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A rm a n d o G e n o v e s e

LA TEOLOGIA COME PRASSI DI COMUNIONE


NEGLI UNIVERSAE THEOLOGIAE E LE ME N T A
DI ANTONIO GENOVESI

Una storia travagliata —Ripercorrendo gli Elementa - Gli' elementi di critica - Osserva­
zioni sintetiche conclusive

Parole chiave: Antonio Genovesi; teologia; economia civile; politica; reciprocità; Settecen­
to napoletano

Una storia travagliata

Antonio Genovesi viene ricordato soprattutto come il maggior teorico delle


riforme nel Regno di Napoli e com e il fondatore deU’insegnamento dell’ e-
conomia politica. Questa lettura della vita e dell’opera del Genovesi (G.) la­
scia in gran parte sconosciuta la complessità, ricca e varia, per molti versi
originale, della sua riflessione teologica e filosofica. Il nostro tentativo in
questa sede non è ispirato soltanto dal desiderio di affrontare un testo e un
documento che da più di due secoli è stato praticamente abbandonato alle
biblioteche, ma dalla consapevolezza che gli Universae Theologiae Elemen­
ta ( = Elementa) sono un’opera capitale per la comprensione del pensiero
del G. I numerosi cenni che l ’ autore fa nelle altre sue opere e l’ evidente im­
portanza che G. attribuisce agli Elem enta, ci hanno portato alla convinzio­
ne che la ricerca sul G. debba passare necessariamente attraverso la lettu­
ra attenta e meditata di quest’opera.
Ben presto conosciuto anche a Napoli, dopo avervi tenuto privatamente
un corso di filosofia da lui stesso abbozzato, ad appena 28 anni, il dotto pre­
te di Castiglione fu incaricato dal prefetto degli studi mons. Celestino Ga-
liani di insegnare metafisica (1741) ed etica (1745) all’Università. Le lot­
te non potevano mancare in un ambiente dove cozzavano diversi diritti e
opposte organizzazioni, che rendevano l ’ atmosfera satura di sordi rancori,
di intolleranze reciproche e di perenne ostilità. Perciò, la libertà d ’insegna­
mento instaurata dal giovane filosofo non poteva essere apprezzata in tale

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contesto culturale gretto e reazionario, anzi lo espose addirittura a persecu­


zioni. Soltanto la protezione autorevole del Galiani ne impedì l’arresto e la
condanna com e eretibo quando pubblicò la Metafisica (1743-47).
Nel 1747, poco più ch e trentenne, pubblicò la seconda parte della Meta­
fisica , dedicandola al Papa Benedetto XIV, probabilmente con lo scopo di ga­
rantirsi una tutela in alto loco, mentre attendeva al compimento del manua­
le di teologia, intrapreso all’inizio degli anni ‘40. Rendendosi vacante la cat­
tedra di teologia nel 1748, il G. ritenne di avere titolo a partecipare al con­
corso, con buona probabilità di successo. Il G. intendeva proporsi all’atten­
zione del mondo accadem ico com e teologo, ma la sua candidatura incontrò
violente opposizioni, in particolare di un altro concorrente, l’abate I. Moli-
nari, il quale presentò a Roma una lista di quattordici proposizioni genove-
siane che risultavano non del tutto ortodosse e che erano state malevolmen­
te estratte dai manoscritti di carattere teologico, largamente diffusi dai suoi
discepoli. Data la situazione, la Curia romana volle esaminare il manoscrit­
to, mentre a Napoli si affidarono a un gesuita spagnolo, G. Barba, per lo stu­
dio della teologia del G., il quale sembrava rassegnato a subire una censu­
ra, mentre trovò l’inaspettato appoggio dei gesuiti, ostili all’arcivescovo Spi­
nelli, grazie anche all’ amicizia con il Superiore Provinciale della Compagnia
di Gesù. In questa occasione, però, l’appoggio del Galiani, che peraltro non
era mai mancato in passato, non soltanto fu piuttosto tiepido, ma lo spinse
a consigliare al G. la rinuncia non solo alla cattedra, ma alla ricerca tout
court in ambito teologico e alla pubblicazione degli Elemento: la guerra mos­
sa al G., con argomenti teologici molto discutibili, lo fece disgustare al pun­
to che si risolse per abbandonare tali studi:

Io, che era cominciato a tediarmi di questi intrighi teologici e che comin­
ciava ad avere in orrore studi sì turbolenti, e spesso sanguinosi, feci di
più: mi ripresi i miei manoscritti, e deliberai fermamente di non pensar
più a queste materie: quinci per qualunque richiesta e offerta ch’io aves­
si da Roma e da Venezia, non volli mai più dargli1.

Presentatosi favorito al concorso di teologia, ne era stato dunque escluso a


causa di una denuncia inquisitoriale, che portò alla nomina ad tempus, per

1 A . GENOVESI, Autobiografia, in Autobiografia, lettere e altri scritti, a cura di G . SAVA-


RESE, Feltrinelli, Milano, dicembre 1962, 29.

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dispaccio reale, del p. Bonaventura di Ducenta, minore osservante, il 4 set­


tembre 1748, ma per G. la vicenda non era ancora risolta, dato che egli non
solo pensava di pubblicare gli Elemento,, ma di potersi anche togliere la sod­
disfazione di confondere gli avversari con tale pubblicazione. A tal proposi­
to non esitava a richiedere il permesso di stampa, dimostrando con ciò la fi­
ducia nella irreprensibilità della sua dottrina, fiducia evidentemente non
condivisa dai censori, che gli negarono tale permesso in base ad alcune se­
gnalazioni giunte alla Santa Inquisizione. Lo sforzo autocensorio prodotto nel­
la speranza di stampare l’opera non aveva reso il testo accettabile secondo i
censori. Il caso si giocava sul crinale fra le contestate improprietà terminolo­
giche e il suo metodo “ temerario” , e certa pretestuosità dei suoi accusatori.
L’Arcivescovo Spinelli gli chiese di desistere, e fu così che il G., per non
arrovellarsi e immalinconirsi inutilmente com e aveva fatto il Vico allorché
s’era visto bocciare la sua candidatura alla cattedra di diritto, decise di cam­
biare rotta di studi e di non trattare più ex professo di teologia. Con tale d eci­
sione G. non rinunciava affatto alla ricerca e al metodo in ambito teologico,
né alla critica, all’ermeneutica, alla filosofia della storia, alla logica, bensì al­
la tradizionale carriera accadem ica e alla visibilità che da questa scaturiva.
G. d ’altra parte dimostra, contrariamente a quello che fa intendere nella
sua Autobiografia, di non aver mai abbandonato la ricerca teologica: in un
corposo volume apparso nel 1972, e im prescindibile per la conoscenza del­
l’Abate di Castiglione e dei suoi Elemento,, Paola Zam belli ha reso noto di
aver scoperto che si sono conservati almeno cinque manoscritti dell’opera,
con piccole varianti tra loro, e che la versione postuma, pubblicata dal d i­
scepolo Dom enico Forges Davanzati a Venezia nel 1771, pone un problema
critico, perché sarebbe basata su un manoscritto napoletano, e i vari mano­
scritti antecedenti, probabilmente non conosciuti dal Forges Davanzati, m o­
strano una certa evoluzione del testo: G. aveva preparato il testo come un
trattato, o piuttosto com e una dispensa per gli studenti, e ci era ritornato più
volte durante gli anni, il che lascia pensare che le ricerche teologiche gli
siano state care per tutta la vita. La struttura dell’opera com incia nel 1742,
è sostanzialmente stabilita nel 1744-17 45, e pur arricchendosi di nuovi
brani non conoscerà sostanziali mutamenti nelle redazioni successive2.

2 Cf. P ZAMBELLI, La formazione filosofica di Antonio Genovesi, Morano, Napoli 1972,


437-475. GIUSEPPE M a r i a G a l a n t i {Elogio storico del signor abate Antonio Genovesi, pub­
blico professore di civil economia nella Università di Napoli, con Licenza de Superiori, Na­
poli 1772, 92, n.14) affermerà di essersi affaticato a lungo nel convincere il G . a pubbli-

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Gli elementi di critica

Conosciamo gli elementi di critica mossa nei confronti del G. soprattutto


dalla sintesi ch e viene operata dal Galanti nell5Elogio storico del 1772 e dal
successivo e anonimo pam phlet, di probabile provenienza romana3, dal ti­
tolo Lettera critica su g li elementi teologici dellAbate D. Antonio Genovesi
del 1773.
Nella sintesi operata dal Galanti si percepiscono accenni di polemica, e
questo in qualche m odo provoca il successivo pam phlet, ciononostante ri­
sulta accurata nel suo resoconto. Lasciamo parlare direttamente il testo:

I. L’abate Genovesi ne’ prolegomeni delle sue istituzioni chiamò i


luoghi teologici: fontes ex quibus manant universae Theologiae
principia. Fra questi fonti mise egli i principj della ragion natura­
le, o sia della facoltà ragionatrice, per mezzo della quale noi mol­
te cose di Dio possiamo ottimamente conoscere e sapere, come
l’onnipotenza, la provvidenza, e molti de’ Divini attributi, le leggi
naturali, i principj della Morale, e cose sì fatte. L’abate Genovesi
sosteneva, che questi principj della ragion naturale, i quali certa­
mente sono la base e il sostegno della Rivelazione, dovevano te­
nersi così certi e sicuri, quanto si tenevano certe e sicure le cose
stesse da Dio rivelate. Il canonico Perrelli all’incontro, il quale era
un vero teologo [nota 12: questo è detto qui come altrove per irri­
sione...] e riguardava per conseguente la ragione umana per una

care il suo manoscritto, ma egli non aveva intenzione di riprenderlo in mano perché, a suo
modo di vedere, era passato molto tempo e il testo avrebbe avuto bisogno di una comple­
ta riscrittura, dal momento che c ’era stata un’evoluzione nel suo modo di pensare. I più
acuti ricercatori notano che l’abbandono della teologia, e il successivo passaggio dall’es­
sere «metafisico» all’essere «mercktante» nel Genovesi non si pone in termini di frattura,
come vorrebbe la vulgata del Galanti (e forse dello stesso Genovesi). SAVERIO Di LISO, in
un recente volume (Antonio Genovesi metafisico e mercatante, Aracne, Roma 2016, 137-
184), propone una continuità: segnaliamo, questo libro anche per una messa a punto del­
la bibliografia sul G.
3 Lettera critica su gli elementi teologici delVabate D. Antonio Genovesi, 1773, Con Li­
cenza de’ Superiori [il pamphlet è stato digitalizzato all’interno del progetto Google-BNCF
(CF 000327417) https://ia600401.us.archive.org/21/items/bub_gb_ziVU0yf_228C/bub_
gb_ ziVU0yf_228C.pdf]. ZAMBELLI, La formazione filosofica di Antonio Genovesi, nota 42,
447-449.

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falsa guida, sosteneva esser questa proposizione manifestamente


erronea. E da ciò ancor traeva dritto argomento, che l’Abate Ge­
novesi stabiliva la ragion naturale per norma delle Scritture.
IL L’abate Genovesi rispondendo a’ Calvinisti sul misterio dell’Euca­
ristìa, i quali dicono, che il Corpo di Cristo esistendo indivisibil­
mente non possa perciò essere un vero corpo, ogni corpo essendo
essenzialmente esteso, scrisse così: Corpus Chrìstì non esse sub in­
divisibili extensionis. Sosteneva dunque egli, che sebbene le leggi
fisiche debbano riguardare i corpi naturalmente esistenti, e non
già quelli che soprannaturalmente esistono, pur nondimeno il
Corpo di Cristo comechè non abbia formale estensione, esiste, non
per tanto sempre sotto una estensione di spezie divisibili, che so­
no la materia consacrata; dappoiché in natura noi non postiamo
ammettere nè concepire l’inestenso corporeo. Il canonico Perrelli
avendo per massima, che i misterj della fede debbano esser con-
trarj a’ principj della ragione, ne inferiva da tutto questo, che l’a­
bate Genovesi negava la presenza reale.
III. Si apponeva all’abate Genovesi aver scritto, che la Profezìa d’I-
saia: Ecce parturiet virgo, et vocabitur nomen ejus Emanuel con­
tenga due oggetti, cioè il Messia e il figliuol d’Isaia, non ostante
che di questa sentenza sieno stati il Calmet, Cornelio a Lapide, il
Bossuet, e altri teologi della nostra Comunione, senza contare il
Grozio di squisita letteratura. <
IV. Il canonico Perrelli trovò lo stile e la frase del signor Genovesi
niente cattolica; perciocché adoperava un linguaggio più puro di
quello che si usava nelle scuole, e dagli altri teologi. Il metodo te­
nuto dall’abate Genovesi fu da lui chiamato metodo de’ Protestan­
ti, perchè vi vedeva seguito l’uso de’ geometri. Una delle espres­
sioni che il Perrelli chiamava linguaggio de’ Pretestanti, era il no­
marsi il sagramento del battesimo Symbolum Christianae fidei.
Questa parola Symbolum, che qui significa segnale di distinzione,
e quest’altra fid ei che dinota professione di tutta la dottrina cri­
stiana, eran prese dal Perrelli per un segnale atto a destar in noi
la fede giustificante. Un’altra frase protestante era di aver l’abate
Genovesi chiamato i sagramenti instrumenta fidei Christianae, e
instrumenta gratiae.
V. La quinta eresia dell’abate Genovesi era di aver interpretato il ca­
pitolo nono della pistola a’ Romani di S. Paolo secondo il sistema

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della grazia congrua e universale in pregiudizio della grazia par­


ticolare, della grazia ausiliante, e della grazia santificante. Si op­
poneva al canonico Perrelli da alcuni teologi della Congregazione,
che questa opinione non essendo dannata dalla Chiesa, anzi dife­
sa da tutti i teologi gesuiti, non era perciò da reputarsi erronea. A
questo però rispose il piissimo Canonico dicendo: che la Chiesa
tollerava questa sentenza per politica, ma che non si poteva dubi­
tar poi, ch’ella non fosse effettivamente eretica. E il Cardinale
soggiunse, che il canonico Perrelli era un vero teologo.
VI. Aveva scritto l’abate Genovesi, che la tradizione era stata la rego­
la, onde gli Ebrei interpretavano il vecchio testamento. Fra Γaltre
cose aveva egli detto: confirmatur ex eo, quod quaedam in veteri te­
stamento Prophetiae, quae secundum litteram non videntur ad
Christum referri posse, Apostoli apud Haebreos de Christo confiden­
tissime usurpabant ec. In queste parole il Perrelli trovò tre abomi­
nevoli errori. Primamente voleva che il signor Genovesi negasse le
profezìe letterali di Cristo, prendendo la parola quaedam per tutte.
Due altri errori l’ottimo canonico trovò in queste altre parole: con­
fidentissime usurpabant. E prendeva la prima in significato di sfac­
ciatissimamente, e la seconda in senso di pigliar per forza e senza
ragione ancorché per la proprietà del latino linguaggio, e per lo
contesto delle parole significassero costantemente e spesso usavano.
VII. Si voleva, che l’ abate Genovesi negasse la cattolicità della Chie­
sa, perchè diceva, che la Chiesa di Cristo in sul principio non fu
cattolica. Il canonico Perrelli, il quale, siccome da ciascuno si è
potuto vedere, era un bravo teologo, sosteneva per l’opposito, che
la Chiesa sempre è stata cattolica, ancorché effettivamente non
universale, perciocché ella è stata sempre cattolicapotentia et vir-
tualiter.
Vili. Si voleva, che l’abate;Genovesi fosse un deista spacciato, perchè
parlando della Chiesa, aveva scritto, ch’ella era infallibile nelle
cose di fede e di morale, ma non già nelle cose filosofiche ed iste­
riche non connesse con quelle: Fra le altre cose scritte a questo
proposito dell’abate Genovesi era questa: Nam sicut Spiritus
Sanctus Prophetas et Apostolos non docuit9 nisi res ad religionem
necessarias, caeteras vero commisit disputationi hominum, ut ait
Salomon; ita Spiritus Sanctus in primis tantum rebus Ecclesiae
suae praesentissimus adest. Si voleva da ciò inferirne, che l’abate

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Genovesi negasse l’ispirazione della Scrittura, e che volesse re­


stringere l’impero di Dio, empiamente presumendo esser umano e
soggetto alla ragione tutto quello, ch’era fuori de’ stretti termini
della fede. Il canonico Perrelli aveva ragione: egli zelava per l’im­
pero della Teologìa.
IX. Si voleva in oltre, che l’abate Genovesi fusse un calvinista, che so­
stiene esser la Chiesa de’ soli Santi § predestinati, escludendone
i peccatori, e ciò per aver egli scritto, che i peccatori ostinati pri­
ma d’essere scomunicati sono del corpo della Chiesa, sebbene
non animati dal suo spirito.
X. Finalmente1che l’abate Genovesi era apertamente tinto d’eresia,
perciocché combatteva la-potestà regolatrice della Chiesa avendo
detto: jus Pastorum cogens necessitatem tantum conservandae Re-
ligionis spectat; eaque terminatwA.

Per ora lasciamo da parte il fatto che molte delle obiezioni che vengono fat­
te risultino ridicole e, al contrario delle intenzioni del Perrelli, fanno risalta­
re piuttosto la grandezza del pensiero del G.; notiamo che un anno dopo la
pubblicazione di quest’opera apparve il già citato pamphlet anonimo, dal ti­
tolo Lettera critica su gli elementi teologici dell’Abate D. Antonio Genovesi. La
lettura di questo piccolo libro mostra chiaramente che il dibattito sull’opera
teologica del G. non si è ancora spento e punta a destituire di valore anche
il Galanti, che, a causa de\VElogio storico del signor Abate Antonio Genove­
si,, pubblicato a Napoli nel 1772, e della franchezza in esso contenuta, si ve­
de attribuire dall’anonimo autore l’epiteto «zucca vuota»4
5.
Il G. viene ritenuto dall’ anonimo come «presuntuoso, superbo, e temera­
rio all’eccesso; asserendo, che secondo il di lui giudizio la sua dottrina, IL
SUO NUOVO, E LIBERO ESSERE PENSANTE [in maiuscolo nell’origina­
le], dovea anteporsi a qualunque altro di ogni secolo; e che secondo lui i
più ragguardevoli Soggetti di codestaCittà [...] erano o furbi, o ignoranti, o
poco Cristiani, o superstiziosi, o ambiziosi, o che so io » 6. Qui in sintesi si
evidenzia dove il pensiero del G. era ritenuto maggiormente pericoloso: egli
si muoveva com e teologo libero da dogmatismi e dipendenze di tipo strut­

4 G a l a n t i, Elogio storico, 84-90.


5 Lettera critica su gli elementi teologici dell abate D. Antonio Genovesi, 9.
6 Ibid., 10.

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turale. Pur essendo un uomo di Chiesa, si sentiva libero di riflettere e tal­


volta anche di porre obiezioni a un certo modo inveterato di ragionare teo­
logicamente, muovendosi con molta difficoltà all’interno di ambienti in cui
Yauctoritas veniva prima delYintelligentia.
Uno dei primi argomenti mossi contro il G. riguarda le sue idee circa «le
due potestà nella società Cattolica» e i rapporti tra loro intercorrenti. Per
G. è chiaro che non c ’ è una potestà superiore all’ altra, ma sono tra loro
subordinate, si aiutano vicendevolm ente, e non possono dirsi contrappo­
ste: una posizione di conciliazione, dunque, di pacificazione, che non ri­
usciva intellegibile all’ interlocutore. D’ altra parte, dice l’autore del
pam phlet, il G. del 1748 era ancora ragionevole, «non ancora si era fatto
schiavo del libero pensare d e’ protestanti, o per dir m eglio di tanti indegni
scrittori Deisti, Indifferentisti, Naturalisti, e simili, stava ancora su l ’orlo
del precepizio in cui c a d d e »7.
L’ anonimo autore contesta al G. di giudicare storicamente i Papi (Zac­
caria e Gregorio II) con metodi diversi e di non rispettare il doveroso os­
sequio verso la Sede Apostolica. Contesta l’ uso che il G. fa delle opere di
autori protestanti, quali Grozio, Pufendorf, Barbeyrac, che addirittura ri­
sultano più importanti di S. Agostino; comunque la questione che qui vie­
ne invocata, sulla liceità dei mendacia officiosa risulta discutibile, ed at­
tende una posizione da parte della Chiesa («hac in re Ecclesiae judicium
esset expectandum» voi. I, p. 2 4 3 )8. Nelle pagine successive (27ss.) conti­
nua sullo stesso registro su un’altra questione che all’ anonimo autore ri­
sulta di rilevanza capitale: la liceità dell’usura. Le argomentazioni del G.
vengono presentate soltanto per essere messe in ridicolo, e sostenere che
egli non basa le sue riflessioni sulla Scrittura e sul Magistero, ma su auto­
ri segnatamente protestanti. Se poi questi autori abbiano opinioni ragione­

7 Ibid.915-16.
8 La migliore spiegazione sarà data dallo stesso G. nella Diceosina nel 1766: «Io non
credo che il mentire sia mai lecito, da convenire al perfetto savio e virtuoso: e tuttavolta
quando non vi fosse offesa nessuna de’ diritti de’ privati, o del pubblico, né del rispetto,
che si dee alla Divinità, niun pericolo di cattive conseguenze, salvar a questo modo la vi­
ta, l’onor di un uomo, o d’una famiglia, un grande scandalo, o la quiete della patria, mi
parrebbe peccato meritevole di compassione e perdono, e magnanima menzogna, come
Tasso chiama quella di Sofronia. Beati coloro, che possono far del bene senza la minima
macchia di difetto; io animale ignorante e debole, come potrei pretenderlo senza temeri­
tà?», Diceosina, o sia della Filosofia del giusto e dell’onesto, Modesto Fenzo, Venezia 1780,
Libro I, Cap. IX, §37, 218-219.

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voli, questo non viene preso in considerazione, anche perché in altra dire­
zione si era pronunciata re n ciclica Vix pervenit di Benedetto XIV, datata
1° novembre 1745.
L’anonimo autore ancora attribuisce al G. com e problematica la tesi e c­
clesiologica che «i peccatori benché sono membri privi di anima, qual’è la
carità; pur tuttavia sono nella Chiesa, perché in essi ancora vive la radice
della vita, c h e la fed e». La quale tesi, in qualche maniera è riconducibile
alle elaborazioni di S. Agostino contro i Donatisti, ma l’anonimo autore in­
siste sul fatto che la separazione dell’uomo peccatore è in qualche modo
uno scisma visibile dall’ esterno.
Le obiezioni presentate vertono sostanzialmente su due punti: l’uso delle
fonti e della ratio filosofica; il rispetto dell’autorità, e la sottomissione ad es­
sa. Quest’ ultimo punto risulta la chiave di comprensione di una carriera teo­
logica che, purtroppo, non si è potuta sviluppare, perché mossa da una vo­
cazione pedagogica che si realizza in un metodo d ’ insegnamento dinamico,
in cui l’ampliarsi dell’orizzonte culturale del Maestro sollecita e promuove
l’apprendimento, in interazione costante con i giovani. Proprio loro, infatti,
sono l’obiettivo costante delle meditazioni del G.: rilevanti, a questo propo­
sito, le Meditazioni filosofiche sulla religione e sulla morale pubblicate nel
1758, dove tenterà un com pendio di teologia filosofica, con riferimenti alla
cosmologia newtoniana, e di etica, contro le inclinazioni oziose, con un mo­
dello di operosa vita felice. Se il tomismo aveva messo in valore la felicità
naturale, illuminata non annientata dalla grazia, nel secolo del G., la felici­
tà umana non risultava soltanto un problema a proiezione dianoetica, a sfon­
do ascetico e da modulare rispetto alla superiore felicità eterna: individui e
masse chiedevano di esser felici, o meno infelici, grazie a sempre più larghi
comodi materiali, riparo dai mali naturali e sociali. La felicità in questa vi­
ta diventava un problema politico, probabilmente anche religioso, perché la
domanda della prima rischiava di oscurare la via per la seconda.

Ripercorrendo gli Elementa

Il manoscritto degli Elementa fu pubblicato postumo a Venezia nel 1771, e


ristampato in varie edizioni9. L’ opera è scritta in un latino semplice e pun­

9 Universae christianae theologiae elementa dogmatica, historica, critica è il titolo com-

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tuale e non è mai stata tradotta in italiano. Per questione di praticità gli Eie-
menta si presentano in due tomi, che si suddividono in una introduzione
(prolegomena) e in VII libri. Anzitutto presentiamo gli indici:

Prolegomena
Cap. I De Natura Theologiae generatim. Cap. II Conspectus Chronolo-
gicus Historiae Sacrae ab Orbe condito ad nostra usque tempora, quo
Historia Theologiae illustratur. - Anni Mundi —Anni Christi.

Liber I: De Germanis Theologiae Christianae principiis, eorumque


Characteribus, et pondere.
Cap. I De Librorum Sacrorum Canone et Versionibus. Cap. II De Libro-
rum Sacrorum genuinitate. Cap. III De Librorum Canonicorum divinita-
te. Cap. IV Deistarum objectiones contra libros Novi Testamenti diluun-
tur. Cap. V In quo eorum argumentis respondetur, qui Veteris Testamen­
ti auctoritatem aut evertere, aut elevare conantur. Cap. VI De Traditioni-
bus. Cap. VII De Revelationis divinae interpretatione legitima. Cap.
V ili De Ecclesiae, Conciliorum, et Patrum auctoritate in re Theologica.

Liber II: De Deo Uno et Trino.


Cap. I De Natura Dei. Cap. II De praecipuis Dei proprietatibus, et pri-
mum de illis, quae ei tanquam enti conveniunt. Cap. Ili De proprieta­
tibus Dei spiritualibus, et primum de intellectu, et scientia. Cap. IV De
iis, quae ad voluntatem Dei pertinent. Cap. V De iis Dei proprietatibus,
quae illi tanquam enti indipendenti tribuuntur. Cap. VI De Trinitate.

Liber III: De rerum Creatione.


Cap. I De universi corporei creatione. Cap. II Hexaemeron, seu de Ope-
ribus sex dierum. Cap. Ili De Statu primorum hominum integro. Cap.
IV De Statu hominis cortupto. Cap. V. De Angelis.

Liber IV: De Rerum Gubernatione, et Providentia Divina.


Cap. I De Providentia, qua Deus Universum gubernat. Cap. II De Jure
aetemo, et naturali generatim. Cap. Ili De Statu hominis naturali,

pleto: in questa sede ci serviamo della prima edizione del 1771 per il primo volume e del­
la terza edizione del 1787 per il secondo volume, pubblicate a Venezia per i tipi di Gio-
van Battista Pasquali [Elemento].

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deque officiis, quae in eo statu ex Jure naturali manant. Cap. IV De


Hominum societate, et de officiis, quae in eo statu ex jure aetemo
fluunt. Cap. V. De Officiis hominis adversus hominem hypotheticis. VI.
De Legibus Dei positivis, et primum de vetustis. VII. De legislatrice
humana facultate, ejusque vi. Vili. De Legum divinarum fine, praemio,
et poena, et de Lege Evangelica. IX. De Peccati natura. X. De Peccati
speciebus.

Liber V: De Religione, et Superstitione.


Cap. I De Religione, et superstitione generatim. Cap. II Statuitur reli­
gio naturalis. Cap. Ili De Ethnicorum Religione. Cap. IV De Religione
Hebraica. Cap. V De Muhammedana Religione. Cap. VI De ventate
Religionis Christianae. Cap. VII De sectis, quae Ecclesiam Christia-
nam a Luthero discerpserunt; deque earum falsitate. Cap. VIII De Ro-
manae Ecclesiae veritate. Cap. IX. De externo catholicae Ecclesiae
cultu, et primum de cultu Imaginum Dei. Cap. X Angeli Dei et in se
adorari possunt, et in Imagine. Cap. XI Beati coli possunt cultu religio­
so. Cap. XII Imagines Sanctorum religiosum cultum merentur. Cap.
XIII De Invocatione Sanctorum.

Liber VI: De mediis, quibus vera Religio obtinetur, et servatur.


Cap. I Quod Deus velit omnes homines salvos fieri, quodque media sa-
lutis revelaverit, et praestiterit. Cap. II De aeterna hominum Praedesti-
natione, et reprobatione. Cap. III De Gratia Divina. Cap. IV Christiana
dogmata circa Gratiam Dei statuuntur, et errores confutantur. Cap. V De
Justificatione. Cap. VI De Christo, et primum de ejus Divinitate. Cap.
VII De praecipuis Mysterii Incarnationis proprietatibus. Cap. Vili De
satisfactione Christi. Cap. IX De Sacramentis generatim. Cap. X De ef­
ficacia, effectibus, et ratione administrandi Sacramenta Evangelici foe-
deris. Cap. XI De Baptismo, et Confirmatione. Cap. XII De Sacramen­
to Confessionis, et de Indulgentiis. Cap. XIII De Eucharistia, et Unc-
tione Infirmorum. Cap. XIV De sacra Ordinatione, et Ecclesiastica Hie-
rarchia. Cap. X V De Matrimonio.

Liber VII: De altera vita.


Cap. I De animorum natura. Cap. II De statu Animorum post mortem.
Cap. Ili De Orbis conflagratione, resurrectione corporum, Chiliasmo, et
Judicio extremo. Cap. IV De Morte Aetema; et de Vita Aetema.

187
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Armando Genovese

11 trentacinquenne G. presentava all’attenzione della riflessione teologi­


ca una riflessione sintetica, che non rifuggiva dalla filosofia, anzi ne face­
va il suo punto di forza: per l’Abate di Castiglione non era importante sol­
tanto mandare a memoria dei princìpi catechetici, ma fare propria la Rive­
lazione cristiana con quanto all’uomo è più proprio, ovvero la ragione. Es­
sa veniva a costituire il quarto fon s della Teologia, o il primo se si preferi­
sce, insieme alla Scrittura, alla Tradizione e al Magistero. Si capisce senza
difficoltà che un atteggiamento del genere, peraltro basato sulla compren­
sione dell’Incamazione, non doveva risultare" facilmente digeribile, tanto
più che il G. non aveva problem a — ed è una delle obiezioni che gli vengo­
no mosse - a fare uso di tale ragione, e si serviva a questo fine anche di te­
sti di matrice protestante. Una rapida lettura degli Elemento, conferma que­
sta obiezione, nel senso che G., uomo di mente aperta, cercava spiegazioni
e conferme là dove la teologia non gli sembrava fornirgliene abbastanza.
D’altra parte G. chiama teologia «cognitionem earum rerum, quae cum pri­
mis ad Dei naturam, et operationes; tum vero ^quoque ad Religionem, seu
cultum ab homine Deo debitum pertinent»10*.
Notiamo da subito la preoccupazione di distinguere la Teologia, che è
una riflessione umana su D io, dalla Religione, che appartiene piuttosto al
culto dovuto a Dio. G. si premura di specificare che la Teologia non è sol­
tanto una scienza teoretica, quasi a soddisfare una curiosità umana, bensì
in sommo grado pratica ed etica, «quae hominum erga Deum officia, et ra-
tionem, atque viam, qua cum eo in gratiam redire possimus, demonstrat»11.
E cco perché, continua, si parla di scientiasalutis, pietas, cognitio veritatis.
Lo sforzo etico del G. è un’esigenza evidente fin dalle prime battute del
trattato, e sarà lungo il corso della sua esistenza un chiaro punto di riferi­
mento12. Del resto, forse anche per esperienza personale, egli non apprezza­

10 Elemento,, Cap. I, §1, voi. I, 1.


n Ibid.92.
12 Si veda l’introduzione alle celebri Lezioni di commercio: «Comechè tutte le Scienze
sieno utilissime, e degne di essere fervorosamente coltivate, conciossiachè tutte sieno or­
dinate ad accrescere, e perfezionare il fondo della ragione, primo e principal’ istrumento
della vita umana, e d’ogni suo bene; quelle nondimeno, dopo le divine contemplatrici del­
la prima Cagione, e dimostratoci dell’eterna felicità, sono, stim’io, più da commendare, e
seguire, e coltivare, le quali più da vicino risguardano e intendono alla presente comodi­
tà e tranquillità nostra. Tra queste per comun sentimento de5 Savj in primo luogo e mae-
stevole sono da collocar quelle, che Etiche i Greci, e noi Scienze morali chiamiamo: im­
perciocché elleno più dappresso, che l’altre non si fanno, l’occhio tengono e provveggono

188
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La teologia come prassi di comunione negli Universae Theofogiae Elem enta

va le sottili dispute teologiche e assegnava alla teologia un compito pratico


di educazione e di riforma morale. Per lui la sostanza del Vangelo era amo­
re, e la religione cristiana amore di Dio, pratica del bene ed educazione del
genere umano. Per tale motivo asseriva: «Perché quando la teologia non ten­
de a far gli uomini più giusti, più moderati, più umani, meno confidenti nel­
la presente vita, più nell’altra e vera; quando non tende ad unire non per for­
za, ma per amore, tutto il genere umano, è o inutile o nocevole»13.
Buona parte dei prolegom ena sono impegnati in una chronologia, seu
temporum ratio, ch e il G. ritiene necessaria per contestualizzare la rifles­
sione teologica alPintemo della storia. Si tratta di una sintesi molto sempli­
ce, quasi ingenua, ma sufficiente per arrivare alla conclusione che «Chri-
stiani Theologi ad profundius Sacrarum rerum studium convertuntur. Lin-
guae primigeniae Sacra, profanaque historia, Patrum monumenta diligen-
tius versantur: aucta hinc Theologia. Sed non defuerunt decora ingenia, qui
res istius temporis literarias egregie praescripserunt»14.

* * *

Dal primo libro il G. entra decisamente nella riflessione, presentando i


due princìpi della teologia, ossia il lumen revelatum e il lumen naturale.
La Rivelazione è costituita sostanzialmente dalla Sacra Scrittura, e si ri­

a i nostri costumi e bisogni. In fatti queste scienze per ogni verso mirano alla miglioria
dell’uomo», A. GENOVESI, Delle lezioni di commercio o sia d’economia civile, Parte prima
pel primo semestre, appresso i Fratelli Simone, Napoli 1765, Proemio, 1.
13 Id., La logica per li giovanetti, Società Tipografica de’ Classici Italiani, Milano 1835
[1766], libro V, § XV, 250.
, 14Elementa, Prolegomena, Cdp. II § 5,40. «Genovesi sostiene - parallelamente a New­
ton - una cronologia tradizionalmente breve, 4004 anni fra la creazione del mondo e la
nascita di Gesù Cristo, ma mostra di conoscere i frequenti dissensi sull’argomento. Distin­
gue poi, sempre in modo tradizionale, le tre epoche ammesse dai teologi: “ prima est legis
naturalis, secunda legis mosaicae, tertia legis Evangelicae” . [...] E interessante sentir
enunciare come un principio quest’orientamento storico, riscontrabile in tutte le opere di
questi anni, che Genovesi - seguendo la consuetudine del suo maestro Nicola di Martino
e di molti contemporanei - apre di norma con dei prolegomeni che, fanno il punto sulla
storia della disciplina studiata. Qui assai presto si riconosce se non l’accettazione, alme­
no l’attenta considerazione del punto di vista vicinano», ZAMBELLI, La formazione filosofi­
ca, 509-510. Genovesi risulta uno dei più attenti, intelligenti e rigorosi lettori di Vico, in­
dubbiamente il più acuto fra i contemporanei immediati: «Certo impedirà d’ora in poi di
ripetere che “ rarissime e spesso insignificanti siano le citazioni e i ricordi di Vico nell’o­
pera di Genovesi” (Venturi)» ibid., 558.

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flette sul Canone della Scrittura, sulle traduzioni, suiraffidabilità dei testi
da un punto di vista filologico, sulla divinità dei libri della Scrittura con­
tro i Deisti, ossia se tali libri presentino la Parola di Dio: la conclusione è
la seguente:

Constai [...] libros Novi, Veterisque Testamenti divinos esse, atque id-
circo certa suppeditare Theologo argumenta, ad fidem, moresque sta­
tu en dosi

Tralasciando le diverse pagine in cui il G. confuta i Deisti e le loro criti­


che alla presunta coerenza e alla concezione fatalistica stoicheggiante del
Nuovo Testamento e all’ autorità dell’Anticó Testamento, sostanzialmente
notiamo che dal cap. V I si passa alla trattazione sulle Tradizioni, sulla R i­
velazione, sull’ autorità della Chiesa, dei Concili, dei Padri in materia teo­
logica. Il G. mostra di conoscere perfettamente tanto la posizione cattolica,
quanto le obiezioni protestanti, e risulta in qualche modo infastidito dalle
discussioni che nascono da questa attitudine, perché gli risultano sterili e
non produttive quanto all’obiettivo della ricerca del Regno di Dio, o Regno
dei cieli, o vita eterna, prospettata dal vangelo: «ad hoc vero Regnum, ne-
minem [Pater] aditum habere voluit, n,isi per fidem in Christum. Voluit
praeterea in Christiana fide initiari homines per Baptismum [...] Totum hoc
Regnum Dei [...] E cclesia vocatur, idest collectio credentium in Christum,
ejus doctrinam sectantium, et leges observantium»1 16. E la prassi concreta
5
che, a suo m odo di vedere, definisce l ’autqrità della Chiesa cattolica:

Ministrorum auctoritas in do cencio, et regendo, quam eis Christus con-


credidit regni ipse Fundator, et Rex, vocatur Auctoritas Ecclesiae Catho-
licae17.

Si tratta di un argomentò "ben noto agli studiosi dei Padri della Chiesa:
perché si abbia verità ecclesiale, qualunque riflessione teologica deve es­
sere riconducibile senza soluzione di continuità direttamente a Cristo, Fon­
datore e Re del Regno di Dio, altrimenti si ha la praescriptio di cui parla

15 Elementa, Cap. Ili, § 26, 74.


16 Elementa, Lib. I, Cap. V ili, §§ 2-3, 96-97.
17 Ibid., § 5, 98.

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La teologia com e prassi di comunione negli Universae Theologiae E/em enta

Tertulliano18. Quel che conta è il f i l rouge che riporta fino alPevento Cri­
sto. Da questo punto di vista, se si traccia una linea ideale che riporta dai
nostri tempi fino al fu n d ator et rex del Re^no, non c ’ è un tempo che sia più
importante di un altro, quel che conta è (èhe tale filo non sia interrotto. In
questa continuità temporale, tuttavia, non vanno trascurati i Padri della
Chiesa che sono più vicini al Cristo, pertanto migliori interpreti delle sue
parole:

Patres itaque ex triplici aspectu considerandi sunt. Scilicet vel spec-


tantur, ut testes traditionis, et Fidei suorum temporum; vel ut Scriptu-
rae Sacrae interpretes; vel ut privati doctores earum opinionum, quas
ipsi fovent, quasque ratiocinando ex revèlatione, vel recta ratione con-
vivare student19.

* * *

Il secondo libro tratta ex professo di D io, uno e trino: che cosa significa
parlare di Dio, la differenza tra riflessione su Dio che parte da un approc­
cio filosofico, e riflessione che parte dalla rivelazione. L’atteggiamento ri­
spetto alla nozione di Dio viene esplicitato in questo modo:

Deum vocamus mentem aeternam, ab omni materiae concretione segre-


gatam, perfectissimam, sapientissimam, ac potentissimam, sibi ad bea-
titudinem sufficientissimam; eorum praeterea, quae sunt, aut possibilia
sunt, causam. Haec est Dei notio apud eos omnes, qui de Deo dispu­
tane seu Deum esse statuant, qui Theistae appellantur, seu negent, qui
Atheistae dicuntur20.

18 De praescriptione haereticorum, 20, citato al § 15, 102. «Di fronte a posizioni teolo­
giche rivaleggianti, che pretendevano tutte quante di essere valide, Tertulliano (adv. Marc.
4,4,1) si richiamò al principio cronologico: “ Io dico che [il mio vangelo] è quello vero,
Marcione dice che è il suo; io affermo che quello di Marcione è adulterato, Marcione af­
ferma questo del mio. Chi ci potrà dar ragione, se non la cronologia (temporis ratio) che
attribuisce l’autorità a quello che verrà trovato più antico, e predetermina la corruzione in
colui che sarà dimostrato più recente? In quanto, infatti, il falso è la corruzione del vero,
in tanto è necessario che la verità preceda il falso (praecedat necesse est veritas falsum)” »,
M. FlEDROWICZ, Teologia dei Padri della Chiesa. Fondamenti dellantica riflessione cristia­
na sulla fede, Queriniana, Brescia 2010, 425.
19 Elementa, Lib. I, Cap. V ili, § 35, 111.
20 Ibid., Lib. II, Cap. I, § 2, 116.

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Anche la negazione di Dio in qualche modo è un’ affermazione su Dio. G.


mostra di conoscere molta letteratura del suo tempo sul tema, e di non dis­
degnare i Padri della Chiesa, in particolare la praeparatìo evangelica di Eu­
sebio di Cesarea: «S cio, Eusebium Caesariensem in prioribus Praeparatio-
nis Evangelicae libris ita contendere, praeter Solem, Lunam, Astra, homi-
nes, aliasque naturae partes, nullum praeterea aliud Numen Gentes omnes
ad Christum usque agnovisse, Hebraeis exceptis»21. La conoscenza di Dio
più alta è quella che avviene per rivelazione e in questo senso bisogna ri­
conoscere, dice G., che è avvenuta anzitutto al popolo ebraico, per poi con­
tinuare con Cristo.
Segue un’analisi circa le proprietà di Dio e in particolare quelle proprie
dell’essere, poi dell’ intelletto è della conoscenza. Gli argomenti del G. so­
no tradizionali, non privi ogni tanto di spunti originali, ad esempio quando
spiega che le proprietà di Dio in nessun modo im pediscono le capacità del­
l ’uomo, anzi tale «indipendenza» in qualche m odo dimostra il fondamento
delle une e delle altre:

Necesse autem est primum omnium, ut libertatis nostrae radicem, et na-


turam investigemus. Est autem libertatis nostrae radix intellectio: hac
non existente, nec libertas exiétit. Determinàtiones igitur voluntatis in in-
tellectionibus rationem habent suffìcientem. Porro est libertas nostra in
hoc posita, ut faciamus quod volumus; velie autem non possumus, nisi
quod intelligimus, et quia intelligimus, et prout intelligimus. Quoniam
ergo praescientia Dei, imo et voluntas Dei nobis intellectionem non au-
ferunt, neque efficiunt, ne voluntates nostrae in intellectionibus habeant
rationem suffìcientem, et ne opera nostra effectus sint voluntatum nostra-
rum; intellectio, et voluntas Dei voluntati nostrae nullo modo offìciunt22.

G. si domanda se obiettivamente si possa parlare di Dio e delle sue pro­


prietà senza rischiare antropomorfismi, e proiezioni non soltanto di pensie­
ri umani, ma anche di desidèri ed aspettative. In questo senso è fortemen­
te debitore dell’approccio piesente nel D e Trinitate agostiniano, dove mol­
te categorie umane vengono usate per la com prensione del mistero di Dio.
D ’altra parte, nota il G., è sulla realtà della Trinitas che viene fuori il pro­
prio del cristianesimo e della teologia:

21 Ibid. § 4, 118.
22 Ibid., Cap. Ili, § 10, 136.

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La teologia come prassi di comunione negli U nivérsae TheoJogiae Elem enta

Deum unum esse, et unicum in superioribus demonstravimus. Sed in


una illa individua Divinitatis substantia tres esse personas realiter dis-
tinctas, Patrem, Verbum, et Spiritum S^nctum, capitale est Christianae
Religionis dogma232
.
5
4 ^

Si passa da questo momento all’ambito rivelativo, formalizzato nella pa­


rola dogm a, laddove la ragione umana può soltanto accogliere il dono di
Dio e riflettere in maniera coerente su di esso. Q. riporta con precisione tut­
te le discussioni teologiche e conciliari dell’antichità, le questioni riguar­
danti i concetti di natura, sostanza, persona, ipostasi, relazioni ed altro,
contemplando il dogma com e im prescindibile punto di riferimento.

* *

Il terzo libro degli Elementa è dedicato alla creazione. Il G. divide la trat­


tazione in due parti: nella prima intende mettere a tema la creazione dell’u­
niverso fisico, i sei giorni della creazione, l’uomo, nel suo stato antelapsario
e postlapsario; nella seconda parte mette a tema la creazione degli spiriti an­
gelici. G. avverte che s’incontrerà abbondante materiale excogitandi, inter-
pretandi et disputando. Per i filosofi, generalmente parlando, vale l’argomen­
to che ex nihilo nihil fieri p ossiO , mentre per gli Ebrei e i Cristiani appartie­
ne alla domanda sulle cause e alla Rivelazione, il dogma che il mondo sia sta­
to creato da Dio. A questo scopo esamina il racconto biblico dei sei giorni, e
cerca in ogni modo di conciliarlo con le scoperte scientifiche, Copernico in
primis, poi Pico della Mirandola e altri, con interessanti nawetés.
Segue una importante discussione sullo statum integritatis et innocentiae
dei protoparenti prima del peccato e le conseguenze dello stesso, non sol­
tanto da un punto di vista personale (peccato, remissione* colpa), ma anche
da un punto di vista sociale: secondo G. la difficoltà a gestire politicam en­
te uno stato è indubbiamente una conseguenza del peccato. Questo non to­
glie in ogni caso la necessità di una gerarchia, anche nello stato futuro26.
Cerca di comprendere in cosa consista il peccato originale, quali ne siano
le conseguenze e combatte come calunnia l’idea che Agostino ne sia l’in­

23 Ibid., Lib. II, Cap. VI, § 1, 146.


24 Ibid., Lib. Ili, intr., 163.
25 Ibid., Cap. I, § 2, 164.
26 Ibid., Cap. Ili, 182-188.

193
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Armando Genovese

ventore («veteres, et putidae calumniae sunt istae, quas B. ipse Augustinus


pluribus in locis refellit»27).
An existant Angeli, seu Daemones è la domanda che accompagna l’ultima
parte di questo capitolo, «qualem habeant naturam, quaenam illorum vita,
quae officia, quae societas, quae com m ercia cum hom inibus»28. «Angelos
appellamus entia [...] sensibus nostris im pervia»29. La dottissima disserta­
zione che ne segue mira a presentare il pensiero ecclesiastico dalle origini
in merito agli angeli, il loro numero, le qualità, lo stesso si dica dei Demo­
ni: G. sembra sostenere la tesi che si tratti di angeli decaduti in un tempo
«ante-storico», che hanno un loro influsso allo scopo di impedire l’avvento
del Regno di Dio. L’ argomento non sembra interessare molto il G. che non
presenta alcuna ipotesi e si limita ad esporre il pensiero altrui.
ì
* * *

Nel libro IV si passa dalla considerazione su Dio come causa di tutte le


cose al governo delle cose stesse. Il modo per eccellenza con cui Dio gover­
na il mondo e se ne prende cura è la provvidenza: cura rerum a Deo profec-
ta, per usare le parole di Nemesio nel De natura hominis, cap. 4 3 30. La
provvidenza non si sovrappone al corso naturale delle cose che va indaga­
to con gli strumenti della Metafisica, della Fisica e della Teologia. Da un
punto di vista metafisico, va tenuto presente che «universum a Deo est fac­
tum juxta exemplar Universi intelligibilis aetem i»31. Ci sono poi argomen­
ti fisici «quae desumi solent ex aequabili motu corporum coelestium; ex
causarum seriebus non interruptis; ex rerum finibus; ex structura pianta-
rum, et animantium, praecipue vero hominis; ex ipsis hominum societati-
bus; tandem ex Religionis divinae cu ra»32. C’è infine un argumentum ex
causarum serie, che potremmo definire filosofico-teologico33, insieme ad ar­
gomenti teologici strettamente detti provenienti dalla Rivelazione, che ven­
gono sottoposti a stretta critica logica, per arrivare a questa sintesi:

27 Ibid., Cap. IV, § 19, 197.


28 Ibid., Cap. V, § 1, 197.
29 Ibid., Cap. V, § 2, 198.
30 Cit. in Lib. IV, Cap. 1, § 1, 214.
31 Ibid., § 2 , 215.
32 Ibid., § 3 , 215.
33 Ibid., § 4, 216-217.

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La teologia come prassi di comunione negli U niversae Theologiae E lem enta

Respondemus, Deum ab aetemo omnia possibilia intellexisse, possibi-


liumque ordinem, eumque ordinem voluntate sua aetema, et immutabi­
li approbasse. In numero horum possibilium, et in ordine ilio aeterno
erant Mundi nostri individua, et horum individuorum natura, et ordo34.

Qualcuno potrebbe obiettare che a questo punto sia inutile pregare, ma


il G. osserva:

Ad preces quod spectat, et vota, respondemus, in ordine aeterno scrip­


tum esse non solum id, quód Deus ex benignitate sua nobis largitus est;
verum etiam id, quod Deus vult, ut nos faciamus, ut dona sua nobis
conferai35.

Dopo aver parlato della Provvidenza, passa ad esaminare quale sia la


Legge eterna con cui Dio governa gli uomini prendendo a prestito un’e­
spressione di S. Agostino: «Est ratio, vel voluntas Dei ordinem naturalem
conservar! jubens, perturbari vitans»36. Tale legge eterna ha una corrispon­
denza in quella che viene chiamata legge di natura, con cui si deve inten­
dere sia la volontà di Dio di conservare Lordine del mondo, sia la capacità
umana di leggere nel m ondo tale volontà: della prima si è parlato come
Provvidenza, alla seconda si arriva con una via luminis naturalis oppure via
revelationis37.
Considera quale sia lo stato naturale delPuomo, e quali i compiti che ne
derivano alTuomo. Ci troviamo in un campo fortemente ipotetico, secondo
il G., che deve sempre assumere com e premessa il fatto che Tuomo sia com­
posto di anima e di corpo con quel che ne consegue:

Constat homo mente incorporea, et immortali; et corpore pluribus mem-


bris affabre instructo. Duplex in eo vita est, et actiones duorum gene-
rum, mentis scilicet, et corporis38.

34 Ibid., § 18, 223.


35 Ibid., § 19, 223.
36 Contra Faustum 22,27, citato in Lib. IV, Cap. II, § 1, 224.
37 Ibid., § 3, 224-225.
38 Ibid., Cap. Ili, § 2 , 226.

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Lex aetema, et naturalis omnes istas hominis actiones moderatur, et re-


git; sed non eodem modo. Necessarias enim legibus naturae mechani-
cis producit; liberas vero legibus regit. Nempe non exigit Deus ab ho-
minibus, ut regant, dirigantque actiones suas necessarias; ipse enim il-
las agit: illud tantummodo exigit, ut actiones liberas voluntati suae ae-
temae adaptent, idest ut nihil contra voluntatem sua aggrediantur, quae
sunt leges negativae. Et praeterea quaecunque ipse praecipit, ut perfi-
ciant, quae sunt leges positivae39.

Le pagine che seguono, che potremmo definire a metà strada tra il giuri­
dico e il morale, esaminano il trattato sulle virtù del corpo e dello spirito e
i vizi corrispondenti. G. spiega che una vita virtuosa non si ottiene facil­
mente, deve mirare alla prima e massima virtù che egli chiama αυταρχία
(in greco nel testo), ossia a un’anima serena e pacificata, in relazione con
la volontà di Dio e pronta a fare il bene ed evitare il male. Tale virtù va fa­
vorita con una meditazione costante sui seguenti punti:
I. La vita non è eterna, ma è in cammino verso l’eternità;
IL Ci si può accontentare di poche cose;
III. Non c ’è niente di più felice che vivere in accordo con la natura, e
niente di più misero che lottare contro la natura;
IV. La vita è turbata dai troppi desideri;
V. Dio si occu pa di ogni cosa con sapientissima provvidenza40.
Le spiegazioni del G. sono corredate di lunghe citazioni bibliche nonché
filosofiche, le strade che segue nell’indagine non sono usuali, mirano piut­
tosto alla comprensione di chi si avvicina per la prima volta alla riflessio­
ne teologica.
I paragrafi successivi del libro IV trattano alcuni degli argomenti che
vengono maggiormente contestati al G.: che c o s ’è la hominum societas, d i­
remmo la comunità umana, e quali sono gli obblighi che ne derivano ex ju -
re aeterno. Nota il G. che dà sempre esiste grande discussione tra i filoso­
fi circa l’origine della società, com e essa si formi e quali ne siano gli obiet­
tivi: osservando la Sacra Scrittura, l’ orìgine non può non essere che la con ­
giunzione dell’uom o e della donna, e il Cristo, servator noster, conferma
nel vangelo: Quod Deus conjunxit, homo non separet (Mt 19,6). G. proce­

39/ ò ^ . , § 3, 227.
40/ò à £ ,§ 19, 233.

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La teologìa come prassi di comunione negli Universae Theofogiae E lem enta

de per centri concentrici a partire da un nucleo centrale, uom o-donna-fa­


miglia, allargandoli a paesi, città, nazioni, stati. Diyide il mondo, dopo il
diluvio universale, in Ebrei e Gentili, assegnando ai primi una qualifica
culturale, quasi che la rivelazione divina che li connota dia loro anche la
possibilità di uscire da uno stato ferino, barbarico, rude, che caratterizza
invece i secondi: anche questi, tuttavia, godono di un particolare dono da
parte di Dio, che il G. chiama amorproprius, ch e consente loro di vivere e
di custodirsi nell’ esistenza, benché su di esso ^difficilmente si possa legi­
ferare: instrumentum potius est, quo Deus utitur ad nostri conservationem*1.
La hominum societas possiede tre princìpi fondamentali: il primo è nemi-
nem laed e; il secondo: quemlibet natura tibi aequalem reputato; il terzo:
pacta servare42.
A seguire G. presenta quelli che chiama gli «officia hypothetica: quae
institutum aliquod humanum praesupponunt»4^/In particolare, si tratta di
tre realtà senza le quali le società non possono esistere: sermo, dominium,
et rerum pretium . L’uso della parola, spiega G., non soltanto è fondamen­
tale nei rapporti tra gli uomini, è un dono di D io: suppone non soltanto la
verità, quanto il desiderio di permanere nell’ essere. Ci sono tuttavia casi
in cui si deve fare un discernim ento su tale uso di parola: Grozio dichiara
talvolta possibile il falsiloquio, d’altra parte sant’Agostino condanna ogni
tipo di menzogna, e lascia pensare che niente possa giustificarla. G. su
questo tema non ama giudizi troppo netti; pur apprezzando generalmente
Agostino, qui ne prende le distanze, e aspetta un giudizio conclusivo da
parte della Chiesa.
Continua parlando del giuramento e dei suoi effetti sulle leggi positive di
Dio, in primo luogo il D ecalogo. Passa poi alla facoltà umana di legiferare,
e dove se ne trovi il fondamento, al fine delle leggi e alla legge evangelica
dell’ amore di Dio e del prossimo. Si chiude il libro quarto con brevi cenni
al peccato, alla sua natura e specie.

* * *

Dopo aver posto le fondamenta nei primi quattro libri, con il V libro G.
si propone di riflettere su cosa significhi religione, e sugli obblighi ad essa4
3
2
1

41 Ibid., Cap. IV, § 5, 238.


42 Ibid., §§ 7-9,239.
43 Ibid., Cap. V, § 1,241.

197
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Armando Genovese

connessi, da cui dipende aeterna hominum beatitudo44. Per religione G. in­


tende «D ei cognitionem cum summo èrga illuni obsequio, amore et servitu-
te conjunctam »454; quando D io non è conosciuto si può avere ignoranza di
6
D io, oppure quello che noi chiamiamo ateismo quando alla conoscenza si
aggiunge la volontà di non avere relazioni con Dio. Le pagine successive si
propongono di fare un lungo viaggio attraverso la definizione di religione
naturale, ossia conoscenza dell’unico Dio quatenus naturali lumine innote-
scit46: tale conoscenza, per quanto non sia sufficiente ad avere una relazio­
ne con D io, d’altra parte ha una grande utilità nell’atto di conoscere e con­
fermare la religione rivelata. E composta da una parte teorica, che esige la
chiara conoscenza dei caratteri della divinità con la ragione, ossia resisten­
za della Mente eterna, sapientissima, potentissima e ottima, la creazione e
la provvidenza, la ricom pensa delle azioni umane; ha poi una parte prati­
ca, che prescrive l ’amore di Dio e del prossimo.
Le pagine successive sono dedicate alla trattazione della religione paga­
na, che G. definisce tout court superstizione, presentando un interessante e
nutrito numero di esempi, alcuni tratti dei Padri della Chiesa, segnatamen­
te del D e civitate Dei di S. Agostino. Presenta poi l’ebraismo, com e prima
rivelazione di D io e anticipatrice della rivelazione cristiana: la relazione
del G. sull’ebraismo risentè di un clim a di contrapposizione.
L’analisi si volge all’Islam, del quale il G. possiede una singolare e accu­
rata conoscenza: ne ripercorre la storia e i princìpi, e proprio il fatto che sia
nato dopo il Cristianesimo, ne incorpori molti insegnamenti, e d’altra parte si
ponga in contrapposizione ad esso, glielo fa ritenere sospetto. D’altronde, una
religione sana si diffonde non per forza esterna, bensì per propagazione di sa­
na dottrina, miracoli, argomenti che convincono l’intelligenza47.
Quanto al cristianesimo, contro i deisti, G. dà questa definizione: la re­
ligione cristiana è quella in cui Gesù, figlio di Maria, viene affermato com e
Messia, profetizzato nell’Antico Testamento, e che viene presentato com piu­
tamente nei libri del Nuovo Testamento. Quanto viene riportato a proposito
di Gesù viene dunque confermato tanto dalle profezie, presenti nell’AT,
quanto dai m iracoli di cui si parla nel NT, per non parlare poi della vita dei

44 Ibid., Lib. V, Intr., voi. II, 1.


45 Ibid., Cap. I, §1, voi. 11,1.
46 Ibid., Cap. Il, §1, voi. II, 6.
47 Ibid., Cap. V, § 5, voi. II, 44.

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La teologia come prassi di comunione negli U niversae T heologiae E lem enta

credenti che è la massima testimonianza. A questo viene opposto che la vi­


ta dei credenti non risulti proprio un argomento sul quale insistere, e che
le sette dimostrano che il cristianesim giiia molto diviso al suo interno. G.
esamina a questo punto tutte le divisioni ecclesiali, in particolare quella lu­
terana ed affini, delle quali contesta non soltanto la separazione dall’unità
della chiesa, ma l’eccessiva importanza data al libero arbitrio e alla volon­
tà umana, che li accom una molto ai pelagiani48.
Da questo momento argomenta sulla vferità.della Chiesa romana, basan­
dosi anzitutto sull’antichità e sulla continuità nella trasmissione del mes­
saggio evangelico. Vengono superate le obiezioni pratiche circa la corruzio­
ne della Chiesa, l’adorazione dei santi e delle immagini, il Papato com e mo­
narchia, le dispense, i cibi, il celibato sacerdotale, la confessione pubblica
dei peccati, il Purgatorio, le indulgenzé, la comunione sotto le due specie.
Vengono affrontate poi altre obiezioni teoretiche circa il Filioque e la pre­
ghiera ai santi. «Scire debent novatores», scrive G., «nos sanctos non invo­
care, ut Deos, sed ut Dei am icos, qui apud illum plurimum possint»49.
Dopo aver parlato del cristianesimo dal suo interno, G. si volge al culto
esterno della «nostra» Chiesa, a partire dal culto delle immagini di Dio, co­
sì criticato dai Protestanti, e ricorda che tali immagini non possono espri­
mere l’ invisibile e l’ incorporeo, ma servono soltanto per favorire una rela­
zione di fede. Va da sé che non sono le immagini che vengono adorate, ben­
sì Dio, nelle tre Persone della Trinità. Lo stesso vale per le immagini che ri­
guardano gli Angeli di Dio. A un livello più basso si trovano le immagini
dei santi, le quali rimandano anch’ esse a una venerazione che non viene
detta latria, la quale è dovuta solo a Dio, bensì «dulia: ex quibus confici-
tur, invocationem Sanctorum antiquissimam esse in E cclesia, diversam li­
cei ab invocatione Dei, et Christi»50.

* * *

Il libro VI si propone di esporre i mezzi con cui si ottiene e si conserva


la vera religione. Anzitutto va tenuto presente che Dio vuole che tutti gli uo­
mini si salvino, ed offre loro gli strumenti che servono a questo scopo. Gli
argomenti vengono desunti dalla teologia naturale, poi dal pensiero pagano,

48 Ibid., Cap. V ili, § 3, voi. II, 63.


49 Ibid., § 6, voi. II, 66.
50 Ibid., Cap. XIII, § 3, voi. II, 86.

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Armando Genovese

infine dalla teologia cristiana. Il G. non trascura il fatto che tale volontà di
salvezza da parte di Dio venga interpretata com e una necessaria salvezza da
parte dei Protestanti, segnatamente Calvino, e in una lunga e argomentata
spiegazione biblica spiega che la volontà di salvezza di Dio si incontra sem­
pre con la libertà dell’uomo: Dio vuole salvare, e di fatto salva, l’uomo che
desidera essere salvato, e gli offre gli strumenti per farlo, ma non lo costrin­
ge - «Patet [...] Deum et serio velie, ut omnes, et singuli homines salven-
tur, et salutis media prò omnibus, et singulis ded isse»51.
Resta a questo punto da affrontare la problematica riguardante la prede­
stinazione:

Cum certuni sit, non omnes divinae vocationi obtemperare, adeoque


non omnes saivari; et Deus non minus ab aeterno videat, qui sunt sal­
vando eosque velit salvos, quam qui sunt damnandi, eosque velit dam-
natos; hinc factum est, ut vetusti quidam Ecclesiae Theologi vocabulo
Praedestinationis in utramque partem usi sunt525
.
3

Tra i vetusti theologi il riferimento è anzitutto a sant’Agostino, che per


primo ha tematizzato la riflessione con il famoso da quod iubes et iube quod
vis53: questa frase scatenò una feazione durissima da parte di Pelagio
quando per la prima volta l’ ascoltò in un circolo di Roma dove si leggeva­
no le Confessioni : era intorno al 405 e vi si incontrarono Pelagio, un v esco­
vo amico di Agostino e altri. D i fronte a questa invocazione, Pelagio si al­
zò infuriato, perché la considerava un’offesa a Dio: essa faceva infatti ri­
salire a Dio quello che invece, secondo Pelagio, è com pito dell’uomo. M ol­
ti Protestanti, secondo G., ragionano alla maniera di Pelagio, sopravvalu­
tando l ’azione d e ll’uomo fino a non vedere quel che è evidente, cioè che
Dio viene com unque prima dell’uomo. E cco perché subito dopo il G. pas­
sa a trattare il tema della grazia, ravvisando in essa non soltanto la priori­
tà, ma la priorità benefica d i Dio. G. è consapevole che per molti teologi
la discussione sta nel trovare un equilibrio tra grazia e natura, senza con ­
fusioni e sovrapposizioni. Anche qui l’Abate di Castiglione risulta molto
vicino alle tesi di sant’Agostino e alle elaborazioni successive tradiziona­

51 Ibid., Lib. VI, Cap. I, § 20, voi. It>S07.


52 Ibid., Cap. II, § 1, voi. II, 107-108.
53 Conf: 10, 29,40.

200
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La teologia come prassi di comunione negli Universae th e o /o g ia e E fem enta

li: gratta vel est gratum faciens, vel est gratis data54. Distingue tra gratta
actualis e habitualis, gratta efficax e suffìciens. Presenta le varie tesi, in
particolare quelle gianseniste e moliniste, per giungere a formulare alcuni
princìpi55:

a. Sine gratta Dei neminem credere posse ea fide, quae ad saluterà est
necessaria.
b. Sine gratta Dei bona vitae aeternae amare, et secundum legem Dei vi­
vere non possumus.

Questi princìpi vengono motivati in un insieme coerente, molto vicino


al dettato biblico e all’elaborazione ecclesiale: «Matris E cclesia e filli su-
mus: indignum autem est, E cclesia e Catholicae filios cum ira, et odio dis­
putare»56.
Nel capitolo successivo si passa al tema della giustificazione, sul quale,
avverte G., ci sono opinioni diverse, errori, addirittura logom achie tra i teo­
logi. E noto a tutti che su questo tema si è consumata buona parte dello sci­
sma protestante. Il G. si muove con convinzione neH’ambito della riflessio­
ne elaborata nel Concilio di Trento. La giustificazione viene definita «trans-
latio ab eo statu, in quo homo nascitur filius primi Àdae, in statum gratiae,
et adoptionis filiorum Dei, per secundum Adam Jesum Christum»57, ed in­
terpretata com e prima giustificazione che si ottiene nel Battesimo; tale de­
finizione si può adattare grosso m odo anche per la giustificazione che av­
viene dopo il Battesimo, nella quale l’uomo passa dallo stato di peccato a
quello di grazia e di amicizia con Dio. G. si sforza di leggere anche i testi
protestanti, per arrivare alla conclusione che sul concetto di giustificazione
Cattolici e Protestanti non sono poi tanto lontani, ma che la controversia na­
sce quando si com incia a parlare^dei mezzi della giustificazione. Con la so­
lita chiarezza e sintesi, G. nota che:

Apparet hinc, totam controversiam nos inter, et Novatores esse, quod


nos justificatum non vocemus eum, cui nondum diffusa sit in animo Dei

54 Elementa, Lib. VI, Cap. Ili, § 4, voi. II, 118.


55 Ibid., Cap. IV, voi. II, 125ss.
56 Ibid., Cap. IV, § 27, voi. II, 145-146.
57 Conc. Tridentinum, Sessio VI, Decretum De iustificatione, Cap. 4.

201
3/2017 anno LXX U rbaniana U n iversity J ournal
Armando Genovese

caritas, quam gratiam sanctificantem appellamus; ipsi vero justificatio-


nem ponant in sola absolutione a peccato, putantque caritatem pertine-
re non ad justificationem, sed ad sanctificationem. Nempe controversia
tota est aut abstracta, et Metaphysica, et extra simplicitatem Christia-
nae fidei, aut de meris vocabulis. Nos, quod fidei dogma est, hominem
sine caritate infusa nondum est justificatum facile derponstramus58.

Ancora, alcune pagine più avanti:

Nec tamen Deus exigit a nobis [...] fidem propter seipsam, sed propter
caritatem, ad quam ordinatur, et propter operationem virtùtum. Nisi
enim credamus in Jesum Christum Dominum nostrum, nullo modo
ejus doctrinam amare poterimus, et sectari. Atque haec est ratio, cur
tantopere Apostoli fidem in Christum commendent, non quod solam
eam exigant59.

E evidente il tentativo del G. di portare a sintesi una questione che ave­


va prodotto uno scisma: pur usando espressioni forti contro i novatores, G.
nutre Tintima convinzione che si possa trovare un terreno di incontro, siste­
mando alcune asperità e contrarietà e rifondando un discorso teologico che
vada al cuore del messaggio evangelico. Questo irenismo non poteva esse­
re visto di buon occh io dagli ecclesiastici contemporanei, che vedevano in
questo un pericoloso scadimento della riflessione teologica e conseguente­
mente dell’ appartenenza ecclesiale.
Nelle pagine seguenti G. si dedica alla riflessione cristologica: occorre
parlare di Cristo, per quem solum habemus accessum ad Deum60. Acutamen­
te G. nota ch e buona parte delle discussioni intorno a Cristo vertono sul-
rincam azion e, vale a dire sull’unione deH’umanità e della divinità nella
persona di Cristo. Ricorda corsivamente il con cilio di Nicea e di Efeso,
buona parte della riflessidtìè patristica, gli sviluppi medievali fino ai tempi
recenti. In alcune obiezioni protestanti riscontra l’eco di antiche eresie. Si
dedica a un’ interessante esegesi dell’t/ι principium erat Verbum, eviden­
ziando che il Verbo è persona distinta dal Padre nella Trinità, e che nell’In-

58 Elementa, Lib. VI, Cap. V, § 8, voi. II, 150.


59 Ibid,, § 12, voi. II, 153.
60 Ibid., Cap. VI, § 1 , voi. II, 155.

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La teologia come prassi di comunione negli Universae Theologiae E lem enta

cam azione si ha una person%phe è perfetto Dio e perfetto uomo. G. mostra


di conoscere perfettamente la discussione dei primi quattro con cili ecum e­
nici, che ripresenta in sintesi mirabile.
Per quanto riguarda il concetto cristologico di satisfactio, G. avverte su­
bito che si tratta di questione molto difficile e disputata, riguardante il Cri­
sto sacerdote, che con il suo sacrificio ha redento il genere umano, ha
scontato la pena dovuta a causa dei suoi peccati, con la sua morte ha «sod ­
disfatto» la giustizia divina, e ha cibato il suo merito com e prezzo della re­
denzione. Questi contenuti erano destinati a scontrarsi con i Protestanti,
sia per il linguaggio dei meriti e della soddisfazione, considerati inaccet­
tabili, sia per la mancanza di alcun accenno al contributo umano. Nella
sua argomentazione, G. si propone di dimostrare che: I. Gesù Cristo è sta­
to pienamente sacerdote e il suo sacerdozio si trova su due versanti, ossia
l’ offerta del sacrificio e l’ intercessione. II. Il Padre ha affidato al Figlio suo
Gesù Cristo la pena dovuta per i peccati. III. Il Figlio ha preso su di sé ta­
le pena e con la sua morte l’ha trasformata. Quanto al concetto di satisfac-
tio, se cioè con la sua passione-morte-risurrezione abbia dato soddisfazio­
ne al Padre in quanto uomo unito alla divinità, o in quanto uom o e Dio con ­
temporaneamente, registra che i cattolici tengono maggiormente alla pri­
ma posizione mentre i protestanti alla seconda, cercando di mediare tra le
due posizioni, ritenute entrambe con una parte di ragionevolezza.
Agli uomini il Cristo ha lasciato dei mezzi, con i quali è possibile pren­
dere parte ai meriti di Cristo, che si chiamano sacramenti61. Sacramentum
dovrebbe tradurre in latino il greco mysterium, ma introduce, osserva G., un
vocabolo di uso pagano, che in ultima analisi rimanda a questioni di dirit­
to. Viene definito sacramento «signum sensibile gratiae divinae institutum
a Deo, ut ejus ope justificemur, vel santificemur»62. Anche qui il G. nota la
differenza con i Protestanti, i quali peraltro sono in disaccordo al loro inter­
no circa il numero di sacramenti istituiti da Cristo, tre per i Luterani della
Confessio Augustana, soltanto due per i Luterani più recenti e per i Calvi­
nisti. Il Concilio di Trento ne ha stabiliti sette in maniera dogmatica, e G.
si propone di spiegarne il motivo successivamente.
G. rifiuta recisamente l’idea ch e i sacramenti siano sem plici segni, de­
stituiti di ogni efficacia, riprendendo verbatim i testi del C oncilio di Tren­

61 Ibid., Cap. IX, § 1, voi. II, 182-183.


62 Ibid., § 2, voi. II, 183.

203
3/2017 ANNO LXX U rbaniana U niversity J ournal
Armando Genovese

to. Si sofferma molto sul carattere, sugli effetti, sui ministri dei sacramenti,
senza discostarsi da argomenti tradizionali.
N elle pagine successive risulta particolarmente interessante la discu s­
sione sui singoli Sacramenti: quanto a Battesimo e Cresima spiega la radi­
ce biblica della celebrazione, distingue il Battesimo dall’ insegnamento
cristiano, discute sul ministro del Battesimo, n e,ricorda la forte discussio­
ne dei primi secoli, sul motivo del Battesimo dei bambini. A tal proposito
G. argomenta che quando Gesù ordina di insegnare e battezzare (Mt
28,19) non va inteso soltanto degli adulti, e che la prima cosa non è pro­
pedeutica a ll’ altra.
Dimostra l ’ importanza e la necessità della Confessione per il perdono dei
peccati e la riconciliazione post-battesimale e attribuisce alla Chiesa e ai
suoi ministri la possibilità di rimettere non soltanto i peccati, ma anche le
pene ad essi connesse. Presenta VEucaristia com e sacramento che Cristo
ha comandato, nel quale si attua la transustanziazione del pane e del vino
e si ottiene la presenza reale del Cristo che è nel cielo. Non si dilunga m ol­
to sulla Unctio extrema, che gli sembra sufficientemente radicata nella let­
tera di G iacom o e nella tradizione ecclesiale.
A l contrario, lunghe pagine sono consacrate alla riflessione sxxWOrdina­
zione e sulla Gerarchia ecclesiastica: si parte dal principio che Gesù Cristo
è sacerdote, capo, legislatore nella Chiesa; le Scritture insegnano che egli
presiede la Chiesa com e Re e Fondatore, avendo ogni potere in cielo e in
terra. Egli è presente nella Chiesa fino alla fine dei tempi in maniera invi­
sibile, visibilmente per mezzo dei ministri che ha stabilito, anzitutto gli
Apostoli, a cu i successero i Vescovi. A questi si aggiungano i sacerdoti e i
ministri (se. presbiteri e diaconi), a formare quella gerarchia di cui parla­
no i Padri tridentini63. Dunque, il ministero episcopale consiste sostanzial­
mente nel proseguire la presenza di Cristo (Religionem Christianam doce-
re et custodire, Ecclesiam pascere64) e nel tenere una linea di continuità che
riporti la Chiesa al suo Forìdatore. Questa ultima tesi, duramente avversa­
ta dai novatores, viene ribadita dal C. sulla linea del Concilio di Trento e
insistita nel senso di un Ordine Sacro ch e in ultima analisi fa riferimento
a Cristo, quale istituzione di diritto divino, senza perdere d ’occhio la real­
tà del suo tempo:

63 Ibid., Cap. XIV, § 3, voi. II, 233.


64/fod., § 15, voi. II, 241.

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La teologia come prassi di comunione negli U niversae Theologiae Elem enta

Agnoscimus, tot Episcopos titulares, tot Sacerdotes sine cura inutiles


esse Ecclesiae; sed non propterea verum erit minus, esse illos Episco­
pos, hos Sacerdotes65.

Seguono pagine interessanti sul fatto che i Vescovi hanno un titolo lega­
to alla Chiesa nella quale esercitano il loro ministero e che non è loro con­
sentito, a partire dal con cilio di N icea, di muoversi da una diocesi alPaltra.
A nche per quanto riguarda il matrimonio («viri et mulieris conjunctio in-
dividuam vitae consuetudinem còntinens»666 ) , il G. è cosciente che le opi­
7
nioni sono diverse, non tanto circa la definizione di matrimonio, ma riguar­
do questioni pratiche: se sia lecito ad un uomo sposare più donne, sposar­
le contemporaneamente, il matrimonio tra consanguinei; e poi l ’indissolu-
bilità del matrimonio e la sua sàcramentalità. Particolarmente interessante
la discussione circa il ministro del matrimonio, G. avverte che theologorum
turba contenditi1. Egli è dell’opinione che il ministro del matrimonio sia il
sacerdote, in conformità con l’ assunto che tutti i sacramenti vengono ammi­
nistrati regolarmente da un sacerdote («Sacramentorum ministri ordinarli
sunt sacerdotes»68).

* * *

Il settimo libro tratta dei novissimi: argomento difficile, secondo G., ma pu­
re necessario. Anzitutto affronta la ricerca sulla natura delle anim e, o in altre
parole, come si possa parlare di anima. G. è costretto a ricorrere a una schie­
ra di letterati e filosofi antichi, tra questi non nasconde una particolare sim­
patia per Virgilio e Lucrezio, e anche autori moderni com e Cartesio e Spino­
za. Dal paragrafo 12 del primo capitolo G. segue gli argomenti propri alla Teo­
logia, con un breve sguardo sull’Antico Testamento, nel quale riscontra i pri­
mi riferimenti all 'immortalità delibammo, che vede confermata nel Nuovo Te­
stamento: singolare il riferimento alla parola di Gesù (Non abbiate paura di
quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere Vanima; temete
piuttosto colui che ha il potere di f a r perìre e Vanima e il corpo nella Geenna,
Mt 10,28) e la spiegazione che ne dà: In hoc loco animus a corpore, illius vita
a vita corporis manifestissime distinguitur. Non solum ergo hinc probatur,; ani-

65 Ibid., § 13, voi. II, 240.


66 Ibid.9Cap. XV, § 1, voi. II, 244.
67/ ò i d , § 9, voi. II, 250.
68 Ibid.9 § 9, voi. II, 251.

205
3/2017 ANNO L X X U rbaniana U niv ersity J ournal
Armando Genovese

mos esse incorporeos; veruni etiam corporibus extinctis superesse69). Discute se


si possa parlare di mortalitas dell’anima, com e sembrano pensare autori an­
tichi come Lucrezio ed Epicuro, per ritornare all’autorità di san Paolo, il
quale ricorda la risurrezione dei corpi, e non delle anime; se tale risurrezio­
ne sia condizione essenziale per entrare nella beatitudine piena; se le ani­
me, dopo la morte, godano di uno stato intermedio, del quale non è possibi­
le dire molto, ma che giustifica, ad esempio,ria preghiera per i defunti.
Cita la testimonianza di Ignazio di Antiochia, il quale, appressandosi al
martirio, sentiva in sé una voce che gli suggeriva: Vieni al Padre70, e trova
confermato nel C oncilio di Firenze, che afferma:

Illorum animas, qui post Baptisma susceptum nullam omnino peccati


maculam incurrerunt; illas etiam, quae post contractam peccati macu-
lam, vel suis corporibus, vel exutae corporibus, sunt purgatae, in cae-
lum mox recipi, et intueri dare ipsum Deum Trinum et Unum, sicuti
est, prò meritorum tamen diversitate alium alio perfectius71.

G. offre una lunga presentazione del Purgatorio, del quale i novatores af­
fermano non ci siano notizie nella Sacra Scrittura. Da una veloce osserva­
zione dei testi biblici, G. nota che di fatto la dottrina sul Purgatorio non è
proprio evidente, ma questo non vieta che la rivelazione divina sia non tan­
tumscripta, sed et tradita: il fatto che sia scritta non restringe il campo del­
la rivelazione. Del resto, dice Richard Simon citato dal G.:

Doctrina Evangelii apud innumeras Ecclesias fondata, et piantata,


fuit, antequam ulla extiterit scriptum72.

La fine osservazione mostra che l’interpretazione protestante sola scrip­


tum è teoreticamente discutibile, e si trovano argomentazioni fortemente
contrarie già nella discussione conciliare di Trento. G. osserva, poi, che non
si può parlare del Purgatorio com e di un luogo, ma di uno stato, circa il qua­
le anche il riferimento al fuoco della purificazione appare improprio, e va
preso soltanto com e opinione popolare.

69 Ibid., Lib. VII, Cap. I, § 13, voi. II, 267.


70 Lettera ai Romani 7,2, citata in Cap. II, § 6, voi. II, 281.
71 Bolla Laetentur caeli, citata in Cap. II, § 6, voi. II, 281-282.
72 Elementa, Lib. VII, Cap. II, § 15, voi. II, 290.

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La teologia com e prassi di comunione negli Universae T heologiae E lem enta

I novìssimi sembrano risultare di estremo interesse al G.: dà com e infor­


mazione proveniente dalla Bibbia quella di una fragorosa fine del mondo,
con una futura orbìs conflagratio73. L’ idea che tutto il nostro universo deb­
ba passare attraverso un fuoco che lo consuma gli risulta evidente e ne tro­
va richiami anche in dottrine stoiche ed epicuree, ma soprattutto nell’Apo-
calisse. Solo che, si domanda ancora G., da dove verrà questo fu oco? Dio lo
creerà apposta, oppure lo farà venire da qualche altro luogo? Secondo alcu­
ni, il mondo si dissolverà quando si dissolveranno il sole e le stelle.

Newtoniani Philosophi extremum hunc Mundi casum tunc futurum


ajunt, cum altera virium globorum extinguetur, vel centripeta, vel cen­
trifuga. Extincta ex gr. centrifuga, planetae omnes cum Sole commi-
scentur: extincta centripeta, ita dissolventur, ut abeant in chaos74.

G. però, che pure conosce il pensiero di questi filosofi, sostiene di non


avere argomenti per sciogliere il dilemma («m e quod attinet, scio, igne tel-
lurem conflagraturam; sed unde ignis ille futurus sit, non admodum sata-
g o » 75). Continua a domandarsi quando porre l’avvento dell’Anticristo, di
cui parla la prima lettera di Giovanni com e avvenimento degli ultimi tem­
pi (ma prima della conflagrazione finale). Dall’ analisi di 2Ts 2 ,1 -1 0 arriva
a varie conclusioni:

I. Antichristum fore unum singularem hominem.


II. Venturum, et regnaturum circa finem Mundi.
III. Venturum post omnimodam Imperli Romani desolationem.
IV. Apparituros Henoch, et Eliam, ut seductori huic adversentur.
V. Doctrinae ejus hanc fore summam, quod negaturus sit, Jesum es­
se Christum; se autem verum esse Christum a Prophetis promis-
sum affirmaturus.
VI. Facturum esse miracula, magnamque Christianorum partem se-
ducturum.
VII. Regnaturum tres annos cum dimidio76.

73 Ibid„ Cap. Ili, § 1, voi. II, 292.


74/ò id .,§ 3, voi. II, 294.
75 Ibid., 295.
76Jòid.,§ 8, voi. II, 298.

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Armando Genovese

Una volta che il mondo sarà bruciato, e distrutto l ’uomo di peccato77, ci


sarà la risurrezione. Per risurrezione si intende risurrezione dei corpi, e
questo è dogm a praecipuum della fede cristiana. Quanto al giudizio finale,
i dati che vengono proposti sono di marca biblica e tradizionale: chi è il
giudice, chi viene giudicato, qual è la forma e il contenuto del giudizio. Dio
è il giudice supremo, nella seconda persona^della Trinità, nostro Signore
Gesù Cristo, che è costituito Re e G iudice; gli uomini sono quelli che ven­
gono giudicati e l ’oggetto del giudizio sono i fa c ta , etiam occultissima78.
Nessuno conosce la data di questo giudizio, tuttavia il tempo che viene da­
to all’uomo da vivere è tempo di conversione.
L’ultimo capitolo del libro riguarda i temi della morte e della vita eterna,
che risultano evidenti nella Sacra Scrittura, soprattutto nel Nuovo Testa­
mento. Viene respinta la tesi protestante, che avrebbe la sua paternità in
Origene, secondo cui dopo una purificazione post mortem tutte le anime vo­
lino in cielo79. Insiste dunque sull’esistenza dell’Infem o o del Paradiso, pur
non potendoli localizzare, identificandoli in esperienze eterne dell’assenza
o della presenza di Dio.

* * *

Nell’ultima pagina G. ripercorre com e in un indice i punti che ha toccato


negli Elemento e aggiunge brevi parole conclusive e di grande suggestione:

Superest, ut Deum, quo Doctore hoc didicimus, fusis ex animo intimo


precibus supplicemus, ut quandocunque ei libuerit, non umbrosam,
sed claram, patentemque Theologiam cum infinitis Angelorum gaudiis
patefaciat. Amen80.

Osservazioni sintetiche conclusive

La lettura degli Elemento ci pone anzitutto di fronte alla constatazione che


non sia ancora disponibile un’edizione critica d ell’importante corpus degli

77 Ibìd., Lib. VII, Cap. Ili, § 15, voi. II, 302.


78 M , §§ 32-33, voi. II, 316-318.
79 M , Cap. IV, § 4, voi. II, 326.
80 Ibid., § ultimus, voi. II, 349.

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La teologia com e prassi di comunione negli Universae T heologiae Elem enta

scritti del G., in particolare di quelli scritti in latino, che sono stati spesso
rivisti, per una caratteristica “ evolutiva” del nostro autore alla quale abbia­
mo già fatto riferimento sopra81. Il lettore, beninteso, non ha difficoltà a re­
perire tali testi, facilmente riscontrabili in molte biblioteche, segno di una
loro ampia circolazione e di importanti discussioni che ne seguirono. Rite­
niamo tuttavia che il G. meriti una maggiore attenzione, e che tale attenzio­
ne debba nascere anzitutto dalla lettura su testi criticamente stabiliti, ed è
nostra intenzione orientare a questo obiettivo risorse ed energie. Infatti,
l’approfondimento degli Elementa ci spinge alla considerazione che la mag­
giore conoscenza della teologia genovesiana possa giovare alla com prensio­
ne di opere composte in seguito e non esplicitamente consacrate alla rifles­
sione teologica. Un’ approfondita analisi dunque degli Elementa porta come
conseguenza una rilettura globale anche di opere e idee che hanno caratte­
rizzato la seconda parte della Vita del G. e che solo apparentemente non
sembrano segnate da questo particolare essor teologico.
Paola Zambelli, nel più volte citato volume, ha fatto presente che si sono
conservati almeno cinque manoscritti della Theologia, che contengono varia­
zioni su alcuni temi82. La versione pubblicata dal discepolo Dom enico For-
ges Davanzati a Venezia nel 1771, dunque, che è alla base della nostra let­
tura, andrebbe integrata con i vari manoscritti a lui sconosciuti. Questo mo­
stra la magmaticità dell’opera del G., che aveva preparato il testo com e trat­
tato, o piuttosto come dispensa per gli studenti, e ci era ritornato più volte
anche dopo, il che lascia intuire che gli studi teologici non siano stati abban­
donati, ma al contrario, siano proseguiti lungo tutto il corso della sua vita.
Quando parliamo di “ magmaticità” non intendiamo dire confusione o
approssimazione o cambiamento: l’opera cominciata nel 1742, nel 1744-
1745 troverà una sua strutturazione, e pur con qualche arricchimento o so­
stituzione operati in seguito, di fatto non varierà molto nelle redazioni suc­
cessive. Le rielaborazioni del testo sono caratteristica della composizione
del G., il quale è un perfezionista instancabile; vanno però anche lette nel­
la storia della ricezione del testo, alla luce delle vicende personali dell’A ­
bate salernitano, che probabilmente era il più meritevole della cattedra di
teologia nel concorso del 1748, ma non potè continuare a professare l’inse­

81 C f. ZAMBELLI, La formazione filosofica di Antonio Genovesi, 437-475; v e d i a n ch e p.


179 d e l p r e s e n t e a r t ic o l o .

82 Ibid., 437-442, n ote 29, 30, 33, 34 e 35 e p a g in e 949-950.

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Armando Genovese

gnamento pubblico della teologia anche per motivi —ci si passi l ’espressio­
ne - di “ politica ecclesiastica” , nel senso che la libertà interiore del G., da
cui discendeva una relazione com plessa con l ’autorità ecclesiastica, lo ren­
devano di difficile gestione. Il G. peraltro non faceva nulla per facilitare
l’accettazione della sua persona: la conoscenza di modelli razionalistico-
protestanti e sociniani, l’enorme rilievo dedicato alla teologia razionale, e
quindi ad argomenti validi a prescindere dall’ appartenenza confessionale,
erano una novità audace che aveva bisogno di tempo per essere accolta, e
spiega in parte le difficoltà incontrate dal nostro autore.
La lettura degli Elementa e l’ analisi della presenza di concetti teologici
nelle altre opere, ci fanno pensare che il G. abbia attribuito particolare va­
lore a questo testo, nel quale si era profuso con il sincero desiderio di pro­
porre una novità alla ricerca teologica, al di fuori del clima paludato del­
l’Accadem ia. In qualche maniera ci era anche riuscito, se consideriamo la
diffusione post mortem del suo testo. Oltre alla “ turbolenza” degli studi teo­
logici, dev’essere stata forte la delusione personale del G., scoprendo di
non avere riconoscimento del lavoro fatto per un ripensamento teologico, in
vista d ell’utile, e ricevendo l’accusa di essere ambizioso, piuttosto che un
homme aux multiples talents, qual era veramente. Se si unisce questo al suo
carattere irascibile e tendente alla collera, il quadro acquista sfumature che
invogliano alla ricerca ulteriore.
L’analisi degli Elementa non è un viaggio archeologico o intellettualisti­
co all’interno di un testo che non viene piu letto da un paio di secoli, ma la
presa di coscienza di una vocazione speculativa che non abbandona il G.
neanche dopo esperienze dolorose e la confessione di abbandonare la ricer­
ca teologica: al contrario, le continue riprese dell’ opera mostrano la vera f a ­
cies dell’Abate castiglionese. A questo si aggiunga anche il fatto che fino al­
la fine della sua vita, e in opere dedicate ex professo ad altri obiettivi, il G.
non rinuncia alle sue riflessioni di tenore teologico e spirituale, sia introdu­
cendo contenuti nelle diverse opere, sia mostrando l’ ideale sostanzialmen­
te cristiano della buona econom ia, che lo porta a guardare alle comunità
cristiane delle origini com e m odello di una^buona comunità civile, e ai mo­
delli evangelici com e insuperati m odelli di vita politica.
L’ accenno che si trova nella lettera al suo interlocutore Romualdo Ster-
lich, normalmente citata dagli studiosi per attestare il suo passaggio al nuo­
vo status di docente di econom ia, in realtà attesta che la riflessione teologi­
ca è ciò a cui è formato, che l’ econom ia si apre davanti a lui con una pre­
stigiosa cattedra, e che l’una non esclude l’altra, anzi in qualche maniera

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U rbaniana U niversity J ournal 3/2017 ANNO LXX
La teologia com e prassi di comunione negli U niversae fh e o lo g ia e Elem enta

ne costituisce l’estensione pratica83. Molfo opportunamente, Di Liso parla


di G. metafisico e mercatante, riscontrando nelle vicende storiche del G.
un’evoluzione e non una frattura84v
Il lettore che, dopo essersi soffermato sul testo degli Elementa, faccia una
ricognizione anche nelle altre opere, si renderà conto quanto sia appropria­
ta la sintesi che fa Galanti ne\VElogio:

La teologia, la quale è scienza di Dio, non deve consistere in disputar


vagamente di cose curiose, o inutili o sottili; ma deve essere più tosto
la scuola della virtù, la scienza di ben indirizzare gli uomini ed aiutar­
li a ben sostener la vita. Ella dunque deve insegnare quello che c ’im­
porta sapere, e non altercare con impertinenza e con frivola sottigliez­
za sopra cose le più inutili, le più inintelligibili e sovente le più ridi­
cole: l’unico e vero suò oggetto si è di conoscere i doveri85.

Non molto diversamente lo stesso G. si esprime nella già richiamata Logi­


ca per i giovanetti, pubblicata nel 1766, che citiamo perché una delle ultime
opere, e non consacrata né alla ricerca teologica né a quella economica:

Sentir la voce di Dio, sentirla colla sua propria grandezza e unione,


spiegarla con la nettezza e semplicità de’ primi savi cristiani; annun­
ziare semplicemente la voce della Chiesa universale senza dispute né
parti, parmi la più bella e la sola utile teologia. Perché quando la teo­
logia non tende a far gli uomini più giusti, più moderati, più umani,
meno confidenti nella presente vita, più nell’ altra e vera; quando non
tende ad unire non per forza, ma per amore, tutto il genere umano, è o
inutile o nocevole: se questo è lo spirito della teologia cristiana, la pa­
ce, l’amicizia, la carità, la pazienza, perché abbiamo noi a guastarlo
colle nostre triste e altière indignazioni?86

83 «Che direte voi quando udirete che il vostro metafisico è vicino a divenir mercatan­
te? 0 le risa! Pur è così. Io non ho voluto, né voglio scriverne a lungo, perché non son cer­
to che riesca, e non vorrei scrivere la seconda volta la palinodia. Aspettatevi allora delle
belle lezioni sullo zucchero, sul cacao, ed altre tali saporitissime cose. Ma di ciò parlere­
mo a suo tempo», Lettera a Romualdo Sterlìch del 23 febbraio 1754, in GENOVESI, Auto-
biografia e Lettere, 78.
84 Cf. Di L is o , Antonio Genovesi metafisico e mercatante, 137-184.
85 G a l a n t i , Elogio storico, 58.
86 GENOVESI, La logica per li giovanetti, libro V, Cap. V, § 15, 250.

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Armando Genovese

La teologia è dunque un esercizio di comunione, o almeno la comunione è


la conseguenza della ricerca intellettuale che va sotto questo nome. Si noti,
beninteso, che non si tratta di sem plice paternalismo: G. ritiene che la teo­
logia sia una ricerca umana che ha le sue radici nella rivelazione di Dio e nel
desiderio umano di comprendere tale rivelazione. La teologia non è fondata
su un bisogno di Dio - nel senso che Dio, «in sé e per sé solo beatissimo»,
non ha bisogno di conoscere qualcosa su se stesso, e non fa nulla per un suo
bisogno —ma parte dalla rivelazione di Dio, e méntre ne ricerca la compren­
sione l’uomo raggiunge «la perfetta carità»: la teologia pertanto è «utile al ge­
nere umano»87. E probabilmente per questo motivo che il G., nello sviluppo
delle sue idee, mira sempre ad essere comprensibile, e a coinvolgere il let­
tore nel suo itinerario: non gli interessa imporre, riproporre, schemi imposta­
ti nei secoli precedenti, vuole condurre per mano il lettore. In questo senso,
il G. rimane per tutta la vita un pastore, oltre che un teologo. <
Mostra di conoscere in maniera accurata i Padri della Chiesa, probabil­
mente per m ediazione di alcuni storici com e il Dupin, che egli cita sempre:
il G. sembra preoccupato di dichiarare la sua appartenenza ecclesiastica,
ma non a quella del suo tempo, da lui ritenuta troppo centrata su se stessa
e sul suo potere, sicché cita sempre modelli reali, ma lontani nel tempo.
Non soltanto non c ’è frattura tra la sua esperienza di teologo e quella suc­
cessiva di economista, ma notiamo che molte delle convinzioni di deriva­
zione cristiana del G. si sono riversate nelle teorie econom iche. Questo
aspetto, che è già stato osservato da molti eminenti studiosi del G. econo­
mista, acquista nuovo significato alla luce delle cose che osserviamo. «Per
Genovesi i rapporti con gli altri non sono .mezzi attraverso cui ottenere inte­
ressi personali. Per lui anche il mercato è un luogo dove esercitare la socia­
lità: gli uomini sono stati creati per vivere insieme, per prestarsi reciproco
aiuto. La socialità però non basta: ciò che, è tipico dell’ essere umano è in­
fatti l ’assistenza reciproca, la reciprocità. A nche la vita econom ica, il mer­
cato, è per l’ economista napoletano un luogo di socialità e di reciprocità. Il
mercato, com e ogni altro ambito della vita civile, è fondato sulle virtù»88.
Lo studio della riflessione teologica del G., oltre a valorizzare una fonda-
mentale vocazione, porta all’evidenza, non sfuggita all’analisi del Bruni,

87 Ibid, § 18, 251-252.


88 L. BRUNI, Ueconomia lafelicità e gli altri. Unindagine su beni e benessere, Città Nuo­
va, Roma 2004, 109.

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La teologia com e prassi di comunione negli U niversae Theo/ogiae Elem enta

che il sistema econom ico di G. è una riproposizione in ambito econom ico e


politico di un m odello che trova le sue basi addirittura nelle menzioni del­
la comunità presenti negli Atti degli A postoli, rilette attraverso noti m odel­
li antropologici filosofici, e finalizzabili nel concetto della reciprocità, inte­
sa come portato naturale e com e obbligo morale da coltivare:

L’uomo è un animale naturalmente socievole.: È un dettato comune. Ma


non ogni uomo crederà, che non vi sia in terra, jniun animale, che non sia
socievole. Chi dice animale, dice di necessità un essere compagnevole.
[...] Questa ragione, per la quale conosciamo, che non solo noi, ma tutti
gli altri animali eziandio sieno gli uni compassionevoli verso gli altri a se
simili, e socievoli, e che una tal società è il più grande de’ mezzi della no­
stra felicità, stabilito per l’ordine della natura, che fa che niuno basti a se
stesso, ci discuopre un reciproco dritto di esser soccorsi, e conseguente­
mente una reciproca obbligazione di soccorrerci ne’ nostri bisogni89.

L’amor proprio e Famore per gli altri sono due dimensioni presenti nel­
l’uomo, e la dinamica delle azioni umane è spiegabile sulla base del gioco
di queste due forze che G. chiama «forza concentretiva» e «forza diffusiva»,
che sono due princìpi distinti e sempre all’opera: «E un errore quel di co­
loro, i quali pretendono, che l’una di queste due forze nasca dall’altra. [...]
Queste due forze adunque sono in noi ambedue primitive, benché legate in­
siem e»90. Le due forze, centripeta e centrifuga, non sono sem plici doni di
natura, com e potrebbe essere il respiro, la capacità di vedere o di sentire,
ma virtù che si acquisiscono con la lettura del vangelo e l’esercizio del cri­
stianesimo. Anche in questo il teologo Genovesi è sempre presente, anche
quando tratta di questioni econom iche, al punto da rimproverare i teologi di
aver spesso ignorato le conoscenze riguardanti le usure, i cambi, gli aggi, le
compravendite, le attività' bancarie, e così lasciando tali attività e i loro ope­
ratori privi di un aggancio alle regole della morale, al giusto e all’onesto,
contribuendo a produrre una casistica di «opinioni staccate da’ loro prin-
cipj, e con ciò o troppo rilassate, o più del giusto rigide, e impraticabili»91.

89 GENOVESI, Lezioni di commercio, o sia di economia civile, parte I, Cap. 1, § XVI-XVII,


voi. I, 20-21.
90 Id., Diceosina o sia Della filosofia del giusto e delVonesto, Lib. I, Cap. I, § 17, Vene­
zia 1780, 21.
91 ID., Lezioni di commercio, proemio, voi. I, 6.

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Armando Genovese

Concludiamo con una gustosa osservazione alla fine delle Lezioni di Eco­
nomia Civile, dette di un gentiluomo, ma in cui ci piace vedere la chiama­
ta attiva della teologia:

Non ci debb’essere un gentiluomo, secolare o ecclesiastico che sia, il


quale dica, io son nato per non fa r nulla ; perchè questo oltreché è una
vergognosa e biasimevole massima, e come degradante la maschia vir­
tù dell’uomo, è iniqua, e omicida della vita. [...] Ecclesiastico che sia o
secolare un gentiluomo, dee sapere di essere per tutte le leggi obbliga­
to ad un qualche genere di fatica, che nell’istesso tempo il sollevi e ri­
crei, e giovi agli altri, con cui vive. [...] Uir gentiluomo ecclesiastico,
dove voglia deporre l’alterigia, e non recarsi ad indegnità di accomu­
narsi col suo corpo in ciò ch’è giusto e onesto, può nell’istesso tempo
far da Catechista, da Sacrificatore, da Pastore, e da maestro di quei me­
stieri, che servono a ben vivere92.

Armando Genovese
Docente della Pontificia Università Urbaniana
(a.genovese@urbaniana.edu)

92 Id., Lezioni di commercio, voi. II, Appresso i fratelli Di Simone, Napoli 1767, 304-
305.

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LA TEO LO GIA C O M E P R A S S I DI C O M U N IO N E
NEGLI U N iV E R S A E TH E O LOG IA E E LE M ENTA
DI A N T O N IO G E N O V ESI

Antonio Genovesi (1713-1769),viene ricordato soprattutto comé il maggior teò­


rico delle riforme nel Regno di Napoli e come il' fondatore dell’insegnamento
dell’economia politica. L’autore, dal .confronto coh^lj.U/ró/ersae Theologiae Eie-
menta, è arrivato alla conclusione che l’attitudine teologica mostra la vera facies
del G. e che la ricerca sui G. debba passare necessariamente attraverso la je t-,
tura attenta è meditata degli Elementa: un'approfondita analisi di tale opera por­
ta come conseguenza una-rilettura globale, anche di opere e idee che hanno
caratterizzato là seconda parte della vita del G, e che solo apparentemente non
sembrano segnate da questo particolare esser teologico/Fino alla fine della sua
vita il G. non rinuncia alle sue riflessioni di tenóre teologico e spirituale, sia intro­
ducendo contenuti nelle diverse opere, sia mostrando l'ideale sostanzialmente^
cristiano della buona economia, che lo porta a guardare alle.comunitèi.cristiane
delle origini come modello di una buona comunità civile, e ai modelli evangeli­
ci come insuperati modelli di vita politica. '

TH EO LO G Y A S C O M M U N IO N PRAXIS
IN A N T O N IO G E N Ò V E S P S
" U N IV E R S A E TH EO LO G IA E ELEM EN TA

Antonio Genovesi (1713-1769) is r^membered above all as thè greatest theo-


retician of thè reforms in thè Kingdòm of Napfes and as thè foùnder of thè thé-
ory of politicai economici. By reading thè Universae Theologiae Elementa, thè.
' author comes to thè conclùèion that his theological stanca shows thè tfue face
òf G. and that thè research on>G, must necessarily pass through a careful and
meditated reading oiìhefilementa, An in-depth analysis of this work leads to a
complete re-reàding of thè worRs and ideas that characferized thèsecond pàrt
. of G’s lite and which/ sùpposedly, seemed not to have been marked by this par-
ticulàr theological stanca Until thè end of his life/G. does not gìve up on his re
flections o fa theological and spiritual nature.,He introduces references into his
various works and shows thè essentially Christian ideal of good econoniics
leading him to loqk at early Christiàh communities as hnodéls for a good civ
cornmùnity, and at evangelica! modeis as unsurpassed rnodels of politicai lite
K, i ^ i ^ I

Keywords: Antonio Genovesi; tbeology; civil economy; politics; mytualìb


Neapolitan eighteenth-century ; , / , - ·;

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215
/2017 anno LXX U kbaniana U niversity

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