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Le Aquile Di Sharpe
Sharpe's Eagle © 1981
A Judy
«Ogni uomo che non sia stato soldato ha scarsa stima di sé.»
SAMUEL JOHNSON
PREMESSA
Nel 1809 l'esercito inglese era diviso in reggimenti proprio come oggi,
ma quasi tutti erano designati con un numero, anziché un nome; così, per
esempio, il reggimento Bedfordshire veniva chiamato correntemente
Quattordicesimo, i Connaught Rangers erano noti come l'Ottantottesimo, e
così via. I soldati, dal canto loro, preferivano i nomi, anche se dovettero
aspettare il 1881 per vederli adottati ufficialmente. Per questo motivo ho
preferito non assegnare un numero al South Essex, che è un reggimento di
pura fantasia.
In ogni caso, il reggimento era un'entità amministrativa, mentre in
combattimento l'unità di base era il battaglione. La maggior parte dei
reggimenti comprendeva almeno due battaglioni, ma alcuni, come il nostro
immaginario South Essex, erano piccoli reggimenti composti da un solo
battaglione. È per questo che, nelle Aquile di Sharpe, questi due termini
vengono usati in modo intercambiabile per definire il South Essex. Sulla
carta un battaglione avrebbe dovuto comprendere circa mille uomini, ma le
malattie e le perdite, per non parlare della penuria di reclute, facevano sì
che spesso i battaglioni scendessero in campo con appena cinque o
seicento soldati.
Tutti i battaglioni erano divisi in dieci compagnie. Due di esse, la
compagnia leggera e la compagnia dei Granatieri, costituivano l'élite del
battaglione; le compagnie leggere, in particolare, erano così utili che
furono creati o sviluppati interi reggimenti di truppe leggere, come il
Novantacinquesimo Fucilieri.
RICHARD SHARPE
E LA CAMPAGNA DI TALAVERA
LUGLIO 1809
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I cannoni si udirono ben prima che fosse possibile vederli, inducendo i
bambini, aggrappati alle sottane materne, a chiedersi quali mostri
spaventosi potessero produrre un fragore di quel genere. Lo scalpitare
degli zoccoli degli imponenti cavalli da tiro si mescolava allo sferragliare
dei finimenti e delle catene, al rombo sordo delle ruote che giravano
vorticose e soprattutto allo schianto di tonnellate e tonnellate di bronzo,
ferro e legno che rimbalzavano sul selciato sconnesso della città. E infine
apparvero: cannoni, avantreni, cavalli e staffette, accompagnati dagli
artiglieri, più temibili a vedersi delle canne tozze e annerite che parlavano
dei combattimenti sostenuti su al Nord, dove l'artiglieria aveva trainato
quelle armi imponenti attraverso fiumi in piena e pendici montuose fradice
di pioggia per tempestare di colpi il nemico, costringendolo all'oblio e alla
sconfitta. E ora intendevano ripetere l'impresa. Le madri prendevano in
braccio i figli più piccoli per indicare loro i cannoni, assicurando fiere che
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I1 rullo dei tamburi era distante e soffocato, a volte confuso con gli altri
rumori della città, ma sinistro e insistente: quando cessò, Sharpe ne fu
lieto, così come fu lieto di avere finalmente raggiunto Castelo Branco,
ventiquattr'ore dopo il South Essex, in seguito a un viaggio estenuante. Il
loro compito era consistito nel costringere i muli di Hogan a percorrere
una strada incisa da profondi solchi irregolari, lasciati dal passaggio
dell'artiglieria da campo che li aveva preceduti. Ora i muli, carichi di
barilotti di polvere da sparo e involti di tela cerata contenenti rotoli di
miccia, picconi, palanchini, pale e tutta l'attrezzatura di cui Hogan avrebbe
avuto bisogno a Valdelacasa, seguivano con pazienza i Fucilieri e gli
artificieri di Hogan che si facevano largo nelle strade affollate, diretti verso
la piazza principale. Quando sbucarono all'aperto, sotto il sole intenso, i
sospetti di Sharpe, alimentati dal rullo dei tamburi, si rivelarono fondati.
Si era appena conclusa una fustigazione. La vittima non c'era più e
Sharpe, osservando il South Essex schierato in quadrato con un vuoto al
centro, si rammentò della fustigazione che aveva subito anni prima, e dello
sforzo fatto per tenere chiusa dentro di sé quella sofferenza atroce, senza
lasciar capire agli ufficiali quanto fossero dolorosi i colpi di frusta.
Avrebbe portato con sé nella tomba i segni di quella fustigazione, ma
dubitava che Simmerson capisse quanto fosse stata crudele la punizione
che aveva appena inflitto al suo battaglione.
Hogan trattenne il cavallo per le briglie, restando all'ombra del palazzo
del vescovo. «Non mi sembra il momento più indicato per parlare con il
buon colonnello.» I soldati stavano smontando quattro triangoli di legno
che erano appoggiati al muro opposto della piazza. Quattro uomini
fustigati. Buon Dio, pensò Sharpe, quattro! Hogan voltò il cavallo per dare
le spalle al battaglione. «Richard, io devo mettere sotto chiave la polvere,
altrimenti verrà rubata fino all'ultimo granello. Ci vedremo laggiù.»
Lui annuì. «In ogni caso devo procurarmi dell'acqua. Fra dieci minuti?»
I suoi uomini si accasciarono ai piedi del muro, liberandosi di fucili e
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«Dannazione, non ci posso credere, signore. Ditemi che non è vero.» Il
sergente Harper scosse la testa mentre, in piedi di fianco a Sharpe,
osservava la compagnia leggera del South Essex sparare due serie di colpi
agli ordini di un tenente. «Mandate questo battaglione in Irlanda, signore, e
saremo un Paese libero nel giro di due settimane. Non saprebbero
respingere neanche il coro di una chiesa!»
Sharpe, rabbuiato in volto, ne dovette convenire. Non che gli uomini non
sapessero caricare il moschetto e sparare, solo che lo facevano con penosa
lentezza e con la meticolosa fedeltà al manuale delle esercitazioni che era
stata inculcata loro dai sergenti. Ufficialmente, per caricare e sparare erano
necessari venti movimenti, cinque dei quali soltanto per l'uso del calcatoio,
la bacchetta d'acciaio che serviva a sospingere nella canna del moschetto il
proiettile e la carica: l'insistenza degli uomini del battaglione nell'eseguire
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Patrick Harper marciava con una lunga falcata, felice di sentire la strada
sotto i piedi e di avere finalmente varcato la linea di confine, priva di
segnalazioni, per dirigersi verso una meta, qualunque fosse. Erano partiti a
notte fonda, in modo da coprire il grosso del percorso prima che il sole
diventasse cocente, e lui pregustava un pomeriggio di inattività,
augurandosi che il punto prescelto per il bivacco dal maggiore Forrest, che
li aveva preceduti, fosse vicino a un ruscello nel quale poter calare una
lenza con uno dei suoi vermi infilzato all'amo. Il South Essex si trovava
alle loro spalle, perché Sharpe aveva dato inizio alla tappa di quel giorno
con l'andatura veloce del reggimento dei Fucilieri, alternando tre passi di
marcia a tre di corsa, e lui era lieto che fossero liberi dall'atmosfera carica
di sospetti del battaglione. Sorrise al ricordo dei collari. Era corsa voce che
il colonnello avesse ordinato a Sharpe di pagare tutti i settantanove collari
rovinati, e quello, agli occhi di Harper, era un prezzo terribile. Non aveva
chiesto a Sharpe se quella voce fosse fondata e del resto, se lo avesse fatto,
lui gli avrebbe risposto di badare ai fatti suoi; come se preoccuparsi del
suo tenente non rientrasse nei compiti di Harper. Sharpe poteva anche
essere ombroso e irritabile, soggetto a scatti d'ira contro il sergente per
sfogare la frustrazione, ma, se fosse stato invitato a darne una definizione,
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I1 Regimiento de la Santa Maria avrebbe conquistato il mondo, se per
farlo fossero bastate le parole e lo sfarzo, ma la puntualità non rientrava fra
le sue virtù militari più evidenti.
Il South Essex procedeva a tappe forzate da quattro giorni per
raggiungere il luogo d'incontro, ma arrivando a Plasencia scoprì che le
truppe spagnole non erano ancora arrivate. Le cicogne si alzarono
pigramente dai loro nidi, fra i tetti a ripido spiovente che salivano verso la
cattedrale antica, al sommo della città e della pianura circostante, ma del
Santa Maria non si vedeva traccia. Il battaglione si preparò all'attesa.
Simmerson si era accampato fuori dalle mura, e gli uomini guardavano
ingelositi le altre unità che, appena arrivate, marciavano per le strade
allettanti, piene di osterie e di donne. Tre soldati disobbedirono
all'ordinanza che vietava loro di entrare in città e furono sorpresi dal capo
della polizia militare in flagrante ubriachezza, per cui furono fustigati
mentre il battaglione era disposto in formazione di parata lungo il fiume
Jerte.
Finalmente, due giorni dopo, il reggimento spagnolo arrivò, e il South
Essex si schierò alle cinque del mattino per cominciare la marcia verso
Valdelacasa, a sud. Nell'aria aleggiava un gelo che il sole avrebbe
dissipato alzandosi sull'orizzonte, ma vennero le cinque e mezzo, l'ora
fissata per la partenza, senza che si vedesse l'ombra del Santa Maria e gli
uomini cominciarono a battere i piedi sul terreno e sfregarsi le mani per
tenere a bada il freddo. I campanili cittadini batterono le sei e i bambini
che insieme alle madri attendevano di assistere alla partenza del
battaglione si annoiarono e cominciarono a correre tra le file di soldati,
nonostante le grida di rimprovero che li inseguivano, cominciando da
Simmerson per arrivare fino ai sergenti e ai caporali. Il battaglione era
schierato presso il ponte romano che univa le due sponde e Sharpe seguì il
capitano Hogan, che brontolava, fino alle arcate antiche, fissando l'acqua
che tumultuava intorno agli enormi massi di granito lasciati nel letto del
fiume da qualche sommovimento del terreno di tanto tempo prima.
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Valdelacasa non era un luogo dove esseri umani vivevano, amavano o
facevano affari: quel nome indicava semplicemente un edificio in rovina e
un grande ponte di pietra, costruito per superare il fiume in un tempo in cui
il Tago era più largo del corso d'acqua scura che ora scivolava sotto le tre
arcate di epoca romana. Dal ponte con l'edificio annesso il terreno si
estendeva in declivio sino a formare una vasta conca poco profonda, divisa
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Era un macello. Quattro minuti prima, sul campo c'erano milleseicento
soldati di fanteria ben schierati, comandati e organizzati, mentre ora quasi
tutti erano in rotta verso il ponte, gettando via moschetti, tascapane e tutto
ciò che poteva rallentare la loro corsa e avvicinare le sciabole inesorabili
dei francesi. Il colonnello francese era abile. Aveva concentrato una parte
dei suoi uomini sull'inseguimento dei fuggiaschi, con il compito di
sospingerli in avanti, tagliando loro la strada a destra e a sinistra con la
stessa facilità di manovra che avrebbe mostrato su un campo di
esercitazione, e indirizzare la massa terrorizzata verso il mattatoio
all'imbocco del ponte. Altri uomini della cavalleria avevano ricevuto
l'ordine di infierire sui resti del quadrato inglese, un manipolo di uomini
che si batteva disperatamente intorno agli stendardi del reggimento; ma
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I1 ponte non voleva saperne di essere distrutto. L'antica costruzione di
pietra aveva resistito per due millenni sulle acque del Tago e si arrese agli
esplosivi moderni con lenta riluttanza. Il pilastro centrale fu scosso da un
sussulto profondo che fu avvertito anche da Sharpe e dalla sua compagnia.
Gli uomini si girarono di scatto su se stessi per vedere che cosa lo aveva
causato, e scorsero la polvere fuoriuscire dagli interstizi della muratura.
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«Che voi siate dannato, Sharpe! Vi distruggerò! Farò in modo che non
possiate più marciare nei ranghi dell'esercito! Dovrete tornarvene nella
fogna da cui siete uscito!» Il viso di Simmerson era stravolto dalla collera;
persino le orecchie a sventola erano arrossate dal furore. Era in piedi
accanto a Gibbons e Forrest, che tentava invano di contenere la sua ira. Il
colonnello si scrollò dal gomito la mano di Forrest. «Vi porterò davanti
alla corte marziale. Scriverò a mio cugino. Voi siete finito, Sharpe!
Rovinato!»
Il tenente dei Fucilieri era immobile all'altro capo della stanza, con il
volto irrigidito nello sforzo di controllare a sua volta la collera e il
disprezzo, lo sguardo fisso fuori dalla finestra. Erano tornati a Plasencia, a
palazzo Mirabel, che era il quartier generale temporaneo di Wellesley, e
lui guardava dall'alto la via Sancho Polo e i tetti ammassati del quartiere
povero della città, stipato entro i bastioni delle mura. In strada passavano
carrozze, equipaggi eleganti con i cocchieri in livrea che accompagnavano
dame spagnole velate in misteriosi itinerari. Il battaglione era rientrato la
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«Ufficiale di giornata?» Sharpe annuì. «Venite pure.»
L'ufficiale addetto ai rifornimenti, un tenente grassoccio, sorrise con aria
allegra, chiudendo la porta dietro di sé. «Buon pomeriggio, signore. Una
firma?»
«Per cosa?»
Il tenente si finse sorpreso, guardando il foglio di carta che tendeva a
Sharpe. «Terzo battaglione di distaccamenti, giusto?» Sharpe annuì. «Le
vostre razioni, signore.» Porse la lista di nuovo. «Volete firmare, signore?»
«Aspettate.» Sharpe controllò la lista. «Settecentocinquanta libbre di
manzo? Generoso, non vi pare?»
Il tenente sfoggiò un sorriso professionale. «Ho paura che non sia
soltanto per oggi, signore. Queste sono le razioni dei prossimi tre giorni.»
«Cosa? Tre giorni? Ma è la metà delle razioni normali!»
Il tenente allargò le braccia. «Lo so, signore, ma è davvero il massimo
che possiamo fare. Volete firmare?»
Sharpe prese cappello e armi dal tavolo. «Dove sono?»
Il tenente sospirò. «Sono certo che non vorrete...»
«Dove sono?» La voce di Sharpe risuonò stentorea nella piccola stanza.
Il tenente sorrise, aprendo la porta e invitandolo a uscire in cortile, dove
la sua brigata di lavoro sostava vicino a una fila di muli carichi. Il tenente
tolse il coperchio da un barilotto di carne di manzo macellata di fresco.
«Signore?»
Sharpe sollevò il pezzo superiore, facendolo penzolare davanti agli occhi
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Sharpe si svegliò di soprassalto e, mettendosi a sedere, cercò
istintivamente un'arma; poi, ricordandosi dov'era, si lasciò ricadere sul
cuscino. Aveva il corpo tutto madido di sudore, anche se la notte era fresca
e una lieve brezza agitava i bordi delle tende ai lati della finestra aperta, da
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I1 battaglione si era schierato su tre lati di un quadrato: il quarto lato,
anziché essere occupato dal solito triangolo di legno che si usava per le
fustigazioni, era formato da due pioppi inclinati che crescevano vicino a
uno stagno poco profondo. I bordi del piccolo specchio d'acqua erano stati
calpestati dalla cavalleria e il fango, seccandosi, aveva formato grossi
grumi color ocra screziati di schiuma verde. In mezzo agli alberi c'era il
tamburo maggiore del battaglione, e sulla pelle tesa di colore grigio erano
posati una Bibbia aperta e un libro di preghiere. Non c'era un alito di vento
che agitasse le pagine del libro, ma soltanto il sole, che continuava
implacabile a picchiare sulla pianura e sugli uomini, immobili sull'attenti
in uniforme da parata.
Sharpe si trovava a capo della compagnia leggera, sulla sinistra della
fila, e al di sopra delle teste dei Granatieri schierati di fronte poteva
scorgere il castello di Oropesa, che dominava la pianura per miglia e
miglia, con le mura che s'innalzavano sopra i tetti della città come lastre di
pietra. Sharpe si domandò oziosamente che sensazione si doveva provare
nell'attaccarlo a cavallo con l'armatura, ai tempi in cui quel castello
rappresentava un autentico ostacolo. Ormai la moderna artiglieria d'assedio
avrebbe demolito quelle mura dall'aspetto tanto solido, facendone rovinare
le pietre lungo le ripide vie cittadine come una valanga devastante. Il
sudore gli bruciava gli occhi, colando sulla giubba verde e scorrendo a
rivoli lungo la spina dorsale. Si sentiva la testa stranamente leggera, non
certo lo stato ideale per assistere alla fucilazione dei disertori: mentre
fissava il castello pensò a Josefina e, chissà come, in quella luce mattutina,
l'affare non gli parve poi tanto svantaggioso. Lei sarebbe stata sua solo
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«Signore! Capitano! Signore!» L'alfiere Denny correva verso di lui,
trascinandosi dietro la spada, con il viso rigato di sudore. «Signore?»
«Che cos'avete scoperto?»
«Il colonnello è al castello, signore. Credo che sia in compagnia del
generale. Ho incontrato il capitano Leroy e il maggiore Forrest. Il capitano
vi prega di attenderlo.»
Alle spalle di Denny, Sharpe vide arrivare Leroy a cavallo, proveniente
dalle ripide viuzze che salivano verso il castello. L'americano non andava
di fretta, grazie a Dio; procedeva come se non ci fosse la minima urgenza.
Se gli uomini nel deposito di legname avessero notato panico e ansia tra
gli ufficiali, avrebbero pensato di poter vincere e sarebbero diventati
ancora più ostinati.
Il cavallo di Leroy percorse l'ultimo tratto quasi al passo. L'americano
salutò con un cenno del capo, lasciò andare le redini e si accese un sigaro
nero, lungo e sottile. «Sharpe.»
Il capitano dei Fucilieri sorrise. «Leroy.»
L'americano scese da cavallo, lanciando un'occhiata a Denny. «Sapete
andare a cavallo, giovanotto?»
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Nei sedici anni trascorsi da quando si era arruolato, di rado Sharpe si era
sentito tanto sicuro che la battaglia fosse imminente. Gli eserciti spagnoli e
inglesi si erano radunati a Oropesa, da dove proseguirono insieme la
marcia per Talavera: ventunmila soldati inglesi e trentaquattromila
spagnoli, un esercito enorme, ingrossato ancora di più da muli, servitori,
mogli, figli, preti, tutti diretti a est, verso il punto in cui le montagne
giungevano a costeggiare il corso del fiume Tago e la vasta pianura arida
si arrestava presso la cittadina di Talavera. Le ruote dei centodieci cannoni
da campo macinavano le strade sterrate, riducendone la superficie a una
polvere fine; gli zoccoli di oltre seimila cavalli sollevavano nubi di
polvere, che poi si depositava sulla fanteria, costretta a marciare
faticosamente nel caldo torrido, ascoltando il crepitio lontano delle
avanguardie spagnole che respingevano il fragile schermo dei Voltigeur, le
truppe d'assalto francesi. A destra e a sinistra Sharpe non scorgeva altro
che nubi di polvere, dove le pattuglie della cavalleria procedevano in
direzione parallela alla linea di marcia; più vicino, nei campi, il battaglione
vedeva gruppetti di soldati spagnoli che avevano interrotto la marcia e si
riposavano, apparentemente tranquilli, chiacchierando con le loro donne,
fumando e guardando passare le lunghe colonne della fanteria inglese.
Gli uomini erano affamati. Per quanto Wellesley s'impegnasse, per
quanto facessero gli addetti all'approvvigionamento, non c'era cibo
sufficiente per tutto l'esercito. La regione fra Oropesa e Talavera era già
stata saccheggiata dai francesi, e ora da spagnoli e inglesi, e da quando
avevano lasciato Oropesa, il giorno prima, il battaglione aveva mangiato
soltanto dei tommies, frittelle fatte con acqua e farina. Era un periodo in
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«Ho visto un uomo, oggi...»
«Ah, sì?» Sharpe lanciò un'occhiata a Josefina, che stava seduta sul letto,
nuda, con le ginocchia sollevate, cercando di limarsi le unghie dei piedi
con il filo della spada. Poi rise di quel tentativo e lasciò ricadere l'arma per
guardarlo. «Era molto attraente. Una giubba blu con tante cordelline
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Sharpe calpestava con gli stivali frammenti di gesso, tendendo l'orecchio
verso le voci sommesse che si udivano nella stanza, dietro la porta
scheggiata, e guardando attraverso una finestrella le nubi alte e sfrangiate
che passavano veloci sul volto della luna, senza vedere niente. Hogan era
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Una palla di moschetto che ormai aveva esaurito tutta la sua forza passò
ronzando sopra la testa di Sharpe. I rumori del combattimento erano più
fiochi, ora che si trovava al di sotto della cresta, e l'unica fonte di luce
proveniva dai riflessi bizzarri dei fuochi incustoditi, al di sotto della nube
di fumo creata dal combattimento sulla cima piatta del Medellin.
«Sharpe!» Berry continuava a farfugliare. Disteso sulla schiena, tentava
di divincolarsi per risalire il pendio, sfuggendo alla stretta della figura alta
e scura dell'ufficiale dei Fucilieri. «Non dovremmo andare, Sharpe? I
francesi sono sulla collina!»
«Lo so, ne ho uccisi almeno due.» Sharpe puntò la lama contro il petto
di Berry, impedendogli di divincolarsi. «Fra poco tornerò a ucciderne
qualcun altro.»
Quelle parole zittirono Berry. Sharpe vide il suo viso che lo fissava, ma
il buio era troppo fitto per decifrarne l'espressione. Sharpe poteva soltanto
immaginare le labbra umide, il viso grassoccio, l'espressione spaventata.
«Che cos'avete fatto alla ragazza, Berry?»
Il tenente rimase in silenzio. Sharpe vide la sua spada sottile
abbandonata sull'erba; l'avversario non mostrava la minima combattività,
non aveva la volontà di resistere, ma soltanto la patetica speranza di
riuscire a placare il capitano dei Fucilieri.
«Che cosa le avete fatto, Berry?» Si avvicinò e la spada scintillò sul
collo del tenente. Sharpe vide il suo viso stravolto dal terrore, sentì il suo
fiato restare imprigionato nella gola.
«Niente, Sharpe. Lo giuro, niente.»
Lui torse un poco il polso, in modo che la lama intaccasse appena il
mento del tenente. Era affilata come un rasoio, e sentì Berry emettere un
sospiro.
«Lasciatemi andare, vi prego! Lasciatemi andare.»
«Che cosa le avete fatto?» Sharpe udì il suono caratteristico dei fucili
che sparavano sulla destra. A sinistra riecheggiava il crepitio continuo del
fuoco di moschetto, e lui intuì che la colonna francese aveva lanciato gli
assalitori ai fianchi, per spazzare via i gruppi sparsi che continuavano a
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Fu una notte breve e agitata. Dopo avere respinto i francesi, l'esercito
recuperò i feriti e, al fioco riverbero dei falò, cercò di rintracciare e
raccogliere tutti i caduti che era possibile trovare. I battaglioni che si erano
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La battaglia aveva divampato per breve tempo prima di spegnersi nel
silenzio e, man mano che il sole saliva nel cielo e il fumo si dissolveva, la
valle del Portina si riempì di soldati inglesi e francesi, venuti a recuperare i
feriti e seppellire i morti. Uomini che fino a un'ora prima avevano lottato
strenuamente per uccidersi a vicenda ora chiacchieravano, scambiando
tabacco con viveri e vino con brandy. Sharpe portò una dozzina di uomini
giù al ruscello, in cerca di quattro soldati della compagnia leggera che
mancavano all'appello. Non erano morti in combattimento; erano rimasti
uccisi mentre risalivano il pendio insieme ai prigionieri. I cannoni francesi
avevano aperto il fuoco, ma stavolta puntando in basso, e i proiettili erano
esplosi tra le file disordinate degli inglesi che risalivano la collina. Gli
uomini avevano cominciato a correre per mettersi in salvo, mentre i
prigionieri francesi avevano fatto dietrofront, scattando verso le loro linee,
però contro un bombardamento non c'era riparo che tenesse. Sharpe aveva
visto una palla di ferro colpire una tana di conigli e rimbalzare in aria, con
il fumo che descriveva una folle spirale partendo dalla miccia. La granata,
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Sir Henry Simmerson non si era mosso per quasi tutta la mattina ed era
rimasto a osservare il modo in cui il primo attacco veniva respinto; ma, a
parte la compagnia leggera, non c'era stato bisogno dell'intervento del
South Essex. Ora, Sir Henry lo sapeva, le cose sarebbero andate in modo
molto diverso. La riva orientale del Portina era affollata di truppe francesi,
schierate un battaglione dietro l'altro, pronte a farsi avanti nella solita
formazione a colonne, e Sir Henry le aveva ispezionate in silenzio con il
cannocchiale. Quindicimila uomini stavano per lanciarsi contro il centro
delle posizioni inglesi, e alle loro spalle altri quindicimila cominciavano
già ad avvicinarsi al Pajar e alla rete di fortificazioni che proteggevano gli
spagnoli. A destra di Sir Henry, i quattro battaglioni della Legione tedesca
del re, i Coldstream Guards e il Terzo battaglione delle Guardie
attendevano l'attacco, ma lui sapeva che la battaglia era perduta. Nessun
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La visuale di Sharpe era ostacolata dalle truppe del battaglione olandese
e dal fumo che si levava come una strana nebbia sfilacciata nella calura
dell'estate spagnola. Dopo la ritirata della prima linea delle colonne
francesi, gli olandesi erano diventati un bersaglio facile per i cannoni
inglesi e, saggiamente, avevano cambiato schieramento, disponendosi in
fila. Ora sembravano formare un muro di un bianco sporco in direzione
perpendicolare al ruscello, di fronte ai soldati in rotta della Legione
tedesca del re che correvano in direzione trasversale al fronte. Sharpe
poteva vedere gli olandesi che caricavano i moschetti e sparavano, ma
senza fare alcun tentativo di avanzare per finire i superstiti, e Sharpe intuì
che, dopo la morte del colonnello ucciso da Hagman, il battaglione era
incerto sul da farsi e stava aspettando il secondo attacco francese per unirsi
alle nuove truppe.
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Non era ancora finita, ma ormai mancava poco. Le truppe inglesi al
centro del campo, accasciandosi esauste lungo le acque tinte di rosso del
Portina, udirono detonazioni e squilli di tromba della cavalleria provenire
dal terreno a nord del Medellin. Ma non accadde granché: il Ventitreesimo
Dragoni leggeri sferrò una carica suicida, i cannoni da sei libbre inglesi
ridussero in poltiglia dodici battaglioni francesi e infine le truppe
dell'imperatore si arresero. Sul campo di battaglia calò il silenzio. I
francesi erano sconfitti, distrutti, mentre agli inglesi toccavano la vittoria e
EPILOGO
Il vino nei bicchieri di cristallo era rosso cupo; il tavolo di legno
lucidissimo scintillava del riflesso di decine di candele infilate nei
candelabri d'argento e i dipinti che riflettevano il cerchio di luce con la
loro patina scintillante di antichità ritraevano solenni e illustri antenati
della famiglia spagnola nella cui residenza di Talavera Sir Arthur
Wellesley aveva organizzato la cena. Anche il pasto era all'altezza
dell'occasione. Nella settimana successiva alla battaglia la situazione dei
rifornimenti era addirittura peggiorata: gli spagnoli non avevano
mantenuto le loro promesse e le truppe sopravvivevano accontentandosi di
razioni dimezzate, ma Wellesley se la cavava meglio degli altri, com'era
naturale per un generale. Sharpe aveva gustato una minestra di pollo
soltanto leggermente annacquata e della carne di coniglio, si era servito
una porzione generosa del montone che Wellesley prediligeva, e ora
ascoltava i commensali lagnarsi del vitto scolando innumerevoli bottiglie
di vino. C'era anche Daddy Hill, felice e rubicondo, che sorrideva di
continuo a Sharpe, scuotendo la testa e dicendo: «Dico io, Sharpe,
un'aquila!» Di fronte a Sharpe era seduto Robert Crauford,
soprannominato Black Bob, che l'ufficiale dei Fucilieri non vedeva dai
tempi della ritirata verso La Coruna. Crauford si era perso la battaglia di
Talavera per un solo giorno, sebbene avesse spronato la sua divisione
leggera a coprire quarantadue miglia in ventisei ore nella speranza di
NOTA STORICA
Sir Arthur Wellesley (che presto sarebbe diventato visconte Wellington
di Talavera, proprio grazie agli eventi del 27 e 28 luglio 1809) perse nella
battaglia 5365 uomini tra morti e feriti. Di essi, quasi il quindici per cento
rimase ucciso sul colpo. Le perdite dei francesi ammontarono a 7268
uomini, e circa seicento spagnoli contribuirono a ingrossare il «conto del
macellaio». Inoltre i francesi persero anche diciassette cannoni, ma, ahimè,
nessuna aquila, almeno in quella circostanza. La prima aquila che gli
inglesi siano riusciti a conquistare durante la guerra peninsulare fu quella
che l'alfiere Keogh e il sergente Masterman, dell'Ottantasettesimo, un
reggimento irlandese, riuscirono a strappare ai francesi nella battaglia di
Barossa, il 5 marzo 1811. Keogh morì in seguito alle ferite riportate,