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OPERE DI SENECA

Seneca fu uno scrittore molto prolifico sia in prosa sia in poesia; della sua vasta produzione sono pervenuti i
Dialoghi, 10 raccoltI in 12 libri di argomento morale; il De clementia, trattato in 3 libri, di cui sono giunti il
primo e l'inizio del secondo; il De beneficiis, in 7 libri sulla beneficenza e sulla gratitudine; le Naturales
quaestiones, di carattere scientifico sui fenomeni atmosferici e celesti; le Epistulae morales ad Lucilium, 124
lettere raccolte in 20 libri; 9 tragedie; il Ludus de morte Claudii o Apocolocyntosis scritto satirico per la morte
dell'imperatore Claudio; una settantina di epigrammi, molti dei quali di dubbia autenticità. Di altre numerose
opere sono giunti solo i titoli o rari frammenti per via indiretta: si tratta di scritti di scienze naturali e di
filosofia, orazioni, lettere al fratello Novato, una biografia del padre.
DIALOGHI (DIALOGORUM LIBRI XII)
I Dialoghi sono una raccolta di 10 scritti filosofico-morali che la tradizione manoscritta distribuisce in 12 libri.
Ognuno si rivolge esplicitamente a personaggi ben precisi, ma il tono è piuttosto quello della diatriba
stoica, non senza importanti "aperture" verso l'epicureismo, che sono una costante della riflessione di
Seneca. La struttura dialogica è più letteraria che drammatica: spesso è un monologo in cui interviene,
per vivacizzare l'esposizione, un interlocutore fittizio presente il destinatario stesso cui sono affidate
obiezioni già pronte per essere superate.

- Consolatio ad Marciam, 37 d.C.: è dedicato a Marcia, figlia dello storico Cremuzio Cordo, per
consolarla della morte del figlio Metilio; sono già presenti temi caratteristici, come quello della labilità
delle cose e della precarietà della vita.

- De ira, 41 d.C.: è un trattato in 3 libri, dedicato al fratello Anneo Novato; pubblicato dopo la morte di
Caligola, tratta della genesi delle passioni, in particolare dell'ira, e del modo di dominarle. Tratta
dell’utilità sociale di chi ha imparato a tenere sotto controllo le passioni. Si chiude con una
invettiva contro Caligola.

- Consolatio ad Helviam matrem, 41-42 d.C.: è dedicato alla madre Elvia, per consolarla del dolore
che le ha provocato l'esilio del figlio in Corsica.

- Consolatio ad Polybium, 43-44 d.C.: scritto in Corsica, è dedicato a Polibio, potente liberto di
Claudio, per consolarlo della morte di un fratello. Le numerose adulazioni presenti mirano a ottenere
il richiamo dall'esilio. Lo scopo reale è rivolgere una supplica all’imperatore perchè revochi l’esilio.

- De brevitate vitae, 49 d.C.: è dedicato a Paolino, suocero di Seneca, tratta della vita, che è
apparentemente breve per chi non sa utilizzarla con saggezza. Spiega che la vita di ognuno è
abbastanza lunga per giungere alla felicità, purché il tempo sia dedicato all’interiorità.

- De constantia sapientis, 55 d.C.: è dedicato a Anneo Sereno ed è volto ad avvicinarlo alla filosofia
stoica. Tratta dell'imperturbabilità del sapiente (immune al male), per il quale non esiste né ingiuria
né offesa.

- De vita beata, 58 d.C.: è dedicato al fratello Novato, che aveva assunto il nome di Gallione dal
padre adottivo; tratta della felicità e della ricchezza, del rapporto tra il saggio e la ricchezza ed è una
risposta a coloro che lo accusavano di incoerenza fra ciò che sosteneva nei suoi scritti e il suo
comportamento, che gli aveva procurato un immenso patrimonio (grazie alla posizione di consigliere
di Nerone).

- De tranquillitate animi, ?: dedicato a Anneo Sereno, svolge il tema della serenità e della coerenza
del sapiente. Riflette sulla necessità di staccarsi dalle cose futili e ritirarsi nel privato

- De otio, ?: dedicato a Sereno, è una giustificazione del suo ritiro dalla vita pubblica e un'esaltazione
della vita appartata. Spiega la necessità per il sapiente di mantenere uno spazio per la ricerca della
verità e il miglioramento di sè.

- De providentia, 62-65 d.C.: scritto dopo il ritiro dalla corte di Nerone , è dedicato a Lucilio e tratta
della provvidenza secondo la dottrina stoica e del male inflitto ai buoni per fortificare la loro virtù.
Spiega i motivi per cui la divinità assegna le sventure anche alle persone rette.
TRATTATI

- De clementia, 56 d.C.
Il De clementia (La clemenza) è un trattato politico-filosofico in 3 libri, dedicato a Nerone, dell'opera sono
rimasti il primo libro e 7 capitoli del secondo. Traccia il programma politico per il giovane imperatore,
fondato sul valore della clemenza e della moderazione come caratteristiche del principe ideale. Seneca
legittima la costituzione di uno Stato monarchico che è più corrispondente alla concezione stoica; in un tale
regime, però, l'importante è avere un buon sovrano e dunque si rivela fondamentale la filosofia come base
della direzione dello Stato. Proprio il continuo riferimento alla clemenza come virtù cardinale di un principe
denota la consapevolezza, da parte del filosofo, di doversi predisporre ad affrontare un probabile despota.
Seneca loda Nerone nel suo esordio per aver mostrato un atteggiamento migliore nei confronti del senato
rispetto a Caligola e Claudio.
- De beneficiis, I-IV nel 62 d.C. e gli altri dopo
Il De beneficiis (I benefici) è un trattato in 7 libri dedicato a Ebuzio Liberale. L'opera affronta la casistica
legata all'atto del beneficio, sia di chi lo elargisce sia di chi lo riceve, e ne sottolinea l'importanza sociale.
Preoccupazione costante di Seneca è svincolare il beneficio dai legami della materialità, dell'interesse e di
elevarlo da prassi a valore. Tale tipo di rapporti realizzerebbe l’uguaglianza all’interno del genere umano,
conformemente al piano della natura.
- Naturales quaestiones, dopo il 62 d.C.
Le Naturales quaestiones, composte dopo il suo ritiro dalla vita politica, sono dedicate all'amico e discepolo
Lucilio (cui è anche indirizzato l'epistolario), magistrato di ordine equestre e procuratore in Sicilia nel 63-64
d.C. Dopo una prefazione in cui dichiara il proposito di giungere alla conoscenza di Dio, immanente nel
mondo attraverso le sue manifestazioni, Seneca articola il discorso in 7 libri, secondo un criterio non sempre
evidente, basato sui quattro elementi aria, terra, acqua, fuoco , ma palesemente squilibrato a favore dei
fenomeni atmosferici, i sublimia, che riguardano la regione tra terra e cielo: i fuochi celesti, i tuoni, i fulmini
e i lampi, le nubi e i venti. Tre libri sono dedicati ai fenomeni terrestri, le acque, le inondazioni del Nilo e i
terremoti; uno soltanto all'astronomia: le comete. Ogni libro (si apre e) si conclude con riflessioni di natura
morale: la degenerazione delle epoche umane, la meditazione sulla morte, i cicli cosmici che segnano la
storia dell'umanità, la polemica contro il commercio, le guerre, la stasi della ricerca filosofica. Le Naturales
quaestiones sono la testimonianza della versatilità di Seneca e del suo interesse verso le scienze, anche se
l'aspetto etico prevale su quello scientifico. Le Naturales quaestiones rivestono un’importanza notevole
perché lo studio della natura è concepito come il vero punto di arrivo della conoscenza umana, quando
guidata dalla ragione.

EPISTOLE
- Epistulae morales ad Lucilium, 62-65 d.C.
Le Epistole morali a Lucilio sono la sua opera più ricca di vita interiore. Lo scrittore le compose negli anni del
ritiro a vita privata e le indirizzò a Lucilio. Probabilmente non sono pervenute tutte; Aulo Gellio testimonia la
presenza di un XXII libro. Sono 124 lettere, divise in 20 libri, che espongono la riflessione filosofico-morale di
Seneca su temi fondamentali quali l'immortalità dell'anima, il sommo bene, la funzione della filosofia, la
divina provvidenza, le passioni, l'amicizia, il problema della morte, la schiavitù, l’importanza dell’interiorità,
l’uso consapevole del tempo, l’uguaglianza degli uomini di fronte alla morte, la sottomissione al destino di
tutti gli esseri viventi, la distinzione tra il vero bene e i beni inutili; non mancano anche osservazioni sulla vita
dell'epoca, commenti su avvenimenti di particolare interesse, critiche riguardanti la letteratura. Formalmente
esse rispettano, almeno in parte, i canoni del genere epistolare; non sono però lettere private, non danno
e non chiedono notizie, ma piuttosto sollecitano la meditazione e un dialogo a distanza, che non prevede
l'obbligo formale della risposta scritta. La forma epistolare consente al filosofo di esprimersi con estrema
libertà anche con toni e modi colloquiali.
Le Epistole morali costituiscono la summa del pensiero filosofico di Seneca, concepito più come indagine
su se stesso ed esortazione all'amico che come sistema organizzato. Esse non trattano mai di politica né di
fatti politici e per questo non assumono l'importanza documentaria dell'epistolario di Cicerone. Il filosofo
infatti tace quasi completamente sulla sua vita passata e sulle sue eccezionali esperienze: il ricordo è
diventato riflessione ed essa coinvolge una problematica più ampia e complessa che va oltre le persone
degli interlocutori. Ogni lettera è mediatrice di una saggezza inquieta, spesso autocritica, mai appagata da
una risposta precostituita.
Nelle lettere si insiste sul tema della filosofia come medicina dell’anima e sulla pratica della virtù che libera
l’uomo dalla paura e lo porta alla felicità.
Da questo epistolario, redatto da uno stoico, è possibile ricavare un ampio florilegio di sentenze epicuree
o della scuola di Epicuro, sovente apposte come sigillo al testo. Lo scrittore mette in secondo piano i
contrasti, all'origine radicali, tra le due filosofie, per trovarne i punti in comune, specialmente nell'etica, a
vantaggio di una verità che la compresenza di voci diverse non confonde. Non vi si parla mai di Claudio, né
di Nerone, ma sempre di Seneca, di un Seneca che si ritiene dolorosamente abilitato a parlare di tutti e per
tutti, coinvolgendo impietosamente nella critica la propria persona: "liberare se stessi di fronte a se stessi".

SATIRA
- Apocolocyntosis (trasformazione in zucca) o Ludus de morte Claudii, 54 d.C.
Incaricato di pronunciare l'orazione funebre ufficiale in onore di Claudio davanti al Senato, Seneca enfatizza
intenzionalmente i toni celebrativi fino al punto di suscitare le risa dell'uditorio e il defunto imperatore
divenne oggetto di derisione in un breve componimento, Ludus de morte Claudii, (Satira sulla morte di
Claudio), più comunemente nota come Apocolocyntosis divi Claudii (Zucchificazione del divo Claudio), che
alterna prosa e versi come la satira menippea. Il titolo grecizzante di Apocolocyntosis è di solito interpretato
come parodia di "apoteosi" e assume il significato, degradante rispetto a divinizzazione, di "zucchificazione"
o "inzuccamento". Seneca sfoga il suo malanimo contro l’imperatore che lo aveva condannato all’esilio.
Claudio vorrebbe essere accolto nell'Olimpo come un dio; invece è deriso e insultato dagli altri dei e
sottoposto a un processo, in cui il pubblico ministero, spietato nell'accusarlo, è Augusto in persona. Claudio
finirà nell'Averno trascinato da Mercurio, condannato a umili mansioni di schiavo-segretario, simili a quelle
dei liberti, ai quali aveva affidato in vita tanto potere e viene condannato a giocare per l’eternità a dadi con
un bussolotto forato. La satira è una bizzarra e gustosa invenzione letteraria, permeata di feroce
sarcasmo, in uno stile brioso e vivace, che unisce espressioni auliche ad altre volgari e popolari. L’opera
appartiene al genere della satira menippea (misto di prosa e versi con accenti comici e satirici)

TRAGEDIE
Le tragedie attribuite con certezza a Seneca sono nove, anche se per l'Hercules Oetaeus esiste
ancora qualche dubbio di autenticità. Sono tutte di soggetto mitologico greco e non si hanno sicure
date di composizione (probabilmente durante il periodo in cui era precettore di Nerone. Non potendo
insegnargli la filosofia probabilmente Seneca pensò di scrivere testi che potessero interessare il
giovane Nerone, appassionato di teatro e musica).
- Hercules furens (La follia di Ercole)
- Troades (Le Troiane)
- Phoenissae (La fenice)
- Medea (Medea)
- Phaedra (Fedra)
- Oedipus (Edipo)
- Agamemnon (Agamennone)
- Thyestes (Tieste)
- Hercules Oetaeus (Ercole sull’Eta)
- Octavia (Ottavia) (spuria; databile pochi anni dopo la sua morte (fine I secolo d.C.)

Le tragedie di Seneca rivestono grande interesse perché sono le uniche conservate interamente
della letteratura romana. Benché risentono di un'impostazione filosofica, che innesta sentenze, temi
e riflessioni stoiche ed epicuree nelle leggende antiche (si pensi ai frequenti scontri tra il tiranno e il
suo oppositore, ai conflitti tra passione e ragione), queste tragedie sono vere e proprie opere
letterarie, di poesia drammatica. Le scarse notizie pervenute non permettono di sapere con certezza
le modalità di rappresentazione, la letteratura tragica, in età già anteriore a Seneca, prevedeva sia la
rappresentazione, sia la sola lettura nelle sale di recitazione.
In considerazione degli aspetti filosofico-morali, della difficoltà di mettere in scena certi episodi e sulla
base di alcune peculiarità stilistiche, gli studiosi ritengono che quelle di Seneca fossero tragedie
destinate soprattutto alle recitazioni pubbliche o alla lettura privata. Caratteristiche salienti sono la
frammentazione dialogica, l'enfasi declamatoria nelle sentenze, nelle massime e nei dialoghi stessi, le
tinte fosche e macabre, il gusto per i sortilegi e la magia, l'esasperazione della tensione drammatica,
ottenuta mediante lunghe digressioni, vere e proprie scene autonome rispetto al contesto
drammatico. Seneca si ispira a Euripide, soprattutto, e a Sofocle; ma la contaminatio, da lui spesso
usata, e la ristrutturazione dell'impianto drammatico, mostrano la sua grande autonomia rispetto ai
modelli.
Alle tragedie di argomento greco (tragedie coturnate) si aggiunge una praetexta, un dramma cioè di
ambientazione romana (tragedia togata), l'Octavia, che vede come protagonista Ottavia, la prima
moglie ripudiata e fatta uccidere da Nerone, che si era innamorato di Poppea. Seneca ne fu
senz'altro l'ispiratore, ma non l'autore, perché in essa vengono narrati, con l'artificio della profezia,
particolari della morte di Nerone, avvenuta nel 68 d. C., troppo corrispondenti alla realtà, che Seneca,
morto tre anni prima, non poteva ovviamente conoscere. Inoltre lo stesso filosofo figura tra i
personaggi.
- Le tematiche trattate dall’autore non sono lontane dall’etica stoica cara al filosofo, pur
proiettate nel mito. di fatto i personaggi delle tragedie sono degli anti-exempla ossia degli
esempi negativi che mostrano i vizi più orrendi che è necessario evitare.

- Emerge inoltre in modo chiaro la critica alla tirannide e si accorda con il fatto che l’autore
vuole mostrare la necessità dell’uso della clementia da parte del princeps, imperatore.

- L’atmosfera è cupa e le scene truculente.

- I dialoghi e i monologhi sono carichi di passione e violenza.

- Lo stile è carico ed esasperato, tramite frasi brevi e concitate si esprime l’animo del
personaggio in preda alle passioni. Viene raffigurata un'umanità travolta dalla dimensione
irrazionale.

- Tendenza all’eccesso e alla prolissità

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