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PLEXUS / 5

Archeologie, archivi e storie dei media

DIRETTORE / BOOK SERIES COORDINATOR


Simone Venturini

COMITATO DIRETTIVO / EDITORIAL BOARD


Diego Cavallotti, Simone Dotto, Andrea Mariani

COMITATO SCIENTIFICO / SCIENTIFIC COMMITTEE


Édouard Arnoldy, Michele Canosa, Luisa Catoni, Ruggero Eugeni, Oliver Fahle, Giovanna
Fossati, Trond Lundemo, Pietro Montani, Federico Neresini, Peppino Ortoleva, Leonardo
Quaresima, Cosetta G. Saba, Bernard Stiegler, Wanda Strauven, Benoît Turquety, Pasi Valiaho.

SEDE
Università degli Studi di Udine – Dipartimento di Studi umanistici e del patrimonio culturale
SCRIVERE LA STORIA,
COSTRUIRE L’ARCHIVIO
Note per una storiografia del cinema e dei media

a cura di Diego Cavallotti, Denis Lotti e Andrea Mariani

MELTEMI
Stampato con il contributo della Regione Friuli Venezia Giulia e
dell’Università degli Studi di Udine – Dipartimento di Studi umanistici
e del patrimonio culturale.

Convegno CUC Scrivere la storia, costruire l’archivio, Udine, 25-26


gennaio 2019.

PRID – Ephemera e cinema italiano. Scrapbooks, fan mail e diari


delle spettatrici nell’Italia del regime

PRID – Nimhe. Mining the Italian ‘non-theatrical’ film and ‘non-


broadcast’ video (1965-1995): excavating a neglected media heritage

in collaborazione con

Meltemi editore
www.meltemieditore.it
redazione@meltemieditore.it
Collana: Plexus, n. 5
Isbn: 9788855193375
© 2021 – MELTEMI PRESS SRL
Sede legale: via Ruggero Boscovich, 31 – 20124 Milano
Sede operativa: via Monfalcone, 17/19 – 20099 Sesto San Giovanni (MI)
Phone: +39 02 22471892 / 22472232
Indice

11 Dalla vaga suggestione al reperto censito.


Note per una storia del cinema
e dei media attraverso gli archivi
Diego Cavallotti, Denis Lotti, Andrea Mariani

Rinnovare l’archivio, rinnovare la storia

39 La sceneggiatura e l’archivio.
Considerazioni sullo studio
della scrittura per il cinema
Giaime Alonge

55 I fondi archivistici personali,


la corrispondenza e la ricerca sul cinema.
Il caso del carteggio tra Elio Petri
e Leonardo Sciascia
Gabriele Rigola

69 Inventariare il soggetto produttore


Barbara Corsi, Sara Verrini

81 Scritture delle fan e testi terziari


all’ombra del fascismo
Mariapia Comand, Martina Zanco
107 Film e fandom: archivi paralleli
Valerio Sbravatti

L’archivio come istituzione, l’archivio e le istituzioni

123 Cineteche istituzionali, collezioni private:


come l’archivio influenza la conservazione
delle immagini
Paolo Caneppele

137 There’s no archive like home?


Realtà, miti e potenzialità
della ricerca 2.0 sul cinema italiano
Silvio Alovisio, Luca Mazzei

155 Per uno studio del cinema


nella stampa comunista.
I luoghi della cultura rossa in Italia
Marco Zilioli

167 Territori di transito. La Bibliomediateca


“Mario Gromo” del Museo Nazionale
del Cinema: problematiche di migrazione
e conservazione del patrimonio digitalizzato
Marco Grifo, Fabio Pezzetti Tonion

181 L’autore, la città, il museo. Percorsi di lettura


dell’Archivio Zucchelli di Bergamo tra eredità
storica e valorizzazione contemporanea
Paolo Villa

195 Audiovisivi nei musei tecnico-scientifici.


Creare l’archivio al Museo Nazionale Scienza
e Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano
Simona Casonato
209 Censimento degli archivi e dei fondi di video
arte e film d’artista in Italia
Rossella Catanese, Lisa Parolo

223 Strategie di archiviazione e memorie di guerra.


Il misterioso caso del lemma guerra 40 45
negli archivi Rai
Sila Berruti

239 Tre parole sugli archivi: digitalizzazione,


restauro, valorizzazione
Stella Dagna

Nuovi modelli storiografici,


nuovi oggetti d’archivio

257 Sistema Varda: collezionare e archiviare immagini


Anna Masecchia

271 L’archivio e la mappa.


Riflessione sulle pratiche della “topo-cinefilia”
Lorenzo Marmo

291 L’archivio tra amnesia e memoria


nell’opera di Lamia Joreige e Rania Stephan
Valeria Mancinelli

305 The second life of images.


Nuove forme di riscrittura storica
in Free Fall di Péter Forgács
Samuel Antichi

319 L’animismo e le storie del cinema:


genesi di un topos storiografico
Chiara Dionisi
337 La costruzione degli archivi Alain Resnais
Clizia Centorrino

351 Archivi cinematografici e paratesti cartacei.


Il cineromanzo tra conservazione
e indicizzazione
Gabriele Landrini

365 Scrivere dell’emigrazione italiana con film,


canti e repertori d’Archivio
Stefania Carpiceci

Archivi e nuovi media

381 L’archiviazione del videogioco:


lo stato della questione e le possibili opportunità
di coordinamento con l’ambito audiovisivo.
Obsolescenza e consapevolezza della perdita
del gaming classico
Federico Giordano

403 “Archivio YouTube”.


L’ambiente di video-sharing come ipotetico
generatore di regolarità enunciative
Lorenzo Denicolai

417 San Berillo Web Serie Doc.


Archivi, immagini e media digitali per nuove
pratiche comunitarie di ri-generazione memoriale
Giovanna Santaera

431 Le piattaforme digitali come nuovo archivio:


spazi di fruizione per le produzioni
tra cinema e arte contemporanea
Vincenzo Estremo, Francesco Federici
Archivi e produzione non-theatrical

445 Commesse e viaggiatori.


Tracce, tratte e traiettorie del cinema “utile”
nel secondo dopoguerra italiano
Simone Dotto

463 Il film industriale tra archivi, memoria


e identità locale. Il caso del paesaggio
industriale biellese nel Progetto di ricerca I-LAB
Teresa Biondi

477 Viaggio nell’attualità: il film di famiglia


siciliano tra le dimensioni pubblica e privata,
fisica e digitale, storica e creativa
Ruxandra Lupu

491 Pratiche produttive e distributive del cinema


scolastico nel secondo dopoguerra italiano
Giovanni Grasso

505 Il futuro dell’obsolescenza.


Gli archivi filmici amatoriali e sperimentali
Paolo Simoni

525 Il restauro del cinema sperimentale e d’artista.


Tre casi di studio
Mirco Santi

549 Silent Invasion(s). Appunti per una riscrittura


della storia del cinema d’artista a partire
dall’archivio privato di Valentina Berardinone
Jennifer Malvezzi

567 Bibliografia selettiva

571 Ringraziamenti
Dalla vaga suggestione al reperto censito.
Note per una storia del cinema
e dei media attraverso gli archivi
Diego Cavallotti*, Denis Lotti**, Andrea Mariani***

I tre paradigmi: accumulazione originaria, valorizza-


zione e sostenibilità1

Al termine dell’onda lunga del cosiddetto archival


turn2, nel momento in cui avevamo iniziato a progetta-

*
Università degli Studi di Cagliari.
**
Università degli Studi di Padova.
***
Università degli Studi di Udine.
1
Il saggio è stato pensato congiuntamente dai tre autori. In maniera
più specifica, Diego Cavallotti ha scritto il paragrafo I tre paradigmi: ac-
cumulazione originaria, valorizzazione e sostenibilità, Denis Lotti le Con-
clusioni e Andrea Mariani i paragrafi Altri orizzonti e Altri monumenti.
Si ringrazia Massimo Benvegnù per i consigli e l’incoraggiamento.
2
Definire in maniera univoca che cosa si intenda con archival turn
e quale sia il suo “raggio temporale” appare un’impresa ardua, degna
di una monografia. Secondo studiose come Carolyn Steedman, autrice
del seminale Dust: The Archive and Cultural History, fu l’impatto di
Mal d’archivio di Derrida sulla comunità di studi storici a stabilire l’ul-
timo importante spartiacque riguardo alla riflessione sul concetto di
“archivio”. Altre, come Ann Stoler, sostengono che, in realtà, si tratta
di una questione carsica, già centrale per alcuni antropologi come
Maitland ed Evans-Pritchard rispettivamente negli anni Trenta e negli
anni Cinquanta. In questo senso, l’onda lunga dell’archival turn avreb-
be investito storici come Ginzburg e Zemon-Davies e filosofi come
De Certeau (oltre che, aggiungiamo noi, Michel Foucault) già negli
anni Settanta e Ottanta. Tale tendenza sarebbe stata poi ri-affermata
e descritta da studiosi come Hal Foster. A tal proposito si vedano C.
Steedman, Dust: The Archive and Cultural History, Rutgers Universi-
12 DIEGO CAVALLOTTI, DENIS LOTTI, ANDREA MARIANI

re il convegno da cui il volume ha tratto ispirazione e


sostanza3, il rapporto presente tra la costruzione degli
archivi audiovisivi (cinematografici, video, televisivi,
ecc.) e la scrittura della storia aveva raggiunto un pun-
to di sostanziale maturazione.
Come rilevato nella call-for-paper, dal convegno di
Brighton (1978) in avanti, la ricerca storica riguardan-
te l’immagine in movimento aveva infatti spostato il
proprio baricentro dalla ricognizione critica a forme
vicine allo scavo archeologico, trovando nell’archivio
il proprio luogo di elezione. Dalla nascita della New
Film History4 cominciarono ad apparire lontani quei
momenti in cui la storia del cinema veniva ricostruita
sulla base di vaghe e confuse suggestioni legate a proie-
zioni distanti nel tempo o a informazioni filmografiche
di seconda mano5. Insomma, si mosse oltre la semplice
attestazione che il cinema aveva una storia e si comin-
ciarono ad approfondire i suoi caratteri: attraverso il
rapporto con gli archivi, il reperimento delle fonti, le
metodiche e le metodologie relative alla loro elabora-

ty Press, New Brunswick 2002; A. Stoler, Along the Archival Grain:


Epistemic Anxieties and Colonial Common Sense, Princeton Universi-
ty Press, Princeton 2008, pp. 44-46; H. Foster, An Archival Impulse,
in “October”, vol. 110, autunno 2004, pp. 3-22.
3
Si tratta del convegno CUC – Consulta Universitaria del Cinema,
Scrivere la storia, costruire l’archivio, a cura di D. Cavallotti, D. Lotti, A.
Mariani, Università degli Studi di Udine, Dipartimento di Studi Umanisti-
ci e del Patrimonio Culturale, in collaborazione con AIRSC – Associazione
Italiana per le Ricerche di Storia del Cinema, Udine, 25-26 gennaio 2019.
4
Riguardo al rapporto tra il convegno di Brighton e la New Film
History, si vedano, in particolare, T. Elsaesser, The New Film History,
in “Sight and Sound”, vol. 55, n. 4, 1986, pp. 246-251; P. Gauthier,
The 1978 Brighton Congress and “Traditional Film History” as Found-
ing Myths of the “New Film History”, articolo non pubblicato, pre-
sente su www.academia.edu/1795860/_In_English_The_1978_Brigh-
ton_Congress_and_Traditional_Film_History_as_Founding_Myths_
of_the_New_Film_History (consultato il 5 luglio 2020)
5
Si pensi all’accusa mossa da François Truffaut a George Sadoul
riguardo a Vulcano di William Dieterle (Volcano, 1950), erroneamente
attribuito a Roberto Rossellini. Cfr. F. Truffaut, I sette peccati capitali della
critica, in Id., Il piacere degli occhi (1987), Marsilio, Venezia 2000, p. 196.
DALLA VAGA SUGGESTIONE AL REPERTO CENSITO 13

zione divennero oggetto di dibattito, stratificando ul-


teriormente la dimensione storiografica.
Dall’altro capo del filo, gli archivi versavano in una
situazione speculare. Essi, infatti, dagli anni Trenta ave-
vano partecipato all’affermazione e alla maturazione
della cultura cinematografica6, contribuendo in manie-
ra decisiva alla costruzione del canone e, sulla spinta di
figure come Henri Langlois, a far conoscere al pubblico
i grandi capolavori del passato attraverso programmi
d’accesso assai seguiti7. Quest’ultima tendenza venne
bilanciata da personalità come Ernest Lindgren e dalla
riconferma della “missione preservatrice” degli archi-
vi8. Entrambe le tendenze – la “linea Langlois”, per cui
era preminente l’accesso, e la “linea Lindgren”, per cui
era preminente la preservazione9 –, spesso (e corretta-
mente) definite in senso oppositivo, afferivano tuttavia

6
A tal proposito, si vedano M. Hagener, Moving Forward, Look-
ing Back: The European Avant-Garde and the Invention of Film Cul-
ture 1919-1939, Amsterdam University Press, Amsterdam 2007 e M.
Hagener (a cura di), The Emergence of Film Culture: Knowledge Pro-
duction, Institution Building, and the Fate of Avant-Garde in Europe
1919-1945, Berghahn, New York-Oxford 2014.
7
Riguardo a Henri Langlois, si vedano R. Roud, Henri Langlois:
l’Homme de la Cinémathèque, Belfond, Parigi 1985; H. Langlois, Ecrits
de cinéma (1931-1977), a cura di B. Benoliel, B. Eisenschitz, Flammar-
ion, Parigi 2014; D. Païni, J.-F. Rauger, B. Benoliel, M. Orléan, Le
Musée imaginaire d’Henri Langlois, Flammarion, Parigi 2014.
8
Sull’opposizione tra Langlois e Lindgren si vedano N. Mazzanti,
Response to Alexander Horwath, in “Journal of Film Preservation”, n.
70, 2005, pp. 10-14 e D. Nissen, L. Richter Larsen, T.C. Christensen,
J. Stub Johnsen, Preserve then Show, DFI, Copenhagen 2002.
9
Va specificato che con preservazione si rimanda a un “intervento
di ‘conservazione attiva’ volto a garantire la trasmissione al futuro del
contenuto dell’oggetto conservato. In pratica il film viene duplicato
su un nuovo supporto. Nella sua accezione corrente, la preservazione
indica il mero intervento di duplicazione, senza apportare modifiche
(per esempio editoriali) al materiale originale”. In questo senso si di-
stingue dalla “conservazione passiva” degli artefatti, a cui si fa spesso
riferimento con il solo termine di “conservazione”. Cfr. G.L. Farinelli,
N. Mazzanti, Il restauro: metodo e tecnica, in G.P. Brunetta (a cura
di), Storia del cinema mondiale. Teorie, strumenti, memorie, vol. V.,
Einaudi, Torino, 2001, p. 1121.
14 DIEGO CAVALLOTTI, DENIS LOTTI, ANDREA MARIANI

al punto di maturazione di un medesimo paradigma


archiviale, che, in senso marxiano, potremmo definire
con i termini di “accumulazione originaria”10.
Grazie a essi si intende delineare quella fase in cui
il patrimonio, dapprima disperso, venne raccolto in
istituzioni denominate cineteche e coordinate a livello
internazionale dalla FIAF – Fédération Internatio-
nale des Archives du Film, fondata nel 1938. Come
ricorda Paolo Caneppele11, tale fase ebbe inizio già
attorno agli anni Dieci del Novecento, nel momento
in cui vennero fondate le prime cineteche12. In seguito
alla fondazione della FIAF, si procedette all’istituzio-
nalizzazione del patrimonio e al suo consolidamento:
in particolare, il dialogo tra le cineteche e la nuova
generazione di registi, che, soprattutto in Francia alla
fine degli anni Cinquanta e all’inizio degli anni Ses-
santa, segnarono l’inizio di una “nuova ondata”, fu
certamente importante per affermare la rilevanza de-
gli archivi cinematografici. È possibile però sostenere
che il loro definitivo riconoscimento avvenne il 27
ottobre 1980 con la risoluzione Recommendation for
the Safeguarding and Preservation of Moving Images,
adottata durante l’Assemblea Plenaria dell’UNESCO
tenuta a Belgrado13 tra il 23 e il 28 ottobre 1980: da
quel momento in avanti, si poté dare per scontato che
i film fossero un’espressione “of the cultural identity
of peoples”14 e che, in virtù del loro valore educativo,
10
Cfr. K. Marx, Il capitale (1867), Newton Compton, Roma 2006,
pp. 514-548.
11
Si veda il saggio Cineteche istituzionali, collezioni private: come
l’archivio influenza la conservazione delle immagini, infra.
12
A tal proposito, le riflessioni a cui anche Caneppele rimanda sono
quelle di Paolo Cherchi Usai in Archives, in R. Abel (a cura di), Encyclo-
pedia of Early Cinema, Routledge, Oxon-New York 2005, pp. 36-37.
13
Cfr. AA.VV., Recommendation for the Safeguarding and Preser-
vation of Moving Images, report della Quarta Commissione di Pro-
gramma, Trentasettesima Assemblea Plenaria dell’UNESCO, Belgra-
do, 23-28 ottobre 1980, pp. 156-161.
14
Ivi, p. 156.
DALLA VAGA SUGGESTIONE AL REPERTO CENSITO 15

culturale, artistico, scientifico e storico, formassero


“an integral part of a nation’s cultural heritage”15.
Il documento UNESCO mirava a “fotografare” un
quadro assai dinamico, in cui le cineteche avevano già
iniziato a proporre “restauri”16 – sebbene già definire il
concetto di “restauro cinematografico” sia un’impresa
tutt’altro che scontata17, come ricordano anche Valerio
Sbravatti e Stella Dagna in questo volume18: si pensi, a
tal proposito, al caso di Eileen Bowser e al lavoro del
1975 su A Corner in Wheat di David Wark Griffith
(1909) e al progetto riguardante il restauro di Napoléon
di Abel Gance (1927) curato da Kevin Brownlow19 tra
il 1973 e il 198020. Simone Venturini, in Il restauro cine-
matografico, storia moderna, ricorda che le due decadi
Settanta-Ottanta costituirono un vero e proprio “picco
di maturità e di attenzione approfondita al restauro del
film”21, in cui il valore degli archivi venne ribadito per
un duplice ordine di motivi: da un lato, si affermarono
questioni di natura economico-industriale, con i gran-
di conglomerati mediali che scoprirono di avere nei
propri depositi asset ri-utilizzabili a fini commerciali

15
Ibidem.
16
Non a caso, all’interno del report si nomina il restauro come uno
degli obiettivi fondamentali delle istituzioni preposte alla preservazio-
ne dei beni culturali audiovisivi. Cfr. ivi, p. 160.
17
Simone Venturini parla di “prassi complessa” (cfr. S. Venturini,
Il restauro cinematografico, storia moderna, in Id., Il restauro cinema-
tografico. Principi, teorie, metodi, Campanotto, Pasian di Prato 2006,
pp. 19-23). Inoltre, su questo tema, si veda S. Dagna, Perché restaurare
i film, ETS, Pisa 2014.
18
Cfr. Film e fandom: archivi paralleli, infra; Tre parole sugli archi-
vi: digitalizzazione, restauro, valorizzazione, infra.
19
Tra gli altri pionieri, vanno citati Harold Brown, Enno Patalas,
Robert Gitt, Peter Williamson, Gosta Werner e Sam Shepard. Cfr. S.
Venturini, Il restauro cinematografico, storia moderna, cit., p. 16.
20
Evitiamo di menzionare, qui, la prima “ricostruzione” di Me-
tropolis (1927) di Fritz Lang elaborata dal Staatliches Filmarchiv der
DDR tra il 1968 e il 1972: si tratta di un lavoro approssimativo, il cui
rilievo filologico risulta assai problematico.
21
S. Venturini, Il restauro cinematografico, storia moderna, cit., p. 17.
16 DIEGO CAVALLOTTI, DENIS LOTTI, ANDREA MARIANI

grazie alla programmazione televisiva e alle edizioni


home video, dall’altro, emersero temi di matrice cultu-
rale, come, per esempio, la rielaborazione del canone
cinematografico sulla base degli spunti forniti dal già
citato convegno di Brighton e dalla New Film History.
Oltre a ciò, tuttavia, il documento UNESCO mise
in evidenza un altro elemento: in maniera assai avve-
duta, i suoi estensori non si riferirono soltanto al film
e al cinema, ma rimandarono al più generale orizzonte
delle “immagini in movimento” (moving images), inclu-
dendo tra gli oggetti da preservare anche le “television
productions made by or for broadcasting organiza-
tions”22 e le “videographic productions (contained in
videograms)”23. Insomma, si premurarono di includere
anche quegli oggetti che, nel 1980, apparivano fuori
dal regime di archiviazione, ma che sarebbero stati di
sicuro interesse per gli archivisti e gli studiosi del fu-
turo – come dimostrano i casi concernenti la relazione
tra l’immagine in movimento e le arti visive riportati da
Rossella Catanese e Lisa Parolo e da Vincenzo Estremo
e Francesco Federici24, quelli pertinenti agli archivi te-
levisivi presentati da Sila Berruti25 e quelli connessi al
videogame citati nel contributo di Federico Giordano26.
Dal 1980 i prodotti mediali divennero così beni
culturali, parte di un patrimonio da preservare e, so-
prattutto, da valorizzare. Da simili linee di tensione af-
fiorò il secondo paradigma, quello della valorizzazione,

22
AA.VV., Recommendation for the Safeguarding and Preservation
of Moving Images, cit., p. 157.
23
Ibidem.
24
Cfr. Censimento degli archivi e dei fondi di video arte e film d’ar-
tista in Italia, infra; Le piattaforme digitali come nuovo archivio: spazi
di fruizione per le produzioni tra cinema e arte contemporanea, infra.
25
Cfr. Strategie di archiviazione e memorie di guerra. Il misterioso
caso del lemma guerra 40 45 negli archivi Rai, infra.
26
Cfr. L’archiviazione del videogioco: lo stato della questione e le
possibili opportunità di coordinamento con l’ambito audiovisivo. Obso-
lescenza e consapevolezza della perdita del gaming classico, infra.
DALLA VAGA SUGGESTIONE AL REPERTO CENSITO 17

in cui si mescolò, da un lato, l’intento di rendere le


opere mediali – non più solo cinematografiche quindi,
ma anche televisive, video, ecc. – accessibili al maggior
numero possibile di fruitori, dall’altro, una dinamica
di gestione dei depositi volta a sganciare l’archivio dal-
la dipendenza del finanziamento pubblico (statale, re-
gionale o comunale). Per fare ciò, l’item doveva essere
trasformato in un asset da immettere di nuovo nella
catena del valore, generando profitti sufficienti per la
sua conservazione passiva e attiva.
All’interno di un simile paradigma, che, come evi-
denzia Venturini, non si discosta molto dal principio
della lunga coda elaborato da Chris Anderson27, un
ruolo fondamentale fu giocato dalla digitalizzazione.
Essa consentì di affidarsi a una gerarchia di copie (dalla
copia di conservazione alle copie d’accesso) la cui pro-
duzione era infinitamente più veloce rispetto a quella
dei processi di stampa che caratterizzavano l’orizzonte
fotochimico e analogico. Inoltre, il digitale consentiva
un’adattabilità maggiore ai diversi contesti di accesso,
rimandassero essi a una proiezione in DCP o all’upload
su una piattaforma dedicata o su un aggregatore gene-
rico (si pensi a YouTube o a Vimeo)28.
La corsa alla digitalizzazione portò, in molti casi,
a un accumulo di materiali ri-mediati caratterizzato
dall’eterogeneità dei formati di acquisizione e com-
pressione, al punto che, anche a causa dell’obsole-
scenza programmata dei software e degli hardware
digitali, gli archivi si dovettero spesso confrontare con
i problemi dell’utilizzabilità e della scarsa longevità

27
Cfr. S. Venturini, La Restauration des films: une histoire (post-)
moderne, in “Technè”, n. 37, 2013, pp. 97-101.
28
Riguardo al tema della digitalizzazione e della vita d’archivio
dei film “in transizione” dall’analogico al digitale, il riferimento è, ov-
viamente, G. Fossati, From Grain to Pixel: The Archival Life of Film
in Transition (2009), Amsterdam University Press, Amsterdam 2018.
Si veda, inoltre, R. Catanese, Lacune binarie. Il restauro del film e le
tecnologie digitali, Bulzoni, Roma 2013.
18 DIEGO CAVALLOTTI, DENIS LOTTI, ANDREA MARIANI

delle copie29. Per questa ragione, è possibile sostene-


re che, sebbene non si fosse tradotto in quell’inferno
della distruzione paventato da Raymond Borde30 già
ai tempi dell’introduzione del video-analogico negli
archivi, l’avvento del digitale legò ancora di più le esi-
genze di questi ai cicli del mercato tecnologico.
Una simile tendenza venne osservata dagli studiosi
come l’occasione di ripensare ed estendere le fonda-
menta di una disciplina come la filologia del cinema31 e
degli audiovisivi, portando al centro della riflessione le
modalità concrete grazie a cui il testo era stato costru-
ito, la sua posizione all’interno dell’albero stemmatico
(o all’interno di altri modelli filologici, come quello
di Bédier, per esempio), le condizioni di possibilità
storiche della produzione e della fruizione dell’opera,
la storia culturale delle sue istituzioni di riferimento,
l’orizzonte di dispositivo a cui rimandava originaria-
mente, le principali questioni di preservazione e di
restauro sollevate (tenendo conto della relazione tra
item e opera) e, ovviamente, il ruolo degli archivi nella
ricostruzione della sua storia.
In altri termini, la storia e la storiografia del cinema
(e, più in generale, dei media) reagirono in maniera
speculare rispetto alle mutazioni dei paradigmi d’ar-
chivio, convocando nuovi strumenti epistemologici al
fine di sfruttare le opportunità che la moltiplicazione
degli oggetti d’archivio offriva: in questa prospettiva,
sono centrali per il volume le riflessioni sulle innova-

29
Si pensi, tra gli altri parametri, all’aumento della risoluzione di
scansione.
30
Cfr. R. Borde, Storia delle distruzioni, in M. Canosa (a cura di),
La tradizione del film. Testo, filologia, restauro, “Cinema&Cinema”, n.
63, 1992, p. 102.
31
Si pensi al volume di G. Bursi, S. Venturini (a cura di), Critical
Editions of Film: Film Tradition, Film Transcription in the Digital Era,
Campanotto, Pasian di Prato 2008 e, più in generale, al lavoro di Mi-
chele Canosa – tra i suoi saggi, vorremmo citare A piè di schermo. A pro-
posito di edizioni critiche dei film, in “Cinergie”, vol. 13, 2007, pp. 52-53.
DALLA VAGA SUGGESTIONE AL REPERTO CENSITO 19

zioni del workflow riguardanti il cinema sperimentale e


d’artista – film assai delicati perché spesso “invertibili”
e, dunque, elaborati in copia unica, come evidenziano
i saggi di Simoni, Santi e Malvezzi32 – o sui progetti
editoriali che hanno come tema il rapporto tra produ-
zione audiovisiva e memoria e come fulcro il confronto
fra diverse piattaforme digitali – i principali riferimenti
sono qui i lavori di Biondi e di Lupu33.
Come il lettore avrà notato, nel delineare i paradigmi
dell’accumulazione originaria e della valorizzazione, chi
scrive ha utilizzato i tempi verbali del passato remoto.
Infatti, anche se il paradigma della valorizzazione è per
molti archivi ancora centrale, i suoi ritmi non sembrano
più essere sostenibili in un contesto sanitario-ambien-
tale e socio-economico caratterizzato dal susseguirsi di
crisi globali. Il lavoro dell’archivista – come, del resto, il
lavoro dello storico dei media audiovisivi – dovrà essere
ripensato alla luce di cambiamenti di cui, all’inizio del
luglio del 2020, non comprendiamo ancora la portata.
In altri termini, il nesso tra gli archivi e i dipartimenti
in cui lavorano gli storici dell’immagine in movimento
dovrà spostare il proprio baricentro da quell’impulso
pionieristico e avventuroso che aveva caratterizzato la
generazione di Brighton a nuove forme di interazione
fondate sul principio di sostenibilità.
Se, fino a qualche mese fa, una simile affermazione
poteva essere tacciata di utopismo, ora appare come
l’unica strada percorribile. Tale paradigma, infatti, in-
veste direttamente gli snodi critici a cui abbiamo fatto

32
Cfr. Il futuro dell’obsolescenza. Gli archivi filmici amatoriali e
sperimentali, infra; Il restauro del cinema sperimentale e d’artista. Tre
casi di studio, infra; Silent Invasion(s). Appunti per una riscrittura
della storia del cinema d’artista a partire dall’archivio privato di Va-
lentina Berardinone, infra.
33
Cfr. T. Biondi, Il film industriale tra archivi, memoria e identità lo-
cale. Il caso del paesaggio industriale biellese nel Progetto di ricerca I-LAB,
infra; R. Lupu, Viaggio nell’attualità: il film di famiglia siciliano tra le di-
mensioni pubblica e privata, fisica e digitale, storica e creativa, infra.
20 DIEGO CAVALLOTTI, DENIS LOTTI, ANDREA MARIANI

riferimento. Da un lato, mira a interrogare la sostenibi-


lità materiale dell’archivio, l’impatto ambientale delle
celle refrigerate a igrometria controllata e dei workflow
di lavorazione, il loro consumo di energia e le condi-
zioni dell’accesso in presenza (dalla consultazione alla
creazione di programmi di visione collettiva), dall’al-
tro, consente di esaminare criticamente le scelte che,
fino a questo momento, sono apparse obbligate: fi-
nanziamenti ai piccoli archivi elargiti per “organizzare
eventi” a discapito del sostegno diretto ai processi di
conservazione passiva e attiva; ritmi di lavoro detta-
ti da progetti a scadenza a detrimento della stabilità
contrattuale degli operatori, all’interno di dinamiche
paradossali per cui si sceglie di precarizzare i contratti
di chi dovrebbe occuparsi della trasmissione del patri-
monio a lungo termine – un compito che, al contrario,
richiederebbe continuità; la preminenza accordata alla
produzione di copie d’accesso utilizzabili per le proie-
zioni a danno del sostegno economico alla catalogazio-
ne, senza la quale ci si trova di fronte a interi corpora
digitalizzati consultabili in maniera poco agevole.
Soprattutto quest’ultimo punto potrebbe avere un
impatto considerevole su una comunità di studi che,
in prospettiva, si ritroverebbe a “navigare” in un mare
più circoscritto di dati con il conforto di maggiori stru-
menti di orientamento. In altri termini, si privilege-
rebbe la qualità dell’esperienza di ricerca rispetto alla
quantità di documenti digitalizzati a disposizione. In
questo senso, la sostenibilità d’archivio diventerebbe
anche sostenibilità della ricerca e della sua progetta-
zione, perché consentirebbe di prendere in conside-
razione dati non più grezzi (per esempio, il documen-
to digitalizzato tout court) e di eliminare il “rumore”
dell’eccesso di informazione grazie alla guida di una
metadatazione e di una catalogazione profonde.
Ciò implicherebbe, tuttavia, un rallentamento
del ritmo lavorativo degli archivi e un abbassamen-
DALLA VAGA SUGGESTIONE AL REPERTO CENSITO 21

to della loro produttività, con conseguenze a cascata


sui finanziamenti e sulla possibilità di creare posti di
lavoro per figure specializzate. D’altra parte, i ritmi
tenuti fino a oggi sono insostenibili e il rallentamento
sarà fisiologico. La domanda a cui si dovrà rispondere
non sarà dunque “come tamponare il momento sfa-
vorevole e contribuire al nuovo ciclo di sovrapprodu-
zione?”, ma “come guidare gli archivi audiovisivi in
questa fase di cambiamento? Su chi si riverseranno i
suoi costi? Come ridistribuire e attenuare il suo im-
patto all’interno di un contesto sociale caratterizzato
dalla scarsità delle risorse?”.
Certamente il settore pubblico dovrà invertire la
rotta rispetto agli ultimi quarant’anni, assumendosi
con maggiore vigore la responsabilità della tutela del
patrimonio culturale (mediale-audiovisivo e non). È
ingenuo pensare, tuttavia, che lo stato o le regioni pos-
sano assolvere un simile compito in maniera capillare
ed esaustiva. Insomma, ci si dovrà collocare oltre la
dialettica pubblico-privato ritrovando una delle radici
fondamentali della preservazione dei beni culturali,
ossia il legame con le comunità che li hanno prodotti34:
solo nel momento in cui si riaffermerà la loro relazione
con il “comune”, inteso come quell’orizzonte in cui la
“moltitudine” mobilita linguaggi, affetti, energie, co-
noscenze e natura35, la cura che essi richiedono non
sarà volta né all’estrazione di valore né all’affermazione
di monolitiche identità nazionali. Al contrario, i beni e
i depositi che li ospitano parteciperanno a quel proces-
so – sempre marginale, sempre decentrato – in cui un
ampio concorso di forze, grazie a progetti grassroots
che prevedano il coinvolgimento diretto dei membri

34
Tra i saggi ospitati in questo volume, ciò appare evidente in G.
Santaera, San Berillo Web Serie Doc. Archivi, immagini e media digi-
tali per nuove pratiche comunitarie di ri-generazione memoriale, infra.
35
Cfr. T. Negri, M. Hardt, Comune. Oltre il privato, oltre il pubblico
(2009), Rizzoli, Milano 2010.
22 DIEGO CAVALLOTTI, DENIS LOTTI, ANDREA MARIANI

della comunità di riferimento36, costruirà nuove iden-


tità sociali e culturali a partire dalla ricombinazione
degli archivi lasciati da chi ci ha preceduto.

Altri orizzonti

La terza edizione rivista del volume canonico di


Giovanna Fossati sulla “vita archiviale del film” offre lo
spunto per un’ulteriore precisazione e un allargamento
del fronte problematico emerso dall’esposizione dei tre
paradigmi. Ne riprendiamo la lettura per cogliere e rilan-
ciare alcuni degli spunti programmatici – dunque solo in
parte sviluppati nel volume – che rappresentano, credia-
mo, gli orientamenti più originali per un’estensione del
dibattito su archivi e preservazione del film. La riflessio-
ne sulla sostenibilità deve tener conto di una premessa
fondamentale, ovvero che il consistente sforzo teorico
scaturito dal virtuoso incontro tra comunità accademica
e pratiche d’archivio, significativamente produttivo e di-
versificato negli ultimi vent’anni, ha interessato per lo più
archivi occidentali (diremmo europei e nord-americani,
con qualche eccezione). Giovanna Fossati apre dunque
al primo più consistente appello: espandere la ricerca “to
non-Western discourses, practices, and traditions”37.
Questo nuovo orizzonte di ricerca prende atto di
sperimentazioni ed esperienze già avviate e riconosciu-

36
A tal proposito, si vedano A. Cvetkovich, An Archive of Feel-
ings: Trauma, Sexuality and Lesbian Public Cultures, Duke University
Press, Durham-Londra 2003 (in particolare pp. 205-271); A. Dekker,
Networks of Care: Or How in the Future Museum Will No Longer Be
the Sole Caretakers of Art, in A. Maragiannis (a cura di), Proceedings
of DRHA2014: Digital Research in the Humanities and Arts Confer-
ence, ASCA – University of Greenwich, Londra 2015, pp. 81-85; R.
Sheffield, Community Archives, in H. MacNeil, T. Eastwood (a cura
di), Currents of Archival Thinking, Libraries Unlimited, Santa Barba-
ra-Denver 2017, pp. 351-376.
37
G. Fossati, op. cit., p. 15.
DALLA VAGA SUGGESTIONE AL REPERTO CENSITO 23

te in seno alla FIAF – che, non va dimenticato, nasce


da una coalizione di archivi europei e nord-americani.
È un’attenzione che possiamo rileggere in due direzio-
ni sostanziali: la prima legata a considerazioni di or-
dine geo-politico, la seconda legata alla condivisione
delle pratiche e alla collaborazione nell’elaborazione
di policies. Il tema è stato affrontato recentemente
nel panel “Geopolitical Considerations”, moderato
da Maral Mohsenin (Cinémathèque Suisse) durante
l’ultimo congresso FIAF di Losanna 2019, in cui si è
posta al centro la diversità socio-politica degli archivi
cinematografici. Al panel hanno preso parte il Central
State’s Film Archive of Albania, l’Azerbaijan State
Film Fund e la Cinematheque of North Macedonia (al
panel era atteso anche il National Film Archive of Iran,
che proprio per ragioni di stabilità geo-politica non ha
potuto prendere parte al congresso).
Nelle parole di Mohsenin, la questione della diver-
sità socio-politica degli archivi all’interno della FIAF
risale al 199538: il centenario del cinema da una parte,
l’approssimarsi del giro di millennio e del digital turn
dall’altra resero il congresso FIAF di quell’anno un
momento decisivo per guardarsi indietro (“Learning
from the history of FIAF” era uno dei temi portanti
dell’edizione) e per definire l’agenda del nuovo millen-
nio (questo includeva anche la ridefinizione dei criteri
di inclusione e accreditamento all’associazione).
La premessa è tanto ovvia quanto complessa: “[a]
rchives have different missions and identities – shaped
by their national-political frameworks as well as their
own histories and experiences”39. La constatazione è
tanto semplice quanto potenzialmente dirompente, ad

38
Cfr. M. Mohsenin, Maral Mohsenin’s Notes, FIAF Congress
2019, Cinémathèque Suisse, Losanna, note disponibili sul sito www.
fiafnet.org/pages/Events/2019-Lausanne-Symposium-Session5.html
(consultato il 10 luglio 2020).
39
Ibidem.
24 DIEGO CAVALLOTTI, DENIS LOTTI, ANDREA MARIANI

esempio nella direzione del definitivo superamento del


paradigma duale “Lindgren-Langlois”, nella convinzio-
ne che “not one strategy is the good one”40. “Apertura e
inclusione” significa innanzitutto considerare strategie
di collection building41 diversificate e commisurate alla
specificità nazionale. Due esempi: la fondazione nel
1995 del centro di conservazione e preservazione della
Cinémathèque Africaine de Ouagadougou in Burkina
Faso (affiliata FIAF dal 1994), il cui patrimonio nasce
dalla tradizione festivaliera decennale (partita nel 1969)
del Fespaco – Festival Panafricain du Cinéma et de La
Télévision de Ouagadougou42; il congresso FIAF di Ra-
bat nel 2001 presso la Cinémathèque Marocaine, dove
il tema geo-politico “Colonial Cinema: A Borrowed
Film Heritage” ha dominato l’edizione.
Ma la capacità di superare soluzioni univoche di-
venta anche (e soprattutto) un imperativo alla colla-
borazione e alla condivisione delle pratiche e delle
policies: da un simile punto di vista la strategia non
è quella “coloniale”, quanto piuttosto quella rela-
tiva allo sviluppo di potenti sinergie su multi-scale
(tra archivi grandi e piccoli) globali. E negli ultimi
vent’anni i riferimenti sono molti: si pensi al “The
Film Archives in Africa Project (2010-2015)”, volto
a ottenere “clearer information about the present
situation of archiving audio-visual heritage in the

40
Ibidem.
41
Significativamente a partire dal congresso FIAF del 2012, Paolo
Cherchi Usai, Jon Wengström e Elaine Burrows sono poi intervenuti in
un tentativo di ridefinire le policies delle collezioni: P. Cherchi Usai, J.
Wengström, E. Burrows, Suggested Template for a Collection Policy, in
“Journal of Film Preservation”, n. 91, ottobre 2014, pp. 9-11. Una sin-
tesi schematica è accessibile qui: www.fiafnet.org/pages/E-Resources/
Collection-Policy-Template.html (consultato il 10 luglio 2020).
42
Il festival riuscì a sopperire al radicale impoverimento delle
strutture cinematografiche del paese, divenendo per molti anni il più
importante intermediario della cultura cinematografica nel continente
africano per quanto concerne la circolazione dei film: fespaco.bf/pre-
sentation/ (consultato il 10 luglio 2020).
DALLA VAGA SUGGESTIONE AL REPERTO CENSITO 25

sub-Saharan part of Africa, and then to answer trai-


ning needs of archivists in archives with audio-visual
collections, and offer technical equipment whe-
re it was needed”43; o al progetto presentato dalla
Goethe-Universität di Francoforte e dal Deutsches
Filminstitut, relativo a una collaborazione – grazie
a un programma DAAD – con la National Film Cor-
poration of Nigeria per implementare un master di
preservazione sul modello tedesco del corso in “Film
Culture: Archiving, Programming, Presentation”,
diretto a Francoforte da Vinzenz Hediger e Sonia
Campanini44. In area sud-americana vanno ricordati
il programma di formazione tecnica “Escuela Sobre
Ruedas”, a integrazione delle summer schools della
FIAF, che ha interessato principalmente Argentina,
Brasile, Cile, Guatemala, Messico e Nicaragua, e la
fondazione del laboratorio di restauro digitale del
film nella rinnovata struttura della Cineteca del Mes-
sico (che subì un importante incendio nel 1982) sotto
la direzione di Paolo Tosini45 (già segretario del colle-
gium de Le giornate del cinema muto di Pordenone e
ora assistente del corso in “Conservazione e manage-
ment del patrimonio audiovisivo” del Centro Speri-
mentale di Cinematografia, sede di Lecce). Il mondo
asiatico ha visto invece una costante attenzione rivol-
ta al sub-continente indiano, con la collaborazione
della FIAF a workshops e summer schools in India,
43
www.fiafnet.org/pages/Training/About-Film-Archives-in-Afri-
ca.html (consultato il 10 luglio 2020). Su questo si veda anche A. Sa-
nogo, Africa in the World of Moving Image Archiving: Challenges and
Opportunities in the 21st Century, in “Journal of Film Preservation”,
n. 99, ottobre 2018, pp. 8-15.
44
Cfr. aktuelles.uni-frankfurt.de/englisch/film-degree-program-
me-to-be-exported-to-nigeria/ (consultato il 10 luglio 2020).
45
Esperienza confluita nella tesi di laurea in DAMS discussa
presso l’Università degli Studi di Udine. Cfr. P. Tosini, “¡Que viva
la restauracion!”. La creazione di un laboratorio di restauro digitale in
Messico, tesi di laurea, corso di laurea in DAMS, rel. Simone Venturi-
ni, Università degli Studi di Udine, Udine, a.a. 2019/2020.
26 DIEGO CAVALLOTTI, DENIS LOTTI, ANDREA MARIANI

ogni anno a partire dal 201546 (l’ultima edizione, a


Mumbai nel 2019, ospitava studenti provenienti da
India, Sri Lanka, Nepal e Bhutan)47.
Se nel 1995 la progressiva apertura agli archivi dei
paesi più piccoli e di quelli in via di sviluppo aveva
ricevuto impulso dalla rinnovata attenzione ai cosid-
detti “world cinemas”, un’attenzione favorita dallo svi-
luppo di nuove iniziative festivaliere e da prospettive
riguardanti dinamiche culturali transnazionali, oggi lo
scambio può favorire una nuova ossigenazione delle
pratiche, proprio in ragione delle sollecitazioni legate
al tema della sostenibilità dei processi e delle infra-
strutture della preservazione: la sinergia con il mondo
degli archivi non-occidentali non va dunque letta in
un senso unilaterale di trasmissione dei saperi e buone
pratiche, quanto in un senso di mutuo interesse a risco-
prire logiche di costituzione, organizzazione e gestione
delle collezioni, soluzioni a basso impatto ambientale,
o strategie di conversione tecnologica48.

Altri monumenti

Se da una parte l’ingresso di nuovi soggetti – non-we-


stern/small nations archives – può contribuire alla ride-
finizione delle pratiche e all’adeguamento di policies
d’archivio condivise, dall’altra il nuovo millennio e la
maturazione della complessa transizione impressa dal
digitale hanno progressivamente contribuito al conso-

46
Sull’importanza di quella prima esperienza si veda C. Blot-Wel-
lens, K. Webb, The Film Preservation and Restoration School India.
Mumbai, 22-28 February 2015, in “Journal of Film Preservation”, n.
93, ottobre 2015, pp. 29-32.
47
www.fiafnet.org/pages/Training/Past-Training-Outreach-Even-
ts.html (consultato il 10 luglio 2020).
48
Si veda ad esempio I. Wschebor, De cómo se re-convirtió un viejo
Telecine SD en un escáner cuadro a cuadro con resolución 2k o superior en
Uruguay, in “Journal of Film Preservation”, n. 97, ottobre 2017, p. 123.
DALLA VAGA SUGGESTIONE AL REPERTO CENSITO 27

lidamento di un nuovo fronte di sviluppo nel campo


discorsivo della preservazione del film: il cosiddetto
material turn. È ancora una volta Giovanna Fossati
a rimarcarne la centralità nel considerare la revisione
del suo testo. Provvisoriamente, si può considerare ciò
una sempre più strutturata reazione culturale al digi-
tal turn, “emphasizing the haptic interaction with the
material as opposed to the experience of the perceived
immateriality of digital access”49.
Una prima ragione della svolta materiale è però
implicita nei cambiamenti attraversati dai protocol-
li di preservazione: come ci ricorda anche Barbara
Flückiger, è il processo stesso del film transfer digitale,
nella fase dello scanning, a richiedere una compren-
sione sempre più profonda della base materiale del
film50 (una base da considerarsi plurale, composta da
un’ampia varietà di elementi)51. Questa prima prospet-
tiva sulla “materialità” del film – che beninteso non
è da intendersi come contrapposizione a una presun-
ta “immaterialità” del file digitale52 – ha implicazioni
trasversali che riguardano tanto le pratiche d’archivio
quanto l’epistemologia del cinema e la storiografia.
Flückiger insiste sullo scanning come fondamentale in-
terfaccia tra le materialità dell’analogico e del digitale:
nello scanning le dimensioni tecnologiche del coding,

49
G. Fossati, op. cit., p. 19.
50
Cfr. B. Flückiger, Material Properties of Historical Film in
the Digital Age, in “NECSUS”, autunno 2012, necsus-ejms.org/
material-properties-of-historical-film-in-the-digital-age/ (consulta-
to l’11 luglio 2020).
51
Su questo si veda anche la recente lecture della studiosa: B.
Flückiger, Film as a Material Object and the Digital Turn, Kracauer
Lectures in Film and Media Theory – Goethe-Universität, Francofor-
te sul Meno, 6 novembre 2019.
52
Cfr. G. Fossati, op. cit., p. 16. Su questo tema e per una po-
sizione più polemica rispetto alla pertinenza della nozione stessa di
“film” in era digitale si veda D. Streible, Moving Image History and
the F-Word; or, “Digital Film” is an Oxymoron, in “Film History: An
International Journal”, n. 25, 2013, pp. 227-235.
28 DIEGO CAVALLOTTI, DENIS LOTTI, ANDREA MARIANI

gli assemblaggi meccanici e i supporti ottici si com-


binano con le condizioni istituzionali ed economiche
che determinano l’implementazione delle pratiche e
l’innovazione tecnica. La base, o meglio, le basi ma-
teriali del film arrivano dunque a interessare la plura-
lità dei processi che ne legittimano la formazione in
campo economico, tecnologico, industriale e culturale
e progressivamente richiamano la necessità di una “ar-
cheologia del supporto” (da intendersi più come una
germinale “codicologia” del film)53 che possa aprirsi
a un’interdisciplinarietà avanzata nei campi delle hard
sciences, spaziando dalla digital media forensics alle
analisi fisico-chimiche della pellicola, come per esem-
pio il progetto “DIASTOR – ERC Advanced Grant
FilmColors” (diretto dalla stessa Flückiger) ha comin-
ciato a dimostrare54. Un passo ulteriore nella direzione
di quella “internal history of the copy” già teorizzata
da Cherchi Usai a inizio millennio55.
Tuttavia, il material turn apre a considerazioni che
eccedono il “film artifact per se”. A tornare sul punto è
ancora una volta Giovanna Fossati, rilanciando la rifles-
sione su un livello ulteriore rispetto alle categorie origi-
nariamente proposte nel suo testo (“Film as Original”,
“Film as Art”, “Film as Dispositif”, “Film as State of

53
È significativo che si sia giunti, quest’anno, a una ri-edizione cri-
tica del testo cardine di Harold Brown, Physical Characteristics of Early
Films as Aids to Identification (1990), FIAF, Bruxelles 2020 (ampliata a
cura di Camille Blot-Wellens). Si rimanda anche alle attività del recente
progetto della Philipps-Universität Marburg dedicato agli unidentified
films: DFG Network, “New Directions in Film Historiography: Digital
Tools and Methods in Film and Media Studies”, www.uni-marburg.de/
en/fb09/institutes/media-studies/research/research-projects/digitalfil-
mhistoriography/events (consultato il 11 luglio 2020).
54
Si rimanda al blog del progetto: blog.filmcolors.org (consultato
il 11 luglio 2020).
55
P. Cherchi Usai, Silent Cinema. An Introduction, BFI, Londra
2000, p. 147. Sulle implicazioni teoriche di questo punto si veda anche
J. Gaines, Pink-Slipped. What Happened to Women in the Silent Film
Industries?, University of Illinois Press, Urbana 2018, pp. 71-94.
DALLA VAGA SUGGESTIONE AL REPERTO CENSITO 29

the Art”… a cui si aggiunge nella nuova edizione “Film


as Performance”): introduce la distinzione superiore tra
documento, monumento ed evento56. La dialettica do-
cumento/monumento – che rimanda alla nouvelle hi-
stoire e ancor prima alla tradizione degli Annales57 – si
innerva nel dibattito storiografico post-Brighton 1978,
da cui Fossati fa discendere una prima distinzione tra
la sicura posizione critica della New Film History58 nei
confronti delle storie “monumentali” del cinema (così
inestricabilmente legate alle politiche dell’autore e del
canone e dunque, implicitamente, a una prospettiva/
soggettività dominante di “selezione”: “western-cen-
tered, author-centered, copyright-driven”59 a cui si ag-
giunge la prospettiva male-gendered) e la pratica degli
archivi, in cui pure la “monumentalità” del film ha con-
tinuato a costituire un campo magnetico determinante
per l’attrazione dei finanziamenti (la riconoscibilità del
“monumento” come strategia di marketing) e per l’ap-
proccio alle operazioni di restauro e preservazione, nel
solco della tradizione del restauro artistico.
Rinnovare la dialettica “monumento/documento”
significa allora non soltanto riconoscere i passi avanti
fatti negli ultimi vent’anni nel campo della preserva-
zione con l’apertura al cosiddetto cinema marginale60,
agli ephemeral films, alle cinematografie “negate”61, ai

56
Cfr. G. Fossati, op. cit., p. 332.
57
Cfr. J. Le Goff, Documento/Monumento, in Enciclopedia Einau-
di, a cura di R. Romano, vol. V, Einaudi, Torino 1978, pp. 38-43.
58
Cfr. T. Elsaesser, op. cit.
59
G. Fossati, op. cit., p. 333.
60
In particolare, riguardo a tali archivi si vedano i seguenti con-
tributi: S. Dotto, Commesse e viaggiatori. Tracce, tratte e traiettorie
del cinema “utile” nel secondo dopoguerra italiano, infra; G. Grasso,
Pratiche produttive e distributive del cinema scolastico nel secondo do-
poguerra italiano, infra.
61
Si pensi agli esiti del “Woman Film Pioneers Project” diret-
to da Jane Gaines a partire dal 1993: wfpp.columbia.edu/about/
(consultato il 11 luglio 2020). Su questo si veda anche J. Gaines,
op. cit. Per il caso italiano, il rimando è a S. Toffetti, Canone in-
30 DIEGO CAVALLOTTI, DENIS LOTTI, ANDREA MARIANI

supporti non-filmici, ma anche riconsiderare in un’ot-


tica più inclusiva politiche di collection building in
cui il documento possa esercitare una forza dialettica
nuova nell’orientare il campo della preservazione del
film. Occorre qui un breve excursus terminologico. La
nozione di “documento”, per come viene intesa da
Fossati, è invero più prossima alla concettualizzazione
del “record” proposta da Cornelia Vismann che non al
concetto di “documento” vero e proprio: la studiosa
tedesca infatti accorda a quest’ultimo – storicamente
inteso – proprietà “monumentali”, interessata come è
dal paradigma diplomatico (la disciplina dell’autentica-
zione, ovvero del riconoscimento della legge autoritaria
– l’istanza di potere – che ne informa il contenuto) e
dall’imperativo di preservazione della “legge” che vi è
sottesa62. Al contrario l’apertura “documentale” a cui
fa riferimento Fossati rimanda anche e soprattutto
all’universo dei non-film materials, ai dispositivi tecno-
logici63 e ai film-related objects, ossia agli ephemera64 (in-
tesi nell’ordine dei non-film materials, come emerge dal
saggio di Mariapia Comand e Martina Zanco), una clas-
se di elementi che non è interessata da problemi di au-
tenticazione – spesso vengono raccolti indistintamente
in generici bunch collections multi-specie o nelle cosid-
dette special collections – e che dunque non si conforma
al tema binario del “vero” e del “falso” – che pure è
ancora centrale per l’universo della preservazione.

verso. Su alcune riscoperte d’archivio, in P. Bianchi, G. Bursi, S.


Venturini (a cura di), The Film Canon/Il canone cinematografico,
Forum, Udine 2011, pp. 421-428.
62
Cfr. C. Vissman, Files: Law and Media Technology, Stanford
University Press, Stanford 2008, pp. 71-100.
63
Cfr. G. Fossati, A. van den Oever (a cura di), Exposing the Film
Apparatus: The Film Archive as a Research Laboratory, Amsterdam
University Press, Amsterdam 2016.
64
Cfr. M. Comand, M. Zanco, Scritture delle fan e testi terziari
all’ombra del fascismo, infra. E si veda anche il recente M. Comand,
A. Mariani (a cura di), Ephemera. Scrapbooks, fan mail e diari delle
spettatrici nell’Italia del regime, Marsilio, Venezia 2019.
DALLA VAGA SUGGESTIONE AL REPERTO CENSITO 31

L’archivio potrebbe aprirsi in questo senso a una


doppia sensibilità: da una parte la monumentaliz-
zazione di questa classe di elementi – normalmente
anonima e priva di un registro di autorità forte –, lo
sviluppo di policies di preservazione dedicate (con la
complessità gestionale che deriva dalla varietà dei ma-
teriali da preservare) e – sul piano storiografico – lo
sviluppo di sensibilità e protocolli di studio connessi a
culture e oggetti non esclusivamente cinematografici;
dall’altra65, un’attenzione sostanzialmente diversa da
quella preservativa, che si ponga nei confronti di que-
sti oggetti piuttosto come una working memory, dove
la rilevanza e l’importanza della collezione è legata a
esigenze di trasmissione di tracce film-related più che
alla vera preservazione delle stesse: in questo senso la
loro permanenza in archivio può anche essere limitata
nel tempo, legata a progetti particolari, finalizzata al
data-recovery e alla costituzione di thesauri.
L’ultima voce su cui si sofferma Giovanna Fossati
porta all’estremo queste valutazioni. L’“evento” ri-
sponde all’integrazione di un’ulteriore categoria epi-
stemologica nella nuova edizione del volume: film “as
performance”. La dimensione performativa può trova-
re accoglienza nel campo della preservazione del film
nella misura in cui l’ampliamento degli oggetti di inte-
resse riguarda anche le infrastrutture materiali e senso-
riali dell’evento filmico. In questo senso, vengono con-
siderati non solo il patrimonio dell’oggettistica legata
al cinema-going o alle fandom cultures (gli ephemera),
ma anche le condizioni fisiche, materiali e architetto-
niche dell’esperienza: si stanno elaborando iniziative
di ricreazione, attraverso modellazione 3D, di sale ci-
nematografiche del passato (intese come spazi e come
dispositivi) e forme di interrogazione delle dimensioni

65
Va sottolineato che, nella riflessione di Fossati, si tratta di una
questione di secondo piano.
32 DIEGO CAVALLOTTI, DENIS LOTTI, ANDREA MARIANI

multi-sensoriali dell’esperienza della sala66. La pro-


spettiva dell’evento apre anche alla possibilità di con-
siderare la materialità dell’esperienza cinematografica
nella sua natura variabile ed effimera, lontana dall’i-
stituzione della sala, tra pubs, gallerie, parchi tematici,
barche, aerei, ecc.67. Infine, aspetti della sensorialità68
– non oculocentrica – dell’esperienza cinematografica
stanno trovando misura e rilevanza scientifica attraver-
so protocolli di implementazione di tecnologie digitali
di metrics e big data analysis di materiale d’archivio69.
In questi nuovi contesti di ricerca, nuove forme
di storiografia cinematografica, pratiche d’archivio,
informatica e media forensics, pratiche artistiche e
data visualisation trovano una potente sinergia e
una mutua alimentazione che possono informare il
prossimo passo della ricerca sul patrimonio cinema-
tografico e la storia del cinema.
66
Si vedano ad esempio J. Noordegraaf, L. Opgenhaffen, N. Ba-
kker, Cinema Parisien 3D: 3D Visualisation as a Tool for the History
of Cinemagoing, in “Alphaville”, n. 3, 2016, pp. 45-61 o il progetto
“HEaD – Higher Education and Development” della Regione Au-
tonoma Friuli-Venezia Giulia sulla ricostruzione in realtà virtuale
del Cinema Odeon di Udine, diretto da Andrea Mariani in collabo-
razione con Eleonora Roaro: A. Mariani, E. Roaro, Un esperimento
in “Retro-Spectatorship”. Realtà virtuale e il patrimonio culturale e
architettonico delle sale cinematografiche nel caso del Cinema Odeon
di Udine, in M. Pretelli, I. Tolic, R. Tamborrino (a cura di), La città
globale. La condizione urbana come fenomeno pervasivo/The Glo-
bal City: The Urban Condition as a Pervasive Phenomenon, AISU
– Associazione Italiana di Storia Urbana, Bologna 2020 (in corso di
pubblicazione). Infine, si segnala il progetto “MISTI Global Seed
‘Sensing Dolce Vita’”, diretto da Andrea Mariani in collaborazione
con Urbonas Gediminas dell’MIT (Boston).
67
Cfr. M. Vélez-Serna, Ephemeral Cinema Spaces: Stories of Re-
invention, Resistance and Community, Amsterdam University Press,
Amsterdam 2020.
68
Si veda il progetto “The Sensory Moving Image Archive” diret-
to da Giovanna Fossati: sensorymovingimagearchive.humanities.uva.
nl (consultato il 11 luglio 2020).
69
Cfr. C.G. Olesen, Towards a “Humanistic Cinemetrics?”, in K.
van Es, M.T. Schäfer (a cura di), The Datafied Society: Studying Culture
Through Data, Amsterdam University Press, Amsterdam 2017, pp. 39-54.
DALLA VAGA SUGGESTIONE AL REPERTO CENSITO 33

Conclusioni

Il volume che presentiamo tenterà di rendere ade-


guatamente la complessità del quadro che abbiamo fin
qui solo abbozzato. Come il lettore avrà potuto nota-
re, si tratta di uno spazio epistemologico assai vasto,
in cui ai tradizionali (ma non per questo meno validi)
interrogativi sul rapporto tra archivi e storia – si pensi
ai saggi di Giaime Alonge sulla ricerca riguardante gli
avantesti (in particolare, le sceneggiature) negli archi-
vi, di Gabriele Rigola sui fondi archivistici personali,
i carteggi e la ricostruzione della storia produttiva dei
film, di Clizia Centorrino sul confronto “archiviale”
tra due registi come Fellini e Resnais, di Marco Zilioli
sullo studio della cultura cinematografica nelle riviste
comuniste, di Stefania Carpiceci sugli archivi dell’emi-
grazione e di Gabriele Landrini sui cineromanzi70 – si
associano elaborazioni riguardanti i lati più tecnici del-
le lavorazioni d’archivio – rimandiamo, come esempio,
ai modi per “inventariare” il soggetto produttore nel
saggio di Barbara Corsi e Sara Verrini o al tema della
potenzialità della ricerca 2.0 per l’indagine del cinema
italiano in quello di Silvio Alovisio e di Luca Mazzei71.
Oltre a simili elementi, il nostro libro suggerisce
anche una doppia linea di ricerca che ruota attorno
al concetto di mappatura e che attraversa le diverse
sezioni del volume. In primo luogo, vi è la mappatura
dei luoghi fisici: a tal proposito, emergono le già citate
Catanese e Parolo e i contributi di Simona Casona-
to, dedicato al Museo Nazionale Scienza e Tecnolo-

70
Cfr. G. Alonge, La sceneggiatura e l’archivio. Considerazioni sullo
studio della scrittura per il cinema, infra, pp.; G. Rigola, I fondi archivisti-
ci personali, la corrispondenza e la ricerca sul cinema. Il caso del carteggio
tra Elio Petri e Leonardo Sciascia, infra; M. Zilioli, Per uno studio del
cinema nella stampa comunista. I luoghi della cultura rossa in Italia, infra.
71
Cfr. B. Corsi, S. Verrini, Inventariare il soggetto produttore, infra;
S. Alovisio, L. Mazzei, There’s no archive like home? Realtà, miti e
potenzialità della ricerca 2.0 sul cinema italiano, infra.
34 DIEGO CAVALLOTTI, DENIS LOTTI, ANDREA MARIANI

gia Leonardo da Vinci di Milano, di Marco Grifo e


Fabio Pezzetti Tonion sulla Bibliomediateca “Mario
Gromo” del Museo Nazionale del Cinema e di Paolo
Villa sull’Archivio Zucchelli di Bergamo72. In secondo
luogo, mappatura e archivio coincidono: quest’ultimo
diviene una cartografia, un deposito attivo o un gene-
ratore algoritmico che consente e favorisce il nostro
orientamento nel mondo delle immagini in movimento
– gli esempi più rilevanti fanno capo ai saggi di Anna
Masecchia, Lorenzo Marmo e Lorenzo Denicolai, ma
comprendono anche i contributi di Samuel Antichi,
Valeria Mancinelli e Chiara Dionisi73.
Se si confrontano questi saggi con quelli già men-
zionati, ci si accorge che le cinque sezioni che com-
pongono il volume, ossia “Rinnovare l’archivio, rinno-
vare la storia”, “L’archivio come istituzione, l’archivio
e le istituzioni”, “Nuovi modelli storiografici, nuovi
oggetti d’archivio”, “Archivi e nuovi media” e “Ar-
chivi e produzione non-theatrical”, sono in realtà as-
sai porose e che i contributi dialogano tra loro dando

72
Cfr. S. Casonato, Audiovisivi nei musei tecnico-scientifici. Cre-
are l’archivio al Museo Nazionale Scienza e Tecnologia Leonardo da
Vinci di Milano; M. Grifo, F. Pezzetti Tonion, Territori di transito. La
Bibliomediateca “Mario Gromo” del Museo Nazionale del Cinema:
problematiche di migrazione e conservazione del patrimonio digi-
talizzato, infra; P. Villa, L’autore, la città, il museo. Percorsi di lettura
dell’Archivio Zucchelli di Bergamo tra eredità storica e valorizzazione
contemporanea, infra.
73
Cfr. A. Masecchia, Sistema Varda: collezionare e archiviare im-
magini, infra; L. Marmo, L’archivio e la mappa. Riflessione sulle pra-
tiche della “topo-cinefilia”, infra; L. Denicolai, “Archivio YouTube”.
L’ambiente di video-sharing come ipotetico generatore di regolarità
enunciative, infra; S. Antichi, The second life of images. Nuove forme
di riscrittura storica in Free Fall di Péter Forgács, infra; S. Carpiceci,
Scrivere dell’emigrazione italiana con film, canti e repertori d’Archi-
vio, infra; C. Centorrino, La costruzione degli archivi Alain Resnais,
infra; C. Dionisi, L’animismo e le storie del cinema: genesi di un topos
storiografico, infra; G. Landrini, Archivi cinematografici e paratesti
cartacei. Il cineromanzo tra conservazione e indicizzazione, infra; V.
Mancinelli, L’archivio tra amnesia e memoria nell’opera di Lamia Jo-
reige e Rania Stephan, infra.
DALLA VAGA SUGGESTIONE AL REPERTO CENSITO 35

vita a inaspettate relazioni. D’altra parte, se la teoria


dell’archivio appare già da tempo il punto di incontro
di diverse tensioni afferenti al modo in cui, come sug-
gerisce Carolyn Steedman, scriviamo la storia a partire
dalla materialità dei reperti74, le riflessioni sui depositi
audiovisivi non si possono sottrarre alle continue ri-
configurazioni che discipline giovani come la storia del
cinema e la storia dei media impongono a ritmi sempre
più serrati. Soprattutto in un momento di transizione
assai delicato come quello in cui stiamo vivendo.
L’unica cosa di cui siamo sicuri è questa: gli archivi
che frequenteremo e le storie che scriveremo nei pros-
simi mesi (o, forse, anni) sapranno adattarsi alle nuove
condizioni in cui ci troveremo a lavorare, indicando
modi diversi di prendere parte a quelle scommesse nei
confronti del futuro che le occorrenze d’archivio – e gli
archivi stessi – incarnano.

74
Cfr. C. Steedman, op. cit., pp. 17-37, 157-170.
Plexus. Archeologie, archivi e storie dei media

1. Giuseppe Fidotta e Andrea Mariani (a cura di), Archeologia dei


media. Temporalità, materia, tecnologia
2. Pietro Montani, Dario Cecchi e Martino Feyles (a cura di), Am-
bienti mediali
3. Diego Cavallotti, Cultura video. Le riviste specializzate in Italia
(1970-1995)
4. Simone Dotto, Voci d’archivio. Fonografia e culture dell’ascolto
nell’Italia tra le due guerre
Finito di stampare
nel mese di gennaio 2021
da Print on Web Srl – Isola del Liri (FR)

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