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Consiglio Nazionale delle Ricerche

EZIO MARTUSCELLI

DALLA SCOPERTA DI NATTA


LO SVILUPPO DELL’INDUSTRIA DELLE
PLASTICHE E DELLA RICERCA SUI
POLIMERI IN ITALIA

Istituto di Ricerca e Tecnologia delle Materie Plastiche


Arco Felice - Napoli
Ho scoperto un segreto: che
dopo aver scalato un’alta
montagna, uno scopre che ve
ne sono tante altre da
scalare. Ho quindi preso un
momento di pausa, per
rubare uno sguardo della
vista gloriosa che mi circon-
da, per guardare indietro al
percorso fatto, al punto da
dove sono venuto. Ma posso
riposarmi soltanto per un
momento, perché con la li-
bertà vengono le responabi-
lità, e io non oso attardarmi,
perché il mio lungo cammino
non è ancora concluso.

Nelson Mandela, 1994

2
PARTE I

Capitolo 1: La scoperta del polipropilene


isotattico ed il premio Nobel a Giulio Natta

La scoperta del polipropilene isotattico, effettuata da Giulio Natta e dai suoi colla-
boratori nel 1954, fu il risultato di una brillante collaborazione tra una struttura uni-
versitaria, il Politecnico di Milano, ed in particolare l’istituto di Chimica
Industriale, e un’industria privata, la Montecatini. L’allora managing director della
Montecatini, Ing. Piero Giustiniani aveva aderito, con grande lungimiranza e spiri-
to innovativo, nel 1951, alla proposta del Prof. G. Natta che prevedeva una larga
intesa volta a realizzare attività di ricerca su temi di interesse comune e di grande
attualità concernenti aspetti applicativi della moderna chimica organica industria-
le, con particolare riguardo alla chimica delle macromolecole di sintesi. La joint

Fig. 1: Herman Staudinger (1881-1965), il padre della chimica macromolecolare.

3
venture contemplava, anche, la formazione di laureati in chimica ed ingegneria chi-
mica, da inserire nell’organico dei laboratori della Montecatini [1].
L’interesse di Giulio Natta per i polimeri ebbe inizio nel lontano 1932, durante il
suo soggiorno a Friburgo dove incontrò il Prof. H. Staudinger, il padre della chi-
mica macromolecolare che per primo aveva avanzato, per i polimeri naturali e di
sintesi, l’ipotesi di una struttura lineare a catena aperta (figura 1) [2].

Nel volume dal titolo “Giulio Natta l’uomo e lo scienziato”, in relazione a quan-
to sopra, si legge testualmente:
"Il soggiorno a Friburgo segnò una tappa importante nella carriera di Natta. In quella
città ebbe l’occasione di incontrare il Prof. Hermann Staudinger e i suoi collaboratori,
che trasmisero al giovane Natta il loro entusiasmo per le sostanze macromolecolari.
Proprio in quegli anni il gruppo di Staudinger stava confermando con prove sperimen-
tali la validità delle sue teorie sulla natura macromolecolare delle sostanze polimeriche
avversate da numerosi studiosi.
Natta intuì l’importanza delle idee di Staudinger e ritornato in Italia iniziò a lavorare nel
campo della diffrazione di elettroni studiando sostanze polimeriche che aveva ricevuto
da Staudinger. Fu il primo contatto di Natta con i polimeri" [3-a].

Intorno al 1952 Natta venne a conoscenza che il chimico tedesco Karl Ziegler
(1898-1973), che all’epoca svolgeva attività di ricerca presso i laboratori del Max
Planck Institute Für Kohleforschung di Mühlheim/Ruhr (Germania), era riuscito a
preparare del polietilene lineare e altamente cristallino utilizzando nuovi sistemi
catalitici a base di alluminiotrietile e sali di metalli di transizione come cocataliz-
zatori. La reazione di polimerizzazione avveniva a temperature e a pressioni più
basse (70°, 1 atm) di quelle relative al processo messo a punto, nel periodo 1935-
1939, dall’ICI (1000 atm., 100-140°).
Natta, intuendo che la scoperta di Ziegler potesse essere applicata alla polimeriz-
zazione del propilene, costituì un gruppo di giovani chimici e tecnologi di grande
capacità, iniziando una intensa attività finalizzata alla messa a punto di un proces-
so innovativo attraverso il quale ottenere, in maniera controllata, un polipropilene
lineare e altamente cristallino.
Su questo periodo, durante il quale, furono gettate le basi di una grande impresa
scientifica, tecnologica e industriale, il Prof. P. Pino, uno dei più vicini collabora-
tori di Natta, scrisse:
"Natta resumed his experimental activity in the field of macromolecular syntheses after
he had attended the lecture that Professor K. Ziegler delivered in Frankfurt (1952) about
the ethylene polymerization in the presence of alkyl aluminium compounds [Ziegler’s
“Aufbaureaktion”].
At the end of the above lecture, ......., thanks to his previous work on synthetic rubber,
with radical polymerizations, he at once realized -probably even before Ziegler himself-
that the German scientist had found a completely new principle as far as synthesis of
polymer chains was concerned. ....[....].. Thinking that Ziegler could rapidly progress in
his research on polyethylene Natta decided ........ to start the investigation of the poly-
merization of propylene.
...........At the beginning of March 1954, P. Chini obtained a small quantity of a yellow-
brown gummy product which clearly was nonhomogeneous.

4
The polimerization of propylene immediately became the most important subject of our
research; ......... the gummy product was extracted with the solvents we had used for
polyethylene fractionation, and four different fraction were obtained: ..... the fourth frac-
tion, which at times amounted to 40% of the reaction product, was a white powder
whose melting point exceeded 160°C.
......... as soon as the crystalline polypropylene was isolated, he realized that the new
polymer, being a high melting one, could be used as a plastic material in many fields,
different from those for polyethylene.
........, in May 1954 Natta succeeded in making the first fiber from polypropylene.
............., Natta and his collaborators started to discuss the structure of polypropyle-
ne....... After countless discussions the hypothesis was formulated that the crystalline and
non-crystalline polypropylene fractions were different because of the existence in the
crystalline polymer of steric regularity in the main chains of the macromolecules.
In his first paper on the topic, Natta stated that in the crystalline fractions the asymme-
tric carbon atoms may have the same steric configuration at least for long chain portions,
and proposed to call the said carbon atoms, and consequently the polymers containing
them, “isotactic”" [3-b].
L’inizio della grande avventura del polipropilene, fu così ricordato dallo stesso
Natta nella sua “Nobel lecture”:
"…In the meantime Ziegler discovered the process for the low-pressure polymerisation
of ethylene. I then decided to focus attention on the polymerisation of monomers other
than ethylene; in particular I studied the -olefins, which were readily available at low
cost in the petroleum industry. At the beginning of 1954 we succeeded in polymerising
propylene, other -olefins, and styrene; thus we obtained polymers having very diffe-
rent properties from those shown by the previously known polymers obtained from these
monomers……. Soon after the first polymerisation we realize the importance and the
vastness of the field that were opened to research, from both the theoretical and practi-
cal point of view" [3-c].
La figura 2 riproduce parte della pagina dell’agenda di G. Natta, relativa a gio-
vedì 11 marzo 1954, contenente la scritta “Fatto il polipropilene”, mediante la
quale il grande scienziato, con estrema semplicità, intendeva ricordare a se stesso
e al mondo questa grande scoperta.
Circa la scoperta del polipropilene isotattico, un altro brillante e validissimo col-

Fig. 2: Riproduzione della pagina dell’agenda di G. Natta relativa a giovedì 11 marzo 1954, recan-
te l’appunto “Fatto il polipropilene” [Rif. 3-a].

5
laboratore di Natta, il Prof. Paolo Corradini, così ebbe a scrivere:
"I remember, as personally lived, those charming days dense of fascinating outcomes at
the beginning of 1954, when it was found in our laboratories that the Ziegler catalysts
could polymerize (besides ethylene) propylene, styrene and several -olefins to high
linear polymers; those polymers appeared crystalline when examined by X-ray diffrac-
tion techniques, and were able to give oriented fibers..[...]..
In less than one year ......, Natta was able to communicate, in the Meeting of the
Accademia dei Lincei of December 1954, that a new chapter had been disclosed in the
field of macromolecular chemistry" [4].

I risultati ottenuti dal gruppo del Prof. Natta furono pubblicati nel 1955 su J. Am.
Chem. Soc. e su Rend. Accad. Naz. Lincei [5, 6].
L’applicazione della tecnica della diffrazione dei raggi X a fibre orientate di poli-
propilene isotattico dimostrò che la conformazione assunta dalle macromolecole
del polipropilene isotattico nella fase cristallina deve necessariamente essere di tipo
elicoidale con tre unità ripetitive per passo (elica 3/1) [4].
La prima rappresentazione grafica di una catena macromolecolare di un polime-
ro poliolefinico con una configurazione isotattica e la raffigurazione della confor-
mazione del polipropilene isotattico, così come presentate da Natta e Corradini nel
1954 all’Accademia dei Lincei, sono riportate rispettivamente nelle figure 3 e 4 [4].

fig. 3
fig. 4

Fig. 3: Prima rappresentazione grafica di catene di


polimeri isotattici [Rif. 4].
Fig. 4: Prima rappresentazione grafica di una
macromolecola di polipropilene isotattico con una
conformazione elicoidale di tipo 3/1 [Rif.4].

La scoperta di Natta portò allo sviluppo di processi capaci di sintetizzare un’in-


tera famiglia di polimeri, atti a cristallizzare, quali il polistirene, polibutene, poli-
butadiene, polipentene, poli-4-metilpentene ecc..
La cristallinità di questi materiali fu collegata alla capacità dei catalizzatori usati

6
Fig. 5: Diffrattogrammi ai raggi X ad alto angolo di polveri, oppure di film iso-
tropi di: a) polipropilene isotattico (curva superiore); b) polipropilene sindiotatti-
co (curva al centro); c) polipropilene atattico (curva inferiore).

di indurre la crescita di macromolecole “regolari” con le unità elementari che si


ripetono lungo la catena secondo un ben preciso ordine costituzionale e configura-
zionale.
Natta ed i suoi collaboratori ebbero pertanto il merito di comprendere e deluci-
dare non solo i meccanismi cinetici che regolavano i processi di polimerizzazione
di questi nuovi polimeri ma anche i fattori molecolari che li rendevano intrinseca-
mente capaci di cristallizzare mentre altri polimeri, indipendentemente dal tratta-
mento termomeccanico, ne fossero incapaci.
I loro studi chiarirono quindi che, in generale, un polimero ha la possibilità di cri-
stallizzare solo se le corrispondenti macromolecole sono caratterizzate da una
“regolarità” costituzionale e configurazionale.
Si comprese inoltre che nel caso dei polimeri vinilici il concetto di stereoregola-
rità derivava dalla presenza in ciascuna delle unità ripetitive di un atomo di carbo-
nio terziario che, in una macromolecola di lunghezza finita, rappresentava un cen-
tro di asimmetria.
A partire dal monomero propilene fu possibile ottenere, a seconda dei sistemi
catalitici usati, due diversi polimeri stereoregolari (isotattico e sindiotattico)

7
Fig. 6: Tipico spettro di diffrazione dei raggi X (alto angolo) di fibre orientate di polipropilene iso-
tattico.

entrambi capaci di cristallizzare (figure 5 e 6 e tavola I).


Il polipropilene isotattico (dal greco iso=lo stesso e tasso=ordinare) è caratteriz-
zato da una successione, lungo la catena macromolecolare, di unità ripetitive [CH2-
CH(CH3)] con il carbonio asimmetrico
H

C*

CH 3
che si presenta sempre con la stessa configurazione, mentre nel polipropilene
sindiotattico i centri di asimmetria che si succedono lungo la catena polimerica
hanno alternativamente una configurazione (l) e (r) o viceversa (tavola II).
L’importanza della scoperta di Natta e dei suoi collaboratori fu immediatamente
riconosciuta a livello mondiale, come ricordato dal Prof. P. Pino:
"As early as in January 1955, Professor P. J. Flory made the following comments on
Natta’s first paper on isotactic polymers submitted to Jacs: “The results described in
your manuscript are of extraordinary interest; perhaps one should call them revolutio-
nary in significance”" [3-b].
Nel 1963, in riconoscimento del suo contributo fondamentale alla scoperta di una
nuova classe di polimeri poliolefinici “stereoregolari” e quindi cristallizzabili, fu
conferito a Giulio Natta, il premio Nobel per la chimica. Questo premio fu, giusta-
mente, condiviso con Karl Ziegler (figura 7) quale scopritore della catalisi metal-
lorganica e della sintesi del polietilene a bassa pressione.
Nelle figure 8-a, b, c, d, e, è riportata una serie di fotografie tratte dal già citato

8
Fig. 7: Foto di Karl Ziegler, scopritore della catalisi metallorganica, premio Nobel per la chimi-
ca (anno 1963).

libro “G. Natta, l’uomo e lo scienziato” [3-a] che illustrano alcuni momenti signi-
ficativi della vita di questo grande scienziato italiano. In queste fotografie appaio-
no anche alcuni dei suoi più stretti collaboratori.
La Montecatini, che nel 1952 aveva aperto il primo grande impianto petrolchi-
mico europeo a Ferrara, nel 1957, grazie alla scoperta di Giulio Natta, iniziò negli
stabilimenti di questa città la produzione del polipropilene isotattico. Questo pro-
dotto ebbe immediatamente una grandissima diffusione e un uso molto diversifica-
to in funzione del quale assunse diverse denominazioni commerciali: Moplen come
materia plastica; Meraklon come fibra sintetica; Moplefan come film da imballag-
gio e infine Dutral come elastomero (copolimero etilene/propilene).
A Ferrara, sede dei laboratori presso i quali fu sviluppato il polipropilene isotat-
tico, fu istituito un importante centro di ricerca della Montecatini-Montedison che
successivamente fu intitolato a Giulio Natta. All’ingresso di questo centro fu eret-
to un monumento che rappresenta la macromolecola del polipropilene isotattico
strutturata secondo una conformazione di elica 3/1 (tre unità ripetitive per un
passo) (tavola III).
La scoperta del polipropilene venne celebrata nel 1988 e nel 1994 attraverso
francobolli commemorativi, emessi rispettivamente dalle poste svedesi ed italiane
(tavole IV e V). In particolare nel francobollo svedese si intese rappresentare il
legame ideale tra quello che avviene in natura, quando ragni e bachi estrudono fili
di seta, e quello realizzato dall’uomo, a imitazione di questi processi naturali uti-
lizzando una filiera ed un materiale di sintesi molecolarmente ordinato quale è stato
per l’appunto il caso del polipropilene isotattico [7].
L’emissione dei francobolli commemorativi è una chiara dimostrazione della rile-
vanza scientifica, tecnologica ed industriale che ebbe questa scoperta, non solo nel
nostro paese, ma nel mondo intero.

9
Fig 8a

Fig 8b
Fig 8c

Fig. 8: a) Fotografia di Giulio Natta


(premio Nobel per la Chimica - Anno
1963), inventore del polipropilene
isotattico e di altri polimeri “stereo-
regolari”, capaci di cristallizzare.
Giulio Natta nacque il 26 gennaio
1903 a Porto Maurizio, Imperia;
morì il 2 maggio 1970 a Bergamo.
b) G. Natta, al braccio del figlio,
riceve il Premio Nobel da Gustavo
VI Adolf [Rif. 3-a].
c) I giornali annunciano il Nobel per
la chimica a Natta [Rif. 3-a].
d) G. Natta in laboratorio attorniato
da alcuni dei suoi collaboratori: da
sinistra, di spalle Gino Dall’Asta,
Piero Pino, Luigi Giuffrè, Lido Porri,
Raffaele Ercoli, Enrico Mantica [Rif.
3-a].
e) G. Natta con Italo Pasquon e Piero
Pino [Rif. 3-a].

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Fig 8d
Fig. 8e

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TAVOLA I

a)

b)

Tavola I: Il polipropilene isotattico (iPP) cristallizza in massa secondo una morfologia di tipo sferuliti-
ca. Questi sferuliti, ottenuti per cristallizzazione isoterma dal fuso da film sottili, possono essere visua-
lizzati attraverso un microscopio ottico in luce polarizzata.
a) Sferuliti di tipo I; temperatura di cristallizzazione di 130°C .
b) Sferuliti di tipo II; temperatura di cristallizzazione di 140°C.
12
TAVOLA II

Tavola II: Possibili configurazioni della macromolecola del polipropilene. Supponendo di disten-
dere su di un piano la macromolecola di un polimero vinilico, il gruppo sostituente R (-CH3 nel
caso del polipropilene) (in colore pieno) è disposto in modo casuale al di sopra e al di sotto del
piano: le macromolecole di questo tipo vengono chiamate atattiche (in alto). L’impiego dei cata-
lizzatori metallorganici consente di alterare questa disposizione e di ottenere macromolecole a
struttura sindiotattica (al centro), in cui gli atomi di carbonio asimmetrici hanno la configurazione
alternativamente opposta, oppure isotattica (in basso), in cui hanno la stessa configurazione. Nelle
molecole a struttura sindiotattica il sostituente si trova alternativamente sopra e sotto il piano men-
tre nelle molecole a struttura isotattica si trova sempre da una stessa parte.

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TAVOLA III

Tavola III: Ferrara - Centro di Ricerca della Montedison - Monumento in onore di


Giulio Natta raffigurante l’elica del polipropilene isottatico (attualmente il centro, inti-
tolato a G. Natta, è della Montell).

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TAVOLA IV

Tavola IV: Francobollo emesso


nel 1988 dalle poste svedesi per
commemorare le scoperte di
Karl Ziegler e Giulio Natta [Rif.
7].

TAVOLA V

Tavola V: Francobollo commemorativo


emesso dalle poste italiane nel 1994 per
celebrare i quaranta anni della scoperta del
polipropilene isotattico da parte di G. Natta
[Rif. 7].

15
16
Capitolo 2: L’avvento della petrolchimica
favorisce lo sviluppo dell’industria
delle plastiche in Italia

Le plastiche di sintesi si sono sviluppate di pari passo con la chimica organica, la


catalisi e con la messa a punto di processi attraverso i quali è stato possibile, par-
tendo da materie prime, presenti in natura e di facile accesso (carbone e catrame di
carbon fossile, acqua, aria, sale, cellulosa, petrolio e gas naturale) ricavare inter-
medi (chemicals) e monomeri da utilizzare nelle reazioni di polimerizzazione.
Nella tabella 1 sono indicati gli stadi dei più significativi processi (usati intorno
alla metà degli anni ‘60) attraverso i quali partendo dalle possibili materie prime,
venivano prodotti polimeri di grande interesse applicativo.
In particolare nelle ultime due colonne delle tabelle 1-b e 1-c sono anche riporta-
ti la tipologia e la forma dei prodotti messi in commercio (film, fibre ecc.) ed i rela-
tivi settori di impiego [8-a].
A partire dai primi anni cinquanta l’industria chimica, in Europa e nel mondo,
subì una profonda transizione a seguito dell’avvento delle tecnologie e dei proces-
si produttivi che partivano da un prodotto di base che non era più il catrame di car-
bon fossile bensì il petrolio.
Nacque l’industria petrolchimica e con essa fu sviluppato il processo di
“Cracking” (da crack= fendere, spaccare) attraverso il quale, nella fase di distilla-
zione della virgin nafta, fu possibile trasformare gli idrocarburi pesanti in frazioni
a più basso peso molecolare dalle quali estrarre molecole e intermedi da utilizzare
successivamente per la sintesi di una gamma molto vasta di prodotti finiti.
Tra le principali sostanze derivanti dal cracking figurano l’etilene, il propilene, i
buteni, il butadiene e i suoi derivati che rappresentano i monomeri di partenza per
la sintesi di importanti polimeri quali il polietilene, il polipropilene e le gomme
sintetiche. Da questo processo si ricavarono composti aromatici quali il benzene, il
toluene e lo stirene dal quale ultimo fu possibile ottenere il polistirene.
L’avvento della petrolchimica favorì in maniera rilevante lo sviluppo dell’indu-
stria dei polimeri in Italia.
"Già nel 1963 la produzione di gomma sintetica buna, ottenuta partendo dal butadiene
derivato dal petrolio, superò con 2.430.000 tonnellate, contro 2.050.000, quella della
gomma naturale; mentre il 45-50% dei detergenti era derivato da prodotti petroliferi.
Ma il vero boom dell’industria petrolchimica sarà raggiunto con l’avvento della chimi-
ca dei polimeri ...... allorchè nel 1954 gli studi del tedesco Karl Ziegler e dell’italiano
Giulio Natta consentirono di polimerizzare l’etilene, le alfa-olefine e lo stirolo, forman-
do polimeri ad alto ed altissimo peso molecolare, avviando così lo sfruttamento indu-
striale della chimica macromolecolare, mediante la quale si potè pervenire alla produ-
zione sia di materiali termoplastici cristallini ad alta temperatura di fusione, sia di fibre

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tessili, di film e di elastomeri sintetici.
I polimeri ..... sono entrati rapidamente nel vasto repertorio di produzione che, agli inizi
del 1960, hanno orientato l’industria chimica italiana, collocandola ai primi posti nella
produzione di resine sintetiche e nella trasformazione di materie plastiche.
...... Le grandi possibilità offerte da queste resine all’industria italiana o trasformatrice,
giustificano il rapido incremento che esse hanno avuto negli anni sessanta. Basti pensa-
re che nel campo delle policondensazioni, le resine poliammidiche (il nylon) passarono
da una produzione di 741.000 quintali del 1958 a circa 3 milioni nel 1964 e le resine
poliesteri (.....) da 378.000 quintali a oltre 3 milioni; nel campo delle resine da polime-
rizzazione, le polietileniche (...) segnavano un incremento impressionante: da poco più
di 80.000 quintali del 1958 a ben 1.400.000 quintali nel 1964" [Rif. 8-b].

Tabella 1
Sono mostrati i possibili processi usati intorno alla metà degli anni ’60 per ottenere “chemicals” a
partire da materie prime quali il carbone, il petrolio e il catrame di carbon fossile [Rif. 8-a].

a)

18
b)

c)

I grafici riportati nelle figure 9-a, b, c, d, e, mostrano l’importanza che attual-


mente riveste la petrolchimica e l’industria del cracking come fonte primaria di
prodotti-monomeri da utilizzare nell’industria delle plastiche, delle gomme e delle
fibre [8-c].
La distribuzione (percentuale) di come viene utilizzato il petrolio nei vari settori

19
è illustrata attraverso la figura 10. Dai dati in essa indicati si ricava che il 4% del
petrolio estratto è impiegato nella produzione di plastiche.

fig. 9a

fig. 9b

fig. 9c

20
fig. 9d
Fig. 9: L’industria Petrolchimica in Europa:
a) Profilo della produzione petrolchimica mondiale (1998).
b) La nafta rappresenta la principale fonte di “Steam Cracking” in Europa
(1997).
c) Il profilo di utilizzo dell’etilene in Europa (1996).
d) Il profilo di utilizzo del propilene in Europa (1996).
e) Il profilo di utilizzo del benzene in Europa (1997).
[Rif. 8-c].

Fig. 10: La distribuzione del consumo di petrolio nei vari settori di utilizzo (%).

Le fotografie riprodotte nella tavola VI (risalenti alla fine degli anni ‘50) raffigu-
rano alcuni importanti impianti chimici relativi ai processi produttivi del polistire-
ne, polietilene, polivinilcloruro e polimetilmetacrilato. Queste foto rappresentano
una documentazione storica dell’ingente sforzo che all’epoca fu prodotto per dota-
re l’Italia di una importante e competitiva industria delle plastiche [8-d].

21
Lo sviluppo dell’industria delle plastiche italiana, la scoperta del polipropilene e
la sua successiva industrializzazione si inserirono in un contesto socio-economico
nell’ambito del quale, relativamente al periodo 1945-1953, l’industria chimica
svolse un ruolo di grande rilevanza che coincise con la nascita della petrolchimica
(9). Su questo argomento A. Mattera scrisse:
"L’Italia situata sulla rotta del petrolio del medio oriente assume progressivamente un
ruolo più importante nella raffinazione del greggio" [10].

Questa scelta strategica fu supportata da importanti joint venture (l’Anic insieme


alla Standard Oil fonda la Stanic, per gestire le raffinerie di Bari e Livorno; l’Agip
si associa con la Anglo-Iranian Oil Company; la Fiat costituisce con la società ame-
ricana Caltex, la Petrolcaltex; la Montecatini fonda la Petrolsud alla quale associerà
la Gulf).
Nel 1954 le raffinerie situate sul territorio italiano avevano una capacità di lavo-
razione di circa 15 milioni di tonnellate, ben al di sopra del fabbisogno nazionale.
Pertanto all’incirca la metà del prodotto raffinato veniva esportato [10].
Lo sviluppo della petrolchimica in Italia "segna il tramonto dell’industria dei
derivati del carbone e delle officine del gas. Oramai tutti gli idrocarburi alifatici, olefi-
nici e aromatici si ottengono dal petrolio con operazioni di reforming, di cracking, di
idrogenazione e aromatizzazione. Tali idrocarburi diventano le materie prime dell’indu-
stria chimica organica, inorganica delle materie plastiche e delle fibre sintetiche in tutto
il mondo" [10].

22
TAVOLA VI

a)
b)

23
TAVOLA VI

c)
d)

24
e)
f)

TAVOLA VI

25
TAVOLA VI

g)
h)

Tavola VI: A partire dai primi anni ‘50 si avviano in Italia i primi grandi stabilimenti per la pro-
duzione di plastiche.
a) impianto di produzione dello stirene; b) impianto per la prepolimerizzazione dello stirene;
c) Colonne di polimerizzazione dello stirene a polistirene;
d) Impianto di produzione del polietilene;
e) Autoclave di polimerizzazione del polivinilcloruro;
f) Impianto di produzione del metilmetacrilato monomero;
g) Produzione del metilmetacrilato monomero, impianto per la saponificazione e metilazione;
h) Stufa per la polimerizzazione del metilmetacrilato [Rif. 8-d].

26
Capitolo 3: La nascita dell’industria
dei polimeri in Italia.

Lo sviluppo dell’industria delle plastiche, delle fibre e degli elastomeri, che rap-
presenta un affascinante capitolo della storia della industrializzazione del nostro
paese, ha contribuito fortemente alla trasformazione e alla internazionalizzazione
dell’industria chimica italiana.
Di seguito sono riportati, in ordine cronologico, i principali eventi che determi-
narono la nascita e la crescita dell’industria dei polimeri in Italia, con riferimento
al contesto socio-economico che ha caratterizzato lo scenario evolutivo e le strate-
gie della nostra politica industriale [9].

a) Periodo antecedente alla seconda guerra mondiale:

1910: L’ingegnere Guido Donegani, imprenditore livornese (figura 11), è nomi-


nato amministratore delegato della Società Montecatini che diresse fino al
1945. Sotto la sua guida la Montecatini, da piccola azienda mineraria,
fondata nel 1888, fu trasformata in una grande impresa che acquisì un
ruolo di grande rilevanza nella chimica, e questo sia a livello nazionale
che internazionale.

1920: La SNIA (Società di Navigazione Italo-Americana) ingloba la Società


VISCOSA (di Pavia) che produceva il rayon, una fibra artificiale di natu-
ra cellulosica (comunemente detta seta artificiale).

1920-1930: Altre aziende avviano la produzione di fibre artificiali – cellulosiche.


Fra queste la Chatillon (Milano), la Società Generale italiana della Viscosa
(Roma), la Società meridionale seta artificiale (Napoli), la Società super-
tessile, la Società Rhodiaceta italiana, la Enka, la Società italiana seta
Bemberg, la Società Orsi Mangelli, la Gerli, la Manifattura seta artificia-
le, la Manifattura di Caluso e la Società fibre tessili artificiali.
La produzione italiana di fibre tessili artificiali raggiunge tra gli anni
1920-30 livelli mondiali ed è seconda solo a quella degli Stati Uniti
d’America.

1925: La Montecatini allarga e diversifica le sue attività nel settore della chimi-
ca acquisendo il controllo di aziende quali la Società dell’alluminio e la

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Società italiana allumina (produttrice di alluminio), la Dinamite Nobel e la
Società anonima esplodente e prodotti chimici (produttrici di esplosivi).
Inoltre da’ luogo alla costituzione della DUCO (insieme alla Nobel e alla
Dupont), società produttrice di vernici e smalti.
La Montecatini entra nel campo delle fibre artificiali all’acetato di cellu-
losa costituendo, insieme alla francese Rhône Poulenc, la Rhodiaceta.
"In questi anni comincia la stretta collaborazione con gli scienziati-chimici e
ingegneri del Politecnico di Milano, proseguita dal futuro Premio Nobel per la
Chimica Giulio Natta" [9].

1931-1939: La Montecatini assorbe la società ACNA (Aziende Chimiche Nazio-


nali Associate) e costituisce una nuova società denominata "Aziende
Colori Nazionali Affini" la cui sigla commerciale rimane quella
dell’ACNA. In questo periodo la Montecatini inizia la produzione di resi-
ne sintetiche e di vernici.
Nel 1936 fonda l’Azienda Nazionale Idrogenazione Combustibili (ANIC)
per produrre benzina sintetica. Nel 1939 inizia la produzione delle poliam-
midi (nylons).
Il 28 ottobre 1938 si inaugura, a Milano, il nuovo palazzo della
Montecatini il cui ingresso è in Via Moscova (figura 12).
L’opera, fortemente voluta dall’ingegnere Guido Donegani, fu costruita in
soli 23 mesi, all’epoca era all’avanguardia nell’utilizzo di innovazioni tec-
nologiche e nell’uso di nuovi materiali [11-a].

Fig. 11: Guido Donegani (Livorno 1877 -


Bordighera 1947), creatore della moderna
Montecatini che diresse dal 1910 al 1945
[10].

28
Fig. 12: I palazzi della società Montecatini inaugurati a Milano il 28 ottobre 1938, con ingresso in
via della Moscova [Rif. 11-a].

b) Periodo successivo alla seconda guerra mondiale:

L’industria italiana in generale, e con essa quella chimica, fu fortemente danneg-


giata durante la seconda guerra mondiale. Pur tuttavia in pochi anni, attraverso un’
imponente opera di ricostruzione l’indice della produzione chimica nel 1949 aveva
già superato quello del 1938, con un tasso di crescita annuo pari a circa il 13%. A
quell’epoca la Montecatini, che impiegava circa cinquantamila addetti e che
mostrava interessanti punti di forza in settori quali l’ammoniaca (dove sfruttava le
scoperte e le tecnologie messe a punto da Giacomo Fauser), l’acido nitrico, i ferti-
lizzanti azotati e in alcuni campi della petrolchimica, era l’unica impresa italiana
dotata di una organizzazione di ricerca che si avvaleva, già a partire dai primi anni
‘50, della collaborazione di scienziati di chiara fama, tra i quali spiccavano i nomi
di Bonino, Quilico, Caglioti e Natta.

29
Nel 1951 quando al vertice della Montecatini c’era l’ingegnere Piero Giustiniani,
iniziò la collaborazione tra la Montecatini ed il Politecnico di Milano, in particola-
re con l’Istituto di Chimica Industriale [11-b].

1952: Viene inaugurato dalla Montecatini, a Ferrara, il più grande impianto


petrolchimico europeo.

1953-1954: A seguito di una profonda revisione dell’industria pubblica italiana


viene costituito l’Ente Nazionale Idrocarburi (ENI) la cui opera è finaliz-
zata allo sviluppo di iniziative strategiche nel campo degli idrocarburi,
nella ricerca e nella produzione di prodotti chimici.
L’ENI acquista il pacchetto di maggioranza dell’ANIC e nel 1954 inaugu-
ra a Ravenna uno dei più importanti stabilimenti per la produzione di
gomme sintetiche.

1956: La Società Sicedison (una joint venture tra Edison e Montsant-USA) avvia
la costruzione dello stabilimento petrolchimico di Mantova che fu com-
pletato intorno al 1962.

1957: Inizia la produzione industriale del polipropilene, presso lo stabilimento di


Ferrara della Montecatini, .

1958-1959: La SIR (Società Italiana Resine) avvia presso gli stabilimenti di Porto
Torres la produzione di intermedi chimici di natura organica e di mono-
meri da utilizzare per la sintesi di materie plastiche.
La Bombrini Parodi Delfino, utilizzando petrolio grezzo estratto local-
mente inizia, attraverso la controllata ABCD, presso gli impianti di
Ragusa, in Sicilia, la produzione di etilene e polietilene.
Nel 1958 l’ENI costituisce, insieme alla tedesca WACKER, la Società
chimica Ravenna per la produzione di prodotti intermedi vinilici e, in col-
laborazione con l’americana Phillips Petroleum Co., la Phillips Carbon
Black per la produzione di nero fumo, da utilizzare come additivo per le
gomme sintetiche.

1962-1965: La società Edison che già da qualche anno, a seguito della naziona-
lizzazione dell’industria elettrica, era entrata nel settore della chimica con
la costruzione di stabilimenti a Porto Marghera e a Priolo, dà luogo ad
importanti joint-venture costituendo società attive nella chimica di base,
nelle fibre sintetiche, negli intermedi, nei polimeri e nei fertilizzanti. A
seguito di queste azioni, Porto Marghera, Priolo e, successivamente,
Mantova, diventano siti di importanti poli petrolchimici.
Nel 1965 a Brindisi diviene operativo il grande stabilimento petrolchimi-
co della Montecatini dove, per cracking, sono prodotti principalmente

30
etilene e propilene utilizzati per la sintesi del polietilene a bassa ed alta
densità e del polipropilene isotattico. Nello stesso polo viene avviata
anche la produzione del policloruro di vinile (PVC).
Sempre nel 1965, l’ENI inizia la produzione di fibre sintetiche presso lo
stabilimento di Pisticci (Basilicata).

1966: Dalla fusione tra la Montecatini e la Edison nasce la Montedison, il più


importante gruppo chimico privato.

1967: La società ABCD di Ragusa viene acquisita dall’ANIC che, a seguito di


questa operazione, implementa la propria presenza nella produzione di
polietilene a bassa densità, sviluppando anche le relative tecnologie di
lavorazione.

1971: L’ANIC avvia presso lo stabilimento di Manfredonia, la produzione, basa-


ta su tecnologia messa a punto dalla SNAM, di prodotti quali l’urea, il
caprolattame e l’ammoniaca.

1974: Ad Ottana, in Sardegna, inizia, presso lo stabilimento costruito attraverso


una joint-venture tra Montedison e ANIC, la produzione di acido terefta-
lico, fibre poliestere (PET) e fibre acriliche.

Gli importanti eventi che segnarono l’evoluzione dell’industria chimica italiana


relativamente al periodo che va dagli inizi degli anni sessanta ai primi anni settan-
ta sono stati così ricordati da Umberto Colombo in una sua recente pubblicazione:
"…. Natta meritò per questo il Premio Nobel per la Chimica nel 1963, mentre la
Montecatini si guadagnò il rispetto dell’industria chimica internazionale.
Fu, quello, il momento della speranza, alimentata da un clima di feconda collaborazio-
ne fra università e industria e di grande fiducia nella ricerca. Ma le cose erano destinate
a cambiare in fretta, e non tutte per il meglio. La convergenza di una serie di eventi,
quali: la comparsa di forti concorrenti che hanno insidiato la posizione della Montecatini
sul mercato: nel 1953, nacque l’ENI, ………..; nei primi anni Sessanta, la
Nazionalizzazione dell’energia elettrica spinse ……. la Edison a diversificarsi al setto-
re chimico; la politica a favore dello sviluppo delle aree depresse del paese favorì lo svi-
luppo di altri due concorrenti, Sir e Liquichimica, mentre la Cassa del Mezzogiorno
incoraggiava, proprio nel settore chimico, massicci investimento nel Sud del paese
creando le premesse per una crisi da sovracapacità produttiva;……..
Nel 1966, dopo anni di crescenti difficoltà finanziarie che rendevano problematico
sostenere il volume di investimenti necessario ad aprire una nuova fase di sviluppo,
maturarono le condizioni per la caduta della Montecatini come gruppo chimico indi-
pendente, e per la sua fusione con la Edison mediante incorporazione delle rispettive
strutture chimiche nella nuova società, la Montedison…….. I tentativi di programma-
zione del settore chimico da parte dello Stato, culminanti nel Piano Chimico deciso nel
1969 e varato nel 1971, sfociarono miseramente in una guerra aperta fra le grandi impre-
se del settore (Montedison, Eni-Anic, Sir, Liquichimica)…" [11-b].

31
1981: Parte un grande piano di ristrutturazione e rilancio della chimica, a segui-
to della grande crisi economica mondiale che investì drammaticamente
questo settore.
L’Eni acquisisce gli impianti della SIR di Porto Torres, Cagliari, Pieve
Vergante e quelli della Liquichimica di Augusta, Saline Ioniche e
Ferrandina.

1982-1983: Vengono costituite due grandi società; L’Enichimica (a totale con-


trollo dell’ENI) e l’Enoxy (con partecipazione al 50% della Occidental -
USA-).
Nel 1983 la Occidental esce dall’Enoxy pertanto l’Enichimica diviene il
principale ente pubblico italiano operante nel settore della chimica.
L’Enichimica e la Montedison siglano un importante accordo:
"..sulla base di principi di specializzazione produttiva approvata dal governo.
L’accordo porta ad un rafforzamento delle due società attraverso l’eliminazione
di duplicazioni produttive. Con le acquisizioni da Montedison, Enichimica
diventa molto forte a livello europeo in alcuni importanti business (etilene,
polietilene, PVC, gomme) mentre Montedison si rafforza in altri" [9].

1983-1988: L’Enichimica, che cambia la sua ragione sociale in EniChem avvia


importanti joint-venture con società multinazionale quali la Dupont, l’ICI,
la Dow e la Hoechst.

1986: Viene costituita la European Vinyls Corporation (EVC), una joint venture
tra l’inglese ICI e la EniChem, che diviene la più grande produttrice di
PVC in Europa. Con la EVC si intese razionalizzare la produzione e la
commercializzazione di resine e compounds a base di PVC in Italia ed in
Europa.

1989: La globalizzazione dei mercati e la necessità di maggiori dimensioni por-


tano il governo italiano ed il management dell’ENI e della Montedison a
firmare il primo giugno del 1989 un accordo che sanciva la costituzione
dell’ENIMONT. In questa società confluivano "l’EniChem e tutte le
società afferenti alla Montedison operanti nel campo della chimica di base, intermedi,
stirenici, fertilizzanti, fibre sintetiche e in alcuni campi della chimica fine" [9].

1990-2000: La SIR è acquistata e ristrutturata nel 1988 dal gruppo Montedison;


nel 1990 le attività, in Italia, inerenti le resine termoindurenti vengono tra-
sferite alla SIR-Industriale (Divisione Resine): Nel 1991 SIR viene inseri-
ta nella sub-holding del gruppo Montedison che opera nel settore dei com-
positi avanzati.
Nel 1993 le attività di ricerca e sviluppo si concentrarono sui “core busi-
ness” di SIR (epossidiche, poliesteri saturi e insaturi). Nel 1994 SIR si
ripresenta direttamente sul mercato del polistirolo espandibile e nel 1996

32
viene acquistata da un gruppo chimico italiano.
Nel 1993 ENI predispone un piano di salvataggio e di risanamento
dell’EniChem. A seguito di questa ristrutturazione, l’EniChem concentra la
sua attività nella chimica primaria, nelle olefine, in vari intermedi, nei
poliuretani, nel polistirene e in diversi tipi di gomme. Nel campo del polie-
tilene costituisce (febbraio 1995) una importante società, “Polimeri
Europa”, frutto di una joint venture al 50% con la Union Carbide.
Nel 1998 la Polimeri Europa con, una capacità produttiva di 1.475.000
tonn. è al quarto posto in Europa dopo Borealis, Elenac e Dow [11-c].
E’ in questo periodo (gennaio 1994) che la Montedison costituisce insieme
alla Shell la “Montell”, la cui attività sarà incentrata sul polipropilene e
suoi “compounds”.
Nel 1994 la EVC diviene una Società per azioni, indipendente dall’
EniChem e dall’ICI che vi partecipano in qualità di soci di minoranza.

Con l’avvento della petrolchimica, fu possibile disporre di monomeri a costi rela-


tivamente bassi. Questo rappresentò un elemento determinante per l’espansione
dell’industria delle plastiche, degli elastomeri e delle fibre sintetiche anche in
Italia.
"L’industria chimica italiana era entrata nel settore delle plastiche con la Montecatini
fino dal 1934 (Stabilimento di Castellanza) con un’ampia serie di resine (fenoliche, vini-
liche, poliammidiche e acriliche) e i relativi intermedi (metanolo, formaldeide, urea). E’
ancora la Montecatini, che, nel dopoguerra, imprime un forte impulso al settore sia a
livello di ricerca, sia a livello produttivo" [10].

Infatti nel 1950 la Montecatini costituì, a Castellanza, il primo centro di ricerca


industriale sulle materie plastiche. Inoltre, con grande lungimiranza, e riconoscen-
do l’importanza della collaborazione industria-università, il suo gruppo dirigente
favorì la costituzione di due laboratori di ricerca, l’uno presso il Politecnico di
Milano e l’altro presso l’Istituto Chimico dell’Università di Torino, diretti rispet-
tivamente dal Prof. Natta e dal Prof. Nasini.
I primi anni ’50 videro il decollo dell’industria delle plastiche italiana e questo
grazie soprattutto all’avvio della produzione del polietilene e del polistirene, pres-
so il grande impianto che la Montecatini aveva costruito a Ferrara, e del polivinil-
cloruro presso lo Stabilimento della Polymer di Terni. La produzione di materie
plastiche in Italia raggiunse, nel 1953, le 44.000 tonnellate, il doppio del 1950 [10].
Questo sviluppo era congruente con uno scenario evolutivo dell’industria chimi-
ca europea che a partire dai primi anni ‘50 vedeva una importante crescita dell’in-
dice medio della dimensione degli impianti chimici (figura 13). Come si evince dai
dati della tabella 2, particolarmente rilevante appariva l’evoluzione della capacità
produttiva europea di polimeri quali il polietilene a bassa e ad alta densità [12].

I primi sviluppi, in Italia, dell’industria delle fibre sintetiche si verificarono intor-


no al 1953, sempre ad opera della Montecatini, la quale dopo aver acquistato

33
Fig. 13: Indice medio della dimensione degli impianti chimici europei negli anni 1955-1976 [Rif.
12].

dall’ICI, il brevetto per la produzione delle fibre di PET, denominate “Terilene”, ne


avviò la produzione presso gli stabilimenti di Ferrara e di Casoria.

"Nel 1953 la produzione nazionale di fibre sintetiche raggiunge le 2.109 tonnellate


(quattro volte superiore a quella del 1950) rimanendo tuttavia, ancora non significativa
rispetto a quella di fibre artificiali (circa un terzo)" [10].

L’industria delle fibre sintetiche italiana, relativamente al periodo che va dal 1950
ai primi anni ’80, si concentrò, principalmente, verso la produzione di fibre poliam-
midiche (filo tessile e fiocco), poliestere (filo tessile e fiocco), poliacriliche (fioc-
co) e naturalmente sulle fibre di origine polipropilenica. Sorsero importanti stabi-
limenti tra i quali vanno ricordati i seguenti:
- per il filo poliestere, quelli di Ottana (il vecchio del Tirso ed il nuovo della
SIR);
- per il filo acrilico, quello della SIR del Tirso (Ottana), quello della SNIA di Villa
Cidro e quello di Porto Torres della SIR.
Nel periodo che va dal 1966 al 1976 la produzione di fibre sintetiche italiana, era
passata da un valore di 2,6 a 7,6 kg/anno per abitante, valore quest’ultimo che era
paragonabile a quello del Regno Unito e notevolmente maggiore di quello della

34
Tabella 2
Evoluzione delle dimensioni tipiche delle capacità produttive degli impianti
europei per alcuni dei più importanti prodotti chimici [Rif. 12]
[(tonn./a (x 103)]
Prodotto 1955 1960 1965 1970 1976
Acetaldeide 10 20 30 100 135
Acrilonitrile 10 15 30 60 180
Ammoniaca 50 85 150 350 350
Caprolattame 10 20 40 60 70
Cloro 25 50 70 100 180
Cloruro di
vinile
monomero 30 50 100 150 270
Etilene 20 50 150 300 450
Fenolo 10 25 45 70 90
Idrocarburi
aromatici - 80 150 300 300
Ossido di
etilene 5 10 20 70 135
Polietilene a.d. 5 10 20 60 90
Polietilene b.d. 10 30 50 100 100
Stirene 10 30 50 150 450
Urea 30 80 150 300 340

Francia (4,7 kg/anno per abitante) [13].

Circa l’evoluzione tecnologica che si verificò nell’industria chimica italiana ed in


particolare in quella dei polimeri, dopo la fine della seconda guerra mondiale, U.
Colombo e G. Lanzavecchia scrissero:
"L’aspetto più importante e appariscente dello sviluppo tecnologico della chimica è rap-
presentato dallo sviluppo eccezionale della petrolchimica che si è verificato sin dagli
anni ’30 negli Stati Uniti e dopo la seconda guerra mondiale in Europa. A partire dagli
idrocarburi sono stati ottenuti i polimeri principali che sono alla base dell’enorme svi-
luppo industriale delle fibre sintetiche, delle materie plastiche e degli elastomeri.
Lo sviluppo delle fibre sintetiche ha consentito di soddisfare la domanda crescente di
tessili ed ha stimolato l’innovazione e la produttività dell’intero settore tessile.
I plastici, visti all’inizio quali sostituti di materiali convenzionali come il legno, la carta,
i metalli, il vetro, le ceramiche, hanno consentito poi altri usi che sfruttano le loro carat-
teristiche chimiche, fisiche e strutturali e hanno anche essi stimolato una forte innova-
zione nei prodotti convenzionali per contrastare la sfida di questi nuovi materiali.
Analogo discorso può essere fatto per quanto riguarda gli elastomeri sintetici in relazio-

35
ne alla gomma naturale" [12].

Tra la fine degli anni settanta e l’inizio degli anni ottanta si verificarono impor-
tanti eventi che ebbero profonde ripercussioni sociali ed economiche. La struttura-
zione dell’industria chimica mondiale subì una profonda trasformazione che portò,
nel nostro paese, al ridimensionamento delle grandi imprese chimiche [11-b].
"In sostanza, si può dire che, essendo fallito negli anni ottanta il disegno di creare un
grande gruppo italiano in grado di battersi alla pari coi colossi mondiali dell’industria
chimica, le principali nostre imprese del settore (EniChem, Montedison e Snia) si sono
concentrate su quei comparti e prodotti che rappresentavano i loro punti di forza relati-
va nella tecnologia e nel mercato, attuando su queste alleanze internazionali, con la spe-
ranza che queste joint venture avrebbero avuto successo nella competizione globale,
senza che ne risultasse il progressivo indebolimento del partner italiano. Quanto poco
realistica fosse tale speranza è dimostrato dall’avvenuta cessione, da parte della
Montedison al suo partner Shell, della propria quota di partecipazione paritetica nella
Montell, detentrice del patrimonio di ricerca, brevetti e tecnologie, oltre che di compe-
tenze e strutture produttive (inclusi i ricercatori), relativo al polipropilene, l’unica gran-
de materia plastica che aveva avuto origine nel nostro paese" [Rif. 11-b].

I principali polimeri termoplastici attualmente prodotti in Italia (anno 2000), le


loro aziende produttrici e la relativa collocazione geografica degli stabilimenti sono
indicati nella tabella 3.

36
Tabella 3

Siti produttivi delle principali termoplastiche in Italia (anno 2000)

Polimero Aziende

LDPE Polimeri Europa - Gela (CL), Ragusa, Ferrara

LLDPE Polimeri Europa- Brindisi, Priolo (SR)

HDPE EniChem - Porto Torres (SS)


Polimeri Europa - Brindisi
Solvay - Rosignano

PP Montell - Brindisi, Ferrara, Leinì (TO), Terni

PS, EPS, EniChem - Mantova


SAN

ABS EniChem - Mantova, Ravenna

PVC EVC - Porto Marghera (VE), Porto Torres (SS), Ravenna


Ind. Gener. - Samarate (VA)

PET Inca - Pisticci (MT), Ottana (NU)


Cobarr - Patrica (FR)
Aussapol - S. Giorgio di Nogaro (UD)
Italpet - Verbania

Fonte: ASSOPLAST; Marzo 2000

37
38
Capitolo 4: Lo sviluppo e l’industrializzazione
del polipropilene in Italia.

Con l’industrializzazione e la commercializzazione del polipropilene (PP) l’in-


dustria italiana delle plastiche si presenta sul mercato internazionale per la prima
volta e con un prodotto innovativo scoperto e sviluppato completamente in casa
dalla Montecatini.
Paolo Galli nella sua introduzione al libro “Polypropylene Handbook” scriveva:
".... It is now widely recognized that the discovery (del polipropilene isotattico, n.d.A.)
not only represented the first and most significant step in the synthesis of crystalline PP
at the scientific and industrial level, but, even more important, it meant the beginning of
a new challenging adventure still in progress today. In the years following its discovery,
PP went through such a dynamic industrial development that it is today one of the most
widely used polymeric materials, and still has a very bright future" [14].

La Montecatini, come già precedentemente riportato, iniziò la produzione del


polipropilene a livello industriale nel 1957. Questo evento rappresentò una vera e
propria pietra miliare per l’industria chimica italiana ed in particolare per lo svi-
luppo dell’industria dei polimeri che con questo prodotto, versatile ed innovativo,
riuscì ad essere competitiva a livello nazionale ed internazionale (tavola VII).
L’industrializzazione del polipropilene e di altri polimeri quali il polibutene, il
poli-4-metil-pentene e il polistirene ebbe una grande rilevanza nell’operazione di
fusione che portò nel 1965 alla nascita di quel grande colosso della chimica che fu
la Montedison.
"La Montedison nacque nel dicembre del 1965 dalla fusione tra Montecatini, di gran
lunga il maggior gruppo chimico italiano, e Edison, ex grande gruppo elettrico che già
a partire dagli anni cinquanta, ben prima della nazionalizzazione di questa industria,
aveva iniziato una massiccia espansione in altre attività e in particolare nella chimica di
base. La nuova società veniva a dar vita nel panorama nazionale ad un complesso indu-
striale secondo per dimensioni soltanto alla FIAT………. La fusione costituì un avveni-
mento di grande rilievo nell’economia italiana di quegli anni……essa fu il momento
forse più significativo della riorganizzazione del sistema industriale e finanziario"
(tavola VIII) [Rif. 15].

La Montecatini, già prima della seconda guerra mondiale, aveva compreso l’im-
portanza strategica delle resine sintetiche e delle fibre artificiali e di sintesi. Infatti
Guido Donegani, nella sua lettera di commiato ai lavoratori e agli azionisti della
Montecatini, nel 1946, ebbe a scrivere:

39
"Fin dal 1918 avevamo preso accordi col gruppo francese or ora nominato e col
“Comptoir Textiles Artificiels” per la produzione del rayon all’acetato: poi -insieme
all’altro gruppo francese “Rhône Poulenc” – avevamo costituito la società “Rhodiaceta”
con stabilimento e laboratorio a Pallanza …. Questo non fu che il principio della nostra
attività nel campo tessile, a cui abbiamo aperto nuovi orizzonti nel 1938-39 introducen-
do in Italia la produzione del nuovo prodotto il “nylon” risultante dall’apposito procedi-
mento americano della Du Pont de Nemours (si pensi che il nylon è destinato a sop-
piantare tutte le calze di seta artificiale per donne) ……come novità e sviluppo le mate-
rie plastiche e soprattutto le resine sintetiche contraddistinguono il presente dopoguerra
così come l’azoto sintetico ha contraddistinto l’altro dopoguerra. Abbiamo aperto un
campo che è di grande avvenire attraverso la produzione di queste materie: il primo
impianto all’uopo fatto a Castellanza rimonta solo al 1934 e nel 1943, con una organiz-
zazione tecnica in continuo perfezionamento, la produzione relativa aveva già superato
i tre milioni di Kg annui (fra resine fenoliche, ureiche, gliceroftaliche, vipla, rhodoid
ecc.)" [16].

L’Istituto Donegani di Novara, principale polo di ricerca per la chimica indu-


striale che fu, prima della Montecatini e poi della Montedison, e l’importante sta-
bilimento petrolchimico della Montedison di Porto Marghera sono mostrati rispet-
tivamente nelle figure 14 e 15.
Come già precedentemente scritto, nel maggio del 1988 la Montedison e l’Eni fir-
marono una lettera di intenti che avrebbe dovuto portare alla costituzione della
Joint Venture “Enimont”. Questa società, per complesse e delicate vicende politi-
che ed industriali, di fatto non è mai decollata.
La storia dell’industria delle materie plastiche italiana è parte integrante di quel-
la della chimica. E’ una storia che, a partire dalla fine della seconda guerra mon-

Fig. 14: L’Istituto Donegani (Novara) che è stato per molti anni uno dei più importanti poli di ricer-
ca di chimica industriale. Appartenne prima alla Montecatini e poi alla Montedison [Rif. 15-a].

40
Fig. 15: La Petrolchimica in Italia: lo stabilimento di Porto Marghera (Venezia), uno dei più impor-
tanti della Montedison [Rif. 15-a].

diale ad oggi, ha visto luci ed ombre, grandi successi, investimenti rilevanti, non
sempre riusciti, e una serie di importanti processi di acquisizione, cessione e joint
venture.
Particolarmente interessante l’operazione che con grande lungimiranza, nel
1983, portò i vertici della Montedison dell’epoca, Mario Schimberni e Giorgio
Porta, ad acquisire il polipropilene dell’americana Hercules.
Fu costituita l’Himont che divenne la società leader mondiale nel settore.
"Un’acquisizione intelligente perché le due aziende erano perfettamente complementa-
ri, Montedison apportando tecnologie e l’americana capacità di marketing" [17-a].

L’Himont nell’aprile del 1993 si fuse con la Shell formando una nuova società,
la Montell, il cui “Core Business” era rappresentato in buona parte da una vasta
gamma di prodotti facenti capo al polipropilene [17-b].
Il percorso innovativo del polipropilene isotattico, dalla sua scoperta ad oggi,
un’impresa tutta italiana, è stato così delineato da Paolo Galli, Presidente della
“Montell Technology Company”:
"After the discovery of polypropylene, obtained for the TiCl3-based first generation
catalyst, at the Polytechnic of Milan in 1954, nothing revolutionary happened until the
discovery of the active MgCl2-supported high yield Ziegler-Natta catalysts at the Ferrara
Giulio Natta Research Center in 1968. That event was the beginning of the revolution
that brought about the creation of the third and fourth generation catalysts. This repre-
sented a real “breakthrough” for PP technology,. It was possible to design new, versati-

41
le, clean, and economical processes to create a new family of materials, including:
 PCMA (polimeric composite material and alloys).
 Copolymers (random and heterophasic).
 Catalloy (PP-based polyolefin alloys).
 Hivalloy (PP-based engineering plastic alloys)" [14].

La scoperta dei catalizzatori ad alta resa e ad alta selettività (HY/HS) consentì ai


ricercatori della Montedison di sviluppare processi di polimerizzazione altamente
innovativi caratterizzati, rispetto a quelli tradizionali, da una maggiore economi-
cità, ecosostenibilità, versalità e da un migliore controllo dei parametri fisici, chi-
mici e strutturali.
Attraverso questi processi è stato possibile ottenere una vasta gamma di prodotti
“taylor made” sia dal punto di vista molecolare (grado di isotatticità, peso moleco-
lare e distribuzione del peso molecolare, composizione e tipo di alternanza dei
copolimeri) che delle caratteristiche fisico-meccaniche e di lavorazione (tavole IX,
X e XI) [14, 18, 19]. Sono queste le ragioni per cui la produzione e il relativo con-
sumo di polipropilene è continuamente cresciuta sia in Italia che nel mondo [15].
L’evoluzione di questo polimero, sia a livello di prodotto che di processo, relativa-
mente al periodo 1970-1995, è schematicamente illustrata attraverso la figura 16
[14].
Attualmente circa l’80% della produzione globale di polipropilene (~20 milioni
di tonn) viene realizzata sfruttando brevetti, know how e licenze della Montedison
[14].
Dai dati della tavola XII si evince che in Italia (anno 1997) il consumo di poli-
propilene ha raggiunto un valore pari all’incirca ad 1 milione di tonnellate; molto
vicino a quello del polietilene a bassa densità e lineare [20].
Con la scoperta dei catalizzatori omogenei è iniziata una nuova era per la catali-
si stereospecifica del polipropilene [21, 22-a]. Le tappe fondamentali che hanno
portato alla individuazione di questi nuovi catalizzatori sono qui di seguito ricor-
date.
1) Nel 1980 H. Sinu e W. Kaminsky mettono a punto un processo, ad altissima
resa, di polimerizzazione dell’etilene in presenza di una miscela di diclorozircono-
cene e metalluminossano. Lo zirconocene, e in generale i metalloceni, formano una
classe di complessi di metalli di transizione contenenti due legandi ciclopentadie-
nilici [21, 22-a].

2) J. A. Ewen, nel 1984, introduce l’uso di composti metallocenici a ponte, per


assicurare una maggiore rigidità al sistema. Quindi, correlando la simmetria del
catalizzatore con il meccanismo della reazione e la struttura del polimero, progetta
e realizza sistemi catalitici omogenei per polimerizzare il propilene, caratterizzati
da un elevata specificità di tipo isotattica, sindiotattica ed hemiisotattica (figure 17
e 18).

A. D. Norton, nel suo articolo “Metallocene Catalysis: Polymers by design?”,

42
Fig. 16: L’evoluzione dei prodotti ottenibili dal polipropilene relativamente al periodo 1970-1995
[Rif. 14].

così illustrava le potenzialità di questi nuovi processi:


"Highly active uniform site polimerization catalyst ..... afford a wide range of poly(ole-
fin) with controlled molecular weight and stereo-and regiostructures. ........ Facile con-
trol of polymer properties by catalyst tuning allows a wide range of polymers to be for-
med: isotactic, syndiotactic, atactic and other stereoforms of polypropylene dependent
on the catalyst symmetry; random copolymers; and syndiotactic polystyrene.
....(....)................Over the past 40 years the production of thermoplastics, such as linear
low density and high density polyethylene (LLDPE and HDPE, respectively) and poly-
propylene (PP), using heterogeneous transition metal catalysts has become a giant indu-
stry. The start-up by Exxon in 1991 of the first demonstration plant using a new genera-
tion of metallocene catalysts may represent the beginning of a revolution in the plastics

43
industry" [22-a].

Esempi di correlazione tra la struttura molecolare del complesso metallocenico e


microstruttura del polimero, nel caso della reazione di omopolimerizzazione del
polipropilene, sono mostrati nella figura 19 [22-b].

Fig. 17: Esempi di strutture molecolari legandi usati per la catalisi metallocenica del polipropilene:
a) catalizzatori isospecifici; b) catalizzatori sindiospecifici; c) catalizzatori hemiisospecifici [Rif.
21].

Fig. 18: Nuovi “uniform-site pro-catalysts” usati per la polimerizzazione stereospecifica delle ole-
fine (M=Zr, Hf oppure Ti; X=Cl oppure Metile) [Rif. 22-a].

I polimeri ottenuti mediante l’ausilio dei catalizzatori metallocenici mostrano


caratteristiche particolarmente innovative rispetto a quelle degli stessi prodotti sin-
tetizzati con i più tradizionali catalizzatori Ziegler-Natta. In particolare, e facendo
riferimento all’insieme dei grafici riportati nelle figure 20 e 21, si ricava che i pro-

44
dotti metallocenici:
"presentano un campo di caratteristiche –in particolare struttura e densità– molto più
largo di quello degli stessi polimeri ottenuti con altri tipi di catalisi.Permettono quindi di
essere utilizzati in applicazioni diverse da quelle tradizionali rispetto ai quali presenta-
no anche proprietà meccaniche e ottiche spesso migliori" [23-a].

Fig. 19: Correlazione tra la struttura molecolare del complesso metallocenico e microstruttura del
polipropilene [Rif. 22-b].

Circa l’industrializzazione e la commercializzazione delle poliolefine, ottenute


mediante tecnologie metalloceniche, D. Cornforth, ha scritto:
"…il 1997 ha visto il vero inizio dell’attività europea con varie novità riguardanti le
capacità produttive di tali materiali. Attualmente il polietilene è in uno stato più avanza-
to del polipropilene.
I metalloceni saranno utilizzati selettivamente in quelle aree in cui forniscano nuovi
polimeri di caratteristiche utili e valore aggiunto sia per il produttore sia per il trasfor-
matore. L’annuncio della disponibilità di prodotti senza la restrizione delle caratteristi-
che di difficile lavorazione dovrebbe aiutare a velocizzare questo processo …… entro il
2004 i metalloceni faranno parte stabilmente della scena poliolefinica" [23-b].

Come si evince dai dati della tabella 4, dove è riportata la cronologia della com-
mercializzazione delle principali materie plastiche (fino al 1965) il polipropilene è
l’unica plastica che è stata scoperta, industrializzata e commercializzata da una
impresa italiana e al cui scopritore fu conferito il premio Nobel per la Chimica [23-
c].

45
Fig. 20a
Fig. 20b

Fig. 20: Confronto tra il comportamento e le proprietà di campioni di polipropilene ottenuti con
catalizzatori metallocenici (“PP achieve” in figura) e di tipo Ziegler-Natta (“PP convenzionale” in
figura): a) distribuzione dei pesi molecolari; b) curve calorimetriche [Rif. 23-a].

46
Fig. 21a
Fig.21b

Fig. 21: Caratteristiche meccaniche a confronto tra campioni di polietilene ottenuti con catalizza-
tori metallocenici e Ziegler-Natta (Z-N):
a) tensione a rottura in funzione del grado (Melt Flow Index);
b) tensione a rottura in funzione della densità;

47
Fig. 21c: modulo elastico in funzione della densità [Rif. 23-a].

Purtroppo nel 1997, in un silenzio quasi totale sia da parte del mondo politico che
da quello industriale e scientifico, la Montedison ha venduto alla Shell le quote di
partecipazione che aveva nella Montell, la joint venture nell’ambito della quale
erano confluite tutte le realtà industriali, di ricerca e di produzione concernenti il
polipropilene.
Questa vicenda in un articolo dal titolo emblematico “Polipropilene addio” è stata
così commentata da Ferruccio Trifirò:
"……Non voglio discutere l’opportunità e la convenienza per il Paese di questa vendi-
ta ……però mi permetto di scrivere che con questa vendita è finita un’epoca. Il passag-
gio della tecnologia del polipropilene a industrie straniere suggella la fine di un’epoca
che era iniziata subito dopo la fine della seconda guerra mondiale ed ha avuto il massi-
mo del fulgore agli inizi degli anni sessanta, quando il paese era pieno di fulgori inno-
vativi ……E’ finita un’epoca che era iniziata con qualche decina di ricercatori
Montecatini che lavoravano insieme a docenti e studenti al Politecnico di Milano e con
un loro professore che ricevette il Premio Nobel per la chimica" [23-d].

Sempre in questo articolo venivano elencati altri casi, giudicati fortemente nega-
tivi, di tecnologie sviluppate in Italia e vendute successivamente all’estero (quelle
del polimetilmetacrilato, dei policarbonati, del silicio, della produzione della tita-
niosilicalite e della sua applicazione) insieme a quelle di importanti realtà produt-
tive e di ricerca nel settore della chimica (la Lepetit, la Farmitalia, il centro di pre-
parazione di catalizzatori EniChem di Sesto San Giovanni (MI) e di quello della
Montecatini di Novara).
Con l’uscita della Montedison dal core business del polipropilene e con la vendi-

48
Tabella 4
Cronologia della commercializzazione delle principali plastiche, industria
produttrice e relativo paese [21]

Anno Materiale Industria Paese


1870 Nitrato di cellulosa Albany Dental Plate Stati Uniti
1889 Galalite Germania
1905 Acetato di cellulosa Bayer Germania
1909 Fenoplastiche General Bakelite
1915 Cellulosa Rigenerata La Chellophane Francia
1926 Resine Alchidiche General Electric Stati Uniti
1927 Polimetacrilato di Metile Rohm & Hass Germania
1928 Amminoplastiche Stati Uniti
1930 Polistirene I.G. Farben Germania
1931 Policloruro di vinile I.G. Farben Germania
1937 Polietilene a bassa densità ICI Gran Bretagna
1940 Policloruro di vinilidene Dow Stati Uniti
1941 Poliammide 6 Du Pont de Nemours Stati Uniti
1941 Silicone General Electric Stati Uniti
1942 Poliesteri Pittsburg Stati Uniti
1943 Fluoroplastiche Stati Uniti
1946 ABS Stati Uniti
1946 Poliammide 11 Orgànica Francia
1947 Resine epossidiche Ciba Svizzera
1950 Poliuretani Bayer Germania
1951 Polistirene espanso Basf Germania
1953 Resine acetaliche Du Pont de Nemours Stati Uniti
1955 Polietilene ad alta densità Hoechst Germania
1957 Polipropilene Montecatini Italia
1957 Policarbonati Bayer Germania
1964 Polifenilene General Electric Stati Uniti
1964 Poliammidi Du Pont de Nemours Stati Uniti
1965 Polisolfoni Union Carbide Stati Uniti
1965 Polimetilpentene ICI Gran Bretagna
1965 Ionomeri Du Pont de Nemours Stati Uniti

ta e dismissioni di una serie di altre attività nel settore della chimica e in particola-
re nel campo dell’industria dei polimeri le realtà produttive capaci di competere a
livello internazionale che restano attive in Italia si riducono alle seguenti:
 L’EniChem con una forte presenza nella petrolchimica, nella chimica
di base, nei polimeri stirenici e negli elastomeri.
 La SNIA con il nylon.
 La CAFFARO con la chimica del cloro.
 L’AUSIMONT con la chimica del fluoro e l’ANTIBIOTIC rimaste nel-
l’ambito della Montedison.
 La MAPEI con il suo Vinavil e altri formulati per l’edilizia.

Da questa lista traspare che la chimica italiana, intesa come industria di produ-
zione, è attualmente in una fase di lento ma forse inesorabile declino.

49
A questo proposito Tririfò scrive ancora :
"……occorre che il Paese sappia riconoscere quali siano le traiettorie culturali, i centri
di ricerca irrinunciabili per il suo futuro. E’ da anni che si vendono e si chiudono pro-
duzioni e centri di ricerca, per sanare definitivamente bilanci……. A chi salterebbe in
mente di vendere la Pietà di Michelangelo o la Battaglia di San Romano di Paolo
Vecello?……
Vecchio polipropilene isotattico e cara polimerizzazione stereospecifica delle alfaolefi-
ne, dei miei primi passi nella chimica ……addio" [23-d].

L’avventura del polipropilene non sembra essere ancora conclusa, infatti nel
novembre del 1999 la Basf e la Shell in un loro comunicato congiunto hanno reso
noto che intendono unire i gruppi industriali Elenac, Targor e Montell per dare vita
ad una delle più grandi imprese nel settore delle poliolefine. Questa nuova società,
che dovrebbe avere la sede principale in Olanda, diventerebbe la maggiore produt-
trice al mondo di polipropilene e la quarta di polietilene con un fatturato che si
dovrebbe aggirare intorno ai dieci miliardi di marchi.
L’importanza di questa iniziativa si evince analizzando le caratteristiche delle
aziende che vi parteciperanno.
Fondata nel 1998, Elenac è il secondo maggior produttore di polietilene in
Europa, con siti produttivi per un capacità globale di circa 2 milioni di tonnellate
all’anno in Germania, Francia, Gran Bretagna e Spagna. La società TARGOR, nata
nel 1997 come joint venture paritetica fra Basf e Hoechst, conta siti produttivi in
Germania, Francia, Gran Bretagna, Spagna e Olanda; la capacità complessiva è di
1,4 milioni di tonnellate all’anno di polipropilene.
La Montell, di cui si è già scritto, occupa una posizione leader a livello mondia-
le nella produzione di PP, di poliolefine e prodotti simili realizzati in 30 siti nei cin-
que continenti. Produce annualmente 4 milioni di tonnellate di PP, 270.000 tonnel-
late di compound e 220.000 tonnellate di PE, alle quali vanno aggiunte 350.000
tonnellate di PP realizzate con il processo Catalloy [24].

50
TAVOLA VII

a)

b)

51
TAVOLA VII

c)
d)

Tavola VII: La Montecatini illustra alcune delle applicazioni del nuovo polimero, il polipropilene
(nome commerciale “Moplen”) da poco immesso sul mercato delle materie plastiche (le fotografie
sono infatti del 1958, appena un anno dopo l’avvio della produzione presso lo stabilimento di
Ferrara):
a) tubazioni;
b) lastre per formatura sottovuoto;
c) articoli sanitari sterilizzabili;
d) manufatti per l’elettronica [Rif. 8-d].

52
TAVOLA VIII

Tavola VIII: Lo storico "Palazzo Montedison" in foro Bonaparte a Milano [Rif. 15].

53
TAVOLA IX

Tavola IX: Impianto per la produzione del polipropilene secondo il processo


“Spheripol” messo a punto presso il Centro di Ricerche G. Natta di Ferrara dai
ricercatori dell’Himont. Questo processo utilizza catalizzatori “High Yield” e “High
Selective” (HY/HS) [Rif. 18].

54
TAVOLA X

Tavola X: “Investment Comparison” tra i processi Low Yield e quelli Spheripol relativi alla
polimerizzazione del polipropilene [Rif. 18].
TAVOLA XI

Tavola XI: Versatilità dei nuovi processi Himont per la polimerizzazione del polipropilene in ter-
mini di caratteristiche dei prodotti [Rif. 19].

55
TAVOLA XII

Tavola XII: Mercato italiano delle plastiche (anno 1997) [Rif. 20].

56
Capitolo 5: Gli elastomeri sintetizzati
dall’uomo. Nasce l’industria della
gomma sintetica.

5.1) Gli eventi che hanno portato alla scoperta delle gomme sintetiche

Le prime ricerche, finalizzate alla messa a punto di una gomma sintetica,


iniziarono non appena furono noti alcuni elementi sulla struttura chimica della
gomma naturale.
Nel 1826 Faraday aveva proposto per la gomma naturale una costituzione idro-
carburica attribuendole la formula empirica C5 H8. Questa formula fu confermata
successivamente dal tedesco Himly. Intorno al 1860 Greville Williams riuscì ad
individuare nell’isoprene (CH2=CH-C(CH3)=CH2) il costituente principale del dis-
tillato volatile della gomma chiamato “faradiene”. Questa scoperta indusse molti
ricercatori, tra i quali lo stesso Williams, ad avviare ricerche con l’obiettivo di
trasformare l’isoprene ed in generale le diolefine coniugate, in prodotti con carat-
teristiche simili a quelle della gomma naturale. E’ in questo contesto che il chimi-
co Kondarow dimostrò di essere riuscito ad ottenere un prodotto gommoso a par-
tire dal dimetilbutadiene.
La prima scoperta importante e decisiva, che aprì la strada alla gomma sintetica,
la si deve a Lebedev, il quale intorno al 1909-1910, mise a punto un processo chi-
mico che permetteva di “polimerizzare” l’1,3 butadiene (CH2=CH-CH=CH2).
Il primo brevetto sul processo di polimerizzazione “termica” dell’isoprene, del
butadiene e di altre diolefine coniugate fu depositato nel 1909 [25-a].
Nel 1912 e nel 1914 la Bayer depositò due brevetti, di grande rilevanza, sulla
polimerizzazione, in presenza di sodio, rispettivamente del butadiene e dell’iso-
prene. La produzione industriale del polibutadiene fu avviata, dalla stessa Bayer,
nel 1912, presso lo stabilimento di Eberfeld. Il primo pneumatico, realizzato in
gomma sintetica (polibutadienica), fu presentato dalla Bayer al Congresso
Internazionale di Chimica che si tenne a New York nel 1912 [25-a].
La fotografia (anno 1912), riprodotta nella figura 22-a, mostra l’imperatore di
Germania Wilhelm (in pastrano bianco) mentre osserva, insieme ai suoi aiutanti di
campo, una autovettura le cui ruote montano, per la prima volta, pneumatici fab-
bricati utilizzando gomma sintetica prodotta dalla Bayer [25-b].
Nel corso della prima guerra mondiale, la Germania, che risentiva fortemente
della difficoltà di reperire sul mercato quantitativi di gomma naturale idonei a sod-

57
disfare i propri sforzi bellici, promosse una intensa attività di ricerca e sviluppo
che portò alla industrializzazione della gomma sintetica denominata “Methyl rub-
ber”. Questo materiale veniva ottenuto dalla polimerizzazione, in presenza di
sodio, del 2,3 dimetil butadiene, un monomero che si ricavava a partire dall’ace-
tone, attraverso una prima reazione di idrogenazione a pinacone e successiva dei-
drazione secondo lo schema qui di seguito riportato:

+ H2 H2O
2CH 3 CO CH3 (CH 3)2 COH COH (CH 3)2
ACETONE P INACONE

CH2=C(CH3) C(CH3)=CH 2
DIMETIL BUTADIENE

Durante la guerra vennero prodotte in Germania circa 2.300 tonnellate di que-


sto tipo di gomma sintetica.
"Ma questa “methyl rubber” costituiva una “ersatz” così scadente che, nella stessa
Germania, cessate le limitazioni imposte dagli eventi bellici, sia l’industria chimica sia
quella manifatturiera ritennero provvisoriamente chiusa la partita con la gomma sinteti-
ca" [25-a].

Il problema di trovare un sostituto sintetico alla gomma naturale emerse con pre-
potenza allorquando:
"The low post-world war I price of natural rubber not only also made synthetic rubber
uneconomic but also threatened to bankrupt the Malayan industry. To avert this possi-
bility, the British government introduced a schema to restrict the export of Malayan rub-
ber in order to force up the price of natural rubber. The American and German rubber
companies enraged to be at the mercy of British colonial authorities, encouraged resear-
ch into ways of reducing theyr dependence on Malayan rubber " [26].

Un prodotto, il policloroprene, con caratteristiche che si avvicinavano a quelle


della gomma naturale, fu ottenuto in laboratorio, presso l’Università di Notre
Dame, da Padre Julius A. Nieuwland (1878-1936, figura 22-b).
Il procedimento seguito da Nieuwland, ripreso e perfezionato da Carothers,
portò, successivamente, allo sviluppo e all’industrializzazione, da parte della Du
Pont, di questa gomma che fu commercializzata come “neoprene”.
"Du Pont’s neoprene was an outgrowth of research on the reactions of acetylene carried
out … by Julius A. Nieuwland …. Father Nieuwland passed acetylene through a solu-
tion of copper chloride and ammonium chloride to obtain a mixture of polymers in
which divinylacetylene, a yellow oil, was predominant. This polymerized further to
yield a poor rubber. Carothers further explored the polymerization of acetylene.
Divinylacetylene proved unsatisfactory for rubber production but was developed into a
synthetic drying oil which gave a hard resinous finish. Even more important, the du Pont
group found that another polymerization product of acetone, monovinylacetylene, might
be treated with hydrogen chloride to give chloroprene, an excellent monomer for synthe-
tic rubber. Neoprene rubber proved to be superior to natural rubber in its resistance to
sunlight, oxidation, and the attack of many chemicals" [Rif. 27-a].

58
Fig. 22-a
Fig. 22-b

Fig. 22:
a) L’imperatore di Germania Wilhelm mentre osserva
la prima autovettura con pneumatici fabbricati utiliz-
zando la gomma sintetica prodotta dalla Bayer nel
1912 (archivio – Bayer) [Rif. 25-b].
b) Julius A. Nieuwland scoprì la gomma sintetica,
nota come “neoprene”, sviluppata successivamente
dalla Du Pont [Rif. 27].

La gomma Neoprene, che entrò in commercio nel 1933, ha una struttura moleco-
lare che si diversifica da quella della gomma naturale per il fatto che il cloro sosti-
tuisce il gruppo metile. Il processo di sintesi, basato sulla polimerizzazione del clo-
robutadiene, fu ottimizzato da Arnold Collins, un ricercatore che faceva parte del
“team” di Carothers, presso i laboratori della Dupont a Deepwater nel New Jersey.

59
Nel periodo che va dal 1929 al 1930, presso la I. G. Farben, una delle più impor-
tanti industrie chimiche tedesche dell’epoca, furono messi a punto due importanti
processi finalizzati alla produzione di gomme sintetiche i quali sfruttavano la pos-
sibilità di copolimerizzare, in maniera controllata, il butadiene con lo stirene oppu-
re con l’acrilonitrile (i copolimeri che si ottenevano, di tipo “random”, contenenti
all’incirca il 25% di stirene avevano eccellenti proprietà elastomeriche).
Come iniziatore della reazione di polimerizzazione del polibutadiene venne usato
il sodio, per questa ragione i prodotti vennero denominati gomme Buna (butadie-
ne+Na, simbolo del sodio), e commercializzati come BUNA-S e come BUNA-N a
seconda che il comonomero usato fosse rispettivamente lo stirene oppure l’acrilo-
nitrile.
Lo sviluppo e la industrializzazione delle gomme Buna sono stati così descritti da
A. J. Ihde:
"The buna-type rubbers were first developed through research at I.G. Farben. Butadiene
is the principal monomer for this type of rubber, but, as was learned early in the 1900’s,
butadiene does not polymerize to form a good rubber. By polimerization with a copoly-
mer such as styrene or acrylonitrile a satisfactory rubber was obtained. The name was
derived from butadiene and natrium, sodium being used as a polymerization catalyst.
Buna-S, using styrene, and Buna-N, using acrylonitrile, became the principal synthetic
rubbers during World War II both in Germany and in the British-United States, althou-
gh other types of synthetic rubber were developed, for example, butyl rubber from iso-
butene and Thiokol from ethylene dichloride and sodium polysulfide" [26-a].

Nel 1936, anno in cui fu messo a punto il processo BUNA-S, i ricercatori ed i tec-
nici della I.G. costruirono, utilizzando questa nuova gomma, pneumatici che mon-
tati su auto dell’epoca vennero esposti al salone dell’automobile di Berlino.
Tra il 1940 e il 1943 la I. G. Farben avviò in Germania tre grandi stabilimenti per
la produzione della gomma Buna-S [26].
Le gomme Buna, per la loro “Oil-Resistance”, trovarono utilizzo nella produzio-
ne di condutture e rivestimenti interni di serbatoi per gas e in molte altre applica-
zioni per le quali la gomma naturale non era idonea, a causa della sua solubilità in
solventi quali la benzina per auto, petrolio e benzene.
Pertanto le gomme Buna-S e Buna-N possono essere considerate delle “special-
ties” poiché non imitarono e sostituirono, almeno per le tipologie di applicazione
come quelle summenzionate, la gomma naturale.
Il primo elastomero di natura prevalentemente poliolefinica (la gomma butilica)
fu scoperto nel 1937 da M. Thomas e William J. Sparks (figura 23-a), della
“Standard Oil Co.”, trasformatasi successivamente nella “Exxon Corporation”,
(New Jersey-USA).
Questi due ricercatori riuscirono a rendere vulcanizzabile il poliisobutilene, un
omopolimero, le cui modalità di sintesi erano state individuate dal tedesco M. Otto,
della I.G. Farben, intorno alla fine del 1920 [27-b].
"This was the situation the last weekend of July 1937, when Thomas and Sparks had
come to their laboratories to discuss and try to overcome the main shortcoming of polyi-

60
sobutylene through the incorporation of a diolefin, which would provide some unsatu-
ration and thus make the polymer vulcanizable. Their first experiments …. Did indicate
that copolymerisation had taken place….. It was also discovered that isoprene is a bet-
ter comonomer than butadiene. Thus a method for isolating this monomer from refinery
streams had to be developed" [Rif. 27-b].

La produzione su scala industriale della gomma butilica, la cui struttura moleco-


lare è confrontata con quella della gomma naturale in figura 23-b, iniziò nel 1943
presso gli stabilimenti di Baton Rouge e di Los Angeles (USA) e di Sarnia
(Ontario-Canada), sfruttando le tecnologie messe a punto dalla Standard Oil Co..
La gomma butilica per la sua particolare bassa permeabilità ai gas trovò imme-
diato utilizzo nella produzione di camere d’aria per pneumatici [25, 27].
Un impulso formidabile alla scoperta di nuove gomme sintetiche e al migliora-
mento dei processi di ottenimento sia dei monomeri che dei polimeri si ebbe allor-
quando i giapponesi, dopo l’attacco di Pearl Harbor, nel 1941, occuparono le regio-
ni dove si produceva la gomma naturale bloccandone così l’esportazione verso i
paesi belligeranti - nemici (in particolare Stati Uniti ed Inghilterra).
Vista la gravità della situazione e la rilevanza strategica della gomma per l’indu-
stria bellica, il Presidente americano Roosvelt, nel dicembre 1942, istituì il
“Comitato per la Gomma” con l’obiettivo di rendere il paese autosufficiente.
Il programma, che poté contare sulla collaborazione dei più grandi scienziati e
ricercatori accademici ed industriali dell’epoca (Marvell, Tobolsky, Debye, Flory,
Taylor, Harkins, Kolthoff e molti altri) e su di un massiccio finanziamento (~700
milioni di dollari), portò alla creazione di 51 nuovi impianti di produzione di mono-
meri e gomma del tipo butadiene-stirene (gomma SB). In pochi mesi la produzio-
ne di gomma sintetica in USA, passò da circa 3.700 al 760.000 tonnellate nel 1945.
"The synthetic rubber project was a Key element in the enormous expansion in the size
and scope of American polymer science after world War II " [26].

Nel 1965 la Schell, sfruttando la tecnica della polimerizzazione anionica, svilup-


pò e commercializzò una nuova classe di copolimeri a blocchi del tipo stirene-buta-
diene-stirene (SBS) e stirene-isoprene-stirene (SIS). Questi prodotti per le loro
peculiari proprietà furono definiti “Elastomeri Termoplastici”. Essi infatti presen-
tano una morfologia caratterizzata da una fase continua elastomerica (soft) di natu-
ra polibutadienica con una temperatura di transizione vetrosa (Tg) bassa (~ -90°) e
da una fase dispersa (hard) costituita prevalentemente dall’aggregazione dei seg-
menti polistirenici aventi una Tg relativamente alta (~ + 90°) (figura 24).
La fase vetrosa, per temperature al di sotto della Tg del polistirene, forma dei reti-
coli fisici “termolabili”. A queste temperature il materiale si comporta come un ela-
stomero. A temperature più elevate le macromolecole sono libere di fluire, pertan-
to questi copolimeri possono essere lavorati con le stesse tecnologie usate per i
polimeri termoplastici senza la necessità di dover sottostare a costosi processi di
vulcanizzazione ed indurimento [28].
Nei copolimeri a blocchi del tipo stirene-butadiene (di-blocchi) e stirene-buta-

61
Fig. 23-a

Fig. 23:
a) Robert M. Thomas
e William J. Sparks
inventori delle gomma
butilica (un copolimero
tra l’isobutilene e l’iso-
prene).
b) Confronto tra la
struttura molecolare
della gomma butilica e
della gomma naturale
[Rif. 27-b].

Fig. 23-b

62
Fig. 24: Morfologia e struttura delle fasi nei copolimeri a blocchi polistirene-elastomero-poli-
stirene.

diene-stirene (tri-blocchi) la strutturazione delle fasi, nello stato condensato, e la


morfologia globale dipendono fortemente dalla composizione:
"These different structures are related to the morphological set-up of the block copoly-
mers used. Block copolymers exhibit crystallike domains arrays whose structures
depends on their composition" (figure 25 e 26) [29].

Queste peculiarità strutturali e morfologiche sono di grande rilevanza poiché


determinano di fatto le proprietà e le caratteristiche applicative di questi materiali.
Va ricordato infine che altri due tipi di prodotti elastomerici erano stati messi in
commercio negli anni che hanno fatto seguito alla fine della seconda guerra mon-
diale: gli elastomeri al silicone scoperti in USA nel 1944 e gli elastomeri poliure-
tanici sviluppati in Germania.

63
Fig. 25: Evoluzione della struttura delle fasi e della morfologia in un copolimero a due blocchi sti-
rene-butadiene (SB) in funzione della composizione (nella figura andando da sinistra verso destra
aumenta il contenuto in stirene) [Rif. 29].

Fig. 26: Variazione della struttura delle fasi, in funzione della composizione, nel caso di un copo-
limero a tre blocchi del tipo stirene-butadiene-stirene (nella figura la concentrazione di butadiene
aumenta da sinistra a destra) [Rif. 29].

64
5.2) Lo sviluppo dell’industria della gomma sintetica in Italia

Attività, orientate allo sviluppo di processi industriali per la produzione di


gomma sintetica, furono avviate, in Italia, intorno al 1937 con la costituzione
dell’Istituto per lo studio della gomma sintetica, con sede presso lo stabilimento
della Pirelli-Bicocca (finanziato principalmente dallo Stato attraverso l’I.R.I.). La
Pirelli partecipava all’iniziativa con il compito prioritario di “qualificare la risponden-
za dei prodotti alle esigenze della Divisione Pneumatici” [25].
Inizialmente le ricerche riguardarono una serie relativamente ampia di argomen-
ti quali: la sintesi del butadiene e dello stirene, la polimerizzazione del butadiene
con sodio, la copolimerizzazione radicalica di stirene e butadiene.
Durante questa prima fase fu messo a punto il processo di ottenimento del buta-
diene a partire dall’etanolo. Nel 1939 fu costituita la Società Anonima Industria
Gomma Sintetica (S.A.I.G.S.) con capitale sociale sottoscritto al 50% dall’I.R.I. e
al 50% dalla Pirelli. Il vertice di questa nuova società decise la costruzione di due
stabilimenti produttivi a Ferrara e a Terni. In particolare quello di Ferrara, costru-
ito dal 1940 al 1942, con una capacità di 8000 tonn/a, fu localizzato in una zona
dedita alla coltivazione della barbabietola, fonte primaria di zucchero dalla cui fer-
mentazione alcolica si ricavava l’etanolo. In meno di due anni (dall’aprile del 1942
all’agosto del 1944) furono prodotte circa 13.000 tonnellate di gomma sintetica del
tipo butadiene-stirene, utilizzando il processo messo a punto in Germania dalla I.G.
Farben Industrie. I monomeri, butadiene e stirene, venivano ottenuti rispettiva-
mente dall’alcool e per alchilazione del benzene con etilene.
La produzione di gomme butadiene–stirene nello stabilimento di Ferrara cessò
quando, per effetto degli eventi bellici, si esaurirono le scorte di etanolo.
L’altro stabilimento, la cui costruzione iniziò nel 1941, fu ubicato a Terni per
sfruttare la vicinanza di una grande fabbrica di carburo di calcio e per la notevole
disponibilità di energia, carbone, acqua e mano d’opera. Il butadiene veniva ottenu-
to utilizzando il processo detto “a quattro stadi” sviluppato sempre dalla I.G.
Farben Industrie [25-a]. Dopo l’otto settembre del 1943, quando lo stabilimento
non era ancora stato completato, i tedeschi requisirono i macchinari inviandoli in
Germania.
Finita la guerra (periodo 1947-49) alcuni tecnici della S.A.I.G.S. ritrovarono gran
parte delle apparecchiature a Ludwigshafen e le riportarono in Italia, dove vennero
acquistate dalla Montecatini che nel 1949 aveva rilevato la S.A.I.G.S..
Giulio Natta partecipò attivamente agli sforzi di ricerca sviluppati per supportare
la realizzazione di una industria della gomma sintetica in Italia:
"L’esperienza acquisita nel campo dell’industria chimica indusse gli Enti Statali ed
Industriali ad affidarmi nel 1938 le ricerche e l’impostazione dei procedimenti per la
produzione di gomma sintetica in Italia.
Esse portarono alla prima grande realizzazione industriale italiana di copolimeri buta-
diene-stirolo a Ferrara, che applicò per la prima volta un procedimento puramente fisi-
co (adsorbimento frazionato) per la separazione butadiene-butene-1" [Rif. 30].

65
G. Pagano, nel suo già citato scritto, ha illustrato le vicissitudini, che dopo la fine
della seconda guerra mondiale, portarono allo sviluppo di una importante e com-
petitiva industria della gomma sintetica in Italia.
"Conclusa la vicenda S.A.I.G.S. … sembrava definitivamente tramontata la possibilità
di riprendere in Italia una produzione industriale di gomma sintetica; …. Ma fortunata-
mente, agli inizi degli anni cinquanta, intervennero nuovi fattori …… In primo luogo
l’ANIC [Azienda Nazionale Idrogenazione Combustibili, fondata nel 1936 come società
di raffinazione, cui fu demandato inizialmente il compito della lavorazione di grezzi
pesanti come quello albanese] a seguito della vendita di metà delle raffinerie di Bari,
Livorno alla Esso, acquisì i mezzi finanziari che intendeva investire anche in nuove ini-
ziative industriali, consulente della società …… fu designato il Dott. Grottanelli, ….
Che sostenne …. La convenienza per la nostra industria chimica di riprendere l’iniziati-
va per la produzione di gomma sintetica …" [25-a].

Nel 1953 il pacchetto di maggioranza dell’ANIC, detenuto dal Demanio fu con-


ferito al costituendo Ente Nazionale Idrocarburi (ENI) alla cui presidenza fu
chiamato Enrico Mattei.
"L’intuito imprenditoriale del presidente dell’ENI percepì immediatamente le implica-
zioni strategiche dell’ingresso dell’ANIC nella petrolchimica da metano e nella scelta di
una produzione industriale, come quelle delle gomme, …. " [25-a].

Nel 1955 furono stipulati accordi strategici con la Union Carbide, con la Phillips
Petroleum e con la Brown and Root rispettivamente per la produzione di acetilene,
butadiene e per l’ingegneria dei processi.
"L’entusiasmo e l’impegno che animarono il frenetico lavoro dei successivi due anni
consentirono di inserire nel “miracolo” italiano degli anni cinquanta il record della pro-
duzione di gomma sintetica “fredda” in Europa" [25-a].

L’avvio nel 1957 della produzione di gomma stirene-butadiene presso gli stabil-
imenti ANIC di Ravenna rappresentò un evento di grande rilevanza per la chimica
del nostro paese: nasceva l’industria della gomma sintetica italiana.
E’ interessante ricordare e sottolineare come, nello stesso anno, la Montecatini
avviava a Ferrara la prima produzione di polipropilene isotattico.
Nel 1961 l’ANIC, prima in Europa, consolidava il suo primato dando inizio alla
produzione del polibutadiene cis in un impianto la cui capacità inizialmente pari a
10.000 tonn/a era salita a 45.000 tonn/a nel 1987. Sempre a Ravenna all’inizio
degli anni ‘70 l’ANIC realizzava un impianto di produzione di isoprene e di poli-
isoprene (230.000 tonn/a) basato su tecnologie sviluppate in casa e questo sia per
quanto riguardava l’ottenimento del monomero che del polimero.
Al primo impianto per la produzione di gomme stirene-butadiene (SBR) in emul-
sione che entrò in funzione nel 1957 a Ravenna e che aveva una capacità di 30.000
tonn/a se ne aggiunsero ben presto altri; nel 1987 la capacità produttiva di SBR
superava le 400.000 tonn/a. La gomma stirene-butadiene prodotta a Ravenna venne
commercializzata con il nome di “Europrene” [25-a].
Nel 1983 fu costituita la società EniChemElastomeri (divenuta operativa nel

66
1984) attraverso la fusione di diverse realtà industriali compresa la Divisione
Gomma dell’ANIC accentrata a Ravenna, che nel 1982 era stata trasferita
all’Enoxy. Con la costituzione di EniChem Elastomeri si intese provvedere ad una
razionalizzazione dell’industria della gomma sintetica italiana con l’obiettivo pri-
mario di realizzare un maggiore equilibrio tra domanda e capacità di produzione.
Intorno alla fine degli anni ottanta il gruppo EniChemElastomeri produceva le
seguenti famiglie di gomme:
- stirene-butadiene (in emulsione);
- stirene-butadiene (in soluzione, tipi random e a blocchi parziali e HS);
- polibutadiene ad altissimo, alto e basso cis, a medio e alto vinile;
- gomme termoplastiche, a base SBS e SIS;
- gomme nitriliche;
- gomme acriliche.
Con una capacità produttiva complessiva che nel 1987 si aggirava intorno alle
800.000 tonn/a [31].

67
5.3) Il contributo di Natta e collaboratori allo sviluppo delle gomme sinte-
tiche in Italia.

Natta e i suoi collaboratori, oltre alla messa a punto di processi finalizzati alla sin-
tesi di polimeri ad elevato grado di cristallinità, quali ad esempio il polipropilene,
il polibutene e il polistirene isotattico, polimeri che per le loro caratteristiche tro-
varono utilizzo nel campo dei materiali termoplastici e delle fibre, si dedicarono
anche allo sviluppo di nuovi elastomeri sintetici seguendo due diverse direttrici:
1) la polimerizzazione stericamente controllata delle diolefine;
2) la sintesi di polimeri e copolimeri lineari delle olefine aventi pesi molecolari
molto elevati e buona resa elastica [32].

In relazione al punto 1) G. Natta, in un suo scritto, così ricordava l’avvio della


ricerca sui nuovi stereoisomeri delle polidiolefine:
"...... nel 1953 avevamo iniziato lo studio della polimerizzazione delle diolefine ………
All’inizio del 1954, ..., usando catalizzatori contenenti metalli di transizione, riuscimmo
a polimerizzare le diolefine in polimeri aventi prevalentemente concatenamento 14.
Siccome l’isoprene non era disponibile in Europa e dovevamo prepararlo e purificarlo
noi stessi, abbiamo concentrato le nostre ricerche principalmente sul butadiene.
Un’accurata indagine sul possibile meccanismo dei nuovi processi di polimerizzazione
portò alla scoperta di sistemi catalitici diversi, che ci posero in grado di ottenere seletti-
vamente non solo polimeri aventi sostanzialmente concatenamento 14 o concatena-
mento 12, bensì di raggiungere un alto grado di stereospecificità nelle reazioni di poli-
merizzazione.
Infatti siamo riusciti a sintetizzare diversi stereoisomeri del polibutadiene con struttura
lineare, quattro dei quali presentano una diversa struttura cristallina e un’alta cristalli-
nità" [32].

La caratterizzazione fisico-meccanica di questi polimeri evidenziò che:


i) gli stereoisomeri puri, con punto di fusione elevato, si comportavano da ela-
stomeri, a temperatura ambiente, solo se a basso grado di cristallinità;
ii) i prodotti 14 (cis e trans) presentavano eccellente resa elastica allo stato
amorfo;
iii) i polimeri 12 amorfi denotavano una resa elastica minore di quella dei poli-
meri 14 amorfi a causa della minore flessibilità della catena principale satura;
iv) la resa elastica del polibutadiene 14 cis risultava molto vicina a quella del
poliisoprene 14 cis [32].

G. Natta, nel testo della Conferenza “Basic italian research on new synthetic ela-
stomers” (Londra 26 Marzo 1957), a proposito delle gomme sature di tipo poliole-
finico, scriveva:
"Già durante le nostre ricerche sulla polimerizzazione delle alfa-olefine con i nuovi pro-
cessi anionici all’inizio del 1954, abbiamo trovato che la stereospecificità e l’attività del
catalizzatore sono due proprietà indipendenti e che è possibile, usando alcuni tipi di
catalizzatori, ottenere polimeri cristallini (isotattici), mentre con altri si ottengono poli-

68
meri amorfi (atattici).
Abbiamo altresì trovato che i suddetti polimeri atattici differiscono enormemente dai
polimeri delle alfa-olefine ottenuti con i processi convenzionali (che agiscono con mec-
canismo cationico o radicalico). Ulteriori ricerche ci misero in grado di ottenere poli-
meri a elevato peso molecolare (oltre 100.000) aventi struttura lineare, praticamente
senza ramificazioni, e con una distribuzione statistica di unità monomeriche d e l.
La maggior parte delle catene sono del seguente tipo :
CH2= CHR-CH2-CHR.............. CH2 -CHR-CH2-CH2R
Nel caso del polipropilene:
CH2=CHCH3-CH2 -CHCH3.......... CHCH3-CH2-CH2-CH3
il che significa che essi contengono gruppi terminali vinilidenici e gruppi terminali n-
propile, n-butile, etc. a seconda del monomero considerato. .......I polimeri atattici con
struttura lineare prodotti da noi hanno le proprietà di elastomeri non vulcanizzati quan-
do il peso molecolare è sufficientemente alto" [32].

Gli studi di Natta e dei suoi collaboratori misero in evidenza che questi nuovi
polimeri amorfi avevano la caratteristica di comportarsi come elastomeri, con una
resa elastica che, a temperatura ambiente, aumentava con il crescere della lun-
ghezza delle catene laterali.
Rilevanti dal punto di vista applicativo si rivelarono i copolimeri etilene/propile-
ne, ad alto contenuto di etilene, i quali mostrarono di possedere delle caratteristi-
che elastiche estremamente interessanti. Fu dimostrato, inoltre, che a parità di ogni
altra condizione era possibile progettare gomme etilene/propilene, “taylor made”,
avendo riscontrato una stretta correlazione tra resa elastica e composizione dei
copolimeri (figura 27) [32].
In relazione allo sfruttamento industriale delle gomme etilene/propilene ed alla
loro potenzialità applicativa G. Pagano, ebbe a scrivere:
"Naturalmente la produzione degli stereo omologhi del caucciù chiama in causa i cata-
lizzatori Ziegler-Natta e, ciò che costituisce vanto della ricerca italiana, i risultati che
Natta e il suo team hanno ottenuto rilevando quali potenzialità di sviluppo fossero impli-
cite nel nuovo strumento di catalisi, che riduttivamente, a molti era apparso, all’inizio,
qualificato ed efficace solo per ottenere da etilene e propilene polimeri plastici.
Limitandoci ai risultati di maggior spicco in campo industriale, troviamo, proprio tra i
copolimeri a base di etilene e propilene, nuovi elastomeri che, per le loro caratteristiche
di resistenza al calore, agli agenti chimici, alle basse temperature e all’invecchiamento,
nonché per le buone proprietà elettriche, hanno un ottimo campo di impiego nell’isola-
mento di linea e cavi" [25-a].

L’industrializzazione, come gomme, degli elastomeri etilene/propilene fu resa


possibile solo allorquando fu risolto il problema della loro vulcanizzazione realiz-
zando dei “Terpolimeri” contenenti una piccola percentuale di dieni non coniugati
che svolgono un ruolo analogo a quello dell’isoprene nel caso della gomma butile.
La formula chimica e la funzionalità di alcuni di questi termonomeri, già utilizzati
a livello industriale, sono riportate nella figura 28 [27-b].
"By using these termonomers the chains are provided with very reactive double bond
systems, useful for polymer postmodifications such as grafting, functionalization and so
on" [Rif. 33-a].

69
Fig. 27: Copolimeri etilene/propilene, elastomeri saturi messi a punto da Natta e collaboratori. In
figura è riportato uno dei primi diagrammi pubblicati che mostra la stretta correlazione tra resa ela-

( )
stica e composizione del copolimero espressa in termini di % dell’unità - CH2 - CH - [Rif. 32].
--
CH3

Lo sviluppo dell’industria degli elastomeri in Italia e nel mondo, fu così com-


mentato da Mario Bruzzone, in occasione del trentennale della produzione della
gomma sintetica negli stabilimenti EniChem di Ravenna:
"E’ però opportuno rilevare che l’industria degli elastomeri oggi non può più essere con-
siderata un mero fornitore di materie prime per l’industria della gomma. Infatti negli
anni recenti, gli elastomeri hanno iniziato a penetrare anche in altri settori .......... appli-
cativi:
gli elastomeri sono oramai divenuti un ingrediente essenziale per il rinforzo di molte
delle materie plastiche e di polimeri per ingegneria. Formano in genere fasi disperse,
inglobati nella matrice polimerica di cui aumentano la resistenza all’urto. ........tutto ciò
dimostra la vitalità di un’industria -quella degli elastomeri- non solo nei campi tradizio-
nali, ma anche in campi nuovi, ossia le capacità di “ringiovanimento” di un’industria che
troppo spesso è stata considerata “matura” e poco diversificabile" (tavole XIII, XIV e
XV) [33-b].

Come la Montecatini prima, la Montedison poi e quindi la Himont, la Dutral e la


Montell hanno rappresentato, nella scena dell’industria chimica italiana le società
che hanno principalmente contribuito allo sviluppo del polipropilene e delle
gomme etilene/propilene così la EniChem Elastomeri è stata la società che ha costi-
tuito il punto di maggiore aggregazione per lo sviluppo e la industrializzazione di

70
Fig. 28: Struttura chimica e funzionalità di sostanze usate come termonomeri per ren-
dere vulcanizzabili i copolimeri etilene/propilene [Rif. 27-b].

gomme insature e di elastomeri termoplastici.


Negli ultimi anni l’EniChem ha rafforzato la sua presenza nel comparto degli ela-
stomeri. Infatti negli stabilimenti di Ravenna, EniChem ha dato il via alla realizza-
zione di un impianto per la produzione di gomme termoplastiche idrogenate SEBS
(stireneetilenebutadienestirene) che utilizzerà una tecnologia di idrogenazione
sviluppata nell’ambito della società e basata sull’utilizzo di catalizzatori metallo-
cenici a base di titanio.
Le gomme idrogenate SEBS costituiscono una famiglia di materiali elastomerici
caratterizzati da elevata resistenza termossidativa in grado di coprire sia la fascia
alta dei settori applicativi in cui vengono già utilizzate le gomme termoplastiche
tradizionali, sia gli impieghi più sofisticati quali il medicale, l’automotive, il
“viscosità index improvers”, da cui le prime sono escluse.
La scoperta e lo sviluppo delle gomme sintetiche hanno permesso, tra l’altro, la

71
realizzazione di pneumatici caratterizzati da un ciclo di vita notevolmente più
lungo, a parità di condizioni, ma soprattutto capaci di conferire una più elevata sta-
bilità e sicurezza, oltre che una maggiore resistenza all’usura, al rotolamento, alla
lacerazione e caratterizzati inoltre da una minore rumorosità.
La moderna tecnologia permette di formulare e progettare miscele mirate alle
specifiche esigenze di utilizzo dei vari componenti di uno pneumatico dal cui insie-
me derivano le sue prestazioni globali.
Nella produzione dei componenti di uno pneumatico sono utilizzati una gamma
molto vasta di elastomeri alcuni dei quali sono qui di seguito indicati:
a) Gomma naturale;
b) Gomma butilica;
c) Gomma alobutilica;
d) Gomma stirene-butadiene;
e) Gomme butadieniche.

La formulazione di miscele per la realizzazione delle varie parti di cui si compo-


ne uno pneumatico è basata su delle tecnologie altamente sofisticate.
"Attualmente lo sviluppo di nuove formulazioni è condizionato dalla specificità dei mer-
cati e dei veicoli sui quali i pneumatici dovranno operare. Ciò comporta una “persona-
lizzazione” dei componenti sempre più spinta per soddisfare gli obiettivi prestazionali
richiesti. ……le singole mescole sono progettate e formulate per soddisfare uno speci-
fico insieme di esigenze del particolare componente del pneumatico per il quale vengo-
no impiegate. Tale obiettivo viene raggiunto tramite la selezione del tipo di elastomeri,
di cariche rinforzanti, di “chemical” che si ritengono più opportuni e delle rispettive
quantità" [34].

Certo che si è ben lontani dall’epoca in cui la formulazione di mescole per la


costruzione di pneumatici pieni adottate per le prime autovetture veniva considera-
ta un’ “arte” affidata alla sensibilità e alla manualità di pochi ed esperti “maghi” del
“compounding” (tavola XVI e XVII) [34, 35].
L’industria degli elastomeri sintetici italiana ha registrato negli anni una grande
capacità di sviluppo alla quale si è accompagnata anche una buona presenza di
affermati centri di ricerca accademici del CNR ed industriali, nell’ambito dei quali
venivano condotte ricerche spesso finalizzate alla messa a punto di gomme, con
caratteristiche innovative, da utilizzare anche nella fabbricazione di pneumatici.
In Italia, nel settore delle gomme e degli pneumatici, un ruolo di grande rilevan-
za ha avuto la Pirelli. Questa società, fondata nel 1872, già nei primi anni del nove-
cento aveva assunto le dimensioni di una grande azienda che produceva una
gamma molto diversificata di prodotti: conduttori elettrici isolanti, cavi telegrafici,
linoleum, materiale elettrico e telefonico e pneumatici.
Nel 1908 la Pirelli procedette alla:
"costruzione di un nuovo stabilimento, destinato ad affiancare quello originario di Ponte
Seveso e ampliato otto anni dopo con l’acquisto della Villa Bicocca degli Arcimbaldi
(adibita successivamente a scuola professionale e museo della gomma) …. Nel corso del
primo decennio del Novecento la Pirelli aveva cominciato a tenere testa alla Michelin,

72
che era a quel tempo la principale e più rinomata fabbrica europea di pneumatici. I suoi
principali articoli – dalle Semelle (su cerchio smontabile) montate sulle vetture dell’Itala
nel famoso raid Parigi-Pechino del 1906, ai pneumatici destinati agli autocarri italiani
nella guerra della Libia - scandirono il passaggio alla produzione in serie per una gamma
sempre più vasta di impieghi" [11-a].

Le fotografie della figura 29 mostrano lo stabilimento originario della Pirelli a


Ponte Seveso e la via mediana dello stabilimento Pirelli alla Bicocca nel 1922 [11-
a].
Nelle tavole XVIII, XIX e XX sono riportate le riproduzioni di manifesti pub-
blicitari relativi a prodotti in gomma della Pirelli (anno 1930-1931). Da queste tav-
ole si ricava, che già all’epoca, la Pirelli si caratterizzava per una produzione
ampia, diversificata, e qualificata.

73
Fig. 29a
Fig. 29b

Fig. 29: a) Veduta aerea dello stabilimento originario della Pirelli a Ponte Seveso; b) la via Mediana
dello stabilimento Pirelli alla Bicocca nel 1922. Archivio Pirelli, Milano [Rif. 11-a].

74
TAVOLA XIII

Tavola XIII: Veduta dello stabilimento EniChem di Ravenna (Italia).

TAVOLA XIV

Tavola XIV: Fotografia scattata durante la Conferenza tenuta dall’autore della presente pubblica-
zione nell’ambito della celebrazione del Trentennale (1957-1987) della produzione della gomma
sintetica a Ravenna organizzata dall’EniChem.

75
TAVOLA XV

Tavola XV: Frontespizio del volume degli Atti della Conferenza di cui in Tavola XIV.

76
TAVOLA XVI

Tavola XVI: Riproduzio-


ne fotografica di alcuni
manifesti realizzati in
occasione della “Mostra
del ciclo e dell’automobi-
le” (Milano – 1907).
Sono raffigurate tra l’al-
tro autovetture montanti
ruote con pneumatici di
gomma naturale [Rif.
35].

77
TAVOLA XVII

a)
b)

Tavola XVII: Confronto tra uno


pneumatico prodotto dalla
Dunlop intorno agli anni ‘30
(tavola XVII-a) ed un moderno
pneumatico prodotto dalla Pirelli
(tavola XVII-b) [Rif. 34].

78
TAVOLA XVIII

Tavola XVIII: Manifesto pub-


blicitario delle auto Bianchi che
montano gomme Pirelli - anni
1930 - 32.

TAVOLA XIX

Tavola XIX: La Pirelli pubbli-


cizza i pavimenti in gomma
installati presso il Grand Hotel di
Firenze (1930 - 32).

79
TAVOLA XX

Tavola XX: La Pirelli pubbli-


cizza uno dei suoi prodotti: i
tacchi da scarpa in gomma
(anni 1930 - 32).

80
Capitolo 6: Lo sviluppo dell’industria
italiana dei polimeri termoplastici–stirenici.

Un altro importante evento che ebbe rilevanza nello sviluppo dell’industria delle
plastiche in Italia, si verificò nel 1956 con l’avvio, a Mantova, della costruzione di
un grande stabilimento petrolchimico, ad iniziativa della Società “Sicedison S.p.A”
(una joint-venture tra la Edison e la Montsant (USA)), completato intorno al 1962.
La produzione fu incentrata principalmente su quattro cicli produttivi, clorosoda,
cracking, stirene-polistirene, fenolo, che utilizzavano come materie prime rispetti-
vamente il salgemma, la virgin nafta, il benzene e il cumene. Nei primi anni
l’impianto funzionò quasi esclusivamente su licenze straniere, principalmente di
origine USA.
La scelta di concentrare, inizialmente, presso lo stabilimento di Mantova, la pro-
duzione di polimeri sul polistirene (cristallo ed antiurto) viene così spiegata da F.
Anfuso:
"Si ricorda,……., il fatto che negli Stati Uniti alla fine della guerra si erano rese dispo-
nibili grosse eccedenze produttive di stirene (impiegato durante la guerra per la produ-
zione della gomma sintetica), a cui si trovò impiego sviluppando, in tempi molto rapidi,
i primi polimeri stirenici per consumi di massa e i processi per la loro produzione" [36-
a].

L’impresa del petrolchimico di Mantova si inseriva in un particolare contesto


socio-politico-economico del paese:
"....Queste tecnologie (quelle inizialmente avviate nel petrolchimico di Mantova,
n.d.A.), spesso frettolosamente elaborate,valutate alla luce della sensibilità contempora-
nea, ci possono apparire arcaiche, incompatibili con l’ambiente e poco sicure …. Ma era
l’Italia di mezzo secolo fa! Un paese povero e devastato dalla guerra in un continente
altrettanto devastato, che iniziava i primi passi verso uno sviluppo che l’avrebbe tra-
sformato in un grande paese che guardava a tutto ciò che veniva dagli USA quasi con
soggezione, con lo stesso spirito di atteggiamento che riscontriamo oggi in quelle regio-
ni….ad economia emergente, all’arrivo di investimenti e tecnologie occidentali" [36-a].

Il polistirene era stato sintetizzato da Simon nel 1839, in maniera del tutto casua-
le, esponendo alla luce lo stirene che, all’epoca, si ricavava dallo “Storace”, un bal-
samo naturale che si otteneva dal Liquidambar Orientalis, un albero originario
dell’Asia Minore.
Questo esperimento rimase una curiosità di laboratorio fino al 1845, anno in cui
Blyche e Hoffman descrissero il processo di polimerizzazione dello stirene. Nel
1869 il grande chimico Berthelot, riusciva, partendo dall’etil-benzene, ad ottenere

81
per via chimica lo stirene monomero. Già nel 1911 il chimico inglese Matthews
aveva proposto di usare il polistirene in sostituzione della celluloide, avendo pre-
visto per questa plastica interessanti proprietà applicative.
Nel 1920, Herman F. Mark della IG. Farben, e Iwan Ostromslensky del
Naugatuck Chemical Division of U.S. Rubber, misero a punto processi di sintesi
del polistirene sfruttabili industrialmente.
Un’altra tappa importante, concernente l’industrializzazione del polistirene, fu
raggiunta nel 1922 allorquando Dufraisse e Mureau scoprirono sostanze capaci di
inibire la polimerizzazione del monomero. Questa scoperta fu di estrema utilità
poiché attraverso l’impiego di questi “inibitori” fu possibile trasportare e conser-
vare a tempo indefinito lo stirene.
Questi eventi, insieme allo sviluppo di più adeguati processi e tecnologie di lavo-
razione portarono negli anni ‘30 alla commercializzazione del polistirene; prima in
Germania e poi in USA (nel 1933, con la denominazione di “Naugatuck’ Victron”).
Nel 1937 la Dowchemical Company introdusse nel mercato un polistirene avente
una migliore qualità ed esente da impurezze che fu commercializzato come Styron
[8-d, 36-b].

Fig. 30a
Fig. 30: I primi articoli in polistirene fabbricati in Italia (fine anni ’50-inizio anni ’60).
a) Scatole per imballaggio di lusso.
b) Pistola giocattolo spruzza acqua [Rif. 8-a].

82
Fig. 30b

L’accessibilità attraverso la petrolchimica, ai prodotti di partenza (benzene ed eti-


lene), la relativa semplicità del processo di polimerizzazione, la versatilità del
polimero che, attraverso processi diversi di trasformazione, trova impiego in una
molteplicità di settori applicativi, hanno fatto del polistirene una delle plastiche di
più largo e differenziato consumo.
Esempi di articoli in polistirene, prodotti in Italia intorno alla fine degli anni ’50-
inizio anni ’60, sono mostrati attraverso le fotografie della figura 30 e della tavola
XXI [8-d].
Il polistirene cominciò ad affermarsi come “Commodity” nel 1946 quando sosti-
tuì la bakelite ed altre resine termoindurenti nella fabbricazione di mobiletti per
radio e fonografi. Sempre nel dopoguerra esso trovò utilizzo nella produzione di
piastrelle murali, di giocattoli a basso costo e di articoli vari per uso domestico. Nel
1949 furono sviluppate nuove formulazioni caratterizzate da una elevata stabilità
alla luce. Sempre in questo periodo Munson, in Svezia, mise a punto la tecnologia
per l’ottenimento di polistirene espanso ad elevata resistenza al calore.
Successivamente furono sviluppati processi di copolimerizzazione e di “blending
reattivo” che portarono alla scoperta del polistirene antiurto (high impact poly-
styrene-HIPS) e quindi alle famiglie dei copolimeri termoplastici appartenenti al
tipo SAN e ABS.
Nel 1964 lo stabilimento di Mantova passò alla società Edison, dal 1966 al 1968
fece parte del gruppo Montedison. Nel 1989 fu acquisito dall’Enimont e a partire
dal 1991 fa parte integrante del gruppo EniChem.

83
Il polo chimico di Mantova si caratterizzò negli anni, per quanto concerne i poli-
meri, per la messa a punto di processi produttivi molto innovativi. Essi erano incen-
trati principalmente sul polistirene (cristallo ed antiurto) e i suoi copolimeri binari
e ternari (SAN= copolimero stireneacrilonitrile; ABS= copolimero acrilonitrile
butadienestirene; AES= copolimero acrilonitrileetilene/propilene (EPDM)sti-
rene).
Particolare rilevanza rappresentò lo sviluppo, realizzato intorno al 1988, di un
processo di produzione di ABS in massa continuo. La tecnologia di questo proces-
so, che ha rivoluzionato il sistema di produzione dell’ABS e che nel 1997 era pos-
seduta in Europa solo dall’EniChem e dalla Dow, si caratterizza per i seguenti ele-
menti fondamentali:
- la reazione impiega essenzialmente i reagenti ed i “chemical” che si troveranno
nel prodotto finito, senza l’aggiunta di sostanze estranee che debbono essere sepa-
rate, trattate e scaricate come affluenti;
- l’impianto è un sistema chiuso dove entrano in continuo le materie prime ed
escono i prodotti finiti pronti per il confezionamento.
Inoltre, nel caso che il processo produttivo sia anche a “ciclo chiuso”, si verifica
che i monomeri, non reagiti ed eventuali solventi, vengono separati nella fase fina-
le di devolatilizzazione e sono rialimentati in ingresso all’impianto.
Lo schema del processo di polimerizzazione in massa del copolimero a tre bloc-
chi acrilonitrilebutadienestirene è descritto, nei suoi elementi principali, in figu-
ra 31-a. Mentre a titolo comparativo, si riporta in figura 31-b il ciclo produttivo
dell’ABS in emulsione [36-a].
Dal confronto emerge la enorme differenza e semplificazione del primo proces-
so rispetto al secondo che si preferisce anche per ragioni di ecosostenibilità e
ambientali.
L’ABS, un tecnopolimero di grande interesse applicativo, ottenuto a suo tempo
mediante un processo in emulsione, è un sistema bifasico con una morfologia
molto complessa caratterizzata da una fase elastomerica, essenzialmente gomma
polibutadienica, dispersa in una matrice vetrosa costituita dal copolimero stirene-
acrilonitrile (SAN).
"The key process lies in the grafting of a significant portion of the growing acrylonitri-
le-styrene random copolymer radicals onto the double bonds of the elastomeric compo-
nent. The grafting between the plastic and elastomer components lends compatibility to
the system, resulting in a favourable state of dispersion, and also bonds the phases
together" [37-a].

Per innestare lo stirene e l’acrilonitrile sulla gomma è necessario attivare un pro-


cesso che permetta la creazione di radicali lungo le macromolecole del polibuta-
diene.
Gli schemi delle possibili reazioni sono qui di seguito delineati:

84
a) R*+ CH 2 CH=CH CH 2

CH 2 CH *
CH CH2

b) R*+ CH 2 CH=CH CH 2

*
CH CH CH CH 2
RH+

c) R*+ CH CH2 CH

CH *CH

CH 2 R CH 2

I gruppi radicali presenti sul polibutadiene possono reagire con i monomeri (sti-
rene o acrilonitrile) oppure combinarsi con i radicali delle molecole in crescita del
copolimero stirene-acrilonitrile dando luogo alla formazione di catene di SAN
innestate lungo le macromolecole della gomma.
"Graft and free SAN polymerizations are competing reactions. Promoting graft polyme-
risation uniformly along the rubber particle surface is the key in ABS manufacturing"
[37-a].

Le applicazioni dell’ABS, uno dei più versatili tecnopolimeri, derivano da un


insieme di caratteristiche quali: resistenza al calore, resistenza chimica, durezza,
resistenza all’impatto, tenacità, processabilità, rigidità.
I fattori che determinano le performance di questo materiale sono essenzialmen-
te legate a parametri molecolari, strutturali e morfologici:
- dimensione, modo e stato di distribuzione delle particelle gommose;
- grado di grafting delle particelle di gomma;
- concentrazione della gomma e del SAN;
- peso molecolare del SAN aggraffato;
- peso molecolare, e sua distribuzione, del SAN “ungrafted” che è presente
come matrice;
- composizione della matrice e del copolimero stirene-acrilonitrile.

"Indeed, the ABS resins are considered to be true engineering plastics, suitable for many
applications requiring high levels of mechanical performance and durability" [37-a].

La strutturazione delle fasi e la morfologia globale, determinate dalla combina-


zione dei parametri sopra elencati, sono evidenziate, nella loro complessità attra-
verso la micrografia elettronica mostrata nella figura 32 [37-a].

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Fig. 31a
Fig. 31b

Fig. 31: Confronto tra i processi di polimerizzazione in massa (fig. 31-a) e in emulsione (fig. 31-b)
dell’ABS [Rif. 36-a].

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Fig. 32: Micrografia ottenuta mediante microscopia elettronica in trasmissione di una sezione sot-
tile di ABS trattata con tetraossido di Osmio per contrastare le particelle di polibutadiene che, per-
tanto, nella figura appaiono nere. I domini sferici che in figura appaiono bianchi sono particelle di
SAN inglobate in domini gommosi. Le particelle ed i domini con una struttura detta a “Salame”
sono dispersi nella matrice di SAN [Rif. 37-a].

Da questa figura si evince chiaramente, oltre alla presenza di particelle di natura


prevalentemente polibutadienica disperse nella matrice di SAN, anche la presenza
di domini sferici, aventi volume molto più grande, di natura cellulare. Questi ulti-
mi sono di fatto costituiti da una matrice di gomma che occlude (ingloba) particel-
le vetrose di SAN (Struttura a “Salame”) [37 a - b].
Attualmente l’EniChem è uno dei maggiori produttori europei di stirene, polisti-
rene, ABS e tecnopolimeri, con attività produttive in Italia e all’estero con un busi-
ness, in questo settore, che nel 1998 ha registrato un fatturato di 1.077 miliardi.
Nel mercato dei copolimeri stirenici e in particolare in quello dell’ABS,
l’EniChem detiene la posizione di principale produttore dell’area sud europea ed è
in grado di avvalersi sia della tecnologia tradizionale via compound sia della tec-
nologia in massa continua.
L’EniChem ha di recente sviluppato nuovi gradi di ABS che presentano partico-
lari caratteristiche e che trovano impiego in due specifici settori: quello dell’auto e
quello degli elettrodomestici (tavola XXII) [38].
La situazione del mercato dell’ABS è in evoluzione. Entro il 2000 è previsto un
aumento della domanda mondiale del prodotto di circa il 3,9%, mentre dal 2000 al

87
2002 l’incremento medio annuo dovrebbe attestarsi sul 4,8%. In Europa
Occidentale nel periodo 1999/2003, la domanda di ABS si allineerà alla crescita del
PIL con un incremento pari al 2,3%.
Nella tabella 5 è riportata la capacità produttiva globale dell’EniChem relativa-
mente ai prodotti stirenici e allo stirene. L’EniChem attraverso una joint venture
con la Qatar General Petroleum Co., che prevede la costruzione in Qatar di un gros-
so impianto per la produzione di toluene-di-isocianato (TDI), un intermedio per la
produzione di schiume poliuretaniche, rafforzerà la propria presenza anche nell’a-
rea dei sistemi poliuretanici i quali trovano ampia applicazione nel settore automo-
bilistico, nell’arredamento, nell’edilizia e nei casalinghi [39].

Tabella 5

EniChem: capacità produttive globali dei prodotti stirenici e dello stirene

MATERIALI TIPI Ktonn./a


Stirene 700
Prodotti stirenici: GPPS+HIPS 430
EPS 110
ABS 110
SAN 60
Compounds 20
Totale capacità
EniChem prodotti stirenici 750

Nelle tavole XXIII sono raffigurati l’ingresso, l’impianto di distillazione del


fenolo e l’impianto di termodistruzione rifiuti dello stabilimento EniChem di
Mantova (località Frassina, sulla riva sinistra del fiume Mincio). Il centro di ricer-
ca operante nell’ambito dello stabilimento svolge un ruolo rilevante nel quadro
delle attività di ricerca EniChem e in particolare per le divisioni stirenici e tecno-
polimeri. Una parte importante delle ricerche viene rivolta alla soluzione di pro-
blematiche relative alla sicurezza ambientale già a livello di progettazione e svi-
luppo di un nuovo processo e prodotto, in linea con le nuove strategie di sostenibi-
lità dell’industria chimica [40].
Il polo chimico e petrolchimico di Mantova ha rappresentato, per l’industria dei
polimeri italiana, un evento paragonabile a quello dell’industrializzazione del poli-
propilene. Lo stabilimento di Mantova era destinato infatti a divenire una struttura
integrata (ricerca-sviluppo-industrializzazione) dove si dovevano concentrare le
tecnologie di sviluppo e di produzione del polistirene, delle gomme termoplastiche
a base stirenica, dell’ABS, del SAN e di altri prodotti ad elevato contenuto inno-
vativo.

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TAVOLA XXI

a)
b)

Tavola XXI: Esempi di


prodotti in polistirene
apparsi sul mercato italia-
no intorno alla fine degli
anni ’50, inizio anni ’60;
a) vassoio e servizio per
insalata;
b) contenitori vari per uso
domestico [Rif. 8-d].

89
TAVOLA XXII

a)
b)

Tavola XXII:
a) Componente moto in ABS (grado Sinkral PDG 253 prodotto dall’EniChem) [Rif. 38].
b) Corpo telefono in ABS (grado Sinkral L 320 prodotto dall’EniChem [Rif. 38].

90
TAVOLA XXIII

a)

b)

c)
Tavola XXIII: Il polo petrolchimico EniChem di Mantova: a) ingresso; b) impianto di distillazio-
ne del fenolo; c) impianto di termodistruzione rifiuti. [Rif. 40]

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