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TORINO: 07-12-2020
CLASSE: 5
SEZIONE: C
CORSO: ODONTOTECNICO
TEMI TRATTATI
-EDUCAZIONE ALIMENTARE
-IL METABOLISMO E CONSUMO CALORICO
-LE CALORIE ED I NUTRIENTI
-I SALI MINERALI
-VITAMINE
Il termine fu introdotto da James Prescott Joule, un fisico britannico che, definì la caloria
come la quantità di energia (o lavoro) necessaria a innalzare la temperatura di un Kg di
acqua da 14,5 °C a 15,5 °C.
I carboidrati o glucidi
Vengono utilizzati dall'organismo come combustibile energetico, sviluppano circa 4 kcal
per grammo e li troviamo soprattutto negli amidi, nei cereali, nel pane, nei legumi, nei frutti,
nelle patate, nel miele, nella farina, nella frutta secca e nelle marmellate. Essi si dividono
in due principali categorie:
1- gli zuccheri o carboidrati semplici (monosaccaridi e disaccaridi)
2- gli amidi o carboidrati complessi (oligosaccaridi e polisaccaridi)
I carboidrati semplici sono composti da una molecola di zucchero elementare, da cui il
termine monosaccaridi, o dal legame di due monosaccaridi, che conferisce loro il
termine disaccaridi.
Sono carboidrati semplici, ad esempio: il fruttosio, il glucosio ed
il galattosio (monosaccaridi), ma anche il saccarosio, il lattosio ed il maltosio (disaccaridi).
I carboidrati composti da un'unione di 3 - 10 unità di zuccheri semplici sono
denominati oligosaccaridi. I carboidrati più complessi, quelli composti da un elevato
numero di unità di monosaccaridi, che possono essere diverse migliaia, sono
denominati polisaccaridi.
Sono carboidrati complessi, appartenenti al gruppo degli oligosaccaridi:
- le maltodestrine, che sono costituite da brevi catene di molecole di glucosio, il che le
rende facilmente digeribili ma non così rapidamente come gli zuccheri semplici; grazie a
tale caratteristica, le maltodestrine assicurano un rilascio di energia lento e duraturo nel
tempo, e sono per questo molto indicate come integratore da assumere durante gli
allenamenti;
– i frutto-oligosaccaridi (FOS) ed i galatto oligosaccaridi (GOS), che sono composti da
molecole di fruttosio e galattosio; non essendo completamente digeribili, questi nutrienti
giungono intatti nella parte finale dell'intestino (colon), dove sono utili per la selezione dei
batteri benefici, utili all'organismo.
Troviamo invece i polisaccaridi negli alimenti ricchi di amidi (cereali, patate e molti altri tipi
di vegetali).
Entrambi i carboidrati (zuccheri semplici e complessi) forniscono energia all'organismo
ma, mentre i primi tendono a creare fluttuazioni improvvise del livello di glucosio nel
sangue (glicemia) - con l'effetto di far innalzare notevolmente i livelli di energia per un
lasso di tempo limitato, salvo poi farli abbassare drasticamente - i carboidrati complessi,
(molecole composte da sequenze concatenate di zuccheri semplici), durante i processi
digestivi vengono demoliti a unità semplici per poter essere assorbiti. Proprio grazie a
questo meccanismo, i carboidrati complessi forniscono energia più lentamente, ma per
periodi più prolungati, evitando le sopra indicate fluttuazioni di zuccheri nel sangue.
I carboidrati rappresentano in genere la quota più consistente della razione alimentare,
variando mediamente dal 50% all'80% del totale giornaliero, in base al fabbisogno e alle
esigenze individuali.
2) Le proteine e gli amminoacidi
Dal greco "PROTEIOS" (primario).
Sono sostanze organiche costituite da quattro elementi principali: Carbonio, azoto,
ossigeno ed idrogeno. Apportano, come per i carboidrati, circa 4 kcal per grammo e
ricoprono un grande numero di funzioni vitali per l'organismo, come:
• processi plastici: ovvero costruire tutti i tessuti che sono soggetti a continue demolizioni e
sintesi, primi tra tutti i muscoli;
• processi regolatori: essendo le proteine precursori di ormoni, neurotrasmettitori, enzimi
ed altre molecole di importanza biologica, ne regolano la produzione ed il funzionamento
nell'organismo;
• processienergetici: l'organismo può trasformare le proteine in energia attraverso la loro
scissione in aminoacidi e la rimozione della parte azotata, dando luogo alla loro
conversione in glucosio (vedi aminoacidi glucogenici).
Pur esistendo numerosissimi aminoacidi presenti negli organismi viventi, soltanto alcuni di
essi (circa 20) sono preposti alla formazione delle proteine. Possiamo distinguere detti
aminoacidi in due gruppi principali: essenziali e non essenziali, anche se a quest'ultima
categoria si aggiunge un sottogruppo minore, denominato semi essenziali.
• Gli aminoacidi essenziali: fenilalanina, isoleucina, lisina, leucina,
metionina, treonina, triptofano e valina; sono così denominati perché non possono essere
sintetizzati dall'organismo, pertanto devono comparire in quantità sufficienti nella razione
dietetica quotidiana.
• I non essenziali: arginina, istidina, alanina, acido L-aspartico, acido L-
glutammico, glicina, prolina, serina, asparagina, glutammina; se non sono presenti,
possono essere sintetizzati attraverso la trasformazione di altri aminoacidi.
• I semi essenziali: taurina, tirosina e cisteina; tali nutrienti possono essere sintetizzati
dall'organismo a partite da fenilalanina e metionina, a condizione che questi aminoacidi
precursori vengano forniti in modo appropriato.
3) I grassi
Quello relativo ai grassi è forse l'argomento più complesso e articolato riguardante
i macronutrienti, e necessiterebbe di un articolo a parte. Ma cerchiamo di essere sintetici,
utilizzando un linguaggio che sia comprensibile anche ai profani.
Detti anche lipidi, sono molecole organiche presenti in natura e raggruppate per le loro
caratteristiche comuni di solubilità: sono insolubili nell'acqua, mentre sono solubili in
solventi organici non polari, come l'etere e l'acetone.
I lipidi vengono spesso e ingiustamente demonizzati per il loro elevato contenuto calorico
(nove kcal per grammo). Il loro apporto tuttavia è di vitale importanza e devono comunque
essere presenti nella razione alimentare quotidiana - anche se in quantità moderate -
poiché svolgono molteplici funzioni, quali:
veicolare le vitamine liposolubili (A-D-E-K-F);
favorire la regolazione di diversi ormoni nell'organismo;
provvedere all'isolamento termico e alla protezione dei diversi organi interni,
dei tendini e delle articolazioni;
sintetizzare molecole steroidee, come alcuni ormoni.
I lipidi svolgono inoltre un ruolo importante sul sistema immunitario e sul metabolismo, ed
hanno una funzione antiinfiammatoria ed antiallergica.
I grassi possono essere, come per le proteine, di origine animale e vegetale.
Generalmente i grassi animali sono solidi a temperatura ambiente, mentre quelli vegetali
(oli) sono liquidi.
4) Le fibre
L'importanza delle fibre è stata rivalutata solo negli ultimi decenni, in quanto pur non
avendo un apporto energetico - poiché costituite da molecole complesse che l'organismo
non è in grado di assimilare - hanno importanti funzioni fisiologiche, come quella di
esercitare un'azione disintossicante per l'organismo e velocizzare il transito intestinale,
riducendo quindi l'assorbimento di zuccheri, grassi e colesterolo. Troviamo le fibre nella
frutta, nelle verdure, nei cereali, nei legumi, nelle noci e nei semi.
5) Le vitamine
Le conserve e gli alimenti precotti offerti dal mercato sono esclusi dalla lista dei cibi
prevista da una buona educazione alimentare: spesso, infatti, contengono additivi dannosi
per l'organismo, sono poveri di micronutrienti e presentano un indice glicemico superiore
all'alimento fresco.
SI' A CEREALI INTEGRALI
COTTURA BREVE DEI CIBI : Per evitare la denaturazione delle proteine e la perdita delle
vitamine contenute, le verdure non dovrebbero essere cotte per tempi molto lunghi.
L'IMPORTANZA DELLA COLAZIONE
Tra i principi dell'educazione alimentare non può certo mancare la colazione, il pasto più
importante della giornata. Di notte l'organismo è costretto ad un lungo digiuno: dopo 10
ore, per soddisfare la produzione di glucosio il metabolismo non attinge
più glicogeno dal fegato, ma dalle proteine del muscolo. L'organismo si trova in una
condizione-limite delle riserve: questo meccanismo porta alla formazione di corpi
chetonici, con consumo di proteine muscolari e perdita di elettroliti per tamponare
l'aumento di acidità del sangue.
Proprio per evitare la formazione di queste sostanze, una colazione regolare è di assoluta
necessità.
Addirittura, alcuni studi hanno messo in evidenza che le persone obese tendono a saltare
la colazione: al pranzo, così, si assiste ad una vera e propria abbuffata, perché è il corpo
stesso a richiedere nutrienti. Una buona colazione deve fornire circa il 15 o 20%
dell'apporto calorico della giornata e secondo le regole per una buona educazione
alimentare è un buon modo per mantenere il controllo del peso.
Il metabolismo basale Esso costituisce il 65-75% del metabolismo totale. Le donne hanno
un metabolismo basale minore rispetto agli uomini (5-10% in meno) a causa di una minore
quantità di massa magra ed a una maggiore quantità di tessuto adiposo. Il metabolismo
basale diminuisce di circa il 2-3% ogni decade di vita sia negli uomini che nelle donne, in
quanto la massa magra viene sostituita dal tessuto adiposo, che per sua natura ha un
metabolismo energeticamente più basso. L'esercizio fisico regolare, sia di potenziamento
che di resistenza è in grado di aumentare il metabolismo basale dell'8% e di contrastare la
sua diminuzione con l'avanzare dell'età. Durante l'esercizio fisico, il metabolismo del
muscolo può aumentare anche di 120 volte.
Di seguito sono elencati i principali fattori che influenzano il metabolismo basale.
L'ormone sessuale maschile, il testosterone, può far aumentare il metabolismo basale del
10-15%. Gran parte dell'effetto del testosterone sul metabolismo è dovuto alla sua azione
anabolizzante, che fa aumentare la muscolatura scheletrica. Ciò si nota negli adolescenti
che nella fase di sviluppo dimagriscono facilmente. Molti soggetti che hanno carenza di
testosterone possono aumentarlo attraverso uno sport di potenziamento. Le donne con
eccessive quantità di testosterone (caratteristiche dell'irsutismo e dell'ovaio policistico)
immagazzinano grasso viscerale all'interno della pancia e possono andare incontro a stati
di insulino-resistenza e dunque ad un alterato metabolismo degli zuccheri.
L'ormone della crescita (GH) può far aumentare il metabolismo del 15-20%. I bambini in
pieno accrescimento hanno un metabolismo più alto.
Una nota importante è da farsi sugli ormoni (testosterone, nandrolone, GH) che vengono
somministrati nelle varie palestre per far aumentare il metabolismo e la massa muscolare.
Anche se i risultati possono essere quelli desiderati, non sono pochi gli effetti collaterali e
le probabilità di incorrere in patologie serie.
Esiste una differenza sostanziale tra misurare e stimare il metabolismo. La stima avviene
tramite formule matematiche più o meno accurate, che in base al peso, l'altezza o
il calcolo della superficie corporea danno una stima del metabolismo basale. Queste
formule matematiche sono molte ed ognuna differente in base al soggetto valutato (obesi,
normopeso, bambini, adolescenti, anziani). Tutte le formule, comunque, danno un errore
del 10%-30% rispetto al reale valore del metabolismo basale. L'errore aumenta se la stima
viene fatta in soggetti che sono già a dieta o che hanno perso già peso (a causa del
cambiamento dello stato di idratazione dell'organismo).
La misurazione vera e propria può essere accuratamente effettuata tramite la calorimetria
indiretta, una metodica di riferimento veloce e non invasiva. Essa consiste nella
misurazione del consumo di ossigeno e di anidride carbonica inspirata ed espirata dal
soggetto in un intervallo di tempo preciso. In base ai dati registrati viene poi dedotto il
metabolismo energetico basale. La misurazione vera e propria del metabolismo pone le
basi per un corretto programma nutrizionale. Infatti, dare una dieta molto al di sotto del
proprio metabolismo induce una perdita di massa magra con un conseguente diminuzione
del metabolismo stesso. In queste condizioni è più probabile che il dimagrimento si fermi
molto presto. In effetti la perdita di peso non dovrebbe essere maggiore di un chilo a
settimana, corrispondente a circa 1000 kcal in meno rispetto alla spesa energetica totale
giornaliera.
metabolismo Il complesso delle trasformazioni chimiche che avvengono nelle cellule degli
organismi eucarioti e procarioti in modo coordinato e finalizzato, al quale cooperano molti
enzimi e sistemi multienzimatici intracellulari. Il m. ha quattro funzioni principali e
specifiche: ricavare energia chimica dalla degradazione di sostanze nutritive ricche di
energia, dall’ambiente o dall’energia solare; convertire le molecole nutritive nei precursori
di base delle macromolecole cellulari; utilizzare questi precursori di base per formare
proteine, acidi nucleici, lipidi, polisaccaridi e altre sostanze; formare e degradare
biomolecole necessarie a funzioni specializzate delle cellule. Per m. intermedio si
intendono le sequenze specifiche dei prodotti successivi di trasformazione, i metabolici;
esso presenta due fasi principali: l’anabolismo e il catabolismo.
Nell’anabolismo (o biosintesi), che costituisce la fase costruttiva sintetica del m., piccoli
precursori o molecole di base sono utilizzati per formare i grandi componenti
macromolecolari cellulari, come le proteine e gli acidi nucleici. Il catabolismo è la fase
degradativa del m. nella quale le molecole organiche di nutrimento, come i carboidrati, i
lipidi e le proteine provenienti dall’ambiente extracellulare o da riserve accumulate nella
cellula, sono degradate da reazioni a tappe successive in prodotti finali più semplici e a
minore peso molecolare, come l’acido lattico, l’anidride carbonica e l’ammoniaca.
Il m. è attività di ogni singola cellula; in rapporto alle differenze citomorfologiche delle
cellule e delle loro attività metaboliche, si distinguono un m. delle cellule eucariotiche e un
m. delle cellule procariotiche.
1. M. delle cellule eucariotiche
1.1 REAZIONI ANABOLICHE E CATABOLICHE. - Le reazioni chimiche, siano esse
anaboliche o cataboliche, possono avvenire spontaneamente solo se la variazione di
energia libera è negativa, ovvero se l’energia libera dei prodotti (stato finale della reazione)
è maggiore di quella dei reagenti (stato iniziale della reazione). Le reazioni anaboliche di
sintesi sono prevalentemente endoergoniche (cioè richiedono un apporto di energia), al
contrario di quelle cataboliche di degradazione che sono prevalentemente reazioni
esoergoniche, nelle quali si liberano notevoli quantità di energia. Questa viene
temporaneamente trasferita a composti intracellulari specifici ad alto potenziale
energetico, che a loro volta trasportano e rendono disponibile l’energia nelle sedi dei vari
processi anabolici. Il principale di questi composti è l'adenosintrifosfato la demolizione
delle molecole nutritive a prodotti di rifiuto determina, utilizzando ADP e Pi, la sintesi di
ATP, il quale rende disponibile l’energia accumulata cedendo il gruppo fosforico per la
sintesi di macromolecole o per lo svolgimento di varie forme di lavoro.
Per questo motivo, il sistema ATP/ADP costituisce una sorta di ‘moneta di scambio’
utilizzabile per la maggior parte delle reazioni che implicano trasferimenti di energia. Le
reazioni chimiche generalmente deputate alla produzione di energia, da conservare sotto
forma di composti altamente energetici, sono quelle ossidoriduttive associate al
trasferimento degli elettroni. Esistono tre meccanismi fosforelativi fondamentali di sintesi
dell’ATP associati ai tre tipi di vie ossidative esistenti in natura, e cioè: la glicolisi,
la fosforilazione ossidativa e la fotosintesi clorofilliana
Un certo numero di molecole, comune a entrambi i processi, permette una
interconnessione tra le vie anaboliche e quelle cataboliche. Si possono riconoscere, sia
nel catabolismo sia nell’anabolismo, tre stadi diversi costituiti da una serie di reazioni
enzimatiche successive. Nel catabolismo, il primo stadio è rappresentato dalla
demolizione delle macromolecole (proteine, lipidi, polisaccaridi, acidi nucleici) nei loro
blocchi costitutivi (amminoacidi/">amminoacidi, monosaccaridi, acidi grassi, nucleotidi);
questo stadio è essenzialmente idrolitico e non libera energia utilizzabile dalle cellule. Nel
secondo stadio, si ha la demolizione dei blocchi costitutivi in pochi intermedi fondamentali
formati da 2-4 atomi di carbonio, come il piruvato, l’ossalacetato, l’acetato (sotto forma di
acetil-CoA) e pochi altri, attraverso vie metaboliche specifiche per ogni tipo di composto
(come la glicolisi, la β-ossidazione degli acidi grassi ecc.). A questo stadio è associata la
liberazione di una parte relativamente piccola dell’energia totale racchiusa nei legami delle
biomolecole. Infine, nel terzo stadio, i pochi intermedi ottenuti precedentemente sono
incanalati in un unico processo ciclico terminale, il ciclo dell’acido citrico o ciclo di Krebs,
che estrae tutta l’energia possibile dai legami chimici tramite reazioni ossidoriduttive. La
riossidazione delle molecole ridotte nel ciclo dell’acido citrico è accoppiata alla produzione
di energia sotto forma di ATP durante la fosforilazione ossidativa, nella quale l’accettore
finale degli elettroni, provenienti si può dire da tutti i cicli metabolici precedenti, è
l’ossigeno molecolare. È in quest’ultimo stadio comune che viene liberata e conservata la
maggior quantità dell’energia chimica presente nelle molecole da metabolizzare.
Nel primo stadio dell’anabolismo, invece, piccole molecole entrano nel ciclo di Krebs, o si
trasformano, comunque, in precursori a basso peso molecolare. Il ciclo dell’acido citrico,
perciò, non può essere considerato esclusivamente una via catabolica, in quanto partecipa
anche alla maggioranza delle vie biosintetiche, fornendo i precursori essenziali. Nel
secondo stadio, questi piccoli precursori (piruvato, ossalacetato, acetil-CoA ecc.) vengono
trasformati in molecole specifiche che rappresentano i blocchi costitutivi delle varie classi
di molecole biologiche (monosaccaridi, acidi grassi, amminoacidi ecc.). In questo stadio è,
in genere, necessaria più energia di quella che le corrispondenti vie cataboliche sono in
grado di liberare. Nel terzo e ultimo stadio, i singoli blocchi costitutivi sono uniti tra loro con
reazioni essenzialmente di disidratazione, che perciò richiedono una quantità notevole di
energia sotto forma di ATP, per formare le 4 classi fondamentali di macromolecole
biologiche: proteine, polisaccaridi, lipidi complessi, acidi nucleici.
1.2 CONTROLLO DEL METABOLISMO- Il m. è sottoposto a una serie di fattori di
regolazione che si differenziano a seconda del loro meccanismo d’azione, della loro
localizzazione intracellulare e dell’ordine temporale della loro azione. Vi è una regolazione
automatica, termodinamica e cinetica, che agisce in base alla concentrazione degli
intermedi (substrati e prodotti delle singole reazioni enzimatiche) o dei coenzimi e del loro
stato ossidoriduttivo, a livello del sito attivo degli enzimi interessati. Questo tipo di controllo
è influenzato in modo determinante dall’organizzazione della via metabolica (lineare o
ciclica) e dall’organizzazione strutturale degli enzimi (liberi, sotto forma di complessi
multienzimatici, o legati a membrane). La regolazione, basata sulla compartimentazione
intracellulare delle vie metaboliche, consiste nella precisa localizzazione dei processi
anabolici e catabolici in diversi compartimenti cellulari ed è caratteristica degli organismi
eucarioti. Per es., l’ossidazione degli acidi grassi ha luogo nei mitocondri, mentre la loro
sintesi è localizzata nella frazione solubile del citoplasma, il citosol.
Un altro tipo di controllo del m. è dato dalla regolazione allosterica
(➔ allosterismo; enzima/" target="_blank">enzima) basata sulla modulazione dell’attività
catalitica di particolari enzimi oligomerici (detti enzimi allosterici o regolatori), situati in
posizione chiave delle vie metaboliche, in risposta alle variazioni di concentrazioni
di effettori che si legano a siti particolari dell’enzima, detti siti allosterici. Frequentemente,
uno dei prodotti finali della catena di reazione in cui sono coinvolti enzimi allosterici è in
grado di inibirne specificatamente l’attività: questo tipo di inibizione è noto come inibizione
da prodotto finale o inibizione a feedback o retroinibizione/">retroinibizione. Quando uno o
più prodotti di una sequenza metabolica inattivano più enzimi allosterici di quella stessa
sequenza, si ha la cosiddetta inibizione sequenziale.
Il controllo del m. è anche garantito dalla presenza di forme multiple di uno stesso enzima
note come isoenzimi. Ne sono un esempio gli isoenzimi della latticodeidrogenasi o della
creatinfosfochinasi che, nell’uomo, catalizzano ognuno la propria reazione con velocità e
affinità per il substrato differenti a seconda delle diverse esigenze metaboliche del tessuto
al quale appartengono. La regolazione del m. basata sulle modificazioni covalenti degli
enzimi è un tipo di controllo più lento e permette di mantenere l’enzima in uno stato attivo,
o inattivo, per parecchi eventi catalitici. In certi casi, la modificazione covalente ha lo scopo
di rendere l’enzima attivo solo quando raggiunge la sua sede d’azione; spesso, essa ha lo
scopo di promuovere eventi a cascata, in cui un enzima attivato utilizza come substrato un
altro enzima da attivare, amplificando in tal modo la risposta a un determinato stimolo
metabolico. Ne è un esempio l’attivazione degli zimogeni. In questo tipo di controllo, sono
comprese anche le modificazioni covalenti post-traduzionali che subiscono alcune
proteine, una volta sintetizzate e rilasciate dai ribosomi. Lo scopo è di operare,
prevalentemente in modo reversibile, sull’attività biologica della proteina che subisce la
modificazione. L’esempio più comune è la fosforilazione proteica da parte di chinasi e la
successiva defosforilazione a opera di fosfatasi (➔ glicogeno).
Alcune proteine subiscono modificazioni permanenti per svolgere la loro attività biologica:
così molti enzimi vengono legati stabilmente a coenzimi, come la biotina, l’acido lipoico, il
piridossalfosfato. Vi sono poi altre modificazioni come l’acetilazione dell’estremità N-
terminale della proteina o la metilazione di specifici residui amminoacidici. Inoltre, esiste
un meccanismo di controllo che si esercita attraverso la regolazione della concentrazione
di un dato enzima nella cellula.
La velocità di sintesi di alcuni enzimi è molto accelerata in certe condizioni, cosicché la
concentrazione reale dell’enzima nella cellula risulta sostanzialmente aumentata. Questo
tipo di controllo del m. è più lento, perché agisce sul livello degli enzimi presenti all’interno
di una cellula; il controllo può essere permanente (i livelli dei vari enzimi sono determinati
geneticamente), o può agire in risposta a determinati stimoli metabolici. In quest’ultimo
caso l’azione può avvenire a livello genico sulla sintesi degli enzimi (a livello della
trascrizione o della traduzione), oppure sulla loro degradazione intracellulare.
In alcuni casi, il controllo dell’espressione genica di un determinato enzima dipende
dall’interazione di substrati o prodotti dell’enzima stesso con la sequenza nucleotidica del
DNA che codifica la traduzione per quel particolare enzima. Tali sequenze di DNA sono
denominate operoni. Inoltre, esiste un controllo del m. che si manifesta per mezzo di una
regolazione a distanza negli organismi multicellulari, sia attraverso l’uso di messaggeri
chimici (ormoni, neuromediatori ecc.) sia attraverso connessioni fisse intercellulari. Questa
regolazione risponde alla necessità di una coordinazione più generale fra cellule e tessuti
diversi per garantire l’armonizzazione del m. negli organismi complessi e agisce spesso
attraverso l’azione ulteriore di messaggeri intracellulari, che trasmettono e amplificano
l’azione del segnale primario al sistema effettore finale.
Infine, si deve tener conto che anche le concentrazioni intracellulari relative di ATP, ADP e
AMP e soprattutto il loro rapporto, definito come carica energetica cellulare, hanno un
ruolo molto importante nella regolazione del m., nel senso che un’alta carica d’energia
inibisce le vie di produzione di ATP (cataboliche), mentre stimola le vie di utilizzazione
dell’ATP stesso (anaboliche).
2. M. basale e m. secondario
Ilm. basale è il dispendio energetico dell’organismo in condizioni ‘di base’, ossia in
completo riposo fisico e psichico, a digiuno da almeno 12-16 ore e in neutralità termica.
Esso rappresenta il fabbisogno calorico necessario al mantenimento delle funzioni vitali
(attività cardiocircolatoria, respirazione, termoregolazione ecc.) e può essere espresso in
kilocalorie per ora e per m2 di superficie corporea (la quale si calcola, mediante apposite
tabelle, dall’altezza e dalla massa del soggetto; 1 kcal = 4187 J). Nell’uomo adulto
normale in condizione di base il dispendio calorico è valutato pari a 40 kilocalorie per m2 e
per ora (un po’ meno nella donna; un po’ più nei bambini): ossia, per un individuo di media
corporatura, intorno a 1700 kcal giornaliere. Fra le numerose condizioni patologiche che
modificano, nell’uomo, il m. basale si possono ricordare lo stato febbrile, le malattie con
dispnea o con tachicardia, l’acromegalia, affezioni tiroidee. Esistono malattie dipendenti
direttamente da alterazioni delle vie metaboliche conosciute come malattie congenite del
metabolismo.
Il m. secondario è costituito da vie metaboliche che portano alla formazione o alla
degradazione di sostanze nell’ordine di appena alcuni milligrammi al giorno. Ne sono un
esempio la biosintesi di coenzimi e ormoni, che sono prodotti e utilizzati solo in tracce, e la
formazione di nucleotidi e pigmenti. Si tratta di biomolecole altamente specializzate molto
importanti per la vita degli organismi che le sintetizzano. Le vie metaboliche del m.
secondario sono generalmente interconnesse con le reazioni del m. centrale. Numerose
malattie metaboliche dipendono da difetti ereditari che interessano enzimi appartenenti a
vie del m. secondario, come quelle del m. fosfolipidico.
3. Particolarità del m. nelle piante superiori
Nelle piante, accanto al m. primario che si svolge secondo meccanismi pressoché
universali volti a sopperire alle funzioni vitali (per es., sintesi proteica, metabolismo
glucidico ecc.), è particolarmente intensa un’attività riferita al m. secondario, mediante la
quale si forma un gran numero di sostanze, di diversa natura chimica, che non sono
essenziali alle funzioni vitali, ma rappresentano peculiari specializzazioni delle cellule e
sono atte a influenzare e regolare funzioni dell’organismo o anche di altri organismi
determinando, per es., forme di attrazione o di repulsione. I metaboliti secondari sono
spesso sostanze di notevole interesse farmacologico e industriale.
4. M. delle cellule procariotiche
Il m. dei procarioti si differenzia da quello degli organismi superiori soprattutto a livello di
alcune vie cataboliche, mentre il loro anabolismo è fondamentalmente simile. Nei
procarioti aerobi,per la mancanza di organelli intracellulari definiti, è assente il sistema di
controllo del m. dovuto alla compartimentazione cellulare, e i sistemi enzimatici delle vie
metaboliche si trovano sparsi nel citoplasma o associati alla membrana plasmatica, come
nel caso degli enzimi della fotosintesi o della fosforilazione ossidativa.
Due tipi di m. prettamente procariotico sono la fermentazione e la respirazione anaerobia.
La fermentazione è un’ossidazione anaerobia nella quale non interviene l’ossigeno come
accettore finale di elettroni. Nei procarioti, l’acido piruvico derivante dalla via glicolitica è
trasformato attraverso 4 tipi di fermentazione: a) fermentazione alcolica, caratteristica dei
lieviti, di alcuni funghi e di pochi batteri; è un tipo di fermentazione utilizzata
industrialmente per la produzione di alcol etilico; b) fermentazione lattica o omolattica, che
porta solamente alla produzione di acido lattico dall’acido piruvico, per contemporanea
ossidazione del NADH. È la stessa fermentazione che si osserva nel m. anaerobio delle
cellule eucariotiche ed è caratteristica dei lattobacilli e di alcuni cocchi; c) fermentazione
propionica, caratteristica del genere Propionibacterium, che produce anidride carbonica,
acido propionico e acido acetico. L’associazione delle fermentazioni propionica e lattica è
ampiamente utilizzata nell’industria casearia; d) fermentazione formica, propria dei batteri
enterici, come Escherichia coli, Proteus, Salmonella ecc., che porta alla produzione di
numerosi acidi organici quali acido acetico, formico, lattico e succinico. La respirazione
anaerobia è caratteristica dei procarioti anaerobi sia facoltativi sia obbligati, i quali sono in
grado di utilizzare come accettore finale di elettroni molecole inorganiche diverse
dall’ossigeno molecolare, o molecole organiche che, a differenza di quanto avviene nella
fermentazione, non derivano dal substrato utilizzato in partenza. In questo caso, i più
comuni accettori di elettroni sono i nitrati, che vengono ridotti a nitriti, o a ossido d’azoto, o
ad azoto molecolare. I procarioti aventi questo tipo di m. sono, però, aerobi facoltativi, a
differenza di altri che utilizzano come accettori di elettroni i solfati, riducendoli a idrogeno
solforato. Inoltre, per es. nei metanobatteri, è l’anidride carbonica che viene utilizzata e
ridotta a metano; mentre in Streptococcus è il fumarato ad accettare gli elettroni
riducendosi a succinato.
Una differenza importante riscontrabile nel m. dei procarioti riguarda la fotosintesi: la
clorofilla presente nei batteri è diversa da quella delle piante superiori nella composizione
delle catene laterali alifatiche, che permettono di distinguere quattro tipi di batterioclorofille
identificate con le lettere a, b, c, d. Infine, va ricordato un aspetto importante del m.
procariotico, e cioè la produzione degli antibiotici.
MEDICINA
Da quando (1908) A.E. Garrod coniò l’espressione ‘malattie congenite del m.’ (inborn
errors of metabolism/">metabolism) a proposito dell’alcaptonuria, sono stati descritti molti
altri quadri, accomunati da un meccanismo eziologico analogo, dato dal deficit parziale o
totale di una specifica attività enzimatica oppure di una proteina di trasporto dei vari
composti all’interno della cellula. Pertanto, la via metabolica può andare incontro a un
rallentamento o a un blocco con tutte le ripercussioni del singolo caso. In particolare si può
verificare: accumulo dei metaboliti a monte del blocco (singolo difetto enzimatico ecc.);
impossibilità di giungere al prodotto finale della via metabolica che risulterà scarso o
assente; attivazione di vie alternative finalizzate al superamento del blocco.
In base a quanto anticipato esistono difetti del m. a vari livelli, con specifici quadri
patologici degni di una distinta collocazione nosologica. Una premessa recente riguarda
l’identificazione di numerosi meccanismi patogenetici, basati spesso su alterazioni
geniche; a ciò si associa la possibilità di effettuare diagnosi precoci e di identificare il
trattamento più fisiologico, basato sulla terapia sostitutiva a base del prodotto enzimatico
carente o sulla terapia genica.
1. Malattie del m. dei carboidrati
Il deficit di fruttochinasi/">fruttochinasi causa una forma benigna nota come fruttosuria
essenziale. Al contrario il deficit di 1,6-bifosfato-aldolasi porta alla forma nota
come intolleranza ereditaria al fruttosio con sintomatologia grave fino alla morte per
insufficienza epatica e renale, reversibili all’eliminazione totale dei carboidrati interessati.
Fra le affezioni caratterizzate da accumulo di glicogeno (glicogenosi), i disordini di più
frequente riscontro durante l’infanzia sono: deficit di glucosio-6-fosfatasi (tipo I, malattia di
E. von Gierke), autosomica recessiva con ipoglicemia, chetosi, iperlipemia ecc.; deficit
di α-1,4-glucosidasi lisosomiale (tipo II, malattia di J.C. Pompe) con prognosi gravissima
(evoluzione letale entro il secondo anno di vita); deficit dell’enzima deramificante (tipo III)
con clinica simile al tipo I, in forma attenuata e il deficit di fosforilasi chinasi epatica (tipo
IX). Il disordine di più frequente riscontro nell’adulto è il deficit della fosforilasi muscolare
(tipo V, malattia di B. McArdle) con crampi muscolari dolorosi, possibile emoglobinuria ecc.
2. Malattie del m. lipidico
A proposito di dislipidemie familiari, la ricerca ha fornito oggi gli strumenti per andare oltre
la vecchia classificazione di D.S. Fredrickson, basata sull’individuazione delle frazioni
lipoproteiche aumentate e fornendo quindi un solo dato fenotipico della patologia. Le
conoscenze attuali consentono di fornire una classificazione genotipica delle alterazioni, in
grado di integrare sia gli aspetti metabolici sia quelli genetici. Alcuni esempi sono dati da:
ipercolesterolemia familiare classica, conseguente ad alterazioni geniche a carico del
recettore per le LDL, responsabili di un loro alterato catabolismo e conseguente
accumulo; iperchilomicronemia/">iperchilomicronemia familiare (deficit genetico a carico
della lipoproteinlipasi, LPL, o di ApoC-II, suo cofattore) con prevalente ipertrigliceridemia
(eruzioni xantomatose, rischio di pancreatite acuta) ecc.
Tra le alterazioni del m. lipidico sono incluse le lipidosi (o lipoidosi). Alcuni esempi sono
dati da: malattia di Gaucher, disordine autosomico recessivo, conseguente al deficit
dell’enzima lisosomiale β-glucosidasi, con esordio e presentazione clinica variabile, a
seconda dell’età; malattia di Niemann-Pick (lipidosi sfingomielinica), da deficit, più o meno
completo a seconda dei vari fenotipi (A, B, C ecc.), dell’enzima sfingomielinasi con
accumulo di sfingomielina all’interno della cellula che va incontro a morte; malattia di Tay-
Sachs da deficit enzimatico di β-esoaminidasi A con progressiva neurodegenerazione
conseguente all’accumulo intracellulare di ganglioside GM2.
3. Malattie del m. dei mucopolisaccaridi
Costituiscono un’altra manifestazione di patologia lisosomiale coinvolgente il m. dei
mucopolisaccaridi. Si distinguono diverse manifestazioni in base alla specifica attività
enzimatica coinvolta: sindrome di G. Hurler (tipo I) da deficit di L-iduronidasi con gravi
dimorfismi, epatosplenomegalia ecc.; sindrome di C.H. Hunter (tipo II) da deficit di
iduronatosolfatasi con presentazione simile al tipo I ma in forma attenuata; sindrome di
S.J. Sanfilippo (tipo III), di cui si conoscono quattro forme, contraddistinte con le lettere A,
B, C e D, dovute rispettivamente a deficit di eparan-N-solfato-solfatasi, N-acetil-α-D-
glucosaminidasi, acetil-CoA-α-glicosaminide-N-acetiltransferasi, N-acetilglicosamina-6-
solfato-solfatasi, con dismorfismi, ancor meno accentuati; sindrome di Morquio (tipo IV),
da deficit di N-acetil-galattosamina-solfatasi con nanismo, protrusione della mandibola o
altri dismorfismi facciali ecc.; sindrome di H.G. Schede (tipo V) con deficit enzimatico
uguale alla sindrome di Hurler, dalla quale però si distingue nettamente sul piano clinico:
esordio nel soggetto adulto con opacità corneali, compromissioni tendinee e articolari ecc.;
sindrome di P. Maroteaux - M. Lamy (tipo VI), da deficit di arilsofatasi B, con dismorfismi
che ricordano anche in questo caso la sindrome di Hurler; sindrome di Sly (tipo VII),
dovuta a deficit di β-glicuronidasi.
Attualmente non esiste una cura risolutiva per le mucopolisaccaridosi, che vengono gestite
con terapie sintomatiche (logopedia, fisioterapia, ecc.); per alcune forme si è tentato il
trapianto di midollo osseo per poter giungere alla produzione endogena dell’enzima
mancante. Tale strategia, insieme alla terapia genica, rappresenta il target terapeutico più
fisiologico e risolutivo.
4. Malattie da alterato m. degli amminoacidi
Sono numerose e comprendono turbe sia del trasporto degli amminoacidi sia del loro m.
intermedio. La loro base biochimica è individuabile in un deficit enzimatico specifico; la
caratteristica chimico-clinica che generalmente le accomuna è l’elevato contenuto nelle
urine di un determinato amminoacido (amminoaciduria). Da tempo note sono
l’alcaptonuria, connessa a un deficit di omogentisinico-ossidasi, e la fenilchetonuria, in cui
è implicato un difetto di fenilalaninaidrossilasi. Altri esempi sono dati dalle turbe del m. di
tirosina, triptofano, istidina, prolina, e vari altri amminoacidi per deficit enzimatici specifici e
altrettanto caratteristica presentazione clinica. Anche gli amminoacidi a catena ramificata –
valina, leucina, isoleucina – sono interessati da alterazioni congenite metaboliche, la cui
incidenza nella popolazione generale è estremamente ridotta.
5. Difetti ereditari del ciclo della sintesi dell’urea
Si accompagnano ad aumento dell’ammonio ematico che agirebbe come agente tossico.
Le forme che interessano le prime tappe del ciclo dell’urea e che presentano anche
ammoniemia elevata sono: il deficit di carbamilfosfatosintetasi e il deficit di ornitina-
carbamil-transferasi, detti anche rispettivamente iperammoniemia di tipo I e di tipo II. I
quadri clinici comprendono in generale episodi di vomito, gravi manifestazioni morbose
fino al coma, ritardo mentale, avversione per i cibi proteici. Il principale obiettivo della
terapia nelle iperammoniemie ereditarie punta a mantenere un compenso biochimico in
grado di contrastare l’insorgenza dei danni neurologici permanenti. A tal fine un ruolo
decisivo è svolto dalla dieta ipoproteica associata a farma;ci che favoriscono l’escrezione
dell’azoto mediante vie alternative al ciclo dell’urea.
6. Altri quadri dismetabolici
Altre forme di patologia del m. sono: la citrullinemia (aumento di citrullina nel sangue per
difetto di arginino-succinico-sintetasi); l’arginino-succinato-aciduria (eliminazione urinaria
di arginino-succinato da difetto di arginino-succinasi); il deficit di arginasi. Tutte queste
forme sono trasmesse in via recessiva. Sono stati individuati altri quadri dismetabolici
clinicamente dominati dai fenomeni chetosici: isovalericoacidemia causata da un difetto di
isovaleril-CoA-deidrogenasi con ricorrenti episodi di scompenso metabolico acuto, vomito,
chetoacidosi e coma; acidemia propionica, da difetto enzimatico di propionil-CoA-
carbossilasi che blocca la trasformazione del propionil-CoA in metilmalonil-CoA, inizia nel
neonato con grave chetoacidosi, disordini respiratori ecc.; metilmalonico-acidemia, da
blocco nella conversione del metilmalonil-CoA a succinil-CoA, catalizzata dalla
metilmalonil-CoA-mutasi ecc. Per la vicinanza clinica con le forme caratterizzate da
chetoacidosi merita di essere qui ricordato il deficit di succinil-CoA-transferasi, che è
causa di blocco del trasferimento del coenzima A dal succinil-CoA all’acido aceto-acetico.
Le conseguenze sono chetonemia persistente con gravi episodi di chetoacidosi, per difetto
di metabolizzazione dei corpi chetonici.
Gli alimenti che troviamo in commercio – per esempio i biscotti – sono quindi formati da un
mix di zuccheri semplici e complessi.
Qual è la differenza per il nostro organismo? Gli zuccheri semplici vengono assorbiti più in
fretta, aumentando la glicemia più in fretta, mentre i polisaccaridi necessitano di un
processo digestivo più lungo e di conseguenza la glicemia aumenta più lentamente.
Qualche esempio:
•Zuccheri: carboidrati semplici si trovano naturalmente in frutta, verdura, latte e
latticini (lo zucchero in questione è il lattosio);
•Amido: carboidrato complesso che si trova naturalmente in cereali (pasta, pane,
riso), patate e legumi. In natura è presente in due forme, l'amilosio e l'amilopectina.
Solitamente più è alto il contenuto di amilopectina rispetto all'amilosio, più l'alimento
risulta digeribile;
•Fibre: carboidrati complessi che non usiamo per produrre energia, ma utili alla flora
intestinale per l’assorbimento dei nutrienti. Sono presenti naturalmente in frutta,
verdura, cereali integrali e legumi.
È fondamentale controllare i livelli di glicemia, per evitare che essi siano troppo elevati,
mettendoci a rischio di patologie come il diabete. Livelli eccessivi di glicemia portano
l’organismo al collasso. La normale quantità di glucosio contenuta nel sangue di una
persona adulta è di 5 grammi, un valore piuttosto basso, se consideriamo che un
cucchiaino di zucchero nel caffè ne contiene anche 8-10 grammi.
Un indice glicemico basso permette un buon controllo dei livelli di glicemia e favorisce il
dimagrimento dando un maggior senso di sazietà. Un indice glicemico alto permette di
avere a disposizione energia pronta da utilizzare, per esempio se stiamo compiendo un
importante sforzo fisico come una lunga camminata in montagna.
Ci sono alimenti “non sospetti” che forniscono apporti di carboidrati e glicemici alti, come
la banana, composta prevalentemente di carboidrati, donando energie pronte per il
consumo.
Per capire come funziona il nostro sistema metabolico degli zuccheri, si usa il test della
curva glicemica che misura i valori della glicemia con un prelievo eseguito a digiuno e due
ore dopo l'assunzione di una soluzione glucosata per via orale. Il test della curva glicemica
è utilizzato anche in gravidanza per lo screening del diabete gestazionale.
In un individuo sano, dopo due ore i valori del glucosio nel sangue sono inferiori ai 140
mg/dl. Per valori compresi tra 140 e 200 mg/dl si parla di di pre-diabete, mentre per valori
superiori a 200 mg/dl si può diagnosticare il diabete mellito.
Questo processo porta alla formazione di corpi chetonici che vengono utilizzati dal cervello
per soddisfare le proprie esigenze energetiche, ma se la carenza di carboidrati si prolunga
per troppo tempo l’organismo la presenza di corpi chetonici diventa troppo elevata,
rappresentando un rischio per la salute.
Secondo le Linee guida per una corretta alimentazione, il 45-60% delle calorie
giornaliere dovrebbe provenire dai carboidrati, almeno i tre quarti sotto forma di
carboidrati complessi e non più del 10% sotto forma di zuccheri semplici.