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Al canto XVII del Purgatorio Silvio Pasquazi ha dedicato una ‘lectura’ per molti
versi espressiva del suo amore prolungato per il ‘volume’ e il suo Autore, ma anche
esemplificativa del suo metodo esegetico e della sua tensione euristica. O, come altri
affettuosamente e nitidamente hanno già rilevato, della sua ‘avventura anagogica’ di
grande dantista1.
Ciononostante, il canto non è riuscito finora a scrollarsi di dosso una sorta di
malintesa marginalità estetica, per dir così - appunto, superficialmente - perché privo
di prosopopee rilevabili e rilevanti. Un canto brutto, insomma, senza poesia. Ne è
valsa l’ormai affermata revisione del paradigma di ‘poesia e struttura’ (dal grande
Croce sobriamente asserito, da vari epigoni più piccoli espanso a norma
incontrovertibile per tutta la prima metà del Novecento) che avrebbe potuto già per
tempo restituire il canto a una più giustificata valutazione e a una più promettente
valorizzazione2.
Se, come dice Freccero, il nesso più appropriato per la Commedia sembra essere
quello tra ‘poetica’ e ‘tematica’, allora si può ri-partire dalla configurazione
strutturale del canto XVII del Purgatorio, dalla sua posizione nel “poema sacro”, per
attingere nuove e davvero impensate aggiunte di senso3.
Occorre, in tale direzione, riguadagnare il meglio di una dantologia tardottocentesca e
primonovecentesca, a torto isolata come inutilizzabile erudizione positivistica o,
peggio, arbitraria teorizzazione magico-misterica. Pur con tutti gli eccessi esibiti e
1
Cfr., passim, i presenti Atti. Di SILVIO PASQUAZI si segnalano il volume All'eterno dal tempo.
Studi danteschi (Firenze 1966; seconda edizione accresciuta, ibid. 1972 e terza edizione Roma,
Bulzoni, 1985) così come Il Canto dell'avventura anagogica «L'Alighieri» XIII (1972); gli
Aggiornamenti di critica dantesca, Firenze, Le Monnier 1972 e, in particolare, la ‘lectura’ di
Purgatorio XVII «Nuove letture II», IV, Roma 1970, pp. 221-250. Cfr., inoltre, ID., Dante e altri
studi di letteratura italiana, a cura di Gianni Oliva e Giancarlo Rati,
Roma, Bulzoni 1992.
2
BENEDETTO CROCE, La poesia di Dante, Bari 1921.
3
JOHN FRECCERO, Dante. La poetica della conversione, introduzione e traduzione a c. di C.
Calenda, Bologna, il Mulino, 1989, p. 192.
riscontrati, si possono riprendere oggi con più sereno vaglio storico-ermeneutico le
illuminazioni pascoliane a ciò che si cela ‘sotto ‘l velame’ (non escluse perfino le
estensioni argomentative di Pietrobono e Valli), come premessa funzionale e
cooperante all’intelligenza più complessiva e comprensiva del canto (più) ‘centrale’
della Commedia4.
Si deve a Charles Southward Singleton l’autorevole riabilitazione dell’approccio
numerologico alla Commedia, inteso non come mera tecnologia strutturale ma
ricompresa nel più generale disegno esegetico e ermeneutico proprio del dantista
nordamericano. Del resto, per Singleton, andare verso l’opera significa fare
l’esperienza nuova e inattesa di una scoperta, dichiarata quasi con candore: “Non so
perché tutto questo non l’abbiamo mai visto prima” e, a proposito dell’osservazione
numerologica sui canti centrali della Commedia, su cui si basa l’intero saggio Il
numero del poeta al centro, il critico invita a non avere troppi rimpianti retrospettivi
di tipo filologico o storiografico sulla trascorsa incomprensione: “[…] l’importante è
che la vediamo ora”5.
Ma la centralità del canto XVII del Purgatorio acquista significato molteplice se,
partendo dal dato numerologico che esalta al massimo il valore numerico, si traggono
tutte le conseguenti inferenze. E, appunto come si è già accennato, con qualche
sorpresa euristica.
4
Opere dantesche di GIOVANNI PASCOLI: Minerva oscura. Prolegomeni: la costruzione morale
del poema di D., Livorno 1898; Sotto il velame. Abbozzo di una storia della D.C., Messina 1900;
La mirabile visione, ibid. 1902; Conferenze e studi danteschi, a cura di Maria Pascoli, Bologna
1914; Scritti danteschi, a c. di A. Vicinelli, vol. II delle Prose, Milano 1952 L. VALLI, L'allegoria
di D. secondo G.P., ibid. 1922; ID., Dante nella poesia di Giovanni Pascoli, nel volume
miscellaneo Studi pascoliani, ibid. 1929, 15-34; ID., «Giornale dantesco» XXV (1922) 11, in part.
pp.158-159; L.PIETROBONO, Per l'allegoria di Giovanni Pascoli, «Giornale dantesco» XXI
(1913) e ID., « La Tribuna Illustrata » 20 giugno 1900.
5
CHARLES S. SINGLETON, La poesia della Divina Commedia, Bologna, Il Mulino, 1978,p. 454
(ma, prima, ID., The Poet’s number at the Center , «Modern Language Notes», LXXXV, 1965, pp.
1-10). Ma, sulla numerologia dantesca cfr., ancora utilmente, GIAN ROBERTO SAROLLI, s.v.
Numero «Enciclopedia Dantesca», vol. II, Roma 1973, pp. 87-96 e MANFRED HARDT, I numeri
nella poetica di Dante «Studi danteschi», LXI, 1989, pp. 1-27. Sula più complessiva disamina della
critica dantesca nordamericana, singletoniana e non, si veda, in particolare, TEODOLINDA
BAROLINI, The Undivine Comedy: Detheologizing Dante, Princeton, Princeton University Press
1992 e, ancora utilmente, forse, RINO CAPUTO, Il pane orzato. Saggi di lettura intorno all’opera
di Dante Alighieri, Roma, Euroma 2003.
È stato notato più volte, nella pregressa pluriennale esegesi, che la tematica
presentata dal pellegrino poeta nel corso di Pg 17 giunge al culmine di
un’argomentazione rilevante esposta nel canto precedente e foriera di esiti altrettanto
decisivi nel prosieguo del cammino. Insomma, sembra confermata l’impressione
pressoché visiva di Singleton che pone Pg 17 al centro di una serie di canne
d’organo, per così dire, simmetriche e corrispondenti (i canti 14-16 e 18-20, nella
loro realtà quantitativa e qualitativa). Ma il centro è altresì compiutamente tematico
sia perché, a stretto ridosso, nel canto sedicesimo, Marco Lombardo svolge la
trattazione esplicita e definitiva della libertà umana come libero arbitrio debitamente
santo e santificante, sia perché la cornice e la relativa ‘beatitudine’ sembrano
incastonate per esaltare il polisenso del dettato evangelico così come delle inferenze
dello ‘scriba dei’. Se, come osserva Mercuri, il vero e proprio Purgatorio, come
omologo simmetrico della concavità infernale, è quello delle cornici e dell’angelo che
allevia i segni (le insegne) dei peccati capitali dalla fronte del peccatore viandante,
allora la cornice rappresentata e narrata in Pg 17 e la sua beatitudine hanno bisogno
non solo della costatazione della loro centralità ma anche di una più efficace e, forse,
più audace, interpretazione6.
Il ritmo ascensionale dell’alleggerimento dei gravami del pellegrino è associato a ben
determinate ‘beatitudini’ che, per Dante narratore teologicamente attrezzato, ben si
adattano ai corrispondenti peccati che si purgano nelle varie cornici. E, così, allora,
agostinianamente e, insieme tomisticamente, realizzando una sintesi forse
imprevedibile, il timore di Dio, in Pg XII, 110, riguarda la beatitudine dei “poveri di
spirito"; il senno “ i misericordiosi" (Pg. XV, 38), nel collegamento della pietà con “i
miti”; la scienza “quelli che piangono" (Pg. XIX, 50), la fortezza "quelli che hanno
6
Cfr. ROBERTO MERCURI, «Comedìa» di Dante Alighieri, «Letteratura Italiana Einaudi. Le
Opere», a cura di A.Asor Rosa, Torino Einaudi, 1992, pp. 9-14, in part. p. 12, con registrazione in
nota (p. 9) di ulteriori riscontri di contributi relativi alla questione numerologica testé trattata.
fame e sete di giustizia" (Pg. XXIV, 154; XXII, 6), l'intelletto i "puri di cuore (Pg.
XXVII, 8), e infine, ma con pregnante inserzione tra le une e le altre, la saggezza i
"pacifici" (Pg. XVII, 68-69)7 .
I versi centrali del canto centrale della Commedia posso essere considerati, quindi:
(vv. 64-75)
Ora, al centro del centro del canto, della cantica e della Commedia, Dante pone i
pacifici ovvero, come può precisare una buona traduzione dal latino, fedelmente
rispettosa del termine composto, i ‘costruttori della pace’, i realizzatori di una
dimensione, la pace, che sembra costituire agli occhi del poeta una condizione
importante e preliminare, per così dire, a molti esiti.
Già nella Monarchia è possibile riscontrare una esplicita caratterizzazione della pace
come qualità propria del genere umano. E con significativa allusione alla tematica
introdotta, dispiegata e esaltata dal canto ‘centrale’ del poema:
7
Cfr. A.M. CHIAVACCI LEONARDI, Le beatitudini e la struttura poetica del Purgatorio,
«Giornale storico della letteratura italiana » 1984, in part. pp. 7 e 9.
Et quia quemadmodum est in parte sic est in toto, et in homine particulari contingit
quod sedendo et quiescendo prudentia et sapientia ipse perficitur, patet quod genus
humanum in quiete sive tranquillitate pacis ad proprium suum opus, quod fere
divinum est iuxta illud “minuisti eum paulo minus ab angelis”, liberrime atque
facillime se habet (Mon. I, iv, 2)
Appare quindi molto più perspicuo l’accostamento delle tematiche embricate nei
canti contigui: il libero arbitrio è la dimensione precipua dell’uomo in società che
vuol essere (buon) cristiano. Ma per essere (buon) cristiano occorre che ogni
appartenente al genere umano viva in operosa pace. La pace in terra tra gli uomini di
buona volontà, tra gli uomini, cioè, che conducono a buon fine il loro libero arbitrio,
è la condizione preliminare, ma Dante sembra ritenerla ineludibile, per meritare la
vita eterna. Il cammino salvifico del pellegrino poeta acquista, una volta di più, ma in
modo, ora, ‘anagogicamente’ significativo, il suo senso più compiuto.
La perfetta centralità strutturale del canto XVII del Purgatorio è perciò funzionale
alla perfezionata ‘tematica’ del poema e non esclude, proprio per la sua intensità
espressiva, perfino momenti emozionali elevati e pressoché inediti di quella che, per
altri versi, è definibile come ‘poesia’. Si pensi al bellissimo attacco del canto, alla
delineazione di un’atmosfera letteralmente fisica e allegoricamente spirituale che,
attraverso un inaspettato ‘invito al lettore’, si fa preparazione di un dichiarazione di
poetica necessaria per dispiegare tutte le inferenze degli argomenti che si stanno per
proferire:
Ricorditi, lettor, se mai ne l'alpe
ti colse nebbia per la qual vedessi
non altrimenti che per pelle talpe,
e fia la tua imagine leggera
in giugnere a veder com'io rividi
lo sole in pria, che già nel corcar era.
Sì, pareggiando i miei co' passi fidi
del mio maestro, usci' fuor di tal nube
ai raggi morti già ne' bassi lidi.
O imaginativa che ne rube
talvolta sì di fuor, ch'om non s'accorge
perché dintorno suonin mille tube,
Il movimento del “lume” permette la circolazione della volontà divina. È in tal senso
che il centro e il cerchio del mondo (e di quel libro che, come la Bibbia, è specchio
del mondo, il “poema sacro”) si armonizzano. Il centro raccoglie il cerchio e il
cerchio di-spiega il centro, come sarà chiarito in appresso:
Dal centro al cerchio, e sì dal cerchio al centro
movesi l’acqua in un ritondo vaso,
secondo ch’è percosso fuori o dentro. (Pd
XIV, vv. 1-3)
8
ERICH AUERBACH, Studi su Dante, prefazione di Dante Della Terza, Milano, Feltrinelli 1988;
CH.S.SINGLETON, La visuale retrospettiva «Atti del Congresso internazionale di Studi
danteschi», Firenze, Sansoni 1965, pp. 279-304, poi in ID., La poesia della Divina Commedia, cit.,
pp. 463-494.
Resta, se dividendo bene stimo,
che 'l mal che s'ama è del prossimo; ed esso
amor nasce in tre modi in vostro limo.
È nella pace che tutto in terra si riassume, si comprende e si attua. Senza la pace
interiore e esteriore, individuale e sociale, non c’è vita.
Come (ci) ricorda un allievo, spesso involontario - ma acutissimo - di Dante, con
accenti troppo ingiustamente definiti retorici, ma a preziosa conferma di una
Weltanschauung che, in varie guise, attende ancora - e soprattutto - oggi, di essere
realizzata : “I’ vo gridando: “Pace, pace, pace”9.
C XI rime in ende
Beati pacifici
Amore
Imaginativa fantasmi e petrarca
Accidia e tedium e vo gridando pace pace pace…
9
Cfr. FRANCESCO PETRARCA, Rerum Vulgarium Fragmenta CXXVIII, 122.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
Beati i perseguitati a causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.
di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la
.È noto che, ogni volta che il pellegrino sta per lasciare una cornice, l'angelo
guardiano della cornice intona una particolare "beatitudine". Per la precisione, al
passaggio di Dante risuonano sei beatitudini evangeliche: non vengono infatti
nominate né l'ottava, tradizionalmente considerata come implicita nelle precedenti
(ST I-II.69.3), né la seconda ("Beati i miti"), associata da S. Agostino, nel commento
al "discorso della montagna" (DM I.55), a "Beati i misericordiosi"; invece la quarta
("Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia") viene pronunciata, divisa in due
parti, dall'angelo del quinto girone e da quello del sesto girone. Come sostiene con
vigore A.M. Chiavacci Leonardi, la presenza delle beatitudini non può essere ritenuta
un mero "abbellimento": le beatitudini pronunciate nel discorso della montagna
costituiscono "il manifesto, se così si può dire, del mondo cristiano di fronte
all'antico", per cui "sono la vera ossatura portante del secondo regno dantesco" ("Le
beatitudini e la struttura poetica del Purgatorio", Giornale storico della letteratura
italiana, 1984, pp. 7, 9). Nel discorso della montagna è riassunta -- come spesso
affermano S. Agostino e S. Tommaso -- la Legge Nuova, la legge dell'Amore, la
quale viene realizzata grazie all'ascesa del Purgatorio. Muovendosi sulle tracce di E.
Moore (Studies in Dante, Oxford, Clarendon Press, II, 1899, pp. 152-208; 246-68), la
studiosa individua quali probabili fonti dantesche due opere rispettivamente di Ugo e
Riccardo di S. Vittore, teologi del sec. XII. In tali opere si notano alcuni notevoli
riscontri con il testo dantesco, tuttavia ci pare più utile risalire direttamente a S.
Agostino, il cui approccio fu poi ripreso e rielaborato da S. Tommaso.Bisogna subito
porre in evidenza il fatto che Agostino in più luoghi connette le beatitudini ai doni
dello Spirito Santo, i quali, nell'ordine "ascendente" da lui adottato, sono: timore di
Dio, pietà, scienza, fortezza, consiglio, intelletto e saggezza. Il collegamento fra doni
e beatitudini, spiegato dettagliatamente in DM I.11, si articola nel modo seguente: il
timore di Dio è associato a "Beati i poveri di spirito" (cfr. Purg. XII.110), la pietà a
"Beati i miti", la scienza a "Beati quelli che piangono" (cfr. Purg. XIX.50), la
fortezza a "Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia" (cfr. Purg. XXIV.154;
XXII.6), il consiglio a "Beati i misericordiosi" (cfr. Purg. XV.38), l'intelletto a "Beati
i puri di cuore (cfr. Purg. XXVII.8), ed infine la saggezza a "Beati i pacifici" (cfr.
Purg. XVII.68-69).