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di Donato Giovenzana
La Suprema Corte – investita della problematica – ha precisato che l’accertamento del danno causato dalla
lesione del credito commerciale esige l’accertamento d’un duplice nesso causale: (a) un primo nesso tra la
condotta illecita (nella specie: la erronea segnalazione alla centrale rischi) e la contrazione dei
finanziamenti o la perduta possibilità dell’accesso al credito; (b) un secondo nesso tra la contrazione dei
finanziamenti e il peggioramento dell’andamento economico del soggetto danneggiato. Ovviamente
l’accertamento del primo nesso (da valutare con le regole della causalità materiale, ex art. 40 c.p.) non
implica di per sé la sussistenza del secondo (da valutare con le regole della causalità giuridica, ex art. 1223
c.c.). La chiusura, da parte d’un istituto bancario, delle linee di credito precedentemente accordate ad una
società commerciale potrebbe infatti in teoria causarne la decozione tout court; oppure accelerarne una
decozione che comunque era inevitabile; od ancora risultare irrilevante, ad esempio nel caso di società
floride e sovracapitalizzate. Le pregresse condizioni economiche e patrimoniali della società che assume di
essere stata danneggiata, pertanto, costituiscono un fatto materiale rilevante e centrale nell’accertamento
del danno in esame, che la sentenza d’appello ha effettivamente trascurato di esaminare: sia in sé, sia in
relazione alla illegittima segnalazione alla centrale rischi. Pertanto, secondo la Cassazione, la sentenza
d’appello va su questo punto cassata con rinvio alla Corte d’appello, in diversa composizione, affinché il
giudice del rinvio prenda in esame il “fatto materiale” rappresentato dalle pregresse condizioni economiche
e finanziarie della società, e valuti se queste abbiano causato, concausato o soltanto accelerato il danno di
cui si è chiesto il risarcimento. In relazione, poi, all’accertamento e alla liquidazione del danno non
patrimoniale in favore di persone giuridiche, gli Ermellini ribadiscono quanto ripetutamente affermato in
sede di legittimità, i.e. che il danno non patrimoniale, come qualsiasi altro tipo di danno, non può mai
ritenersi in re ipsa, con la conseguenza che la relativa prova (beninteso, anche presuntiva) deve essere
dapprima offerta da chi invochi il risarcimento, e quindi valutata dal giudice. Da quanto precede discende
che del pregiudizio in esame l’organo giudicante di merito deve accertare l’esistenza sotto due profili: a)
se ed in che misura il fatto illecito abbia nuociuto alla serenità degli amministratori della persona giuridica
che afferma di essere stata danneggiata, e quindi di rimbalzo sulla società stessa; b) se ed in che misura il
fatto illecito abbia nuociuto all’immagine pubblica della persona giuridica. Inoltre i suddetti pregiudizi
non patrimoniali, per essere risarcibili, debbono superare una soglia minima di tollerabilità, ovviamente
ben più elevata per le società commerciali rispetto alle persone fisiche, ché altrimenti si perverrebbe a
ristorare come veri danni dei semplici fastidi o disagi. Ed infatti la giurisprudenza di legittimità ha
ritenuto conforme a diritto l’attribuzione del risarcimento del danno non patrimoniale sempre in casi di
tangibile gravità, negandolo, per contro, in favore delle persone giuridiche, nel caso di fatti diffamatori a
modesta diffusione oppure di fatti che, pur dannosi per la società, potevano non essere percepibili come tali
dalla collettività. Secondo la Suprema Corte, la sentenza impugnata manca della necessaria indagine sulla
diffusione della notizia diffamatoria; sulla sua percepibilità da parte della collettività; sulla possibilità per
fornitori e clienti di connettere il declino societario a quella notizia, piuttosto che ad altri fattori; sulla
eccedenza del danno rispetto alla soglia della normale tollerabilità. Per il che, anche sotto il profilo in
esame, la sentenza de qua è stata cassata con rinvio.
Il risarcimento del danno non patrimoniale alla persona con riguardo ai valori della reputazione e
dell’onore, sia il danno al patrimonio conseguente l’illegittima segnalazione al CRIF deve essere provato.
(Nel caso di specie, l’attore aveva chiesto il risarcimento sia del danno patrimoniale che del danno non
patrimoniale, deducendo di non aver potuto accedere a qualsivoglia tipo di finanziamento e ai canali
istituzionali del credito in presenza di tale segnalazione e di aver subito, proprio per l’impossibilità di
accedere a qualunque tipo di finanziamento, innumerevoli difficoltà nel continuare a svolgere l’attività di
riparazione di elettrodomestici e personal computer in forma di ditta individuale senza darne prova non
avendo provato neanche la sua qualità di imprenditore come correntista).
Tuttavia la questione della risarcibilità del danno non patrimoniale da illecita segnalazione va ricondotta a
quella degli oneri di specifica allegazione del danneggiato che hanno ad oggetto quantomeno la durata e
l’ambito soggettivo della segnalazione. Di conseguenza, in difetto della prova della percezione della notizia
asseritamente lesiva da parte di terzi va escluso il danno alla reputazione.
Pertanto, la teorica configurabilità della lesione alla reputazione non esonera l’attore dal fornire la prova
della concreta compromissione di siffatto specifico interesse, cui sia conseguito un serio ed effettivo
pregiudizio non patrimoniale.
Nel caso di specie, avente a oggetto una richiesta di risarcimento danno non patrimoniale per illegittima
segnalazione al Crif dei nominativi degli attori, il Tribunale ha rigettato la domanda in quanto non era stato
allegato alcun elemento di fatto dal quale potevano desumersi, anche in via presuntiva, l’esistenza e
l’ammontare del danno alla reputazione che gli attori avrebbero subito dall’illegittima segnalazione.
La Cassazione ha ormai definito, con chiarezza, i confini del diritto al risarcimento in caso di illegittima
segnalazione alla Centrale Rischi.
Sul punto, si registra un ampio contenzioso generato, da un lato, dall’abitudine delle banche di comunicare
i nominativi dei clienti morosi al minimo inadempimento e, dall’altro, dalle richieste di risarcimento prive
però di alcuna motivazione e fondamento.
Cerchiamo di fare il punto della situazione, partendo dal seguente quesito: quando scatta la segnalazione
alla Centrale Rischi? Se l’istituto di credito fa una segnalazione pur non essendovi i presupposti, come fare
ad ottenere il risarcimento del danno?
Indice
In Crif, finiscono i dati di quanti hanno un rapporto con le banche, a prescindere poi dal fatto che questo sia
caduto in sofferenza o meno. Il semplice fatto di avere in corso un mutuo con una banca – anche senza
essere morosi – fa sì che il nominativo del mutuatario venga inserito nelle banche dati delle società di
informazioni creditizie come appunto la Crif. Questo serve per consentire a tutti gli istituti di credito di
conoscere le condizioni finanziarie di ogni persona che si rivolge a loro e, quindi, di verificarne la
solvibilità.
Al contrario, la Centrale Rischi è un archivio detenuto dalla Banca d’Italia dove confluiscono solo i
nominativi di chi non rispetta gli obblighi contrattuali con le banche e le finanziarie.
Secondo la giurisprudenza, la segnalazione in Centrale Rischi non può scattare per un semplice ritardo.
Essa richiede una condizione di insolvenza di difficile soluzione. Ciò non si identifica necessariamente
nella condizione fallimentare del debitore, ma si concretizza in una valutazione negativa della sua
situazione patrimoniale ossia come di “grave difficoltà economica“. In altre parole, la segnalazione
richiede una valutazione, da parte dell’intermediario, riferibile alla complessiva situazione finanziaria del
cliente, che semplicemente non può scaturire dal mero ritardo nel pagamento del debito [2].
Il fatto di non voler pagare, per via di una contestazione in corso con la banca, non legittima l’istituto di
credito ad utilizzare, quale arma per ottenere il pagamento, la segnalazione alla Centrale Rischi.
Per Crif non valgono i medesimi criteri che regolano le segnalazioni alla Centrale Rischi di Bankitalia,
essendo diverse sia le “finalità” perseguite dai due istituti che il concetto di “insolvenza” a cui fanno
riferimento. Se, infatti, per la segnalazione nella Centrale Rischi pubblica è necessario l’accertamento di
uno stato di insolvenza oggettivo e non un semplice ritardo di pagamento (per cui chi omette una rata di
basso importo non finisce segnalato in Cai) così non è per le Sic, le quali si limitano a segnalare anche le
minime insolvenze.
Ad esempio, in caso di errata segnalazione alla centrale rischi della Banca d’Italia, il risarcimento va
escluso se si tratta di società in crisi da anni e manca la prova che la stretta sui finanziamenti degli istituti di
credito sia collegata al comportamento illegittimo della banca che ha lanciato l’alert. Ad affermarlo è stata
un’altra sentenza della Cassazione che ha accolto sul punto il ricorso della banca autrice di una
segnalazione errata che riguardava un’esposizione debitoria nei confronti di un altro istituto che in realtà
non c’era [3].
Attraverso dette informazioni il sistema bancario e finanziario può valutare il merito creditizio dei soggetti
privati e la loro capacità di poter restituire i finanziamenti concessi.
Al pari della Centrale dei Rischi sono presenti anche sistemi di informazione privati che raccolgono i dati
di famiglie e imprese, gestite da società private a scopo di lucro c.d. SIC (Società di Informazioni
Creditizie) tra le quali si segnalano, tra le più note, il Crif, Cerved, Experian.
Una errata segnalazione alla Centrale dei Rischi (o alle SIC) può avere conseguenze pregiudizievoli sia per
il privato che per le imprese.
La disciplina della Centrale dei Rischi è prevista nella circolare 139 dell’11 febbraio 1991 della Banca
d’Italia S.p.a., aggiornata al giugno 2016, che individua quattro tipi di segnalazioni:
Credito scaduto: si tratta della segnalazione dovuta al fatto che il credito risulta impagato dal almeno 90
giorni;
Credito ristrutturato: dovuto a una rimodulazione del debito dovuto ad accordi di ristrutturazione,
concordati, rinegozazioni, ecc… ovvero a situazioni con la quale si trova un accordo con l’istituto di
credito per la rimodulazione del debito;
Credito incagliato: dovuto a una temporanea difficoltà di pagamento del soggetto debitore in cui si ritiene
che possa sempre provvedere al pagamento superata la difficoltà;
Credito in sofferenza: è l’ipotesi più grave e viene equiparata a uno stato di insolvenza in cui le possibilità
di recupero del credito sono quasi nulle.
È evidente che una illegittima e/o errata segnalazione alla Centrale dei Rischi può avere delle conseguenze
negative, soprattutto nei confronti delle imprese in quanto la perdita del merito creditizio e l’impossibilità
di poter aver accesso al credito potrebbe creare una situazione tale da portare gravi difficoltà finanziarie ed
anche il fallimento.
Appare pertanto essenziale verificare se la segnalazione è corretta e sapere cosa fare in caso di
un’illegittima segnalazione alla centrale dei rischi presso la Banca D’Italia.
a) Mancata ricezione del preavviso: il soggetto segnalato non ha mai ricevuto il preavviso che l’istituto di
credito o finanziario è tenuto ad inviare, obbligatoriamente a pena di illegittimità della segnalazione,
almeno 15 giorni prima di procedere (non con posta ordinaria ma con raccomandata essendo l’onere della
prova a carico della banca).
L’informativa costituisce diritto e garanzia del soggetto segnalato sia in quanto i dati pubblicati
costituiscono dati personali e sensibili sia per poter dar la possibilità al medesimo di intervenire ed evitare
la segnalazione adempiendo l’obbligo di pagamento (o rimodulando lo stesso).
b) Errata valutazione della situazione finanziaria e patrimoniale del soggetto segnalato a sofferenza:
l’istituto di credito o finanziario, prima di procedere alla segnalazione a sofferenza deve effettuare una
attenta istruttoria per accertarsi che si verte in una situazione grave e non transitoria di difficoltà economica
equiparabile a una condizione di insolvenza e che ci sia pertanto una situazione che induca a ritenere che il
credito a sofferenza non abbia possibilità di recupero.
Accade molto spesso che gli istituti di credito, sulla base di una istruttoria superficiale (a volte attraverso il
solo esame del bilancio), richiedano la segnalazione a sofferenza di soggetti che non si trovano in detta
situazione, col rischio di impugnazione e conseguente risarcimento del danno.
c) Mancata cancellazione e/o rettifica della segnalazione: è il caso in cui la situazione che ha portato alla
segnalazione è venuta meno in conseguenza dell’adempimento o di successivi accordi con il soggetto
segnalato alla quale non è seguita la cancellazione e/o rettifica della segnalazione.
d) Errata segnalazione: vi rientrano tutti i casi non riconducibili alle tre categorie sopra indicate quali
l’errata segnalazione per un caso di omonimia del soggetto segnalato.
La tutela giudiziaria si esplica attraverso un ricorso d’urgenza ex art.700 c.p.c. con la quale si chiede al
Giudice la cancellazione della illegittima segnalazione, che si definisce in brevissimo tempo, e con il
successivo giudizio di cognizione per ottenere il risarcimento del danno.
I casi più frequenti riguardano i danni derivanti dal mancato accesso al credito bancario e finanziario
(mancata concessione di finanziamenti, rifiuto di accensione di mutui, conti correnti o altri prodotti
bancari), la revoca dei fidi e la richiesta di rientrare delle somme a debito e la perdita del volume d’affari
dell’impresa.
È risarcibile anche il danno non patrimoniale, inteso come danno morale e come danno alla reputazione
personale e commerciale del soggetto ingiustamente segnalato.
Si intende che ogni caso ha le sue peculiarità e deve essere attentamente vagliato.
Gli avvocati dello Studio Legale Dedoni sono disponibili per la verifica di ogni situazione e alla ricerca di
qualsiasi soluzione per risolvere eventuali contenziosi.
Quando l’illegittimità
I rimedi risarcitori
Il trattamento illecito dei dati personali
La responsabilità per esercizio di attività pericolosa
Il danno conseguenza
Mancato accesso al credito
Nelle ipotesi di illegittima segnalazione alla Centrale Rischi, il danno causato non genera un “automatico”
risarcimento. Chiamata a pronunciarsi sulla vicenda di un correntista che lamentava la mancata
concessione di un finanziamento a causa dell’errata segnalazione alla Centrale Rischi da parte di alcune
banche, la Corte di Cassazione – con sentenza n. 1931/2017 – si è espressa sulla possibilità di veder
riconosciuto il danno economico e di immagine, per lesione personale e commerciale, supportando la scelta
dei giudici di merito che hanno valutato che il danno va “dimostrato”.
In buona sostanza, una situazione “di grave (e non transitoria) difficoltà economica – che non può
scaturire automaticamente da un mero ritardo nel pagamento del debito. Ciò che rileva è la situazione
“oggettiva” di incapacità finanziaria. Nessun rilievo assume la manifestazione di volontà di non
adempimento se giustificata da una seria contestazione sull’esistenza del titolo del credito vantato dalla
banca”.
Quanto alla domanda di risarcimento del danno – la cui sussistenza andava verificata nel quadro di
applicazione dell’articolo 2050 c.c., “l’attore aveva allegato di aver richiesto la concessione di linee di
credito per la propria attività e di non averle potute ottenere a causa della segnalazione alla centrale rischi,
ma detta allegazione era rimasta sfornita di prova, con la conseguenza che la domanda risarcitoria doveva
essere rigettata”.
La responsabilità della banca per esercizio di attività pericolosa in caso di segnalazione errata
Dinanzi a tale pronuncia, il ricorrente ha sollevato la vicenda in Cassazione. A sua volta la Cassazione ha
ritenuto infondato il motivo principale. Ad avviso della Corteil ricorrente erra “nel porre l’accento
sull’assunto secondo cui la responsabilità per attività pericolosa di cui all’articolo 2050 c.c., alla luce della
giurisprudenza di questa Corte, costituirebbe ipotesi di responsabilità oggettiva. Per un verso, infatti,
l’indirizzo prevalente (il quale fa leva sulla prova liberatoria prevista dalla norma, ossia la prova di aver
adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno, e trova conforto nella relazione al codice civile) è nel
senso opposto (così Cass. 20 maggio 2016, n. 10422; Cass. 22 settembre 2014, n. 19872). Nel senso
dell’inquadramento della responsabilità per l’esercizio di attività pericolose nell’ambito della responsabilità
oggettiva si rinviene invece Cass. 17 dicembre 2009, n. 26516, sulla scia di Cass. 4 maggio 2004, n. 8457.
Per altro verso, ricostruita in termini di colpa presunta o di responsabilità oggettiva, non v’è dubbio che
l’affermazione della responsabilità dell’esercente l’attività pericolosa, ai sensi dell’articolo 2050 c.c.,
richieda comunque l’accertamento della sussistenza del un nesso di causalità tra l’attività e il danno patito
dal terzo (p. es. Cass. 10 marzo 2006, n. 5254) e, dunque, richieda ineluttabilmente che un danno vi sia,
danno che, per converso, il Tribunale ha ritenuto non provato”.
Per i giudici della Suprema Corte “deve tenersi per fermo il principio, solidamente ancorato al dettato
dell’articolo 1223 c.c., applicabile nel campo aquiliano per il tramite dell’articolo 2056 c.c., secondo cui il
danno una conseguenza dell’illecito (ovvero dell’inadempimento), ossia della lesione dell’interesse
protetto, conseguenza riguardata dall’ordinamento sotto specie di “perdita” ovvero di “mancato guadagno”,
collegati alla lesione dell’interesse protetto per li rami del nesso di causalità.Basterà allo scopo citare Cass.,
Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972 ore si evidenzia che la tesi del danno in re ipsa snatura la funzione
del risarcimento. Questo sarebbe concesso non in conseguenza dell’effettivo accertamento di un danno, ma
quale pena privata per un comportamento lesivo”.
In aggiunta ulteriore, la Cassazione sottolinea come per il resto il ricorrente, oltre al danno economico
derivante dal diniego di accesso al credito, abbia confusamente denunciato un “irrimediabile danno
morale” nonché una “lesione della reputazione personale e commerciale”” ma ha ancora una volta omesso
completamente di chiarire come e quando simili pregiudizi fossero stati dedotti nella fase di merito.
“Con l’ulteriore conseguenza che, per tale aspetto, la censura è inammissibile per la sua novità, avuto
riguardo al principio in forza del quale, ove una determinata questione non risulti trattata nella sentenza
impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, per evitare una
statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione
della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo
abbia fatto”.
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Posso ottenere un risarcimento dalla Centrale dei Rischi? Mi hanno segnalato erroneamente, come mi
difendo? In che modo posso chiedere un risarcimento?
Se ti stai ponendo queste domande, molto probabilmente sei vittima di un’errata segnalazione presso la
Centrale dei Rischi che sta ostacolando l’erogazione di un finanziamento.
Se può interessarti la risposta ai tuoi interrogativi è affermativa. Puoi chiedere un risarcimento alla Centrale
dei Rischi per i danni conseguenti all’errata segnalazione.
Preliminarmente, però, dobbiamo affrontare diverse questioni annesse, al fine di avere contezza di quando
è possibile richiedere un risarcimento.
Si tratta di uno strumento informativo, partecipato dai diversi intermediari finanziari (banche, società
finanziarie, organismi di investimento collettivo), realizzato per censire i clienti che accedono ai diversi
istituti di credito.
I singoli operatori finanziari, infatti, hanno l’onere di fornire tutte le informazioni dei loro clienti
(solitamente con cadenza mensile) alla Centrale, la quale, a sua volta, andrà a riorganizzare i molteplici dati
al fine di renderli reperibili agli intermediari stessi.
La segnalazione in sé non desta alcun problema, in quanto rappresenta l’azione con la quale viene censito il
richiedente.
A ciò seguirà una costante raccolta dei dati, volta a fornire chiare informazioni circa la sua storia creditizia.
Ove però il richiedente dovesse risultare inadempiente nel rimborso del finanziamento, lo stesso potrà
essere segnalato negativamente.
La segnalazione “negativa” rappresenta l’azione con la quale un creditore può essere catalogato come
“cattivo pagatore” o soggetto a rischio.
Per meglio dire, una segnalazione “negativa” determina un credito in sofferenza e lo classifica come tale.
Il problema su cui dobbiamo soffermarci, però, è il caso di un’errata o illegittima segnalazione alla
Centrale.
L’illegittima segnalazione quale causa di risarcimento dei danni alla Centrale dei Rischi
È possibile che si verifichino cause di illegittima segnalazione di sofferenza di un credito.
Si tratta di tutti quei casi in cui ci troviamo davanti a segnalazioni viziate, relative a crediti non
performanti.
La segnalazione per essere legittima, infatti, richiede un’attenta valutazione dell’intermediario interessato,
il quale ha il dovere di esaminare accuratamente la posizione finanziaria del proprio cliente nella sua
interezza.
Solo se la sua condizione di insolvenza dovesse apparire deficitaria o grave, l’intermediario sarà tenuto a
procedere con la segnalazione.
In caso contrario, si potrà ipotizzare di procedere con una pretesa di risarcimento alla Centrale dei Rischi
per i danni causati dalla segnalazione illegittima.
Risarcimento alla Centrale dei Rischi per vizi procedurali. Quando è possibile?
Come già accennato, accanto ai vizi sostanziali, il nostro ordinamento ha previsto alcuni oneri in capo agli
intermediari che, in caso di violazione, potrebbero causare vizi di natura procedurale.
Per quel che attiene all’argomento, è opportuno soffermarci sul tipico caso di una mancata informazione
preventiva della prima segnalazione a sofferenza.
Al riguardo, gli intermediari hanno l’obbligo di informare, in forma scritta, il cliente e i coobbligati (se
presenti), della prima segnalazione a sofferenza.
Accanto a questo specifico caso, l’ordinamento ha previsto, in capo all’intermediario, il medesimo onere di
informativa nei confronti di un cliente consumatore, il quale deve essere avvisato anche nei casi di
classificazione “negativa” per inadempimento.
In altri termini, in caso di un consumatore, questi ha diritto ad essere informato sia per una segnalazione in
sofferenza sia per persistente inadempimento.
Ciò in quanto nel rapporto tra intermediario finanziario e cliente consumatore, quest’ultimo è considerato
soggetto debole del rapporto, motivo per cui deve necessariamente godere di una maggior tutela.
Fuori dai casi suindicati, l’intermediario può agire liberamente, senza obblighi di preventiva informazione
scritta.
Da ultimo, chiariti i casi in cui può sussistere una causa di illegittima segnalazione per vizi procedurali,
dobbiamo precisare che la stessa può avere interesse ai fini risarcitori ma non determina la cancellazione
della segnalazione.
Il motivo è facilmente riconducibile alla natura stessa della Centrale dei Rischi, della sua funzione e del
ruolo che ricoprono le predette segnalazioni.
Il debitore insolvente non verrebbe catalogato come tale e gli intermediari finanziari rischierebbero di
concedere nuovi crediti senza le dovute garanzie.
Al riguardo, per chi volesse far accertare l’illegittimità della segnalazione, e richiedere per tale motivo un
risarcimento del danno, l’ordinamento italiano ha previsto due alternative:
Questi certamente presenta tra i propri aspetti positivi la celerità del rito e i costi vantaggiosi.
Purtroppo, però, avvalendosi dell’Arbitrato, il richiedente deve essere consapevole di non poter citare
testimoni (spesso rilevanti per dimostrare la sussistenza del danno), né chiedere consulenze tecniche
d’ufficio (quest’ultime molte volte fondamentali per un’adeguata quantificazione del danno).
Inoltre, bisogna sempre tenere conto che le pronunce dell’Arbitro Bancario Finanziario non sono
vincolanti.
Giudizio Civile
Il secondo rimedio, invece, è riconducibile al giudizio civile.
Sicuramente è la via più “lunga” e dai costi più elevati ma consente di agire concretamente in via
giudiziale.
Ciò implica che il rito, che sia ordinario o speciale (come nel caso del rito d’urgenza di cui all’art. 700
c.p.c), consente al richiedente di godere di una più approfondita istruttoria e, cosa ancor più rilevante, una
pronuncia vincolante.
Se la tua situazione dovesse rientrare in tale ipotesi è bene che tu sappia che sarà necessario dimostrare la
sussistenza del danno.
In altri termini sarà necessario dimostrare che esiste un nesso causale tra la mancata erogazione del credito
e la perdita del volume d’affari dell’impresa.
Spesso, ai fini di una completa azione risarcitoria, per la quantificazione del danno, si ricorre a una perizia
tecnica.
Tramite questa è possibile individuare, concretamente, il danno subito e, sulla base dello stesso, avere
contezza della reale pretesa.
Quali sono i casi di danno non patrimoniale?
Per quel che attiene al danno non patrimoniale, è bene chiarire fin da subito che lo stesso si compone di
diverse voci, tra le quali si annoverano il danno morale e il danno da violazione dei diritti della personalità.
Al riguardo, in riferimento al danno morale, dobbiamo ricordare che un suo risarcimento è plausibile tanto
per la persona fisica quanto per la persona giuridica.
Ciò è stato più volte ribadito dalla Cassazione, secondo la quale è configurabile la risarcibilità del danno
non patrimoniale (quale conseguenza pregiudizievole di un illecito), in capo a un ente collettivo,
allorquando il fatto lesivo incida su di una situazione giuridica dell’ente, analogamente al caso di una
violazione dei diritti fondamentali della persona umana costituzionalmente garantiti (Cass. Civ., sentenza
n. 15609 del 2014).
A questo punto possiamo agilmente riassumere quanto descritto ricordando che il risarcimento alla
Centrale dei Rischi è ammesso in caso di errata segnalazione del credito in sofferenza, sia per vizi
sostanziali che per vizi procedurali, nel rispetto di quanto previsto dall’ordinamento giuridico italiano.
Detto ciò, ti consiglio di approfondire tutti gli aspetti di cui hai appena letto insieme ad un professionista,
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