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La maggior parte del cemento viene utilizzato per preparare la malta e soprattutto il calcestruzzo,
mentre solo una piccola parte viene utilizzata per produrre la pasta. Quest’ultima applicazione,
seppur di limitato utilizzo, viene sfruttata in numerosi lavori di tipo costruttivo, quali ad esempio i
lavori di rivestimento in galleria, di riempimento di guaine per cavi post-tesi, iniezioni di
consolidamento dei terreni…
In seguito verranno studiate unicamente le paste di cemento. Ci soffermeremo sulle reazioni che
avvengono durante l’idratazione del cemento, distinguendo la fase della presa da quella
dell’indurimento oltre a soffermarci sulle proprieta’ chimiche, fisiche e meccaniche dei cementi, e
come esse vengono influenzate dalle condizioni al contorno. Sebbene per la maggior parte del
trattato ci soffermeremo sul cemento “normale”, noto come cemento Portland, si vedranno anche i
cementi speciali, ossia quelli che possiedono particolari caratteristiche.
I calcestruzzi e le malte, allo stato indurito presentano delle proprieta’ fortemente condizionate
da quelle della pasta di cemento, mentre non e’ così quando essi sono ancora freschi. Pertanto, noto
il comportamento della pasta, sara’ possibile estendere lo studio al calcestruzzo, tenendo conto che
le sue proprieta’ oltre a dipendere da quelle della pasta, dipendono anche dalla caratteristica dei
inerti utilizzati e dalla loro interazione con la pasta di cemento.
Prima di passare allo studio del cemento ci soffermiamo a trattare i leganti aerei. Essi infatti,
seppur in piccola parte percentuale, sono contenuti nel cemento, e ad essi sono legati alcuni
fenomeni quali ad esempio l’espansione o la falsa presa del cemento. Inoltre essi sono la base
fondamentale per la produzione degli intonaci.
Con il termine di intonaco si intende una miscela intima, in opportune proporzioni, di legante
aggregati (o inerti), acqua ed eventuali additivi. Parlando di intonaco, ci si riferisce all'insieme degli
strati che lo compongono,i quali svolgono funzioni diverse: favorire l'aggrappaggio al supporto,
livellare, conferire l'aspetto finale. Concettualmente l'intonaco, assolvendo alla funzione protettiva
del supporto murario, può essere considerato come "strato di sacrificio"; infatti, sottoposto ad
innumerevoli sollecitazioni, subisce un naturale processo di decadimento. La corretta scelta dei suoi
costituenti, in relazione alle condizioni del supporto e dell'ambiente in cui è posto, permette di
allungarne la durata, come testimoniano esempi di intonaci molto antichi giunti a noi in condizioni
ancora invidiabili raffrontati ad impasti molto più recenti.
Le caratteristiche prestazionali di ogni intonaco sono principalmente dovute alla tipologia di
legante utilizzato nella preparazione; con il termine legante, si intende una sostanza in grado di
tenere tenacemente uniti ("legati") tra loro corpi diversi.
Il gesso
Il gesso che cristallizza si presenta sotto forma di cristalli aghiformi che intrecciandosi tra loro
provocano prima la presa e quindi l’indurimento dell’impasto. Spesso, nel gesso cotto, si hanno
delle particelle di gesso biidrato a causa di una non omogenea cottura della materia prima. Ciò
comporta un accelerazione del processo di presa, in quanto i cristalli di gesso idrato residui fungono
da germi di cristallizzazione.
La quantita’ d’acqua stechiometrica necessaria per la completa idratazione del gesso varia fra
18,7 e 25,4% a seconda della proporzione di semiidrato e anidrite che compongono il gesso. Un tale
impasto si presenta però poco lavorabile, e quindi si preferisce impastare il gesso con maggiori
quantita’ d’acqua, variabili fra il 30-100% in peso del legante. L’eccesso d’acqua fuoriesce
dall’impasto per evaporazione, lasciando delle microporosita’ che riducono la resistenza meccanica.
La calce
Per poter essere utilizzata come legante, la calce deve essere spenta, ossia bagnata con acqua. In
questo modo la calce viva (CaO) viene trasformata in idrossido di calcio (Ca(OH)2) secondo la
reazione:
Lasciando pertanto all’aria uno strato sottile di pasta ottenuta mescolando calce idrata ed acqua,
l’impasto diviene progressivamente piu’ consistente sino ad indurire del tutto. Il carbonato di calcio
che si forma precipita nella fase liquida sotto forma di lamelle che aderiscono fra loro. L’acqua
usata per l’impasto evapora, provocando un ritiro della pasta, che sommato alla contrazione che si
verifica durante il processo di carbonatazione, comporta il ritiro della malta indurita. Per ridurre tale
effetto viene in genere aggiunta della sabbia. Essa ha inoltre la funzione di ridurre la quantita’ di
calce usata e quindi di aumentare la velocita’ di indurimento.
Spesso, a causa di un eccesso di cottura, si formano dei granuli di calcio poco porosi, detti
calcinaroli, che quindi si idratano lentamente. Utilizzando tale calce non completamente spenta, si
verifichera’ durante il processo d’indurimento, un espansione dovuta alla lenta idratazione dei
calcinaroli, e quindi un degrado della struttura a causa del sollevamento e al distacco delle calce
indurita soprastante i calcinaroli.
La resistenza meccanica a compressione delle malte di calce e’ piuttosto modesta, dell’ordine di
qualche N/mm2, e quindi nettamente inferiore a quelle raggiungibili per esempio con i cementi. Il
motivo di ciò e’ che la reazione di carbonatazione non investe tutta la calce idrata presente anche
dopo lunghissimi tempi di stagionatura all’aria. Per questo motivo la calce viene impiegata solo per
lavori di finitura o per intonachi.
Il carbonato di calcio e’ solubile in acqua, pertanto tale calce non può essere utilizzata a contatto
con l’acqua. Per questo motivo viene detta calce aerea.
La calce idraulica
Tale calce a differenza della precedente possiede discrete proprieta’ idrauliche e ciò e’ dovuto al
fatto che oltre all’ossido ed idrossido di calcio contiene delle sostanze capaci di indurire e di
resistere all’azione dilavante dell’ acqua.
Esistono diversi tipi di calci idrauliche che si differenziano per la diversa natura delle materie
prime. Il primo tipo di calce idraulica fu prodotto sottoponendo ad idratazione il prodotto derivante
dalla cottura dei calcari argillosi naturali. Per presenza di silice ed allumina nelle argille si formano,
durante la cottura a temperature non superiori ai 900°C, il silicato bicalcico (2CaO·SiO2) e
l’alluminato monocalcico (CaO·Al2O3). Mescolati con l’acqua tali prodotti induriscono.
La qualita’ delle calci idrauliche viene valutata per mezzo dell’indice di idraulicita’ i, variabile
normalmente tra 0,1 e 0,5 e definito come (fra parentesi sono indicate le percentuali di massa):
CEMENTO PORTLAND
Se è vero che è impossibile produrre un calcestruzzo in assenza di uno dei suoi tre costituenti
principali - acqua, cemento ed aggregati lapidei - è anche vero che il cemento è il cuore del
calcestruzzo. Esso giuoca il ruolo del protagonista al punto che le opere in calcestruzzo sono spesso
chiamate, sia pure impropriamente, “opere in cemento”.
Nella sua essenza il cemento è una polvere che, mescolata con acqua in proporzione di circa 2:1, è
in grado di produrre una massa (pasta) facilmente modellabile che nel giro di qualche ora si
rapprende perdendo la sua iniziale plasticità (presa) e successivamente, nel giro di un giorno,
assume la rigidità tipica di una pietra naturale ed è capace di resistere ad apprezzabili sollecitazioni
meccaniche (indurimento).
Il cemento Portland è un insieme di composti, ottenuti per miscelazione e cottura di materie
prime, costituito per la maggior parte da calce (CaO), silice (SiO2), allumina (Al2O3) e ossido di
ferro (Fe2O3) oltre ad elementi secondari (MgO, TiO2, Mn2O3, K2O, Na2O e altri fluoruri, fosfati,
solfati…). Si riportano le loro proporzioni caratteristiche contenute nel cemento Portland:
Ossidi Contenuto %
CaO 60 - 67
SiO2 17 - 25
Al2O3 3-8
Fe2O3 0,5 - 6
MgO 0,1 - 4
Alcali 0,2 - 1,3
SO3 1-3
La quantità dei vari ossidi è presente già nella materia prima. E’ pertanto fondamentale miscelare
le materie prime in modo pesato al fine di ottenere una composizione corrispondente alla tabella.
Rimandando al seguito la trattazione sul processo di produzione del cemento Portland, ci
soffermiamo qua sui composti presenti nel cemento anidro (clinker) uscente da tale processo.
I composti principali del clinker sono:
La presenza delle impurità incide notevolmente sulle proprietà chimico-fisiche (vedi seguito) dei
costituenti del cemento e quindi del cemento nel suo complesso. Una rilevazione diretta di tali
composti è molto difficile. Ciò è dovuto al fatto che sono un insieme di strutture cristalline e amorfe
formatesi durante il raffreddamento del materiale fuso e durante l’iterazione tra fase liquida e solida
nel forno.
Come logico, differenti composizioni costituiranno cementi con caratteristiche chimico-fisiche
diverse. Per poter confrontare tutte le specie di cementi, e non solo il cemento Portland, si rende
quindi necessaria l’introduzione di normative (variano da Paese a Paese). Ovviamente esse devono
basarsi su proprietà univocamente determinabili nei cementi quali l’analisi chimica (contenuto di
ossidi) o le proprietà meccaniche dei provini. Si escludono quindi a priori le proprietà non stimabili
univocamente quali le modalità di impasto, rapporto acqua/cemento, condizioni di stagionatura,
ecc..
Le materie prime grezze (es. calcare, argilla, scisti, marnebia) vanno macinate.
La macinazione del materiale grezzo può essere effettuato sia in acqua che a secco. La scelta del
processo dipende dalla natura delle materie prime usate. A titolo d’esempio il calcare va macinato
per via secca, mentre le argille per quella umida.
La poltiglia o la farina cruda inumidita, va immessa nel forno.Come abbiamo visto precedentemente
nel cemento Portland esistono composti non presenti nelle calci idrauliche. Questo perche’ la
temperatura di cottura per il cemento e’ di gran lunga superiore a quella usata per la calce. Il forno
per la produzione di cemento è un cilindro d’acciaio messo in rotazione, di diametro massimo di 8m
e lungo circa 200m, con l’ asse inclinato di 3-5º. Nella parte inferiore del cilindro, rivestito con
materiale refrattario, avviene la combustione. Lo scopo è quello di riscaldare l’aria, che fluirà nel
cilindro. Affinché si possano raggiungere temperature di 1400-1500°C, necessarie per la cottura
delle materie prime, bisogna preriscaldare l’aria. Si ricorda infatti, che la massima temperatura che
riescono a possedere i fumi, è determinato dal potere calorifico del combustibile, e tale temperatura
può essere aumentata solo mediante preriscaldamento dell’aria in ingresso della camera di
combustione. E’ fondamentale che il combustibile utilizzato nella camera di combustione non
emetta ceneri (al limite sono accettate quantità ridotte), infatti esse fluirebbero assieme ai fumi (aria
calda) nel forno, andando ad interagire con il materiale primario immesso dalla parte superiore del
forno e che lentamente discende il cilindro.
La temperatura presente all’estremità superiore del forno è ovviamente inferiore a quella
dell’estremità inferiore, ed il suo andamento lungo il condotto, è conforme ad uno scambiatore di
calore con fluidi in controcorrente. L’andamento crescente delle temperature riscontrate nel
procedere del materiale verso valle comporta una successione di reazioni interne alle materie prime
che possono così rappresentarsi:
Dapprima avviene l’evaporazione dell’acqua e la liberazione dei gas presenti nel
materiale. (Nel processo a secco, essendoci minor quantità d’acqua, l’evaporazione si
esaurisce prima. E’ così possibile utilizzare forni di lunghezze notevolmente inferiori
con conseguente risparmio di energia da fornire per il riscaldamento dei fumi) Raggiunti
i 500-600 ºC i minerali argillosi presenti nel materiale, iniziano a liberare l’acqua di
composizione. In altre parole iniziano a decomporsi (es. la caolinite Al2O3*SiO2*2H2O
si decomporrà in metacaolino 2SiO2*Al2O3). Attorno ai 600-700 ºC, il calcare (CaCO3)
inizia a decomporsi e per reazione con le argille si forma C2S e C3A. La massima
decomposizione del calcare in CaO avviene attorno ai 1100°C. L’elevata quantità di
CaO libera a 1100-1200°C, porta soprattutto alla formazione di C3A e C4AF. Inoltre, la
quantità di C2S raggiunge il massimo. A circa 1250 ºC, inizia a formarsi la fase liquida
costituita prevalentemente da C3A e C4AF ed in parte minore da CaO. All’ aumentare
della temperatura, la percentuale di fase liquida aumenta sino a raggiungere i 20-30% a
1450-1500 ºC. Nell’intervallo 1250-1500 ºC avviene una progressiva formazione di
C3S che si separa dalla fase liquida per reazione fra C2S e CaO.
L’insieme delle reazioni, porta a circa 1500 ºC, alla formazione di piccole sfere (3-25mm di
diametro) dette clinker.
Per impedire la trasformazione dei composti presenti nel clinker per lento raffreddamento, e
soprattutto dei silicati di calcio, è necessario “temprare” il clinker. Tale rapido raffreddamento
avviene all’uscita del forno. Il calore emesso in questa fase va a preriscaldare l’aria.
Il clinker freddo possiede un colore nero lucente ed è composto dai medesimi composti formatisi
per cottura delle materie prime. Per ottenere il cemento Portland si aggiunge al clinker l’1-2% di
gesso (CaSO4) (motivo vedi seguito). Il tutto viene macinato sino ad ottenere una polvere fina che
va confezionata, in pacchi di carta, e venduta.
E’ fondamentale che la polvere di cemento sia finissima. Solamente così è infatti possibile ottenere
una buona idratazione (vedi seguito), dovuta alla grande superficie di solido sottoposta all’azione
dell’acqua. A tal scopo vanno aggiunti degli additivi coadiuvanti di macinazione (trietanolammina,
lignisolfonato, ecc.). Essi hanno essenzialmente lo scopo di ridurre l’impacchettamento del cemento
in polvere che altrimenti provocherebbe indesiderati fenomeni di agglomerazione ostacolando il
flusso di quest’ultima nei mulini di macinazione. Analogamente vanno aggiunti altri additivi con lo
scopo di migliorare delle proprietà del cemento in fase d’impiego.
Fig 2 Velocita’ di idratazione dei silicati Fig. 3 Resistenze meccaniche dovute ai silicati
C2S V1
+ H 2Ofi C - S - H + CH (1)
C3S V2
In realtà il processo di idratazione (1) avviene con una velocità (V1) minore se si tratta del C2S, e
maggiore (V2>V1) se si tratta del C3S. Inoltre, la quantità di calce prodotta per idratazione (CH) è
maggiore se riferita
† all’idratazione del C3S (30-40%) che non a quella del C2S, meno ricco di
calcio (10-15%).
Tuttavia, la reazione chimica (1), da sola, non è in grado di spiegare perché una pasta di C3S o di
C2S (e quindi di cemento Portland) si trasforma gradualmente dalla iniziale massa plastica ad un
materiale rigido e duro come una pietra. In realtà, tra i due prodotti della reazione, solo il C-S-H è
determinante per l’indurimento, mentre la calce contribuisce in modo trascurabile a questo
processo. Il C-S-H, ancorché si presenti in forme particellari diverse, è di natura prevalentemente
fibrosa. Con il progredire della reazione (1), le fibre di C-S-H formatesi sui granuli di C3S o C2S
adiacenti, prima si toccano e poi si intrecciano tra loro. Nella Fig. 4 sono schematicamente illustrati
tre stadi del processo di idratazione: subito dopo il mescolamento quando la reazione non è ancora
sostanzialmente partita ed il sistema è relativamente fluido (A); l’inizio della presa quando le fibre
cominciano a toccarsi tra loro ed il sistema perde la sua plasticità iniziale (B); l’indurimento in atto
quando le fibre, allungatesi per la progressiva idratazione dei silicati, si intrecciano tra loro e
provocano l’irrigidimento del sistema.
Con l’ausilio del microscopio elettronico a scansione si può notare, come tra le fibre di C-H-S
esistano micro-cavità diffuse (denominate “pori capillari”) che influiscono negativamente tanto
sulla resistenza meccanica quanto sulla durabilità del materiale: maggiore porosità significa
maggiore permeabilità, e quindi maggiore penetrabilità del sistema cementizio da parte degli agenti
aggressivi. Per ridurre la porosità capillare, e quindi aumentare sia la resistenza meccanica sia la
durabilità, si può: ridurre - a parità di cemento (c) - il quantitativo di acqua (a) oppure - a parità di
acqua - aumentare il cemento. In entrambi i casi si riduce il rapporto a/c e quindi si predispone un
intreccio più densificato delle fibre.
C3A V3
+ H 2Ofi C - A - H (3)
C4 AF V4
dove C-A-H è la generica sigla che rappresenta una famiglia di prodotti di idratazione degli
alluminati (Calcium-Aluminate-Hydrated): C3AH6, C2AH8, C4AH13, ecc.
†
A differenza di quanto avviene per i silicati (Fig. 2-3), il C4AF e soprattutto il C3A reagiscono
rapidamente con acqua (Fig. 5) senza tuttavia contribuire significativamente allo sviluppo della
resistenza meccanica se si eccettua un rapido ma piccolo incremento durante le prime ore (Fig. 6).
In sostanza alla rapida reazione degli alluminati con acqua (a velocità V3 per il C4AF e V4 per il
C3A molto maggiore di quella V1 e V2 dei silicati) si accompagna una immediata perdita di
plasticità (presa rapida), senza un rilevante incremento della resistenza meccanica (Fig. 6). Ciò
dipende dalla morfologia dei cristalli di C-A-H, prevalentemente basata sulla presenza di lamine
esagonali o cristalli cubici, e quindi poco favorevole, come avviene invece per i prodotti fibrosi C-
S-H, allo sviluppo della resistenza meccanica.
Fig 5 Velocita’ di idratazione degli alluminati Fig6 Resistenze meccaniche dovute agli alluminati
'
C3A V3
+ H 2O + CaSO4 ⋅ 2H 2Ofi C3A ⋅ 3CaSO4 ⋅ H 32 (4)
C4 AF V4'
Come si può vedere nel processo di idratazione (4), la presenza di gesso o anidrite, come regolatore
della presa, modifica non solo la velocità di reazione degli alluminati (V'3<V3; V'4<V4) , ma anche
il†prodotto della reazione: ettringite (C3A·3CaSO4·H32) anziché C-A-H. In realtà le due modifiche
sono tra loro correlate, ancorché la correlazione non appaia esplicitamente dal semplice confronto
del processo (3), senza gesso, con il processo (4) con il gesso. L’ettringite che si forma durante le
prime ore di idratazione degli alluminati nel cemento è detta “primaria”, per distinguerla da quella
“secondaria” che si può formare successivamente in talune sfavorevoli circostanze. La formazione
di ettringite “primaria” ritarda l’idratazione degli alluminati (eliminando l’inconveniente della presa
rapida ed instaurando la presa normale) in quanto si deposita sulla superficie del C3A e del C4AF in
forma di pellicola impermeabile (in realtà un feltro fittissimo di fibre) ed impedisce
temporaneamente il contatto dell’acqua con il C3A e del C4AF.
La quantità di gesso che occorre per regolare la presa del cemento è vincolata - in tutte le normative
del mondo - da un limite superiore (3.5% - 4% come SO3 a seconda dei cementi, pari a circa 7-8%
di gesso). Infatti, un eccesso di gesso - e quindi di ettringite secondo il processo [4] - potrebbe
comportare indesiderati fenomeni fessurativi per l’azione espansiva che accompagna la formazione
di ettringite.
Di fatto, la quantità di gesso effettivamente impiegata (gesso optimum) viene individuata sulla base
di due fattori: da una parte occorre che il gesso ritardi sufficientemente la presa del cemento;
dall’altra la morfologia fibrosa dell’ettringite contribuisce, molto più del C-A-H, allo sviluppo
soprattutto iniziale della resistenza meccanica; pertanto la resistenza meccanica del cemento
Portland è maggiore di quella del corrispondente clinker, purché l’aggiunta di gesso rimanga al di
sotto dei vincoli percentuali sopra menzionati per impedire l’espansione dirompente nel
calcestruzzo.
Idratazione del cemento Portland a temperatura ambiente
Viste le particolarità chimiche dei singoli costituenti del cemento adesso riassumiamo il
comportamento globale del cemento durante l’idratazione. Ciò significa studiare la sequenza
cronologica con cui avvengono le reazioni chimiche e come interagiscono fra di loro i vari
costituenti del cemento Portland. A tal proposito si mettono a confronto le velocità di idratazione
dei singoli composti (fig. 7) e si studia come essi aumentino la resistenza meccanica al trascorrere
del tempo (fig. 8).
La pasta di C3S viene idratata più
velocemente della C2S, così pure la
resistenza meccanica a tempi brevi è
superiore nel C3S. Alle lunghe
stagionature, i valori delle resistenze
meccaniche ottenute con i due silicati
tendono progressivamente ad
eguagliarsi, infatti entrambi originano
gli stessi prodotti idratati.
L’idratazione dei C3A e C4AF pur
avvenendo con velocità notevolmente
superiori a quella dei silicati, non da
luogo a prodotti di apprezzabile
resistenza meccanica.
Fig. 7
Tale differenza di comportamento è
ben visibile in pratica e viene indicata
con la presa e l’indurimento.
Subito dopo il mescolamento del
cemento con l’acqua, la pasta si
presenta come una massa plastica
facilmente deformabile; in poco tempo
(qualche ora) essa viene notevolmente
ridotta e tale aumento di consistenza
della pasta è detto PRESA.
Dopo circa un giorno, la pasta
diviene completamente rigida; essa
però non ha ancora raggiunto la sua
massima resistenza meccanica. Ciò si
Fig. 8 ottiene solo dopo un lungo periodo di
tempo detto INDURIMENTO.
Le variazioni fisiche che avvengono durante la presa del cemento, quali ad esempio le proprietà
reologiche e la quantità d’acqua adsorbita, sono perlopiù dovute alla veloce idratazione della C3A e
della C4AF. Le proprietà meccaniche del cemento vanno invece attribuite perlopiù all’idratazione
del C3S e del C2S (come visibile dalle fig. 7 e 8). Pertanto, variando le proporzioni dei composti
formanti il cemento, si andranno ad influenzare i tempi di presa, le proprietà caratteristiche della
pasta fresca, i livelli di resistenza meccanica raggiungibile, espansione del cemento, ecc..
LA PRESA
Subito dopo l’impasto la pasta di cemento, detta pasta fresca, è una sospensione più o meno
fluida, costituita da granuli di clinker e di gesso, più o meno tondeggianti e di dimensioni variabili
fra 1mm e 200mm, dispersi in un mezzo acquoso. La mobilità delle particelle solide, e quindi la
lavorabilità della pasta, è tanto maggiore quanto più alto è il contenuto d’acqua.
Già dopo pochi minuti dall’impasto iniziano le reazioni di idratazione. Il loro effetto, in un
cemento Portland, diventa però rilevante solo dopo qualche ora. Lo spazio originariamente occupato
dall’acqua, viene ad essere riempito dai prodotti della reazione, quali alluminati idrati esagonali e
cristalli d’ettringite, comportando una struttura del tipo gel. I precipitati formano così dei “ponti” fra
le particelle idratate riducendo la plasticità dell’impasto.
Soffermiamoci dapprima sulle reazioni chimiche caratterizzanti tale fase per poi descrivere le
proprietà fisiche richieste per una pasta fresca; quest’ultime sono infatti direttamente determinate
dalla trasformazione strutturale provocata dall’idratazione.
In seguito all’impasto (dopo pochi minuti), l’acqua diventa soprasatura di ioni. Gli Ca+2 e OH-
provengono, in massima parte, dalla reazione di idratazione del C3S, ed in minor misura,
dall’idratazione dei C2S e dalla calce libera contenuta nel clinker. A parità di condizioni, la
soluzione acquosa, diviene tanto più concentrata quanto più fine è il cemento, quanto più alto è il
contenuto di C3S, e quanto più basso è il rapporto acqua/cemento. La soluzione può rimanere
soprasatura per periodi che variano da qualche ora a qualche decina di giorni e ciò dipende
sostanzialmente dal rapporto acqua/cemento (a/c), dalle condizioni ambientali e da un eventuale
agitazione meccanica del sistema.
La velocità di cristallizzazione è inoltre funzione delle condizioni ambientali e da un eventuale
agitazione meccanica. Esse infatti influiscono sul moto degli ioni e quindi facilitano la formazione
dei precipitati.
Da quanto appena esposto, si può osservare che i primi composti solidi che si formano in
quantità apprezzabile durante l’idratazione del cemento Portland sono Ca(OH)2 ed ettringite. Se
inoltre, l’idratazione avviene in presenza della CO2 atmosferica, una parte non trascurabile di
Ca(OH)2 si trasforma in CaCO3 (calcare).
La formazione d’ettringite è funzione del contenuto di Ca+2 e SO-4 in soluzione. Sino a che la
soluzione è soprasatura in Ca(OH)2, l’ettringite forma piccoli cristalli prismatici, e viene detta
ettringite colloidale. Essa, grazie all’enorme sviluppo superficiale e alla particolare struttura
cristallina è in grado di assorbire notevoli quantità d’acqua. Quando invece la soluzione diventa
povera di Ca(OH)2 l’ettringite formerà dei cristalli aciculari allungati e ben sviluppati.
L’espansività dell’ettringite viene attribuita a quella colloidale, la quale assorbendo notevoli
quantità d’acqua rigonfia. L’elevato assorbimento d’acqua comporta inoltre una sostanziale perdita
di fluidità, e quindi di lavorabilità, della pasta cementizia. Tale effetto è ben visibile nei cementi
espansivi basati sulla produzione di ettringite, dove il rapporto acqua/cemento è notevolmente
superiore a quello dei cementi Portland.
La presa va valutata misurando la resistenza offerta dalla pasta di cemento alla penetrazione di
una sonda, detta AGO DI VICAT. Si sono così osservati, vari comportamenti temporali della presa
che possiamo così classificarli:
PRESA NORMALE
E’ caratteristica dei cementi Portland; l’idratazione della fase ferrica e del C3A viene ritardata, da
un adeguata aggiunta di gesso biidrato al clinke.
PRESA RAPIDA
si verifica quando al clinker viene aggiunta una quantità di gesso insufficiente a ritardare
l’idratazione del C3A. Un mescolamento prolungato di tali cementi, stimola l’idratazione del C3A,
e quindi si ha l’incremento della velocità di presa. Altre cause che originano la presa rapida sono
l’aggiunta di additivi acceleranti o la carbonatazione del clinker, verificabile durante la
conservazione del cemento. In qualsiasi caso si verifica un elevata emissione di calore, dovuta
all’esotermicità della reazione acqua-C3A.
La carbonatazione è un processo che avviene fra l’anidride carbonica e gli alcali presenti nel
cemento originando dei carbonati alcalini i quali sono dei forti acceleratori di presa; oltre ad
accelerare l’idratazione del C3S, provocano la precipitazione dell’ idrossido di calcio. Così
l’idratazione del C3A avviene in presenza di gesso e carenza di calce, con la conseguenza che
aumenta la velocità di idratazione del C3A.
Se l’azione dell’ anidride carbonica è prolungata, si verifica innanzitutto un ritardo di presa,
dovuto alla formazione di una pellicola di carbonato di calcio, impermeabile, sulle particelle di
clinker, per reazione fra CO2 e sali di calcio, ed in seguito un’accelerazione nella presa, dovuto
alla rottura di tale pellicola a causa dell’idratazione del cemento sottostante (espansione).
L’ INDURIMENTO
L’indurimento della pasta cementizia è principalmente dovuto all’idratazione dei silicati, ossia
alla formazione dei C-S-H. Tuttavia la loro quantità, data la natura scarsamente cristallina, è
estremamente difficile da determinare. Dallo studio del C/S della pasta, si osserva che esso è
maggiore di quello previsto nella formazione del C-S-H. Tale eccesso è dovuto all’inquinamento,
di quest’ultimo, da parte del Ca(OH)2. Si è osservato, che nel C-S-H ottenuto per idratazione del
C3S, penetra una parte del solfato presente in soluzione. Tale penetrazione non è una sostituzione
isomorfa del silicato con il solfato, ma piuttosto un’estensione della struttura del C-S-H, infatti,
come dimostrato, l’entrata del solfato non è accompagnata da una espulsione di silice dalla struttura
del C-S-H. Per controbilanciare elettricamente l’ingresso dello ione SO-4 nel C-S-H entrano pure
degli ioni Ca+2 e OH-, e ciò comporta l’incremento del rapporto C/S e H/S
La presenza dei solfati nel gel C-S-H comporta una riduzione della loro resistenza meccanica
intrinseca. Tale calo di resistenza è attribuito alla riduzione della struttura fibrosa del C-S-H.
Per quanto detto, se l’indurimento avviene in presenza di acque solfatiche, si avrà un calo di
resistenza meccanica e quindi la degradazione del cemento-calcestruzzo.
D’altra parte, il gesso si comporta da elettrolita, ossia accelera l’idratazione del C3S e quindi la
formazione del C-S-H.
L’effetto risultante dei due processi, introduzione solfati e accelerazione nella produzione di C-
S-H, fanno si che l’idratazione del C3S e la resistenza meccanica della pasta C3S varino non
linearmente con il tempo di stagionatura.
Alle brevi stagionature (1-2 giorni), sinchè non si idrata il 40-50% di C3S, il gesso accelera
l’idratazione del C3S e non modifica la qualità del C-S-H . In seguito il solfato inizia a penetrare
nella struttura del C-S-H e la resistenza meccanica intrinseca diminuisce all’aumentare del solfato
introdotto. Pertanto a 3-7 giorni, la massima resistenza che si ottiene al 2% di gesso, risulta data dal
compromesso ottimale fra la quantità di C-S-H e la sua qualità. Alle lunghe stagionature, dopo 90
giorni, quando prevale l’effetto qualitativo su quello accelerativo, il massimo della resistenza
meccanica sarà inferiore a quello che si verificherebbe in assenza di solfati (gesso).
Oltre al solfato pure l’allumina e l’ossido ferrico possono penetrare nella struttura del C-S-H.
Anche in questo caso analogamente a quanto avviene per il solfato, si ha una diminuzione del
carattere fibroso del C-S-H (resistenza meccanica) e l’incremento del rapporto C/S.
Passiamo ora a trattare la morfologia della pasta di cemento indurita. Il cemento indurito è un
insieme di particelle ancora anidre, ricoperte da prodotti idratati detti gel, e di cavità di dimensioni
variabili fra 1 e 0,01mm (fig. 9). Anche in seguito a stagionature di diversi anni, esiste sempre una
parte di cemento
(10-20% di quello
iniziale) che rimane
anidro per la
presenza degli aghi
del gel. Note le
reazioni che
avvengono fra i
costituenti del
cemento, si ha che il
Fig. 9
70-80% del gel di
cemento è costituito
da C-S-H più o
+3 +3 -4
meno compenetrato da ioni estranei, quali Al , Fe e SO . In secondo luogo il gel contiene
Ca(OH)2 cristallino, anch’esso “inquinato” da sostanze estranee (es. silice Si+4), e solfoalluminati
idrati sostituiti da ioni Fe+3 ed in minor misura da Si+4.
Il C-H-S forma delle fibre, sopra al cemento anidro, di lunghezza e dimensioni variabili
nell’ordine del mm, che vanno a disporsi in modo raggiante intrecciandosi tra di loro. Si formano
così i fori capillari che possono essere riempiti d’acqua o vuoti
Oltre ai vuoti capillari (dimensioni variabile nell’ ordine dei mm ), nel gel ci sono dei pori
notevolmente più piccoli, ordine del nm,. Essi sono noti come pori di gel e rappresentano circa il
28% del volume del gel, indipendentemente dalla stagionatura e dal tipo di cemento.
In pratica è estremamente arduo distinguere i pori di gel da quelli capillari. Si ritiene che dai fori
capillari dipendano la maggior parte delle proprietà fisico-meccaniche del cemento, quali ad
esempio la resistenza meccanica, il modulo elastico, la permeabilità, la resistenza agli agenti
aggressivi e la resistenza ai cicli alternati gelo-disgelo (vedi seguito), mentre si attribuiscono ai pori
di gel le proprietà superficiali del cemento idratato e le variazioni dimensionali della pasta
L’acqua presente nella pasta di cemento viene distinta in acqua libera e acqua combinata. Tale
distinzione si basa sul tasso di evaporazione a condizioni di temperatura e pressione standardizzate;
in altre parole, dopo l’evaporazione l’acqua che rimane viene definita acqua combinata. In realtà
tale misura è solo arbitraria infatti, l’evaporazione coinvolge anche una parte dell’acqua combinata.
Pertanto una reale e completa separazione tra i due tipi d’acqua è impossibile.
L’acqua presente nei pori del gel ha proprietà alquanto diverse dall’acqua “normale” presente nei
pori capillari. Ciò è dovuto al fatto che la piccola dimensione dei pori del gel, se paragonata alla
grandezza delle molecole d’acqua (0,325nm) in essi contenute, induce su di esse una riduzione di
mobilità, a causa della formazione di forze attrattive molecola acqua-superficie solida. Per questo
motivo, l’acqua nei pori presenta una tensione di vapore sensibilmente inferiore a quella normale e
con punto di gelo a circa –80°C.
Da stime sulla quantità d’acqua necessaria per far avvenire in modo completo l’idratazione di
tutti i costituenti del cemento, si è calcolato, che per ogni 100 kg di cemento anidro sarà necessario
introdurre al minimo 42 litri d’acqua. Tale calcolo si basa sull’ipotesi che tutti i pori siano saturi
d’acqua, infatti se ciò non avvenisse l’acqua sottratta dai pori per dar luogo all’idratazione non
sarebbe sufficiente e quindi non sarebbe possibile idratare completamente il cemento. Inoltre il
valore ottenuto è un valore medio in quanto, come si sa, la quantità d’acqua necessaria
all’idratazione varia in funzione della composizione del cemento anidro. Dall’esperienza pratica,
nel confezionare malte o calcestruzzi si utilizza un rapporto acqua/cemento (a/c) > 0,42. L’eccesso
d’acqua, rispetto a quello teorico, oltre a garantire una maggior idratazione, ha lo scopo di
aumentare la lavorabilità dell’impasto, agevolando la messa in opera del cemento.
La maggior parte dei cementi è progettata per lavorare in un campo di temperatura fra i 10 e 30
°C (temperatura ambiente). Se la temperature ambiente non rientra in tale intervallo, si osservano
delle variazioni sia del fenomeno della presa che dell’indurimento. In altre parole, la temperatura
influenza le reazioni d’idratazione e quindi il grado d’idratazione del cemento nel tempo.
Se la temperatura è alta, si ha un incremento della velocità d’idratazione, e quindi della presa,
alle brevi stagionature. Viceversa se la temperatura è bassa si ha un rallentamento dell’idratazione.
Così, un aumento della temperatura comporta un accelerazione nella presa, e quindi una rapida
perdita di lavorabilità, mentre l’abbassamento provoca un rallentamento della presa.
Si ritiene, che l’aumento di presa alle alte temperature sia dovuto ad una riduzione dell’effetto
ritardante sul idratazione del C3A e C4AF provocato dal gesso.
Analogamente al C3S, l’alta temperatura, comporta un accelerazione nell’idratazione del C2S alle
brevi stagionature, e una riduzione dell’idratazione a quelle lunghe. Ciò è attribuibile ad un
processo simile a quello che avviene nel C3S.
Alte temperature comportano lo sviluppo di una maggiore resistenza alle brevi stagionature,
essendo maggiore la quantità di cemento idratato, e contemporaneamente riducono quella delle
lunghe stagionature, essendo minore la quantità di cemento che si idrata. Viceversa, le basse
temperature comportano una riduzione di resistenza alle brevi stagionature e un incremento a quelle
lunghe.
La resistenza meccanica è perlopiù da attribuire alla lunghezza delle fibre di C-H-S presenti nel
gel. A basse temperature, a causa della lenta idratazione, si riescono a formare unicamente delle
fibre corte, e quindi poco intrecciate, con conseguente bassa resistenza meccanica a compressione
del cemento. Siccome però l’idratazione è lenta e perdura per periodi lunghi, le fibre riescono ad
accrescere, sino a divenire lunghe e ben intrecciate a fine stagionatura, conferendo quindi un elevata
resistenza al cemento. A temperature elevate invece, la veloce idratazione iniziale del cemento, darà
origine subito a delle fibre lunghe e intrecciate, con conseguente elevata resistenza durante la presa.
Siccome però l’idratazione viene presto interrotta, a causa della ridotta porosità, le fibre non
riusciranno più ad accrescere e quindi non raggiungeranno mai le lunghezze ottenute a temperature
ordinarie. Per questo la resistenza meccanica alle lunghe stagionature risulta ridotta.
Climi caldi: la presa, a causa della veloce idratazione del C3A, risulta accelerata e quindi si ha una
veloce riduzione della lavorabilità. Per ovviare a tale problema si sconsiglia d’aggiungere acqua in
quanto aumentando a/c si riducono le proprietà meccaniche del cemento (vedi seguito). Vanno
perciò utilizzati additivi ritardanti di presa o cementi a basso contenuto di C3A e poco fini, quali
ad esempio il cemento ferrico, quello pozzolanico o quello d’altoforno. Il basso contenuto di C3A
presenta inoltre il vantaggio di emettere lentamente il poco calore sviluppato e quindi di non
andare ad innalzare la temperatura del cemento che comporterebbe la riduzione della resistenza
meccanica alle lunghe stagionature.
In certe applicazioni del cemento, quali ad esempio i prefabbricati, si sfruttano le elevate
temperature al fine di incrementare la produzione (presa rapida), anche a scapito delle resistenze
meccaniche finali. Un metodo molto utilizzato a tal scopo è l’idratazione a vapore, che consiste
nel riscaldare il cemento mediante immissione di vapore surriscaldato. Altri metodi invece si
basano sul riscaldamento con raggi infrarossi o per immissione di corrente elettrica nei ferri del
prefabbricato.
Climi freddi: quando le temperature si abbassano, ad esempio d’inverno, l’indurimento iniziale del
cemento può essere fortemente ritardato. Gli inconvenienti che ne derivano non sono solo legati al
rinvio del disarmo e nel recupero delle casseforme, ma anche al rischio derivante da una possibile
formazione di ghiaccio nell’impasto non ancora indurito. Devono quindi utilizzarsi dei cementi a
basso rapporto a/c e a presa accelerata, ossia molto fini e con elevato contenuto di C3S. Il C3S è
fondamentale infatti oltre ad una buona resistenza meccanica esso sviluppa una notevole quantità
di calore che quindi permette di riscaldare il cemento e quindi velocizzare la presa. A tal proposito
il C3A è poco utile infatti, esso emette poco calore alle basse temperature. Per accelerare
l’idratazione del C3S e quindi l’emissione di calore, il cemento viene spesso additivato con
elettroliti, fra i quali il più utilizzato è il cloruro di calcio. Tale additivo è da evitare nei
calcestruzzi armati, infatti i cloruri accelerano la corrosione dei ferri. Un ulteriore rimedio
potrebbe essere quello di utilizzare acqua d’impasto riscaldata, mentre è altamente sconsigliato
riscaldare il cemento, infatti ciò potrebbe indurre dei fenomeni di falsa presa legati alla
disidratazione del gesso idrato presenti.
Qualsiasi sia il metodo di riscaldamento utilizzato, si cerca di portare il cemento a circa 20-30°C,
ossia nel campo di funzionamento ideale. Tale temperatura dev’essere inoltre mantenuta durante
tutto il periodo d’indurimento. Se il calore d’idratazione prodotto non è in grado d’equilibrare il
calore dissipato nell’ambiente, sarà necessario ricoprire il cemento-calcestruzzo con dei isolanti
termici in modo da mantenere la temperatura nel campo ideale. Nel caso in cui ciò non avvenga,
potrebbero verificarsi spiacevoli effetti legati alle temperature alte o basse.
RESISTENZA MECCANICA
Allo stato attuale delle conoscenze sul cemento idratato, il parametro al quale si attribuisce la
maggior influenza sulla resistenza meccanica, a parità di tutte le altre condizioni, è la porosità
capillare. Secondo Powers l’espressione che lega la resistenza meccanica a compressione (sc) e la
porosità capillare, intesa come volume dei vuoti capillari (Vp), è funzione della percentuale di gel
presente nell’unità di volume, secondo la seguente formula:
Ê Vg ˆ n
s c = K ÁÁ ˜˜
V
Ë g + V p¯
a è funzione della stagionatura, dal rapporto a/c, dalla composizione del cemento..., ma in
qualsiasi caso un idratazione completa (a=1) non può mai essere realizzata, a causa della
formazione della pellicola di gel che avvolge i granuli anidri.
Studiando la sc come funzione della variabile a/c, essendo a(a/c), si osserva che non ha senso
usare alte a/c, infatti ciò non comporterebbe un innalzamento proporzionale del grado d’idratazione
(a) e quindi la sc diverrebbe ridotta. Vanno pertanto utilizzati dei a/c che inducano la massima
idratazione possibile a minima quantità d’acqua inserita. In altre parole si preferisce avere una
idratazione incompleta, piuttosto di una pasta maggiormente idratata ma con acqua non
completamente consumata durante l’idratazione. L’acqua in eccesso tende infatti ad evaporare e
quindi aumentare la Vp.
Un valore ideale di a/c è lo 0,30. Esso però non è utilizzabile in pratica in quanto, oltre a rendere
la pasta poco lavorabile, presenta una cattiva compattazione con il conseguente rischio di introdurre
delle macroporosità (punti deboli) nella struttura. Allo scopo di mantenere a/c “bassi” e
contemporaneamente presentare una buona compattazione, vanno utilizzati dei sistemi di
compattazione per vibrazione o gli additivi fluidificanti e superfluidificanti. Entrambi i metodi, se
utilizzati, influiscono sul grado d’idratazione del cemento a(a/c, stagionatura, composizione…).
In precedenza studiando i C-S-H, si osservato che la loro resistenza meccanica può essere
valutata secondo la fc. Siccome gli idrosilicati sono i maggiori costituenti del gel di un cemento
indurito, si può dire che pure la fc inciderà sulla resistenza meccanica del cemento. E’ pertanto
assolutamente approssimativo attribuire la resistenza meccanica unicamente alla porosità capillare.
D’altra parte è però impossibile costruire un modello che tenga conto di tutti i fattori microscopici.
Per questo motivo nella pratica si fa largo uso di diagrammi che legano le proprietà macroscopiche,
quali ad esempio la resistenza meccanica, la lavorabilità, la compattazione, la deformazione… con
altre proprietà macroscopiche, quali rapporto a/c, quantità d’additivo aggiunto, temperatura, umidità
relativa… senza badare alle strutture microscopiche del cemento.
IL DILAVAMENTO
Tutti gli acidi attaccano più o meno severamente la pasta di cemento e quindi il calcestruzzo.
L’azione distruttiva consiste sostanzialmente in una dissoluzione della pasta dovuta alla
trasformazione dei vari costituenti in sali più solubili, e quindi esportabili per dilavamento con
maggior facilità. Tale effetto non può essere arrestato neppure confezionando cementi-calcestruzzi
impermeabili. L’azione degradante dell’acido infatti inizia in superficie, e per contemporaneo
dilavamento, penetra in profondità compromettendo le proprietà meccaniche della struttura.
Soprattutto gli acidi inorganici forti , quali ad esempio il nitrico, il cloridrico e il solforico,
distruggono rapidamente gli impasti cementizi. Da prove di laboratorio si è osservato che una
soluzione acquosa all’1% dei suddetti acidi può deteriorare il calcestruzzo nel giro di qualche mese.
Soluzioni più diluite, o soluzioni più concentrate di acidi quali fluoridrico ed il fosforico, i quali
formano sali di calcio insolubili, provocano deterioramenti più lenti. E’ pertanto da escludere
l’impiego di calcestruzzo quale materiale per serbatoi, tubazioni, vasche … che debbano contenere
o trasportare liquidi (acidi) con pH inferiori a 5,5 ÷ 6, a meno che non si provveda di rivestire il
calcestruzzo con materiale antiacido. E’ invece possibile utilizzare il Portland per pavimenti sui
quali solo occasionalmente si prevede possa cadere dell’acido “pericoloso”, purchè la quantità sia
modesta e che sia possibile la rimozione di tale liquido indesiderato mediante lavaggio e successiva
neutralizzazione con soda. E’ inoltre possibile costruire strutture più resistenti agli acidi impiegando
cementi speciali. Così ad esempio un cemento alluminoso può resistere ad acidi con pH di 4 ÷ 5,
mentre uno soprasolfatato può resistere anche a pH di circa 3,5.
In tutte le acque vi è una certa quantità di CO2 disciolta. Essa si presenta sotto forma di acido
carbonico (H2CO3) dissociato in ioni H+, HCO3 - e CO3 -2, detto anche CO2 libera, o sotto forma di
sali carbonatici, detti anche CO2 combinata.
In ogni pasta di cemento vi è una parte di Ca(OH)2 che per contatto con la CO2 dell’aria si
trasforma in carbonato di calcio (CaCO3). Esso è insolubile in acque pure, mentre in acque
contenenti CO2 libera (H2CO3), la sua solubilità aumenta sensibilmente (vedi tabella) a causa della
trasformazione del CaCO3 in bicarbonato di calcio Ca(HCO3)2 secondo la reazione:
I sali solfatici, disciolti in molte acque naturali, quali le acque di mare, di palude, di fogna e
sotterranee che scorrono a contatto con gesso o minerali argillosi ricchi in solfato, sono considerati
gli agenti aggressivi più deleteri per il cemento. La loro azione induce nel cemento indurito un
espansione. Se questa è piccola (es. 0,01%) si può verificare un miglioramento della resistenza
meccanica a causa della riduzione delle microfessure da ritiro. Se però l’espansione è maggiore allo
0,1%, si hanno distacchi superficiali di cemento che se perdurano nel tempo compromettono la
stabilità della struttura.
Seppur il meccanismo esatto di espansione provocato dall’azione dei solfati non sia ancora del
tutto noto, si ritiene che essa sia dovuta principalmente alla formazione di gesso ed ettringite per
reazione dei solfati con l’idrossido di calcio (Ca(OH)2) e le fasi idrate provenienti dall’idratazione
dell’alluminato tricalcico (C2AH8, C4AH19, C3AH6, ettringte e suoi derivati per carenza di
CaSO4), secondo le seguenti reazioni:
-) formazione di gesso
Maq+2 rappresenta un catione bivalente (es. Mg+2) oppure due cationi monovalenti (es. 2Na+ o 2K+) derivanti dalla
soluzione del solfato.
Nel caso in cui l’acqua contiene solfato di magnesio (Maq+2 = Mg+2), il prodotto che si forma
(Mg+2 + 2OH-), data la sua scarsa solubilità in acqua, precipita sotto forma di Mg(OH)2 solido,
rallentando la trasformazione del Ca(OH)2 in Mg(OH)2.
Tuttavia il solfato di magnesio, presente in acqua, interagisce pure con il gel idrosilicatico C-
S-H, rappresentato dal C3S2Hy, provocandone la trasformazione in una massa incoerente di gel
di silice (SiO2.xH2O) e di cristalli di gesso e di idrossido di magnesio secondo la:
formazione di ettringite
Tale equazione si presta ad essere estesa anche ad altri alluminati idrati semplicemente
modificando la stechiometria della reazione. In ogni caso il prodotto rimane l’ettringite e la sua
formazione è sempre accompagnata dall’espansione.
Nel caso dell’acqua di mare, particolarmente ricca di sali solfatici, si è osservato che
l’espansione è inferiore a quella che si verifica con un acqua “normale” di pari contenuto di
solfati. Ciò è dovuto al fatto che il gesso e l’ettringite, formatisi secondo le su dette reazioni,
sono maggiormente solubili nell’acqua di mare (rispetto all’acqua “normale”). In altre parole ciò
che non espande viene disciolto. Pertanto il beneficio indotto dalla minor espansione del
cemento, in presenza dell’acqua marina, diviene poco interessante in quanto l’incremento di
solubilità comporta un incremento del dilavamento della pasta. L’azione dilavante dell’acqua di
mare viene inoltre favorita dal moto ondoso e dal maggior contenuto di anidride carbonica
aggressiva.
In particolari condizioni termoigrometriche, ossia umidità relativa > 95% e temperatura fra i 2
ed i 6°C, viene prodotto un particolare composto detto thaumasite (CaCO3.CaSO4.CaSiO3.15H2O)
il quale presenta un degrado molto più devastante rispetto a quello derivante dalla formazione di
gesso ed ettringite. La particolarità di tale composto è la possibilità di formarsi anche in cementi
privi di alluminati (C3A, C4AF).
La formazione di thaumasite ed ettringite, derivanti dalla reazione fra calce e solfati presenti
nei mattoni, nel gesso legante, in acque salmastre… sono ritenute le principali cause di
deterioramento delle malte da intonaco utilizzate per la costruzione di edifici storici e moderni.
Viste le causa che determinano l’espansione solfatica, si è pensato di quantizzare tale effetto sui
diversi cementi. Si è così ottenuta la fig. 11 che rappresenta l’andamento espansivo di provini di
diversa composizione chimica, stagionati per 8 settimane ed immessi in una soluzione all’1,8% di
MgSO4. Si osserva che il C3A provoca fenomeni espansivi molto più consistenti degli altri
costituenti del cemento, soprattutto se aggiunto al C2S e C3S. Inoltre il C4AF presenta un
comportamento decisamente diverso dal C3A, infatti provoca fenomeni espansivi sensibilmente
inferiori. Per questo, nella costruzione di strutture in ambienti solfatici è da preferirsi l’uso di
cementi ad alto contenuto di C4AF quali il cemento ferrico o Ferrari.
Riassumendo, per proteggere efficacemente i cementi dall’azione solfatica, si utilizzeranno, in
luogo del Portland, cementi speciali resistenti ai solfati (es. ferrico) confezionati in modo da renderli
il più impermeabili possibile (basso a/c e ben compatti).
Fig. 11
Quantità eccessive del cloruro di calcio, derivanti dall’afflusso d’acqua contaminata o per
aggiunta eccessiva di additivi acceleranti di presa, oltre a ridurre le proprietà meccaniche del
cemento, vanno ad incrementare la velocità di corrosione dei ferri presenti nelle strutture armate.
L’azione degradante del CaCl2 è molto attiva nel periodo invernale, dove oltre a ridurre
velocemente la resistenza a causa delle basse temperature, sono molto usati i sali disgelanti CaCl2.
Essi infatti, per reazione con il Ca(OH)2 del cemento, formano dei ossicloruri di calcio idrato
(3CaO.CaCl2.15H2O) i quali originano delle fessurazioni nel cemento e calcestruzzo.
L’ACQUA DI IMPASTO
CEMENTI SPECIALI
Sono cementi che, seppur contenendo quantità più o meno rilevanti di cemento Portland,
possiedono caratteristiche diverse da tale cemento.
Cemento ferrico
In tali cementi la maggior parte dell’allumina e dell’ossido ferrico sono contenuti nella fase
ferrica C4AF, cosicché contengono quantità modeste di C3A. Ne deriva un cemento a basso calore
di idratazione e di buona resistenza all’ attacco dei solfati. E’ pertanto particolarmente idoneo per
getti eseguiti in climi caldi o di masse notevoli, quando cioè un eccessivo sviluppo di calore
potrebbe indurre dei effetti indesiderati, quali ad esempio la fessurazione o l’aumento di
permeabilità a causa di un eccessiva evaporazione d’acqua da impasto, con conseguente riduzione
di resistenza meccanica e incremento di aggressività da parte dei solfati.
Le proprietà di tale cemento vengono ulteriormente migliorate per aggiunta di pozzolana
finemente macinata (cemento ferrico-pozzolanico).
Cemento pozzolanico
Cemento d’altoforno
E’ una miscela di cemento Portland (clinker e gesso) e loppa d’altoforno. La loppa d’altoforno è
la scoria eliminata, allo stato liquido, dall’altoforno durante la produzione della ghisa (mediamente
per ogni tonnellata di ghisa prodotta si ottiene da 0,3 a 1 tonnellata di loppa). La sua composizione,
generalmente CaO, SiO2, Al2O3, MgO oltre ai costituenti minori MnO, Fe2O3 e S, la rende
facilmente riciclabile. Una fra le applicazioni più diffuse è la produzione del cemento d’altoforno.
In tal caso, la loppa fusa viene temprata in acqua originando dei granuli amorfi ad elevata porosità,
detti loppa granulata d’altoforno.
La loppa granulata d’altoforno quando viene posta a contatto con l’acqua subisce idratazione,
formando uno gel impermeabile, a base di silice e allumina (C-S-H, ettringite, monosolfato e
alluminati idratati esagonali, oltre ad altri composti minori quali ad esempio C2ASH8 e C3ASH4).
Quindi la loppa finemente macinata, a differenza della pozzolana, ha proprieta’ idrauliche e leganti
cioe’ non ha bisogno di calce per formare prodotti cementanti. Tuttavia la velocita’ di idratazione
(formazione di C-H-S) e’ troppo lenta per permettere un’applicazione strutturale della sola loppa. Il
gel, analogamente a quello derivante dal Portland ha un carattere legante, ma data la sua
impermeabilità l’idratazione avviene solo in superficie ai granuli di loppa. Facendo diventare
l’acqua d’impasto alcalina, mediante inserimento di attivatori, i quali reagiscono col gel portandolo
in soluzione, si rende il gel permeabile e quindi l’idratazione (della loppa) può continuare. Le
sostanze adatte a tal scopo sono il gesso, la calce, idrossido di sodio o potassio, ossia tutti composti
che si disciolgono in acqua per inserimento del cemento Portland. Pertanto il Portland presente nel
cemento d’altoforno non ha come caratteristica principale quella di legante, come avviene nel
pozzolanico, ma quello di rendere possibile l’idratazione della loppa, che rappresenta il legante
principale di tale cemento. Ovviamente i leganti, per esempio, con 15 % o con 90% di loppa non
avranno prestazioni equivalenti, soprattutto nella resistenza meccanica alle brevi stagionature (2-7
giorni) dove il contributo della loppa (lenta a indurire) è modesto e rimane, quindi, solo quello
apportato dal clinker di cemento Portland. Da ciò deriva, per esempio, l’impossibilità pratica di
produrre un cemento d’altoforno con 90% di loppa nelle classi di resistenza 42.5R, 52.5 e 52.5R,
(vedi tabella piu’ avanti) per la oggettiva difficoltà a raggiungere la resistenza meccanica a
compressione di almeno 20 N/mm2 in soli 2 giorni.
Il cemento d’altoforno, analogamente al pozzolanico, viene preferito al Portland per impieghi in
climi caldi e lavori marittimi. Esso infatti presenta un ridotto contenuto Ca(OH)2 (vedi pozzolanico),
e una porosità capillare inferiore a quella del Portland.
Analogamente al pozzolanico anche il cemento d’altoforno sviluppa resistenze meccaniche più
basse del cemento Portland alle brevi stagionature, mentre alle lunghe essa può risultare anche
leggermente superiore. Per aggiunta di gesso si incremena la velocità di presa, mentre l’aggiunta di
cloruro accelera l’indurimento (come Portland). Tale secondo effetto viene spesso indotto per
raffreddamento della loppa in acqua di mare. Tali loppe sono comunque da evitare nella costruzione
di strutture armate, infatti i cloruri incrementano la velocità di corrosione dei ferri.
Per quanto riguarda la quantità di calore d’idratazione sviluppato, sebbene vari in funzione del
tipo e quantità di clinker e loppa utilizzati, può in genere ritenersi inferiore a quello del Portland.
Per quanto riguarda le proprietà meccaniche esse sono pressoché uguali a quelle del Portland
Cemento soprasolfatato
Cemento alluminoso
E’ ottenuto per cottura di miscele contenenti calcare e bauxite (Al2O3). Il calcare fornisce la calce
che si combina con l’allumina della bauxite per formare l’alluminato monocalcico (CA) secondo la:
CA + 10.H2O ‡ CAH10
2CA + (8+x).H2O ‡ C2AH8 + AHx
La veloce idratazione che presenta il cemento alluminoso comporta un rapido sviluppo di calore
che in media può considerarsi superiore al calore emesso dal cemento Portland. Questo cemento
presenta anche un rapido indurimento, ossia già dopo un giorno di stagionatura viene raggiunta
un’elevata resistenza meccanica (quella tipica del Portland pero’ dopo 7 gg).
Il cemento alluminoso, date le sue proprietà, è particolarmente impiegato in climi freddi e nei
getti di piccole dimensioni dove sia necessario raggiungere rapidamente un elevata resistenza
meccanica. E’ invece sconsigliabile il suo utilizzo in climi caldi ed in getti di notevoli dimensioni,
dove l’innalzamento della temperatura, a causa del elevato sviluppo di calore, farebbe decadere le
proprietà meccaniche.
Un’altra caratteristica importante del cemento alluminoso è l’elevata resistenza chimica al
dilavamento, ossia all’aggressione solfatica e alle acque contenenti anidride carbonica aggressiva.
Da questo punto di vista, purché le temperature si mantengano basse, esso è da preferirsi sia al
pozzolanico che all’altoforno che al soprasolfatato. Tale comportamento viene attribuito all’assenza
del idrossido di calcio e alla carenza di alluminati idrati ricchi in calcio (C3AH6), trasformabili in
gesso (il primo) ed in ettringite (il secondo). .
Un importante impiego dei cementi alluminosi è la confezione di calcestruzzi refrattari, cioè in
grado di resistere a temperature elevate (1000-1600°C) e quindi usati per fondazioni di fornaci,
supporti di carrelli refrattari e pareti di forni. Il calcestruzzo refrattario, ottenuto mescolando il
cemento alluminoso con inerti, in genere pezzi di mattoni refrattari, viene stagionato in ambiente
umido e successivamente riscaldato a 1000°C. Il riscaldamento ha lo scopo di formare dei legami
fra il cemento idratato e gli inerti molto simili a quelli dei materiali ceramici.
NORME SUI CEMENTI
Se i cementi non sono tutti eguali, sorge il problema di classificarli in base alla loro prestazione e
composizione. Fino al 1993 in Italia vigeva una normativa - emanata con un Decreto Ministeriale
del 1968 - che regolamentava la produzione dei cementi sul territorio nazionale. Con l’avvento delle
regole comunitarie nell’Unione Europea, anche per il cemento è stata concordata una nuova
normativa (UNI-ENV 197 Parte 1 (1993) in vigore dal 1994 che e’ conforme alla norma europea
ENV 197/1) basata su una classificazione unica. L’obiettivo è duplice: da una parte consentire la
distribuzione del cemento, prodotto in un qualsiasi paese comunitario, su tutto il territorio
dell’Unione; dall’altra, mettere in condizioni i tecnici delle costruzioni (preconfezionatori,
prefabbricatori, imprese e studi diprogettazione) di poter scegliere, con gli stessi criteri, il cemento
più adatto allo specifico impiego in qualsiasi Paese dell’Unione essi si trovino ad operare.
La normativa europea sui cementi è incentrata su due requisiti fondamentali:
• la classe di resistenza
• tipo di cemento,
quest’ultimo inteso come composizione dei suoi ingredienti. Esistono 25 diversi tipi (o sottotipi) di
cemento, e ciascun tipo può essere disponibile in 6 diverse classi di resistenza. Da ciò deriva che
sono teoricamente possibili 150 diversi cementi. In realtà, nel singolo Paese - per esempio l’Italia -
non tutti i tipi vengono prodotti, per oggettiva mancanza locale di alcuni ingredienti o per mancanza
di una tradizione pre-esistente a produrre ed impiegare alcuni determinati tipi di cemento. E
neppure tutte e 6 le classi di resistenza sono disponibili per i vari tipi di cemento realmente prodotti,
molto spesso per oggettive difficoltà tecniche a produrre o a impiegare alcune classi di resistenza di
determinati tipi di cemento.
Limitiamoci ora ad esaminare i requisiti fondamentali in base ai quali distinguere i cementi per
classe, tipo e sottotipo e per classe di resistenza.
Nella seconda Tabella sono indicate le proporzioni dei costituenti minerali, accanto all’ingrediente
principale (clinker) per i vari tipi e sottotipi di cemento. Le percentuali indicate non tengono conto
della presenza di gesso o anidrite - regolatore di presa - e quindi si riferiscono al contenuto totale di
clinker e degli altri ingredienti minerali.
La suddivisione dei cementi in base alla loro composizione prevede cinque tipi:
I: Cemento Portland (un solo tipo) con almeno il 95% di clinker.
II: Cementi Portland di miscela (17 sottotipi) dove il clinker è ancora predominante (almeno
79%) e dove gli altri costituenti (escluso il fumo di silice impiegabile solo nell’intervallo 6-10%)
possono oscillare entro due intervalli: 6-20% oppure 21-35%; nel primo caso apparirà nella sigla
corrispondente la lettera A, mentre se l’intervallo composizionale è maggiore apparirà la lettera B.
La sigla di questi cementi è formata da II, seguito dalla lettera A oppure B a seconda della quantità
di costituente minerale, ed infine da una lettera che individua lo specifico costituente minerale: (S
per loppa, P per pozzolana naturale, L per calcare, ecc. come è mostrato in Tabella 2). Per esempio
la sigla II/A-S sta ad indicare un cemento Portland di miscela (II), contenente loppa (S) in una
proporzione variabile dal 6 al 20% (A), e prenderà il nome di “cemento Portland alla loppa”. Se,
invece, accanto al prevalente clinker di cemento Portland sono presenti più di un costituente
minerale (loppa, pozzolana, cenere, ecc.) il legante risultante sarà chiamamto “cemento Portland
composito” individuato dalla sigla II/A-M oppure II/B-M a seconda del contenuto di clinker.
III: Cemento d’altoforno (3 sottotipi), per il quale sono previsti 3 livelli composizionali nel
contenuto di loppa che vengono individuati nella sigla del cemento con: A (loppa 36-65%), B (loppa
66-80%), C (loppa 81-95%). Quest’ultimo rappresenta il cemento con il minor contenuto di clinker
(che può scendere fino al 5%) e che proprio per questo si caratterizza per il bassissimo calore di
idratazione (apprezzato nei getti di massa) oltre che per un’ottima resistenza all’attacco del solfato,
dei sali disgelanti e dell’acqua di mare. Ovviamente questo specifico cemento d’altoforno (con sigla
III/C) non potrà essere disponibile se non nelle classi di resistenza più basse (32.5, o al massimo
32.5R), per la carenza del clinker necessario all’ottenimento di una elevata resistenza meccanica
alle brevi stagionature.
IV: Cemento pozzolanico (2 sottotipi), dove il contenuto di clinker è compreso negli intervalli 65-
89% (A) oppure 45-64% (B) e come costituente minerale è presente una miscela di microsilice,
cenere silicica e pozzolana naturale o industriale. Il cemento pozzolanico (IV) propriamente detto -
come del resto il cemento d’altoforno (III) - si distingue rispettivamente dal cemento Portland alla
pozzolana (II) e dal cemento Portland alla loppa II per il minor contenuto di clinker. Quindi, anche
per il cemento pozzolanico, soprattutto quello B con maggior contenuto di pozzolana (36-55%),
sarà difficile prevedere la disponibilità nelle classi di resistenza più elevate (42.5R, 52.5, 52.5R).
V: Cemento composito (2 sottotipi), con un contenuto di clinker ridotto (40-64% oppure 20-39%)
e con una miscela di loppa, pozzolana e cenere silicica come costituenti minerali. Non va confuso
con il cemento Portland composito (II/M) più ricco in clinker e più povero in costituenti minerali.
La presenza o meno del simbolo R, dopo il numero, sta a significare il comportamento meccanico
del cemento alle brevi stagionature: per esempio sia il cemento di classe 32.5, sia quello di classe
32.5R debbono superare a 28 giorni la resistenza meccanica di 32.5 N/mm2; tuttavia il cemento di
classe 32.5R (“R” sta per rapido) deve anche superare la soglia di 10 N/mm2 a 2 giorni, mentre
quello di classe 32.5 deve garantire il raggiungimento di un limite prestazionale a 7 giorni.
Analogamente la differenza tra le classi 42.5 e 42.5R (o tra 52.5 e 52.5R) sta solo nel diverso
comportamento alla stagionatura di 2 giorni: quelli contrassegnati con R posseggono una maggiore
resistenza meccanica a 2 giorni, mentre a 28 giorni i requisiti di resistenza meccanica per le due
classi di resistenza (42.5 e 42.5R, oppure 52.5 e 52.5R) sono identici.
Per la determinazione effettiva della resistenza meccanica di un cemento è necessario adottare una
procedura standardizzata, in base alla quale alcuni parametri, che potrebbero influenzare la
resistenza meccanica stessa, siano rigorosamente mantenuti costanti da prova a prova. Per esempio,
poiché il rapporto tra il quantitativo di acqua e quello del cemento condiziona, come si è già detto
precedentemente, la prestazione meccanica di un impasto cementizio, per la miscela (in forma di
malta) su cui eseguire la prova di resistenza, si adotta sempre lo stesso rapporto acqua/cemento
(0.5). Così pure è fisso il rapporto tra sabbia e cemento (3), come anche il tipo di sabbia, la sua
granulometria, ecc. Sono anche rigorosamente standardizzati il tipo ed il tempo di miscelazione, la
modalità di riempimento delle casseforme con la malta, le condizioni termiche (20°C) ed
igrometriche di maturazione ed infine la metodologia di sollecitazione meccanica per la rottura dei
provini.
I risultati della resistenza meccanica, ottenuti secondo la procedura sopra descritta, vengono poi
confrontati con i valori minimi richiesti dalla norma per ciascuna classe di resistenza. Se, per fare
solo un esempio, i risultati ottenuti fossero di 8 N/mm2 a 2 giorni, 30 N/mm2 a 7 giorni e 43 N/mm2
a 28 giorni, la classe di resistenza assegnata a questo cemento sarebbe 32.5, ancorché a 28 giorni la
sua prestazione (43 N/mm2) supera quella richiesta da una cemento di classe 42.5 o 42.5R. Il
mancato raggiungimento di almeno 10 N/mm2 a 2 giorni, infatti, non consentirebbe a questo
cemento di essere inquadrato neppure nella classe di resistenza 32.5R.
Questa parte sui leganti e’ chiaramente incompleta. Vi da un’idea abbastanza buona su come
vengono prodotti i cementi ma non tratta il calcestruzzo, soprattutto gli inerti e la perfetta
miscelazione dei tre componenti fondamentali per ottenere un buon calcestruzzo: cemento,
acqua,inerti.
Purtroppo un corso di 50 ore non e’ sufficiente (credo) per trattare tutti questi argomenti. Comunque
uno splendido sito web da cui ho tratto molte delle informazioni qui riportate e in cui voi potrete
completare la vostra formazione e’:
http://www.enco-journal.com