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CITTADINANZA LATINA, IL RUOLO DELLE DONNA A ROMA

-le diverse condizioni dell’essere donna


Non è facile ricostruire la condizione della donna nell’antica Roma, in quanto le varie fonti che ci
giungono provengono da opere d’arte realizzate da uomini, o comunque da punti di vista maschili.
Non si può però generalizzare riguardo alla condizione della donna, perché i suoi diritti e doveri
cambiano da una donna schiava, spesso avviata alla prostituzione dall’età della pubertà se non prima
ad una libera, da una straniera, anche se la civiltà romana era abbastanza tollerante verso gli
stranieri, ad una donna libera, per la quale la situazione cambiava anche in base all’età, in base al
fatto che fosse una PUELLA(fino a 12-13 anni), VIRGO( da 13 fino all’età del matrimonio, che
generalmente era intorno ai 18, se non prima), la MATRONA(la donna sposata con figli), e la VIDUA,
che godeva di una situazione privilegiata, potendo disporre dei propri averi.
La donna romana però godeva di una posizione migliore rispetto a quella greca. La donna Ateniese
del V-IV secolo era considerata come una proprietà dell’uomo o del marito, e viveva segregata in
casa, potendo uscire solo per cerimonie religiose, le era severamente vietato partecipare ai
banchetti, neppure se si svolgevano nella sua casa.
Lo status della donna libera romana era di gran lunga migliore, infatti dopo le nozze ella poteva
andare a trovare le amiche, a fare la spesa… le era anche consentito partecipare con il marito a
ricevimenti ed a banchetti, anche se però non poteva bere vino e doveva allontanarsi nel momento
della COMISSATIO, cioè il brindisi; la donna romana aveva anche un trattamento politico ed
economico migliore, in quanto poteva mantenere la proprietà sulla sua dote. queste condizioni non
erano però sufficienti, basti pensare che il pater familias aveva il diritto di uccidere l’adultera o i due
amanti se colti sul fatto.
Possiamo comunque vedere che la condizione della donna romana è assai differente da quella che
noi consideriamo accettabile, ma rappresentava una conquista rispetto alle condizioni a cui erano
soggette nelle altre società.
La disparità tra uomo e donna era estremamente evidente anche nelle condizioni di vedovanza, la
vedova infatti era obbligata a rimanere comunque fedele al marito defunto, mentre il vedovo, se in
età giovane aveva l’obbligo morale di risposarsi per mandare avanti la gens

-​le donne nella commedia letteraria


Un esempio concreto di questa inferiorità della donna è visibile nella commedia latina arcaica.
Di NEVIO è nota l’opera TARENTILLA, dove viene rappresentata una ragazza che riesce a fare
innamorare due ragazzi ed i rispettivi padri intervenuti per riportare i figli sulla retta via; quì la donna
è vista come il veicolo privilegiato dell’EROS, e questo produce caos e disordine nella vita umana,
creando situazioni sia tragiche che comiche.
Ennio darà lo spunto ad altri scrittori posteriori, come Plauto, nelle cui opere appaiono diverse figure
femminili, e tutte soggette ad una visione prettamente maschilista, la donna infatti risulta solo come
un bene conteso tra diversi pretendenti, perdendo così la sua identità. E in un posizione di
subordinazione, anche se a volte è lei che muove la scena
Le donne nelle commedie plautine appaiono di diversi tipi, troviamo:
- la VIRGO, cioè la ragazza non schiava,
- matrone intente a tenere a bada i mariti
- meretrici, di animo buono o cattivo e altre
Un esempio di schiava indifesa è PALESTRA, nella commedia della RUDENS, che nonostante fosse
nata libera ora è sotto la proprietà privata di un lenone, che la possiede come un bene qualsiasi, ella
arriva come naufraga su una spiaggia sconosciuta, e quì si lamenta con gli dei perché chi li prega non
riceve nessun beneficio, in realtà non sa che il naufragio è stata una sua fortuna, infatti arriverà
sull’isola dove incontrerà il padre e l’innamorato.
Sulla cortigiana e sulla posizione che Plauto le attribuisce lo studioso FRANCESCO DELLA CORTE, fa
diverse interpretazioni:
● Secondo lui con Plauto si cerca di riprodurre in roma la condizione della cortigiana greca.
Non tutti i romani avevano avuto la possibilità di vedere con i propri occhi la loro condizione
ad Atene, ma molti ne avevano sentito parlare, e => sentivano la necessità di vedere
riprodotto nella loro realtà questo genere di vita, perché queste opere riaccendeva nel
popolo romano quelle sensazioni che nell’ambito della famiglia non si sarebbero mai potute
realizzare, in quanto questa condizione era pensabile solo ad Atene. Il nome etere veniva
dato anche alle donne straniere, che venendo dalla Ionia o da Atene mostravano modi più
liberi e un maggiore cultura; infatti anche se la cultura di Roma stava andando sempre più a
uniformarsi a quella greca, rimaneva sempre la differenza che ad Atene c’era una maggiore
libertà di parola e di vita. Le cortigiane ad atene godevano di una posizione,
paradossalmente, più privilegiata rispetto alle donne libere, infatti non erano assolutamente
disprezzate, anzi MENANDRO, cercherà pure di metterle sotto una luce favorevole. E i
romani vedevano questa possibilità dei greci di avere amanti, di poterle cambiare quando
erano stufi, e di andare al banchetto con queste, una condizione ideale, quasi un mondo
fantastico.
● Dopo Plauto al centro delle commedie vediamo TERENZIO, che da un prototipo di donna
diverso da quello di Plauto e opposto a quello reale; le donne sono meno legate a stereotipi
sociali, acquistando una nuova valenza etica; non si trovano più figure come quelle della
schiava infelice o della cortigiana scaltra, ma le donne iniziano a vestire i panni delle suocere
pronte a sacrificarsi per il bene della nuora e del figlio, come per esempio SOSTRATA, nell
HECYRA, oppure la cortigiana generosa capace di gesti di altruismo, come BACCHIDE, sempre
nell Hecyra, capace di porre la felicità altrui prima del suo guadagno, incapace di fare il male
a differenza delle altre etere

-il matrimonio a Roma


Per comprendere al meglio la condizione della donna a Roma, ma anche nelle altre società una spia
molto importante è il matrimonio.
L’unico ruolo sociale della donna era di madre o di moglie. Queste passavano dalla ​manus, ​proprietà
del padre a quella del marito, che poteva rispedire la moglie quando voleva dal padre trattenendo
anche parte della dote.
Traccia di questa sottomissione è presente anche nei nomi delle donne e degli uomini:
- gli uomini avevano un PRENOMEN, cioè un nome di battesimo, un NOMEN, cioè il nome
della gens di appartenenza(cioè a che gruppo di famiglie unite da una comune origine
apparteneva), ed un COGNOME, che era tipico della famiglia
- le donne invece avevano 1 solo nome, che non era personale, ma era della gens di
appartenenza, che veniva modificato con vezzeggiativi o diminutivi in presenza di più figlie.
Questo a dire che le donne non avevano diritto nemmeno ad un nome.
Esistevano 3 tipi principali di matrimoni Roma:
- la CONFARREATIO, era la più antica ed era praticata per lo più dai patrizi, era la cerimonia
con la quale un pater familias assumeva la manus su una donna; alla presenza di 10
testimoni veniva compiuto un sacrificio a GIOVE FARREO, utilizzando una focaccia di
farro(farreum), da cui prende il nome. Questo rito era preceduto dal sacrificio di una pecora,
e seguito da quello di un porco. Era => una sorta di matrimonio religioso, celebrato secondo
un culto preciso.
- La COEMPTIO, che era in uso presso i plebei ed era simile ad un attuale matrimonio civile,
ma legato all’antica tradizione dell’acquisto della posa, risultava => come una
compravendita, fatta davanti ad un mediatore, nella quale il marito prendeva possesso della
moglie
- L’USUS, era la 3° alternativa, e prevedeva che se un uomo avesse ‘’usato’’ la donna per più d
1 anno ne entrava regolarmente in possesso, senza la necessità di nessuna delle 2 cerimonie
precedenti, diventerà in seguito la più diffusa, fino ad arrivare a soppiantare le altre 2
La manus del marito sulla moglie cessava nel caso in cui la donna si fosse allontanata per più di 3
notti dal domicilio coniugale, in quel caso perdeva il titolo di ​mater familia, e​ prendeva quello di ​uxor
tantum, ​aveva il diritto di disporre della propria sostanza, ma non poteva più ereditare dal marito.
Nella società romana il matrimonio non avveniva quasi mai per ragioni affettive, infatti per lo più i
giovani si trovavano a dare consensi a matrimoni già combinati, per ragioni di alleanza politica o
economica tra famiglie, o per la procreazione di eredi. A quest’ultimo compito era fortemente legata
la sessualità matrimoniale, che a roma rimase sempre avvolta da un fitto velo di pudore. Non era il
matrimonio infatti ad essere considerato la sede naturale dell’eros, ma solo le relazioni
extraconiugali, consentite agli uomini, e improponibili per le donne, sarà solo con il cristianesimo che
verrà cambiata questa mentalità.

-vita familiare e affetto tra coniugi


Il matrimonio a Roma non era => una condizione di pure facciata, in alcuni casi fra i coniugi si
trovavano valori positivi, come la protezione, l’amicizia, la fiducia…
Un’esempio di questo rapporto è riportato da Cesare nell’epistolario che scrisse in esilio, nel quale,
dalle molte lettere indirizzate alla moglie TERENZIA ricaviamo l’idea di un rapporto piuttosto
profondo, Cicerone infatti parla di come essendo un periodo difficile per lui la vicinanza con la
moglie lo solleverà.
La vita matrimoniale è testimoniata anche da iscrizioni tombali,, tra cui la più nota è la LAUDATIO
TURIAE, cioè l’elogio funebre a Turia, il testo è fatto scrivere dal marito durante la LAUDATIO
FUNEBRIS, cioè nel momento della dispersione delle ceneri poste nel sepolcro. I 2 coniugi dovevano
appartenere ad un ceto sociale elevato, in quanto l’incisione è fatta su una grandissima lastra
marmorea, che inizialmente riportava i nomi della donna, del padre e del marito. probabilmente i 2
coniugi erano QUINTO LUCREZIO, e TURIA. Questo reperto è importante perché ci mette davanti ad
un esempio di vita quotidiana, un'incisione che parla di due persone comuni, e non grandi
personaggi. Questo documento di microstoria ci fa capire come potesse essere difficile la situazione
di molte famiglie in un momento difficile come quello della guerra civile fra CESARE e POMPEO. Sullo
sfondo infatti appare la vicenda umana di questa donna intenta a lottare per difendere il proprio
uomo e la propria famiglia; da questa rappresentazione ne esce la figura di una donna coraggiosa
fedele e certe volte addirittura eroica

-​la donna arcaica, un sottomesso modello di virtù


Dalla laudatio uiae riusciamo a definire uno schema di virtù che il mos maiorum annetteva nella
donna e che la potevano rendere una matrona ideale:
- la castità
- il rispetto
- l’amabilità
- la modestia dei gioielli, in modo da non farsi notare
- la sobrietà del vestire
- l’arrendevolezza
- la capacità nella lavorazione del telaio
- la religione, senza però arrivare al fanatismo
Doveva comportarsi in modo da ‘’meritarsi’’ l'epigrafe ​“fu casta, custodì la casa, filò la lana”.
Nella vita domestica ella era colei che doveva custodire il focolare, era relegata nella parte più intima
e nascosta della casa, sorvegliava la preparazione del cibo, tesseva e allevava i figli, provvedendo alla
loro istruzione, sino all'età in cui essi, se di famiglia nobile, venivano affidati ad un maestro di origine
greca.
Comportamento di cui il tradizionalista Catone parla e affida alla VILLICA, cioè la moglie del VILICUS,
cioè il fattore, a cui dedica un intero capitolo della sua opera ‘’​de agri cultura’’.
I romani ebbero sempre a cuore l’immagine della madre, sposa esemplare, sottomessa e fedele al
marito anche dopo la morte, ferocemente punita in caso di adulterio e raramente dotata di cultura.
Scrittori legati alla tradizione, come CICERONE, SALLUSTIO, TITO LIVIO continueranno ad esaltare le
saggie mulieres esemplari di un tempo. Nacque => su questo schema moralistico la contrapposizione
di 2 tipi diversi di donne
- quelle virtuose del buon tempo antico
- le predecessori delle donne di oggi, che incarnavano agli occhi dei benpensanti la possibile
scomparsa del mos maiorum.

-un nuovo paradigma di femminilità sul finire della repubblica


Dal II secolo le virtù fondamentali della donna iniziano a cambiare, nel momento cruciale di scontro
sulla LEX OPPIA, che restringeva le manifestazioni di lusso femminile. Emanata nel 315 dopo la
terribile sconfitta contro ANNIBALE, a CANNE i romani si trovano in pericolo e nel mezzo di una crisi
politica, questo portò le città alleate tradirli e quindi si sentì la necessità di emanare una legge che
limitasse il numero di gioielli che le donne potevano indossare e vietava loro di indossare abiti
preziosi, come una forma di lutto e per evitare un ostentazione della ricchezza. Le donne erano
scese in piazza poiché in disaccordo con questa legge, e Catone, essendo un tradizionalista rimane
indignato da questo evento. I tribuni sembrano appoggiare le idee delle donne, ma non lo facevano
con le stesse intenzioni delle donne, poiché volevano semplicemente che le donne si distrassero
dalle faccende dei mariti con i loro gioielli ed ornamenti in modo da rimanere fuori dalle questioni
politiche
Ma sarà dal I secolo che il mos maiorum entrerà ufficialmente in crisi, o almeno nei ceti più elevati.
Non ci fu mai a roma un periodo femminista, o di emancipazione della donna, ma si vide un
progressivo allentarsi, o allargarsi della mentalità tradizionale, ed è quì che le classi più alte trovano il
loro spazio crescente, e => iniziano a definirsi figure femminili di un tipo nuovo.
Dobbiamo tener conto che i romani da decenni si sono abituati all’ideale spregiudicato della donna
ellenica, di una donna di un nuovo tipo: una professionista di un piacere raffinato, che univa belleza
ed elleganza ad arti delicate, come la danza, la musica o il canto.
Queste figure andarono moltiplicandosi, spesso erano ex schiave, attrici o straniere, che riuscivano a
diventare compagne anche stabili di uomini che guidavano la politica romana, riuscendo => ad
acquistare una posizione sociale privilegiata. Riuscivano a sedurre uomini di buona famiglia, con
danni per la loro rispettabilità, la loro carriera e il loro patrimonio.
La cosa più sconcertante però per le mente più tradizionaliste è che in questa nuova categoria
femminile si riconoscevano anche donne appartenenti a famiglie nobili, cioè quelle che sarebbero
dovute essere più coscienti dell’immagine tradizionale.
Un esempio è LESBIA-CLODIA, del LIBER CATULLIANO, figura esemplare della nuova femminilità,
pronta ad usare tutte le risorse del proprio fascino, chiamata così in onore di SAFFIA, una poetessa
che veniva da LESBO. Nonostante sia onnipresente, ne apprendiamo assai poco, poichè è sempre
cantata in rapporto alle reazioni emotive dell’uomo, di lei ci giunge l’immagine della femminilità
colta e brillante, caratterizzata dal fascino e dal buon gusto, dotata di una bellezza , che come dice
Catullo, va oltre la pura forma, per coinvolgere le qualità dello spirito.
Una donna simile è SEMPRONIA, ricordata da Sallustro nel ‘’DE CATILINAE CONIURATIONE’’, in
quanto mise a disposizione la sua casa per l’incontro con i GALLI ALLOBROGI, che i congiurati di
Catilina volevano coinvolgere nell'insurrezione. Era discendente della gens SEMPRONIA, ed era una
donna affascinante quanto spregiudicata e avida di ricchezze e di potere.
Queste 2 donne impensieriscono gli autori, un po’ per le pose provocanti e per la loro capacità di
sedurre, ma soprattutto perché erano donne appartenenti all’alta società, il che lo dimostra la loro
cultura letteraria, che sembrava una qualità che veniva apprezzata dai loro amanti.
Ma la cosa che più preoccupa i benpensanti era il fatto che si andava sempre più a delineare la figura
di una matrona amante dell’intrigo, incapaci di stare al loro posto e desiderose di intromettersi negli
affari dei mariti

CITTADINANZA ITALIANA, LA MONARCHIA DI DANTE


-​dalla politica attiva alla scrittura politica
Fino a che Dante è stato un cittadino di Firenze partecipò alla vita politica in modo attivo, rivestendo
cariche pubbliche e schierandosi nella lotta fra fazioni; dopo l’esilio, a differenza degli altri
fuoriusciti, rinuncia alla possibilità di rientrare a Firenze, e si appassionò alla scrittura. Nell
monarchia Dante esprime la propria idea su quale dovesse essere l’organizzazione presente e futura
delle città italiane.
E’ un’opera conclusa, che non ha subito interruzioni o abbandoni, rispecchia => al meglio le opinioni
dell’autore.
E’ formata da 3 libri, ed è scritta in latino, poiché era destinata a quei settori di cultura alta, a cui di
solito erano rivolti i trattati di questo genere.
La datazione è incerta, ma si pensa che risalga al periodo della discesa di Arrigo VII in Italia, che fa
nascere in Dante la speranza di una restaurazione del potere imperiale e uno stop della lotta fra
fazioni.

-le ragioni del trattato


L’inizio è dedicato al perché dante ha deciso di avvicinarsi a studi di tipo politico: per lui gli uomini si
arricchiscono del lavoro degli antichi, ed è per questo che bisogna lavorare per il beneficio dei
posteri, affinché essi trovino la loro nuova ricchezza. Per questo ogni uomo che ha delle conoscenze
politiche e sociali deve dirle e farle conoscere anche agli altri, giovando in questo modo alla
collettività. Quindi Dante si impone 2 obiettivi principali
- essere utile al mondo
- ottenere per primo la gloria di una così grande impresa.

-l’argomento dei 3 libri


Dopo aver spiegato le ragioni per cui si è accinto a scrivere l’opera dante inizia con il definire il
concetto di ‘’MONARCHIA TEMPORALE’’, o impero visto come il principato di uno solo e al di sopra di
tutti nel tempo, e => elenca le 3 questioni che vuole trattare nei 3 libri.

1. l’argomento del 1° libro è la necessità di un impero, vedendo come l’impero germanico


continuazione, di quello romano, Dante dimostra come la monarchia universale sia il mezzo
fondamentale per guidare l’uomo, e sia il mezzo attraverso il quale un’uomo può arrivare al
proprio fine, cioè il benessere e la pace, infatti se tutto il mondo fosse riunito sotto il potere
di un singolo, non nascerebbero conflitti fra gli uomini per il possesso dei beni.
2. Nel 2° libro Dante fa una riflessione storica sull'impero romano, di cui Dante ne sottolinea la
provvidenzialità: Dio ha voluto lo svilupparsi dell’impero a Roma, e che gli imperatori
estenderanno il loro dominio su tanti popoli, affinché il messaggio di Cristo, nato
nell’impero, potesse diffondersi il più possibile, e => la suprema autonomia imperiale spetta
all’impero romano.
3. nel 3° libro Dante cerca di risolvere il problema del rapporto tra 2 grandi potenze universali:
il papato e l’imperatore. dante si oppone alla pretesa dei papi di affermare la loro autorità e
superiorità sull’imperatore. Dante afferma che il papa e l'imperatore siano 2 potenze
autonome ed indipendenti, nessuna delle quali è subordinata all’altra. Questa idea non
nasce da una ostilità nei confronti della chiesa, ma dal tentativo di tutelare il suo potere
spirituale e proteggerlo dalle contaminazioni di quello temporale, infatti per Dante il
desiderio di potere e di ricchezze del papa lo allontanano dal compito di curare le anime, e
danneggiano la sua posizione di guida religiosa. Dunque il papa deve esercitare il suo potere
entro i limiti della spiritualità, mentre la cura delle esigenze temporali degli uomini, cioè il
perseguimento della felicità sulla terra, spetta all’imperatore, cioè l’autorità politica
suprema, al di sopra di tutti i re, a cui è affidato il compito di garantire l’ordine e la
tranquillità nel mondo.
Per esprimere meglio l’idea dell’autonomia dei 2 poteri, dante modifica la similitudine
astronomica per cui il papa fosse il sole che illuminava la luna, cioè l’imperatore; egli
sostiene infatti che l’unica fonte di luce sia Dio, che diffonde la sua luce senza intermediari.

-un progetto politico fuori tempo


Al tempo in cui Dante esprime queste sue idee l’impero è in un periodo di crisi, nei territori che
sarebbero dovuti essere sotto il suo potere si sono formate autonomie comunali, e ambiziose
signorie locali in espansione. Le monarchie nazionali esercitano un potere sempre più indipendente
da quello dell’imperatore. Il progetto di Dante risulta => fuori dal suo tempo. L’evento che avrebbe
potuto restaurare un dominio dell’imperatore era la discesa di Enrico VII in Italia, che però fallì,
poiché l’imperatore morì improvvisamente, e i feudatari e i signori che avrebbero dovuto sostenerlo
gli voltarono le spalle, e questo significa che il potere imperiale non avendo più sostenitori non si
sarebbe più potuto instaurare.
Anche se le idee sono fuori tempo, Dante dà spunti interessanti, come l’instaurazione di uno stato
laico, in ci l’autorità religiosa non coincide con quella politica

-contrastare le forze economiche e le politiche emergenti


Per Dante l’unica possibilità di salvare l’Italia dal l'affermarsi di una borghesia cittadina è l’autorità
dell'imperatore. Questa borghesia, essendosi arricchita con il commercio e la finanza, è guidata da
un desiderio di potere e ricchezza; questi uomini sono caratterizzati dalla cupidigia, cioè quello che
per Dante è il grande male, e la 1° causa di ogni conflitto, perché sostituisce i valori preesistenti con
arroganza e disordine. L’unico modo per fermare questa ‘’discesa’’ è tornare indietro, cioè
restaurando un potere forte e universale capace di tenere testa ai piccoli poteri locali, che
impedivano alla comunità di vivere in pace. Un’altro modo per fermare questa situazione è
distinguere i due poteri universali, facendo sì che vivano pacificamente insieme.
Il sogno politico nella monarchia è quello di un mondo pacifico, per cui non ci sia più ragione di
conflitto per potere per ricchezza, e che governino 2 autorità indipendenti e non in concorrenza, per
garantire la felicità sulla terra e la beatitudine celeste, cioè i fini ultimi a cui ispira l’umanità

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