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1. Ci sono libri che lasciano il segno, che non possono non stimolare ri-
flessioni, che suscitano e alimentano la discussione, non solo fra e per gli
addetti ai lavori, ma anche per chi ama coltivare una sana curiositas per il
passato, se non addirittura e perfino per quell’invenzione anglofona del
general reader, di cui tanto oggi si auspicherebbe l’esistenza e anzi la dif-
fusione capillare. E questo testo di Giuseppe Cambiano, riproposizione
attesa e benvenuta de La filosofia in Grecia e a Roma (dopo tanti, troppi
anni dalla prima edizione Laterza, nel lontano 1983), merita di essere col-
locato in una categoria così utile e importante1.
Non è infatti un resoconto piatto di un sapere cruciale come quello
dell’antichità classica, ma una presentazione attenta, in più punti vivace
e insieme trasversale di temi centrali delle filosofie antiche. Cambiano
colloca subito la sua posizione in discontinuità rispetto a modelli di let-
tura del mondo antico di grande impatto, primo fra tutti quello di Pierre
Hadot2. Nonostante gli indubbi meriti dello studioso francese, Cam-
biano mette in guardia dal rischio di cadere in analisi evanescenti, anzi
perfino edificanti, troppo debitrici di posizioni storicamente circoscritte
(quelle di Seneca, Epitteto e Marco Aurelio) poi estese quasi come una
chiave di ricerca universale a tutte le correnti filosofiche antiche, ma
soprattutto ancorate a un’immagine di fondo sostanzialmente religiosa.
Cambiano non vuole istituire linee di continuità automatiche fra dog-
mi filosofici e comandamenti della tradizione monastica, perché ciò fa
perdere di vista la pluralità delle opzioni antiche, il loro carattere com-
petitivo e soprattutto la dimensione argomentativa, la forza dei lógoi o
discorsi. Porre attenzione all’aspetto argomentativo significa rompere
ogni forzata «patina di uniformità» alla Hadot (p. 10) e scoprire che il
discorso filosofico antico si rivela coessenziale alla pratica di vita, che
1
G. Cambiano, I filosofi in Grecia e a Roma. Quando pensare era un modo di vivere,
Bologna, Il Mulino, 2013.
2
Per analoghe osservazioni critiche sulla lettura di Hadot, cfr. anche C. Horn, L’arte
della vita nell’antichità. Felicità e morale da Socrate ai neoplatonici, a cura di E. Spinelli,
Roma, Carocci, 2004.
«Iride», a. XXVII, n. 73, settembre-dicembre 2014 / «Iride», v. 27, issue 73, September-December 2014
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3
Per una serie di riflessioni interessanti sugli albori della filosofia in Grecia cfr. anche
M.M. Sassi, Gli inizi della filosofia: in Grecia, Torino, Bollati Boringhieri, 2009.
4
Ottime considerazioni al riguardo in E. Berti, Sumphilosophein. La vita nell’Accade-
mia di Platone, Roma - Bari, Laterza, 2010.
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5
Cfr. la chiusa dell’Epistola a Meneceo, 135, nonché, su questa forma speciale di
«assimilazione a Dio», le considerazioni di M. Erler, Epicurus as deus mortalis. Homoiosis
theoi and Epicurean Self-Cultivation, in D. Frede e A. Laks (a cura di), Traditions of Theo-
logy. Studies in Hellenistic Theology, Its Background and Aftermath, Leiden - Boston, Brill,
2002, pp. 159-181.
6
Seneca, Epistola 96, 5 (Lucio Anneo Seneca. Lettere a Lucilio, a cura di U. Boella,
Milano, TEA, 1994, p. 765).
7
Per alcuni spunti interessanti si veda S. Maso, Filosofia a Roma. Dalla riflessione sui
principi all’arte della vita, Roma, Carocci, 2012.
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al «sortilegio» del mondo sensibile, in una fuga dalle cose che pone la
felicità unicamente nell’anima (non discesa) e nel suo ritorno all’Uno,
in un’estasi «da solo a solo». A questo spazio plotiniano ancora e solo
filosofico si aggiunge e forse perfino si sostituisce, nel successivo neo-
platonismo, ad esempio in Giamblico e Proclo, una svolta teurgica, che
sposta il baricentro della vita del sapiente verso la magia, la preghiera,
le pratiche religiose, mezzi privilegiati per il contatto con la divinità, fin
quasi all’equiparazione fra il filosofo pagano e il santo cristiano8. Come
sottolinea giustamente Cambiano, però, «il cristianesimo segnò la fine
della figura del filosofo e della pretesa del primato avanzata dalla vita
filosofica» (p. 46), in quanto faccenda solo umana, legata al peccato su-
perbo di una curiosità inopportuna, vana, che disconosce Dio, come
mostra Paolo, e, come dice Clemente Alessandrino (che pure reinte-
gra buona parte della filosofia pagana, cristianizzandola), ignora la vera,
nuova «dieta dell’anima» rivelata da Cristo, unico vero maestro interio-
re, in una prospettiva di didattica dell’interiorità fortemente ribadita an-
che da Agostino e destinata a far sì che «il monaco eremita diventava il
vero erede del filosofo puramente ideale del Teeteto platonico» (p. 51).
8
Per un panorama aggiornato e tematicamente esaustivo delle tendenze sviluppatesi
all’interno del neoplatonismo antico, cfr. ora R. Chiaradonna (a cura di), Filosofia tardoan-
tica, Roma, Carocci, 2012.
9
Per una rilettura del cinismo antico originale e politicamente orientata alla rivaluta-
zione del sé – soprattutto alla luce dello strumento dirompente della «licenza nel parlare»
o parrhesía, legata alla volontà di costruire il proprio bíos come una forma di vraie vie –,
cfr. la riflessione dell’ultimo Foucault: M. Foucault, Il governo di sé e degli altri. Corso al
Collège de France (1982-1983), Milano, Feltrinelli, 2009 e Id., Il coraggio della verità. Il
governo di sé e degli altri II. Corso al Collège de France (1984), Milano, Feltrinelli, 2011.
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10
Si tratta di un’immagine tradizionalmente legata all’epicureismo, ma forse da ricon-
siderare e ripensare, alla luce ad esempio delle conclusioni di G. Roskam, Live Unnoticed
(Lathe biosas). On the Vicissitudes of an Epicurean Doctrine, Leiden - Boston, Brill, 2007.
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11
Fino all’eccesso di una sorta di integralismo dottrinale? Così sostiene, con forza,
D.N. Sedley, Lucretius and the Transformation of Greek Wisdom, Cambridge, Cambridge
University Press, 1998.
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Per comprendere a fondo la svolta di pensiero segnata da questa nuova «età del
commento» basilari restano le pagine di P. Donini, Testi e commenti, manuali e insegna-
mento: la forma sistematica e i metodi della filosofia in età postellenistica, ora in Id., Com-
mentary and Tradition. Aristotelianism, Platonism, and Post-Hellenistic Philosophy, a cura
di M. Bonazzi, Berlin - New York, De Gruyter, 2011, pp. 211-281.
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controllo, il passato filosofico era per lui uno strumento di conferma, an-
che se solo parziale e limitato. Era infatti un passato segnato da equivoci,
ingenuità, soluzioni insufficienti» (p. 170). Questo atteggiamento di aper-
tura e selezione di posizioni precedenti si consolida in Teofrasto, in opere
perdute ma di cruciale importanza, come Sulle sensazioni e soprattutto
le Opinioni dei fisici, per non parlare della cristallizzazione di alcuni tipi
di abito morale da lui operata in un’operetta significativamente intitolata
Caratteri. Qui nasce la dossografia antica, che offre lunghi e utili elenchi
di problemi e soluzioni, di filosofi e non, contribuendo così alla formazio-
ne di un vocabolario di fondo e di un repertorio concettuale sempre più
condiviso. A questo filone s’intrecciano poi sia l’interesse per la biografia
degli autori, sia la classificazione delle scuole o hairéseis, utile a demarcare
scelte filosofiche di fondo più o meno dogmatiche, sia infine la ricostru-
zione «diadochistica» del passato mediante la successione delle cariche
istituzionali a capo delle scuole filosofiche. Qui Cambiano analizza con
cura autori forse minori, come ad esempio Sozione e le sue Successioni dei
filosofi, ma non meno cruciali per chiunque intenda occuparsi seriamen-
te del pensiero antico; né egli trascura i filoni polemici nei confronti del
passato filosofico, negato ad esempio nella netta, ma discutibile, rivendi-
cazione di indipendenza teorica sbandierata da Epicuro o «riaggiustato»,
parassitariamente e polemicamente, nelle reti di opposizioni dogmatiche
costruite dalla tradizione scettica e soprattutto da Sesto Empirico, pre-
occupato di salvaguardare l’originalità assoluta del proprio pirronismo e
pronto a riconoscere quale punto di riferimento debolmente normativo
solo le istanze della vita comune. Quando il sapere filosofico trasloca a
Roma il passato si popola di nuovi eroi: o campioni di una sapientia radi-
cata nelle leggi e nelle istituzioni (si pensi al ruolo di Scipione in Cicerone
o di Catone l’Uticense in Seneca, il quale si apre sì all’influsso del passato,
perfino epicureo, ma con la consapevolezza di avere di fronte delle guide
e non dei padroni); oppure grandi modelli greci di saldatura fra teoria
e prassi, contro ogni falso esibizionismo cinicheggiante, quali Socrate e
Diogene nelle Diatribe di Epitteto. Un altro Socrate, tuttavia, comincia
a farsi strada: quello ispirato dal demone, il cui recupero, da una parte si
lega al progetto ambizioso di Antioco, volto a ricostruire l’unità profon-
da della tradizione filosofica, da Platone agli Stoici, da cui viene espulsa,
oltre alla scuola epicurea, la «mala pianta» dello scetticismo accademico
e, dall’altra, sbiadisce di fronte alla celebrazione della potenza teorica del
«divino Platone», punto di partenza e di arrivo in Plotino, impegnato a
chiarificare il testo platonico e a liberarlo da false o pericolose interpre-
tazioni. Alla centralità platonica si affianca il ritorno a Pitagora e il pri-
mato di un sapere sacerdotale/religioso in Giamblico, mentre in Proclo è
il Platone teologo, scrittore ispirato e quasi oggetto di culto, a dominare
le fasi finali della vicenda del neoplatonismo, dopo l’ultimo, fallimentare
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Basti pensare, nella sua produzione, a Il ritorno degli antichi, Roma - Bari, Laterza,
1988; Polis. Un modello per la cultura europea, Roma - Bari, Laterza, 2007; Perché leggere
i classici. Interpretazione e scrittura, Bologna, il Mulino, 2010. Per una recente (e «militan-
te») difesa, perfino sul piano didattico, del valore dell’antico, cfr. anche L. Canfora, Gli
antichi ci riguardano, Bologna, il Mulino, 2014.
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Qui Cambiano si rifà a un giudizio, per nulla tenero invero, sull’impostazione gene-
rale delle analisi di Foucault relative al mondo antico che Hadot esprime, individuando in
essa «una nuova forma di dandysmo versione fine Novecento» (P. Hadot, Esercizi spiritua-
li e filosofia antica, Torino, Einaudi, 2002, p. 176).
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Emidio Spinelli, Dipartimento di Filosofia, Sapienza Università di Roma, Via Carlo Fea 2,
00161 Roma, emidio.spinelli@uniroma1.it.