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UN MONDO DI PLASTICA

La plastica è stata creata dall’uomo più di cento anni fa: nel 1907 il chimico belga
Baekeland ha ottenuto un nuovo materiale sintetico che ha chiamato “bachelite”.
Nel 1910 diede inizio lui stesso alla produzione industriale. Nel 1920 nacque la
“fòrmica”, molto usata nelle cucine. Poi arrivarono il polistirolo, il polietilene, il
nylon, il rayon, il cellophane, il plexiglass, il pvc. Oggi viviamo circondati da oggetti
di plastica e dobbiamo molto a questo materiale dalle caratteristiche particolari, ma
in cento anni di storia non abbiamo ancora imparato a controllarla: solo 10% viene
riciclato e il resto spesso finisce ad inquinare l’ambiente. Ne è un esempio il Pacific
Trash Vortex.

COS’E’ LA PLASTICA? LA CHIMICA E LE SUE CARATTERISTICHE


Sono detti materie plastiche tutti quei materiali artificiali, ottenuti dalla lavorazione del petrolio, con una struttura
macromolecolare tale da subire, determinate condizioni di temperatura e precisione, cambiamenti permanenti di forma.
Chimicamente, le materie plastiche sono in genere il risultato della polimerizzazione di una quantità di molecole base per
formare catene anche molto lunghe.
La cosiddetta plastica può essere classificata in materiali termoplastici, termoindurenti ed elastomeri.

Le termoplastiche hanno la caratteristica di acquistare malleabilità, ossia di ammorbidirsi con il calore, e tornare ad essere
rigidi una volta finiti gli oggetti.

Le termoindurenti hanno la caratteristica di ammorbidire per effetto combinato di calore e pressione, per essere
successivamente modellati, ma induriscono per reticolazione tridimensionale e sono quindi molto più complessi, tanto da
non essere riciclabili. (questi materiali se vengono riscaldati dopo l’indurimento non tornano più ad ammorbidirsi, ma si
decompongono carbonizzandosi).

Gli elastomeri hanno la caratteristica principale di avere una grande deformità ed elasticità e possono essere sia
termoplastici che termoindurenti.

Esistono tuttavia impianti che permettono di separare automaticamente le varie tipologie di plastiche in tempi rapidi e
quindi economicamente vantaggiosi, e che sono già stati adottati in diversi paesi che opera in più stadi separando le diverse
tipologie di materiale plastiche per densità che agiscono differentemente sui diversi tipi di plastiche attraverso il
galleggiamento o l’affondamento.

PACIFIC TRASH VORTEX

Quello che vediamo sulle spiagge è solo un piccolo spiraglio nel grande problema della plastica in mare. La
plastica nell’oceano, infatti, tende ad accumularsi in quelle aree di mare dove i venti e le correnti sono
deboli.
Si chiama Pacific Trash Vortex, ma anche “vortice di plastica”, “pattumiera asiatica” e “isola di plastica”.
Ha un diametro di 2500 chilometri ed è profondo 30 metri. Il suo peso ha raggiunto 3,5 milioni di
tonnellate. E’ come se fosse un’immensa isola composta da spazzatura anziché di rocce.
Questa discarica si è formata a partire dagli anni 50, nel nord dell’Oceano Pacifico. Le correnti circolari
provocate dalla North Pacific Subtropical Gyre coprono un’ampia area, all’interno della quale l’acqua
ruota lentamente in senso orario, avvolgendosi in una lenta spirale. Qui i venti sono deboli e correnti
tendono a sospingere qualsiasi materiale galleggiante verso il centro del vortice.
In questa area sono presenti poche spiagge, è così i rifiuti stazionano al centro della spirale con una tale
concentrazione che ci sono 6 kg di plastica per ogni chilo di plankton: un’area estesa quanto il Texas che
ruota lentamente su sé stessa. In realtà, il “continente di plastica” non è tutt’uno: c’è una massa orientale, a
sud-ovest del Giappone e una occidentale, a nord-ovest delle Hawaii. IL vortice del Pacifico del Nord è solo
uno dei cinque maggiori vortici oceanici, ed è possibile che questo problema sia quindi presente anche in
altre zone. Il Mar dei Sargassi, nell’Atlantico, è famoso per le sue correnti blande e alcune ricerche hanno
evidenziato un’altra concentrazione di particelle di plastiche nell’acqua.

Lo scienziato Marcus Eriksen, dell Algalita Marine Research Foundation, spiega: << L’idea primaria che
la gente si era fatta consisteva in una specie di isola di plastica su cui si poteva perfino camminare. Non è
esattamente così. In realtà è quasi come una zuppa di plastica. Probabilmente si tratta di un’area grande
quasi due volte gli Stati Uniti continentali>>.

Per la mancanza di vita questa superficie oceanica è pochissimo frequentata da pescherecci e assai
raramente è attraversata anche da altre imbarcazioni. Ed è per questo che è poco conosciuta ai più. La
maggior parte di questa plastica anziché biodegradarsi si “fotodegrada”, disintegrandosi in pezzi sempre
più piccoli, fino alle dimensioni dei polimeri che la compongono la cui ulteriore biodegradazione della
plastica può produrre inoltre inquinamento da PCBs.
Il galleggiamento di tali particelle che apparentemente assomigliano a zooplancton, inganna spesso animali
marini che si cibano, causandone l’introduzione dei polimeri nella catena alimentare e portando gli animali
stessi alla morte.
L’entanglement non sempre causa la morte dell’animale, infatti spesso ne limita la crescita o provoca
l’amputazione di un arto o ancora blocca la circolazione di una parte del corpo se l’animale rimane
intrappolato. Spesso capita anche che gli uccelli marini raccolgono la spazzatura marina come i pezzi di
sacchi di plastica per costruire il loro nido: questo comporta un rischio di entanglement sia per gli adulti
che per le la prole di alcuni uccelli.

Uno studio del 1991 ha trovato che il 97% di tutti nidi di Ganneti in Terranova avevano della plastica
incorporata.

Quello che ad un primo sguardo potrebbe sembrare un mosaico è il contenuto estratto dallo stomaco di un
albatros. Questa foto è stata scattata da Rebecca Hosking.

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