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Vita e Pensiero – Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore is collaborating with
JSTOR to digitize, preserve and extend access to Rivista di Filosofia Neo-Scolastica
Maurizio Migliori
1 Per un approfondimento di molte delle affermazioni che qui siamo costretti a fare in
modo sbrigativo, rinvio a M. Migliori, Arte politica e metretica assiologica. Commentari
storico-filosofico al "Politico" di Platone, Vita e Pensiero, Milano 1996; M. Migliori, La
prassi in Platone: realismo e utopismo, in II dibattito etico e politico in Grecia tra il V e
IV secolo. Atti dei convegni tenuti nel Dipartimento di Filosofia e Scienze Umane
Università di Macerata 1996-1997, a c. di Id., La Città del Sole, Napoli 2000, pp. 239-282
te astratta2, il che conferma che tale riflessione ha ben poco a che vedere
con la filosofia politica moderna.
In questa sede analizzerò essenzialmente gli aspetti "sistemico-politici"
del discorso platonico, avendo già svolto in altra trattazione quelli etici3,
cercando naturalmente di ricordare che nell'unico discorso platonico i due
elementi sono intrinsecamente connessi.
2 Questa affermazione, però, non deve essere estremizzata. «La stessa scelta dei perso-
naggi, uno Spartano e un Cretese, quali interlocutori dell'Ateniese nel corso delle Leggi è
sintomo significativo dell'ineluttabilità del confronto coi paradigmi storico-culturali che
Platone avverte come più prossimi, ma tale rapporto sembra collocarsi costantemente sotto
il segno dell'ambivalenza. L'ammirazione dell'aristocratico, che individua nella scansione
gerarchica dei cittadini, nell'ordine e nella disciplina che scaturiscono dall'obbedienza ai
governanti un fattore di saggezza e di stabilità si scontra con le insufficienze e le parzialità
che emergono dalla riflessione filosofica» (S. Gastaldi, Educazione e consenso nelle
"Leggi" di Platone, «Rivista di storia della filosofia», n.s., 39, 1984, pp. 419-452: p. 422).
3 Occorre sottolineare che in parallelo con questo testo, ho pensato e scritto due ulte-
riori contributi: Cura dell'anima. L'intreccio tra etica e politica in Platone , «Ordia prima»,
1 (2002), pp. 25-66; La filosofìa politica di Platone nelle "Leggi", in Plato's Laws,
Proceedings of the VI Symposium Platonicum, ed. by S. Scolnicov and L. Brisson,
Academia Verlag, Sankt Augustin 2003, pp. 30-41.
Dunque, i mali non lasceranno il genere umano finché o una generazione di veri e
autentici filosofi non prenda il potere politico o coloro che dominano nelle città,
per un qualche dono divino, non si dedichino alla filosofia ( Lettera Settima, 326
A 7 - B 4).
4 Cfr. soprattutto Politica, II, la cui prima parte, capp. 1-6, è soprattutto dedicata a
Platone, mentre subito dopo, capp. 7-12, si analizzano altre proposte teoriche e varie que-
stioni riguardanti l'organizzazione statuale, soprattutto a Sparta, a Creta e a Cartagine.
quello per il quale la sua natura l'ha reso più adatto ( Repubblica , IV, 433
A). Anche nelle Leggi si ribadisce l'obbligo di esercitare una sola profes-
sione, per cui il cittadino non può svolgere attività artigianali perché è
impegnato nella salvaguardia della città (Leggi, Vili, 846 D - 847 A). E tut-
tavia gli artigiani sono così importanti da essere presenti in tutto il territo-
rio in ben 13 gruppi (Leggi, Vili, 848 E).
Ma la società non è solo quella dei lavoratori diversi, ma anche, e
soprattutto, quella dei soggetti diversi: la realtà è segnata dalla diversità e,
quindi, dal conflitto interno, che è certamente sociale, ma che viene subito
declinato nella chiave etica-funzionalistica: le città prosperano se i miglio-
ri prevalgono sulla massa dei peggiori, mentre il contrario accade se sono
i cattivi a prevalere (Leggi, I, 627 B 5-8).
Come si vede, per molte ragioni questa città che è una è anche intrinse-
camente molteplice, per cui la maggiore preoccupazione di Platone con-
cerne l'unità della polis, cioè l'unità di úna molteplicità che non può esse-
re negata. Non a caso egli mostra di avere una grande attenzione per le dif-
ferenze, sessuali, di censo, di funzioni, che vengono affrontate con terapie
diverse.
La differenza sessuale viene ovviamente conservata ma nella sfera che
gli è propria. Nei momenti in cui non pesa è giusto allargare l'ambito di
azione delle donne. Le differenze di censo vanno ridotte, comprimendo lo
spazio di possesso individuale. Anche nel modello statuale proposto nelle
Leggi si presta grande attenzione ai contrasti che nascono dalle ricchezze
(Leggi, V, 737 B), per cui occorre evitare oro, argento, e in genere i facili
guadagni (Leggi, V, 741 E - 743 E). Più in generale, la stessa riduzione del
peso della famiglia limita lo spazio dei conflitti e aumenta il peso relativo
dell'unità. Nel caso del lavoro, invece, Platone fa intervenire un principio
"funzionale", che porta ad una accentuazione delle differenze che vanno
poi ricomposte in una visione organica che consideri la centralità del tutto
rispetto alle esigenze delle parti.
Questo è infatti il punto: le diversità non vanno negate, ma collegate
come parti connesse ad un fine che appartiene al tutto.
8 Non a caso proprio su questo lo attaccherà Aristotele ( Politica , II, 2, 1261 a 10 ss.).
credo di poter dimostrare che si avrebbe una modificazione generale con un solo
cambiamento, certo non da poco o facile, ma possibile ( Repubblica , V, 473 C 2-4).
a meno che o i filosofi regnino nelle città o quelli che oggi sono detti re e signori
non si dedichino davvero e in modo adeguato alla filosofia e nello stesso sogget-
to si uniscano il potere politico e la filosofia ( Repubblica , V, 473 C 1 1 - D 3).
Per queste ragioni, che allora prevedevamo e temevamo, abbiamo detto, costretti
dal vero, che né una città né una costituzione e ugualmente nemmeno un essere
umano si sarebbero mai compiutamente realizzati prima che questi filosofi, pochi
e non malvagi, oggi ritenuti inutili, non si trovino, volenti o nolenti, costretti dalla
sorte a prendersi cura (ÈJii|xeXii0fìvai) della città, e la città sia costretta a sottosta-
re; o prima che nei figli degli attuali signori e re, o in questi stessi, non sorga, per
qualche divina ispirazione, un vero amore per la vera filosofia ( Repubblica , VI,
499 A 11 - C 2).
L'azione dei filosofi non può che essere radicale. In effetti, Platone dice che
il filosofo, se decide di dedicarsi alla cura della città, la prenderà come se
fosse una tavolozza e, per prima cosa, cercherà di renderla pulita, un lavo-
ro di purificazione difficile ma necessario; solo dopo si potrà pensare alle
leggi ( Repubblica , VI, 500 D - 501 B). Ma proprio questo rischia di far
apparire tale modello una pura costruzione intellettuale, un sogno che non
può essere in nessun modo realizzato. Pertanto, Platone sottolinea che non
bisogna definire impossibile questa città:
se così fosse, sarebbe giusto che fossimo derisi, in quanto costruiremmo castelli in
aria ( Repubblica , VI, 499 C 3-5).
La cosa è ripetuta ( Repubblica , VI, 502 C), a volte persino con eccess
enfasi come quando al termine della trattazione delle donne, definisce
proposta «non solo possibile ma eccellente» ( Repubblica , V, 457 A 3),
quanto propone cose «possibili e utili» {Repubblica, V, 457 C 2).
Inoltre, Platone adombra una sorta di mito delle origini: all'inizio d
libro Vili la descrizione dei processi degenerativi viene fatta a partire d
stato "aristocratico", che quindi in qualche modo sembra aver avuto u
realizzazione, sia pure "originaria". Ma nemmeno questo gli basta: e
afferma che è realmente possibile, reale e possibile in ogni tempo, in
remoto passato che ha costretto i filosofi ad intervenire, nel presente
qualche lontana regione barbara, nel futuro, per concludere in modo netto
noi siamo pronti a sostenere con il ragionamento (xcp Xóytp) che tale costituzione
di cui abbiamo parlato c'è stata, c'è e ci sarà quando questa musa filosofica dom
ni la città. Non è impossibile che esista e non parliamo di cose impossibili; pe
ammettiamo anche noi che si tratta di cose difficili ( Repubblica , VI, 499 D 2-6).
ora cerchiamo invece di persuadere noi stessi che sia possibile e vediamo il come,
e il resto lasciamolo perdere ( Repubblica , V, 471 E 3-5).
Allora, non devi costringermi a mostrare che quanto abbiamo esposto a parole è
realizzato tale e quale nella realtà. Invece, se riusciamo a trovare come si può
governare una città in modo vicino a quanto sostenuto, afferma pure che abbiamo
trovato la realizzabilità di quello che tu chiedi ( Repubblica , V, 473 A 5 - B 1).
Quindi, non si tratta tanto di valutare la possibilità che tale città esista quan-
to di assumerla come un paradigma utile per realizzare un governo il più
possibile simile al modello. Questo è tanto più vero in quanto tale modello
si basa sul governo dei filosofi che racchiude un'altra aporia, connessa pro-
prio alla superiore condizione esistenziale realizzata da questo personaggio
che, essendo collocato "fuori della caverna", è poi costretto a rientrarvi9.
Infatti, sembra che si arrivi ad una sorta di rinuncia, collegata direttamente
alla difficile realizzabilità della città:
- Allora - disse - se è questo che gli interessa, non vorrà occuparsi di politica.
- Corpo di un cane - risposi - se ne occuperà nella sua città, e molto, ma proba-
bilmente non in patria, a meno che non ci sia un qualche intervento divino (èàv pi
9eía Tiç auußfi TÚ%r|).
- Capisco - disse -. Parli di quella città di cui proprio ora abbiamo discusso fon-
dandola, che esiste nei discorsi poiché credo che non esiste in nessun luogo della
terra.
Ma forse - osservai - il suo modello (jiapáSevyiicc) si trova in cielo per chi voglia
vederlo e in questa visione fissare la propria dimora. Non ha alcuna importanza,
quindi, se in qualche luogo una tale città esista o esisterà in futuro, perché
comunque egli si occuperà solo di questa e di nessun' altra ( Repubblica , IX, 592
A 5 - B 5).
Quindi, non ha importanza se questa città esiste su questa terra, visto che il
paradigma, di cui si occupa necessariamente il filosofo, esiste nei discorsi
dedicandosi per lo più alla filosofia, ma quando è il loro turno anche alle
cure pubbliche
non perché è una cosa bella ma perché è necessaria ( Repubblica , VII, 540 B 3-4).
Così vivrà il filosofo: una volta morto, andrà nelle isole dei Beati, mentre
la città lo onorerà come essere divino. Questo riconoscimento gli va quin-
di attribuito dopo la morte per una ragione logica, che spiega anche il suo
"necessario" impegno: in vita il filosofo non può mai uscire del tutto dalla
dimensione umana e sociale, cioè in senso pieno non è mai "fuori dalla
caverna". Per questo non può disinteressarsi della politica. Lo dice esplici-
tamente Platone, parlando del filosofo che, vista la situazione, decide di
dedicarsi esclusivamente all'attività teoretica:
- E già andandosene in questo modo non avrebbe compiuto impresa da poco, notò.
- Ed io: Certo, ma non la cosa più importante, dal momento che non ha incontra-
to uno stato come si deve. Se l'avesse incontrato, sarebbe cresciuto ancor più dal
punto di vista morale e avrebbe fatti salvi, oltre ai propri interessi, anche quelli
della collettività ( Repubblica , VI, 497 A 1-5).
In sostanza, se la polis non è sana, il filosofo non può vivere la vita miglio-
re. Per questo se è costretto ad occuparsi di politica, non vive affatto "peg-
gio". Certo, deve piegarsi ad una necessità e ad una rinuncia, ma sono
responsabilità che gli spettano come uomo, come essere "divino" che però
non è dio. Così fa la cosa più importante, salvando la comunità, e crea le
condizioni per essere lui stesso migliore.
Questa sottolineatura dei limiti non riguarda solo il filosofo in quanto
tale, ma si riverbera anche sulla sua operazione politica che, come abbia-
mo visto, vive in una costante tensione tra teoria e prassi: il modello idea-
le non può essere applicato meccanicamente. Il politico deve per prima
cosa considerare due aspetti: a) ciò che per natura è giusto, bello e così via,
In questo dialogo Platone chiarisce sia il limite del modello primo sia la
molteplicità dei modelli proponibili sia la funzione che essi dovrebbero
avere.
noi esercitiamo su di loro [gli animali] potere, in quanto dotati di una natura
(yévoç) migliore (Leggi, IV, 713 D 5).
Anche ora questo logos ci insegna, dicendo il vero (<xA.Tļ0eia), che le città rette non
da una divinità ma da un mortale non possono scampare dai mali e dalle sofferen-
ze, ma bisogna imitare (^eìo9ai) con ogni mezzo la vita attribuita ai tempi di
Crono e, obbedendo in pubblico e in privato a quella parte di noi che è immorta-
le, governare le case e le città. All'azione direttiva della ragione (voû) noi diamo
il nome di legge (Leggi, IV, 713 E 3 - 714 A 2).
10 Platone riafferma più volte che l'azione direttiva della ragione, il A.oytopóç. è la base
che giustifica il continuo parallelismo tra sfera pubblica e sfera privata.
viene riproposto con forza proprio perché occorre per realizzare l'imita-
zione:
Qui non solo si ribadisce la natura "seconda" del paradigma proposto nelle
Leggi, ma si chiarisce anche che questo non è totalmente diverso dal primo,
ma è il modello che gli è il più vicino possibile, appunto di secondo livel-
lo, per cui può essere seguito da uno di terzo e così via, sempre "meno vici-
ni" al prototipo perfetto e immortale. Il fatto che il "secondo" sia tuttavia
un paradigma ideale spiega perché anche in questo caso molti obietteranno
che il legislatore sembra aver operato «quasi parlando in sogno o plasman-
do come cera la città e i cittadini» (Leggi, V, 746 A 7-8) e il legislatore potrà
appellarsi al suo buon diritto di costruire il modello (jtapáôevyiia, Leggi, V,
746 B 7) basandosi su ciò che c'è di meglio, anche se non si nasconde le
difficoltà:
Che dire di chi loda o biasima una qualsiasi società umana, che è per natura desti-
nata ad essere guidata da un capo e grazie ad esso ha valore, se non l'ha vista mai
organizzata e in sé ordinata da un capo, ma sempre in preda all'anarchia o retta da
cattivi dirigenti? Possiamo forse ritenere che osservatori di tali società come questi
possano essere attendibili in quel che approvano o criticano? (Leggi, I, 639 C 1-6).
E come è possibile, se non ne hanno mai vista una né hanno mai partecipato a una
di queste società ben organizzate? (Leggi, I, 639 C 7 - D 1 ).
a prescindere dalla settima: quella, infatti, deve essere separata da tutte le altre
forme di governo, come un dio dagli uomini ( Politico , 303 B 3-5).
Ora, non ho definito "servitori delle leggi" quelli che sono chiamati "magistr
per inventare termini, ma perché sono convinto che soprattutto in questo ris
tanto la salvezza quanto la rovina della città (Leggi, IV, 715 C 6 - D 4).
In effetti, ci sono due forme costitutive della città (jtoXixeiaç eïôri): l'attrib
zione delle cariche ai singoli e le leggi connesse alle cariche (Leggi, V, 735 A
5-6).
Due forme (eīStļ) si svolgono nell'ordinamento della città: in primo luogo, l'isti-
tuzione delle cariche e dei relativi magistrati, quante devono essere e come eleg-
gerle; poi la connessione a ciascuna carica di leggi, di quel tipo e numero e natu-
ra che è adatto ad ognuna di esse (Leggi, VI, 751 A 4 - B 2).
14 Vegetti parla di una funzione critica, di una capacità di giudicare l'esistente: «Platone
disegna così un circolo dialettico fra utopia, progetto e rivoluzione, spesso dimenticato
dalle utopie e dalle rivoluzioni antiche e moderne che a lui si sono in qualche modo ispi-
rate. Nessuna utopia ha senso se non dà luogo a un progetto, nessun progetto ha senso se
non è orientato verso un telos paradigmatico, ma nessuna prassi può esaurire il telos e chiu-
dere il circolo dell'esistente» (M. Vegetti, L'etica degli antichi, Laterza, Bari 1989, 19902,
p. 127).
Dunque, bisogna collaborare sempre con la bellissima regola della legge. Ma, per
quanto il ragionamento (Xoytanoß) sia bello, esso è pacifico e non violento; la sua
regola ha bisogno di aiutanti, perché il genere aureo vinca in noi gli altri {Leggi,
1,645 A4- B 1).
Il singolo cittadino, accolto interiormente il vero significato dei fili, dovrà vivere
in coerenza con questo; la città, accogliendolo da qualche divinità o da uno che ne
abbia conoscenza, postolo come legge, dovrà relazionarsi a sé e alle altre città
(Leggi, I, 645 B 4-8).
questo è uno (non il minore) di questi punti nevralgici in cui risiede la salvezza o
la rovina della costituzione (Leggi, XII, 945 C 6 - D 1).
Sai bene che, fermo restando che per noi è retta solo questa forma di govern
cui abbiamo parlato, le altre, per salvarsi, devono utilizzare, scrivendole, le le
di questa, imponendo ciò che oggi si loda, anche se non è la cosa più giu
( Politico , 297 D 4-7).
Di tutte quante le altre di cui parliamo, bisogna affermare che non sono legittime
anzi, che non sono neppure vere e proprie forme di governo, ma imitazioni d
costituzione retta, e quelle che diciamo dotate di buone leggi la imitano al meg
le altre al peggio ( Politico , 293 E 2-5).
Le altre costituzioni devono essere considerate imitazioni di quella, come anc
poco fa è stato detto, che la imitano le une nelle cose migliori, le altre nelle p
giori ( Politico , 297 C 2-4).
Per Platone la legge va lodata anche se non è la cosa giusta , perché pro
ne una struttura di norme che imitano, meglio o peggio, il sistema di norm
assolute che costituisce il paradigma. Queste leggi rimangono solo imit
zioni perché sono statiche, cosa esplicitata dal testo con la classica figu
della scrittura16.
Questa prima polarità di giudizio può essere compresa come distinzi
ne tra l'ottimo e l'adeguato: ottimo è lo stato ideale, l'applicazione de
15 La sottolineatura del ruolo della legge è presente fin dalle prime opere platonic
Nell'Apologia Socrate simula un dialogo con Meleto, teso a mostrare che il suo accusa
re fa credere di essersi occupato di cose che ha sempre ignorato. Per questo gli chiede
rende migliori i giovani. L' "interlocutore" prima tace, poi indica le leggi, ma Socrate, st
pito per la risposta, ribadisce che la sua domanda riguarda un "uomo", anche se imme
tamente sottolinea che costui per prima cosa deve conoscere le leggi (. Apologia , 24 C
per il Critone , cfr. quanto diciamo, infra , alla nota 19.
16 Su questo nesso, molto insistito nel testo del Politico , cfr. quanto diciamo in Arte , pp
281-282.
Perché mai, allora, è necessario fare leggi, visto che la legge non è la cosa più giu-
sta? Bisogna scoprirne la causa ( Politico , 294 C 10 - D 1).
Una risposta è quella già vista, basata sul "buon senso": occorrono reg
di massima, visto che non è possibile fornire a tutti e in ogni momento in
cazioni individuali adeguate. Ma questo non basta, perché presenta la leg
come "un male minore", mentre Platone sostiene che si tratta di un ben
In effetti, la trattazione della legge, che nel Politico appare volutamente
complicata, nasconde la presenza di due modelli di leggi, giocati in mo
chiaro ma senza mai dire che sono due. Il primo tipo di leggi è voluto c
tro la scienza da cittadini spaventati dal potere degli esperti, contro i q
si appellano alla decisione della maggioranza, il secondo è proposto
saggi, che si propongono di imitare la norma scientifica e che le han
profondamente meditate, controllate, sottoposte al giudizio del popolo:
Dunque, queste leggi, scritte da uomini sapienti, per quanto è umanamente possibi
le, saranno, nei propri singoli comparti, imitazioni della verità ( Politico , 300 C 5
Queste leggi sono intrinsecamente diverse da quelle altre che pure han
lo stesso nome di "legge". Basta elencare le caratteristiche che il testo attri
buisce all'uno e all'altro tipo per verificarlo:
Per questo Platone dopo aver descritto le leggi (del primo tipo) in modo
negativo conclude che la loro presenza accentua l'irrazionalità delle scelte
al punto che la vita, già dura, diviene del tutto insopportabile (298 A - 299
E). Questo sistema di norme è giustamente definito autoritario, ignorante,
contrario ad ogni miglioramento (294 B-C), caratteristiche che certamente
non possono essere attribuite a una legislazione che si propone di imitare
la scienza e che è un bene da rispettare, non "un male minore".
18 Per approfondire il tema, cfr. quanto diciamo in Arte, pp. 144-164, 276-282.
Che nessuno dei cittadini osi fare nulla contro le leggi, che chi l'abbia osato sia
condannato a morte ed a tutti gli estremi supplizi. Ed è questo il principio più giu-
sto e più bello, da assumere come secondo, dopo che si è messo da parte il primo
di cui si è appena parlato ( Politico , 297 E 1-5).
Credo, infatti, che chiunque osi violare queste leggi, basate su una lunga espe-
rienza e sul parere di uomini che le hanno meditate con cura anche nei particolari
realtà noi possiamo costatare che fin dalle prime opere la questione della legge emerge
come centrale, il che non dovrebbe stupire nell'allievo di Socrate. Infine, a mio avviso, il
Critone si capisce molto meglio come precoce presentazione mitica di un tema decisivo,
fatta in parallelo con opere come Apologia ed Eutifrone, dentro un progetto protrettico pro-
posto da un maestro maturo che vuole utilizzare lo scritto malgrado le sue già riconosciu-
te debolezze.
21 Politico, 300 B-C; in questo caso l'obbligo è espresso in modo tale da manifestarne
la sua non naturalità, tramite il concetto di "seconda navigazione" ( Politico , 300 C 1-3).
Si fa l'ipotesi che nasca un vero scienziato, che non avrà bisogno di leg
l'intelligenza non deve subire schiavitù, ma deve comandare, basta che
basi sul vero e sia libera. Ma poiché questo evento non si verifica, biso
ripiegare su una seconda possibilità, la legge che considera solo ciò ch
succede "di solito". Non si sottovaluti quel "minima parte" che spiega l'
possibilità di accettare l'eccezione, confermando il quadro di caut
espresso dal Politico. Si afferma, quindi, in modo molto esplicito che
stato deve essere basato sulle leggi e non sull'avvento di personaggi ecc
zionali: tutti devono rispettare le leggi anche se queste non esprimono
necessità che è propria della scienza.
Ma anche nelle Leggi si manifesta la duplicità di figure che questa paro-
la equivoca "legge" nasconde. In primo luogo si ricorda il limite di "gen
ricità" che ogni legge ha e quindi anche le difficoltà attuative rispetto
molteplici e diversi casi particolari:
coloro che subiscono le leggi devono scusare il legislatore, perché egli, doven
prendersi cura (èjctyieÀxró^evoç) del bene comune, non potrà nello stesso tem
occuparsi dei casi privati di ciascuno; d'altra parte siano pure scusati coloro c
subiscono le leggi, che a volte verosimilmente non possono dare piena esecuz
ne alle disposizioni date dal legislatore che non conosce i casi particolari (Leg
XI, 925 E 8 - 926 A 3).
Nello stesso tempo, si ribadisce più e più volte che le leggi sono valid
vanno ricondotte alla divinità22, fino al punto di porlo come proemio d
leggi:
non ci sarà mai un legislatore così sciocco da ignorare che ci sono necessariamente
moltissime cose lasciate imperfette, tali che il suo successore dovrà correggerle in
modo che, nella città fondata da lui, la costituzione non peggiori, ma vada miglio-
rando e così l'ordine (Leggi, VI, 769 D 4 - E 2).
Amici, salvatori delle leggi, noi in ogni settore su cui legiferiamo lasceremo lacu-
ne - è infatti inevitabile. Però, per quanto possiamo, non tralasceremo gli aspetti
importanti e la struttura d'insieme, ma, per così dire, ne daremo il profilo.
Bisognerà che voi completiate l'abbozzo (Leggi, VI, 770 B 4-8).
che dio dirige tutte le vicende umane e, oltre a dio, anche la sorte e la buona for-
tuna. Per essere meno drastici, si può dire che come terza segue la tecnica. Infatti
in caso di una tempesta ritengo che avere l'aiuto di un capitano esperto sia cosa
molto più vantaggiosa che non averlo (Leggi, IV, 709 B 7 - C 3).
quanto alla politica, dicono che abbia poco in comune con la natura, molto con
l'arte, così che anche tutta l'attività legislativa non è per natura, ma per arte, e le
cose che essa dispone non sono vere (Leggi, X, 889 D 6 - E 1).
Tale giudizio è direttamente collegato con uno analogo sul tema della divi-
nità:
costoro in primo luogo dicono che gli dèi sono prodotti dell'arte, che non esisto-
no per natura ma per certe leggi, che sono diversi da luogo a luogo, per come
hanno convenuto in ciascun luogo quelli che hanno fissato le leggi (Leggi, X, 889
E 3-5).
E inoltre dicono che altro è il bello per natura, altro per legge, che il giusto non
esiste affatto in natura, ma al contrario in proposito gli uomini hanno fra loro con-
tinue dispute, cambiando di continuo opinione. Ciò che si muta quando lo fa in
quel momento ha valore assoluto in quanto è prodotto dall'arte e dalle leggi, e non
per natura (Leggi, X, 889 E 5 - 890 A 2).
L'esito finale di questa posizione è quello stesso che Platone ha già più
volte indicato in altri dialoghi:
Se qualcosa colpisce Platone è che gli stati risultano più forti di quanto ci
si può aspettare, visto il modo in cui sono gestiti: alla fine crollano non
tanto per l'impossibilità di realizzare la scienza, quanto per colpa di politi-
ci incapaci ( Politico , 301 E - 302 B). Si tratta di un concetto su cui Platone
torna: gli stati cadono per loro colpa (Leggi, III, 683 E), a causa dei vizi e
dell'ignoranza di ciò che veramente conta nelle vicende umane (Leggi, III,
688 C-D), per cui il legislatore deve combattere l'ignoranza e diffondere la
saggezza (III, 688 E). Qui emerge l'ignoranza più grave, quella condizio-
nata dalla scelta del piacere, che spinge i soggetti ad odiare ciò che appare
buono e bello e ad amare ciò che è brutto e ingiusto:
È senz'altro chiaro che, in qualche modo, la tecnica del legiferare fa parte dell'ar-
te regia. Ma la cosa che ha più valore di tutto non è che abbiano forza le leggi, ma
l'uomo che è re consapevole (Politico, 294 A 6-8).
Quando poi <2> uno solo governa secondo le leggi, imitando <1> colui che pos-
siede la scienza, lo chiamiamo "re", senza distinguere con un nome chi governa
da solo secondo le leggi <2.1> con scienza o <2.2.> con opinione... Se, dunque,
uno, che realmente possiede la scienza, esercita il potere da solo, gli si attribuisce
sempre questo stesso nome, "re", e nessun altro Per questa ragione, allora, tutti i
nomi delle forme costituzionali di cui ora si parlava diventano solo cinque
( Politico , 301 A 10 - B 8).
guidato dalla scienza, colui che opera sapendo il perché e essendo quind
in grado di giustificare il suo comportamento "imitativo". Ma proprio p
questa "imitazione" non va immediatamente identificato con la superior
figura del filosofo.
Quando nelle anime nasce un'opinione, vera e solidamente fondata, sul bello,
giusto, sul bene e sui loro contrari, io dico che è una realtà divina che si prod
in un genere spirituale ( Politico , 309 C 5-8).
28 Tale trattazione è evidentemente quella del Filosofo non scritto (sulle ragioni di qu
sto rinvio e sulla incompletezza di questa "trilogia" vedi quanto diciamo in Arte, pp. 3
354, pp. 369-371).
ogni uomo che vuole legiferare deve pensare in questo modo, quale numero e di
che tipo sia più adatto a tutte le città (Leggi, V, 737 E 7 - 738 A 2).
29 Socrate stesso sottolinea che tutti i discorsi precedenti non si sono occupati della
verità, che è l'unica cosa che gli interessa ( Simposio , 198 B - 199 B). Sembra possibile allo-
ra pensare che tutti abbiano mentito e/o che abbiano detto solo cose sbagliate. Proprio per
questo Platone subito precisa per bocca di Diotima, e in un passaggio puramente esempli-
ficativo e dall'apparenza quasi inutile, che ci sono tre modelli conoscitivi che non posso-
no e non devono essere ricondotti a due.
30 «La natura mortale lo spingerà sempre ad avere di più e a curare il proprio interesse,
fuggendo irragionevolmente il dolore, e cercando il piacere, anteporrà questi due a ciò che
è più giusto e più buono e, suscitando in se stesso oscurità, alla fine riempirà se stesso e
l'intera città di ogni male» (Leggi, IX, 875 B 6 - C 3).
nulla di diverso da proporre soprattutto su quel terreno a cui devono riferirsi tutti
gli altri (Leggi, XII, 962 E 7-9).
uno che non ha natura divina e che non si è impegnato nelle cose divine non sia
mai eletto custode delle leggi e nemmeno sia incluso tra quelli citati per virtù
(Leggi, XII, 966 C 8 - D 3).
Ora, è superfluo ricordare che per Platone l'uomo divino per eccellenza è il
filosofo. Infatti, la conclusione del dialogo fa dipendere tutto dalla educazio-
ne dei dirigenti e dall'instaurazione del consiglio notturno, che ha la capacità
di non disperdersi tentando mille strade, ma, guardando a un unico scopo, dirige-
re sempre ogni cosa come dardi verso di esso (Leggi, XII, 962 D 3-5).
Misura ed eguaglianza
Tuttavia, a questo punto emerge subito un problema. In sintesi, il Consiglio
notturno non è certamente fatto di filosofi, tanto meno filosofi-re, anzi l'e-
lezione dei membri del Consiglio, fatta secondo la divisione in 4 classi,
ognuna delle quali ha 90 membri, finisce inevitabilmente con il favorire le
classi più ricche e meno numerose. Tuttavia, anche nella delineazione di
questo modello istituzionale, la filosofia è presente in misura massiccia,
anche, se non soprattutto, per l'importanza che ha in questo testo la misura.
Il tema della misura, contrapposto a eccessi e difetti, emerge in primo
luogo per la questione dell'equilibrio del potere. La costituzione spartana è
lodata in quanto rappresenta un buon livello di equilibrio (Leggi, III, 691 D
- 692 A) perché un Dio fissò due re per ricondurre il loro potere ad una
certa misura (Leggi, III, 691 E 1, eiç xò pixpiov). Infatti Platone sostiene
che non si devono stabilire poteri grandi e privi di contrappesi, pensando al fatto
che una città deve essere libera, saggia e in armonia con se stessa e che il legisla-
tore deve stabilire le leggi in considerazione di ciò (Leggi, III, 693 B 2-5).
onori più grandi a chi è più grande per virtù, e a chi si trova in condizione oppo-
sta in relazione alla virtù e alla educazione dà razionalmente ciò che è dovuto a
ciascuno (Leggi, VI, 757 C 1-6).
tale elezione è una via di mezzo fra la costituzione monarchica e quella demo-
cratica, e sempre la costituzione deve essere intermedia tra queste (Leggi, VI, 756
E 9-10).
mai stati veri politici e che i "grandi" del passato risultano tali solo sul
piano tecnico, soprattutto rispetto alle evidenti debolezze degli attuali diri-
genti, ma non migliorarono affatto i cittadini. Infatti Pericle, Temistocle,
Cimone, Milziade, furono condannati da quegli stessi ateniesi che avreb-
bero dovuto rendere più giusti. Essi sono stati solo buoni servitori:
costruendo mura e porti, hanno risposto ai bisogni della città meglio di
quanto non si faccia al presente, ma, operando come pseudotecnici che non
sanno e privi dell'indicazione di un vero politico che li guidasse sulla base
della scienza, hanno commesso gravi errori e sono alla base dei presenti
mali di Atene.
Il testo approfondisce tale distinzione tra tecnico e servitore, che serve
anche a farci capire che il politico ha una serie di ulteriori attività subalter-
ne. Ci sono attività servili che si limitano a rispondere al bisogno, procu-
rando cibi, vesti e simili; operando così in certo senso curano il corpo, ma
certamente non come le arti della ginnastica e della medicina, che devono
comandare a tutte le altre e servirsi delle loro prestazioni. Tale potere deri-
va loro dal fatto che solo le scienze sanno quello che tutte le altre tecniche
subalterne ignorano.
Per evitare equivoci, si sottolinea che lo stesso vale anche per l'anima,
per cui non bisogna confondere chi non sa e opera, anche bene, ma su un
piano servile da chi sa e dovrebbe guidare gli altri. Si spiega, allora, e si
approfondisce la condanna dei "grandi" del passato che, operando senza
sapere, hanno rovinato la città così come fa necessariamente qualsiasi tec-
nico "servile" se opera senza avere la direzione di chi sa ( Gorgia , 515 C -
519 B)33.
In sostanza, qui troviamo spiegato l'accenno fuggevole svolto in
Apologia: mentre il vero politico cura la natura della polis il servitore è
attento solo al suo successo.
A conferma di questa divisione teorica, ci sono le parole di Callide, che
illustra le convinzioni di fondo, etico-politiche, di una intera generazione
di "politici". Dovendo necessariamente tralasciare gli aspetti etici dello
scontro, ricordiamo in particolare:
a) in natura prevale il più forte, con la conseguente svalutazione della
legge che è stata imposta da uomini deboli i quali, per proteggersi,
dichiarano di amare l'uguaglianza ( Gorgia , 483 A - 484 C);
33 II risultato di tale situazione, prevede Socrate con una classica profezia post factum,
è paradossale: nel momento in cui i nodi giungeranno al pettine, di fronte a crescenti diffi-
coltà il popiti o attaccherà i politici del tempo presente, come Alcibiade e forse lo stesso
Callide, lodando gli antichi che sono, invece, la vera causa del male attuale.
34 Va però sottolineato che, mentre nei passi precedenti Platone parla di Bepoureia, qui
improvvisamente emerge il termine della cura proprio nel momento della domanda diretta
rivolta a Callide, che serve per ribadire la caratteristica propria del politico: «Una volta
giunto ad occuparti della città, ti prenderai cura (¿JtifieXiVrn) di noi in qualche altro modo
o renderai noi cittadini il più possibile migliori? Non abbiamo già più volte convenuto che
l'uomo politico deve fare questo?» (515 B 8 - C 3); cfr. anche È7n,|ieÀ,r|Tf|ç, 516 B 1;
ènejiéX£xo, 516 B 8; èîtepstevra, 516 C 1; èmueXeioGai, 520 A 4.
Socrate - Credi che sia un bene fare ciò che pare meglio a uno che non ha co
scenza? E questo tu lo chiami un grande potere? ( Gorgia , 466 E 9-11).
ciascuno mette ogni elemento in un certo ordine e procura che una cosa sia
armonia e si adatti all'altra, fino a che il tutto risulti un oggetto regolare e ordin
to ( Gorgia , 503 E 6 - 504 A 1).
che il fine di tutte le azioni è il bene e che bisogna fare tutte le altre cose in vista
del bene ( Gorgia , 499 E 8-9).
Che il Bene sia causa finale è ovvio e più volte detto da Platone35. Anche
nelle Leggi viene subito indicato come fine il sommo bene (toû oplatou
ëvEKa, Leggi , I, 628 C 6). Questo viene poi chiarito come un insieme di
«pace reciproca e benevola concordia» {Leggi, I, 628 C 10-11), tanto che
risulta meglio dire che non è un bene ma una necessità. In caso contrario,
si dovrebbe dire che un corpo sta meglio quando è malato ed è sottoposto
alle cure e non quando sta bene ed è privo di disturbi. Il politico, anche da
questo punto di vista, appare colui che si "prende cura" della polis.
Ancora, per quanto riguarda il fine del legislatore, questi opera perché
la città che riceve le leggi sia libera, concorde in se stessa e dotata di intelligenza
(Leggi, III, 701 D 8-9).
Tuttavia, Platone non è "statalista" in quanto per lui non c'è vero contrasto
tra interesse pubblico e privato:
è necessario che gli uomini stabiliscano leggi e vivano secondo leggi, oppure non
differiranno affatto dalle bestie più feroci. La causa di tali necessità è questa: la
natura di nessun individuo è di per sé adeguata a riconoscere ciò che serve agli
uomini per vivere in società; anche ammesso che lo possa conoscere non sapreb-
be né vorrebbe sempre agire per il meglio. Soprattutto è difficile comprendere che
una vera arte politica necessariamente si occupa non dell'interesse privato, ma di
quello comune. Infatti, mentre l'interesse comune lega, quello privato disgrega le
città. Però, non è facile comprendere che privilegiare la cosa pubblica rispetto a
quella privata torna a vantaggio dell'interesse comune e di quello privato, di
ambedue (Leggi, IX, 874 E 8 - 875 B 1).
guardando a quello che è il sommo bene per tutta la città e per la famiglia, guar-
dando tutto questo farà leggi, giustamente relegando tra le parti di minore impor-
tanza l'interesse di ogni singolo (Leggi, XI, 923 B 4-6).
36 D'altra parte, anche sul piano di una visione "etica", Platone sottolinea che è meglio
"recuperare" e non eliminare: ad esempio, parlando dei fratelli in conflitto, sottolinea che
"dal punto di vista della virtù" il giudice migliore "ammesso che esista" non elimina i mal-
vagi, ma li riappacifica attraverso le leggi e diviene poi custode (7capa(p')taxTT£iv) della loro
reciproca amicizia (Leggi, I, 627 E - 628 A). Analogamente per lo stato bisogna stare atten-
ti soprattutto alla guerra interna che non deve sorgere o che deve finire quanto prima: è
bene passare alla concordia non attraverso la vittoria di alcuni e la morte di altri, ma per
riconciliazione (Leggi, I, 628 B).
Noi dunque diciamo che, a quanto risulta, una città, la quale voglia salvarsi
essere felice (evSoHļiovrjaeiv), almeno per quanto può l'essere umano... {Leggi,
697 A 10 -B 1).
se la città deve avere, il più velocemente e nel modo migliore possibile, una co
tuzione, con il possesso della quale vivere nella massima felicità
(evôaipovéatata) (Leggi, IV, 710 B 5-7).
La premessa delle nostre leggi mirava a questo, che i cittadini siano massima-
mente felici (eúSai^ovéaxaxoi) e realizzino la massima concordia reciproca
(Leggi, V, 743 C 5-6).
per il fatto di prendersi cura solo dei maschi, egli alla fine riserva alla città un'esi-
stenza felice (£Ù8aÎ1iovoç) solo a metà invece del doppio (Leggi, VII, 806 C 5-7).
dare consigli sul bello, sul buono e sul giusto, dare insegnamenti sulla loro natura
e sull'uso che ne devono fare coloro che aspirano ad essere felici (eīiSaiļiooiv)
(Leggi, IX, 858 D 6-9).
In effetti, uno stesso principio d'ordine connette una vita buona a una città
buona e garantisce, a parere di Platone, la felicità:
37 Cfr. ad esempio Leggi, IV, 709 C 7-9; IV, 713 B 2-4; IV, 713 E 1-3; IV, 718 B 3-5;
VII, 816 C 7 - D 2; XII, 945 D 3-4.
Diciamo, allora, che questo è il compimento del tessuto, ben intrecciato, dell'a-
zione politica: la tecnica regia, prendendo il comportamento degli uomini valoro-
si e quello degli uomini temperanti, li conduce a una vita comune, in concordia e
in amicizia e, realizzando il più sontuoso e il migliore di tutti i tessuti, avvolge tutti
gli altri, schiavi e liberi, che vivono nelle città, li tiene insieme in questo intreccio,
e governa e dirige, senza trascurare assolutamente nulla di quanto occorre perché
la città sia, per quanto possibile, felice (etifkxijiovi) {Politico, 311 B 7 - C 5).
la polis non sarà mai felice se non la disegneranno quei pittori che si valgono di
un paradigma divino ( Repubblica , VI, 500 E 2-4).