità spaziale, ma che sono inoltre i soli a

Ni vc<l;i Haydar Amoll, Le Texte des Textes (Nass al-Nosùs [abbreviato in


N >d N |), prolcgomenes au commentaire des «Fosùs al-hikam» d’Ibn ‘Arabi,
|," l'l,li‘ aio con una doppia introduzione di Henry Corbin e Osman Yahya,
H11111«>11ict|iic Iranicnne, voi. 22, Adrien-Maisonneuve, Teheran-Paris 1974. I
v• untilo diagrammi dell’originale sono raggruppati alla fine della nostra edi-
.... . por l agioni tecniche. Malgrado le sue dimensioni, quest’opera compat-
1 1 u n i i t o d i iene che i prolegomeni del commentario; l’edizione di quest’ulti-
.... ' “ Hi sua totalità richiederebbe tre o quattro altri volumi delle stesse di-
"" I Delle ì'osils al-hikam esiste una traduzione italiana parziale: La
>./rr. •</ dei Profeti, a cura di Titus Burckhardt, Mediterranee, Roma 1987.]
'«ull.i concezione nosayrita delle «cupole» della ierostoria si veda il no-
1*11 .mu oio ////<• liturgie shTite du (kraal, in « Melanges H.-C. Puech», Pa­
le. m ,| |Sui nosayriti o ‘alawiti clr. Rene Dussaud, Histoire et religion des
• V i , lui. Bouillon, Paris 1900, e Alain Nimier (pseudonimo di Abdallah
N.iam.m). /.0v Ala/rites, lùlitions Asfar, Paris 1987.I
H L A S C IE N Z A D E L L A B IL A N C IA

moderna ignora questa legge dell’essere integrale e non


fa dunque che mutilare l’integrità di ogni essere. A
chiunque consideri che la controparte invisibile, cele­
ste, degli esseri è oggetto di un’ipotesi o d’un atto di fe­
de, la scienza della Bilancia risponde mediante il princi­
pio che ne fonda e ne garantisce la necessità ontologica.
Da questo punto di vista, la conoscenza analogica come
forma tipica della scienza delle corrispondenze è sem­
pre una anafora (atto di portare in alto), una anagoge
(atto di far salire, elevare); la via analogica segue essen­
zialmente il senso anagogico (che conduce in alto), altri­
menti detto il senso della gerarchia degli esseri determi­
nata dalla funzione spirituale o esoterica assegnata a
ciascun grado.
E, a grandi tratti, quel che noi tentiamo di portare
alla luce da un’opera di teosofia shTita duodecimana in
corso d’edizione a Teheran. Essa ha per autore un
grande pensatore e spirituale shTita iraniano del xiv
secolo, Haydar Amoll filato nel 720/1320, morto dopo
il 787/1385). Haydar Amoll era spiritualmente un di­
scepolo del grande teosofo visionario andaluso, Ibn
‘Arabi, nella colossale opera del quale seppe ritrovare il
bene che apparteneva allo shTismo imàmita, pur man­
tenendo una grande libertà di spirito critico nei riguar­
di dell’imàmqlogia dello stesso Ibn ‘Arabi. Facendo que­
sto, Haydar Amoll ha segnato con la propria opera un
punto saliente nelle relazioni tra shTismo e sufismo. Ta­
le notevole opera, scritta parte in persiano parte in ara­
bo, era rimasta per lungo tempo inedita (come tante al­
tre); noi non abbiamo potuto rimetterla insieme e co­
minciare a pubblicarla che da qualche anno.1 L’opera
di cui analizzeremo alcuni capitoli è nel novero di quel­
le che l’autore ha scritto in arabo. Essa ha per titolo II
Testo dei Testi. Si tratta di un immenso commentario su

1 Su Haydar Amoll si veda la nostra opera En Islam, iranien: aspects spiri-


tuels et philosophiques, Gallimard,_Paris 1971-1972 (riedizione 1978), t, ni,
pp. 149-213. Si veda anche Haydar Amoll, La Philosophic sin ite: 1. Somme des
doctrines ésotériques (]ami al-asrar); 2. Traité de la connaisance de l ’ètre, testo
pubblicato con una doppia introduzione di Henry Corbin e Osman Yahya,
Bibliothèque Iranienne, voi. 16, Adrien-Maisonneuve, Teheran-Paris 1969.
LA S C IE N Z A D E L L A B IL A N C IA
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l'osùs al-hikam (Gemme della sapienza dei Profeti), li-


li ro nel quale Ibn ‘Arabi aveva condensato le dottrine
contenute nelle decine di migliaia di pagine che costi­
lo iscono l’insieme della sua opera.1
I prolegomeni del Testo dei Testi si caratterizzano, fra
l’altro, per un gran numero di diagrammi ingegnosa­
mente elaborati dall’autore (ce ne sono per l’esattezza
ventotto), il cui intento è quello di rendere percettibile
a livello dell’immaginale, intermediario fra la percezio­
ne sensibile e l’intuizione intellettuale, la struttura dei
mondi spirituali. Tali diagrammi hanno altresì la virtù
di una verifica spirituale sui generis dell’esplorazione
metafisica. Nell’opera di Haydar Amoli essi adempiono
a una funzione analoga a quella del Libro delle Figure di
<iioacchino da Fiore. Parecchi di essi sono un’illustra­
zione dei tratti della scienza della Bilancia. La loro for­
ma circolare ci invita, particolarmente quando si tratta
di ierostoria, a intendere le cose mediante un’Immagine
<lel tutto diversa da quella di una progressione tempo-
talc rettilinea e indefinita, solidale con l’idea evoluzio­
n i a e con un criterio d’interpretazione che fa ricorso
al concetto di causalità storica.
l'ale Immagine è quella dei cicli, dei cerchi o delle
•• cupole», come dicono certi testi nosayriti,2 che non
soltanto hanno la prerogativa di presentarci la succes­
si'»nc temporale finalmente consolidata nell’ordine di
una simultaneità spaziale, ma che sono inoltre i soli a

Si veda Haydar Amoll, Le Texte des Textes (Nass al-Nosùs [abbreviato in


■' ,// N I), prolégomènes au commentane des «Fosiis al-hikam » d'Ibn ‘Arabi,
l"il.l di' mio con una doppia introduzione di Henry Corbin e Osman Yahya,
l'"l limilna|iie tranienne, voi. 22, Adrien-Maisonneuve, Teheran.Paris 1974. I
1' .......... diagrammi dell’originale sono raggruppati alla fine della nostra edi-
...... I"'1 ragioni tecniche. Malgrado le sue dimensioni, quest’opera compat-
......... .. ontiene che i prolegomeni del commentario; l’edizione di quest’ulti-
........ 'ha sua totalità richiederebbe tre o quattro altri volumi delle stesse di-
......■ ""il. I Delle Forait al-hikam esiste una traduzione italiana parziale: La
a d<7 Profeti, a cura di Titus Burckhardt, Mediterranee, Roma 1987.]
Sulla concezione nosayrita delle «cupole» della ierostoria si veda il no­
ie. .111nolo I ine liturgie ehi ite dii Graal, in «Mélanges H.-C. Puech », Pa-
" "I ISui nosayriti o ‘alawiti cfr. René Dussaud, Histoire et religion des
onim , l id Bouillon, Paris 1900, e Alain Nimier (pseudonimo di Abdallah
I 111, /.e Alaieites, liditions Aslar, Paris 1987.J
16 L A S C IE N Z A D E L L A B IL A N C IA

rendere possibile e a poter illustrare un’applicazione


della scienza della Bilancia alla ierostoria. E questo per­
ché le figure e i personaggi, rispettivamente ripartiti nei
cerchi, non sono le cause storiche della loro successio­
ne gli uni dagli altri, ma sono gli omologhi gli uni degli
altri, assumendo nei rispettivi posti e ranghi una fun­
zione permanente. Solamente questa modalità percetti­
va permette in effetti che si dia una scienza delle corri­
spondenze.
A grandi tratti possiamo ancora dire che il pensiero di
Haydar Amoll «mette sulla bilancia» tre grandi libri.1
Vi sono dapprima quello che in virtù di un versetto co­
ranico (41,53) egli chiama «Libro degli orizzonti», e il
«Libro delle Anime» o del microcosmo o mondo del­
l’uomo (Kitàb anfosi). Questi due libri corrispondono a
ciò che Paracelso nel suo Astronomia magna o Philo-
sophia sagax denomina « Cielo esteriore » e « Cielo inte­
riore ». Potremmo con altrettanta opportunità riferirci a
Swedenborg. C ’è infine il terzo libro, che è il libro rive­
lato, ossia il Corano. La scienza della Bilancia, applicata
alle figure omologhe che si corrispondono nei tre libri,
metterà in evidenza non delle « leggi matematiche » nel
senso che questa espressione possiede ai giorni nostri,
ma delle relazioni aritmologiche, le sole in grado di «mi­
surare » il luogo e la funzione di tali figure omologhe.
Successivamente esamineremo la « Bilancia dei Sette
e dei Dodici» (corrispondenze fra l’astronomia del
Cielo visibile e l’astronomia del Cielo spirituale, fra la
gerarchia esoterica e le sue corrispondenze cosmiche);
la « Bilancia dei Diciannove », « misurante » la vicenda
della Misericordia divina che scende e risale di mondo
in mondo; la «Bilancia dei Ventotto», che è un aspetto
della Bilancia della ierostoria. I misteriosi personaggi
designati come «cavalieri dell’Invisibile» ci esprime­
ranno forse ancor meglio, per finire, che cosa sia il
mondo delle corrispondenze.

Cfr. N. al-N. (si veda nota 1 p. 15), §§ 669, 736.


II .

LA BILANCIA DEI SETTE E DEI DODICI

Le differenti applicazioni della scienza della Bilancia


ci inducono a studiare sei dei grandi diagrammi elabo­
rati da Haydar AmolT. Ciascuno d’essi comporta un
completo studio introduttivo al termine del quale il
diagramma stesso è presentato, poiché è soltanto allora
che gli scopi e la struttura ne divengono comprensibili.
I primi due mettono in opera la Bilancia dei Sette e dei
I iodici, illustrante, come già abbiamo detto, il tema
delle gerarchie esoteriche e delle loro corrispondenze
cosmiche. Un simile tema esige che si abbia presente il
Detto ispirato nel quale Dio in persona dichiara: «I
miei Amici sono sotto i miei tabernacoli (o sotto le mie
cupole). Nessuno li conosce al di fuori di me». Pur am­
mettendo dunque che esistano questi misteriosi perso­
naggi, che l’esoterismo occidentale, nel xvm secolo,
designava come i « Superiori sconosciuti», un tale Det-
io ci fa intendere come le loro funzioni e qualificazioni
siano puramente spirituali. Di conseguenza si parla sol­
iamo di categorie di persone, senza che sia possibile fa­
il- un riferimento preciso al tale o talaltro individuo no­
lo e vivente nel mondo. Pertanto non si chiederà agli
schemi che ci delineano la gerarchia degli «Amici di
I )io » la precisione e l’uniformità di un organigramma
d’azienda. Inoltre, fra tutti gli autori shfiti e sufi che
hanno trattato la questione esistono numerose e note­
voli varianti.1 Ci vorrebbe un intero libro per esporle e
coordinarle.
Oltre che dalla propria ispirazione personale, Haydar
A moli su questo punto è guidato principalmente da
due grandi maestri: Ibn ‘Arabi e Sa'doddln Hamuyeh
(morto nel 1252). In primo luogo si pone una questione

Per un’esposizione sommaria di tali varianti, cfr. la nostra opera En Islam


n,mifii..., cit., t. 1, pp. 120-127; t. iv, pp. 2S0 sgg. e indice s.v. hierarchies.
L A S C IE N Z A D E L L A B IL A N C IA

di vocabolario, ovvero il significato dei termini desi­


gnanti i gradi della gerarchia esoterica. Dal momento
che tutti i membri di questa sono designati come gli
Amici di Dio (in persiano Awliyà-e Khoda, Dustan-e
Haqq, termine che si ritrova, come abbiamo segnalato
altrove, nei Gottesfreunde della scuola mistica renana),
qual è innanzi tutto l’esatto significato del termine wait,
plurale awliydì
Nella maggior parte dei casi è stato tradotto in un
modo del tutto inadeguato, con il vocabolo «santo»,
traduzione che apre la porta a infinite confusioni e am­
biguità, al punto che, quando il termine è riferito a
Dio, viene sovente tradotto come «protettore». In ef­
fetti, come indicato dal vocabolo persiano dust, che ne
rappresenta la traduzione nell’uso corrente, si tratta
sempre dell 'Amico. Il concetto trae origine dalla forma
verbale tawalld, che significa «prendere per amico».
Da cui la definizione fornita da Haydar AmolT: il wait è
«colui che Dio prende in amicizia».1 Un versetto cora­
nico (7,195) ad esempio recita: «Il mio Amico è Dio
[...]. Egli prende i giusti come amici». L’idea di prote­
zione deriva soltanto da quella di dilezione divina.
La waldyat, come qualificazione spirituale posta da
tale atto di predilezione, equivale al termine mahabbat,
ossia amore, amicizia. Essa si mostra nel wait sotto un
duplice aspetto: in primo luogo, lo rende oggetto del­
l’amore divino (egli è il mahbilb, l’amato da Dio, colui
che Dio ha scelto per amico).12 Sotto questo aspetto, la
sua waldyat non è affatto una sua conquista, giustificata
dai suoi sforzi. Essa è preeterna, quale dono di pura
grazia divina, nel senso in cui il primo Imam, il Sigillo
degli Awliyd, potè dire: «Io ero già un ioal i (un amato
da Dio) quando Adamo era ancora fra l’acqua e l’argil­
la» (vale a dire non esisteva ancora). In secondo luogo
il waliMiene visto sotto l’aspetto del soggetto d’amore,

1 N. al-N., § 606.
2 E lo stato che designa il termine mahbùbiya, nome astratto formato dal­
la parola mahbub\ definisce la condizione dell’essere amato, ossia al-maqam
al-mahbfibì’ la mahbùbiya in quanto costituente una stazione o dimora misti­
ca (maqam).
I.A B IL A N C IA D E I S E T T E E D E I D O D I C I 19

i urne colui che ama (egli è il mohibb, colui che sceglie


I )m per amico).1 Questi ha allora il dovere di «model-
l.iic i propri costumi (il proprio ethos) sui costumi divi­
ni (<// Utkhalloq bi-akhlaq Allah). Solo a questa condi­
zione può essere detto amico nel vero senso del termine.
I ,.i ira/ayat consiste dunque nel fatto che il servo (‘abd),
I iionio, assume la condizione divina venendo meno a se
•.lesso per risorgere e sussistere in Dio, e ciò precisa-
mei11e «perché Dio l’ha scelto per amico».2 Si ha così
iin.i precisa reminiscenza giovannea nella spiritualità
della gnosi islamica, che fa eco al versetto dell’evangeli-
.1,1 inni non dicam vos servos sed amicos, quasi che tale
II iniiiiseenza svelasse la tradizione segreta che, attraver­
so khadija, la sposa del Profeta, e il monaco Waraqa, il
..........mesi ro-iniziatore, sarebbe passata nelle origini
'.le'.se dell’IsIàm.
I nel complesso di questi «Amici e Amati di Dio»
i lie si eosiituisce, in ragione di criteri puramente spin­
i l i . ili i lie sluggono al giudizio degli uomini, la gerarchia
« .oiei ica. Al suo sommo, in ogni periodo del ciclo del-
I i pioli-zia, c’è il Profeta, il Nabf. Si tratta dell’uomo
■ .ir.i Maio (n/ab'ùth) da Dio per chiamare gli uomini a
I »io Messo e liberarli dalle tenebre dell’ignoranza». La
ini ,mi me proletica è di due tipi: c’è la profezia didattica
(ut di m'irai (il-la’rTf); essa consiste nell’iniziazione alla
imo .i deH’ l '.ssenza divina, degli Attributi e delle Opera-
i«»111 divine. C ’è altresì la profezia normativa («o-
l'nii 'it 'al al tiishrV) che, oltre a ciò, comporta la missio­
ni di iilormare i costumi e di comunicare dei precetti
divini Iim i perché c’è, da un lato, il Nabfpropriamen-
n delio (equivalente, nei primi periodi della profezia,

I In a aio clic designa il termine mohibbìya, nome astratto formato dal-


! • ....... wnbibl>\ definisce al-maqàm al-mohibbt.\ la condizione dell’essere
ih. mi. . nine si azione o dimora mistica.
I »i . m ii.ie spulilo la replica del sesto Imam Ja‘far al-Sàdiq a un imper­
ino ni. . li. insinuava egli losse orgoglioso: «Niente allatto! Io non m’inor-
". li •" mi li-mie deierminazioni essendo state annientate da quelle di Dio,
ì . hi fi lindezza ha scaccialo la mia e ne ha preso il posto». Gir. Traités des
■ /•■ /.•//, no , /ut ,il/cr\ (Rasa’il-c (avanniardali). Rccucil de sept «Votowwat-
•"./■ pi il il linaio da Moricza Sanai, introduzione analitica di Henry
• hI.in lliMinilicquc Iranicnnc, voi. 20, Teheran Paris 1973, p. 35.
20 LA SCIENZA DELI .A Il 11 A N< I A

al wali del periodo moham madia no); e c'è, ila II'a II i <>la
to, il nabì-morsal (inviato a un popolo, a una una, a
una famiglia), e per eccellenza il Naia rasili, l'invialo
investito della missione di rivelare una nuova Legge
{sharVat).
In ciascun nabi, la walayat è la presupposizione del
suo carisma profetico, in mancanza del quale non
avrebbe senso considerare la sua manilesla/.ione come
quella dell’Uomo Perfetto. E in considerazione di lale
walayat che il suo erede e successore, l’ Imam, può esse
re considerato a sua volta come manilcsiazione di ll i lo
mo Perfetto, ed è parimenti la presenza della ira/ayat
che segna la differenza fra la concezione sminila e quel
la shl'ita dell’Imam. In effetti, la nozione ili Imam (la
«Guida», l’egumeno) comporta co //>ui quella ili raliflo
(vicario, successore). Si può intendere queslo lermine
nel senso d ’una successione dal Prole-la secondo Lordi
ne puramente exoterico. In queslo caso, il calillo ha cs
senzialmente la funzione sociale e poliiica di uu capo
temporale. Ma si può anche intendere la lunzione calil
fale nel senso in cui è detto che LI Ionio, IVItit/im/ms, c il
califfo di Dio sulla Terra. Così avvenne per i selle gran
di profeti legislatori, da Adamo a Mohammad, e all rei
tanto fu per gli Imam di ciascuno dei periodi del ciclo
della profezia. La funzione caliliale-, essendo del tulio
indipendente dalle scelte umane, poiché deriva dalla
walayat divina, investe perciò l’ Imam d’una lunzione
metafìsica sacrale, quella ricapitolala dalla nozione ili
«polo». Ecco perché ogni Imam, come il Proleia al
quale succede, dev’essere impeccabile, immacolato (è
la nozione dell’anamartétos nella profetologia giudai-
co-cristiana). Tale è la concezione shl’ita.1
Quest’ultima, come si vede, non si riduce aliano al­
l’idea di una discendenza materiale o di legittimismo
politico. Ecco perché non ha alcun bisogno di un rico­

1 Ed ecco perché l’Imàmato è al contempo una necessità e una grazia di­


vina, rispondendo all’intenzione del versetto coranico (6,54): «Il vostro Si­
gnore ha prescritto a se stesso la Misericordia». Cfr. N. al-N., $$ 609-611.
Sulle categorie dei profeti, il concetto d’Imim, il rapporto tra profezia e
Imam, cfr. Eri Islam iranien..., cit., t. iv, indice s.v.
LA B IL A N C IA D E I S E T T E E D E I D O D I C I 21

noscimento ufficiale da parte degli uomini; l’Imam resta


l’Imàm, persino quando è ridotto in clandestinità. Se, co­
me ogni profeta precedente, il profeta deU’Islàm ebbe, se­
condo lo shrismo duodecimano, dodici Imam quali suc­
cessori, insieme essi formano l’essenza mohammadiana
metafisica eterna (HaqTqat mohammadiya)-, la loro appar­
tenenza familiare terrena, per discendenza secondo la
carne, non ha che il senso, il fondamento e la funzione
di dimostrare la loro unione pleromatica preeterna. Es­
sa non attiene quindi alle contingenze giuridiche o po­
litiche delle storie dinastiche.
Abbiamo usato il termine «polo» (qotb). Esso desi­
gna una funzione fondamentale della gerarchia esote­
rica; ne è la chiave di volta ed è alla base di ogni pro­
getto di stabilire delle corrispondenze. Certo, si può
dire con Ruzbehàn Baqll di Shlràz, ad esempio, che gli
Awliyà sono gli occhi attraverso i quali Dio guarda il
mondo, e che essi sono pertanto i garanti mistici grazie
ai quali, all’insaputa degli uomini, il nostro mondo può
permanere nell’essere. Il polo domina ogni loro gerar­
chia: è, per eccellenza, ciò su cui si posa lo sguardo di
Dio sul mondo, e questo vale in ogni epoca, ed ecco
perché il polo, dal quale dipendono tutte le gerarchie
esoteriche, è segretamente ma assolutamente necessa­
rio alla conservazione dell’esistenza del mondo. Se per
un momento cessasse d’esistere, tutto il nostro mondo
cadrebbe in rovina. Ecco perché il polo è in rapporto
d’omologia con l’arcangelo Seraphiele, quello che, nel­
la tetrade angelica che sorregge il Trono cosmico, ha
per attributo la conservazione della vita in generale,
della vita del cosmo. Al polo incombe la conservazione
della vita nel senso interiore, nel senso spirituale, che è
per l’uomo la vita nell’autentico senso. Si tratta infatti
della vita che ormai è invulnerabile al pericolo della se­
conda morte, poiché ha già attraversato la prova della
morte mistica, da cui l’uomo risorge in grado non tanto
di affrontare Vexitus quanto di vivere la morte, vale a
dire di inoltrarvisi come un vivente. In breve, « ilpolo è
il principio dell’autentica vita degli uomini che popola­
no il mondo; è il luogo dello sguardo di Dio in ordine
22 L A S C IE N Z A D E L L A B IL A N C IA

alla visione che Dio ha degli esseri appartenenti ai


mondi visibili e invisibili».
La funzione polare culmina in quella del Polo mag­
giore, la funzione polare maggiore (qotblya kobrà), che
è quella del « polo dei poli ». Essa costituisce l’esoteri­
co della profezia e, in quanto tale, non può appartene­
re che all’Imam. Ogni Imam di ciascuno dei grandi
profeti è stato, a propria volta, il polo dei poli. Nell’at­
tuale periodo postmohammadiano tale qualificazione
spetta a colui che, come esoterico del Sigillo dei profe­
ti, è il Sigillo di tutti gli Amici di Dio, il dodicesimo
Imam - l’Imam presentemente nascosto, invisibilmente
presente a questo mondo fino al giorno della sua paru-
sia. E senza dubbio su questo punto che si rivela la dif­
ferenza tra la gerarchia esoterica nel senso shfita e
quella nel senso sufi, dal momento che i sufi non shT‘iti
hanno distinto i due concetti e trasferito alla propria
nozione di polo la funzione che lo shl'ismo aveva origi­
nariamente riservato all’Imàm. Il sufismo sunnita ha
così istituito in qualche modo un’imàmologia senza
Imam, come un cristianesimo che avesse istituito una
cristologia senza Cristo. Ecco da dove deriva una certa
ambiguità al vertice della gerarchia esoterica.
Ad esempio, il sufismo menziona al di sotto del polo
maggiore un personaggio designato come al-ghawth (il
soccorso, l’aiuto) di cui ci viene detto che è il polo du­
rante il tempo in cui si cerca rifugio presso di lui e se ne
riceve assistenza. È assistito da due Imam: uno alla sua
destra, il cui sguardo resta fisso sul Malakùt (il mondo
spirituale), l’altro alla sua sinistra, il cui sguardo è fisso
sul Molk (il mondo fenomenico visibile), e che è chia­
mato a succedere al ghaivth. Non si capisce bene come
i due Imam apparterrebbero al pleroma profetico dei
Dodici. Ci si può inoltre chiedere quale sia il rapporto
esatto del polo denominato ghaivth_con il polo mag­
giore. Su questi due punti, Haydar Amoll ci dà, alme­
no allusivamente, una risposta. E inteso che, se è esisti­
to un polo in corrispondenza con ciascuno dei sette
grandi profeti, è il settimo polo a essere il « polo dei po­
li », il più eminente e perfetto di tutti. E propriamente il
L A B IL A N C IA D E I S E T T E E D E I D O D I C I 23

Sigillo mohammadiano degli Amici di Dio, il dodicesi­


mo Imam, il Mahdl che deve venire, colui che il Profe­
ta ha annunciato dicendo: « Se non rimanesse che un
solo giorno d’esistenza a questo mondo, Dio prolun­
gherebbe tale giorno fino alla comparsa di un uomo
della mia discendenza il cui nome sarà il mio nome, e
che colmerà la terra di pace e di giustizia, così come fi­
no ad allora era stata ricolma di violenza e tirannia».
Di questo polo dei poli ci viene detto che più qualcuno
gli è prossimo, maggiore è la sua autorità, ed è il caso
del polo chiamato ghawth e dei suoi due Imam. Tutto
avviene dunque come se lo shTismo integrasse nella
propria gerarchia esoterica la triade composta dal
ghaivth, temporaneamente detto polo, e dai suoi due
Imam, subordinandola a colui che, nella sua misteriosa
e invisibile presenza, rimane fino alla fine del nostro ci­
clo il «polo dei poli», il dodicesimo Imam.1
Vengono poi gli altri membri della gerarchia esoteri­
ca. Ci sono i quattro Awtàd (plurale di watad): sono i
quattro pilastri o «paletti della tenda» cosmica, che
stanno ai quattro punti cardinali del mondo e sui quali
si posa lo sguardo di Dio quando guarda il mondo. Le
loro persone costituiscono il centro di tutta una rete di
corrispondenze che «mettono in bilancia» il simboli­
smo del Tempio cosmico e quello del Tempio della
Ka‘ba trasfigurato in Tempio spirituale. Questi quattro
Awtàd in effetti corrispondono rispettivamente ai quat­
tro arcangeli che sorreggono il Trono o Tempio cosmico:
Seraphiele, Michele, Gabriele e Azraele: nel medesimo
ordine, ciascuno corrisponde al cuore di uno dei quattro
grandi profeti: Adamo, Abramo, Gesù, Mohammad; cia­
scuno tipizza uno dei quattro angoli (o pilastri, arkàn)
del Tempio della K a‘ba: l ’angolo siriano, l’angolo occi­
dentale, l’angolo yemenita e l’angolo ‘iràqeno, quello
nel quale si trova incastonata la Pietra Nera.12

1 Cfr. N. al-N., §§ 612, 624-627. Sul « polo dei poli», si veda En IsIam tra-
nien..., c it. , t. iv, libro v i i : Il dodicesimo Imam e la cavalleria spirituale.
2 Cfr. N. al-N., §§ 612-618. Tutto ciò va comparato con lo schema delle
corrispondenze fra gli angoli del Tempio terreno della Ka'ba e quelli dei
templi superiori; si veda il nostro studio su La Configuration du Tempie de la
24 L A S C IE N Z A D E L L A B IL A N C IA

Ci sono quindi i sette Abdàl, alla lettera i « sostituti »,


i «permutanti», così chiamati per molte ragioni: sia
perché sono i « sostituti » dei poli dei sette climi; sia per­
ché, ritratti nei loro corpi sottili, possono abbandonare
i loro corpi fisici dove vogliono, senza che alcuno si ac­
corga della loro assenza o del fatto che tali corpi fisici
non sono che succedanei della presenza reale; sia per­
ché, a mano a mano che qualcuno di loro è richiamato
verso i mondi superiori, un membro di rango inferiore
ne prende il posto, gli viene sostituito.1 Questa gerar­
chia è interamente percorsa da un moto ascensionale
continuo.
Ci sono poi i quaranta Nojabà o principi spirituali: i
trecento Noqabà o capi spirituali, il cui nome è lo stes­
so che designa i capi delle dodici tribù d’Israele. Lascio
provvisoriamente da parte i misteriosi personaggi de­
nominati Rokbàn o Rokkàb, cavalieri o cavalieri dell’In­
visibile (infra, cap. v).
In breve, poiché qui dobbiamo limitarci a una espo­
sizione sommaria, senza entrare nel dettaglio delle mol­
teplici varianti, presento solamente lo schema della ge­
rarchia esoterica elaborato da un grande sufi shl'ita ira­
niano del xin secolo, Sa'doddln Hamuyeh, così come lo
riporta Haydar AmolT. Tale gerarchia degli Awliyd o
Amici di Dio comprende sette gradi: i. Il gruppo dei tre­
cento Noqabà, uomini di Dio che, come tutti gli Awliyà,
rimangono sconosciuti alla maggior parte degli uomini.
2. Il gruppo dei quaranta Nojabà. 3. 1 sette Abdàl. 4. Un
gruppo composto da cinque elementi di cui ci viene
detto soltanto che assicurano la continuità dell’essere.
5. I quattro Awtàd. 6. La triade formata dal ghaivth e
dai due Imam che lo assistono. 7. Il polo supremo o po­
lo dei poli. La somma dà il totale di trecentosessanta,
corrispondente ai trecentosessanta gradi della Sfera ce­
leste.
Tale gerarchia a sette livelli è il supporto di corri-

Kaba camme secret de la vie spirituelle, d’apres l ’amvre de Qàzi Sa‘Td


Qammì.\ in Tempie et contemplation [trad. it. in Idimmagine del Tempio, Bo-
ringhieri, Torino 1983].
1 Cfr. N. al-N., §§ 612, 616-617.
LA B IL A N C IA D E I S E T T E E D E I D O D I C I 25

spondenze molteplici: i. Il Polo supremo, come prima


manifestazione teofanica (mazhar), corrisponde alla Pri­
ma Essenza del mondo spirituale, che è la Prima Intelli­
genza. 2. La triade formata dal ghawth e dai due Imam
che lo assistono corrisponde alla Natura, alla Materia
prima e al corpo, mentre i due Imam, considerati sepa­
ratamente, sono posti in corrispondenza con lo Spirito
e l’Anima del mondo. 3. Le corrispondenze dei quattro
Awtad sono già state indicate più sopra. 4. Quanto al
gruppo dei cinque, essi simboleggiano rispettivamente
il Jabarùt (mondo delle Intelligenze arcangeliche), il
Malakut (mondo delle Anime celesti), il Molk (mondo
fenomenico), il mundus imaginalis {‘àlam al- miih al) o
mondo dell’Immaginazione assoluta {‘àlam al-khayàl al-
motlàq), infine l’Uomo Perfetto. 3. I sette Abdàl corri­
spondono ai sette astri e ad altre eptadi. 6. I quaranta
Nojabà corrispondono ai « quaranta mattini durante i
quali fermentò l’argilla d’Adamo». 7 . 1 trecento Noqabà
corrispondono ai rimanenti trecento gradi della sfera,
trecento giorni dell’anno.
Ma in effetti Haydar Amoll, secondo l’ispirazione
shTita, preferisce considerare che l’insieme di questi li­
velli gerarchici può ridursi a due gruppi: quello dei set­
te, che è il numero dei grandi profeti, e quello dei dodi­
ci, che è il numero dei dodici Imam, gli Aivliyà per ec­
cellenza, i quali, come sanno tutti gli iniziati (i khàssa),
sono le cause della persistenza e dell’ordine del mondo
spirituale.12Tale schematizzazione va peraltro a facilitare
un’applicazione della scienza della Bilancia che permet­
te di stabilire un più rigoroso sistema di corrisponden­
ze, le quali non sono affatto delle semplici metafore. In
effetti, come la persistenza e l’ordine del mondo este­
riore o del «Cielo esteriore» sono dovuti ai sette astri
erranti o pianeti e alle dodici fortezze [borj= jtùpyog,
torri alte) o Segni dello Zodiaco, così la persistenza e
l’ordine del mondo spirituale o «Cielo interiore» sono
fondati sui sette profeti e sui dodici Amici di Dio per

1 Cfr. N. al-N., §§ 622-623, 628.


2 Cfr. N. al-N., § 629.
26 L A S C IE N Z A D E L L A B IL A N C IA

eccellenza. Tale ritmo del sette e del dodici, l’eptade e


la dodecade, esprime una legge fondamentale dell’esse­
re, la «bilancia» stessa dell’essere. Così, come i pianeti
hanno il loro « domicilio » nelle dodici costellazioni zo­
diacali, allo stesso modo ogni profeta ha avuto i suoi
dodici Imam, dimore spirituali della religione rivelata
attraverso di lui.1
Pur seguendo_ assai da presso il suo maestro Ibn
‘Arabi, Haydar Amolt tiene a porre un accento perso­
nale sulle corrispondenze di queste gerarchie. Entram­
bi sono comunque del tutto concordi nel porre all’ori­
gine del gruppo eptadico i « sette Angeli estatici d ’amo­
re» (al-Malà’ika al-mohayyama al-saba) che Dio ha
creato nell’ottavo Cielo. Questi sette Angeli sono le for­
me teofaniche dei sette Nomi divini chiamati i «sette
Imam dei Nomi», e di cui i sette grandi profeti per le
proprie alte conoscenze furono, a loro volta, le forme
di manifestazione (.mazàhir) in questo mondo, come i
sette climi ricevono dai sette pianeti l’influsso e le vesti­
gia che comunicano ai loro abitatori. D ’altra parte, al­
l’origine del gruppo dodecadico, ci sono dodici Angeli
che Dio ha creato nel nono Cielo, la Sfera non costella­
ta (il Cielo Atlas), e di cui i Segni dello Zodiaco, nel­
l’ottavo Cielo o Cielo delle Stelle Fisse, sono non già le
effìgi ma le forme di manifestazione o le dimore. E da
tali dodici Angeli che i dodici Amici di Dio per eccel­
lenza, vale a dire il gruppo dei dodici Imam, ricevono le
alte conoscenze che trasmettono agli uomini, così come
i dodici segni zodiacali comunicano agli abitatori dei
diversi climi l’influsso e le energie che ricevono dalle
dodici entità angeliche del nono Cielo.12
La scienza della Bilancia applicata alla profetologia
produce dunque necessariamente l’interiorizzazione
dell’angelologia e dell’astronomia. Ma il ritmo identico
che queste alte scienze svelano procede dal mistero me­
desimo della teofania, ed è su questo punto che Haydar
Amoll intende porre l’accento. Risalire al mistero della

1 Cfr. N. al-N.y§ 630.


2 Cfr. N. al-N., §§ 631, 637.
LA B IL A N C IA D E I S E T T E E D E I D O D I C I 27

teofania è risalire al segreto della pluralizzazione del­


l’unica Essenza in forme di manifestazione o teofanie
molteplici. La sacrosanta Essenza divina, l’Essere pro­
priamente detto nel suo nascondimento, « ha perfezio­
ni d’essenza infinite; per ogni perfezione c’è un Attri­
buto o qualificazione; per ogni Attributo c’è un Nome;
per ogni Nome c’è un’Operazione (determinata e deter­
minante); per ogni Operazione essa riveste una forma
teofanica particolare (mazhar); sotto ogni forma teofa-
nica cela un certo segreto esoterico (sirr); a ogni segreto
esoterico corrisponde una certa scienza; a ogni scienza
corrisponde una certa sapienza (hikmat, theosophia)-,
per ogni sapienza esiste uno statuto (,hokm) che essa è
sola a conoscere». Ecco perché un versetto coranico
(2,272) recita: «Egli dona la sapienza a chi gli piace. A
colui al quale è stata donata la sapienza, è stato donato
un bene immenso. Ma solo gli intelligenti vi rifletto­
no». Questi «intelligenti» sono i Nabf, gli Imam, l’in­
tera assemblea degli Aioliya, gli gnostici, in breve Xélite
spirituale dell’umanità.1
I Nomi e gli Attributi divini formano dunque una ge­
rarchia corrispondente alle perfezioni dell’Essenza di­
vina, e, pur essendo infiniti, hanno delle fonti definite.
Tali fonti sono sette Attributi divini fondamentali: la
Vita (,hayat), la Conoscenza Cilm), la Potenza (qodra), la
Volontà (iràda), il Verbo (kalam), l’Udito [sani), la V i­
sta [basar], che postulano sette Nomi: il Vivente (.hayy),
il Sapiente (‘àlim), il Potente (qadir), il Desiderante
(inorici), il Parlante (motakallim), l’Uditore (sami1), il
Veggente (basir). Questi sette Nomi sono chiamati i
«sette Imam dei Nomi divini»,12 e costituiscono quindi
sette modalità teofaniche maggiori nel mondo spiritua­
le e in quello esteriore. In effetti la lista dei sette Imam
comporta delle varianti (si veda la tabella più oltre). Nel
mondo spirituale le forme epifaniche sono i sette gran­

1 Cfr. N. al-N., § 632.


2 Cfr. Kleinere Schriften des Ibn al-'Arabi, a cura di H.S. Nyberg, Leiden
1919, pp. 73 (i sette Imam dei Nomi), 113-114 (il polo, Tlmàm) e pp. 30, 33-
36, 48-49, 170 del testo arabo.
2 L A S C IE N Z A D E L L A B IL A N C IA

di profeti: Adamo, Noè, Abramo, Mosè, Davide, Gesù,


Mohammad. Nel mondo esteriore, corrispondente ai
«sette Angeli estatici d’amore» di cui i sette profeti so­
no le forme di manifestazione, ci sono i sette pianeti:
Sole, Giove, Marte, Saturno, Venere, Mercurio, Luna.
Parimenti ci sono i sette climi corrispondenti all’ordine
dei sette pianeti; ci sono le sette terre e le popolazioni
che le abitano; ci sono i sette gradi dell’Inferno {infra,
cap. iv); ci sono i sette giorni della settimana e altre ep-
tadi ancora.
Abbiamo dunque da un lato i sette grandi profeti,
con la missione di rivelare un Libro, in corrispondenza
ai sette Imam fra i Nomi divini: i. Adamo è la forma di
manifestazione (.mazhar) del Nome divino «il Viven­
te».1 2. Noè, quella del Nome divino «il Desiderante».
3. Abramo, quella del Nome divino «il Potente». 4.
Mosè, quella del Nome divino «il Parlante». 3. Davide,
quella del Nome divino « l’Uditore». 6. Gesù, quella
del Nome divino «il Veggente». 7. Mohammad, quella
del Nome divino «il Sapiente». Dall’altro lato, dichia­
ra Haydar Amoll, «Se hai bene approfondito ciò, avrai
compreso che le sette Sfere celesti sono analogamente
ciascuna la manifestazione di un Nome divino», mani­
festando insieme sette Nomi divini che, a eccezione di
uno solo (il Sapiente), sono diversi dai sette Imam no­
minati in precedenza. 1. Il Cielo di Saturno è la forma
di manifestazione del Nome «il Provvidente» {razzàq).
2. Il Cielo di Giove, quella del Nome divino «il Sapien­
te». 3. Il Cielo di Marte, quella del Nome divino «Il
Trionfante» iqahhàr). 4. Il Cielo del Sole, quella del
Nome divino «la Luce» {Niir). 5. Il Cielo di Venere,
quella del Nome divino «il Configuratore» (mo-
saunair).2 6. Il Cielo di Mercurio (Hermes), quella del

1 « Adamo è la forma epifanica del Nome il Vivente, poiché è il primo in­


dividuo della specie umana che fu manifestato nell’esistenza visibile; è vi­
vente della Vita del Creatore, ed è a sua cagione che il complesso del mondo
è vivente, in ragione del versetto coranico (15,29): “Ho insufflato in lui il
mio Spirito”, e del seguente Detto del Profeta: “Dio creò Adamo a propria
immagine”». N. al-N., § 634.
■' Clr. il versetto coranico (59,24): «E il Creatore (khàliq), il Formatore
(bari), il Configuratore (mosawwir)».
L A B IL A N C IA D E I S E T T E E D E I D O D I C I 29

Nome divino «il Formatore» (bari). 7. Il Cielo della


Luna, quella del Nome divino «il Creatore» (khàliq).'
Seguendo l’ordine in cui le corrispondenze sono
enumerate dall’autore, possiamo ricapitolarle nella ta­
bella seguente.

I sette Imam I sette Imam


I sette Cieli I sette profeti
dei Nomi divini dei Nomi divini

Saturno Il Provvidente Adamo Il Vivente


Giove Il Sapiente Noè Il Desiderante
Marte Il Trionfante Abramo Il Potente
Sole La Luce Mosè Il Parlante
Venere Il Configuratore Davide L’Uditore
Mercurio Il Formatore Gesù Il Veggente
Luna Il Creatore Mohammad Il Sapiente

Occorre aggiungere che ciascuno dei sette climi è la


forma di manifestazione di uno dei sette pianeti, alla
complessione della quale corrisponde quella degli abi­
tatori del rispettivo clima. Ciascuno dei sette climi cor-
risponde a uno dei sette profeti e a uno dei sette poli.
Haydar Amoll ritiene che nessuno prima di lui avesse
mai stabilito un sistema di corrispondenze tanto com­
pleto. Si potrebbe comunque osservare che gli ismailiti
hanno raggiunto l’eccellenza in tale arte. L’idea profon-

' N. al-N., §§ 633-634. In altri passi Haydar Amoll indica alcune varianti
che giudica del tutto accettabili. Ad esempio: « Ciascuno dei profeti, Awliyà,
Imam, è in atto la forma di manifestazione d’un Nome fra i Nomi divini, ed
è, virtualmente, la forma di manifestazione deH’insieme dei Nomi, secondo
il versetto coranico (2,29): “Egli insegnò a Adamo l’insieme dei Nomi”. Noè
fu in atto la forma di manifestazione del Nome il Clemente {halem); Àbra­
mo, quella del Nome il Provveditore {razzàq)\ Davide, quella del Nome il
Forte {qawiyy); Mosè, quella del Nome il Manifestato (zàhir); Gesù, quella
del Nome il Nascosto {bàtin)\ Mohammad, quella del Nome il Saggio
ihakìm)». § 745. O ancora: «Se tu dici che Adamo è la forma di manifesta­
zione del Nome il Vivente {hayy)\ Noè, quella del nome il Potente (qàdir);
Abramo, quella del Nome l ’Uditore (.sami)\ Davide, quella del Nome il Veg­
gente (ham’); Mosè, quella del Nome il Parlante {motakallim)\ Gesù, quella
del Nome il Desiderante (morfd); Mohammad, quella del Nome il Sapiente
Calim) - ebbene, è del tutto accettabile». § 746.
3° L A S C IE N Z A D E L L A B IL A N C IA

da del nostro autore, nell’associare profetologia e astro­


nomia, consiste in quanto segue: se l’ordine e il sistema
dell’universo sono regolati dal cammino dei sette pia­
neti che percorrono le loro dimore zodiacali, l’ordine e
il sistema del mondo spirituale riposano sui sette profe­
ti, di cui i dodici Awliyà, quelli che vengono detti gli
Imam, i poli, gli eredi (awsiyà), sono le tappe della loro
religione in cammino. Unità profonda che rivela e giu­
stifica la bilancia di tali forme epifaniche: i sette Attri­
buti corrispondono ai sette nomi divini o Imam dei N o­
mi; ai sette Nomi corrispondono i sette pianeti, i sette
profeti, i sette poli, e così via.1
In effetti il pensiero di Haydar Amoll è troppo vici­
no a quello di Ibn ‘Arabi perché fra i due vi sia, su que­
sto punto almeno, una differenza seria. Pertanto, dopo
aver esposto il proprio punto di vista circa il sistema
dei sette, il nostro autore si accontenta di menzionare
uno schema di Ibn ‘Arabi basato sui sette Abdàl. Q ue­
sti ultimi sono i sette misteriosi personaggi addetti ri­
spettivamente alla salvaguardia dei sette climi. Essi so­
no assistiti dall’entità angelica reggente ciascuno dei
sette Cieli, e ricevono l’influsso dell’energia spirituale
promanante rispettivamente da ciascuno dei profeti i
quali, secondo le narrazioni del Mi'ràj (l’ascensione ce­
leste del Profeta durante una notte d’estasi), risiedono
in ognuno di tali Cieli. Sono nominati qui: Abramo,
Mosè, Aronne, Idrls (identificato con Enoch e Hermes),
Giuseppe, Gesù, Adamo. Nel cuore di ciascuno dei set­
te Abdàl, ogni giorno e a ogni ora, si produce una teofa­
nia determinata dal patrono di tale ora e giorno, vale a
dire in funzione dei segreti esoterici che nascondono i
movimenti dei sette Cieli e la loro assegnazione al ri­
spettivo profeta.2 Questa indicazione sembra alludere a
qualcosa di simile a un orario o calendario liturgico eso­
terico.
Tale è a grandi tratti l’insegnamento di Haydar
Amoll riguardo alla Bilancia dei Sette. Quanto alla Bi-

N. til-N.. §635.
N. ni-N., § 636.
LA B IL A N C IA D E I S E T T E E D E I D O D I C I 31

lancia dei Dodici, egli procede allo stesso modo, comin­


ciando con il fornire il proprio punto di vista, per
esporre poi un sistema d’astronomia angelologica assai
complesso desunto da Ibn ‘Arabi. In precedenza ci ha
mostrato come i Dodici traggano origine dai dodici A n­
geli creati in principio ilei nono Cielo o Cielo Atlas,' ai
quali corrispondono, dal momento che ne ricevono
l’influsso spirituale, da una parte i dodici Amici di Dio
che sono i dodici Imam, e dall’altra i dodici Segni dello
Zodiaco. Questa dodecade segna l’equilibrio e l’equità
conformi a uno statuto divino primordiale: è la bilancia
dell’essere per eccellenza. La si ritrova nei dodici capi
(.noqabà) delle tribù d’Israele,12 nelle dodici sorgenti
sgorgate dalla roccia dell’Horeb colpita dal bastone di
Mosè. Ecco anche perché ognuno dei grandi profeti le­
gislatori è stato seguito da dodici eredi (wasi) o Imam.
Volta a volta Adamo, Noè, Abramo, Mosè, Davide, G e­
sù, Mohammad hanno avuto i loro dodici Imam. Il loro
elenco è ben conosciuto nello shl‘ismo duodecimano,
come già stabilito da Mas'ùdl.3 Purtroppo, se i nomi
dei dodici Imam del Sigillo dei profeti sono ben cono­
sciuti, i nomi degli altri sono stati in gran parte alterati
dai copisti e sono assai difficilmente riconoscibili. Tut­
tavia, Bibbia alla mano, se ne può identificare un certo
numero. E questo è impressionante. Poiché è difficile
credere che gli gnostici shl‘iti li abbiano inventati di sa­
na pianta; su questo punto essi devono essere gli eredi
di una tradizione gnostica giudeo-cristiana passante
per il Profeta medesimo e di cui noi ancora non riuscia­
mo a trovare le tracce.4

1 La radice tls connota l ’idea di cancellazione (della scrittura, ad esempio);


la parola tils designa un foglio su cui uno scritto sia stato cancellato; atlas, ciò
che sia del tutto unito, liscio, come la nona Sfera, che non è costellata.
2 Cfr. i versetti coranici 5,15: «Dio ricevette il pegno dei figli d’Israele.
Noi suscitammo fra essi dodici capi» e 7,160: «Noi li abbiamo divisi in do­
dici tribù». Cfr. Nicolas Séd, La Cosmologiejuive. 1. La mystique cosmologi-
que (Thèse Sorbonne 1970, dattiloscritto, pp. 374 sgg., «Le symbolisme zo­
diacal des douze tribus»).
Nel suo Kitàb Ithbàt al-iuasTya, Najaf, s.d.
4 N. al-N.y §§ 638-645. Beninteso, la trasmissione dell’eredità {ivasìya) di cia­
scun profeta attraverso dodici Imam non va confusa con l’ascendenza del Pro­
feta, che rimonta fino a Adamo, e con la trasmissione della « Luce mohamma-
32 L A S C IE N Z A D E L L A B IL A N C IA

Perciò ognuno dei sette profeti legislatori ebbe il


compito di preparare e di educare un erede spirituale
(wast) o Imam, al quale dovette affidare i segreti esote­
rici della sua profezia, quelli del Libro che gli era stato
rivelato, affinché tale erede fosse dopo di lui un testi­
mone e un garante (hojjat) davanti al suo popolo, e la
sua comunità non disponesse arbitrariamente, secondo
i capricci e le fantasie individuali, del Libro e della sua
ermeneutica (come sh f ita Haydar Amoll ritiene che sia
stata la ripulsa deH’Imàm da parte di una frazione della
comunità a causare la sventurata confusione e corru­
zione regnante nell’IsIàm). I dodici eredi (awsiya) o
Imam (guide) di ogni profeta hanno dunque dovuto
conservarne la Parola, il Verbo, mantenerne in vita la
shari at per tutto il ciclo della sua da'ivat (il suo annun­
cio, il suo kerygma), fino alla venuta di un nuovo profe­
ta. Quelli del periodo mohammadiano, fino alla parusia
finale del dodicesimo d’essi, sono i guardiani della cau­
sa divina.1 Il Libro è un Imam silenzioso, l’Imam è il L i­
bro parlante, poiché ne enuncia il ta’wil, l’ermeneutica
spirituale. Il pleroma dei dodici Imam mohammadiani
è il Sigillo della walàyat di tutti gli Imam eredi dei pro­
feti precedenti. E il Sigillo dell’Imàmato mohammadia­
no è il dodicesimo Imam, il Mahdl che deve venire, an­
nunciato dal Profeta medesimo.2
Tale messa in opera della Bilancia dei Dodici corri­
sponde fondamentalmente alle preoccupazioni di un
pensatore shTita duodecimano. Haydar Amoll quindi
ci mostra la posizione di Ibn ‘Arabi, nello sviluppo del-

diana» di profeta in profeta. La questione degli antecedenti giudeo-cristiani è


stata ripresa in termini nuovi da Jean-Claude Vadet, Les Hamfs, «La plus
grande Loi de Moi'se », les Saintes Myrìades et la naissance de Vexégèse islamique,
in « Revue des Etudes juives», aprile-dicembre 1971, pp. 165-182.
1 Sono gli ùlu-l-amr, banalmente tradotti «i detentori dell’autorità ».
Amr llàhih qui la res divina, la cosa divina, la « causa », secondo l’etimologia
stessa del termine.
2 N. al-N.y§§ 646-650. Numerosi sono i Detti nei quali il Profeta annun­
cia che ci saranno dodici Imam dopo di lui, ovvero che dopo Hosayn (terzo
Imam) ce ne saranno altri nove, e che il nono sarà il Qa’im, l ’Imàm della Re­
surrezione. Sulla dodecade come legge dell’essere, che pone in corrispon­
denza la struttura dell’Imàmato e quella del Tempio della Ka‘ba, cfr. il no­
stro studio su QàzT Sa‘Td QommI, citato supra, nota 2 p. 23.
L A B IL A N C IA D E I S E T T E E D E I D O D I C I 33

la sua astronomia angelologica. Dio Altissimo ha costi­


tuito in principio un’eptade arcangelica, quella degli
«Angeli estatici d ’amore», apparentemente identici ai
Cherubini (.Karùbryùn). Egli ha fatto di uno di questi
un ciambellano, al quale ha affidato tutta la propria
scienza concernente la Creazione; tale Angelo è l’epifa­
nia di questa stessa scienza. Qui inevitabilmente si pen­
serà al « Cherubino sul Trono » della gnosi ebraica, de­
signato come Metatron, Yahohel.1 Qui il Cherubino,
principe della Corte celeste, è designato, da una lettera
dell’alfabeto arabo, come l’Angelo Nun, in riferimento
al versetto coranico 68, i in cui si trova questa invoca­
zione: «Per il Nun e per il Cala?no, e per quello che scri­
vono». In effetti, Dio a tale Angelo ne ha subordinato
un altro, il Calamo (qalam) o lo Scriba (kàtib), il quale
riceve l’epifania della scienza divina attraverso l’Angelo
Nun. Dall’uno all’altro Angelo, la scienza divina viene
determinandosi passando da uno stato di conoscenza
globale e sintetica a un ordine di conoscenza analitico
del dettaglio degli esseri. Mentre per l’Angelo Nun l’epi­
fania divina si produce mediante il Nome «il Sapien­
te», in un’unica teofania universale, per l’Angelo detto
Calamo o Scriba si produce mediante il Nome divino
«il Potente», in una teofania duplice. In effetti, più si
scende nella gerarchia delle Intelligenze, più di neces­
sità le teofanie si moltiplicano, laddove l’unicità rap­
presenta il segno della superiorità ontologica. L’Angelo
che è il Calamo o lo Scriba è addetto alla redazione e al­
la stesura del gran Libro dell’essere. Per lui è stata pre­
parata una « Tavola sacrosanta » (Lawh), su cui egli deve
scrivere tutto quel che avverrà fino al giorno della Re­
surrezione. Altrove, Ibn ‘Arabi dirà che la Tavola sacro­
santa è, per l’Intelligenza detta lo Scriba, in un rapporto
analogo a quello intercorrente fra Adamo ed Èva.2

' Cfr. Gershom Scholem, Les Origines de la Kabbale, Paris 1966, indice
s.vv. Chérubin, Yahohel [Le origini della Kabbalà, EDB, Bologna 1980] e 3
Enoch or the Hebrew Book o f Enoch, Cambridge 1928, pp. 82, 189 sgg, del­
l’introduzione, pp. 172 sgg. della traduzione.
2 Cfr. Kleinere Schriften..., cit. [supra, nota 2 p. 27), p. 49 (sugli Anvah
mohayyama, gli Spiriti estatici d’amore) e p. 55 del testo arabo.
34 L A S C IE N Z A D E L L A B IL A N C IA

Quanto al numero delle conoscenze e delle scienze che


l’Angelo scriba è incaricato di scrivere, corrisponde a
trecentosessanta (i gradi della Sfera celeste) moltiplica­
to per se stesso.1
In seguito, Dio ha costituito dodici governatori della
sua Creazione; li ha fatti discendere dalla Sfera supre­
ma (il nono Cielo), dando loro quale residenza le dodi­
ci fortezze simili alle alte torri addossate ai bastioni di
una città; tali fortezze sono le dodici costellazioni zo­
diacali nell’ottavo Cielo. Egli ha sollevato tutti i veli fra
di loro e la Tavola sacrosanta, di modo che essi vedano
scritti sulla medesima Tavola i loro nomi e i rispettivi
ranghi, e nel contempo vedano scritti in se stessi tutti
gli eventi a venire fino al giorno della Resurrezione.12
Al di sotto di questi dodici governatori nel Cielo su­
premo sono costituiti ventotto ciambellani, posti al lo­
ro servizio. Le loro rispettive dimore sono le ventotto
stazioni che la Luna occupa successivamente nel corso
di ogni lunazione. Il loro numero corrisponde a quello
delle lettere dell’alfabeto arabo e, beninteso, rifarà la
sua comparsa nella Bilancia dei Ventotto.3A loro volta,
i dodici ciambellani hanno dei delegati, ovvero sette no-
qabà (o capi spirituali) nei sette Cieli (Intelligenze o
Ànime motrici dei sette Cieli). Sono questi noqabà (ab­
biamo già incontrato questo termine nella nomenclatu­
ra della gerarchia esoterica) a essere incaricati di estrar­
re e porre in atto quel che si trova in potenza nei dodi­
ci governatori. Al servizio di questi ultimi ci sono anco­
ra quelli che Ibn ‘Arabi designa come i «guardiani del
Tempio» (sadana),4 e miriadi d’aiutanti comprendenti
dodici categorie corrispondenti ai dodici governatori. I
loro nomi figurano nel Corano, e così Ibn ‘Arabi è in
grado di sistematizzare per la prima volta l’angelologia
coranica. I nomi di queste dodici categorie d’entità an­
geliche sono i seguenti. Ci sono « quelli che allontana-

1 N. al-N., §§ 651-652.
2 N. al-N., S 653.
J N. al-N., S 654.
4 Per il termine sadana cfr. Kleinere Schriften..., cit., p. 74 e pp. 36-38 del
testo arabo.
L A B I L A N C IA D E I S E T T E E D E I D O D I C I 35

no» (37,2); «quelli che recitano» (37,3); «quelli che


distribuiscono» (51,4); «quelli che sono inviati»
(77.1) ; «quelli che spargono» (77,3); «quelli che strap­
pano» (79,1); «quelli che tolgono con dolcezza»
(79.2) ; «quelli che precedono» (79,4); «quelli che
nuotano» o «navigano» (79,3); «quelli che comunica­
no la parola» (77,5); «quelli che conducono gli affari
dell’universo » (79,5); « quelli che sono schierati in ran-
ghi» (37^1 )•1 , , , • „
L’idea è dunque che tutto quel che sta scritto sulla
Tavola sacrosanta richiede necessariamente l’intervento
delle predette gerarchie angeliche per passare allo stato
attuale in questo mondo; sono tali gerarchie che fanno
progressivamente entrare nel mondo le disposizioni del
«decreto» (qazà) e del «destino» (qadar) scritte sulla
Tavola sacrosanta, mentre non hanno il potere di far en­
trare nel mondo nulla che non sia scritto sulla Tavola in
questione. Tutte queste gerarchie sono subordinate ai
dodici ciambellani, tranne, beninteso, i «Sette Spiriti
estatici d’amore», che sono gli intimi di Dio. Di questi
intermediari, la maggior parte degli uomini non vede
che le dimore. Ma all’élite spirituale, ci dice Ibn ‘Arabi,
accade di vederli nelle loro dimore, come la maggior
parte degli uomini vede i corpi celesti senza scorgere le
persone dei ciambellani né i noqabà.2

' N. al-N., § 658. Tuttavia Haydar Amoh taglia la citazione di Ibn 'Arabi
e non nomina in dettaglio le dodici categorie d’Angeli; la conoscenza dei lo­
ro nomi non è però irrilevante per comprendere il diagramma n. 8 (qui fig.
i, si veda nell'Appendice). La citazione di Ibn Arabi è tratta dalle Fotuhat
I, p. 296: « Ci sono quelli che notte e giorno salgono da Dio verso di noi e da
noi verso Dio, ogni mattina e ogni sera, e non dicono che bene a nostro pro­
posito. Ci sono quelli che intercedono per chiunque sia in Terra, e altri che
intercedono soltanto per i credenti, poiché lo zelo divino (o la gelosia divi­
na) predomina in essi, come la misericordia predomina in quelli che interce­
dono per chiunque sia in Terra. [...] Ci sono quelli preposti all ispirazione e
che fanno giungere le conoscenze nei cuori [...]. Ci sono quelli preposti al­
la formazione di quel che Dio fa porre nelle matrici; ci sono quelli preposti
all’insufflazione degli Spiriti; ci sono quelli che hanno la funzione di mante­
nere e provvedere... Nessun evento accade nel mondo senza che Dio abbia
affidato a degli Angeli la cura di farlo accadere ». Ibn 'Arabi enumera poi le
dodici categorie d’entità angeliche citate nel nostro testo. Le si trova men­
zionate anche in Kleinere Schriften..., cit., pp. 76-78 del testo arabo.
2 N. al-N ., §§ 6 5 7 -6 5 8 .
36 L A S C IE N Z A D E L L A B IL A N C IA

Haydar Amoll si scusa d’aver citato tanto a lungo Ibn


‘Arabi, ma ne aveva bisogno per corroborare il suo stes­
so concetto della collocazione dei dodici Imam dello
shfismo in funzione della Bilancia dei Sette e dei Dodi­
ci. Eccolo dunque in grado di elaborare un primo dia­
gramma (fig. i = diagramma n. 8, si veda infra descrizio­
ne dettagliata nell’Appendice), ponendo in corrispon­
denza il mondo spirituale dei sette profeti e dei dodici
Imam con le eptadi e le dodecadi del mondo esteriore.
Ecco qui una breve descrizione del primo diagram­
ma.1 Iniziando la lettura dall’alto, da destra a sinistra,
leggiamo successivamente, nei dodici piccoli cerchi in­
scritti sulla corona periferica, precisamente nella metà
esterna di ogni cerchio, i nomi dei dodici Segni dello
Zodiaco, dimore rispettive dei dodici Angeli-governa­
tori (Ariete, Toro, Gemelli, ecc.). Nella metà interna di
ogni piccolo cerchio si trovano i nomi delle dodici cate­
gorie angeliche al servizio dei dodici Angeli-governato­
ri che hanno le loro dimore nei dodici Segni dello Z o­
diaco (quelli che allontanano, quelli che distribuisco­
no, ecc.). I dodici sono sistemati a gruppi di tre. Nella
parte esterna della corona, fra ogni triade è inscritta
una terna tratta dai dodici mesi dell’anno. In alto a de­
stra: Moharram, Safar, R abf I, ecc. Nella parte interna
della corona, quattro Nomi divini: il Primo, l’Ultimo, il
Rivelato, il Nascosto. Al centro, un doppio cerchio pa­
rimenti formante una corona circolare, nella quale sono
inscritti sette piccoli cerchi. Nella parte esterna alla co­
rona di ogni piccolo cerchio si trovano i nomi dei sette
pianeti. A partire dall’alto: Sole, Giove, Venere, Mer­
curio, Luna, Marte, Saturno. Tali pianeti sono messi ri­
spettivamente in corrispondenza con l’Intelligenza,
l’Anima, la Natura, la Materia prima, il Corpo, il Trono,
il Firmamento, i cui nomi sono scritti nella metà inter­
na dei cerchi. Al centro un piccolo cerchio porta scrit­
to: «il mondo manifestato» (di cui il diagramma pre-

1 Si veda più in dettaglio, alla fine del presente testo, nell’Appendice che
accompagna la riproduzione dei diagrammi, come essi appaiono nel conte­
sto arabo del N. al-N. Si noterà, in questo primo diagramma, l’assenza dei
«ventotto ciambellani».
L A B I L A N C IA D E I S E T T E E D E I D O D I C I 37

senta il sistema di corrispondenze). Agli angoli della fi­


gura, quattro cerchi recano rispettivamente una dupli­
ce iscrizione: i. L’Intelligenza, L’Uomo. 2. L’Anima,
L’Angelo. 3. La Natura, Il Genio (jinn). 4. Il Corpo,
L’Animale (il vivente).
Prima di passare al diagramma seguente, che presen­
terà il sistema di corrispondenze del mondo spirituale,
dobbiamo seguire le considerazioni di Haydar Amoll.'
Qui la Bilancia dei Sette e dei Dodici in qualche modo
va a costituire la bilancia fra la temporalità del tempo
spirituale, esoterico, e quella del tempo storico, exote-
rico.
Analogamente ai nostri autori, Haydar Amoll e Ibn
‘Arabi, dobbiamo tener presente al nostro orizzonte
l’idea che, nella teosofia islamica, corrisponde a quella
della preesistenza del Logos nella teologia cristiana. Nel
caso islamico il Logos preesistente si chiama HaqTqat
mohammadtya, la Realtà mohammadiana eterna, Logos,
Luce e Spirito Santo della profezia mohammadiana
(nella prospettiva shTita, essa è costituita da Quattordi­
ci Eoni di luce: quelli del Profeta, di sua figlia Fatima e
dei dodici Imam). Tale Spirito mohammadiano, desi­
gnato come Spiriti!s Rector (al-Ruh al-modabbir), pree­
siste dunque nel mondo del Mistero {‘alani al-ghayb), il
mondo spirituale non manifestato, e ciò corrisponde a
quanto il Profeta ha espresso nel Detto: «Io ero già un
profeta, quando Adamo era ancora fra l’acqua e l’argil­
la (ossia non esisteva ancora) ».
Tale idea tende a imporre quella di una inversione
del tempo, idea che di per sé presuppone per il tempo
una forma ciclica. Un primo ciclo si stabilisce grazie al
nome «il Nascosto» (,al-Bàtin - il nascosto rispetto a
noi), nel senso che la realtà o Essenza profetica moham­
madiana è presente in maniera occulta, segreta, esote­
rica nella missione di tutti i profeti delle « religioni
del Libro » che hanno preceduto la manifestazione di
Mohammad. Si può qui rilevare una esemplificazione
del motivo del Verus Propheta della profetologia giudeo-

N. al-N.y §§ 663-665.
38 L A S C IE N Z A D E L L A B IL A N C IA

cristiana. Dicendo: «Io ero già un profeta prima che


Adamo fosse creato », non semplicemente un « uomo »
o un «essere», il Profeta ha significato che già allora
era detentore del carisma profetico, prima di tutti i pro­
feti che furono rispettivamente « forme di manifestazio­
ne o d’epifania» (.mazàhir) nelle quali il Profeta eterno,
il Vents Propheta, era segretamente nascosto. Tale ciclo
si compie con la sua manifestazione fisica in questo
mondo. Si produce allora un’inversione dei tempi con
l’inaugurazione di un nuovo ciclo, quello del Nome «il
Manifestato» (al-Zdhir - il Manifestato rispetto a noi).
Se il Profeta stesso ha dichiarato che « il tempo ha una
forma ciclica (istidàrat al-zaman) », è per significare che
al momento della sua epifania terrena il tempo era tor­
nato alla sua posizione iniziale, quale era nel momento
in cui Dio lo creò (idea del thema mundi). L’Essenza
metafisica mohammadiana fu all’origine della missione
dei profeti; nella sua epifania terrena, essa è il Sigillo fi­
nale della profezia e dei profeti. Il punto che è simulta­
neamente la fine del ciclo della profezia, ove la profezia
mohammadiana rimane occulta, e l’inizio del ciclo del­
la sua manifestazione è parimenti il punto che segna un
momento d’equilibrio privilegiato fra il Nascosto e il
Manifestato.
L’idea di un punto che è insieme punto iniziale e pun­
to finale e che implica, come tale, l’idea di un ritorno al­
l’equilibrio mediante il movimento del tempo concepito
sotto forma ciclica, è un’idea che orienta l’analisi verso
un aspetto in cui, sotto la nozione di tempo (zamàn), si
scopre quella della stessa Bilancia (,muàn). L’analisi è
facilitata da una prassi consentita dall’algebra filosofica
o scienza filosofica delle lettere film al-honij), che è ben
conosciuta anche dai Cabbalisti ebrei. Bisogna infatti
considerare che le consonanti che formano la parola
ZaMaN (tempo) sono esattamente quelle che formano la
parola MrZaN (bilancia). Ora, il valore di una parola
non cambia se si inverte l’ordine delle consonanti che
ne sono i fattori. L’equivalenza così trovata fra il con­
cetto di tempo e quello di bilancia è corroborata da nu­
merosi versetti coranici nei quali si fa allusione alla Bi-
L A B IL A N C IA D E I S E T T E E D E I D O D I C I 39

lancia e al suo significato escatologico.1 La conseguenza


di ciò è che l’inizio e la fine del tempo si riferiscono al
segno zodiacale della Bilancia. « Ogni ciclo temporale
termina con la Bilancia », a partire dalla quale vengono
manifestati gli altri segni. La Bilancia è il segno dell’ar­
monia delle cose e dell’equità divina, dal momento che
le nozioni d’equilibrio e d’equità sono due aspetti della
Bilancia. Parrebbe che Haydar Amoll avrebbe dovuto
costruire i propri diagrammi in funzione della posizio­
ne iniziale della Bilancia. Se non l’ha fatto è perché in
realtà, in tale contesto, la Bilancia è più di un segno zo­
diacale. Essa è il principio metafisico di cui abbiamo
parlato all’inizio e che, in quanto tale, organizza il com­
plesso del diagramma e fonda il sistema delle corri­
spondenze.
Possiamo in effetti leggere senza difficoltà il diagram­
ma che viene ora (fig. 2 = diagramma n. 9, si veda l’A p ­
pendice). Nel diagramma precedente avevamo i nomi
dei dodici Segni dello Zodiaco (dimore dei dodici A n­
geli-governatori nel nono Cielo) accoppiati, nei piccoli
cerchi inscritti sulla corona circolare periferica, ai nomi
delle dodici categorie delle entità angeliche poste al lo­
ro servizio. A essi corrispondono qui, distribuiti in
quattro triadi, i nomi dei dodici Imam del periodo di
Adamo (Seth, Abele, Kenan, ecc.; gli altri nomi, salvo

1 N. al-N., § 665. Ibn ‘Arabi, nel contesto citato da Haydar Amoll, ripor­
ta come segue i versetti coranici: «Il Profeta ha detto: Io e 1 Ora finale siamo
come queste due (dita della mano). E Dio stesso ha detto: Noi stabiliremo le
bilance in equilibrio nel giorno della Resurrezione (21,48). E ci viene detto:
Pesate giusto, e non falsate la bilancia (55,8). E ancora: Ed Egli ha elevato il
Cielo e ha stabilito la bilancia (55,6). Ed è parimenti mediante la bilancia
che Dio ha rivelato in ciascun cielo la funzione del medesimo (41,11). Ed è
mediante la bilancia che Egli ha ripartito proporzionalmente sulla terra gli
alimenti che essa fornisce (41,9). E Dio Altissimo ha eretto una bilancia nel­
l’universo per ogni cosa: bilancia spirituale, bilancia materiale. La bilancia
non commette mai errori. Così la Bilancia entra nei discorsi e in tutte le arti
il cui oggetto cade sotto i sensi. Essa entra ugualmente fra le Idee, poiché
l’origine prima dell’esistenza dei corpi terrestri, di quelli celesti e delle Idee
di cui essi sono il supporto, è insita nella legge della Bilancia. Analogamente
l’esistenza del tempo e di quel che si trova al di là del tempo procede dalla
Mensura divina (al-wazn al-ilahì), alla quale aspira il Nome il Saggio (haktm),
e che fa sì che il Giudice si mostri equo. A partire dalla Bilancia è manife­
stato lo Scorpione, con la res divina che Dio ha posto in lui. Poi sono mani­
festati il Sagittario, il Capricorno, ecc. ».
40 L A S C IE N Z A D E L L A B IL A N C IA

quelli di Idrls e di Enoch, hanno subito tali mutamenti


grafici che qui non è il caso d’insistervi, si veda l’A p ­
pendice). Con questi dodici Imam adamici sono posti
in corrispondenza i dodici Imam mohammadiani, da
‘Ali al-Mortazà, il primo Imam, fino al dodicesimo
Imam, al presente nascosto, Mohammad al-Mahdi.
Raggruppati in quattro triadi intercalari, figurano pari-
menti nella corona circolare periferica, inscritti al di
sopra e al di sotto della linea, i dodici Imam del perio­
do di Mosè e i dodici Imam del periodo di Gesù.
Passiamo al cerchio centrale. Nel diagramma prece­
dente avevamo i sette pianeti posti in corrispondenza
con le sette unità d ’universo o universi-princìpi: l’Intel­
ligenza, l’Anima, la Natura, ecc. Qui troviamo i sette
grandi profeti, la cui missione è la rivelazione di un L i­
bro. A ciascuno di essi è accostato colui che fu il polo
(.qotb) del suo periodo; il settimo polo è il «polo dei
poli», il dodicesimo Imam del periodo mohammadia-
no. La disposizione è leggermente diversa da quella del
cerchio centrale nel diagramma precedente. Il piccolo
cerchio al centro del cerchio centrale reca il nome del
profeta Mohammad, e gli altri sei sono raggruppati tut­
ti all’intorno. Come annunciato nel piccolo cerchio su­
periore tangente, si tratta del mondo spirituale {‘alani
ma'nawì). La posizione di Mohammad è proprio al
centro dei profeti, perché durante l’intera durata del
ciclo dominato dal nome «il Nascosto» tali profeti ne
furono le forme epifaniche (mazàhir).
Tale posizione ha altresì la funzione di suggerirci che
nei cerchi spirituali il centro ha la caratteristica d’esse­
re nel contempo anche la circonferenza (è una pro­
prietà enunciata nella Teologia detta di Aristotele, e di
cui i nostri spirituali hanno tratto ogni conseguenza).1
Come i sette pianeti del Cielo astronomico, i sette pro­
feti sono per il Cielo spirituale, in qualche modo, i
«motori», mediante i quali procede la crescita dell’en-

' Cfr. la parte finale del nostro testo Le M otif du voyage et du messager en
gnose irano-islamique (nella rivista «Circé», pubblicata dal Centro di ricer­
ca sullTmmaginario, del Centro universitario della Savoia, Chambéry).
L A B IL A N C IA D E I S E T T E E D E I D O D I C I 41

tità spirituale (ruhàntya) del Verus Propheta, fino al mo­


mento della sua manifestazione terrena plenaria nella
persona di Mohammad.1 Tuttavia il ritmo dei periodi
profetici, e per ciò stesso i limiti che li distinguono l’uno
dall’altro segnando l’inizio e la fine di ciascuno, sono
condizionati dai dodici Imam, che costituiscono il ple-
roma di ciascun periodo della profezia. Pertanto la
stessa scienza della Bilancia ci consente di cogliere le
corrispondenze fra la funzione dei sette e dei dodici nel
Cielo astronomico (fig. 1) e nel Cielo spirituale della
profezia (fig. 2).
Eo ipso coglieremo le conseguenze e le virtualità del­
l’accostamento in questo modo operato fra il concetto
di tempo e l’idea di bilancia. In effetti è l’idea di Bilan­
cia che conferisce al tempo la sua forma ciclica. La bi­
lancia ritorna in equilibrio al termine del ciclo, e tale
equilibrio è il ritorno del tempo al suo punto iniziale,
che diventa allora il punto iniziale di un ciclo ulteriore.
Dicevamo in principio che la scienza della Bilancia è il
fondamento stesso delle corrispondenze fra i mondi;
senza l’idea di bilancia non si danno mondi in corri­
spondenza. Le corrispondenze stabilite dai nostri auto­
ri sarebbero impossibili, se essi non disponessero che
deU’immagine di un tempo lineare e illimitato, che è
quella dell’evoluzionismo corrente ai nostri giorni. E
grazie alla Bilancia che diventa possibile porre in corri­
spondenza le figure che si ritrovano in ciascun ciclo,
poiché tali figure si svelano allora come omologhe. La
nostra filosofia della storia corrente consente forse cer­
te analogie, che di fatto però restano metaforiche, dal
momento che mancano al contempo di quel che la
scienza della Bilancia fonda e permette.
D ’altro canto, non è sufficiente sostituire lo schema
di una concezione ciclica della storia (Oswald Spengler)
alla prospettiva di una evoluzione lineare, quella di una
genesi continua, regolata da una causalità storica im­
manente alla successione ininterrotta dei fenomeni. In­
fatti, si porrebbe allora la domanda seguente: com’è

N. a l-N .f § 666.
42 L A S C IE N Z A D E L L A B IL A N C IA

possibile la comprensione (l’atto del comprendere) da


un ciclo all’altro, se ciascuno si richiude su se stesso?
Ora, la scienza della Bilancia permette la comprensione
che opera il passaggio da un ciclo all’altro. E se rende
possibile tale passaggio è perché regola il flusso della
storia e determina, mediante il sistema di corrispon­
denze che equilibra, un piano di permanenza metasto­
rica fra dramatis personae omologhe. Essa spazializza la
successione del tempo, sostituendo all’ordine del suc­
cessivo quello del simultaneo, l’insieme delle « cupole »
di cui parlavamo all’inizio.
Ed è tutto questo che ci rende comprensibili a livel­
lo immaginale i diagrammi elaborati da Haydar Amoll,
nonché le corrispondenze che vi si inscrivono in figure
omologhe, svelandoci altresì il significato escatologico
della Bilancia. Essa riconduce in effetti il tempo alla sua
origine, a quell’origine, come ci è stato detto, che è la
Bilancia medesima. Essa opera un 'inversione del tem­
po; non esiste dunque più «irreversibilità» (parola di
cui ai nostri giorni si è fatto un tale abuso!). La scienza
della Bilancia non consente, certo, una filosofia della
storia, poiché quest’ultima può essere perfettamente
agnostica e le sue modalità percettive approdare a un
gretto realismo. In compenso, essa permette una « sto-
riosofia» che è eo ipso una gnosi, e le cui modalità per­
cettive sono essenzialmente visionarie. Infatti, se i no­
stri autori parlano d’una crescita della «entità spiritua­
le » di Mohammad, in altre parole del Verus Propheta,
non è al livello della comune realtà storica che tale cre­
scita si produce e si rende avvertibile, bensì allo stesso
livello per il quale le cristologie delle origini parlavano
di Christós Angelos.
A grandi linee, questo è quanto suggerisce la Bilancia
dei Sette e dei Dodici, applicata al mondo manifestato e
a quello spirituale, al Cielo Astronomico e a quello inte­
riore. La loro somma fa diciannove, ed è sulla base di
questo numero che i _due universi sono costruiti. Pro­
prio questo Haydar Amoll si accinge ora a mostrare,
mettendo all’opera la Bilancia dei Diciannove.
III.

LA BILANCIA DEI DICIANNOVE

La messa in opera della Bilancia dei Diciannove


comporta una triplice fase, passando per i «tre Libri»
di cui si è detto all’inizio, a . In una prima fase la scienza
della Bilancia pone in corrispondenza il «Libro degli
orizzonti » e il « Libro delle Anime ». b . In una seconda
fase sviluppa la struttura corrispondente del terzo L i­
bro, il Libro rivelato, il Corano, c. In una terza fase po­
ne in corrispondenza la struttura del Paradiso interiore
con quella dell’Inferno interiore.
a . Il « Libro degli orizzonti » (Kitàb àfàqt) e il « Libro
delle Anime» (Kitàb anfosT, cfr. Corano 41,53), nel lin­
guaggio di Paracelso il « Cielo esteriore » e il « Cielo in­
teriore», si presentano, come il «Libro del Corano»
(,al-Kitàb al-Qorànt), provvisti di una struttura basata
sul numero diciannove. L’ermeneutica spirituale dei tre
Libri avrà dunque per fine, fra l’altro, di stabilirne le
corrispondenze rispetto ai tre numeri.1 Certo, questi
tre Libri sono scritti dall’Angelo che è lo Scriba, sotto
dettatura dell’Angelo Niin, il «Cherubino sul Trono».
Ma va da sé che il nostro autore considera tale struttu­
ra fondata sulla natura stessa dei numeri, ecco perché
fa un lungo riferimento all’aritmosofia di Pitagora, nei
termini in cui la trova esposta nella celebre Enciclope­
dia dei «Fratelli della purità» (Ikwàn al-Safà’).2
« Sappi » scrive « che il saggio Pitagora è il primo ad
aver parlato diffusamente sulla natura del numero. Egli

1 N. al-N., §§ 669, 6S8, 736. Haydar Amoli si riferisce qui (§ 669) ai suoi
Tàwilàt, per i quali ha composto diciannove diagrammi. Pensiamo che si
tratti del suo grande commentario spirituale al Corano (al-Mohit al a zam)\
cfr. la nostra introduzione a Lei Philosophie shTite... {supra, nota 1 p. 14), pp.
46 sgg.
’ N. al-N., §§ 670-674. [Cfr. Alessandro Bausani, L'Enciclopedia dei Fra­
telli della purità. Riassunto, con introduzione e breve commento dei 32 Trat­
tati 0 Epistole degli Ikwàn al-Safà', Istituto Universitario Orientale, Napoli
1978-1
44 L A S C IE N Z A D E L L A B IL A N C IA

ha detto: gli esseri si presentano in conformità alla na­


tura del numero. Di conseguenza, colui che conosce la
natura del numero, le sue specie e proprietà, è perciò
stesso in grado di conoscere la quantità dei generi e
delle specie degli esseri». E necessario che le cose siano
unitarie quanto alla Materia (hayùlT) e molteplici quan­
to alla Forma (surat). È necessario che esistano delle
diadi (la materia e la forma, il sottile e il denso, il lumi­
noso e il tenebroso, ecc.); delle triadi (la superficie, la
linea e il volume; il passato, l’avvenire e il presente;
ecc.); delle tetradi (le quattro nature, i quattro Elemen­
ti, i quattro Awtàd o paletti della tenda cosmica); è ne­
cessario che esistano pentadi, esadi, eptadi, decadi, ecc.
Purtroppo, i dualisti sono stati affascinati dalla diade; i
cristiani dalla triade; i filosofi naturalisti dalla tetrade e
così via. Invece Pitagora e i suoi discepoli diedero a cia­
scuno il suo. Essi hanno intuito molto bene che l’Uno è
la causa del numero, e che tutti i numeri, piccoli o gran­
di, pari o dispari, sono costituiti dall’Uno. L’Uno dà il
suo nome a ogni numero; è la persistenza dell’Uno che
fa persistere il numero; è per la ripetizione dell’Uno che
il numero cresce e aumenta. È in quanto unità diadica
che una diade, ad esempio, si distingue da una unità
triadica, e così di seguito.
Ritroviamo pertanto qui come un’enunciazione del
vecchio adagio: Ens et Unum convertuntur, i concetti
dell’essere e dell’Uno si richiamano reciprocamente,
poiché ogni essere viene all’essere in quanto appunto è
un essere. Tale unità ontologica è invariabile e non am­
mette secondo; la sua formula è i x i . È dunque essa
che rende possibile la serie delle unità aritmetiche co­
stituite in unità procedenti dall’unità aritmetica del nu­
mero Uno, vale a dire i + n.
È in questo modo, spiega il nostro autore, che il due
è il numero dell’Intelligenza Prima, in quanto secondo
ente esistente; il tre, dell’Anima universale; il quattro,
della Natura; il cinque, della Materia prima-, il sei, del
volume corporeo; il sette, della Sfera celeste; l’otto, de­
gli Elementi; il nove, dei tre Regni naturali, ovvero il
mondo dei minerali corrispondente all’ordine delle de­
L A B I L A N C IA D E I D IC IA N N O V E 45

cine, il mondo dei vegetali corrispondente all’ordine


delle centinaia, il mondo degli animali corrispondente
all’ordine delle migliaia. Prende allora tutto il suo rilie­
vo e il suo senso l’affermazione secondo la quale « cia­
scun numero per se stesso comporta un segreto esote­
rico che non si ritrova in alcun altro numero». Ora, il
sistema del mondo è ordinato secondo il numero di­
ciannove. Quando il teosofo s’interroga sul segreto eso­
terico del numero diciannove, scopre che, se tale nu­
mero regola la struttura del mondo, è perché l’universo
nel suo complesso è a immagine^ di Dio {‘alà siirat al-
Haqq, secundum Forma?n De?). È nella giustificazione
della concezione dell’universo quale Imago Dei che si
trova il segreto del numero 19, e contemporaneamente
della legge di corrispondenza fra i tre grandi Libri
scritti sotto dettatura del «Cherubino sul Trono», in
altre parole la Bilancia di un’ermeneutica spirituale co­
mune ai tre Libri.
Per il nostro autore, Haydar Amoll, non ci sono
dubbi sul fatto che sotto le parole della tradizione pro­
fetica enunciante che « Dio creò Adamo a sua immagi­
ne» occorra intendere per «Adamo» l’universo, il co­
smo nella sua totalità, il Makranthrópos (al-lnsàn al-
Kabir, Homo maximus), che l’Uomo terrestre controbi­
lancia in quanto microcosmo. Il cosmo stesso avendo
poi la forma dell’Uomo, de\YAnthrópos, ed essendo
l’Uomo medesimo un universo, YImago De1 deve rap­
portarsi a entrambi; essi sono la stessa teofania sotto
due forme omologhe.
Qui Haydar Amoll offre una bella interpretazione
spirituale del versetto coranico 41,53, nel quale Dio
proclama: «N oi mostreremo loro i nostri Segni agli
orizzonti e nelle Anime, di modo che risulti loro evi­
dente che si tratta dell’Essere». È un’interpretazione
che, sullo spunto del versetto, il nostro autore enuncia
lui pure usando la prima persona.1 «Questo versetto»
dice «è un’allusione alla teofania (zohtlr Allah) sotto le
due forme. Noi mostreremo loro 1 nostri Segni, vale a di-

N. a l - N §§ 6 7 5 -6 7 6 .
4<S L A S C IE N Z A D E L L A B IL A N C IA

re i nostri indizi e i nostri emblemi nel mondo dell’alto


e in quello del basso il cui insieme costituisce gli oriz­
zonti, e nel mondo umano costituente il mondo delle
anime. D i modo che risulti loro evidente che l’essere
nella sua totalità si riferisce a forme epifaniche della
mia Essenza, a miei Nomi e Operazioni, e al fatto che
in realtà non esiste nient’altro che Me, o piuttosto che
l'Altro non ha reale esistenza per sé, dal momento che
l’Altro significa propriamente le mie forme epifaniche
individualizzate e particolarizzate, le quali sussistono
per il mio essere reale, universale, assoluto, come il li­
mite sussiste per l’illimitato, come l’ombra sussiste per
il sole e come la forma di manifestazione sussiste per
quello che vi si manifesta. Ecco perché ho detto: Io so­
no il Primo e l’ Ultimo, il Manifestato e il Nascosto
(57,3). E ho detto: Da qualunque parte vi giriate là è il
Volto di Dio (2,109). E ho detto pure: Ogni cosa è peri­
tura tranne il suo Volto, ed è a Lui che tornerete (28,88).
Ecco perché coloro che sanno hanno detto: Nient’altro
esiste al di fuori di Dio, dei suoi Nomi e delle sue Opera­
zioni». Haydar Amoll cita a questo punto due quartine
celebri: «Il mio Amico mi si è manifestato in ogni
aspetto —Perciò l’ho contemplato in ogni Idea e in ogni
forma - Mi ha detto: bene così. E tuttavia quando - Le
cose sono viste per mio mezzo, allora tu diventi una
mia copia». - «Gloria a colui che ha manifestato la
propria umanità - Come segreto occulto della spera
della sua divinità splendente - E che poi ci è comparso
manifestandosi nel creato - sotto la forma di uno che
mangia e che beve».1
Perché tutto questo? Perché quest’apparente diver­
sione? Haydar Amoll previene la critica: il proposito
sotteso è di evidenziare che ciò che si designa da un la-

1 Queste quartine sono attribuite da L. Massignon a Hàllaj, ma né


Rùzbehàn né Haydar Amoll conoscevano tale attribuzione. Non è necessa­
rio attribuire a tali quartine un senso cristiano, ma, beninteso, a un cristiano
è lecito farlo. Ancor più lecito a un pensatore shùita percepirvi un’allusione
evidente aH’Imam, o d’intenderla, come fa qui Haydar Amoll, come riferita
al segreto della divinità manifestata nella bellezza degli esseri umani peritu­
ri, poiché tale è il segreto del loro «Volto imperituro» (versetto 28,98), gra­
zie al quale essi sono forme epifaniche della divinità.
L A B IL A N C IA D E I D IC IA N N O V E 47

to come l’universo, il cosmo, e dall’altro come l’Uomo,


forma un solo e medesimo Tutto, costituito dal com­
plesso delle forme teofaniche. Il segreto supremo (al-
sin al-a‘azam) è che l’universo è fatto «a immagine di
Dio», e che il Tutto è, per lo gnostico, sotto un aspetto
l’Essere divino, sotto l’altro l’Adamo o Anthrópos co­
smico, poiché il Tutto riflette l’immagine del Tesoro na­
scosto che creò il mondo desiderando essere conosciu­
to, ovvero conoscersi attraverso lo specchio. Ecco il se­
greto dei primi due Libri, il « Libro degli orizzonti » e il
«Libro delle Anime».1
La scienza della Bilancia può allora darne la prova in
maniera dettagliata. Il mondo esteriore o manifestato
obbedisce al ritmo del numero diciannove; in effetti lo
costituiscono l’Intelligenza dell’universo, l’Anima del­
l’universo, le 9 Sfere celesti, i 4 Elementi, i 3 Regni na­
turali e infine l’Uomo. Il totale dà 19. O ancora, come
prima, i 7 pianeti e i 12 segni zodiacali. Totale: 19. Lo
stesso numero è parimenti il numero dell’uomo, dell’an­
tropologia. L’uomo è costituito dal suo intelletto perso­
nale, dalla sua anima personale, dalle dieci facoltà desi­
gnate come i cinque sensi esterni e i cinque sensi interni,
dalle quattro anime che, nella terminologia coranica, so­
no dette « l’anima che ordina (il male)» (al-nafs al-am-
màra), « l’anima che censura» (al-laivwàma, la coscien­
za), « l’anima ispirata» {al-molhama), « l’anima pacifica­
ta» (al-motma ‘yanna)\ infine da tre pneumata o spiriti:
vegetativo (mh nabàtiya), vitale (rùh hayawàmya), psi­
chico (ruìp nafsànlya). Totale: 19. Allo stesso modo, il
mondo spirituale è costituito dai sette grandi profeti e
dai loro dodici Imam, ovvero dai sette poli e dai dodici
Aioliya o Amici di Dio. Totale: 19.12
La corrispondenza fra il mondo come Homo maximus
e l’uomo come microcosmo, la quale giustifica che sia
rapportata all’uno e all’altro l’Imago Dei rispettivamen­
te manifestata nelle loro due forme teofaniche, si espri­
me ancora nel fatto che il cosmo può essere designato

1 N. a/-N., § 677.
2 N. al-N„ §§ 678, 684.
L A S C IE N Z A D E L L A B IL A N C IA

come il califfo maggiore di Dio, e l’uomo, YAnthrópos,


come il califfo minore. L’inverso è ugualmente vero, dal
momento che la funzione califfale dell’uomo si estende
fino all’universo, poiché è all’uomo e per l’uomo che
l’universo è manifestato. Ed è questo che pone in corri­
spondenza l’ermeneutica spirituale del «Libro degli
orizzonti» con quella del «Libro delle Anime». Al
punto che un versetto cosmologico come il versetto co­
ranico 13,2: «D io è colui che ha innalzato i Cieli senza
colonne che tu possa vedere » va riferito ugualmente al
Cielo spirituale, al Cielo interiore. Le colonne invisibili
sono un’allusione all’Uomo perfetto come Anthrópos
cosmico, grazie al quale sussistono le Sfere celesti e gli
Angeli che ne sono le Anime motrici, così come delle
colonne visibili sostengono un palazzo o una cupola.
Quanto alle colonne invisibili che sostengono il Cie­
lo spirituale, s’intendono riferite a quanto costituisce lo
Spirito, il Cuore e l’Anima del mondo, vale a dire la
realtà metafisica di quell’Uomo Perfetto che nessuno
conosce all’infuori di Dio secondo il Detto: «I miei
amici stanno sotto i miei tabernacoli (le mie cupole, le
mie volte). Nessuno li conosce all’infuori di me». Q ue­
sto Detto interviene di nuovo a questo punto per ricor­
darci che l’Uomo Perfetto trova le proprie esemplifica­
zioni ai vari gradi della gerarchia esoterica, le quali co­
stituiscono le colonne invisibili che sostengono il Cielo
spirituale. Abbiamo già esaminato all’inizio i termini
che le designano. Sono i profeti (NabTs), gli Inviati
(Nabt-morsal), gli Amici di Dio, gli Imam, i poli, i calif­
fi, i pilastri o pioli o paletti (.Awtàd), gli Abdàl, ecc. Ma
resta inteso che i più eminenti fra essi, quelli che deter­
minano tutto il resto, sono i diciannove già menzionati,
i sette profeti e i dodici Imam, che corrispondono ai di­
ciannove del mondo esteriore, e dai quali dipende per
essenza il moto dei periodi in cui si articola un ciclo,
dal momento che tale moto è quello della Bilancia ri­
condotta all’equilibrio iniziale.1

1 N. al-N., §§ 680, 683, 685. Cfr. anche il Detto del primo Imam: «Sappi
che la forma umana è la più grande prova (hojjat) di Dio davanti alle sue
L A B I L A N C IA D E I D IC IA N N O V E 49

Ecco come a grandi tratti si presenta la Bilancia dei


Diciannove, quale ermeneutica spirituale che pone in
corrispondenza i due primi Libri, ossia il «Libro degli
orizzonti» e il «Libro delle Anime». Occorre ora ap­
plicare quanto sopra al terzo Libro, il Libro rivelato, il
«Libro del Corano». E vedremo che è mediante il se­
greto dello stesso numero 79 che l’ermeneutica spiri­
tuale pone quest’ultimo Libro in corrispondenza con i
primi due.
b . Un primo approccio è costituito dall’analisi del
vocabolo sotto il quale l’essere si presenta all’imperati­
vo, KN (=Esto!, non fiat), che, rivolgendosi alla cosa
già misteriosamente presente nella sua eterna virtualità,
le comanda d'essere. In termini più precisi, l’analisi ver­
te allora sulle tre consonanti che compongono la radice
del verbo KWN (essere): kàf, waw, nun} Tre lettere che,
moltiplicate per le tre lettere che rispettivamente com­
pongono il nome di ognuna, danno il numero 9. Ed è
secondo il numero 9 che viene ordinato il sistema del­
l’essere sia nel campo esoterico che in quello exoterico,
secondo il mondo del Molk (il mondo visibile) e il mon­
do del Malakùl (il mondo dell’Anima). E così che si
hanno da un lato le nove Sfere celesti, e dall’altro i no­
ve Angeli che ne costituiscono le Anime motrici. Tota­
le: 18. Ecco che cosa intendono i teosofi, quando parla­
no di 18.000 mondi, numero d’altronde ben conosciuto
anche dalla gnosi ismailita come dalla Cabbaia ebraica.2
In effetti, per Haydar Amoll il numero 18 designa le
«unità d ’universo», gli universi-princìpi, l’ordine delle
migliaia simboleggiante la moltitudine delle parti che

creature. Essa è il Libro che Egli ha scritto di propria mano. Essa è il Tempio
che Egli ha fondato con la propria Saggezza. Essa è il testimone che rende
testimonianza di tutto quel che è invisibile, la prova contro ogni negatore.
Essa è la Via diritta verso ogni bene. Ed è la via che si estende fra il Paradi­
so e l’Inferno ». § 682.
N. al-N., §§ 6S6-687.
’ Sui 18.000 mondi, si veda la nostra opera L’Homme de lumière dans le
soufisme iranien, Paris 1971. p. 162. [Trad. it. iduomo di luce nel sufismo ira­
niano, Edizioni Mediterranee, Roma 1988.] Cfr. Gershom Scholem, Les Ori-
piues de la Kabbale, cit., pp. 476, 490; Nicolas Séd, La Cosmologie juive...,
cil. (supra, nota 2 p. 31), pp. 212 sgg.

L A S C IE N Z A D E L L A B IL A N C IA

compongono ogni cosa. Aggiungendo a questo punto


al numero 18 l’Uomo Perfetto, si ottiene il totale 19.
Si è condotti allo stesso risultato attraverso l’analisi
àeWhexaémeron, i sei giorni della Creazione, se si me­
dita sui seguenti versetti coranici: « Un giorno per il tuo
Signore è come mille anni nel vostro computo » (22,46)
e: «È Lui che ha creato i Cieli, la Terra e tutto quel che
si trova fra di essi, in sei giorni» (25,60). I Cieli sono il
mondo del Jabaritt (mondo delle Intelligenze e dei N o­
mi divini). La Terra è il Molk (mondo delle cose visibi­
li). Quel che si trova fra di essi è il Malakut o mondo
delle Anime. I sei giorni, rapportati a ciascuno di questi
tre mondi, danno 18. Essendo un giorno uguale a mille
anni, si ottiene anche qui il numero 18.000.1 Il numero
18, a seconda se si consideri che l’Uomo vi sia incluso,

1 N. al-N., §§ 702, 719-721. Haydar Amoll stesso prevede che forse gli si
farà obiezione: «Perché non ammettere che la totalità dei tre mondi sia sta­
ta creata in sei giorni, non singolarmente in sei giorni ciascuno (da cui
6x3 = 18)? - Io risponderò. Perché Dio Altissimo ci insegna in un altro pas­
so che è proprio cosi, e ciò avviene nel versetto: Sarete voi dunque incredu­
li verso colui che ha creato la terra in due giorni?... egli inoltre ha distribui­
to proporzionalmente, in quattro giorni, gli alimenti che fornisce a coloro
che li chiedono [...]. Allora dispose (il Cielo) tn sette cieli (nel tempo) di
due giorni, e rivelò a ogni cielo la sua funzione... (41,8-11 ) ». 11 suo interlo­
cutore può forse allora esultare: «Dio ha dunque creato Cielo e Terra in ot­
to giorni (2 + 4 + 2) e non in sei!». Ma Haydar Amoll prontamente replica:
«La conseguenza non è valida. I quattro giorni si riferiscono semplicemente
a una creazione supplementare e complementare, quella delle sostanze ma­
teriali. Quanto alle sostanze spirituali separate, esse trascendono tale misu­
ra». Il nocciolo della questione per lui è il seguente: che senso ha, in effetti,
intendere giorni alla maniera dei commentatori letteralisti, se « al momen­
to» della Creazione non esistevano né giorni né tempo? E meglio intendere
i sei giorni come sei gradi: il minerale, il vegetale, l’animale, l’uomo, il genio,
l’Angelo; ovvero il Jabarut, il Malakiit, il Molk, il Vivente, il Genio, 1 Ange­
lo; oppure ancora l’Intelligenza, l’Anima del mondo, la Natura, la Materia,
il Corpo, gli Elementi. In ogni caso l’intera questione è condizionata dal
senso della parola giorno. Ora, non si può trattare che del «giorno divino»,
il quale comporta due aspetti: ci sono i giorni della signoria (ayyam al-
robubTya) e quelli della divinità {ayyam al olitimi!). La divinità è il legame di
Dio con colui del quale è il Dio nell’ordine spirituale (ma'min). La signoria
è il legame di Dio con colui del quale è il Signore (rabb) nell’ordine manife­
stato (sfinitali). Ecco perché coloro che sanno dicono: la signoria è un segre­
to (sin-)-, se tale segreto è manifestato (dunque abolito), il rapporto di signo­
ria sarà distrutto. Ora, il «giorno della signoria» è quello che equivale a mil­
le anni del nostro computo (secondo il versetto 22,46). Ciascun giorno del-
l ’esamerone può dunque essere calcolato come un millennio di signoria,
mentre il «giorno della divinità» vale 50.000 anni, e quesla è l’estensione di
L A B IL A N C IA D E I D IC IA N N O V E 51

o, al contrario, che vi debba essere aggiunto per ottene­


re 19, avrà un’importanza decisiva al fine di stabilire
certe corrispondenze che prenderemo in considerazio­
ne più avanti. Qui Haydar Amoll osserva che 1 essere,
kawn, è in rapporto ai nove gradi che se ne deducono,
l’omologo dell’unità in rapporto ai numeri (da uno a
dieci, la progressione ricominciando ab initio a partire
da dieci), o l’omologo della sostanza in rapporto ai no­
ve accidenti. Ogni volta si ottiene dieci, più i nove gra­
di, per un totale di 19. Si hanno poi l’Intelligenza Prima
e le nove Sfere celesti, ciò che dà io, cui vanno aggiun­
ti i nove gradi, le nove Intelligenze che governano le
Sfere, per un totale che è ancora 19. Inoltre le dieci In­
telligenze con le nove Anime celesti che muovono le no­
ve Sfere in un atto d’amore verso le Intelligenze dalle
quali procedono, danno un totale che è sempre 19.
Ora, è proprio sul numero 19 che, in corrispondenza
con il «Libro degli orizzonti» e il «Libro delle Ani­
me», è costruito il «Libro del Corano» (.al-Kitàb al-
Qoràni). In effetti le lettere con cui è scritto sono ven-
totto (quelle dell’alfabeto arabo). Quattordici di esse
(dunque la metà) appartengono al mondo del Molk (il
mondo visibile); sono quelle provviste di punti diacri­
tici. Le altre quattordici appartengono al mondo del
Malakùt; sono sprovviste di punti diacritici e costitui­
scono le lettere originarie. Sono quelle che appaiono,
come sigle misteriose, a mo’ di epigrafe all’inizio di un
certo numero di capitoli del Corano, sia isolate che a
gruppi di due, tre, quattro, cinque lettere. Si hanno co­
sì cinque gradi che, aggiunti ai quattordici, formano un
sistema di diciannove gradi di lettere.
Tale è il sistema delle lettere dell’alfabeto arabo nel
quale è scritto il Corano. Ma c’è di più. In testa a ogni
capitolo si ritrova una formula, quella medesima che il
credente ripete prima di ogni azione: Bism Allah al-

un ciclo intero (anche nella gnosi ismailita) secondo il versetto: Gli Angeli e
lo Spirito salgono verso di lui in un giorno la cui misura è di 50,000 anni
(70,4). §§ 722-725. Qui non si danno che brevi indicazioni, poiché il tema
richiede numerose comparazioni. Cfr. En Islam iranien..., cit., t. iv, indice
s.vv. hexaémeron, jour.
52 L A S C IE N Z A D E L L A B IL A N C IA

Rahman al-Rahim, nel Nome di Dio il Clemente il M i­


sericordioso. Essa è considerata come un enunciato in
cui è riassunto tutto il Corano. Ora, la sua scrittura in
arabo comprende 15» lettere. L’algebra filosofica fa di
ciascuna di tali lettere il simbolo di una tappa della di­
scesa della Misericordia divina, di grado in grado del­
l’essere. I sette e i dodici dei diagrammi precedenti ve­
dono così confermate, nella loro totalizzazione, le virtù
delle loro corrispondenze.
Traslitteriamo in modo rigoroso le diciannove lettere
da cui è composta la scrittura araba della formula della
Basmallah. Abbiamo: BSM ALLH AL-RHMN AL-RHIM.
Sulle virtù di questa invocazione, il Profeta si è
espresso in termini sorprendenti: «Chi vuol essere im­
munizzato contro i 19 guardiani dellTnferno deve reci­
tare la Basmallah, poiché, nel giorno della Resurrezio­
ne, Dio farà di ciascuna delle lettere che la compongo­
no un Paradiso ». Verifichiamo immediatamente la por­
tata pratica di questa affermazione. In effetti la Basmal­
lah è la ricapitolazione di tutto il Corano, e la prima
delle sue lettere, la B {ba in arabo), è la ricapitolazione
della Basmallah medesima. Come disse il Profeta: « Dio
ha fatto discendere dal Cielo centoquattro libri. Le co­
noscenze contenute in cento di quei libri le ha deposi­
tate in quattro di essi: la Torah, i Salmi, il Vangelo, il
Corano. Le conoscenze contenute nei primi tre di que­
sti ultimi quattro libri sono state concentrate nel quar­
to, il Corano. Queste sono state poi riversate nella
Mofassal (la parte compresa dal capitolo 49 fino alla fi­
ne). Queste sono state poi collocate nella Fàtiìpa (il 1 ca­
pitolo, quello che «apre» il Corano). Queste sono poi
state deposte nella Basmallah. Queste sono state poi si­
stemate nella ha (la B) della Basmallah ». Così la lettera
ba ricapitola (totalizza) tutto ciò che si trova nel Cora­
no e in tutti i libri celesti rivelati. Ecco perché la lettera
ba merita che si dica di essa ciò che hanno detto il Pro­
feta, lTmàm e quanto si dice di parecchi mashayekh:
«Non vedo alcunché senza vedervi scritta la lettera
ba». Infatti tutti gli esseri sono stati manifestati a parti­
re dalla lettera ba’, e il primo Imam ha detto: « Attesta­
L A B IL A N C IA D E I D IC IA N N O V E 53

zione divina! Se volessi, della lettera ba della Basmallah


potrei scrivere un commentario per il cui trasporto oc­
correrebbe caricare settanta cammelli». E a causa della
lettera ba che l’essere è manifestato, ed è mediante il
punto diacritico posto sotto la lettera ba che il Creato­
re è differenziato dalla creatura. Il primo Imam ha det­
to inoltre: «Io sono il punto sotto la lettera bà’ ».'
Per il suo segreto esoterico, la lettera bà’, essendo al­
l’origine dell’essere, è il simbolo del Primo Esistente
designato come Intelligenza Prima, Realtà delle Realtà
(Haqfqat al-Haqà’iq), Spirito supremo. Mentre la lette­
ra alif (costituita da un semplice tratto verticale, che
non lega con la lettera successiva) è il simbolo dell’Es­
senza divina unica, sola e senza secondo, la lettera ba è
il simbolo dell’Unità prima di tutte le unità che la se­
guono.12Allo stesso modo ciascuna lettera della Basmal­
lah intitola uno degli esistenti del mondo superiore e
del mondo inferiore. Haydar Amoll qui si riferisce alla
lunga khotba (allocuzione) che ha posto all’inizio del
suo immenso commentario spirituale del Corano, allo­
cuzione che è modello di una « teosofia narrativa ». Ec­
cone l’inizio/
« Gloria a Colui che ha fatto della lettera alif, isolata,
l’origine del Tutto e il simbolo della pura Essenza asso­
luta; Colui che ha fatto della lettera ba la cifra della
Determinazione prima, che è il Primo degli esseri limi­
tati al di sotto dell’essere assoluto, la prima delle sue
teofanie; Colui che ha fatto delle altre lettere i rispettivi
simboli degli altri esistenti. Egli ha scritto l’insieme in
quanto insieme sui fogli dell’universo invisibile con il
Calamo della Volontà primordiale. Ha dato il nome di

1 N. al-N., §§ 689-690.
2 A questo punto è sotteso un grave problema. L’Intelligenza Prima è de­
signata come il «Primo Esistente» e come tale simboleggiata dalla lettera
ba. La pura Essenza divina, come fonte dell’essere, simboleggiata qui dalla
lettera ali] , è dunque al di là dell’essere, hyperùsion. Altrove, ad esempio
nello Shaykh Ahmad Ahsà’I, è la medesima situazione che fa della lettera ba
il simbolo della Determinazione iniziale, che è precisamente l’Intelligenza.
Gir. En Islamiranien..., cit., t. iv, indice s.vv. étre, théologie apophatique.
Haydar Amoll si riferisce qui ai suoi Tawilat (§ 690), al suo Ta’ioil (§
691); elf. supra, nota 1 p. 43.
54 LA S C IE N Z A D E L L A B IL A N C IA

Madre del Libro (l’archetipo degli archetipi) a lettere di


quiddità e individuazioni eterne. Ha composto i Verbi,
sia i perfetti che gli imperfetti, dell’esistenza degli esse­
ri. Ha ordinato i Segni degli universi dell’Invisibile e
del Visibile nel “Libro degli orizzonti” , il Libro a cui si
riferiscono questi versetti (52,13): Per il monte Sinai!
Per un libro scritto su di una pergamena distesa! ».'
Tale Libro è precisamente l’epopea cosmica della
Misericordia propagantesi attraverso tutte le tappe del­
la rivelazione dell’essere. Il fenomeno del mondo è al­
tresì un fenomeno della scrittura, un fenomeno del L i­
bro. Ne segue che il ta’wil (ermeneutica dei simboli),
applicato a tale Libro come messa in opera della scien­
za della Bilancia, non è altro che il ta’wil applicato al
Libro rivelato, dal momento che l’universo, progreden­
do al ritmo della Basmallah, è esso stesso il libro, il can­
to o l’epopea della Misericordia.
Ecco qui di seguito come si presentano in dettaglio
le corrispondenze fra il mondo manifestato e quello
spirituale, fra il « Libro degli orizzonti » e il « Libro del­
le Anime», grazie alle lettere della Basmallah, che è es­
sa medesima la ricapitolazione, la quintessenza, dell’in­
tero « Libro del Corano ».2

a. Quanto al mondo esteriore manifestato, lo schema


delle corrispondenze si presenta come segue.

1. B (ha ) corrisponde all’Intelligenza Prima (mondo del


jabarut)
2. S (sin) corrisponde all’Anima dell’universo (mondo del
Malakùt)
3. M (mìm) corrisponde al Trono ('Arsh): la nona Sfera
4. A (alif) corrisponde al firmamento (Korsi): l’ottava Sfera
5. L (la prima làm) corrisponde alla settima Sfera: Cielo di
Saturno
6. L (la seconda làm) corrisponde alla sesta Sfera: Cielo di
Giove1

1 N. al-N., §§ 692-694.
’ N. al-N., §§ 696-697, 728-729.
L A B I L A N C IA D E I D IC IA N N O V E 55

7. H (ha") corrisponde alla quinta Sfera: Cielo di Marte


8. A (alif) corrisponde alla quarta Sfera: Cielo del Sole
9. L (làm) corrisponde alla terza Sfera: Cielo di Venere
10. R ira’) corrisponde alla seconda Sfera: Cielo di Mercurio
11. H (ha’) corrisponde alla prima Sfera: Cielo della Luna
12. M (mini) corrisponde alla Sfera del Fuoco: il primo degli
Elementi
13. N (nuli) corrisponde alla Sfera dell’Aria: il secondo degli
Elementi
14. A (alif) corrisponde alla Sfera dell’Acqua: il terzo degli
Elementi
15. L (làm) corrisponde alla Sfera della Terra: il quarto degli
Elementi
16. R (ra) corrisponde all’animale: il primo dei 3 Regni na­
turali
17. H (ha) corrisponde al vegetale: il secondo dei 3 Regni
naturali
18. I (ya ) corrisponde al minerale: il terzo dei 3 Regni naturali
19. M (.mini) corrisponde all’Uomo, che ricapitola il Tutto

Quanto sopra è presentato dall’autore in un dia­


gramma (fig. 3 = diagramma n. io, si veda l’Appendice).
Al centro un piccolo cerchio porta inscritte le parole:
al-'àlam ai-suri (il mondo manifestato). Sulla corona pe­
riferica, le diciannove « unità d’universo » che si sono
appena enumerate sono simboleggiate ciascuna da una
delle 19 lettere della Basmallah e poste in bilancia dan­
do come totale 19, totale formato dai 12 segni dello zo­
diaco e dai 7 pianeti, raffigurati già nel diagramma pre­
cedente. Tuttavia, per infedeltà o disattenzione del di­
segnatore, le Sfere celesti della prima serie non fronteg­
giano esattamente i pianeti che corrispondono a esse. Si
nota come una sfasatura nell’insieme (si veda l’Appen­
dice), a meno che non si voglia considerare il diagram­
ma come costituente una figura mobile, girevole. Ma,
beninteso, quel che conta, in prima e ultima istanza, è
la struttura dell’insieme.

b. Quanto al mondo spirituale, ognuna delle lettere


della Basmallah è posta rispettivamente in corrispon­
56 L A S C IE N Z A D E L L A B IL A N C IA

denza a un tempo con la haqiqat (la realtà spirituale,


metafisica) e con la forma di manifestazione di ciascu­
no dei 7 grandi profeti e dei 12 Imam del periodo
mohammadiano,1 i quali compongono, con il Profeta e
sua figlia Fatima, il pleroma della Haqiqat mohammadlya.
Lo schema è quindi il seguente.

1. B (ba) corrisponde alla haqiqat di Mohammad


2. S (sin) corrisponde alla haqiqat di Adamo
3. M (min/) corrisponde alla haqiqat di Noè
4. A (ali/) corrisponde alla haqiqat di Abramo
5. L (lain) corrisponde alla haqiqat di Davide
6. L (lain) corrisponde alla haqiqat di Mosè
7. H (ha) corrisponde alla haqiqat di Gesù
8. A (ali/) corrisponde alla haqiqat del primo Imam, ‘All
[ibn AbT-Tàlib] al-Mortazà
9. L (lam) corrisponde alla haqiqat del secondo Imam, Hasan
ibn ‘All al-Mojtabà
10. R (ra) corrisponde alla haqiqat del terzo Imam, Hosayn
ibn ‘All al-Shahld
11. H (ha) corrisponde alla haqiqat del quarto Imam, ‘All
[ibn Hosayn] al-Sajjad
12. M (mini) corrisponde alla haqiqat del quinto Imam,
Mohammad [ibn ‘All] al-Baqir
13. N (min) corrisponde alla haqiqat del sesto Imam, Ja'far
[ibn Mohammad] al-Sàdiq
14. A (alt/) corrisponde alla haqiqat del settimo Imam, Musa
[ibn Ja'far] al-Kàzim
15. L (limi) corrisponde alla haqiqat dell’ottavo Imam, 'All
[ibn Musi] al-Reza
16. R (ra) corrisponde alla haqiqat del nono Imam, Moham­
mad [ibn ‘All] al-Jawàd [al-Taql]
17. H (ha) corrisponde alla haqiqat del decimo Imam, ‘All
[ibn Mohammad] al-Naql
18. I (ya) corrisponde alla haqiqat dell’undicesimo Imam,
Hasan [ibn ‘All] al-'Askan
19. M (mhn) corrisponde alla haqiqat del dodicesimo Imam,
Mohammad [ibn Hasan] al-Mahdi

1 La haqiqat o realtà metafisica eli ogni Imam è specificata da un aggettivo


foggiato sul suo nome (mortaiawiya, hasamya, hàqinya, ecc.) che può ugual­
mente intendersi come nome astratto designante la sua essenza.
LA B IL A N C IA D E I D IC IA N N O V E 57

Tale è lo schema di corrispondenze proposto alla per­


cezione immaginativa da un nuovo diagramma (fig.
4 = diagramma n. 11, si veda l’Appendice). Il piccolo cer­
chio centrale indica il mondo spirituale {‘àlam ma nawi).
Sulla corona circolare periferica, nella parte esterna di
ogni epiciclo, ciascuno rappresentato da una delle 19
lettere della Basmallah, i 7 grandi profeti e i 12 Imam
del periodo di Adamo (Seth, Abele, Kenan, ecc.); nella
parte interna degli epicicli, i 7 poli dei grandi profeti e
1 12 Imam del periodo mohammadiano. (Tuttavia, come
nel diagramma precedente, si nota una certa sfasatura
nelle corrispondenze, senza che peraltro la struttura ge­
nerale ne risulti alterata; si veda l’Appendice.)
Questi diagrammi ci consentono quindi la percezio­
ne immaginativa di un vasto sistema in cui sono posti in
corrispondenza, ciascuno rappresentato da una delle
19 lettere della Basmallah, i 19 gradi o livelli della co­
smologia e i 19 gradi della profetologia e dell’imàmolo-
gia, in altri termini il «Cielo esteriore» e il «Cielo inte­
riore», l’astronomia fisica e l’astronomia spirituale, il
«Libro degli orizzonti» e il «Libro delle Anime». A
questo proposito è opportuno ricordarci di una affer­
mazione di Paracelso come la seguente: « Se volete cer­
care l’uomo nella totalità della sua costituzione, dovete
allora comprendere i corpi del firmamento nel corpo
del microcosmo. Dal momento che gli astri nel corpo
dell’uomo hanno, proprio come gli astri esterni, le loro
proprietà, nature, corsi e siti, e non ne differiscono che
per la sostanza della loro forma».1 Analogamente, il
grande teosofo mistico SemnànI parlava dei «profeti
del tuo essere».2

Cfr. Paracelso, Paramirum /, in Sammtliche Werke in zeitganiisser Kìirzung


( !), a cura di J. Strebel, voi. v, St. Gallon 1947, p. 94. «Chi conosce la Sfera
inferiore si chiama filosofo, mentre chi conosce la Sfera supcriore è chiama­
to astronomo. Ma entrambi sono filosofi e astronomi, poiché hanno in co­
mune una sola e medesima arte [...]. Saturno non è solo in Cielo ma anche
sul fondo del mare e nelle più profonde cavità della Terra [...]. Chi conosce
Marte, conosce la proprietà del ferro e viceversa. Il filosofo conosce dal­
l’uno l’essenza dell’altro». Ibid., pp. 78-79.
Su SemnànI si veda En IsIam iranien..., cit., t. ni, pp. 275 sgg., c t. iv, in­
dice s.v. Prophctes lies sept) de ton ótre.
58 L A S C IE N Z A D E L L A B IL A N C IA

Ora, quel che permette a Haydar Amoll di porre in


corrispondenza i Cieli della cosmologia con i Cieli del­
la profetologia, sono le 19 lettere della Basmallai:, poi­
ché queste ultime ricapitolano tutti gli universi, i mani­
festati come gli spirituali. Se la Basmallah è qui la Bi­
lancia, grazie alla quale si verifica tale corrispondenza,
ciò avviene in quanto, da un lato, i segreti delle teofanie
e delle manifestazioni della pura Essenza, che abbiamo
visto essere simboleggiata dalla lettera ahf (poiché essa
non lega con la lettera seguente), e dall’altro lato i se­
greti delle manifestazioni della stessa lettera alif nelle
altre lettere, sono in ultima analisi un solo e medesimo
segreto. È la corrispondenza fondamentale e originale
che il nostro Haydar Amoll analizza con sottigliezza
estrema, a partire dalla scrittura araba delle tre parole
Bism, Allah, Rahman, nelle quali sono in effetti occulta­
te, dissimulate tre alif.'
Se consideriamo la scrittura araba traslitterata con
BSM ALLH AL-RHMN, constatiamo che fra la B e la S
{ba e sin) dovrebbe figurare una alif che l’uso corrente
della scrittura araba ha abolito. Fra la seconda L e l’H
{làm e ha) della parola ALLH {Allah) dovrebbe figura­
re Valif ài una scriptio piena (=a), omessa nella scrittu­
ra. Infine, fra la M e la N (;mim e nùn) della parola
RHMN (Rahman) la grafia corrente fa analogamente
sparire una alif che l’ortografia richiederebbe.
Queste tre alif occultate simboleggiano rispettiva­
mente la pura Essenza divina, gli Attributi divini e le
Operazioni divine. Ora, l’Essenza è causa di tre gradi:
1. dell’Unicità (ahadiya) dell’Essere assoluto, che non
ha secondo; 2. deìl’Unità (wahidrya) che è la prima del­
la serie delle unità e che segna la prima limitazione del­
l’essere; è il grado mediano dell’Intelligenza Prima co­
me seconda ipostasi; 3. della limitazione dell’essere ter­
minale, corrispondente alla terza ipostasi che è l’Anima,
livello delle Operazioni divine designato quale livello
della robùbiya-, è il livello in cui si stabilisce la relazione
reciproca che pone in interdipendenza il Dio o signore

N. aì-N., §§ 698-701, 730.


L A B IL A N C IA D E I D IC IA N N O V E 59

personale (rabb) e il suo fedele (.marbùb); livello che è


quello del «Dio creato nelle fedi».1
Allora in che cosa la lettera alif, nelle tre parole Bism,
Allah, Rahman, ha la virtù di «porsi in corrispondenza
analogica » con le teofanie?
Si tratta di questo. L’Essere divino si manifesta nella
moltitudine delle sue teofanie (mazahir), ma tale molte­
plicità non è tale che in funzione delle relazioni e sus­
sunzioni che propriamente si lasciano cadere profes­
sando il tawhid esoterico o ontologico, vale a dire
quando si afferma che l’Essere divino è il solo a essere,
nel vero senso di questo termine. Esiste della moltepli­
cità e dell’alterità a livello delle teofanie, della relazione
tra il signore personale e il suo fedele, relazione rappre­
sentata nel Detto tradizionale: «Io ero un Tesoro na­
scosto. Mi è piaciuto essere conosciuto, e allora ho
creato il Creato», proprio mentre l’occultamento e il
segreto essenziali e assoluti dell’Essere divino vengono
affermati nel versetto 29,5: «D io può fare a meno dei
due universi», ed è lì che si mostra la precedenza sim­
bolica della lettera alif.
Tale lettera, come già osservato, si compone di un
semplice tratto verticale, di cui le altre lettere possono
considerarsi un prolungamento in direzione orizzonta­
le, a mo’ di curva, di flesso, ecc. È dunque pertinente
considerare che si ha una manifestazione della lettera
alif nelle altre, e che tale manifestazione risulta dalla
determinazione della forma di ciascuna, implicante una
messa in relazione che comporta la moltiplicazione e il
fatto che esistono altre lettere oltre Yalif. Esiste così
una corrispondenza perfetta fra la manifestazione del­
l’Essere divino nelle sue forme teofaniche e la manife­
stazione della lettera alif nelle forme diversificate delle

1 Sull’Intelligenza Prima, seconda ipostasi, designata come il Misericordioso


(al-Rahman), ì'Anthrópos metafisico (al-lnsan al-haqiql Homo vents), e l’Ani­
ma, terza ipostasi, come il Misericordiosissimo (al-Rahim); o inoltre al Rahman
identificato con il Makranthrópos (al-lnsan al-Kahir) e al Mikranthrópos (al­
lusati al-saghìr), cfr. La Philosophic shTìte..., cit. (si veda nota i p. 14), pp.
567-568. D'altro canto l’Imam è metafisicamente identificato con al-Rahman,
Homo maxnnus, la «Luce, padre delle Luci» 1al-\,vr abii IA nwas); tbid.. in­
dice .v.u Imam.
6o L A S C IE N Z A D E L L A B IL A N C IA

lettere. Ogni esistente può pertanto essere determinato


in corrispondenza con una lettera fra le altre: si designa
uno come ba, un altro come firn, un altro ancora come
dal, e così via. Proprio come l’Essenza divina (dhàt
ilahTya, l’In-Sé divino) viene a essere posta in rapporto
con ciascuno degli esistenti, cosa da cui deriva la molti­
plicazione e la denominazione dell’Essere divino me­
diante il nome di ciascuno degli esistenti (il nome del­
l’Intelligenza Prima, il nome dell’Anima del mondo,
ecc.), allo stesso modo accade con la messa in rapporto
della lettera alif con ciascuna delle altre lettere, da cui
risulta la molteplicità dell’ABJAD fiabe) e la nomina­
zione dell ’alif mediante i nomi di ciascuna delle lettere
{ba, firn, dal, e così via, sono i nomi delle forme di ma­
nifestazione dell 'alif).
Perciò la manifestazione dell’Essere divino attraverso
le forme dell’universo (sowar al-‘alani) corrisponde alla
manifestazione BAY alif attraverso le forme delle lettere.
Nello stesso tempo viene fondato ontologicamente il si­
stema di corrispondenze stabilito nei due ultimi dia­
grammi (figg. 3 e 4) fra le 19 lettere della Basmallah, i 19
gradi della cosmologia e i 19 gradi della profetologia.
Si possono ancora considerare le tre alif occultate
nella grafia delle tre parole Bistn, Allah, Rahman come
emblemi di tre universi nascosti nella Basmallah. Tre
« unità d’universo », il cui numero di mille simboleggia
la moltitudine di ciascuna e che sono il corpo mistico
della Basmallah, nella maniera in cui le « sante miriadi »
angeliche sono il corpo mistico del Supremo Nàmus,
della «Legge di fuoco » che fu la prima visione dell’An­
gelo accordata al Profeta - visione che lo sconvolse e
della quale toccò al monaco Waraqa rivelargli il senso.1
Tale « corpo mistico » della Basmallah ci riconduce pa­
rimenti ai 19 mondi. I tre « universi nascosti » implicano
in effetti l’esistenza di tre altri mondi: mondo della C o­
noscenza (‘alani al-'dm), mondo della Volontà (iràda),
mondo della Potenza (qodra), i quali sono subordinati

1 Si veda l’articolo di Jean-Claude Vadet Les Hanifs..., citato alla nota 4


pp. 31-32.
L A B I L A N C IA D E I D IC IA N N O V E 6l

ad altri tre che ne costituiscono i ricettacoli (qawàbil'): il


Conosciuto (.ma'lìim), il Desiderato (moràd), il Predeter­
minato (.moqaddar). Il totale è di 9 mondi. In virtù della
Bilancia che esige l’equilibrio fra il nascosto, l’esoterico
(batin') e il manifestato, l’exoterico (zahir), si prenderan­
no in considerazione i tre gradi nei mondi delle Intelli­
genze (jabarùt), delle Anime (.Malakùt), dei corpi mate­
riali (Molk). Abbiamo ancora 9 + 9=18. Se vi si aggiun­
ge l’universo proprio all’uomo, la somma dà 19.1
In breve, la totalità dei mondi secondo Haydar
Amoll ammonta a 19, ivi compreso l’uomo. Il nostro au­
tore è perfettamente consapevole di svelare in questo
modo dei significati (ma'am, idee) straordinari, che gli
sono stati « ispirati dall’Invisibile, e rispetto ai quali non
ha alcun predecessore presso gli Antichi».2 Tale atteg­
giamento emotivo domina anche la terza messa in ope­
ra della Bilancia dei Diciannove, quella che regge in
equilibrio i gradi del Paradiso e delllnferno interiori.
c. Abbiamo letto poc’anzi l’esortazione del Profeta:
«Chi vuol essere immunizzato contro i 19 guardiani
dellTnferno deve recitare la Basmallah ». Quest’espres­
sione contiene anche un’allusione al versetto coranico
74,30, che recita: « al di sopra della gehenna ci sono di­
ciannove guardiani». Haydar Amoll ha meditato lun­
gamente tale versetto, di modo che si pongono imme­
diatamente due questioni: 1. Chi sono questi guardiani
dellTnferno? 2. Perché il loro numero è limitato a 79?
1. Per rispondere alla prima domanda bisogna tene­
re presente la corrispondenza fra il Cielo interiore e il
Cielo esteriore, fra lTnferno e il Paradiso interiori da
un lato, e lTnferno e il Paradiso esteriori dall’altro, poi­
ché la risposta che cerchiamo si trova nel significato in­
teriore del Paradiso e dellTnferno quali stati intimi del­
l’uomo. Dipende dall’uomo che gli Angeli del suo Pa-

N. al-N., § 703. Il versetto coranico 27,12 che ordina a Mosè: «Porta la


ma mano al petto, la ritirerai tutta bianca senza che sia malata, quello sarà
uno dei nove segni» è interpretato nel senso di un’allusione ai nove mondi
corporei esteriori nonché ai nove mondi spirituali nascosti mediante i quali
Mosè esercita la propria azione taumaturgica sui primi. § 704.
N. § 705,
6i L A S C IE N Z A D E L L A B IL A N C IA

radiso si mutino nei demoni del suo Inferno. Ogni at­


taccamento genera una disposizione permanente, un
habitus (malaka, egLq), che «possiede» {milk) il suo es­
sere interiore, ne è la « dominante».
La teologia designa tale habitus come « Angeli ». Se-
nonché, vi sono degli habitus eccellenti, valorosi e belli,
e sono questi a essere propriamente designati come
« Angeli ». Poi vi sono degli habitus viziosi, infami e lai­
di, e sono questi a essere designati con il nome di guar­
diani (zabàniya) dell’Inferno, mentre i primi sono con­
traddistinti da uno dei nomi del Paradiso, Rezvan, di cui
essi sono gli Angeli. La corrispondenza fra i due mondi
è evidente. Gli Angeli designano le Potenze {al-qowà o
al-qowwàt, Òuvàpeic;) che sono all’opera tanto nel ma­
crocosmo quanto nel microcosmo. Come disse Ibn
‘Arabi, gli Angeli sono le Potenze del Makranthrópos
{,al-Insàn al-RabTr) che è l’universo, come nel microco­
smo, nel Cielo interiore, le Potenze spirituali e psichi­
che sono gli Angeli dell’esistenza dell’uomo, dal mo­
mento che nell’uomo sono riunite e ricapitolate a mo’
di riassunto le Potenze del cosmo. A queste Potenze so­
no ordinati gli habitus, le inclinazioni permanenti del­
l’uomo. Più un uomo è attaccato a questo mondo, più il
suo éthos, il suo stato interiore, è vile e vizioso. Meno è
attaccato al mondo, più bello, più forte e più sottile è il
suo stato interiore. Perché allora parlare dei 19 attacca­
menti e dei 19 habitus, regolati sul numero degli Ange­
li vigilanti alla soglia del Paradiso e su quello dei demo­
ni guardiani dell’Inferno?1
Il fatto è che Paradiso e Inferno interiori, in ragione
stessa della corrispondenza fra Cielo esteriore e Cielo
interiore, non sono separati da questo mondo, come ri­
chiamato dal Detto del Profeta: «Il Paradiso e l’Infer­
no sono più vicini a ciascuno di voi dei lacci dei suoi
sandali». Esiste dunque un’inevitabile corrispondenza
fra Paradiso, Inferno e i «diciannove» del Cielo este­
riore, ossia i 12 segni zodiacali e i sette astri erranti. E
quel che insegna l’astrologia, sottolinea il nostro auto-

N . iil- N . , §§ 706.707.
L A B IL A N C IA D E I D IC IA N N O V E 63

re, quando riferisce ai segni dello zodiaco rispettiva­


mente gli attaccamenti e le inclinazioni permanenti del­
l’uomo. Ecco perché, complessivamente, si forma una
serie di diciannove elementi. E l’oggetto della missione
di tutti i profeti, come il contenuto di tutti i Libri sacri
rivelati dal Cielo, tendono al medesimo scopo: condur­
re l’uomo a liberarsi, a spezzare tutti gli attaccamenti
con i diciannove legami. Questo è il senso dell’esorta­
zione del Profeta a recitare la Basmallah composta da
diciannove lettere, così che ognuna di tali lettere diven­
ti per l’uomo un Paradiso, nel giorno della sua resurre­
zione. Avendo infranto i suoi retaggi, l’uomo sfugge ai
diciannove guardiani che sono l’Inferno e si riunisce ai
diciannove Angeli che sono il Paradiso.1
Si tratta di una rottura con tutti gli attaccamenti
mondani per votarsi, in dedizione esclusiva, al servizio
divino. Qui si fa anche sentire l’insegnamento tradizio­
nale dei mistici, che trova le sue origini nel Detto del
Profeta: «Morire prima di morire». Tale anticipazione
mistica della morte, questa « morte prima della morte »,
è determinata dall’idea che la vita naturale deU’uomo
non è sic et simpliciter, in questo mondo, la vita della
sua vera natura. Per vivere secondo quest’ultima, l’uo­
mo deve passare attraverso la morte mistica volontaria,
che rappresenta di fatto la sua seconda nascita. Un al­
tro Detto del Profeta recita: «G li umani dormono; è
quando muoiono che si risvegliano». E proprio con
questo Detto che più avanti vedremo Ibn ‘Arabi [infra,
cap. v) aprirci uno squarcio folgorante su quel che si­
gnifica «scienza delle corrispondenze». Il sonno qui è
l’ignoranza, l’incoscienza. Il risveglio è la gnosi, la co­
scienza della veglia;12 è essere un Egrégoros.
A questo allude il versetto coranico 6,122: «Colui
che era morto e al quale abbiamo dato la vita, e che ab­
biamo posto come una Luce, perché sua mercé cammi-

1 N. al-N., § 708.
2 Yaqaza. Cfr. il nome di Hayy ibn Yaqzàn, che dà il titolo a uno dei rac­
conti mistici di Avicenna, edito e tradotto nella nostra opera Avicenne et le
récit vision nane, Berg International, Paris 1980.
6\ L A S C IE N Z A D E L L A B IL A N C IA

ni in mezzo agli uomini, è simile forse a colui che cam­


mina nelle tenebre e non ne uscirà mai? ». Haydar
Àmoll così lo interpreta: «Chi è passato per la morte
volontaria dell’iniziazione mistica, e che noi abbiamo
reso vivente dell’autentica vita, che è la conoscenza, la
gnosi, la potenza visionaria (moshàhada), e che abbiamo
posto fra gli uomini come uno che sa, uno gnostico, uno
che vede (moshàhid), è forse simile a colui che non è che
un cadavere nelle tenebre dell’ignoranza? ». La vita, nel
suo senso vero e autentico, non è la vita nel senso bio­
logico del termine; essa è Luce, quella Luce che nel C o­
rano ha sempre il senso di conoscenza, vita, essere.
La Luce è l’essere stesso, come tale invulnerabile alle
tenebre e alla morte. Per liberare questa Luce, per ri­
darle la sua invulnerabilità, occorre passare attraverso
la morte volontaria della morte mistica. Il nostro autore
intende nel loro puro senso spirituale i versetti coranici
3,163-164: « Non pensate che quelli che sono stati ucci­
si sul sentiero di Dio siano morti. Niente affatto! Essi
sono viventi presso il loro Signore; ricevono da Lui so­
stentamento, e sono pieni della gioia di cui Egli li col­
ma ». Si tratta dunque, secondo il ta’ivil, della morte in­
tesa nel senso spirituale, vale a dire del morire alle tene­
bre, ovvero del morire alla morte medesima, nel senso
naturale, dal momento che la morte mistica comporta
la sopravvivenza, la vita immortale che implica il nutri­
mento spirituale, che è conoscenza, gnosi, rivelazione
interiore (kashf)d Questo è il senso che Haydar Amoll
qui attribuisce ai «martiri» caduti sul sentiero di Dio,
senso che è probabilmente assai vicino a quello dato al­
lo stesso termine da un mistico ermetico come Zosimo,
il quale sa benissimo che la nascita e lo sviluppo del
corpo sottile, del corpo di resurrezione nell’uomo pre­
suppone il passaggio per il «martirio» della dissoluzio­
ne, che rappresenta la fase della nigredo.
Tutto ciò premesso segue la conclusione: «Colui
che, di questo mondo, non ha sciolto i legami relativi
alla sua dipendenza dai dodici segni zodiacali e dai set-

N. al- N. , §§ 709-711.
L A B IL A N C IA D E I D IC IA N N O V E 65

te pianeti, rimane, dopo il suo exitus materiale, in pote­


re degli habitus prodotti in lui dagli attaccamenti che
vengono designati come i 19 guardiani dell’Inferno».1
2. Gli approfondimenti di cui sopra hanno risposto
alla prima domanda. Pare di aver contemporaneamente
risposto, in ragione della corrispondenza fra macroco­
smo e microcosmo, anche alla seconda domanda: per­
ché questa limitazione degli habitus al numero di 19?
In effetti la questione è molto più complessa; tale limi­
tazione avrebbe persino qualcosa di derisorio. Ove si
limitino a 19 gli habitus dell’essere interiore dell’uomo,
altrimenti detti gli Angeli del suo Paradiso o i demoni
del suo Inferno, non se ne considerano che le categorie
globali delle « unità d’universo » (come quando si parla
di Jabarut e Malakut)\ ma, se si vuole entrare nei detta­
gli, esaminare le singole cose nelle loro particolarità, al­
lora nessuno ne conosce né il numero né i limiti, al di
fuori di Dio soltanto. Come recita il versetto coranico
74,34: «Nessuno conosce le armate del Signore, se non
Lui soltanto ». Ecco perché la moltitudine delle realtà
parziali non è l’oggetto della ricerca del nostro autore.
Ciò a cui tale ricerca mira, relativamente al numero 19
che si ritrova nei tre grandi Libri, è suggerito dalle due
seguenti allusioni. La prima, contenuta nel Corano
(69,32), parla di una catena di 70 cubiti; l’altra è nel
Detto del Profeta che recita: «D io ha 70.000 Veli di lu­
ce e di tenebra; se li sollevasse, lo splendore del suo
Volto brucerebbe ogni creatura che gli rivolgesse lo
sguardo».2 La catena e i Veli di cui sopra non hanno
forse qualche relazione con il 19, e segnatamente con i
19 demoni infernali contro i quali deve proteggere la
recitazione della Basmallah, sostituendo a essi i 19 An­
geli del Paradiso?
Il nostro autore osserva innanzi tutto che, se le 19
lettere della Basmallah codificano adeguatamente la di­
visione in gradi del sistema dei mondi, mondo manife­
stato e mondo spirituale (come illustrato dai diagram-

1 N. al- N . , § 713.
: N . al- N. , §§ 714-715.
66 L A S C IE N Z A D E L L A B IL A N C IA

mi precedenti), la loro realizzazione si compie nel det­


taglio secondo il sistema delle lettere nel loro insieme,
come già detto accennando alle 28 lettere dell’alfabeto
arabo, quattordici delle quali, senza punti, si richiama­
no al Malakùt o mondo spirituale, mentre le altre quat­
tordici, provviste di segni diacritici, si richiamano al
Molk o mondo manifestato. Ebbene, è tale sistema che
dovremo infine considerare per stabilire la Bilancia dei
Ventotto. Il tema dei 70.000 Veli di luce e di tenebre ha
prodotto una notevole letteratura presso i teosofi misti­
ci. Quello che Haydar AmolT vuole qui prendere in esa­
me è l’idea della catena e del velo quali simboli di ogni
legame e attaccamento mondano, da cui è importante
che l’uomo si liberi prima del suo exitus. Il nostro auto­
re ritiene che i suoi grandi predecessori, quali Ghazàll,
Fakhroddln RàzI, Najmoddln Kobrà, Najmoddln Dàyeh
RàzI, Fakhroddln ‘Eràql,1 malgrado i loro sforzi, non
siano arrivati a spiegare il numero 70. Invece «accad­
de» il Nostro dice «che Dio aprì il nostro occhio della
visione interiore [...] di modo che scoprimmo e con­
templammo lo stato delle cose quale esso è, e scrivem­
mo sull’argomento un trattato in arabo e uno in persia­
no, nei quali l’abbiamo spiegato sotto molteplici punti
di vista ».12
La sua spiegazione viene presentata qui di seguito.
Egli ricorda come si arriva al totale dei 18 gradi della
cosmologia (18 o 18.000 mondi); se vi si aggiunge il
mondo proprio all’Uomo Perfetto si ottiene il totale 19.
Beninteso, come richiesto dalla scienza della Bilancia,
occorre intendere che queste 18 «unità d’universo»
comportano ciascuna un aspetto exoterico e uno esote­
rico, vale a dire una parte appartenente al Molk o mon­
do manifestato ai sensi, e una controparte appartenen­

1 Su tutti questi personaggi si veda la nostra Histoire de la philosophic


islamique, n partie: Depuis la mart d’Averroes jusqu’à nos jours (versione ab­
breviata in « Encyclopédie de la Plèiade», Histoire de la philosophic, in).
[Trad. it. Storia della filosofia islamica, Adelphi, Milano 1989.]
2 N. al-N., § 716. È senza dubbio il trattato Risalat al-hojoh wa-kholàsat
al-kotoh (Trattato dei veli e quintessenza dei libri). Cfr. la nostra introduzio­
ne a La Philosophic shTite..., cit. (supra, nota 1 p. 14), pp. 40 sgg., n. 15 dei
cenni bibliografici.
L A B IL A N C IA D E I D IC IA N N O V E 67

te al mondo spirituale o Malakùt. Considerate sotto ta­


le duplice aspetto, le 18 «unità d ’universo» danno un
totale di 36. Secondo il criterio di calcolo precedente,
queste 36 «unità d ’universo» s’aggiungeranno al mon­
do proprio all’uomo, poiché quest’ultimo si aggiungeva
ai 18 gradi della cosmologia per ottenere 18+1 = 19.
Qui, se bene intendiamo, Haydar Amoll opera secondo
un altro punto di vista, inverso e complementare. I 18
universi sono considerati come le catene e i veli in rap­
porto all’uomo; è con l’uomo che diventano 19. Ora, si
tratta esattamente di eliminare dal conto l’uomo, non
più di aggiungerlo. Eliminarlo poiché costituisce il suo
proprio universo, liberato da catene e da veli, significa
allora, dal punto di vista qui considerato, sottrarre l’uo­
mo dall’insieme degli universi. Ciò che porta al risulta­
to: 36 -1 = 3 5.1 Risulta che questi 3 5 sono da considerar­
si sia nel « Libro degli orizzonti » che nel « Libro delle
Anime», ciò che porta il totale a 70, vale a dire: 70
mondi, 70 veli, 70 catene, ove si considerino le unità
globali, ma 70.000 Veli e 70.000 catene ove si consideri­
no le realtà particolari che vengono simboleggiate, co­
me visto in precedenza, facendo uso delle migliaia.
Quod erat demonstrandum:
Tale è, a grandi linee, la maniera in cui è presentata la
Bilancia dei Diciannove, verificata nella corrisponden­
za fra il «Libro degli orizzonti», il «Libro delle Ani­
me» e il «Libro del Corano». Il nostro autore ci ha in­
dicato fra l’altro come le 28 lettere dell’alfabeto arabo si
rapportino alle 19 lettere costituenti la Basmallah per
« codificare » la genesi dei mondi. Ritroveremo il nume­
ro 28 nel modo in cui Ibn ‘Arabi suddivide le 28 dimo­
re dell’Inferno, e come le si ritrova anche nella descri­
zione di Dante. Ma la Bilancia dei Ventotto in Haydar

' Altrimenti non si capirebbe come, non essendo Fuomo compreso nei
18, dal momento che lo si aggiunge per ottenere 19, l’autore potrebbe to­
glierlo dai 36 (18 x 2) al fine di ottenere 35. Come toglierlo se non ci fosse sta­
to? Haydar Amoll tornerà sul numero 36 a proposito della Bilancia dei Set-
tantadue (ovvero le 72 scuole o formazioni religiose precedenti e seguenti
l’avvento dell’IsIàm). Tuttavia non possiamo trattarne qui. Cfr. N. al-N., §§
872 sgg.
N. al-N., § 717.
68 L A S C IE N Z A D E L L A B IL A N C IA

Àmoll s’inserisce in un vasto insieme che è uno dei


punti salienti della sua storiosofia profetica. Un altro
punto saliente sarà la «Bilancia dei Settantadue», con
la quale il nostro autore abbraccia, in una prospettiva
geniale e grandiosa, la totalità della storia delle religio­
ni, prima e dopo l’IsIàm. Ma purtroppo non abbiamo
lo spazio per descriverla in questa sede.
IV .

LA BILANCIA DEI VENTOTTO

Quanto alla Bilancia dei Ventotto, essa opera in qual­


che modo nel cuore della profetologia generale. Come
scopo proprio ha quello di far apparire il pleroma costi­
tuito dal periodo mohammadiano del ciclo della profe­
zia, sviluppando la corrispondenza topologica ideale fra
i gradi che identificano rispettivamente gli ascendenti e i
discendenti del profeta dell’IsIàm. L’intento è tutt’altra
cosa che una costruzione lineare, portatrice di una filo­
sofia della storia ispirata a una necessità causale imma­
nente ai fatti, come a una successione puramente contin­
gente dei fatti medesimi. Qui i «fatti» vengono conside­
rati come retti e determinati da una legge trascendente,
la legge superiore di una struttura che determina dei ci­
cli (o delle « cupole », come ci siamo espressi in prece­
denza). Esiste un’omologia fra i rispettivi gradi di cia­
scun ciclo, ed è quel che permette la messa in corrispon­
denza dei personaggi che vi sono situati. Legge trascen­
dente, metastorica, che è quella di una storiosofia, non di
una semplice filosofia della storia, in conformità alla di­
stinzione che abbiamo a suo tempo stabilita.
La profetologia generale riconosce l’esistenza di
124.000 profeti, non di NabTs necessariamente dotati
della qualità di Inviati, ma di NabTs tout court. Per
ognuno di questi NabTs c ’è stato un Amico di Dio (un
wait) che fu suo erede spirituale (il suo wasT). Lungo
questa prospettiva, ci sono stati 124.000 Awliyà corri­
spondenti ai 124.000 NabTs. Ma, come già sappiamo, la
profetologia speciale considera come occupanti un ran­
go peculiare i sette grandi profeti legislatori. Tutti co­
storo, come parimenti sappiamo, hanno avuto per suc­
cessori dodici Imam che furono i loro eredi spirituali,
fino alla venuta di un nuovo profeta.1 Lo stesso avvenne

1 N. al-N., § 731.
7° L A S C IE N Z A D E L L A B IL A N C IA

per il Profeta dell’IsIàm il quale, a differenza dei profe­


ti precedenti, fu il Sigillo della profezia e dei profeti, e il
cui dodicesimo Imam fu e sarà il « Sigillo degli Awliyà»
del suo periodo. Come, pertanto, si stabilisce la Bilan­
cia che pone in equilibrio l’ascendenza e la discenden­
za dell’ultimo dei profeti legislatori?
I nostri autori si sono applicati a ricostruire l’albero
genealogico del profeta Mohammad risalendo fino a
Adamo. L’insieme forma una catena di 51 anelli. Vi oc­
cupano una posizione eminente la persona di ‘Abdol-
Mottalib, nonno sia del Profeta che del primo Imàm;
quella di al-Nazr ibn Kinàna, capostipite della tribù dei
Qorayshiti; quella di Ismaele figlio d’Àbramo, attraver­
so il quale risaliamo fino ad Arpakhshad, della discen­
denza di Sem: non restano poi che da identificare, sot­
to una grafia più o meno fedele, i nomi che figurano nel
Libro della Genesi.' Di questi 51 ascendenti, Haydar
Amoll osserva che 17 furono dei profeti, altri 17 dei re,
i 17 restanti degli Awliyà : Grazie a questo esame vedia­
mo perpetuarsi nella gnosi islamica le virtù aritmologi-
che del numero y 1, considerato come un multiplo di iy
(17x3). Già Jàbir ibn Hayyàn, il celebre alchimista,
considerava il mondo fisico come «governato dal nu­
mero 17, che si ritiene che quaggiù riproduca l’immagi­
ne, certo deformata, dell’uomo celeste ».3

1 N. al-N., § 732. In effetti, benché si sia parlato di 51 nomi, la lista di


Haydar Amoll non ne menziona che 46. Dopo la discendenza da Ismaele ad
Arpakhshad, tale lista concorda con il Libro della Genesi, 11,10-32.
’ N. al-N., § 733.
’ Cfr. Paul Kraus, op. al. (supra, nota 1 p. n ), pp. 216-217, 222-223, do­
ve si trovano comparazioni suggestive. Nella tradizione nosayrita, 51 (17x3)
dignitari stanno alle porte della città di Harràn (quella dei sabei ermetisti,
descritta come una Gerusalemme celeste), per accogliere i giusti che abite­
ranno il Cielo (cfr. Apocalisse di Giovanni, 21, io sgg.). Secondo certi gnosti­
ci ebrei ci sono 17 Esseri primordiali. Secondo lo gnostico shfita Moghira
ibn Sa'id (morto nel 119/737), l 7 è il numero delle persone che saranno re­
suscitate alla parusia del Mahdl, « a ciascuna delle quali sarà data una delle
lettere dell'alfabeto di cui si compone il nome supremo di Dio». Nei 153 pe­
sci della pesca miracolosa (Giovanni, 21,11), sant'Agosdno rileva un nume­
ro triangolare la cui base è 17. Sono 51 le preghiere che diceva giornalmente
il primo Imam. E altresì il numero di trattati (17 dei quali dedicati alla fisi­
ca) di cui si compone l’Enciclopedia ismailita dei «Fratelli della purità», cfr.
supra, nota 2 p. 43.
[Si ricorda (si veda nota 2 p. 43) che tali trattati nelle redazioni più recen-
L A B IL A N C IA D E I V E N T O T T O 71

Sottolineiamo inoltre due cose: a . L’ascendenza del


Profeta in linea maschile, di padre in nonno, è ancora
un’ascendenza exoterica; essa lascia intatto il problema
dell’ascendenza esoterica, attraverso KhadTja, sua spo­
sa, e il cugino di lei, il monaco cristiano Waraqa, che
iniziò Mohammad al significato della sua prima visione.
b . E importante far notare bene il posto di al-Nazr, ca­

postipite dei Qorayshiti, che occupa la quattordicesima


posizione della lista, poiché è proprio tale posizione
che consente poi di stabilire la bilancia fra l’ascendenza
exoterica del Profeta e la sua discendenza esoterica nel­
le persone degli Imam, sulla base del numero 28.
Dal momento che l’ascendenza in linea maschile ap­
pena descritta è ancora exoterica, essa non fa che in­
trecciarsi al lignaggio della Luce mohammadiana (Nùr
mohammadi), che è all’origine del carisma profetico di
Mohammad. La Luce spirituale preeterna fu trasmessa
di profeta in profeta, come Luce unica della profezia e
deH’Imàmato («Io ero, insieme ad ‘Ali, una sola Luce
innanzi a Dio prima che Egli creasse il Creato»), fin
quando, a partire da ‘Abdol-Mottalib, si scisse in due
persone, quella del Profeta e quella dell’Imàm. La pu­
rezza di tale Luce esclude qualsiasi offuscamento nel
corso delle fasi della sua trasmissione, al punto che bi­
sogna tra l’altro fare qualche precisazione circa colui
che fu il vero padre di Abramo.1
Resta assodato che la bilancia degli ascendenti e dei

ti sono in realtà 52, ai quali si aggiungono due trattati esoterici di ricapitola­


zione.]
1 N. al-N.y §§ 733‘ 734- La precisazione, che il nostro autore fa di passag­
gio, è motivata dal versetto coranico 6,74, che dà Azar per padre di Àbra­
mo. Ora, Azar era stato un idolatra, prima di essere convertito da Abramo.
Ma è assolutamente escluso che la Luce mohammadiana trasmessa di profe­
ta in profeta (trasmissione che è un mistero, beninteso, appartenente alla
sfera della fisiologia sottile) possa risiedere in lombi impuri. Infatti Azar era
lo zio di Abramo, e il versetto coranico, rileva Haydar Amoll, non fa che
conformarsi a un’usanza degli arabi, i quali danno allo zio il nome di padre.
Resta fermo che Abramo era figlio di Tarakh, e in ciò il nostro autore si ac­
corda perfettamente con il Libro della Genesi, 11,32. In ragione dell’impec­
cabilità (cfr. la nozione di àva^àQxr|Tog nella profetologia giudaico-cristiana)
caratteristica dei profeti e degli Imam, Haydar Amoll difende allo stesso
modo la memoria di Abù Talib che fu a un tempo padre dell’Imàm ‘A ll e pa­
dre adottivo del Profeta.
72 LA S C IE N Z A D E L L A B IL A N C IA

discendenti del Profeta troverà il suo punto d’equili­


brio sul numero 28. Ora, questo numero, già incontra­
to qui, rivela d’un tratto la sua importanza nell’ambito
profetologico. In effetti, i profeti menzionati nel Cora­
no sono 28. Tale numero è eo ipso l’indicatore della pro­
fetologia comune alle «religioni del Libro», all’«ecu­
menismo» abramico che salda la continuità profetica
della Bibbia al Corano, continuità che permette al Pro­
feta dellTslàm di rivivere i precedenti scritturistici del­
la sua propria Rivelazione. Da parte nostra possiamo
ora meglio illustrare gli insegnamenti che ne derivano,
per quanto siano già stati accennati in precedenza. Il
numero dei profeti menzionati nel Corano è conforme
al numero che regge la struttura comune ai tre grandi li­
bri. Il «Libro degli orizzonti» comporta 14 gradi: l’In­
telligenza Prima, le nove Sfere celesti, i 4 Elementi; con­
siderato nel suo aspetto exoterico e in quello esoterico,
a livello di Molk e di Malakùt, dà un totale di 28. Ana­
logamente il «Libro delle Anime». Lo stesso dicasi per
il «Libro del Corano», basato sulle 28 lettere. Quanto
ai 7 profeti, se li si considera nel «mondo degli oriz­
zonti » e nel « mondo delle anime », sotto il loro dupli­
ce aspetto metafisico e manifestato, si ottiene parimen­
ti il risultato di 28 (7x4).'

C ’è di più. Come la menzione coranica dei 19 guar­


diani dell’Inferno doveva essere controbilanciata dai
19 Angeli del Paradiso, allo stesso modo è sotto il nu­
mero 28 che Ibn A rabi, a questo punto nuovamente ci­
tato da Haydar Amoli, immaginava una struttura del­
l’Inferno ordinata e controbilanciata dalla struttura del
Paradiso. Quattro categorie formano la popolazione
dell’Inferno, poiché la strategia di Iblls-Satana è di as­
salire gli uomini « di fronte e alle spalle, a destra e a si­
nistra» (7,15-16).2 D ’altra parte, della gehenna è detto1

1 N. al-N., §§ 736-737.
N. al-N., §§ 738-739- Cfr. Fotiihàt, cap. 62: «Iblls si presenta al moshrik
[ - politeista, idolatra] di fronte; all’ateo alle spalle; all’orgoglioso alla sua
destra; all’ipocrita alla sua sinistra, che è il lato più debole, come questo è il
più debole dei quattro gruppi».
L A B I L A N C IA D E I V E N T O T T O 73

(15,44) che «ha sette porte», sette gradi o cerchi, fra


cui sono ripartite le quattro categorie dei dannati. Se si
moltiplica tale numero per quello dei cerchi (4x7), il
prodotto dà 28. È proprio la topografia dell’Inferno
immaginata da Ibn ‘Arabi che il grande arabista Asm
Palacios ha comparato con quella concepita da Dante.1
Le 28 dimore infernali corrispondono alle 28 lettere
di cui sono composte le kalimàt, le parole mediante le
quali vengono manifestate nel mondo l’infedeltà e la fe­
de, dal momento che Dio parla e si rivolge a ciascun
uomo per la fede o per l’infedeltà che in ciascun uomo
alberga, per la sincerità o per la menzogna che si trova­
no in esso, e la testimonianza di Dio sussiste nel mondo
mercé le stesse parole pronunciate dagli uomini, persi­
no quando sono pronunciate a negazione di Dio. In
precedenza si è visto che le centinaia e le migliaia pote­
vano codificare in modo simbolico (non certo statisti­
co) la pluralità celata in ciascuna «unità d’universo».
Qui ogni dimora infernale è considerata come impli­
cante cento gradi, ciò che porta a un totale di 2.800 di­
more. A queste 28 centinaia corrispondono simmetri­
camente 28 centinaia di dimore paradisiache, poiché è
detto (2,263): «Simili a un chicco che produce sette
spighe, e ogni spiga cento chicchi», ciò che conduce a
una somma di 700. I beati formano altresì quattro cate­
gorie (i profeti-legislatori, i Nabfs tout court, gli Awliya,
i semplici credenti). Di nuovo, si ottiene come risultato
2.800 (700x4). Così le bilance che pesano la Creazione
nei due mondi, il paradisiaco e l’infernale, sono perfet­
tamente in pari. Il numero dei 28 profeti menzionati
nel Corano vela dunque una saggezza profonda, la stes­
sa saggezza che fra i due mondi ha stabilito corrispon­
denze di cui non conosciamo che un’infima parte.12

1 Cfr. Miguel Asin Palacios, La escatologia musulmana en la Divina Co­


media, 11 ed., Madrid-Granada 1943, pp. 144-148. [Trad. it. Dante e l'Islam,
Pratiche, Parma 1994.] Il rapporto 4 x7 è posto in evidenza nel diagramma
a p. 147 dell’edizione citata, che mostra la corrispondenza fra i cerchi del-
l’Inferno musulmano e i gironi dellTnferno dantesco.
2 N. al-N.. §§ 740-741. Sul numero 28 in aritmologia come numero per-
letto cfr. Paul Kraus, op. cit. (nota 1 p. 11), p. 199.
L A S C IE N Z A D E L L A B IL A N C IA
74

Fra la scienza della Bilancia come scienza delle corri­


spondenze e il riconoscimento delle teofanie c’è dunque
una connessione essenziale, dal momento che non esiste
creatura che non sia la forma teofanica (.mazhar) di uno
dei Nomi divini, e che la scienza delle corrispondenze
consiste nell’omologazione delle teofanie di ciascun
Nome divino in tutti i livelli d’universo, così come in
ogni ciclo della ierostoria profetica. È in tale funzione
che il numero 2 8 ci mostra in pieno le proprie virtù arit-
mosofìche, poiché, se è e simboleggia il numero dei pro­
feti menzionati nel Corano, nel contempo determina
l’omologia strutturale fra i due cicli dell’ascendenza e
della discendenza del Profeta dell’IsIàm. Haydar Amoli
su questo punto s’ispira a sottili indicazioni fornitegli
da un autore del x i i i secolo, Mohammad ibn Talha.1
Accennando più sopra ai 51 ascendenti del Profeta fi­
no a Adamo, si anticipava l’importanza che bisogna da­
re alla persona di al-Nazr ibn Kinàna, quale capostipite
della tribù dei Qorayshiti. Il Profeta stesso del resto
proclamò che gli Imam dopo di lui sarebbero stati della
schiatta di Qoraysh. L’Imàmato di un Imam arabo ma
non qorayshita non sarebbe dunque né legale né legitti­
mo. Tale privilegio conferisce alla tribù dei Qorayshiti
una dignità e una nobiltà senza pari. Ciò è indubbio,
ma questo privilegio indica eo ipso che, nell’ascenden­
za del Profeta, occorre tenere ben distinto il lignaggio
la cui origine è al-Nazr, padre dei Qorayshiti. Tra il
Profeta e al-Nazr ci sono dodici anelli della catena

' Mohammad ibn Talha (Kamàloddìn Abu Salini) fu all’epoca uno dei ca­
pi della scuola shàfl'ita (in effetti, pare un cripto-shi'ita come tanti altri).
Morì ad Aleppo nel 652/1254-1255, all’età di settantanni. La sua opera
principale (sulle persone degli Imam, lAdtaihb a/-v1 /1fi indi'unìih A l at- Ran/lì è
stata litografata in Iran. Di lui si segnala anche un trattato sul Nome supre­
mo di Dio. Cfr. Kayhanat al-adab, t. ni. p. 385, n. 96.
2 Su al-Nazr ibn Kinàna, capostipite della tribù dei Qorayshiti, si veda
Satinai Wihar al-amuar, 11, p. 424 v.v. qrs. Non va confuso con al-Nazr ibn al-
Harth, Safinat II, p. 594, al nome del quale resta collegato uno strano ritorno
di fiamma iranico. Era andato presso i persiani, e al suo ritorno annunciò ai
Qorayshiti: « Mohammad vi ha riportato la storia di ‘Ad e di Thamud; io vi
narro quella di Rostam e di Esfandyar», storia che gli uditori trovarono così
bella da rinunciare ad ascoltare il Corano. Pare che sia stato compagno di
Abù Jahi, e che sia stato ucciso da ‘All dopo la battaglia di Badr; ihid., 11, 210.
L A B IL A N C IA D E I V E N T O T T O 75

ascendente (ai quali corrisponderanno i dodici Imam),


da ‘Abdollah, padre del Profeta, fino a Malik, figlio di
al-Nazr. Al vertice dell’ascendenza, Màlik ibn al-Nazr
corrisponde dunque simmetricamente al punto termi­
nale della discendenza profetica, il dodicesimo Imam,
Mohammad al-Mahdi. Se ora completiamo i dodici
anelli della catena ascendente con i due estremi, ossia il
Profeta a un capo e al-Nazr all’altro, otteniamo un tota­
le di 14 persone.
È ciò che chiaramente schematizza il diagramma
tracciato dal nostro autore (fig. 5 = diagramma n. 12, si
veda l’Appendice): una corona circolare periferica nel­
la quale figurano i 51 nomi costituenti l’ascendenza di
Mohammad fino a Adamo, i cui due nomi svettano alla
sommità (la fine è ritorno all’origine). Nel cerchio cen­
trale sono inscritti i nomi dei 14 Qorayshiti; nel cer­
chietto al centro del precedente si trova il nome del
Profeta unito da un tratto al nome del padre di lui; fa­
cendo il giro e risalendo da destra a sinistra, si trovano
i nomi dei dodici predecessori fino a Màlik ibn al-Nazr,
il cui nome è unito da un tratto al piccolo cerchio tan­
gente dove figura il nome di al-Nazr ibn Kinàna.1
A propria volta, il diagramma che schematizza la di­
scendenza del Profeta è in corrispondenza rigorosa con
quello precedente. Viene ancora richiamato qui poiché
gli Imam sono limitati al numero di dodici. Tale neces­
sità si presenta sotto un quadruplice aspetto: A . Essa è
simboleggiata nelle 12 lettere che compongono rispetti­
vamente la duplice attestazione di fede musulmana:
l’attestazione dell’Unico (LA ILH ILA ALLH = Liz ilaha
ilici Allah), e l’attestazione della missione del Profeta
(MHMD RSUL ALLH = Mohammad rasùl Allah). Ora,
l’Imàmato deriva da questo duplice principio: coloro

1 N. al-N., §§ 747-751, 756. Il situs del Profeta determina dunque l ’equi­


librio fra i suoi dodici ascendenti qorayshiti e i suoi dodici discendenti
imàmici. Si noterà, a tale proposito, che il primo Melkisedek, di cui si tratta
in 11 Enoch, è preceduto da 12 sacerdoti (13 comprendendo Nir, il fratello di
Noè), e che il secondo Melkisedek, re di Salem, è capostipite di un lignaggio
di 12 sacerdoti. Cfr. Le Livre des secrets d'Hénoch, edito e tradotto da A.
Vaillant, Paris 1952, pp. 115-117.
76 L A S C IE N Z A D E L L A B IL A N C IA

che l’assumono sono in numero di 12. b . La scelta di do­


dici uomini da parte del Profeta e l’annuncio che dopo
di lui ci saranno 12 Imam.1 c. L’antecedente archetipico
dei dodici capi delle dodici tribù di Israele, delle dodi­
ci fonti sgorgate dalla roccia dell’Horeb, al tocco del
bastone di Mosè. d . Infine c’è un aspetto fondato sul­
l’equivalenza precedentemente stabilita dalla «scienza
delle lettere» o algebra filosofica fra le parole ZaMaN
(tempo) e M‘ZaN (bilancia).
La progressione del tempo segnata dalla rivoluzione
degli astri, e in particolare da quella della nona Sfera, è
necessaria affinché si propaghino al mondo terreno i
benefici risultanti dal cammino degli astri. Tale cammi­
no è regolato secondo il computo dei dodici mesi, delle
dodici ore del giorno e della notte. Analogamente, per
una corrispondenza perfetta fra i due mondi, l’azione
invisibile degli Imam sul mondo spirituale è basata sul
fatto che essi siano in numero di dodici.12 Il tempo (za-
màn) dellTmàmato è la bilancia (,mlzàn) che pone in
equilibrio l’aspetto esoterico del lignaggio imàmico dei
dodici Imam con l’aspetto exoterico del lignaggio dei
dodici predecessori qorayshiti del Profeta. Tipizzato
sotto forma di un ciclo omologo a quello precedente, il
tempo dellTmamato è un «tempo liturgico», al punto
che ciascuna delle dodici ore del giorno e della notte è
sotto la protezione di uno dei Dodici. A differenza del
tempo cronologico, che scorre in una successione senza
ritorno, il tempo liturgico istituisce il piano di perma­
nenza metastorica al quale in questa sede si è già fatta
allusione; esso è perpetuamente presente, e non proma­
na dal passato in quanto passato. La sua medesima suc­
cessione ne assicura non già il trascorrere, quanto il ri­

1 N. al-N., §§ 753-754. «Ecco perché, quando, la notte della ‘Aqaba (la


vetta di Mina ove il Profeta fu riconosciuto pubblicamente per la prima vol­
ta), l’Inviato di Dio ricevette il giuramento dei compagni, e disse loro: “Fate
uscire per me da voi dodici capi a somiglianza dei dodici capi dei figli di
Israele” . Ed essi lo fecero. Così ciò divenne una modalità seguita e un nu­
mero ricercato. Da cui questo Detto del Profeta enunciato sotto svariate
forme: “Gli Imam dopo di me saranno in numero di dodici. Il primo sarà
‘All; l’ultimo sarà il M ahdl”».
2 N. al-N., §755.
L A B IL A N C IA D E I V E N T O T T O 77

torno. Il tempo dell’Imamato è il tempo dell’attesa del­


l’Imam nascosto, le cui ricorrenze liturgiche dureranno
fino al «Giorno della Resurrezione».
Pertanto la struttura del lignaggio imàmico, in corri­
spondenza con quello dei predecessori qorayshiti, s’im­
pone con immediata evidenza (fig. 6 = diagramma n. 13,
si veda l’Appendice). Nella corona circolare periferica
figurano i 12 Imam dal dodicesimo, poi quelli del li­
gnaggio dei 51, costituenti la linea d’ascendenza di
Mohammad fino a Adamo. I due nomi che svettano in
cima, al punto d’origine e di ritorno, qui non sono più
quelli di Adamo e del « Sigillo dei profeti », bensì quel­
li di Adamo e del « Sigillo degli Awliyà » (Khatim al-
Awliyà), il dodicesimo Imam. Nel diagramma prece­
dente, il cerchio centrale recava inscritti i nomi dei 14
Qorayshiti, ovvero i dodici predecessori, più al-Nazr,
loro capostipite, e il Profeta stesso nel cerchietto al
centro del precedente. Qui figura il nome di Fatima, fi­
glia del Profeta e origine della discendenza imàmica.
Ma, dal momento che Fatima è chiamata la « madre del
proprio padre» (Omm abi-hà), essa è contemporanea­
mente l’origine dell’ascendenza e della discendenza del
Profeta. Tutt’intorno al piccolo cerchio centrale recan­
te il suo nome sono disposti i cerchi che portano i nomi
dei dodici Imam, risalendo da sinistra a destra, dal do­
dicesimo al primo, per, con quest’ultimo, riunirsi con la
loro scaturigine nella persona del Profeta. Il nome di
questi occupa qui un piccolo cerchio tangente, simme­
trico a quello che, nel diagramma precedente, portava
inscritto il nome di al-Nazr ibn Kinàna, origine del li­
gnaggio qorayshita.
Da un lato dunque i 12 predecessori qorayshiti, più la
figura iniziale, al-Nazr, e quella terminale, Mohammad.
Totale: 14. D all’altro lato i 12 Imam, più il Profeta e sua
figlia Fatima, origine della discendenza imàmica che
collega all’ascendenza qorayshita. Totale: 14 (i «Q uat­
tordici Immacolati», i Quattordici Eoni di Luce della
Haqìqat mohammadiya). L’equilibrio della bilancia si
stabilisce su questo numero, che si rivela pertanto co­
me la cifra esoterica del periodo mohammadiano del ci-
7» L A S C IE N Z A D E L L A B IL A N C IA

d o della profezia, corrispondente alle 28 lettere dell’al­


fabeto, alle 28 stazioni della Luna, ecc.1
Non resta che concludere citando il nostro autore:
«La luce dellTmàmato guida i cuori e le intelligenze
lungo i percorsi della strada della verità (o della strada
di Dio, tariq al-Haqq) e mostra loro chiaramente scopi e
mete sui cammini della salvezza, come la luce del Sole e
della Luna dirige gli sguardi delle creature sulle vie del
mondo visibile. Essa mostra loro con chiarezza i sentie­
ri ben tracciati e percorribili, affinché vi si inoltrino, e i
sentieri scoscesi e impervi, affinché li evitino. Tali luci
sono entrambe delle guide: l’una guida gli sguardi della
visione interiore, ed è la luce dellTmàmato; l’altra guida
gli sguardi della visione esterna, ed è la luce del Sole e
della Luna. Ciascuna delle due luci dispone di stazioni
per il proprio tragitto. Le stazioni della luce che guida
gli sguardi della visione esteriore sono i dodici segni del­
lo zodiaco, il primo dei quali è l’Ariete mentre il dodi­
cesimo è quello dei Pesci. Tale luce procede da un segno
all’altro dei dodici, finché perviene all’ultimo segno, il
dodicesimo. Parimenti le stazioni della luce che guida
gli sguardi della visione interiore, la luce dellTmàmato,
sono in numero di dodici, i dodici Imam: Noi proponia­
mo agli nomini le nostre parabole; solo i Saggi le com­
prendono (29,42)».12
Ecco che il versetto coranico citato dal nostro autore
a mo’ di conclusione ci pone l’ultima domanda. In che
cosa essenzialmente consiste la scienza delle corrispon­
denze da cui traggono origine i simboli, formando la tra­
ma di quelle uniche storie vere che sono le parabole? In
che modo tale scienza è possibile, e chi ne è competen­
te? La risposta, una risposta almeno, a questa domanda
la troviamo in alcune pagine straordinarie (ma non lo so­
no forse tutte?) della grande opera di Ibn ‘Arabi.

1 N. al-N.y§ 758.
2 N. al-N.y § 757.
V.

I CAVALIERI DELL'INVISIBILE
E LA SCIENZA DELLE CORRISPONDENZE

Raccogliamo qui qualcuno degli argomenti lasciati


lungo il percorso. Ci è stato detto che la condizione de­
gli umani, lungo la loro esistenza in questo mondo ter­
reno, è quella del sonno. Nel corso di tale sonno po­
tranno essi percepire il senso, comprendere le parabole
di cui i versetti coranici ci dicono che solo i Saggi com­
prendono? Ma chi sono dunque i Saggi? I Saggi sono
coloro che in tre meravigliosi capitoli Ibn ‘Arabi ci de­
scrive come i « cavalieri» o i « cavalieri dell’Invisibile »;
è grazie a essi che in questo mondo terreno può esiste­
re una « scienza delle corrispondenze ».
Inoltre, quando abbiamo brevemente esaminato la ge­
rarchia esoterica dello shfismo e del sufismo, abbiamo
incontrato quelli che vengono designati come Awtàd,
Abdàl, Nojabà, Noqabà, ecc. {supra, cap. n). A bella po­
sta abbiamo lasciato provvisoriamente da parte una
certa categoria, poiché il momento di farne utile men­
zione doveva essere differito fino a ora. Tale categoria è
propriamente quella che Ibn ‘Arabi designa come dei
Rokbdn o dei Rokkdb, i «cavalieri»;1 si tratta, beninte­
so, d’una cavalleria la cui funzione è rigorosamente eso­
terica, e che resta occulta agli occhi degli uomini, una
« cavalleria dei mondi invisibili ».
Tali cavalieri sono divisi in due categorie: la prima è
formata da quelli che hanno per cavalcature le grandi

1 Cfr. Ibn ‘Arabi, Kitab al-Fotuhàt al-Makkrya (Le Livre des Conquètes
spirituelles de La Mekke), i, pp. 199 sgg., capp. 30-32. La monumentale edi­
zione critica intrapresa da Osman Yahya non è ancora arrivata a questo pun­
to. [Ma cfr. Al-Fotuhàt al-Makkrya, a cura di Osman Yahya e Ibrahim
Madkur, Il Cairo 1972-1992.] Ibn ‘Arabi distingue tra fonali, cavalieri, e
rokbàn, che montano i cammelli, più precisamente i dromedari (hojon),
sport nei quale eccellono gli arabi d'Arabia. A essi vengono attribuiti il gu­
sto dell’eloquenza, della poesia eroica, della generosità, in breve ciò che ca­
ratterizza la « cavalleria del deserto ». In effetti, in tutte queste pagine, come
nei dizionari, si parla di «cavalieri» senza ulteriori specificazioni.
8o L A S C IE N Z A D E L L A B IL A N C IA

contemplazioni, le visioni sublimi; la seconda com­


prende coloro che cavalcano le grandi gesta, le grandi
imprese. Le due categorie corrispondono in qualche
modo a una cavalleria speculativa e contemplativa da
un lato, e a una cavalleria operativa dall’altro. La prima
categoria, quella dei contemplativi, è designata come
quella degli Afràd, i Senza Pari, gli Impareggiabili, gli
Unici. Costoro corrispondono, a livello umano, a que­
gli Angeli definiti in precedenza come « Angeli estatici
d’amore» per la bellezza e la gloria divine (cfr. supra i
sette Cherubini, i quali, nella gerarchia dionisiana, sa­
rebbero piuttosto i Serafini; cfr. anche i Sette nei libri
di Enoch, di Tobia, nell’Apocalisse, nonché i sette Spi­
riti Originari di Jacob Bòhme, ecc.). Si tratta di Angeli
essenzialmente votati alla liturgia celeste. La seconda
categoria dei nostri cavalieri, quelli operativi, corri­
sponde a livello umano agli Angeli che devono reggere
un mondo e governarne le vicende. E grazie a essi, alle
loro cavalcate, che può esistere una « scienza delle cor­
rispondenze ».
Dei cavalieri appartenenti alla prima categoria ci vie­
ne detto che Dio ha conferito loro un potere sopranna­
turale,1 per cui si nascondono sotto il velo dei padiglio­
ni dell’Invisibile (soràdiqàt al-ghayb), o persino sotto
quello di costumi contrari al loro stato. Essi sono in
qualche modo dei «volontari del biasimo» (dei mala-
mdtiya) , ove lo giudichino opportuno al fine di conser­
vare il loro incognito; sono dei Vitydn (plurale di fata),
termine assai significativo in questo contesto, dal mo­
mento che designa i membri della fotowioat, ossia del­
l’istituzione che corrisponde nell’Islam a ciò che in O c ­
cidente è il fenomeno della cavalleria e del compagno-
naggio.12Essi sono uomini assolutamente liberi (abriya)\
sfuggono addirittura all’autorità del Polo (Qotb), di co­
lui che occupa il vertice della gerarchia esoterica, il qua-

1 Ibid., p. 20i.
2 Cfr. Traités des compagnons-chevaliers (Kasaìl-e Javanmardan). Recueil
de sept «Fotowwat Ndmeh», pubblicato da Morteza Sarraf, introduzione
analitica di Henry Corbin, Bibliothèque Iranienne, voi. 20, Teheran-Paris
197i-
I C A V A L IE R I D E L L ’ IN V IS IB IL E E L A S C IE N Z A ...

le non ne potrebbe disporre. In compenso vengono de­


signati essi medesimi come dei poli, in ragione del loro
rango mistico e del loro servizio divino, pur non aven­
do alcuno da comandare e su cui dominare come dei ca­
pi. Essi sono troppo elevati per cose del genere. Non
hanno comandamenti cui adempiere, dal momento che
realizzano completamente il proprio essere nel servizio
divino. Sono dei cavalieri che si spostano senza muo­
versi, portati dal solo spontaneo slancio delle loro ca­
valcature. Se coprono in un tempo brevissimo le distan­
ze che per comando divino devono varcare, il merito va
alla cavalcatura che li trasporta, mentre essi stanno in
sella, immobili nella loro contemplazione, come recita il
seguente versetto coranico (8,17): «Quando scagli la
freccia non sei tu a scagliarla, ma è Dio». Non si riven­
dica la gloria di una negatività; ora, l’immobilità non è
che la negazione del movimento. Essi traversano le di­
stanze spirituali, i deserti insidiosi, nelle proprie anime
e con le proprie anime, ma non è nelle proprie anime
che ripongono la loro fiducia, poiché sono i Sospinti
(.majdhubun) dall’attrazione divina. Ogni notte compio­
no un’ascensione spirituale (mi'ràj rubarti). Come Àbra­
mo godono della visione diretta del Malakut,1 visione
diretta da cui deriva la loro immobilità. Essi non hanno
« ponti » da oltrepassare, poiché la visione diretta non
abbisogna d’interpretazioni. Potremmo dire che a essi
non serve prendere l’iniziativa di effettuare « cavalcate
ermeneutiche».
Queste ultime invece toccano ai cavalieri della se­
conda categoria. In che cosa consistono? Ibn ‘Arabi ci
mette sulla strada buona per intenderlo, confessandoci

1 Ibid., pp. 205-206. Cfr. il versetto coranico 6,75: «Ecco come noi mo­
strammo ad Abramo il Malakùt dei Cieli e della Terra». Su questo versetto
si conserva un celebre dialogo fra il quinto Imam, Mohammad al-Baqir, e il
suo discepolo Jabir ibn ‘Abdillàh, il quale aveva interrogato l ’Imàm sul mo­
do in cui bisognasse interpretare l’affermazione che il Malakut, ossia il mon­
do sovrasensibile dei Cieli e della Terra, fosse stato mostrato ad Abramo. La
risposta costituisce una vera e propria scena d’iniziazione. L’Imam fa vede­
re al discepolo, in una rapida visione, i Veli di luce che sono i rispettivi uni­
versi spirituali dei dodici Imam. Cfr. la nostra opera Eri Islam iranien..., cit.,
t. iv, indice s.vv. Jabir ibn ‘Abdillàh, Voiles de lumière.
82 L A S C IE N Z A D E L L A B IL A N C IA

la propria ammirazione per un versetto coranico che


non smette di rileggere e meditare. Tutte le creature
dell’universo costituiscono dei segni divini, e, dichiara
il versetto in questione (30,22), «fra i Segni ci sono il
vostro sonno durante la notte e durante il giorno, e la
vostra attesa del beneficio di tale sonno». Perché Ibn
‘Arabi legge questo versetto come per eccellenza riferi­
to alla seconda categoria dei « cavalieri dell’Invisibi­
le»? In esso si menziona il sonno notturno, cosa nor­
male, ma anche il sonno diurno, ciò che di conseguenza
esclude ogni stato di veglia. Proprio qui si trova il se­
greto della circostanza descritta dal Detto del Profeta
che già abbiamo citato: «G li umani sono confitti nel
sonno; è quando muoiono che si risvegliano». Contra­
riamente all’opinione profana, la morte non è l’entrata
nel sonno; essa ne costituisce il risveglio. Ciò si attaglia
ugualmente bene sia alla morte in senso mistico che al­
la morte_ nel senso fisico dell'exitus, la prima, come
Haydar Amoll ci ha precisato, avendo per scopo di ren­
dere la seconda una resurrezione.
Ed è proprio di questo che per Ibn ‘Arabi si tratta.
La condizione presente dell’uomo in questo mondo è
tale che le nostre visioni di sogno nel mondo della N ot­
te, così come ciò che noi consideriamo le nostre perce­
zioni nel mondo del Giorno, tutte, visioni e percezioni,
sono simili le une alle altre, dal momento che tutte si
svolgono in un medesimo stato di sonno, tanto quelle
del mondo della Notte quanto quelle del mondo del
Giorno. Ecco perché sia le une che le altre sollecitano,
allo stesso titolo, un’interpretazione, un’ermeneutica.
Ed ecco la ragione per la quale Ibn ‘Arabi considera
questo mondo come un ponte, un punto che occorre ol­
trepassare.
Una radice verbale araba ('br) nasconde un’ambi­
guità preziosa. Essa significa passare, attraversare. N el­
la seconda forma (causativa, ‘abbara) significa far pas­
sare, far attraversare, ad esempio un ponte o un fiume.
E tabir, nome verbale dalla stessa radice, indicando
l’atto di far passare da una riva all’altra, designa eo ipso
l’atto d’interpretare, l’ermeneutica, poiché il tabir,
I C A V A L IE R I D E L L ’ IN V IS IB IL E E L A S C I E N Z A ... 83

l’ermeneutica, consiste appunto nell’effettuare il pas­


saggio dall’apparente al nascosto, dall’exoterico (.zàhir)
all’esoterico (bàtin). Ta'bfr al-ru’ya è l’interpretazione
delle visioni, dei sogni, ed è una delle applicazioni per
eccellenza della scienza della Bilancia. Essa permette di
compiere il passaggio dalle forme percepite nella visio­
ne al significato segreto della loro apparizione. Le no­
stre visioni in sogno nel mondo della Notte, come quel­
le che percepiamo in ciò che chiamiamo il mondo del
Giorno, necessitano del medesimo passaggio, affinché
noi possiamo percepirne il significato segreto. La ragio­
ne di questo è che sia le une che le altre sono motivate
da un’intenzione segreta propria a un altro mondo e da
esso proveniente. Ecco perché il mondo del nostro pre­
sente, della Notte come del Giorno, è un ponte che si
tratta di oltrepassare. Un ponte è un luogo di transito;
non ci si ferma, né si prende dimora su un ponte. Lo si
varca, e occorre varcarlo per comprendere il significato
segreto, la «corrispondenza» invisibile di quel che è
trasceso e lasciato da questa parte. Tale è il compito de­
gli interpreti, degli ermeneuti del senso esoterico, pro­
mossi al rango di « cavalieri dell’Invisibile ».
Ibn ‘Arabi quindi riepiloga e compendia la situazio­
ne che ci mantiene in questo mondo in uno stato di
sonno, tanto di notte quanto di giorno. Può accadere a
qualcuno di avere delle visioni in sogno e di sognare,
sempre dormendo, di svegliarsi, sognando poi, creden­
dosi desto, di raccontare quel che ha visto in sogno a
persone che fanno esse medesime parte della sua visio­
ne di sogno; proseguendo successivamente nello stesso
sogno, in cui sogna d’interpretare ciò che gli è apparso.
E infine, ecco che si sveglia: comprende allora che non
aveva mai smesso di dormire, sia quando sognava che
quando interpretava le visioni del suo sogno.
Ebbene, accade lo stesso a colui cui venne aperto già
in questo mondo, prima del suo exitus, l’occhio della
visione interiore. Al momento del suo grande risveglio
egli comprende che non aveva smesso di sognare, ma
ringrazia Dio di avergli accordato quel sonno, e di ave­
re vissuto in sogno sia le sue visioni che le loro inter­
84 L A S C IE N Z A D E L L A B IL A N C IA

pretazioni. Forse è ciò che facciamo quando elaboria­


mo grandi diagrammidei mondi e degli intermondi, al­
la maniera di Haydar Amoll. Ma propriamente è questo
il senso nascosto del versetto coranico che parla della
«attesa del beneficio di tale sonno» (30,22). Essere
premuniti contro la decadenza dei sogni è essere capa­
ci, sia nei sogni della Notte che in quelli del Giorno,
poiché tale è la nostra condizione in questo mondo, di
varcare il ponte, e questo è il compito che svolge la « ca­
valleria operativa», votata, secondo quanto ci ha detto
Ibn ‘Arabi, alle grandi azioni, alle grandi imprese. In
effetti, ne esistono forse di più grandi che dedicarsi alla
ricerca delle corrispondenze di quel che vediamo in
questo mondo con l’Invisibile, il ghayb, il mondo del
Mistero, dal momento che solo questa ricerca può abo­
lire la frontiera che imprigiona il nostro destino?
Ecco perché, se Ibn ‘Arabi vede nel versetto corani­
co 30,22 sul sonno notturno e diurno un versetto la cui
intenzione segreta riguarda per eccellenza i «cavalieri
dell’Invisibile», altrettanto bene scorge che il tempo
della loro impresa è tipizzato nella sura coranica intito­
lata « Notte del Destino », dal momento che la loro im­
presa ne realizza il senso nascosto. La Notte del Desti­
no (liturgicamente una delle notti del mese di Ramadàn)
è quella in cui è disceso in questo mondo il Libro
santo del Corano, il Libro santo di cui Haydar Amolì
si è impegnato a rilevare le omologie e le corrispon­
denze con il «Libro degli orizzonti» e il «Libro delle
Anime».
Della Notte del Destino il Corano dice che «vale più
di mille mesi. In tale Notte gli Angeli e lo Spirito di­
scendono nel mondo con tutte le cose. La pace accom­
pagna questa Notte fino al levar dell’aurora» (97,3-5).
Dal momento che la Notte del Destino è la discesa del­
l’Invisibile nel nostro mondo, è proprio in tale notte,
che sempre ritorna, che i «cavalieri dell’Invisibile»
compiono la loro cavalcata, la quale si può dire che
consista nel traversare il ponte andando incontro agli
Angeli e allo Spirito che invisibilmente discendono in
questo mondo. Senza dubbio, il ponte è sempre da at-
I C A V A L IE R I D E L L ’ IN V IS IB IL E E L A S C I E N Z A ... 85

traversare ancora e ancora. Ma la « scienza delle corri­


spondenze», in quanto ermeneutica dell’Invisibile, è
appunto questa traversata.

Parigi, vigilia di Pentecoste


9 giugno 1973
SPIEGAZIONE DEI DIAGRAMMI

Le figure sono numerate da i a 6. Per ciascuna indichiamo


il numero del diagramma corrispondente nella nostra edizio­
ne del Nass al-Nosùs (Le Texte des Textes) di Haydar Amoll
(si veda supra, nota i p. 15).

A . D IA G R A M M I D E I S E T T E E D E I D O D I C I

F IG U R A I = D IA G R A M M A N . 8

1.1 Dodici, i. La zona marginale è costituita da un doppio


cerchio formante una corona. Quest’ultima reca dodici pic­
coli cerchi o epicicli. Il cerchio interno della corona taglia a
metà ciascuno di tali epicicli. Questi sono disposti a gruppi
di tre, e ogni terna è separata da un intervallo.
2. La parte esterna di ogni epiciclo reca il nome di uno dei
dodici segni dello zodiaco; la parte interna reca il nome di
una delle dodici categorie angeliche nominate nel Corano e
in Ibn ‘Arabi.
Nella terna in alto: l’Ariete (Hamal), il Toro (Thawr), i Ge­
melli (Jaivza). Rispettivamente: gli allontananti (zàjiràt, 37,2),
i recitanti (tàliyàt, 37,3), i distribuenti (moqassimàt, 51,4).
Nella terna di sinistra: il Cancro (Saratàn), il Leone
(Asad), la Vergine (Sonbola). Rispettivamente: gli inviati
(morsalat, 77,1), gli sperditori (nàshiràt, 77,3), gli strappato-
ri (nazi’àt, 79,1).
Nella terna in basso: la Bilancia (Mfzàn), lo Scorpione
CAqrab), il Sagittario (Qaws). Rispettivamente: coloro che
tolgono con dolcezza (nashitàt, 79,2), coloro che precedono
(sàbiqàt, 79,4), i natanti (sàbihàt, 79,3).
Nella terna di destra: il Capricorno (Jady), l’Acquario
(Dalw), i Pesci (Hùt). Rispettivamente: i comunicanti (mol-
qiyàt, 77,5), i conduttori degli affari dell’universo (modabbi-
rat, 79,5), gli schierati in ranghi (saffàt, 37, l i ­
bra la terna di destra e quella in alto sono inscritti nella
corona i nomi dei primi tre mesi dell’anno: Moharram, Safar,
Ruhr I. Al di sotto, all’interno, le parole: «Howa al-awival»,
« figli è il Primo».
Fra la terna in alto e quella di sinistra stanno i nomi dei
90 A P P E N D IC E

mesi: Rabi II, Jomàdà I, Jomàdà II. Al di sotto: « wa’l-Akhir »,


« e l’Ultimo ».
Fra la terna di sinistra e quella in basso stanno i nomi dei
mesi: Rajah, Sha'bàn, Ramaiàn. Al di sotto: «wa’l-Zàhir», «e
il Manifestato ».
Fra la terna in basso e quella di destra stanno i nomi dei
mesi: Shawivàl, Dhul-qa'da, Dhul-Hijja. Al di sotto: «wa’l-
Bàtin », « e il Nascosto ».
il. I Sette. Al centro del diagramma: un doppio cerchio
formante una corona, che reca sette piccoli cerchi o epicicli:
ciascuno di questi ultimi è diviso in due dal cerchio interno
della corona. Nella parte esterna di ciascuno (a partire dal­
l’alto e leggendo da destra a sinistra) sono inscritti successi­
vamente i nomi dei sette pianeti; nella parte interna, i nomi
dei sette Princìpi.
Il Sole {Shams)-. l’Intelligenza CAql)
Giove (Moshtari): l’Anima (Nafs)
Venere (Zohra): la Natura (Tabi'a)
Mercurio ('Otàrid): la Materia prima (Hayulf)
La Luna (Qarnar): il Corpo (Jism)
Marte (.Mirrfkh): il Trono CArsh)
Saturno (.Zohal): il Firmamento (KorsT)
Al centro, un piccolo cerchio recante la definizione del
diagramma: «il Mondo manifestato» (al-'àlam ai-suri).
ni. Ai quattro angoli dell’ideale quadrato in cui è inscritto
il diagramma, quattro piccoli cerchi recanti rispettivamente
una doppia indicazione. In alto a destra: l’Intelligenza CAql)
e l’Uomo {Insan). In alto a sinistra: l’Anima (Nafs) e l’Angelo
(Maiale). In basso a sinistra: la Natura (Tabf'a) e il Genio
(Jinn). In basso a destra: il corpo (Jism) e l’Animale
(.Hayawàn).

F IG U R A 2 = D IA G R A M M A N . 9

1. I Dodici, i. Come nel diagramma precedente, la zona


marginale è costituita da un doppio cerchio formante una
corona. Quest’ultima reca dodici piccoli cerchi o epicicli; il
cerchio interno della corona taglia a metà ciascuno di tali
epicicli. Questi sono ugualmente disposti a gruppi di tre, e
ogni terna è separata da un intervallo.
2. La parte esterna di ogni epiciclo reca il nome di uno dei
dodici Imam del periodo di Adamo; la parte interna reca il
nome di uno dei dodici Imam del periodo di Mohammad.
S P IE G A Z IO N E D E I D IA G R A M M I 9 1

Nella terna in alto: Seth, Abele, Kenan. Rispettivamente:


‘All al-Mortazà, Hasan al-Mojtaba, Hosayn al-Shahld.
Nella terna a sinistra: MTsham (sic), Shlsham (sic), Qàdis
(sic). Rispettivamente: ‘All al-Sajjàd, Mohammad al-Bàqir,
Ja‘£ar al-Sàdiq.
Nella terna in basso: Qldhuf (sic), Imalyakh (sic), Enoch.
Rispettivamente: Musa al-Kàzim, ‘All al-Rezà, Mohammad
al-Taql al-Jawad.
Nella terna di destra: Idrls, Dlnuk (sic), Nàkhur. Rispetti­
vamente: ‘All al-Naql al-Hàdl, Hasan al-‘AskarI, Mohammad
al-Mahdl.
Negli intervalli compresi fra una terna e l’altra, all’interno
della corona, i nomi di tre Imam del periodo di Mosè (in to­
tale 12). Al di sotto, all’interno, i nomi di tre Imam del perio­
do di Gesù (in totale 12). Purtroppo i nomi sono deformati e
corrotti e non concordano con quelli che ci vengono dati nel
corpo dell’opera. L’essenziale è comunque la messa in corri­
spondenza dei dodici Imam di ciascun periodo del ciclo del­
la profezia da Adamo fino a Mohammad.
11.1 Sette. Al centro del diagramma: due cerchi che forma­
no una corona, recante sei epicicli. Il cerchio interno della co­
rona taglia a metà ciascuno di questi ultimi. Nella parte ester­
na degli epicicli è inscritto il nome di uno dei sei grandi pro­
feti legislatori che hanno preceduto Mohammad; nella parte
interna è menzionato il Polo (Qotb) di ciascun periodo. Per­
tanto in successione si trovano: Adamo, Noè, Abramo, Davi­
de, Mosè, Gesù. Il nome del settimo, Mohammad come « Si­
gillo dei profeti», occupa qui il piccolo cerchio centrale, che,
nel diagramma precedente, ne recava la definizione. Qui si è
dislocato al di sopra del cerchio di Adamo, e reca inscritto « il
Mondo spirituale» (al-'alam al-ma'nawt).
ni. Anche qui, ai quattro angoli dell’ideale quadrato in cui
è inscritto il diagramma, quattro piccoli cerchi recanti rispet­
tivamente una doppia indicazione. In alto a destra: il profeta
(al-Nabi) e il Polo (Qotb). In alto a sinistra: l’Inviato (al-Rasùl)
e l’Aiuto (al-Ghawth). In basso a sinistra: l’Amico, l’Imam (al-
Wali) e il Solitario, il Senza-Pari (al-Fard). In basso a destra: il
Califfo (al-Khalifa) e il Paletto della tenda (al-Watad).
92 A P P E N D IC E

B. D IA G R A M M I D E I D IC IA N N O V E

F IG U R A 3 = D I A G R A M M A N . IO

1. i . C o m e n e i d i a g r a m m i p r e c e d e n t i ( f i g g . i e 2 ) , l a z o n a
m a r g in a le è c o s titu ita d a u n d o p p io c e r c h io fo r m a n te u n a
c o r o n a . Q u e s t ’u ltim a r e c a diciannove p i c c o l i c e rc h i o e p ic i­
c l i ; il c e r c h i o i n t e r n o d e l l a c o r o n a t a g l i a a m e t à c i a s c u n o d i
t a li e p i c i c l i , t a n g e n t i g li u n i a g li a ltr i. Q u e l l o in b a s s o , r a ffi­
g u r a n t e il C i e l o d e l l a L u n a , s i t r o v a i s o l a t o d a g l i a l t r i , f o r s e
in s e g u it o a u n e r r o r e d i c a lc o lo d e l d is e g n a t o r e .
2. L a p a r t e e s t e r n a ( r is p e t t o a lla c o r o n a ) d i o g n i e p i c i c l o
r e c a in s c r it t o il n o m e d i u n o d e i diciannove m o n d i . L a p a r t e
i n t e r n a r e c a i n s c r i t t o il n o m e d i u n o d e i sette p i a n e t i , p i ù
u n o dei dodici s e g n i d e llo z o d ia c o (p e r u n to ta le d i 19 ).
3. I n f in e , p e r f o n d a r e il s is t e m a d e lle c o r r is p o n d e n z e , a l d i
s o p r a d i o g n i e p ic ic lo , a n n o ta ta a ll’e s te r n o d e lla z o n a p e r if e ­
diciannove l e t t e r e c o m p o n e n t i in g r a f i a
r ic a , u n a d e lle a rab a
la Basmallah: B 'S M A L L aH A L - R aH M 5N A L - R aH l M .
A b b ia m o r ip o r ta to s o p r a , n e l c o r p o d e l te s to , l ’o r d in e d e l­
le c o r r i s p o n d e n z e c o s ì c o m e H a y d a r A m o l l lo e s p o n e in d e t ­
t a g lio n e lla s u a o p e r a (§ 6 9 6 , p p . 3 1 2 - 3 1 3 ) . I l p r e s e n t e d i a ­
g r a m m a r e c a t u t t a v i a u n a p a r t i c o l a r i t à a b e r r a n t e : S a t u r n o in
1 9 “ p o s iz io n e . N o n a b b ia m o s p i e g a z io n i in p r o p o s i t o . L ’i n ­
s ie m e s i p r e s e n t a n e l l ’o r d i n e s e g u e n t e :

B: mondo del ]abarùt - il Sole


S: mondo del Malakut - Giove
M: il Trono ('Arsh) - Marte
A: il Firmamento (Korsi) - Venere
L: Cielo di Saturno - Mercurio
L: Cielo di Giove - la Luna
H : Cielo di Marte - l’Ariete
A: Cielo del Sole - il Toro
L: Cielo di Venere - i Gemelli
R: Cielo di Mercurio - il Cancro
H : Cielo della Luna - il Leone
M: Sfera del Fuoco - la Vergine
N : Sfera dell’Aria - la Bilancia
A: Sfera dell’Acqua - lo Scorpione
L: Sfera della Terra - il Sagittario
R: il regno minerale - il Capricorno
H : il regno vegetale - l’Acquario
I: il regno animale - i Pesci
M: il mondo dell’Uomo - Saturno
S P IE G A Z IO N E D E I D IA G R A M M I 93

il. Al centro, un piccolo cerchio dichiara il senso del dia­


gramma: «il Mondo manifestato» (al-‘àlam al-suri).
in. Anche qui, ai quattro angoli dell’ideale quadrato in cui
è inscritto il diagramma, quattro piccoli cerchi recanti rispet­
tivamente una doppia indicazione. In alto a destra: il Jabarut
e l’Intelligenza ('Aql). In alto a sinistra: il Malakùt e l’Anima
(Nafs). In basso a sinistra: il Mondo visibile (Molk) e la Natu­
ra {Tabi'a). In basso a destra: l’Uomo (Insàn) e il corpo (Jism).

F IG U R A 4 = D IA G R A M M A N . 1 1

1. i. Come in precedenza, la zona marginale è costituita da


un doppio cerchio formante una corona. Quest’ultima reca
diciannove piccoli cerchi o epicicli; il cerchio interno della
corona taglia a metà ciascuno di tali epicicli, tangenti gli uni
agli altri. Quello in basso, come nel diagramma precedente,
per un qualche motivo si trova isolato dagli altri.
2. La parte esterna (rispetto alla corona) di ogni epiciclo
reca inscritto il nome di uno dei sette grandi profeti, poi uno
dei dodici Imam del periodo d’Adamo, ma resi quasi incom­
prensibili, come già detto, dalle deformazioni dovute ai copi­
sti (si veda in Genesi, 5,1-32, la discendenza di Adamo da
Seth a Noè). La parte interna reca sette volte la scritta « il po­
lo» (qotb), quindi i nomi dei dodici Imam del periodo di
Mohammad.
3. Infine, per dare come nel diagramma precedente la
chiave del sistema delle corrispondenze, al di sopra di ogni
epiciclo, annotata alPesterno della zona periferica, una delle
diciannove lettere componenti in grafia araba la Basmallakr.
B‘SM ALL5H AL-RaHMaN AL-RaHIM.
Il diagramma va letto iniziando dall’alto e da destra a sini­
stra. Anche qui si nota una sfasatura incomprensibile rispet­
to allo schema inserito nel corpo del testo, che riprende l’or­
dine seguito da Haydar Amoll nella sua opera.
B: Adamo - il polo
S: Noè - il polo
M: Abramo - il polo
A: Davide - il polo
L: Seth - il primo Imam, ‘All ibn Abl-Tàlib
L: Abele - il secondo Imam, Hasan ibn ‘All
H: Kenan (Qlnàn) - il terzo Imam, al-Hosayn ibn ‘Ali
A: MTsham {sic) - il quarto Imam, ‘All al-Sajjad
L: Shlsham (sic) - il quinto Imam, Mohammad al-Bàqir
94 A P P E N D IC E

R: Qàdis (sic) - il sesto Imam, Ja'far al-Sàdiq


H: Qidhuf (sic) - il settimo Imam, Musa al-Kàzim
M: Illmilk (sic) - l’ottavo Imam, ‘All al-Rezà
N: Inwkh (Enoch) - il nono Imam, Mohammad al-Taql
A: Idrls (Enoch, Hermes) - il decimo Imam, ‘All al-Naqi
L: Dlnuk (sic) - l’undicesimo Imam, Hasan al-‘AskarI
R: Nàkhùr - il dodicesimo Imam, Mohammad al-Mahdi
H: Gesù - il polo
I: Mosè - il polo
M: Mohammad - il polo
il. Al centro un piccolo cerchio reca inscritto «il Mondo
spirituale» (al-'alam al-ma'nawt).
in. Anche qui, ai quattro angoli dell’ideale quadrato in cui
è inscritto il diagramma, quattro piccoli cerchi recano rispet­
tivamente una doppia indicazione. I nomi sono gli stessi ri­
portati nelle corrispondenti posizioni della fig. 2, come indi­
cato sopra.

C . D IA G R A M M I D E I V E N T O T T O

F IG U R A 5 = D IA G R A M M A N . 1 2

1. i. Anche qui la zona marginale è costituita da un doppio


cerchio formante una corona. Un piccolo cerchio alla som­
mità reca inscritto: «Ciclo degli ascendenti del Profeta»
(da’irat al-ansàb).
2. Leggendo da destra a sinistra, iniziando dal piccolo cer­
chio alla sommità, si trova per primo il nome del Profeta
(Khatim al-anbiya , Sigillo dei profeti), quindi proseguendo
nella lettura dei nomi inscritti nella corona, si percorre a ri­
troso il ciclo che conduce infine al nome di Adamo, scritto
all’immediata destra del piccolo cerchio alla sommità. I nomi
di Mohammad e di Adamo pertanto aprono e chiudono il ci­
clo, risalendo da predecessore a predecessore. In ogni caso,
trattandosi di una visione ciclica, il punto d’arrivo essenzial­
mente riconduce a quello d’origine. È così che si ottiene una
realizzazione completa, un pleroma.
N.B. Come si può leggere nel testo di Haydar Àmoll (§
733), la somma di tali ascendenti è di 51 (17x3). In effetti,
nel § 732 non si forniscono che 46 nomi. Nella corona circo­
lare dei diagrammi 12 e 13, si trovano in più, fra Sàrùj (340) e
Arpakhshad (350), i nomi di ‘Amir e di Ghàbir. Malgrado
ciò, per raggiungere il totale di 51 mancano ancora tre nomi.
S P IE G A Z IO N E D E I D IA G R A M M I 95

il. Il grande cerchio centrale presenta l’ascendenza qoray-


shita del Profeta, che è compresa all’interno dell’ascendenza
adamitica presentata nella corona esterna, però si ferma al
nome di al-Nazr ibn Kinana, con il quale inizia la genealogia
della tribù di Qoraysh. In questo grande cerchio centrale si
trovano inscritti dodici piccoli cerchi tangenti fra di loro,
più un piccolo cerchio centrale, collegato con un tratto di
scrittura al cerchio inscritto posto in corrispondenza sotto
di esso. Analogamente un tratto di scrittura congiunge il
cerchio tangente a quest’ultimo, e lo collega a un piccolo
cerchio esterno, anch’esso tangente al grande cerchio cen­
trale.
Occorre leggere nell’ordine seguente. Iniziare dal piccolo
cerchio centrale, che reca inscritto il nome di Mohammad.
Seguire il tratto di scrittura verso il basso, che lo collega al
cerchio recante inscritto il nome di ‘Abdollah, padre del pro­
feta Mohammad. A partire da questo, continuare risalendo
dal basso, da destra verso sinistra. Si trovano inscritti succes­
sivamente in ogni piccolo cerchio i nomi di ‘Abdol-Mottalib,
figlio di Hàshim, figlio di ‘Abd Manàf, ecc., fino a raggiunge­
re, nuovamente in basso, il piccolo cerchio tangente a sinistra
del cerchio di ‘Abdol-Mottalib, e che reca il nome di Màlik.
Un tratto di scrittura lo collega al piccolo cerchio esterno
tangente al grande cerchio centrale, e recante il nome di al-
Nazr ibn Kinana, origine del lignaggio qorayshita.
Il grande cerchio centrale presenta in questo modo i dodi­
ci ascendenti del Profeta lungo la linea qorayshita. Aggiun­
gendo al-Nazr e il Profeta medesimo, si ottiene un totale di
quattordici figure. Tale numero sarà il fondamento della cor­
rispondenza con la discendenza del Profeta (si veda il dia­
gramma seguente).
in. Ai quattro angoli dell’ideale quadrato in cui è inscritto
il diagramma, quattro piccoli cerchi recano rispettivamente
una doppia iscrizione. In alto a destra: Adamo e al-Sàdiq
(Abu Bakr). In alto a sinistra: Abramo e al-Fàrùq (‘Omar). In
basso a sinistra: Mosè e Dhu’l-Nurayn (‘Othman). In basso a
destra: Gesù e al-Mortazà (‘All).

F IG U R A 6 = D IA G R A M M A N . 13

i. i. La parte esterna è costituita da un doppio cerchio for­


mante una corona. Come nel diagramma precedente, reca la
scritta: «Questo è il ciclo degli ascendenti del Profeta
(hadhihi dairat al-ansdb)». Ma qui si tratta dell’ascendenza
96 A P P E N D IC E

lungo la linea imamica mohammadiana, «gli Imam prima dei


Qorayshiti ».
2. Leggendo da destra a sinistra, iniziando all’immediata
sinistra del piccolo cerchio alla sommità, si trova per primo il
nome del dodicesimo Imam (Khàtim al-Awliyà, il Sigillo de­
gli Amici di Dio), Mohammad al-Mahdl, poi Hasan al-
‘Askarl, quindi di seguito fino al primo Imam, ‘All ibn AbT-
Talib, figlio di ‘Abdol-Mottalib, figlio di Hàshim, figlio di
‘Abd Manàf, ecc. Si ritrovano in successione tutti i nomi che
figuravano già (fig. 5) nella genealogia del Profeta risalente fi­
no a Adamo, e in teoria comprendente 51 nomi.
11. Il grande cerchio corrisponde a quello del diagramma
precedente, ove si presentava l’ascendenza qorayshita del
Profeta. Qui si presenta la discendenza imamica del Profeta,
la stirpe dei dodici Imam generati a partire da Fatima, la fi­
glia del Profeta. Anche questo diagramma va letto a ritroso,
poiché si tratta di rappresentare l’ascendenza qorayshita del­
la discendenza imamica. Pertanto anche qui si trovano, in­
scritti nel grande cerchio centrale, dodici piccoli cerchi tan­
genti fra di loro. Nel diagramma precedente essi presentava­
no i dodici ascendenti intermediari fra il Profeta e al-Nazr
ibn Kinàna. Nel diagramma presente invece presentano i do­
dici Imam del lignaggio mohammadiano. Il piccolo cerchio
centrale del precedente diagramma presentava il profeta
Mohammad. Invece qui il cerchio omologo porta il nome di
Fatima, la figlia del Profeta. In basso nel diagramma prece­
dente si trovava un piccolo cerchio, tangente al grande cer­
chio centrale, che recava il nome di al-Nazr ibn Kinana, ori­
gine del lignaggio qorayshita; esso era congiunto da un tratto
di scrittura al cerchio recante il nome di Màlik ibn al-Nazr. Il
suo omologo si trova qui alla sommità, tangente al grande
cerchio centrale e recante il nome del profeta Mohammad; è
collegato da un tratto di scrittura, sulla destra, al cerchio re­
cante il nome del primo Imam.
Si leggerà dunque come segue. A partire dal piccolo cer­
chio inscritto alla sommità del grande cerchio centrale, da
destra a sinistra, si leggeranno in successione i nomi di
Mohammad al-Mahdl (dodicesimo Imam), figlio di Hasan al-
‘Askarl (undicesimo Imam), figlio di ‘All al-Naql (decimo
Imam), per arrivare ad al-Hosayn (terzo Imam), fratello di
al-Hasan, entrambi figli di ‘All (primo Imam, il cui cerchio è
unito con un tratto di scrittura al piccolo cerchio esterno re­
cante il nome del Profeta).
L’equilibrio della Bilancia si stabilisce perciò sul numero
S P IE G A Z IO N E D E I D IA G R A M M I 97

28 (cfr. le 28 lettere dell’alfabeto arabo, le 28 stazioni della


Luna, ecc.):
I 12 Imam I 12 ascendenti qorayshiti
Fatima al-Nazr, capostipite dei Qorayshiti
Il Profeta Il Profeta

Totale: 14 Totale: 14 14+ 14= 28


(i « Quattordici Immacolati »)

ni. Ai quattro angoli dell’ideale quadrato in cui è inscritto


il diagramma, quattro piccoli cerchi recano rispettivamente
una doppia iscrizione. In alto a destra: al-Mortazà (‘All, pri­
mo Imam) e il Polo (Qotb). In alto a sinistra: Hasan (secondo
Imam) e l’Aiuto (al-Ghawth). In basso a sinistra: al-Hosayn
(terzo Imam) e il Solitario, il Senza-Pari (al-Fard). In basso a
destra: al-Mahdl (dodicesimo Imam) e al-Watad (uno dei
quattro paletti della tenda cosmica).
UN FILOSOFO IN CERCA DELLA ORIENTE
D I JE A N BRUN

Il nome di Henry Corbin è, a giusto titolo, associato a due


campi in apparenza estranei l’uno all’altro: da una parte la fi­
losofia di Heidegger, dall’altra la filosofia islamica e più in
particolare il pensiero iranico. Vogliamo mostrare come que­
sti due campi, che sembrano attenere alla storia della filoso­
fia, devono essere in realtà integrati in un ambito filosofico
essenziale per la comprensione dell’uomo d’oggi.
Nel 1938, Henry Corbin offrì al pubblico filosofico fran­
cese la prima antologia di testi del filosofo tedesco tradotti
nella nostra lingua. Certo, Heidegger non era del tutto sco­
nosciuto nel nostro paese, ma bisogna pur ammettere che il
nome dell’autore di Sein und Zeit, in mancanza di traduzio­
ni, non aveva ancora raggiunto il grande pubblico, e che egli
non era noto se non a un piccolo numero di specialisti in gra­
do di leggerlo direttamente in tedesco. Se le cose oggi sono
cambiate è perché, in questo come in molti altri campi,
Henry Corbin svolse un’autentica opera di pioniere. Nei bra­
ni scelti pubblicati sotto il titolo complessivo di Qu’est-ce que
la métaphysique? egli presentava, in effetti, oltre l’opera così
intitolata, Vom Wesen des Grundes, degli estratti di Sein und
Zeit, di Kant und das Problem der Metaphysik e di Hólderlin
und das Wesen der Dichtung.
Nei suoi numerosi resoconti pubblicati nelle «Recherches
philosophiques », Henry Corbin contribuì parimenti ad atti­
rare l’attenzione su filosofi quali Dilthey, Husserl e molti altri
che, a quell’epoca, non erano ancora per nulla conosciuti. Si
può pertanto dire che egli, che tradusse anche dei testi di
Karl Jaspers1e di Hamann,2fondò la propria ricerca su di una
lettura dei filosofi tedeschi e, soprattutto ma non esclusiva-
mente, dei filosofi tedeschi contemporanei.
Il nome di Henry Corbin è anche e soprattutto associato
alla filosofia islamica2e più precisamente alla filosofia iranica.

1 Cfr. «Hermès», i° gennaio 1938, pp. 53 sgg.


Johann Georg Hamann, /.Estetica in mice, trad. fr. di Henry Corbin, in
«Mesures», 15 gennaio 1939.
Henry Corbin tiene, a giusto titolo, a parlare di «filosofia islamica» e
non, come si fa troppo sovente, di «filosofia araba». In effetti, la lingua araba
io 6 BRUN

Fondatore, nel 1947, del dipartimento d’iranologia dell’Isti­


tuto franco-iraniano di Teheran, egli è il più grande speciali­
sta francese della disciplina. La sua opera in questo campo è
immensa e comprende pubblicazioni di testi inediti, tradu­
zioni dall’arabo o dal persiano e studi generali che vanno da
monografie dedicate a Ibn ‘Arabi, Avicenna, SohravardI, o
pubblicazioni di un corpus, fino alla recente stimma in quat­
tro volumi En Islam iranien1 passando per la densa Histoire
de la philosophic islamique,2la cui prima parte si prolunga, in
condensato, nel terzo tomo della Histoire de la philosophic
pubblicata nella «Encyclopédie de la Plèiade».
Quest’inclinazione per l’Oriente filosofico è contempora­
nea degli studi di Henry Corbin sulla filosofia tedesca, dal mo­
mento che se ne trovano tracce inequivocabili sin dal 1932.’
Conviene però non dimenticare che tutte queste ricerche
s’inscrivono in un contesto che conferisce loro una portata
profonda. Fare di Henry Corbin uno storico della filosofia o
un «orientalista» equivarrebbe a confinarlo in una sfera spe­
cialistica e a ignorare l'intera ricerca filosofica che corre lun­
go le sue traduzioni e i suoi studi « storici».
Egli ha diretto, in effetti, la sua riflessione filosofica dal-
l’« Occidente », regione in cui il sole tramonta, verso l’« Orien­
te», paese del sole che sorge. Un «Oriente» certo geografica­
mente definito, dal momento che Henry Corbin è un iranolo-
go, ma anche e soprattutto un «Oriente» che sfugge alle lo­
calizzazioni spaziali, che non figura su di alcuna carta, e che è
il paese della Luce, paese che SohravardI chiama il paese del
«Non-Dove».4

venne utilizzata da non-arabi, inoltre filosofi grandi e importanti per l’IsIàm


hanno scritto in persiano e non in arabo, infine e soprattutto l’accezione tra­
dizionale di «filosofia araba» fa cessare quest’ultima alla morte di Averroè,
vale a dire alla fine del xii secolo, mentre la filosofia islamica ha proseguito il
suo corso ben oltre tale periodo, e anzi fino al presente.
1 Henry Corbin, En Islam iranien..., cit.
1 Henry Corbin, Histoire de la philosophic islamique, Gallimard, Paris 1964
[trad. it. Storia della filosofia islamica: dalle origini ai nostri giorni, Adelphi,
Milano 1989].
5 In «Recherches philosophiques», 11, 1932-1933, facendo seguito a un ar­
ticolo di Jean Wahl su Heidegger et Kierkegaard, Corbin pubblica la traduzio­
ne e uno studio su di un trattato inedito di SohravardI, Le Families des amants,
di cui Louis Massignon gli aveva mandato le copie da Istanbul. Tale traduzio­
ne, interamente rimaneggiata, verrà poi ripresa in IdArchange empourpré sotto
il titolo Le vade-mecum des fidèles d’amour. Analogamente una traduzione di Le
bruissement de l ’aile de Gabriel, sempre di SohravardI, pubblicata nel «Journal
asiatique», luglio-settembre 1935, sarà ripresa in IdArchange empourpré.
J Cfr. SohravardI, IdArchange empourpré, trad. fr. di Henry Corbin, Paris
U N F I L O S O F O IN C E R C A D E L L ’ « O R IE N T E » 107

Per cogliere appieno il senso e la portata di una simile posi­


zione spirituale, e delle sue conseguenze, è importante partire
da un articolo che Henry Corbin pubblicò sulle « Recherches
philosophiques», in, del 1933-1934 intitolato La théologie
dialectique et l'histoire.
In tale testo, l’autore mostra che la teologia dialettica, che
ha Kierkegaard come capostipite e che si oppone alla filoso­
fìa ellenica e all’idealismo hegeliano, in cui l’uomo è limitato
a se stesso, afferma, a differenza della teologia cosiddetta «li­
berale », che la Trascendenza divina è sempre al di fuori del­
la storia, e che tale Trascendenza a-storica non può rivelare se
medesima che quale relazione concreta fra uomini concreti.
L’uomo che pretende di attingere a una conoscenza diretta di
Dio attraverso la Natura o la Storia si divinizza, e non rende
testimonianza che di se stesso; la scienza della storia non può
condurre a dei risultati utili quali fondamenti alla fede per­
ché, da un lato, essa è la storia di un soggetto unico e astrat­
to, e, dall’altro, è sempre la storia di un confronto fra sogget­
ti separati gli uni dagli altri. Essa dunque sopprime la cate­
goria del prossimo e dimentica che l’essere reale dell’uomo è
un essere-con-gli-altri; inoltre, essa non definisce una «desti­
nazione per...», ma solamente una «dipendenza da...», la­
sciando così da parte il futurum aeternum dell’escatologia cri­
stiana.
Va perciò detto che la Rivelazione ha, sì, avuto luogo nella
storia, ma che, invero, essa non è storica dal momento che
non può essere constatata e percepita da un osservatore neu­
tro dotato dei soli strumenti della critica storica. La Rivela­
zione è data a quel determinato uomo mediante la predica­
zione di quell’altro uomo determinato, con l’appoggio di
quel determinato testo biblico; essa è dunque manifestazione
di un mistero e trasmissione di una Grazia in un tempo esi­
stenziale concreto e incarnato.
Avere fede significa, di conseguenza, essere qualcuno che
attende, dal momento che ciò che la fede realmente possiede è
la promessa di ciò che al momento ancora non ha; Véschaton
che rivela la parola di Dio non è alla fine del tempo, è la fine
del tempo. Così, per la coscienza che crede, l’orizzonte del
tempo diviene orizzonte di resurrezione e si trova messo in
questione da ciò che è, insieme, la sua fine radicale e il suo
coronamento assoluto.

1976, pp. 229, 243 [trad. it. L’arcangelo purpureo, Coliseum, Milano 1990]; e
Henry Corbin, En Islam iranien..., cit., t. 11, p. 47; t. iv, pp. 387-388.
io8 BRUN

La storia non è dunque rivelatrice, sebbene la Rivelazione


sia storica; questa è l’idea forte che Henry Corbin riaffermerà
nel 1971 nel «Prologo» di En Islam iranien. Prendendo posi­
zione contro lo storicismo e suggerendo una « antistoria », egli
precisa: «Non ci venga imputato alcun rigetto degli studi sto­
rici. Lungi da ciò! Un’umanità che rinunciasse agli studi stori­
ci, sarebbe un’umanità colpita da amnesia collettiva. [...] Ma
la questione è un’altra. [...] Non esiste tradizione vivente, va­
le a dire trasmissione in atto, che attraverso atti di scelta sem­
pre rinnovati. Intesa in questo modo la tradizione è l’esatto
contrario di un corteo funebre; essa esige una perpetua rina­
scita, e tale è appunto la “gnosi”».1Ecco perché Henry Corbin
denuncia tutte le secolarizzazioni, che sono diventate l’ogget­
to prediletto della maggior parte dei teologi contemporanei:
«Una teologia o una filosofia della storia sono impensabili
senza un’Immagine del mondo che, nella sua totalità, preceda
e sovrasti tutti i dati empirici; esse non sono perciò possibili
che da parte di un essere che non appartenga alla storia, ma
sia trans-storico».2Le ideologie politiche dell’Occidente sono
delle teologie secolarizzate e le chiese si sono politicizzate.’
Ecco perché Henry Corbin può scrivere con una forza tutta
particolare: «L’agnosticismo ha convertito la chiesa di Gio­
vanni in un messianismo sociale che ne costituisce la caricatu­
ra; la disperazione ha metodicamente chiuso tutte le uscite
che liberavano l’uomo dall’assurdità della morte; la fenome­
nologia dello Spirito storico non è più l’ermeneutica dello
Spirito Santo. [...] Il luogo della ierostoria, della storia della
salvezza, non è il luogo della filosofia della storia; l’azione
creatrice dello Spirito Santo manda in pezzi la storia e la filo­
sofia della storia, poiché libera gli uomini da queste ultime, e
poiché si realizza nel mondo spirituale invisibile».4
Tutte queste analisi, che richiamano quanto devono a Kier­
kegaard, addirittura al primo Karl Barth, costituiscono la pri­
ma campata di un ponte la cui seconda campata si troverà
nell’ultimo capitolo del quarto tomo di En Islam iranien, in­
titolato La cavalleria spirituale. Ponte filosofico, spirituale,
gnostico, che ispira l’intera opera di Henry Corbin, filosofo
alla ricerca della Rivelazione, cui il tempo degli storici rima­
ne irrimediabilmente chiuso. Poiché il tempo non è una di-

' Henry Corbin, En Islam iranien..., cit., t. 1, p. xvi.


2 ibid., p. xvill.
5 Cfr. Henry Corbin, En Islam iranien..., cit., t. iv, p. 450.
4 Ibid., p. 447.
UN F I L O S O F O IN C E R C A D E L L ’ « O R IE N T E » IO 9

mensione neutra e astratta all’interno della quale si svolge il


movimento dell’esistenza, esso è bensì tale movimento mede­
simo; la temporalità non è una serie di presenti successivi, ma
è un’unità compiuta, che racchiude in se stessa la pluralità
delle relazioni temporali.
Pertanto non sorprende che Corbin colleghi sant’Agostino
e Heidegger a proposito del problema del tempo. Agostino in
effetti insiste sull’idea che l’essere nel tempo sia il presente, e
che il passato e l’avvenire siano solo in quanto rappresentati
nel presente, il primo nel ricordo e il secondo nell’attesa, fasi
del tempo che peraltro non sono che momenti di una esisten­
za unica e presente. Questo schema, rinnovato, riappare in
Heidegger, per il quale l’essere esistente si trova in un rappor­
to d’essere con il suo proprio essere, o meglio in un poter es­
sere personale che fa sì che esso sia le sue proprie possibilità.
La Verità non è dunque ciò che l’uomo fa e rifa nel corso di
un divenire che ne costituirebbe la genesi, né la coerenza in­
terna delle proposizioni logiche: essa è svelamento: a-Iétheia.
Ma l’uomo vive nell’oblio della Verità poiché è diventato cen­
tro di se stesso e scambia i propri bisogni per la misura di tut­
to ciò che è, e sfugge il mistero per rifugiarsi nella concita­
zione della vita spicciola, nell’inautenticità.
E indubbio che, per Corbin, tali analisi avessero degli ac­
centi pascaliani e che egli vi ritrovasse l’idea del « diverti­
mento » mediante il mondo, divertimento che volge le spalle
al «Cammino», alla «Verità», e alla «Via».
Così «l’uomo erra. L’uomo non cade nell’erranza in un
momento dato. Il suo movimento stesso non avviene che nel­
l’erranza. [...] L’erranza fa parte dell’intima costituzione del
Da-sein cui l’uomo storico è abbandonato ».' L’erranza non è
dunque un episodio provvisorio, ma è radicalmente costitu­
tiva, è «l’antiessenza fondamentale dell’essenza originaria
della verità ».2
Per Henry Corbin il problema è stato quello di passare da
una simile erranza a un pellegrinaggio verso l’«Oriente», va­
le a dire, ancora una volta, non verso la tale o talaltra regio­
ne del globo, ma verso un Oriente archetipico,3 verso la1

1 Martin Heidegger, Vom Wesen der Wahrheit (1930), Louvain-Paris 1948,


p. 97 [trad. it. L'essenza della verità, Adelphi, Milano 1997].
: Ihid-
’ Henry Corbin insiste ripetutamente (in particolare in IdArchange em-
pourpré, cit., pp. xxm, 26S, 281, ccc.) sull’importanza delle virgolette fra cui
scrive «Oriente» e «Occidente», termini che vanno presi in senso spiritila-
I IO BR U N

« contrada » in cui sorge la Luce, contrada che si trova agli


antipodi dell’«esilio occidentale». Questo pellegrinaggio,
questo viaggio iniziatico1 verso la Fonte luminosa, i Magi lo
avevano compiuto nella notte di Natale, l’epopea mistica
della ricerca del Graal l’aveva glorificato, e a sua volta l’ave­
va proclamato SohravardI. Il viaggio verso l’«Occidente»
conduce a una città i cui abitanti sono dei tiranni che impri­
gionano i viaggiatori in un pozzo senza fondo.2 Costoro de­
vono imbarcarsi sull’arca di Noè che li tragitta fino al Sinai
mistico ove essi implorano Dio di liberarli dalla prigione del­
la Natura e dalle pastoie della Materia. Il tema del viaggio
iniziatico è assai frequente nella gnosi islamica: Molla Sadrà
ha intitolato I quattro viaggi spirituali la stimma che ha re­
datto a beneficio dei pellegrini in cerca della perfezione spi­
rituale3- il racconto del bellissimo «viaggio all’Isola Verde
nel mare bianco»3 ci porta al punto culminante dell’Isola
Verde dove, in cima alla montagna, sgorga impetuosa la Fon­
te della Vita sotto il grande Albero che dà riparo al Tempio
in cui si entra in comunicazione con l’Imàm nascosto; Henry
Corbin compara quest’isola inviolabile, ove i fedeli avvicina­
no il Polo mistico del mondo, al Mont-Salvat verso il quale
conduce la Ricerca del Graal5-, viaggio iniziatico che infine
si ritrova nello splendido e commovente Récit de l’Archange
empourpré.1’
Tale viaggio conduce al paese della Luce, luce che si leva
verso un «Oriente» archetipico ma di cui l’Oriente geogra­
fico costituì come il punto d’irradiazione da cui sorsero le
tre grandi religioni abramiche. Di tale punto d’irradiazione
SohravardI fu testimone mistico e filosofico d’eccezione;
Henry Corbin sostiene che in lui si trova «la formulazione di
una cristologia di cui non possiamo ancora esattamente dire
la fonte, ma che richiama quella del primitivo cristianesimo
giudaico. L’Angelo-Spirito-Santo, Gabriele, assume in effetti

le; ecco perché si può dire che vi è un certo numero di « orientali » in Occi­
dente e molti «occidentali» in Oriente.
1 Sul tema del viaggio iniziatico nel Romanticismo tedesco cfr. Marcel
Brion, EAllemagne romantique III, «Le voyage initiatique», Paris 1977, che
permette di fare dei confronti con le analisi di Henry Corbin.
2 Cfr. SohravardI, L’Archange empourpré, cit., pp. 265-287: «Le récit de
l’exil occidental».
5 Cfr. Henry Corbin, En Islam iranien..., cit., t. iv, pp. 66-68.
4 Cfr. Ibid., pp. 356 sgg.
5 Cfr. Henry Corbin, En Islam iranien..., cit., 1 .11, cap. iv, § 5; t. iv, pp. 367
sgg.
6 Sohravardi, L’Archange empourpré, cit., pp. 195 sgg.
U N F I L O S O F O IN C E R C A D E L l ’ « O R IE N T E » III

la funzione del Christós Angelos della cristologia dei primi


tempi del cristianesimo».1
Nella sua Stimma di filosofia illuminativa, SohravardT si dà
esplicitamente come un continuatore di Zoroastro, di Pita­
gora, di Platone, di Shostari, di Ermete e di Plotino; egli è un
anello della catena che, dai Saggi dell’India e della Persia fi­
no ai Savi della Grecia,12ha posto le basi della « filosofia illu­
minativa», ove l’uomo si spoglia delle proprie tenebre per
scorgere la Luce che s’irradia sul mondo.
Quel filosofo migrante che fu SohravardT visse in un am­
biente in cui confluivano correnti che provenivano dai miste­
ri greci, dal neoplatonismo, dalla gnosi, dal manicheismo e
dal mazdeismo, in quell’Asia Minore in cui, nel x i i secolo,
s’incontravano e si scontravano il mondo bizantino, il mondo
islamico e il mondo franco. D’altronde, non si può vedere in
SohravardT una sorta d’eclettico che attinge a molte fonti di­
verse per giungere a un sincretismo piatto e confuso; in Soh­
ravardT vengono a rifrangersi raggi luminosi usciti da una
stessa Lux perpetua. Lux perpetua i cui archetipi costituisco­
no l’essenziale di quell’opera di chiarimento alla quale, dal
1945, Henry Corbin lavora in seno agli incontri di Eranos.3
Ancora una volta, si tratta di non consentire allo storici­
smo di compiere la sua opera dissolvitrice lasciando credere
che la ricerca delle fonti si situi nel quadro di una storia com­
parata della filosofia delle religioni o della mitologia. Tutte
queste discipline analizzano dei combustibili o delle ceneri in­
vece di lasciarsi illuminare dal fuoco della Tradizione; noi sia­
mo in realtà alla presenza di un « sincronismo che governa un
campo di coscienza le cui linee di forza ci mostrano all’opera
le realtà metafisiche stesse».4
Inoltre, SohravardT fa parte di quei filosofi-poeti che, lun­
gi dallo scrivere Trattati, Summe o Critiche, si situano all’in­
terno e nel cuore medesimo della Parola fondatrice. Trovia-

1 Cfr. Ibid., «Prelude», p. xix.


2 Henry Corbin ci ricorda che Eudosso di Cnido segnala quale entusia­
smo regnasse, in seno all’Accademia platonica, per Zoroastro; sappiamo pa­
rimenti che, verso la fine della vita di Platone, l’Accademia contava fra i suoi
discepoli un caldeo della Mesopotamia; cfr. Henry Corbin, En Islam ira-
nien..., cit., t. 11, p. 25.
’ Gli incontri di Eranos sono organizzati ogni anno ad Ascona dai conti­
nuatori dell’opera di Olga Fròbe Kapteyn, morta nel 1952; C.G. Jung parte­
cipò a tali incontri fin dai primi anni. Nei vari volumi dell’« Eranos Jahrbuch »
si possono trovare i testi di numerosi interventi di Henry Corbin, che nel­
l ’insieme superano le duemila pagine.
1 Henry Corbin, En Islam iranien..., cit., t. iv, p. 392; cfr. anche 1 .1, p. xvn.
112 BRUN

mo in lui « come una tensione dialettica, in cui la parola poe­


tica interviene più come situazione-limite che come sintesi».1
Henry Corbin poteva dunque trovarvi gli echi delle analisi
dedicate da Heidegger alla poesia e, più precisamente, a
quella di Hòlderlin. Nella traduzione di Corbin, Heidegger
in effetti scrive che « il linguaggio non è uno strumento a di­
sposizione; è, al contrario, l ’istoriale che dispone della supre­
ma possibilità dell’essere dell’uomo ».123Così, «la poesia è il
fondamento che supporta la Storia ».’
Attraverso la propria filosofìa poetica, SohravardI è il por-
taparola, nel senso più letterale ma anche più profondo del
termine, di quella Tradizione che viene a proclamare se stes­
sa agli uomini.
Sempre parlando di Hòlderlin, Heidegger diceva: «Noi
siamo un dialogo, il che significa al medesimo tempo e sem­
pre: noi siamo un dialogo. L’unità di un dialogo consiste nel
fatto che ogni volta, nella parola essenziale, sia rivelato l’Uno
e medesimo sul quale siamo uniti, in ragione del quale siamo
Uno e così autenticamente noi stessi».4
Tale relazione fra Medesimo e Altro, all’interno dell’Uno
che li fonda e che Hòlderlin chiama «l’intimità essenziale»
(.Innigkeit) che disgiunge e congiunge le cose,56si trova espres­
sa con grande profondità da SohravardI in Le bruissement des
ailes de Gabrieli
Abu ‘All FàrmadhI, un sufi maestro di Ghazall, risponde a
uno che l’interroga: « Sappi che la maggior parte delle cose
di cui i tuoi sensi recano testimonianza, non sono che “fru-
scii delle ali di Gabriele”». E aggiunge: «Tu stesso sei un fru­
scio delle ali di Gabriele».'
Peraltro, viene poi precisato che Gabriele ha due ali: quella

1 Henry Corbin, Pour l’anthropologie philosophique, in «Recherches phi-


losophiques», in, 1932-1933, p. 383.
2 Martin Heidegger, Hòlderlin et V'essence de la poesie, in Quest-ce que la
métaphysique?, trad. fr. di Henry Corbin, p. 239.
3 Ibid., p. 245.
4 Ibid., p. 241.
5 Ibid., p. 237.
6 Prima traduzione di Henry Corbin in collaborazione con Paul Kraus
sotto il titolo Le bruissement de Vaile de Gabriel, traité philosophique et
mystique in «Journal Asiatique», luglio-settembre 1935, pp. 1-82. Seconda
traduzione, Le bruissement des ailes de Gabriel, in SohravardI, IdArchange
empourpré, cit., pp. 224-264. Sulla modificazione del titolo cfr. En Islam
iranien..., cit., t. 11, p. 220, nota.
SohravardI, IdArchange empourpré, Le bruissement des ailes de Gabriel,
cit., p. 228.
U N F I L O S O F O IN C E R C A D E L L ’ « O R IE N T E » 113

di destra, fatta di pura luce, è nella sua totalità l’unica e pura


relazione dell’essere di Gabriele con Dio; ma sulla sua ala sini­
stra si stende un’impronta di tenebra, che ha un lato rivolto
verso il non-essere: il mondo dell’illusione è la sua ombra e la
sua eco, e da lì nascono le grida delle miserie e delle vicissitu­
dini. Ma alla Presenza divina non c’è notte né giorno, ciò che
si staglia è il verbo che si pone al di fuori del tempo e dello spa­
zio. Ed ecco che uno dei saggi custodi del Verbo di Dio, ri­
chiesto di come essi impieghino la maggior parte dei loro istan­
ti, risponde: «Sappi che il nostro lavoro è mettere insieme».1
Messaggio attuale se mai ve ne sono, in questo mondo
scentrato, vulnerato, atomizzato, ove tutto è ridotto in bri­
ciole e frammenti: i cuori, gli spiriti, le azioni e le parole. Bi­
sognerebbe « rimettere insieme » il nostro mondo della scis­
sione e della frattura ove non conosciamo che la luce delle
nostre lampadine, dei nostri fari e dei nostri flash che proiet­
tiamo su di una discontinuità che ha ridotto l’esistenza in
pezzi, ha polverizzato gli esseri e ha demolito l’universo.
Rimettere insieme il mondo disintegrato, questa è la mis­
sione di cui si trova investita la « cavalleria spirituale » comu­
ne ai tre rami della tradizione abramica: quello ebraico, quel­
lo cristiano e quello islamico, e la cui nozione «trae origine
dalle stesse sorgenti e scruta verso gli stessi orizzonti ».12
Esistono, in effetti, risonanze profonde fra l’epopea sohra-
vardiana dell’eroe gnostico e l’epopea mistica occidentale
dei cavalieri del Santo Graal; si può altresì aggiungere che
l’opera di Sohravardl, riportando i Magi ellenizzanti in un
Iran diventato islamico, segnava con ciò stesso l’integrazione
dell’epopea zoroastriana con la tradizione abramica.
Non esiste alcuna filiazione storica diretta fra la cavalleria
spirituale della cristianità e quella dell’IsIàm, ma noi ci tro­
viamo, ben più profondamente, in presenza d’analogie e sin­
cronismi che s’affacciano sulle stesse realtà.1 Henry Corbin
ne dà un esempio particolarmente stringente nel minuzioso
parallelo che stabilisce fra l’Isola Verde dei Gioanniti di Stra­

1 Ibid., p. 229.
2 Henry Corbin, En Islam iranien..., cit., t. iv, p. 390.
5 Henry Corbin accenna anche all’Ordine sovrano di San Giovanni di
Gerusalemme {En Islam iranien..., cit., t. iv, p. 394); l’idea d’una Cavalleria
spirituale lo ha ispirato nel fondare l ’università San Giovanni di Gerusalem­
me, che una volta all’anno riunisce teologi e filosofi intorno allo studio di un
unico tema: «Sciences traditionnelles et sciences profanes» (1974), «Jerusa­
lem la Cité spirituelle» (1975), «La Foi prophétique et le Sacré» (1976),
«Les Pèlerins de l’“Orient” et les Vagabonds de l ’“Occident”» (1977).
I 14 BRUN

sburgo, centro spirituale degli Amici di Dio (Gottesfreunde)


nel xiv secolo, e l’Isola Verde della tradizione shfita degli
Amici di Dio {Awliya Allah ).1Gli uni e gli altri perseguivano
una stessa ricerca, dovevano sormontare le stesse difficoltà e
mantenere gli stessi impegni. Idea che si ritrova pari pari in
un poema incompiuto di Goethe, Die Geheimnisse, nel qua­
le vediamo Fratello Marcus entrare in un edificio in cui si tro­
va l’emblema della Croce intrecciata di rose, dove viene a sa­
pere da un vecchio cavaliere della partenza e della sparizione
di colui che fu il fondatore e l’animatore della confraternita
cui appartiene: Humanus.
In tutti questi racconti ritroviamo l’idea di Guide spiritua­
li, in numero di dodici, appartenenti a un mondo superiore,
raccolte intorno a una figura misteriosa, quella dell’Amico di
Dio o del dodicesimo Imam.123Da costoro dipende che il ciclo
si compia e che l’uomo riesca a sfuggire a un diluvio esisten­
ziale e culturale, grazie a un’entrata in comunicazione con gli
universi spirituali.
Teosofia ebraica, teosofia cristiana e teosofia shTita si ri­
congiungono; le loro omologie spingono Henry Corbin a
scrivere il seguente decisivo passo, che si può considerare co­
me la chiave di tutto il suo pensiero e di tutte le sue ricerche
filosofico-teosofiche nei campi della pubblicazione di testi e
della loro traduzione, nell’ambito culturale sia occidentale sia
orientale: « Tutto avviene come se una voce si facesse sentire
a mo’ di tema di una fuga suonata all’organo, cui un’altra vo­
ce rispondesse invertendo il tema. A chi sa percepire le riso­
nanze, la prima voce forse farà intendere il contrappunto che
richiama la seconda, e di episodio in episodio l’esposizione
della fuga diverrà completa. Ma tale compimento è propria­
mente il “mistero di Pentecoste”, e solo il Paracleto ha la mis­
sione di svelarlo».’
La percezione di tali risonanze implica che siano percepite,
da un lato, sul piano orizzontale ove si situano le cose e gli es­
seri separati gli uni dagli altri a causa di tutto ciò che rende in­
dividui. Ecco perché, fin dal 1932, Henry Corbin teneva a ci­
tare la seguente frase del Dhvàn di al-Hallaj\ «Fra me e te c’è
un “sono Io” che mi tormenta, ah! solleva con il Tuo “sono Io”

1 Henry Corbin, En Islam iranien..., cit., t. iv, pp. 392-403.


2 [Questi temi sono trattati da Corbin distesamente nel volume L’Imam
caché et la renovation de l’homme en théologie shi’ite\ trad. it. L’Imam nasco­
sto, SE, Milano 2008.]
3 Henry Corbin, En Islam iranien..., cit., t. iv, p. 430.
U N F I L O S O F O IN C E R C A D E L L ’ « O R IE N T E » I I5

il mio “sono Io”, portalo fuori, toglilo di mezzo da noi due »;1
sul cammino di questa liberazione dell’ecceità si situa la pene-
trazione di similitudini, di analogie e di «corrispondenze».
Ma essa implica, d’altro canto e soprattutto, che venga
percepita la corrispondenza fra ciò che sta «in basso» e ciò
che sta «in alto». Ecco perché Henry Corbin ha tenuto a
parlare di Swedenborg nelle pagine che ha dedicato all’epo­
pea gnostica nel corso delle sue analisi su SohravardT.’
Da allora egli implicitamente riconsidera la domanda posta
da Heidegger: « Che cosa fa, o che cosa è, l’entità (Seiendheit)
dell’essente? ». Si può aggiungere che ripensa tale questione
alla luce di un’osservazione di Berdjaev nel suo Saggio di me­
tafisica escatologica,! in cui si sottolinea che, se i mistici hanno
parlato della nascita di Dio nell’uomo, esiste nondimeno un
altro mistero: quello della nascita dell’uomo in Dio. Dal mo­
mento che, se c’è il grido dell’uomo affinché Dio nasca in lui,
c’è parimenti il grido di Dio affinché in lui nasca l’uomo.12 4Pa­
3
re qui di trovarsi nello stesso ambito d’indagine da cui nacque
l’interrogativo di Leibniz5 ripreso da Heidegger:6 «Perché
esiste qualcosa piuttosto che nulla? ».
Mistero nel cuore del quale si situa quello della relazione
di Dio con le sue creature, che filosofi e teologi hanno deru­
bricato a problema, volendo apportarvi « soluzioni» mutuate
dal sapere positivo.
Tra i filosofi che ha studiato, e specialmente nel sufismo di
Ibn ‘Arabi, Henry Corbin ha invece rinvenuto una prospetti­
va tutta diversa. Il neoplatonico Proclo scriveva che, se si po­
tesse udire il suono dell’aria spostata dal movimento del gira­
sole nell’atto di rivolgersi verso il sole, ci si renderebbe conto
che si tratta dell’inno a un re, quale può cantarlo una pianta.'
Tale rivolgimento è dunque anche una passione, tale eliotro­
pismo è una eliopatia: l’inno indirizzato al sole è il pathos del­
la simpatia che unisce la pianta al suo re.

1 Henry Corbin, Pour l’anthropologic philosophique, in «Recherches phi-


losophiques», n, 1932-1933, p. 387.
2 Henry Corbin, En Islam iranien..., cit., t. 11, pp. 323 sgg.
3 [Essai de métaphysique eschatologique, Aubier, Paris 1946.]
4 Henry Corbin, En Islam iranien..., cit., t. rv, p. 452.
5 Gottfried Wilhelm Leibniz, Principes de la nature et de la grace, § 7 [Princì­
pi della natura e della grazia fondati sulla ragione, Liviana, Padova 1967].
6 Cfr. Martin Heidegger, alla fine di Quest-ce que la métaphysique? e al­
l’inizio di Introduction à la métaphysique.
Cfr. Henry Corbin, E imagination créatrice dans le soufisme d’ibn ‘Arabi,
11 ed., Paris 1977, p. 87 \Limmaginazione creatrice: le radici del sufismo, La-
terza, Roma 2003].
116 BRUN

Lo stesso avviene allo gnostico nella sua preghiera; questa


non tende a far nascere un sentimento di compassione a suo
riguardo in un essere che gli sarebbe esterno, bensì tende
« ad attualizzare l’Essere divino che aspira a essere attraverso
e per colui che prega, e che “nella sua preghiera stessa” è
l’organo della sua passione. La preghiera dello gnostico vuol
dire: “Fa’ di noi, fa’ che possiamo essere, noi, dei Compaten­
ti”, vale a dire “diventa attraverso di noi ciò che eternamente
è stato tuo Desiderio d’essere”».1 L'unio mystica sembra rea­
lizzare un ’urlio sympathetica a partire dal momento in cui si
pensano veramente le condizioni e le strutture delle teofanie.
Angelo Silesio diceva: «Dio non vive senza di me, so che
senza di me Dio non può vivere nemmeno per un battito di ci­
glia. Se io vengo meno, è giocoforza che Egli renda l’anima»;12
la simpatia e la teofania in Ibn 'Arabi permettono di precisare
tale affermazione, dal momento che, per lui, l’Essere divino
non può separarsi «dagli esseri che adorandolo lo rendono
Dio, poiché la loro adorazione, cioè la loro teofania, è la for­
ma della Compassione (sympàthesis) divina com-patente con
essi; Egli stesso si loda in tutti i suoi esseri che sono le sue
teofanie, quantunque essi non le percepiscano, dal momento
che molti esseri non percepiscono la preghiera del Silenzioso
(.al-Samit), la preghiera del girasole, ad esempio, che Proclo
percepiva così bene».’
Peraltro possiamo ritrovare, nel canto finale del Libro del­
le teofanie di Ibn ‘Arabi, echi del Cantico dei cantici che dei
mistici ebrei hanno interpretato come un dialogo appassio­
nato fra l’anima umana e l’Intelligenza angelica. La Sophia si
rivolge al mistico in questi termini:
Se [...] tu mi percepisci, percepisci te stesso.
Ma non potresti percepirmi attraverso di te.
E attraverso il mio sguardo che mi vedi e ti vedi,
Non è attraverso il tuo sguardo che mi puoi percepire.

Benamato!
Andiamo verso l’Unione.
E se troviamo la strada
Che porta alla separazione,
Noi distruggiamo la separazione/

1 Ibid., p. 96.
2 Citato da Henry Corbin, L'imagination créatrice..., cit., p. 105.
Ibid., p. 102.
2 Ibid., pp. 137-138.
U N F I L O S O F O IN C E R C A D E L L ’ « O R I E N T E » 1 17

In questo modo comprendiamo che, nella filosofia mistica,


l’Immaginazione creatrice non ha niente a che vedere con
l’immaginazione alla quale si sono rivolte le teorie empiriste
della conoscenza, né con la fantasia di cui gli psicologi hanno
potuto studiare differenti forme. L’Immaginazione creatrice
di Ibn ‘Arabi e dei mistici apparentati si ricollega a quell’im-
maginazione che gioca un ruolo tanto importante presso i fi­
losofi occidentali del Rinascimento e nel Romanticismo tede­
sco; Alexandre Koyré diceva di essa che era «un intermedia­
rio magico fra il pensiero e l’essere, [una] incarnazione del
pensiero nell’immagine e [una] collocazione dell’immagine
nell’essere».1La Creazione, in quanto teofania, è un atto del­
la potenza immaginativa divina e l’Immaginazione attiva nel­
lo gnostico a sua volta è parimenti un’Immaginazione teofa-
nica. Dal momento che l’Immaginazione attiva dell’essere
umano non è che l’organo dell’Immaginazione teofanica as­
soluta, «la preghiera è una teofania per eccellenza, e a questo
titolo è “creatrice”; ma proprio il Dio che prega poiché lo
“crea”, è il Dio che si rivela a lei in tale Creazione, e detta
Creazione, nell’istante, è una fra le teofanie di cui il Soggetto
reale è la divinità che si rivela a se stessa».12
Una volta di più, Henry Corbin ci rimanda da Oriente a
Occidente per mostrarci che ci troviamo in presenza di una
inchiesta simile in quelli in cui la ricerca della luce non è sta­
ta soppressa dall’idolatria dell’obiettività, dello storico e del
collettivo. Il mondo come Magia divina, immaginato attra­
verso la divinità «immaginifica» potrebbe rinviarci, in effet­
ti, alle speculazioni di Jacob Bòhme3e a quelle di Novalis, che
(attraverso Fichte, e paradossalmente malgrado quest’ulti­
mo, il quale si rifiutava di seguire le speculazioni del calzo­
laio-teosofo sull’immaginazione) coglie gli accenti di Bòhme
e di Paracelso nella nozione di « segnatura », grazie alla qua­
le l’immaginazione è concepita come una potenza magica e
creatrice.
Non si potrebbe pensare anche a Hamann, a proposito del
quale Henry Corbin ricordava, nel «Prélude» alla sua tradu­
zione dell’/Esthetica in nuce del Mago del Nord pubblicata

1 Alexandre Koyré, Mystiques, Spirituels, Alchimistes du X V I siede alle-


mand, Paris 1955, p. 60, nota 2, citato da Henry Corbin, Liimagination créa­
trice..., cit., p. 140.
2 Henry Corbin, Idimagination créatrice..., cit., p. 142.
’ Cfr. Alexandre Koyré, La philosophie de Jacob Bobine, Paris 1929, pp.
349, 376, 505, citato da Henry Corbin, Idimagination créatrice..., cit., pp. 139,
27°.
118 BRUN

in «Mesures», che tradurre è «l’atto assolutamente primiti­


vo, non come decifrazione di un testo già dato e imposto, ma
come apparizione stessa delle cose, loro rivelazione mediante
nominazione»? Traduzione che proviene da una teosofìa1
fondatrice, illuminante e a cui si ricongiunge.

In questo modo si vede dunque come Henry Corbin sia fi­


losofo di grandissima importanza, il quale, al di là delle fron­
tiere geografiche, delle lingue, dei sistemi, delle istituzioni reli­
giose e delle mode effimere, in breve al di là delle separazioni
d’ogni sorta, si sforza di ravvivare i pallidi lumi che si accen­
dono nel tempo e nello spazio per mostrare che la loro sor­
gente è un’unica Luce.
E possibile trasporre nelle filosofie della storia il dogma del-
l’Incarnazione (ed Hegel non se ne è astenuto), e filosofie di
questo tipo possono finire per diventare agnostiche (Kojève
vede anche nell’hegelismo una vera e propria antropodicea
che ha messo alla porta Dio); lo Spirito assoluto si trova così
secolarizzato. In compenso, «è difficile realizzare una filoso­
fia della storia con delle teofanie come eventi visionari. Ciò
che queste ultime propriamente richiedono è una istorioso-
fia ».12*Di queste istoriosofia e ierostoria, Henry Corbin ha in­
teso produrre l’ermeneutica.
Filosofo che non riduce il Sapere alla scienza, né la Verità
a un semplice valore d’uso, né l’Esistenza a un epifenomeno
di reazioni chimiche, Henry Corbin s’iscrive nella Tradizione
di quanti leggono nella storia degli uomini non la genesi di
un divenire creatore, ma i molteplici raggi di un’Unità viven­
te, rifratta dal prisma del tempo e dello spazio, e situata ben
al di sopra di esso.
D’altronde, al termine del suo studio sulla filosofia islami­
ca,5Henry Corbin pone delle questioni dalle quali si avverte
trasparire una certa inquietudine. L’Oriente rischia di perde­
re la propria anima a causa di una tecnologia pervasiva e di
un’occidentalizzazione a oltranza del suo pensiero; in Iran la
distanza non protegge più la filosofia tradizionale dai contat­
ti distruttori. Simmetricamente, da un po’ di tempo in qua,

1 È il titolo di uno degli ultimi scritti di Jacob Bòhme, e se ne trova una


traduzione parziale in «Hermès», n. 3, 1963-1964, pp. 65 sgg.
2 Henry Corbin, ha philosophie islamique depuis la mort d’Avcrroès jusqu’à
nos jours, in Histoire de la philosophie, t. in, p. 1074, in «Encyclopédie de la
Plèiade», Paris 1974.
5 Ibid., pp. 1184-1185.
U N F I L O S O F O IN C E R C A D E I. l ’ « O R I E N T E » 1 19

in Occidente fioriscono degli pseudo-esoterismi senza so­


stanza che voltano le spalle alla Tradizione di cui si credono i
rappresentanti. Le relazioni favorite dallo sviluppo dei mezzi
di comunicazione e dalla pubblicazione di testi inediti saran­
no anch’esse meramente distruttive o permetteranno a una
reciprocità profonda di svilupparsi? Siamo in prossimità di
un Diluvio spirituale o alla vigilia di una Rinascita?
Il grande merito di Henry Corbin è stato quello di condur­
ci a porre questi interrogativi, e di sollecitarci a riflettere sul­
la profondità e sulla portata della risposta che se ne attende.

[Questo scritto di Jean Brun è tratto da «Cahiers de l’Herne», n. 39, de­


dicato a Henry Corbin, pubblicato a Parigi nel 1981.]

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