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Libro 1 A
Libro 1 A
EZIO MARTUSCELLI
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PARTE I
La scoperta del polipropilene isotattico, effettuata da Giulio Natta e dai suoi colla-
boratori nel 1954, fu il risultato di una brillante collaborazione tra una struttura uni-
versitaria, il Politecnico di Milano, ed in particolare l’istituto di Chimica
Industriale, e un’industria privata, la Montecatini. L’allora managing director della
Montecatini, Ing. Piero Giustiniani aveva aderito, con grande lungimiranza e spiri-
to innovativo, nel 1951, alla proposta del Prof. G. Natta che prevedeva una larga
intesa volta a realizzare attività di ricerca su temi di interesse comune e di grande
attualità concernenti aspetti applicativi della moderna chimica organica industria-
le, con particolare riguardo alla chimica delle macromolecole di sintesi. La joint
3
venture contemplava, anche, la formazione di laureati in chimica ed ingegneria chi-
mica, da inserire nell’organico dei laboratori della Montecatini [1].
L’interesse di Giulio Natta per i polimeri ebbe inizio nel lontano 1932, durante il
suo soggiorno a Friburgo dove incontrò il Prof. H. Staudinger, il padre della chi-
mica macromolecolare che per primo aveva avanzato, per i polimeri naturali e di
sintesi, l’ipotesi di una struttura lineare a catena aperta (figura 1) [2].
Nel volume dal titolo “Giulio Natta l’uomo e lo scienziato”, in relazione a quan-
to sopra, si legge testualmente:
"Il soggiorno a Friburgo segnò una tappa importante nella carriera di Natta. In quella
città ebbe l’occasione di incontrare il Prof. Hermann Staudinger e i suoi collaboratori,
che trasmisero al giovane Natta il loro entusiasmo per le sostanze macromolecolari.
Proprio in quegli anni il gruppo di Staudinger stava confermando con prove sperimen-
tali la validità delle sue teorie sulla natura macromolecolare delle sostanze polimeriche
avversate da numerosi studiosi.
Natta intuì l’importanza delle idee di Staudinger e ritornato in Italia iniziò a lavorare nel
campo della diffrazione di elettroni studiando sostanze polimeriche che aveva ricevuto
da Staudinger. Fu il primo contatto di Natta con i polimeri" [3-a].
Intorno al 1952 Natta venne a conoscenza che il chimico tedesco Karl Ziegler
(1898-1973), che all’epoca svolgeva attività di ricerca presso i laboratori del Max
Planck Institute Für Kohleforschung di Mühlheim/Ruhr (Germania), era riuscito a
preparare del polietilene lineare e altamente cristallino utilizzando nuovi sistemi
catalitici a base di alluminiotrietile e sali di metalli di transizione come cocataliz-
zatori. La reazione di polimerizzazione avveniva a temperature e a pressioni più
basse (70°, 1 atm) di quelle relative al processo messo a punto, nel periodo 1935-
1939, dall’ICI (1000 atm., 100-140°).
Natta, intuendo che la scoperta di Ziegler potesse essere applicata alla polimeriz-
zazione del propilene, costituì un gruppo di giovani chimici e tecnologi di grande
capacità, iniziando una intensa attività finalizzata alla messa a punto di un proces-
so innovativo attraverso il quale ottenere, in maniera controllata, un polipropilene
lineare e altamente cristallino.
Su questo periodo, durante il quale, furono gettate le basi di una grande impresa
scientifica, tecnologica e industriale, il Prof. P. Pino, uno dei più vicini collabora-
tori di Natta, scrisse:
"Natta resumed his experimental activity in the field of macromolecular syntheses after
he had attended the lecture that Professor K. Ziegler delivered in Frankfurt (1952) about
the ethylene polymerization in the presence of alkyl aluminium compounds [Ziegler’s
“Aufbaureaktion”].
At the end of the above lecture, ......., thanks to his previous work on synthetic rubber,
with radical polymerizations, he at once realized -probably even before Ziegler himself-
that the German scientist had found a completely new principle as far as synthesis of
polymer chains was concerned. ....[....].. Thinking that Ziegler could rapidly progress in
his research on polyethylene Natta decided ........ to start the investigation of the poly-
merization of propylene.
...........At the beginning of March 1954, P. Chini obtained a small quantity of a yellow-
brown gummy product which clearly was nonhomogeneous.
4
The polimerization of propylene immediately became the most important subject of our
research; ......... the gummy product was extracted with the solvents we had used for
polyethylene fractionation, and four different fraction were obtained: ..... the fourth frac-
tion, which at times amounted to 40% of the reaction product, was a white powder
whose melting point exceeded 160°C.
......... as soon as the crystalline polypropylene was isolated, he realized that the new
polymer, being a high melting one, could be used as a plastic material in many fields,
different from those for polyethylene.
........, in May 1954 Natta succeeded in making the first fiber from polypropylene.
............., Natta and his collaborators started to discuss the structure of polypropyle-
ne....... After countless discussions the hypothesis was formulated that the crystalline and
non-crystalline polypropylene fractions were different because of the existence in the
crystalline polymer of steric regularity in the main chains of the macromolecules.
In his first paper on the topic, Natta stated that in the crystalline fractions the asymme-
tric carbon atoms may have the same steric configuration at least for long chain portions,
and proposed to call the said carbon atoms, and consequently the polymers containing
them, “isotactic”" [3-b].
L’inizio della grande avventura del polipropilene, fu così ricordato dallo stesso
Natta nella sua “Nobel lecture”:
"…In the meantime Ziegler discovered the process for the low-pressure polymerisation
of ethylene. I then decided to focus attention on the polymerisation of monomers other
than ethylene; in particular I studied the -olefins, which were readily available at low
cost in the petroleum industry. At the beginning of 1954 we succeeded in polymerising
propylene, other -olefins, and styrene; thus we obtained polymers having very diffe-
rent properties from those shown by the previously known polymers obtained from these
monomers……. Soon after the first polymerisation we realize the importance and the
vastness of the field that were opened to research, from both the theoretical and practi-
cal point of view" [3-c].
La figura 2 riproduce parte della pagina dell’agenda di G. Natta, relativa a gio-
vedì 11 marzo 1954, contenente la scritta “Fatto il polipropilene”, mediante la
quale il grande scienziato, con estrema semplicità, intendeva ricordare a se stesso
e al mondo questa grande scoperta.
Circa la scoperta del polipropilene isotattico, un altro brillante e validissimo col-
Fig. 2: Riproduzione della pagina dell’agenda di G. Natta relativa a giovedì 11 marzo 1954, recan-
te l’appunto “Fatto il polipropilene” [Rif. 3-a].
5
laboratore di Natta, il Prof. Paolo Corradini, così ebbe a scrivere:
"I remember, as personally lived, those charming days dense of fascinating outcomes at
the beginning of 1954, when it was found in our laboratories that the Ziegler catalysts
could polymerize (besides ethylene) propylene, styrene and several -olefins to high
linear polymers; those polymers appeared crystalline when examined by X-ray diffrac-
tion techniques, and were able to give oriented fibers..[...]..
In less than one year ......, Natta was able to communicate, in the Meeting of the
Accademia dei Lincei of December 1954, that a new chapter had been disclosed in the
field of macromolecular chemistry" [4].
I risultati ottenuti dal gruppo del Prof. Natta furono pubblicati nel 1955 su J. Am.
Chem. Soc. e su Rend. Accad. Naz. Lincei [5, 6].
L’applicazione della tecnica della diffrazione dei raggi X a fibre orientate di poli-
propilene isotattico dimostrò che la conformazione assunta dalle macromolecole
del polipropilene isotattico nella fase cristallina deve necessariamente essere di tipo
elicoidale con tre unità ripetitive per passo (elica 3/1) [4].
La prima rappresentazione grafica di una catena macromolecolare di un polime-
ro poliolefinico con una configurazione isotattica e la raffigurazione della confor-
mazione del polipropilene isotattico, così come presentate da Natta e Corradini nel
1954 all’Accademia dei Lincei, sono riportate rispettivamente nelle figure 3 e 4 [4].
fig. 3
fig. 4
6
Fig. 5: Diffrattogrammi ai raggi X ad alto angolo di polveri, oppure di film iso-
tropi di: a) polipropilene isotattico (curva superiore); b) polipropilene sindiotatti-
co (curva al centro); c) polipropilene atattico (curva inferiore).
7
Fig. 6: Tipico spettro di diffrazione dei raggi X (alto angolo) di fibre orientate di polipropilene iso-
tattico.
C*
CH 3
che si presenta sempre con la stessa configurazione, mentre nel polipropilene
sindiotattico i centri di asimmetria che si succedono lungo la catena polimerica
hanno alternativamente una configurazione (l) e (r) o viceversa (tavola II).
L’importanza della scoperta di Natta e dei suoi collaboratori fu immediatamente
riconosciuta a livello mondiale, come ricordato dal Prof. P. Pino:
"As early as in January 1955, Professor P. J. Flory made the following comments on
Natta’s first paper on isotactic polymers submitted to Jacs: “The results described in
your manuscript are of extraordinary interest; perhaps one should call them revolutio-
nary in significance”" [3-b].
Nel 1963, in riconoscimento del suo contributo fondamentale alla scoperta di una
nuova classe di polimeri poliolefinici “stereoregolari” e quindi cristallizzabili, fu
conferito a Giulio Natta, il premio Nobel per la chimica. Questo premio fu, giusta-
mente, condiviso con Karl Ziegler (figura 7) quale scopritore della catalisi metal-
lorganica e della sintesi del polietilene a bassa pressione.
Nelle figure 8-a, b, c, d, e, è riportata una serie di fotografie tratte dal già citato
8
Fig. 7: Foto di Karl Ziegler, scopritore della catalisi metallorganica, premio Nobel per la chimi-
ca (anno 1963).
libro “G. Natta, l’uomo e lo scienziato” [3-a] che illustrano alcuni momenti signi-
ficativi della vita di questo grande scienziato italiano. In queste fotografie appaio-
no anche alcuni dei suoi più stretti collaboratori.
La Montecatini, che nel 1952 aveva aperto il primo grande impianto petrolchi-
mico europeo a Ferrara, nel 1957, grazie alla scoperta di Giulio Natta, iniziò negli
stabilimenti di questa città la produzione del polipropilene isotattico. Questo pro-
dotto ebbe immediatamente una grandissima diffusione e un uso molto diversifica-
to in funzione del quale assunse diverse denominazioni commerciali: Moplen come
materia plastica; Meraklon come fibra sintetica; Moplefan come film da imballag-
gio e infine Dutral come elastomero (copolimero etilene/propilene).
A Ferrara, sede dei laboratori presso i quali fu sviluppato il polipropilene isotat-
tico, fu istituito un importante centro di ricerca della Montecatini-Montedison che
successivamente fu intitolato a Giulio Natta. All’ingresso di questo centro fu eret-
to un monumento che rappresenta la macromolecola del polipropilene isotattico
strutturata secondo una conformazione di elica 3/1 (tre unità ripetitive per un
passo) (tavola III).
La scoperta del polipropilene venne celebrata nel 1988 e nel 1994 attraverso
francobolli commemorativi, emessi rispettivamente dalle poste svedesi ed italiane
(tavole IV e V). In particolare nel francobollo svedese si intese rappresentare il
legame ideale tra quello che avviene in natura, quando ragni e bachi estrudono fili
di seta, e quello realizzato dall’uomo, a imitazione di questi processi naturali uti-
lizzando una filiera ed un materiale di sintesi molecolarmente ordinato quale è stato
per l’appunto il caso del polipropilene isotattico [7].
L’emissione dei francobolli commemorativi è una chiara dimostrazione della rile-
vanza scientifica, tecnologica ed industriale che ebbe questa scoperta, non solo nel
nostro paese, ma nel mondo intero.
9
Fig 8a
Fig 8b
Fig 8c
10
Fig 8d
Fig. 8e
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TAVOLA I
a)
b)
Tavola I: Il polipropilene isotattico (iPP) cristallizza in massa secondo una morfologia di tipo sferuliti-
ca. Questi sferuliti, ottenuti per cristallizzazione isoterma dal fuso da film sottili, possono essere visua-
lizzati attraverso un microscopio ottico in luce polarizzata.
a) Sferuliti di tipo I; temperatura di cristallizzazione di 130°C .
b) Sferuliti di tipo II; temperatura di cristallizzazione di 140°C.
12
TAVOLA II
Tavola II: Possibili configurazioni della macromolecola del polipropilene. Supponendo di disten-
dere su di un piano la macromolecola di un polimero vinilico, il gruppo sostituente R (-CH3 nel
caso del polipropilene) (in colore pieno) è disposto in modo casuale al di sopra e al di sotto del
piano: le macromolecole di questo tipo vengono chiamate atattiche (in alto). L’impiego dei cata-
lizzatori metallorganici consente di alterare questa disposizione e di ottenere macromolecole a
struttura sindiotattica (al centro), in cui gli atomi di carbonio asimmetrici hanno la configurazione
alternativamente opposta, oppure isotattica (in basso), in cui hanno la stessa configurazione. Nelle
molecole a struttura sindiotattica il sostituente si trova alternativamente sopra e sotto il piano men-
tre nelle molecole a struttura isotattica si trova sempre da una stessa parte.
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TAVOLA III
14
TAVOLA IV
TAVOLA V
15
16
Capitolo 2: L’avvento della petrolchimica
favorisce lo sviluppo dell’industria
delle plastiche in Italia
17
tessili, di film e di elastomeri sintetici.
I polimeri ..... sono entrati rapidamente nel vasto repertorio di produzione che, agli inizi
del 1960, hanno orientato l’industria chimica italiana, collocandola ai primi posti nella
produzione di resine sintetiche e nella trasformazione di materie plastiche.
...... Le grandi possibilità offerte da queste resine all’industria italiana o trasformatrice,
giustificano il rapido incremento che esse hanno avuto negli anni sessanta. Basti pensa-
re che nel campo delle policondensazioni, le resine poliammidiche (il nylon) passarono
da una produzione di 741.000 quintali del 1958 a circa 3 milioni nel 1964 e le resine
poliesteri (.....) da 378.000 quintali a oltre 3 milioni; nel campo delle resine da polime-
rizzazione, le polietileniche (...) segnavano un incremento impressionante: da poco più
di 80.000 quintali del 1958 a ben 1.400.000 quintali nel 1964" [Rif. 8-b].
Tabella 1
Sono mostrati i possibili processi usati intorno alla metà degli anni ’60 per ottenere “chemicals” a
partire da materie prime quali il carbone, il petrolio e il catrame di carbon fossile [Rif. 8-a].
a)
18
b)
c)
19
è illustrata attraverso la figura 10. Dai dati in essa indicati si ricava che il 4% del
petrolio estratto è impiegato nella produzione di plastiche.
fig. 9a
fig. 9b
fig. 9c
20
fig. 9d
Fig. 9: L’industria Petrolchimica in Europa:
a) Profilo della produzione petrolchimica mondiale (1998).
b) La nafta rappresenta la principale fonte di “Steam Cracking” in Europa
(1997).
c) Il profilo di utilizzo dell’etilene in Europa (1996).
d) Il profilo di utilizzo del propilene in Europa (1996).
e) Il profilo di utilizzo del benzene in Europa (1997).
[Rif. 8-c].
Fig. 10: La distribuzione del consumo di petrolio nei vari settori di utilizzo (%).
Le fotografie riprodotte nella tavola VI (risalenti alla fine degli anni ‘50) raffigu-
rano alcuni importanti impianti chimici relativi ai processi produttivi del polistire-
ne, polietilene, polivinilcloruro e polimetilmetacrilato. Queste foto rappresentano
una documentazione storica dell’ingente sforzo che all’epoca fu prodotto per dota-
re l’Italia di una importante e competitiva industria delle plastiche [8-d].
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Lo sviluppo dell’industria delle plastiche italiana, la scoperta del polipropilene e
la sua successiva industrializzazione si inserirono in un contesto socio-economico
nell’ambito del quale, relativamente al periodo 1945-1953, l’industria chimica
svolse un ruolo di grande rilevanza che coincise con la nascita della petrolchimica
(9). Su questo argomento A. Mattera scrisse:
"L’Italia situata sulla rotta del petrolio del medio oriente assume progressivamente un
ruolo più importante nella raffinazione del greggio" [10].
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TAVOLA VI
a)
b)
23
TAVOLA VI
c)
d)
24
e)
f)
TAVOLA VI
25
TAVOLA VI
g)
h)
Tavola VI: A partire dai primi anni ‘50 si avviano in Italia i primi grandi stabilimenti per la pro-
duzione di plastiche.
a) impianto di produzione dello stirene; b) impianto per la prepolimerizzazione dello stirene;
c) Colonne di polimerizzazione dello stirene a polistirene;
d) Impianto di produzione del polietilene;
e) Autoclave di polimerizzazione del polivinilcloruro;
f) Impianto di produzione del metilmetacrilato monomero;
g) Produzione del metilmetacrilato monomero, impianto per la saponificazione e metilazione;
h) Stufa per la polimerizzazione del metilmetacrilato [Rif. 8-d].
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Capitolo 3: La nascita dell’industria
dei polimeri in Italia.
Lo sviluppo dell’industria delle plastiche, delle fibre e degli elastomeri, che rap-
presenta un affascinante capitolo della storia della industrializzazione del nostro
paese, ha contribuito fortemente alla trasformazione e alla internazionalizzazione
dell’industria chimica italiana.
Di seguito sono riportati, in ordine cronologico, i principali eventi che determi-
narono la nascita e la crescita dell’industria dei polimeri in Italia, con riferimento
al contesto socio-economico che ha caratterizzato lo scenario evolutivo e le strate-
gie della nostra politica industriale [9].
1925: La Montecatini allarga e diversifica le sue attività nel settore della chimi-
ca acquisendo il controllo di aziende quali la Società dell’alluminio e la
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Società italiana allumina (produttrice di alluminio), la Dinamite Nobel e la
Società anonima esplodente e prodotti chimici (produttrici di esplosivi).
Inoltre da’ luogo alla costituzione della DUCO (insieme alla Nobel e alla
Dupont), società produttrice di vernici e smalti.
La Montecatini entra nel campo delle fibre artificiali all’acetato di cellu-
losa costituendo, insieme alla francese Rhône Poulenc, la Rhodiaceta.
"In questi anni comincia la stretta collaborazione con gli scienziati-chimici e
ingegneri del Politecnico di Milano, proseguita dal futuro Premio Nobel per la
Chimica Giulio Natta" [9].
28
Fig. 12: I palazzi della società Montecatini inaugurati a Milano il 28 ottobre 1938, con ingresso in
via della Moscova [Rif. 11-a].
29
Nel 1951 quando al vertice della Montecatini c’era l’ingegnere Piero Giustiniani,
iniziò la collaborazione tra la Montecatini ed il Politecnico di Milano, in particola-
re con l’Istituto di Chimica Industriale [11-b].
1956: La Società Sicedison (una joint venture tra Edison e Montsant-USA) avvia
la costruzione dello stabilimento petrolchimico di Mantova che fu com-
pletato intorno al 1962.
1958-1959: La SIR (Società Italiana Resine) avvia presso gli stabilimenti di Porto
Torres la produzione di intermedi chimici di natura organica e di mono-
meri da utilizzare per la sintesi di materie plastiche.
La Bombrini Parodi Delfino, utilizzando petrolio grezzo estratto local-
mente inizia, attraverso la controllata ABCD, presso gli impianti di
Ragusa, in Sicilia, la produzione di etilene e polietilene.
Nel 1958 l’ENI costituisce, insieme alla tedesca WACKER, la Società
chimica Ravenna per la produzione di prodotti intermedi vinilici e, in col-
laborazione con l’americana Phillips Petroleum Co., la Phillips Carbon
Black per la produzione di nero fumo, da utilizzare come additivo per le
gomme sintetiche.
1962-1965: La società Edison che già da qualche anno, a seguito della naziona-
lizzazione dell’industria elettrica, era entrata nel settore della chimica con
la costruzione di stabilimenti a Porto Marghera e a Priolo, dà luogo ad
importanti joint-venture costituendo società attive nella chimica di base,
nelle fibre sintetiche, negli intermedi, nei polimeri e nei fertilizzanti. A
seguito di queste azioni, Porto Marghera, Priolo e, successivamente,
Mantova, diventano siti di importanti poli petrolchimici.
Nel 1965 a Brindisi diviene operativo il grande stabilimento petrolchimi-
co della Montecatini dove, per cracking, sono prodotti principalmente
30
etilene e propilene utilizzati per la sintesi del polietilene a bassa ed alta
densità e del polipropilene isotattico. Nello stesso polo viene avviata
anche la produzione del policloruro di vinile (PVC).
Sempre nel 1965, l’ENI inizia la produzione di fibre sintetiche presso lo
stabilimento di Pisticci (Basilicata).
31
1981: Parte un grande piano di ristrutturazione e rilancio della chimica, a segui-
to della grande crisi economica mondiale che investì drammaticamente
questo settore.
L’Eni acquisisce gli impianti della SIR di Porto Torres, Cagliari, Pieve
Vergante e quelli della Liquichimica di Augusta, Saline Ioniche e
Ferrandina.
1986: Viene costituita la European Vinyls Corporation (EVC), una joint venture
tra l’inglese ICI e la EniChem, che diviene la più grande produttrice di
PVC in Europa. Con la EVC si intese razionalizzare la produzione e la
commercializzazione di resine e compounds a base di PVC in Italia ed in
Europa.
32
viene acquistata da un gruppo chimico italiano.
Nel 1993 ENI predispone un piano di salvataggio e di risanamento
dell’EniChem. A seguito di questa ristrutturazione, l’EniChem concentra la
sua attività nella chimica primaria, nelle olefine, in vari intermedi, nei
poliuretani, nel polistirene e in diversi tipi di gomme. Nel campo del polie-
tilene costituisce (febbraio 1995) una importante società, “Polimeri
Europa”, frutto di una joint venture al 50% con la Union Carbide.
Nel 1998 la Polimeri Europa con, una capacità produttiva di 1.475.000
tonn. è al quarto posto in Europa dopo Borealis, Elenac e Dow [11-c].
E’ in questo periodo (gennaio 1994) che la Montedison costituisce insieme
alla Shell la “Montell”, la cui attività sarà incentrata sul polipropilene e
suoi “compounds”.
Nel 1994 la EVC diviene una Società per azioni, indipendente dall’
EniChem e dall’ICI che vi partecipano in qualità di soci di minoranza.
33
Fig. 13: Indice medio della dimensione degli impianti chimici europei negli anni 1955-1976 [Rif.
12].
L’industria delle fibre sintetiche italiana, relativamente al periodo che va dal 1950
ai primi anni ’80, si concentrò, principalmente, verso la produzione di fibre poliam-
midiche (filo tessile e fiocco), poliestere (filo tessile e fiocco), poliacriliche (fioc-
co) e naturalmente sulle fibre di origine polipropilenica. Sorsero importanti stabi-
limenti tra i quali vanno ricordati i seguenti:
- per il filo poliestere, quelli di Ottana (il vecchio del Tirso ed il nuovo della
SIR);
- per il filo acrilico, quello della SIR del Tirso (Ottana), quello della SNIA di Villa
Cidro e quello di Porto Torres della SIR.
Nel periodo che va dal 1966 al 1976 la produzione di fibre sintetiche italiana, era
passata da un valore di 2,6 a 7,6 kg/anno per abitante, valore quest’ultimo che era
paragonabile a quello del Regno Unito e notevolmente maggiore di quello della
34
Tabella 2
Evoluzione delle dimensioni tipiche delle capacità produttive degli impianti
europei per alcuni dei più importanti prodotti chimici [Rif. 12]
[(tonn./a (x 103)]
Prodotto 1955 1960 1965 1970 1976
Acetaldeide 10 20 30 100 135
Acrilonitrile 10 15 30 60 180
Ammoniaca 50 85 150 350 350
Caprolattame 10 20 40 60 70
Cloro 25 50 70 100 180
Cloruro di
vinile
monomero 30 50 100 150 270
Etilene 20 50 150 300 450
Fenolo 10 25 45 70 90
Idrocarburi
aromatici - 80 150 300 300
Ossido di
etilene 5 10 20 70 135
Polietilene a.d. 5 10 20 60 90
Polietilene b.d. 10 30 50 100 100
Stirene 10 30 50 150 450
Urea 30 80 150 300 340
35
ne alla gomma naturale" [12].
Tra la fine degli anni settanta e l’inizio degli anni ottanta si verificarono impor-
tanti eventi che ebbero profonde ripercussioni sociali ed economiche. La struttura-
zione dell’industria chimica mondiale subì una profonda trasformazione che portò,
nel nostro paese, al ridimensionamento delle grandi imprese chimiche [11-b].
"In sostanza, si può dire che, essendo fallito negli anni ottanta il disegno di creare un
grande gruppo italiano in grado di battersi alla pari coi colossi mondiali dell’industria
chimica, le principali nostre imprese del settore (EniChem, Montedison e Snia) si sono
concentrate su quei comparti e prodotti che rappresentavano i loro punti di forza relati-
va nella tecnologia e nel mercato, attuando su queste alleanze internazionali, con la spe-
ranza che queste joint venture avrebbero avuto successo nella competizione globale,
senza che ne risultasse il progressivo indebolimento del partner italiano. Quanto poco
realistica fosse tale speranza è dimostrato dall’avvenuta cessione, da parte della
Montedison al suo partner Shell, della propria quota di partecipazione paritetica nella
Montell, detentrice del patrimonio di ricerca, brevetti e tecnologie, oltre che di compe-
tenze e strutture produttive (inclusi i ricercatori), relativo al polipropilene, l’unica gran-
de materia plastica che aveva avuto origine nel nostro paese" [Rif. 11-b].
36
Tabella 3
Polimero Aziende
37
38
Capitolo 4: Lo sviluppo e l’industrializzazione
del polipropilene in Italia.
La Montecatini, già prima della seconda guerra mondiale, aveva compreso l’im-
portanza strategica delle resine sintetiche e delle fibre artificiali e di sintesi. Infatti
Guido Donegani, nella sua lettera di commiato ai lavoratori e agli azionisti della
Montecatini, nel 1946, ebbe a scrivere:
39
"Fin dal 1918 avevamo preso accordi col gruppo francese or ora nominato e col
“Comptoir Textiles Artificiels” per la produzione del rayon all’acetato: poi -insieme
all’altro gruppo francese “Rhône Poulenc” – avevamo costituito la società “Rhodiaceta”
con stabilimento e laboratorio a Pallanza …. Questo non fu che il principio della nostra
attività nel campo tessile, a cui abbiamo aperto nuovi orizzonti nel 1938-39 introducen-
do in Italia la produzione del nuovo prodotto il “nylon” risultante dall’apposito procedi-
mento americano della Du Pont de Nemours (si pensi che il nylon è destinato a sop-
piantare tutte le calze di seta artificiale per donne) ……come novità e sviluppo le mate-
rie plastiche e soprattutto le resine sintetiche contraddistinguono il presente dopoguerra
così come l’azoto sintetico ha contraddistinto l’altro dopoguerra. Abbiamo aperto un
campo che è di grande avvenire attraverso la produzione di queste materie: il primo
impianto all’uopo fatto a Castellanza rimonta solo al 1934 e nel 1943, con una organiz-
zazione tecnica in continuo perfezionamento, la produzione relativa aveva già superato
i tre milioni di Kg annui (fra resine fenoliche, ureiche, gliceroftaliche, vipla, rhodoid
ecc.)" [16].
Fig. 14: L’Istituto Donegani (Novara) che è stato per molti anni uno dei più importanti poli di ricer-
ca di chimica industriale. Appartenne prima alla Montecatini e poi alla Montedison [Rif. 15-a].
40
Fig. 15: La Petrolchimica in Italia: lo stabilimento di Porto Marghera (Venezia), uno dei più impor-
tanti della Montedison [Rif. 15-a].
diale ad oggi, ha visto luci ed ombre, grandi successi, investimenti rilevanti, non
sempre riusciti, e una serie di importanti processi di acquisizione, cessione e joint
venture.
Particolarmente interessante l’operazione che con grande lungimiranza, nel
1983, portò i vertici della Montedison dell’epoca, Mario Schimberni e Giorgio
Porta, ad acquisire il polipropilene dell’americana Hercules.
Fu costituita l’Himont che divenne la società leader mondiale nel settore.
"Un’acquisizione intelligente perché le due aziende erano perfettamente complementa-
ri, Montedison apportando tecnologie e l’americana capacità di marketing" [17-a].
L’Himont nell’aprile del 1993 si fuse con la Shell formando una nuova società,
la Montell, il cui “Core Business” era rappresentato in buona parte da una vasta
gamma di prodotti facenti capo al polipropilene [17-b].
Il percorso innovativo del polipropilene isotattico, dalla sua scoperta ad oggi,
un’impresa tutta italiana, è stato così delineato da Paolo Galli, Presidente della
“Montell Technology Company”:
"After the discovery of polypropylene, obtained for the TiCl3-based first generation
catalyst, at the Polytechnic of Milan in 1954, nothing revolutionary happened until the
discovery of the active MgCl2-supported high yield Ziegler-Natta catalysts at the Ferrara
Giulio Natta Research Center in 1968. That event was the beginning of the revolution
that brought about the creation of the third and fourth generation catalysts. This repre-
sented a real “breakthrough” for PP technology,. It was possible to design new, versati-
41
le, clean, and economical processes to create a new family of materials, including:
PCMA (polimeric composite material and alloys).
Copolymers (random and heterophasic).
Catalloy (PP-based polyolefin alloys).
Hivalloy (PP-based engineering plastic alloys)" [14].
42
Fig. 16: L’evoluzione dei prodotti ottenibili dal polipropilene relativamente al periodo 1970-1995
[Rif. 14].
43
industry" [22-a].
Fig. 17: Esempi di strutture molecolari legandi usati per la catalisi metallocenica del polipropilene:
a) catalizzatori isospecifici; b) catalizzatori sindiospecifici; c) catalizzatori hemiisospecifici [Rif.
21].
Fig. 18: Nuovi “uniform-site pro-catalysts” usati per la polimerizzazione stereospecifica delle ole-
fine (M=Zr, Hf oppure Ti; X=Cl oppure Metile) [Rif. 22-a].
44
dotti metallocenici:
"presentano un campo di caratteristiche –in particolare struttura e densità– molto più
largo di quello degli stessi polimeri ottenuti con altri tipi di catalisi.Permettono quindi di
essere utilizzati in applicazioni diverse da quelle tradizionali rispetto ai quali presenta-
no anche proprietà meccaniche e ottiche spesso migliori" [23-a].
Fig. 19: Correlazione tra la struttura molecolare del complesso metallocenico e microstruttura del
polipropilene [Rif. 22-b].
Come si evince dai dati della tabella 4, dove è riportata la cronologia della com-
mercializzazione delle principali materie plastiche (fino al 1965) il polipropilene è
l’unica plastica che è stata scoperta, industrializzata e commercializzata da una
impresa italiana e al cui scopritore fu conferito il premio Nobel per la Chimica [23-
c].
45
Fig. 20a
Fig. 20b
Fig. 20: Confronto tra il comportamento e le proprietà di campioni di polipropilene ottenuti con
catalizzatori metallocenici (“PP achieve” in figura) e di tipo Ziegler-Natta (“PP convenzionale” in
figura): a) distribuzione dei pesi molecolari; b) curve calorimetriche [Rif. 23-a].
46
Fig. 21a
Fig.21b
Fig. 21: Caratteristiche meccaniche a confronto tra campioni di polietilene ottenuti con catalizza-
tori metallocenici e Ziegler-Natta (Z-N):
a) tensione a rottura in funzione del grado (Melt Flow Index);
b) tensione a rottura in funzione della densità;
47
Fig. 21c: modulo elastico in funzione della densità [Rif. 23-a].
Purtroppo nel 1997, in un silenzio quasi totale sia da parte del mondo politico che
da quello industriale e scientifico, la Montedison ha venduto alla Shell le quote di
partecipazione che aveva nella Montell, la joint venture nell’ambito della quale
erano confluite tutte le realtà industriali, di ricerca e di produzione concernenti il
polipropilene.
Questa vicenda in un articolo dal titolo emblematico “Polipropilene addio” è stata
così commentata da Ferruccio Trifirò:
"……Non voglio discutere l’opportunità e la convenienza per il Paese di questa vendi-
ta ……però mi permetto di scrivere che con questa vendita è finita un’epoca. Il passag-
gio della tecnologia del polipropilene a industrie straniere suggella la fine di un’epoca
che era iniziata subito dopo la fine della seconda guerra mondiale ed ha avuto il massi-
mo del fulgore agli inizi degli anni sessanta, quando il paese era pieno di fulgori inno-
vativi ……E’ finita un’epoca che era iniziata con qualche decina di ricercatori
Montecatini che lavoravano insieme a docenti e studenti al Politecnico di Milano e con
un loro professore che ricevette il Premio Nobel per la chimica" [23-d].
Sempre in questo articolo venivano elencati altri casi, giudicati fortemente nega-
tivi, di tecnologie sviluppate in Italia e vendute successivamente all’estero (quelle
del polimetilmetacrilato, dei policarbonati, del silicio, della produzione della tita-
niosilicalite e della sua applicazione) insieme a quelle di importanti realtà produt-
tive e di ricerca nel settore della chimica (la Lepetit, la Farmitalia, il centro di pre-
parazione di catalizzatori EniChem di Sesto San Giovanni (MI) e di quello della
Montecatini di Novara).
Con l’uscita della Montedison dal core business del polipropilene e con la vendi-
48
Tabella 4
Cronologia della commercializzazione delle principali plastiche, industria
produttrice e relativo paese [21]
ta e dismissioni di una serie di altre attività nel settore della chimica e in particola-
re nel campo dell’industria dei polimeri le realtà produttive capaci di competere a
livello internazionale che restano attive in Italia si riducono alle seguenti:
L’EniChem con una forte presenza nella petrolchimica, nella chimica
di base, nei polimeri stirenici e negli elastomeri.
La SNIA con il nylon.
La CAFFARO con la chimica del cloro.
L’AUSIMONT con la chimica del fluoro e l’ANTIBIOTIC rimaste nel-
l’ambito della Montedison.
La MAPEI con il suo Vinavil e altri formulati per l’edilizia.
Da questa lista traspare che la chimica italiana, intesa come industria di produ-
zione, è attualmente in una fase di lento ma forse inesorabile declino.
49
A questo proposito Tririfò scrive ancora :
"……occorre che il Paese sappia riconoscere quali siano le traiettorie culturali, i centri
di ricerca irrinunciabili per il suo futuro. E’ da anni che si vendono e si chiudono pro-
duzioni e centri di ricerca, per sanare definitivamente bilanci……. A chi salterebbe in
mente di vendere la Pietà di Michelangelo o la Battaglia di San Romano di Paolo
Vecello?……
Vecchio polipropilene isotattico e cara polimerizzazione stereospecifica delle alfaolefi-
ne, dei miei primi passi nella chimica ……addio" [23-d].
L’avventura del polipropilene non sembra essere ancora conclusa, infatti nel
novembre del 1999 la Basf e la Shell in un loro comunicato congiunto hanno reso
noto che intendono unire i gruppi industriali Elenac, Targor e Montell per dare vita
ad una delle più grandi imprese nel settore delle poliolefine. Questa nuova società,
che dovrebbe avere la sede principale in Olanda, diventerebbe la maggiore produt-
trice al mondo di polipropilene e la quarta di polietilene con un fatturato che si
dovrebbe aggirare intorno ai dieci miliardi di marchi.
L’importanza di questa iniziativa si evince analizzando le caratteristiche delle
aziende che vi parteciperanno.
Fondata nel 1998, Elenac è il secondo maggior produttore di polietilene in
Europa, con siti produttivi per un capacità globale di circa 2 milioni di tonnellate
all’anno in Germania, Francia, Gran Bretagna e Spagna. La società TARGOR, nata
nel 1997 come joint venture paritetica fra Basf e Hoechst, conta siti produttivi in
Germania, Francia, Gran Bretagna, Spagna e Olanda; la capacità complessiva è di
1,4 milioni di tonnellate all’anno di polipropilene.
La Montell, di cui si è già scritto, occupa una posizione leader a livello mondia-
le nella produzione di PP, di poliolefine e prodotti simili realizzati in 30 siti nei cin-
que continenti. Produce annualmente 4 milioni di tonnellate di PP, 270.000 tonnel-
late di compound e 220.000 tonnellate di PE, alle quali vanno aggiunte 350.000
tonnellate di PP realizzate con il processo Catalloy [24].
50
TAVOLA VII
a)
b)
51
TAVOLA VII
c)
d)
Tavola VII: La Montecatini illustra alcune delle applicazioni del nuovo polimero, il polipropilene
(nome commerciale “Moplen”) da poco immesso sul mercato delle materie plastiche (le fotografie
sono infatti del 1958, appena un anno dopo l’avvio della produzione presso lo stabilimento di
Ferrara):
a) tubazioni;
b) lastre per formatura sottovuoto;
c) articoli sanitari sterilizzabili;
d) manufatti per l’elettronica [Rif. 8-d].
52
TAVOLA VIII
Tavola VIII: Lo storico "Palazzo Montedison" in foro Bonaparte a Milano [Rif. 15].
53
TAVOLA IX
54
TAVOLA X
Tavola X: “Investment Comparison” tra i processi Low Yield e quelli Spheripol relativi alla
polimerizzazione del polipropilene [Rif. 18].
TAVOLA XI
Tavola XI: Versatilità dei nuovi processi Himont per la polimerizzazione del polipropilene in ter-
mini di caratteristiche dei prodotti [Rif. 19].
55
TAVOLA XII
Tavola XII: Mercato italiano delle plastiche (anno 1997) [Rif. 20].
56
Capitolo 5: Gli elastomeri sintetizzati
dall’uomo. Nasce l’industria della
gomma sintetica.
5.1) Gli eventi che hanno portato alla scoperta delle gomme sintetiche
57
disfare i propri sforzi bellici, promosse una intensa attività di ricerca e sviluppo
che portò alla industrializzazione della gomma sintetica denominata “Methyl rub-
ber”. Questo materiale veniva ottenuto dalla polimerizzazione, in presenza di
sodio, del 2,3 dimetil butadiene, un monomero che si ricavava a partire dall’ace-
tone, attraverso una prima reazione di idrogenazione a pinacone e successiva dei-
drazione secondo lo schema qui di seguito riportato:
+ H2 H2O
2CH 3 CO CH3 (CH 3)2 COH COH (CH 3)2
ACETONE P INACONE
CH2=C(CH3) C(CH3)=CH 2
DIMETIL BUTADIENE
Il problema di trovare un sostituto sintetico alla gomma naturale emerse con pre-
potenza allorquando:
"The low post-world war I price of natural rubber not only also made synthetic rubber
uneconomic but also threatened to bankrupt the Malayan industry. To avert this possi-
bility, the British government introduced a schema to restrict the export of Malayan rub-
ber in order to force up the price of natural rubber. The American and German rubber
companies enraged to be at the mercy of British colonial authorities, encouraged resear-
ch into ways of reducing theyr dependence on Malayan rubber " [26].
58
Fig. 22-a
Fig. 22-b
Fig. 22:
a) L’imperatore di Germania Wilhelm mentre osserva
la prima autovettura con pneumatici fabbricati utiliz-
zando la gomma sintetica prodotta dalla Bayer nel
1912 (archivio – Bayer) [Rif. 25-b].
b) Julius A. Nieuwland scoprì la gomma sintetica,
nota come “neoprene”, sviluppata successivamente
dalla Du Pont [Rif. 27].
La gomma Neoprene, che entrò in commercio nel 1933, ha una struttura moleco-
lare che si diversifica da quella della gomma naturale per il fatto che il cloro sosti-
tuisce il gruppo metile. Il processo di sintesi, basato sulla polimerizzazione del clo-
robutadiene, fu ottimizzato da Arnold Collins, un ricercatore che faceva parte del
“team” di Carothers, presso i laboratori della Dupont a Deepwater nel New Jersey.
59
Nel periodo che va dal 1929 al 1930, presso la I. G. Farben, una delle più impor-
tanti industrie chimiche tedesche dell’epoca, furono messi a punto due importanti
processi finalizzati alla produzione di gomme sintetiche i quali sfruttavano la pos-
sibilità di copolimerizzare, in maniera controllata, il butadiene con lo stirene oppu-
re con l’acrilonitrile (i copolimeri che si ottenevano, di tipo “random”, contenenti
all’incirca il 25% di stirene avevano eccellenti proprietà elastomeriche).
Come iniziatore della reazione di polimerizzazione del polibutadiene venne usato
il sodio, per questa ragione i prodotti vennero denominati gomme Buna (butadie-
ne+Na, simbolo del sodio), e commercializzati come BUNA-S e come BUNA-N a
seconda che il comonomero usato fosse rispettivamente lo stirene oppure l’acrilo-
nitrile.
Lo sviluppo e la industrializzazione delle gomme Buna sono stati così descritti da
A. J. Ihde:
"The buna-type rubbers were first developed through research at I.G. Farben. Butadiene
is the principal monomer for this type of rubber, but, as was learned early in the 1900’s,
butadiene does not polymerize to form a good rubber. By polimerization with a copoly-
mer such as styrene or acrylonitrile a satisfactory rubber was obtained. The name was
derived from butadiene and natrium, sodium being used as a polymerization catalyst.
Buna-S, using styrene, and Buna-N, using acrylonitrile, became the principal synthetic
rubbers during World War II both in Germany and in the British-United States, althou-
gh other types of synthetic rubber were developed, for example, butyl rubber from iso-
butene and Thiokol from ethylene dichloride and sodium polysulfide" [26-a].
Nel 1936, anno in cui fu messo a punto il processo BUNA-S, i ricercatori ed i tec-
nici della I.G. costruirono, utilizzando questa nuova gomma, pneumatici che mon-
tati su auto dell’epoca vennero esposti al salone dell’automobile di Berlino.
Tra il 1940 e il 1943 la I. G. Farben avviò in Germania tre grandi stabilimenti per
la produzione della gomma Buna-S [26].
Le gomme Buna, per la loro “Oil-Resistance”, trovarono utilizzo nella produzio-
ne di condutture e rivestimenti interni di serbatoi per gas e in molte altre applica-
zioni per le quali la gomma naturale non era idonea, a causa della sua solubilità in
solventi quali la benzina per auto, petrolio e benzene.
Pertanto le gomme Buna-S e Buna-N possono essere considerate delle “special-
ties” poiché non imitarono e sostituirono, almeno per le tipologie di applicazione
come quelle summenzionate, la gomma naturale.
Il primo elastomero di natura prevalentemente poliolefinica (la gomma butilica)
fu scoperto nel 1937 da M. Thomas e William J. Sparks (figura 23-a), della
“Standard Oil Co.”, trasformatasi successivamente nella “Exxon Corporation”,
(New Jersey-USA).
Questi due ricercatori riuscirono a rendere vulcanizzabile il poliisobutilene, un
omopolimero, le cui modalità di sintesi erano state individuate dal tedesco M. Otto,
della I.G. Farben, intorno alla fine del 1920 [27-b].
"This was the situation the last weekend of July 1937, when Thomas and Sparks had
come to their laboratories to discuss and try to overcome the main shortcoming of polyi-
60
sobutylene through the incorporation of a diolefin, which would provide some unsatu-
ration and thus make the polymer vulcanizable. Their first experiments …. Did indicate
that copolymerisation had taken place….. It was also discovered that isoprene is a bet-
ter comonomer than butadiene. Thus a method for isolating this monomer from refinery
streams had to be developed" [Rif. 27-b].
61
Fig. 23-a
Fig. 23:
a) Robert M. Thomas
e William J. Sparks
inventori delle gomma
butilica (un copolimero
tra l’isobutilene e l’iso-
prene).
b) Confronto tra la
struttura molecolare
della gomma butilica e
della gomma naturale
[Rif. 27-b].
Fig. 23-b
62
Fig. 24: Morfologia e struttura delle fasi nei copolimeri a blocchi polistirene-elastomero-poli-
stirene.
63
Fig. 25: Evoluzione della struttura delle fasi e della morfologia in un copolimero a due blocchi sti-
rene-butadiene (SB) in funzione della composizione (nella figura andando da sinistra verso destra
aumenta il contenuto in stirene) [Rif. 29].
Fig. 26: Variazione della struttura delle fasi, in funzione della composizione, nel caso di un copo-
limero a tre blocchi del tipo stirene-butadiene-stirene (nella figura la concentrazione di butadiene
aumenta da sinistra a destra) [Rif. 29].
64
5.2) Lo sviluppo dell’industria della gomma sintetica in Italia
65
G. Pagano, nel suo già citato scritto, ha illustrato le vicissitudini, che dopo la fine
della seconda guerra mondiale, portarono allo sviluppo di una importante e com-
petitiva industria della gomma sintetica in Italia.
"Conclusa la vicenda S.A.I.G.S. … sembrava definitivamente tramontata la possibilità
di riprendere in Italia una produzione industriale di gomma sintetica; …. Ma fortunata-
mente, agli inizi degli anni cinquanta, intervennero nuovi fattori …… In primo luogo
l’ANIC [Azienda Nazionale Idrogenazione Combustibili, fondata nel 1936 come società
di raffinazione, cui fu demandato inizialmente il compito della lavorazione di grezzi
pesanti come quello albanese] a seguito della vendita di metà delle raffinerie di Bari,
Livorno alla Esso, acquisì i mezzi finanziari che intendeva investire anche in nuove ini-
ziative industriali, consulente della società …… fu designato il Dott. Grottanelli, ….
Che sostenne …. La convenienza per la nostra industria chimica di riprendere l’iniziati-
va per la produzione di gomma sintetica …" [25-a].
Nel 1955 furono stipulati accordi strategici con la Union Carbide, con la Phillips
Petroleum e con la Brown and Root rispettivamente per la produzione di acetilene,
butadiene e per l’ingegneria dei processi.
"L’entusiasmo e l’impegno che animarono il frenetico lavoro dei successivi due anni
consentirono di inserire nel “miracolo” italiano degli anni cinquanta il record della pro-
duzione di gomma sintetica “fredda” in Europa" [25-a].
L’avvio nel 1957 della produzione di gomma stirene-butadiene presso gli stabil-
imenti ANIC di Ravenna rappresentò un evento di grande rilevanza per la chimica
del nostro paese: nasceva l’industria della gomma sintetica italiana.
E’ interessante ricordare e sottolineare come, nello stesso anno, la Montecatini
avviava a Ferrara la prima produzione di polipropilene isotattico.
Nel 1961 l’ANIC, prima in Europa, consolidava il suo primato dando inizio alla
produzione del polibutadiene cis in un impianto la cui capacità inizialmente pari a
10.000 tonn/a era salita a 45.000 tonn/a nel 1987. Sempre a Ravenna all’inizio
degli anni ‘70 l’ANIC realizzava un impianto di produzione di isoprene e di poli-
isoprene (230.000 tonn/a) basato su tecnologie sviluppate in casa e questo sia per
quanto riguardava l’ottenimento del monomero che del polimero.
Al primo impianto per la produzione di gomme stirene-butadiene (SBR) in emul-
sione che entrò in funzione nel 1957 a Ravenna e che aveva una capacità di 30.000
tonn/a se ne aggiunsero ben presto altri; nel 1987 la capacità produttiva di SBR
superava le 400.000 tonn/a. La gomma stirene-butadiene prodotta a Ravenna venne
commercializzata con il nome di “Europrene” [25-a].
Nel 1983 fu costituita la società EniChemElastomeri (divenuta operativa nel
66
1984) attraverso la fusione di diverse realtà industriali compresa la Divisione
Gomma dell’ANIC accentrata a Ravenna, che nel 1982 era stata trasferita
all’Enoxy. Con la costituzione di EniChem Elastomeri si intese provvedere ad una
razionalizzazione dell’industria della gomma sintetica italiana con l’obiettivo pri-
mario di realizzare un maggiore equilibrio tra domanda e capacità di produzione.
Intorno alla fine degli anni ottanta il gruppo EniChemElastomeri produceva le
seguenti famiglie di gomme:
- stirene-butadiene (in emulsione);
- stirene-butadiene (in soluzione, tipi random e a blocchi parziali e HS);
- polibutadiene ad altissimo, alto e basso cis, a medio e alto vinile;
- gomme termoplastiche, a base SBS e SIS;
- gomme nitriliche;
- gomme acriliche.
Con una capacità produttiva complessiva che nel 1987 si aggirava intorno alle
800.000 tonn/a [31].
67
5.3) Il contributo di Natta e collaboratori allo sviluppo delle gomme sinte-
tiche in Italia.
Natta e i suoi collaboratori, oltre alla messa a punto di processi finalizzati alla sin-
tesi di polimeri ad elevato grado di cristallinità, quali ad esempio il polipropilene,
il polibutene e il polistirene isotattico, polimeri che per le loro caratteristiche tro-
varono utilizzo nel campo dei materiali termoplastici e delle fibre, si dedicarono
anche allo sviluppo di nuovi elastomeri sintetici seguendo due diverse direttrici:
1) la polimerizzazione stericamente controllata delle diolefine;
2) la sintesi di polimeri e copolimeri lineari delle olefine aventi pesi molecolari
molto elevati e buona resa elastica [32].
G. Natta, nel testo della Conferenza “Basic italian research on new synthetic ela-
stomers” (Londra 26 Marzo 1957), a proposito delle gomme sature di tipo poliole-
finico, scriveva:
"Già durante le nostre ricerche sulla polimerizzazione delle alfa-olefine con i nuovi pro-
cessi anionici all’inizio del 1954, abbiamo trovato che la stereospecificità e l’attività del
catalizzatore sono due proprietà indipendenti e che è possibile, usando alcuni tipi di
catalizzatori, ottenere polimeri cristallini (isotattici), mentre con altri si ottengono poli-
68
meri amorfi (atattici).
Abbiamo altresì trovato che i suddetti polimeri atattici differiscono enormemente dai
polimeri delle alfa-olefine ottenuti con i processi convenzionali (che agiscono con mec-
canismo cationico o radicalico). Ulteriori ricerche ci misero in grado di ottenere poli-
meri a elevato peso molecolare (oltre 100.000) aventi struttura lineare, praticamente
senza ramificazioni, e con una distribuzione statistica di unità monomeriche d e l.
La maggior parte delle catene sono del seguente tipo :
CH2= CHR-CH2-CHR.............. CH2 -CHR-CH2-CH2R
Nel caso del polipropilene:
CH2=CHCH3-CH2 -CHCH3.......... CHCH3-CH2-CH2-CH3
il che significa che essi contengono gruppi terminali vinilidenici e gruppi terminali n-
propile, n-butile, etc. a seconda del monomero considerato. .......I polimeri atattici con
struttura lineare prodotti da noi hanno le proprietà di elastomeri non vulcanizzati quan-
do il peso molecolare è sufficientemente alto" [32].
Gli studi di Natta e dei suoi collaboratori misero in evidenza che questi nuovi
polimeri amorfi avevano la caratteristica di comportarsi come elastomeri, con una
resa elastica che, a temperatura ambiente, aumentava con il crescere della lun-
ghezza delle catene laterali.
Rilevanti dal punto di vista applicativo si rivelarono i copolimeri etilene/propile-
ne, ad alto contenuto di etilene, i quali mostrarono di possedere delle caratteristi-
che elastiche estremamente interessanti. Fu dimostrato, inoltre, che a parità di ogni
altra condizione era possibile progettare gomme etilene/propilene, “taylor made”,
avendo riscontrato una stretta correlazione tra resa elastica e composizione dei
copolimeri (figura 27) [32].
In relazione allo sfruttamento industriale delle gomme etilene/propilene ed alla
loro potenzialità applicativa G. Pagano, ebbe a scrivere:
"Naturalmente la produzione degli stereo omologhi del caucciù chiama in causa i cata-
lizzatori Ziegler-Natta e, ciò che costituisce vanto della ricerca italiana, i risultati che
Natta e il suo team hanno ottenuto rilevando quali potenzialità di sviluppo fossero impli-
cite nel nuovo strumento di catalisi, che riduttivamente, a molti era apparso, all’inizio,
qualificato ed efficace solo per ottenere da etilene e propilene polimeri plastici.
Limitandoci ai risultati di maggior spicco in campo industriale, troviamo, proprio tra i
copolimeri a base di etilene e propilene, nuovi elastomeri che, per le loro caratteristiche
di resistenza al calore, agli agenti chimici, alle basse temperature e all’invecchiamento,
nonché per le buone proprietà elettriche, hanno un ottimo campo di impiego nell’isola-
mento di linea e cavi" [25-a].
69
Fig. 27: Copolimeri etilene/propilene, elastomeri saturi messi a punto da Natta e collaboratori. In
figura è riportato uno dei primi diagrammi pubblicati che mostra la stretta correlazione tra resa ela-
( )
stica e composizione del copolimero espressa in termini di % dell’unità - CH2 - CH - [Rif. 32].
--
CH3
70
Fig. 28: Struttura chimica e funzionalità di sostanze usate come termonomeri per ren-
dere vulcanizzabili i copolimeri etilene/propilene [Rif. 27-b].
71
realizzazione di pneumatici caratterizzati da un ciclo di vita notevolmente più
lungo, a parità di condizioni, ma soprattutto capaci di conferire una più elevata sta-
bilità e sicurezza, oltre che una maggiore resistenza all’usura, al rotolamento, alla
lacerazione e caratterizzati inoltre da una minore rumorosità.
La moderna tecnologia permette di formulare e progettare miscele mirate alle
specifiche esigenze di utilizzo dei vari componenti di uno pneumatico dal cui insie-
me derivano le sue prestazioni globali.
Nella produzione dei componenti di uno pneumatico sono utilizzati una gamma
molto vasta di elastomeri alcuni dei quali sono qui di seguito indicati:
a) Gomma naturale;
b) Gomma butilica;
c) Gomma alobutilica;
d) Gomma stirene-butadiene;
e) Gomme butadieniche.
72
che era a quel tempo la principale e più rinomata fabbrica europea di pneumatici. I suoi
principali articoli – dalle Semelle (su cerchio smontabile) montate sulle vetture dell’Itala
nel famoso raid Parigi-Pechino del 1906, ai pneumatici destinati agli autocarri italiani
nella guerra della Libia - scandirono il passaggio alla produzione in serie per una gamma
sempre più vasta di impieghi" [11-a].
73
Fig. 29a
Fig. 29b
Fig. 29: a) Veduta aerea dello stabilimento originario della Pirelli a Ponte Seveso; b) la via Mediana
dello stabilimento Pirelli alla Bicocca nel 1922. Archivio Pirelli, Milano [Rif. 11-a].
74
TAVOLA XIII
TAVOLA XIV
Tavola XIV: Fotografia scattata durante la Conferenza tenuta dall’autore della presente pubblica-
zione nell’ambito della celebrazione del Trentennale (1957-1987) della produzione della gomma
sintetica a Ravenna organizzata dall’EniChem.
75
TAVOLA XV
Tavola XV: Frontespizio del volume degli Atti della Conferenza di cui in Tavola XIV.
76
TAVOLA XVI
77
TAVOLA XVII
a)
b)
78
TAVOLA XVIII
TAVOLA XIX
79
TAVOLA XX
80
Capitolo 6: Lo sviluppo dell’industria
italiana dei polimeri termoplastici–stirenici.
Un altro importante evento che ebbe rilevanza nello sviluppo dell’industria delle
plastiche in Italia, si verificò nel 1956 con l’avvio, a Mantova, della costruzione di
un grande stabilimento petrolchimico, ad iniziativa della Società “Sicedison S.p.A”
(una joint-venture tra la Edison e la Montsant (USA)), completato intorno al 1962.
La produzione fu incentrata principalmente su quattro cicli produttivi, clorosoda,
cracking, stirene-polistirene, fenolo, che utilizzavano come materie prime rispetti-
vamente il salgemma, la virgin nafta, il benzene e il cumene. Nei primi anni
l’impianto funzionò quasi esclusivamente su licenze straniere, principalmente di
origine USA.
La scelta di concentrare, inizialmente, presso lo stabilimento di Mantova, la pro-
duzione di polimeri sul polistirene (cristallo ed antiurto) viene così spiegata da F.
Anfuso:
"Si ricorda,……., il fatto che negli Stati Uniti alla fine della guerra si erano rese dispo-
nibili grosse eccedenze produttive di stirene (impiegato durante la guerra per la produ-
zione della gomma sintetica), a cui si trovò impiego sviluppando, in tempi molto rapidi,
i primi polimeri stirenici per consumi di massa e i processi per la loro produzione" [36-
a].
Il polistirene era stato sintetizzato da Simon nel 1839, in maniera del tutto casua-
le, esponendo alla luce lo stirene che, all’epoca, si ricavava dallo “Storace”, un bal-
samo naturale che si otteneva dal Liquidambar Orientalis, un albero originario
dell’Asia Minore.
Questo esperimento rimase una curiosità di laboratorio fino al 1845, anno in cui
Blyche e Hoffman descrissero il processo di polimerizzazione dello stirene. Nel
1869 il grande chimico Berthelot, riusciva, partendo dall’etil-benzene, ad ottenere
81
per via chimica lo stirene monomero. Già nel 1911 il chimico inglese Matthews
aveva proposto di usare il polistirene in sostituzione della celluloide, avendo pre-
visto per questa plastica interessanti proprietà applicative.
Nel 1920, Herman F. Mark della IG. Farben, e Iwan Ostromslensky del
Naugatuck Chemical Division of U.S. Rubber, misero a punto processi di sintesi
del polistirene sfruttabili industrialmente.
Un’altra tappa importante, concernente l’industrializzazione del polistirene, fu
raggiunta nel 1922 allorquando Dufraisse e Mureau scoprirono sostanze capaci di
inibire la polimerizzazione del monomero. Questa scoperta fu di estrema utilità
poiché attraverso l’impiego di questi “inibitori” fu possibile trasportare e conser-
vare a tempo indefinito lo stirene.
Questi eventi, insieme allo sviluppo di più adeguati processi e tecnologie di lavo-
razione portarono negli anni ‘30 alla commercializzazione del polistirene; prima in
Germania e poi in USA (nel 1933, con la denominazione di “Naugatuck’ Victron”).
Nel 1937 la Dowchemical Company introdusse nel mercato un polistirene avente
una migliore qualità ed esente da impurezze che fu commercializzato come Styron
[8-d, 36-b].
Fig. 30a
Fig. 30: I primi articoli in polistirene fabbricati in Italia (fine anni ’50-inizio anni ’60).
a) Scatole per imballaggio di lusso.
b) Pistola giocattolo spruzza acqua [Rif. 8-a].
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Fig. 30b
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Il polo chimico di Mantova si caratterizzò negli anni, per quanto concerne i poli-
meri, per la messa a punto di processi produttivi molto innovativi. Essi erano incen-
trati principalmente sul polistirene (cristallo ed antiurto) e i suoi copolimeri binari
e ternari (SAN= copolimero stireneacrilonitrile; ABS= copolimero acrilonitrile
butadienestirene; AES= copolimero acrilonitrileetilene/propilene (EPDM)sti-
rene).
Particolare rilevanza rappresentò lo sviluppo, realizzato intorno al 1988, di un
processo di produzione di ABS in massa continuo. La tecnologia di questo proces-
so, che ha rivoluzionato il sistema di produzione dell’ABS e che nel 1997 era pos-
seduta in Europa solo dall’EniChem e dalla Dow, si caratterizza per i seguenti ele-
menti fondamentali:
- la reazione impiega essenzialmente i reagenti ed i “chemical” che si troveranno
nel prodotto finito, senza l’aggiunta di sostanze estranee che debbono essere sepa-
rate, trattate e scaricate come affluenti;
- l’impianto è un sistema chiuso dove entrano in continuo le materie prime ed
escono i prodotti finiti pronti per il confezionamento.
Inoltre, nel caso che il processo produttivo sia anche a “ciclo chiuso”, si verifica
che i monomeri, non reagiti ed eventuali solventi, vengono separati nella fase fina-
le di devolatilizzazione e sono rialimentati in ingresso all’impianto.
Lo schema del processo di polimerizzazione in massa del copolimero a tre bloc-
chi acrilonitrilebutadienestirene è descritto, nei suoi elementi principali, in figu-
ra 31-a. Mentre a titolo comparativo, si riporta in figura 31-b il ciclo produttivo
dell’ABS in emulsione [36-a].
Dal confronto emerge la enorme differenza e semplificazione del primo proces-
so rispetto al secondo che si preferisce anche per ragioni di ecosostenibilità e
ambientali.
L’ABS, un tecnopolimero di grande interesse applicativo, ottenuto a suo tempo
mediante un processo in emulsione, è un sistema bifasico con una morfologia
molto complessa caratterizzata da una fase elastomerica, essenzialmente gomma
polibutadienica, dispersa in una matrice vetrosa costituita dal copolimero stirene-
acrilonitrile (SAN).
"The key process lies in the grafting of a significant portion of the growing acrylonitri-
le-styrene random copolymer radicals onto the double bonds of the elastomeric compo-
nent. The grafting between the plastic and elastomer components lends compatibility to
the system, resulting in a favourable state of dispersion, and also bonds the phases
together" [37-a].
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a) R*+ CH 2 CH=CH CH 2
CH 2 CH *
CH CH2
b) R*+ CH 2 CH=CH CH 2
*
CH CH CH CH 2
RH+
c) R*+ CH CH2 CH
CH *CH
CH 2 R CH 2
I gruppi radicali presenti sul polibutadiene possono reagire con i monomeri (sti-
rene o acrilonitrile) oppure combinarsi con i radicali delle molecole in crescita del
copolimero stirene-acrilonitrile dando luogo alla formazione di catene di SAN
innestate lungo le macromolecole della gomma.
"Graft and free SAN polymerizations are competing reactions. Promoting graft polyme-
risation uniformly along the rubber particle surface is the key in ABS manufacturing"
[37-a].
"Indeed, the ABS resins are considered to be true engineering plastics, suitable for many
applications requiring high levels of mechanical performance and durability" [37-a].
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Fig. 31a
Fig. 31b
Fig. 31: Confronto tra i processi di polimerizzazione in massa (fig. 31-a) e in emulsione (fig. 31-b)
dell’ABS [Rif. 36-a].
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Fig. 32: Micrografia ottenuta mediante microscopia elettronica in trasmissione di una sezione sot-
tile di ABS trattata con tetraossido di Osmio per contrastare le particelle di polibutadiene che, per-
tanto, nella figura appaiono nere. I domini sferici che in figura appaiono bianchi sono particelle di
SAN inglobate in domini gommosi. Le particelle ed i domini con una struttura detta a “Salame”
sono dispersi nella matrice di SAN [Rif. 37-a].
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2002 l’incremento medio annuo dovrebbe attestarsi sul 4,8%. In Europa
Occidentale nel periodo 1999/2003, la domanda di ABS si allineerà alla crescita del
PIL con un incremento pari al 2,3%.
Nella tabella 5 è riportata la capacità produttiva globale dell’EniChem relativa-
mente ai prodotti stirenici e allo stirene. L’EniChem attraverso una joint venture
con la Qatar General Petroleum Co., che prevede la costruzione in Qatar di un gros-
so impianto per la produzione di toluene-di-isocianato (TDI), un intermedio per la
produzione di schiume poliuretaniche, rafforzerà la propria presenza anche nell’a-
rea dei sistemi poliuretanici i quali trovano ampia applicazione nel settore automo-
bilistico, nell’arredamento, nell’edilizia e nei casalinghi [39].
Tabella 5
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TAVOLA XXI
a)
b)
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TAVOLA XXII
a)
b)
Tavola XXII:
a) Componente moto in ABS (grado Sinkral PDG 253 prodotto dall’EniChem) [Rif. 38].
b) Corpo telefono in ABS (grado Sinkral L 320 prodotto dall’EniChem [Rif. 38].
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TAVOLA XXIII
a)
b)
c)
Tavola XXIII: Il polo petrolchimico EniChem di Mantova: a) ingresso; b) impianto di distillazio-
ne del fenolo; c) impianto di termodistruzione rifiuti. [Rif. 40]
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