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LORENZO IL MAGNIFICO

Nasce nel 1449 da Piero de’ Medici e Lucrezia Tornabuoni. In questo periodo la famiglia è ancora
legata al potere di Cosimo il Vecchio e i Medici sono al culmine della loro fortuna. Lorenzo fu
Signore di Firenze dal 1469 fino alla sua morte (1492) e fu scrittore, politico, mecenate e
umanista. Insieme al fratello Giuliano riceve una profonda educazione umanistica e una
preparazione politica. La sua educazione passò nelle mani di umanisti come Landino e
Argiropulo.

Nel 1469 sposa Clarice Orsini, discendente da una nobile famiglia aristocratica romana; dopo
qualche mese dalle nozze muore, a soli 51 anni, Piero de’ Medici, padre di Lorenzo, che aveva
retto le sorti della famiglia per poco tempo vista l’assenza del nonno Cosimo avvenuta solo cinque
anni prima. Così, all’improvviso, Lorenzo a soli 21 ani si trova il “peso” dello Stato sulle spalle.

All’interno della sua stessa famiglia Lorenzo riceve dei messaggi contraddittori per quanto riguarda
la cultura: il nonno Cosimo era un sostenitore dell’umanesimo greco/latino e del
neoplatonismo, dall’altra parte c’era la madre che preferiva il gusto popolareggiante, semicolto e
volgare. Nonostante la sua formazione umanistica, Lorenzo, sul piano poetico, appartiene al
versante della madre: capolavoro di questa prima fase letteraria è “Nencia da Barberino”.

Nel 1473 c’è una svolta: Lorenzo riallaccia la cultura medicea con quello che era il programma di
suo nonno Cosimo; il platonismo diventa trionfante con nuovi programmi e oltre al piano politico,
questa svolta sarà presente anche all’interno del piano letterario, ovvero la lirica amorosa.
Probabilmente inizia a scrivere poesie d’amore da giovane seguendo un personale itinerario lirico
e sentimentale.

La Signoria di Lorenzo conosce il suo momento più brutto nel 1478 con la Congiura dei Pazzi.
Un primo tentativo di eliminazione fisica dei due giovani Medici avvenne il 25 aprile, quando
Jacopo de’ Pazzi pensò di avvelenare le pietanze riservate a Lorenzo e Giuliano. Quest’ultimo
però ebbe un indisposizione che non gli permise di partecipare al ricevimento, costringendo così i
congiurati ad agire in modo diverso. L’occasione si ripresentò il giorno successivo, mentre stavano
ascoltando la messa in Santa Maria del Fiore; i due fratelli furono aggrediti: Giuliano fu colpito a
morte dai sicari mentre Lorenzo, ferito in modo lieve, si salvò riparandosi in sagrestia, aiutato da
alcuni amici tra cui Poliziano. L’evento ottenne il risultato opposto da quello sperato dai Pazzi: il
popolo si solleva in difesa dei Medici e inizia il loro linciaggio.

La vendetta contro i Pazzi e i loro alleati fu terribile, perché diventasse un esempio contro
chi avesse mai voluto, in futuro, minare il potere mediceo sulla città. Lorenzo procedette a
una serie di esecuzioni in Piazza della Signoria, tra cui quella dei due principali animatori del
complotto. Sisto IV, sdegnato dal trattamento riservato ai congiurati iniziò una guerra aperta
contro Lorenzo. Dopo mesi di lotte estenuanti Lorenzo, consapevole della situazione, lasciò di
nascosto Firenze affidando al gonfaloniere Tommaso Soderini il governo dello Stato in sua
assenza: si recò coraggiosamente a Napoli per trattare con il re Ferdinando. Questi, trattenendo
l’illustre ospite per ben tre mesi, sperava che Firenze, davanti alla prolungata assenza di Lorenzo,
si ribellasse passando dalla parte del papa ma, vista la fedeltà dei fiorentini al loro signore, il re
napoletano accondiscese alle richieste del Magnifico ritirando le sue truppe dalla Toscana. Al
rientro in patria (1480), Lorenzo fu salutato dai fiorentini come salvatore della patria.
Il prestigio che Lorenzo ne ricavò in politica estera fu immenso, tanto che uno storico successivo lo
definì “ago della bilancia” della politica italiana. Difatti, la sua abilità politica, fu riconosciuta da
tutti i signori della Penisola, fattore che Lorenzo utilizzò per mantenere un clima di pace generale.

DOPO QUESTO EPISODIO ACCRESCE LA SUA STATURA LETTERARIA E CULTURALE.


La figura di Lorenzo viene ricordata anche per le “feste fiorentine”, lasciando il segno all’interno di
questa produzione un buon numero di canzoni destinate ad accompagnare le maschere di
Carnevale: sono testi a doppio senso osceno. A livello letterario sono molto tecnici, a livello del
doppio senso, ogni oggetto e gesto del mestiere allude a pratiche sessuali.
Ricordiamo i “Trionfi”, carri allegorici ispirati alla mitologia classica, i quali sfilavano in occasioni
festive, in particolare a Carnevale, accompagnati da musiche e canti.

Alla notorietà pubblica ne fanno riscontro lutti e dolori: la morte del padre, del fratello Giuliano,
della madre e della moglie. Al culmine del suo successo sembra distaccarsi dalla vita pubblica
dedicandosi al progetto della Biblioteca Laurenziana; muore nel 1492, circondato dai suoi amici.
AGNOLO POLIZIANO

Nasce nel 1454 da una famiglia legata a quella dei Medici, dopo l’assassinio del padre si
trasferisce a Firenze. Studia sotto la tutela di umanisti, come Marsilio Ficino e raggiunge una
formazione letteraria di altissimi livelli. Conosce il greco e il latino e traduce alcuni libri dell’Illiade
per donarli a Lorenzo il Magnifico. Successivamente entrerà nelle sue grazie.

Il Magnifico lo incarica come segretario privato e come precettore del figlio Piero. Gli anni ’70
sono per lui un’intensa produzione letteraria.
1479: si rompe il rapporto con Lorenzo perché Poliziano diventa precettore del suo secondogenito
Giovanni – da qui nascono dei contrasti e l’autore si allontana da Firenze.
1481: torna a Firenze perché nominato professore di greco e latino presso lo Studio – il suo
lavoro si concentra su opere di grandi autori latini come Stazio, Quintiliano e Ovidio.

Negli ultimi anni diventa canonico della Cattedrale di Santa Maria del Fiore; muore a 40 anni, nel
1494, due anni dopo il Magnifico.

L’attività letteraria di Poliziano è divisa in due periodi:


 Eredità popolare: si concentra la maggior parte della produzione poetica;
 Eredità classico/moderna: dopo la nomina di professore. Si impegna anche nello studio
della filologia classica – opera: “Miscellanea”. La produzione filologica sceglie il principio
della “dotta varietà”, ovvero la capacità dello scrittore di rifarsi a modelli differenti.

Il testo poetico più importante di Poliziano è “Stanze per la Giostra” (1475), dedicata a Giuliano
de’ Medici e rimasta incompiuta a causa della morte di quest’ultimo nella congiura de’ Pazzi.
L’opera viene realizzata per celebrare la vittoria di una giostra da parte di Giuliano contro il fratello
maggiore Lorenzo: era da tradizione che i giovani rampolli delle nobili famiglie facessero il loro
ingresso ufficiale nella vita pubblica partecipando a una sorta di competizione.
Nella giostra in cui Giuliano è stato vincitore, gareggia per l’onore della nobil donna Simonetta
Cattaneo, famosa per la sua bellezza: Poliziano si mise all’opera per celebrare l’esordio creando,
però, un’opera che non rispecchiava il carattere tradizionale.
La “Giostra” diventa un poemetto epico/mitologico, nel quale i personaggi sono trasfigurati e,
accanto a quelli terreni, agiscono Amore, Venere e Marte.
Nell’opera Poliziano realizza il suo ideale di una lirica in volgare, difatti diventa un ottava più lirica
che romanzesca.

Il rapporto fra Poliziano con i de’ Medici dura tutta la vita, ma non è privo di tensioni, infatti, lasciata
Firenze e stabilitosi a Mantova al servizio del cardinale Francesco Gonzaga, compone “Fabula
d’Orfeo”. Scritta intorno al 1480, nel pieno della crisi col Magnifico, l’opera fu commissionata dal
cardinale che la volle scritta in volgare in quanto più compresa dal pubblico.
 TRAMA: si narra come Euridice muoia, morsa da un serpente, per sfuggire alle pretese
d’amore del pastore Aristeo. Il cantore Orfeo, sposo di Euridice, discende dagli inferi per
riportare in vita l’amata a patto che non si volti a guardarla durante il viaggio di ritorno;
tradisce il patto con Plutone e Euridice muore per sempre.
Disperato, giura di non amare mai più e il suo corpo viene dilaniato dalle baccanti.
LUIGI PULCI

Nato da una famiglia con condizioni precarie, dopo la morte del padre si avvicina ai Medici.
Pulci non aveva una cultura raffinata difatti presentava solo delle conoscenze rudimentali del
latino e lesse solo Dante, Petrarca e Boccaccio.
Preso a ben volere da Lucrezia Tornabuoni (madre di Lorenzo), sotto sua richiesta inizia la stesura
del “Morgante”, di 23 canti. Nel 1478 uscì a stampa l’opera – di quest’edizione non è
sopravvissuto nessun esemplare; seguirono così altre edizioni.
Nel 1483 ci fu l’edizione fiorentina, alla quale si unirono altri 5 canti diventando così il “Morgante
maggiore”. Negli ultimi anni della sua vita si era riavvicinato all’ortodossia cattolica; un anno prima
di morire scrisse le “Confessioni”, un poemetto dedicato alla Vergine. Muore nel 1484, ma fu
sotterrato in terra sconsacrata perché accusato di stregoneria.

Oltre alla sua opera di grande successo scrisse:


 “Vocabolarietto di lingua furbesca”
 “Beca di Diocomano” – poemetto in ottave che risponde a “Nencia da Barberino” di
Lorenzo
 “Giostra” – celebra il torneo vinto da Lorenzo nel 1469

INVENZIONE DI MARGUTTE: è la parte più famosa dell’opera. In questo personaggio possiamo


leggere la personalità dell’autore. Margutte ha sembianze strane e brutte, un gigante cresciuto a
metà. La sua bruttezza fisica e morale viene confermata e specificata in una sua confessione
senza pentimento, come il delitto del padre. Margutte si presenta come il male assoluto: giocatore,
lussurioso, ladro, bestemmiatore, bugiardo. Per quanto riguarda la fede, il suo è un credo
menefreghista, tanto da riferire al Morgante che le sue virtù cardinali sono tre: sesso, cibo e gioco.

ORIGINALITA’ DEL MORGANTE: troviamo l’originalità nel carattere linguistico e stilistico.


Nell’opera non interessa ciò che viene raccontato ma come viene raccontato; lo stile incide sul
contenuto privo di valori, ma si sa che la deformazione della realtà è sintomo di disagio profondo
(dell’autore); questo disagio trova conferma negli ultimi 5 canti aggiunti, andando a creare il
“Morgante maggiore”. Nello strano credo di Margutte si poteva notare la sarcastica estraneità di
Pulci rispetto al credo della Firenze contemporanea: scrisse sonetti ingiuriosi che ridicolizzavano il
credo dell’epoca, tanto da essere stato allontanato dalla città: gli ultimi canti si presentano come
un tentativo di rivincita a tutto questo.
MATTEO MARIA BOIARDO

Nasce nel 1441 da una nobile famiglia legata agli Este, dopo la morte del padre della sua
educazione se ne occupò il nonno. Risiede nella sua città natale per tutti gli anni ’60 facendo
eccezione per alcune “trasferte”; proprio in questi spostamenti conobbe Antonia Caprara alla quale
dedicherà “Amorum libri”.
1476: Ercole d’Este lo nomina “comes” (compagno) e il Boiardo si trasferisce a Ferrara iniziando
la stesura dell’Orlando Innamorato – il soggiorno termina dopo due anni. La distanza da Ferrara
non gli impedisce di svolgere delle funzioni per il duca tra Roma, Napoli, Venezia e altre città.
Dall’80 all’83 è governatore di Modena, nel 1487 è nominato capitano di Reggio Emilia per
ricoprire questa carica fino al giorno della sua morte, nel 1494.

ORLANDO INNAMORATO: opera iniziata nel 1476 e rimasta incompiuta a causa della morte
dell’autore, è stata la sua opera più importante. E’ un poema cavalleresco in ottave: l’opera
fonde il ciclo carolingio (Carlo Magno) con il ciclo bretone (corte di Re Artù) ed è legato alla
tradizione dei cantari di piazza. Scritto in volgare ferrarese, fu pubblicato per la prima volta fra il
1482/83 e si trattava di un’edizione dei primi due libri. Il terzo (interrotto) fu pubblicato qualche
mese dopo la sua morte. Nel 1495 uscì la prima edizione dei tre libri.

Il titolo dell’opera è stato messo in discussione e abbandonato per essere sostituito con
“Inamoramento de Orlando”: sono due titoli entrambi legittimi ma diversi sul punto di vista culturale
perché con quest’ultimo, sembrerà più una voga di innamoramento. Dal titolo è assodata
l’intenzione di far innamorare Orlando e trasformarlo da cavaliere a amante cortese. Il poeta sa
che il sintagma “Orlando Innamorato” è provocatorio a livello narrativo: innamorandosi, Orlando,
uscirebbe dalla scena della guerra per entrare in quella dell’amore: si crea un diverso spazio
narrativo. La novità del Boiardo sta nella fusione del ciclo carolingio con quello bretone in un’unica
linea narrativa dove domina l’amore. Tutto il racconto unisce l’epico, il tragico e il sentimentale,
ricco di narrative.

AMORUM LIBRI:un’opera di 3 libri, ciascuno dei quali composto in 60 componimenti, dedicati ad


Antonia Caprara. Scritta in volgare ma con titolo latino, il tema trattato e la divisione in 3 volumi
sono un chiaro riferimento agli “Amores” di Ovidio.

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