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access to Belfagor
L'anno scorso i ragazzi del seminario mi hanno regalato una stampa rappresentante
una Puglia del '600. Forse perché il pacco era poco solido, ma io credo di più a causa
della dogana inglese, il vetro era rotto e tutto era rovinato. E dunque quest'anno
non mi date né libri né quadro. Si potrebbe fare come l'anno passato con i ragazzi e
le ragazze del seminario di Roma, una bella cenetta insieme. Spero che vi partec
peranno molti di voi.
Ora, voglio che collaboriamo. Allora, parlate ad alta voce, se possibile non più di
tre alla volta (a Roma in dieci): il vecchio è un poco sordo. Io sono solo di rado
carnivoro. La rabbia io la lancio contro i colleghi, mai contro gli studenti. Io qui mi
interesso di quello che voi non sapete; se avete domande da fare, parlate.
Oggi abbiamo di Pindaro quattro libri di epinici ed altri frammenti su papiro.
Nella biblioteca di Alessandria avevano ben 17 libri delle sue odi.
Pitica prima
Le feste pitiche si celebravano a Delfi ogni quattro anni nel V secolo: non si
trattava di cose private, ma sempre organizzate da una città o da un santuario. La
prima Pitica di Pindaro è del 470. Lo sappiamo dagli scolii, i quali attingevano ai
Pytbionikai di Aristotele continuati da Callistene. Aristotele ed il nipote, lo storico
Callistene, furono per questa attività pubblicamente ringraziati dal collegio anfizionico
di Delfi (cf. il decreto 275 Dittenberger, Syll?, del 334-332). Questi ' disgraziati '
grammatici di Alessandria non avevano bisogno di andare a vedere gli archivi di Delfi,
perché usavano le opere di Aristotele.
Dal 1965 al 1969 Eduard Fraenkel (Berlino 17.3.1888 - Oxford 5.2.1970) è stato ed ha
insegnato per qualche tempo a Bari, presso il corso di filologia greca e latina. Notizie in
proposito, e anche una vivace caratteristica dei corsi del Fraenkel dovuta a Renata Roncali,
il lettore può trovare presso le Esercitazioni sull'Eunuco, Bari 1969, in « Belfagor » del
novembre 1970, pp. 673-689.
Nel 1967 Eduard Fraenkel fu a Bari dal 28 marzo al 25 aprile, e lesse Pindaro e Petronio.
« Pindaro senza lacrime! », diceva Eduard Fraenkel, perché non ne trattava anche la metrica.
La metrica era stata curata prima della sua venuta da Luigi Enrico Rossi.
Renata Roncali ha vagliato gli appunti accertando citazioni e rinvìi, e ha tralasciato gli
interventi dei partecipanti (traduzione ecc.).
« Belfagor » pubblicherà le altre esercitazioni: Sofocle, Aristofane, Plauto, Catullo,
Petronio. Delle esercitazioni sull'Eunuco e su Pindaro apparirà in « Belfagor » un indice
degli argomenti e delle parole. (C. F. Russo).
come conviene alla tragedia (profezia). Pindaro segue spesso Esiodo e l'epopea, dove
possiamo controllarlo. C'è anche una connessione con la Pitica terza.
Al v. 29 parlando di Etna Pindaro cita Zeus, perché Zeus etneo era protettore di
Etna. Esiste un tetradramma d'argento, conservato al Museo di Bruxelles che rap
presenta Zeus con il fulmine in mano, l'aquila, un sileno e lo scarabeo. Molte cose si
sono dette βυΙΓαίτναΐος κάνθαρος della Pace, che fosse un cavallo ο un mulo. Ma io
ho scritto poche pagine su ciò: se tutti questi signori vedessero la moneta di Bruxelles,
capirebbero che si tratta di uno scarabeo.
35: λόγος. Molto difficile da tradurre in lingua moderna. Noi diremmo nella
nostra brutta lingua « logica ». Più facile è tradurlo in latino « ratio ».
39: Orazio ha tradotto questa poesia nel carme 3.4.61: « qui rore puro Castaliae
lavit / crinis solutos, qui Lyciae tenet / dumeta natalemque silvam / Delius et
Patareus Apollo ».
40: è inutile fare la congettura εύανδρεΐν. Ευανδρον è zeugma audace. Quando
noi eravamo ragazzi, dicevamo: « la donna svanì e cascò dalla finestra ». Ma questo è
uno zeugma un po' meno audace. Io ero contento quando trovavo nelle Fenicie uno
zeugma simile: col verbo τίδημι si possono ben congiungere due oggetti cosi diversi.
67: Zeus τέλειος non è invenzione di Pindaro, si trova anche in Eschilo.
Άμένα è il fiume che attraversa Etna. Noi siamo abituati al nome di Catania.
70: ές ήσυχίαν più semplice e commovente « pace » che « tranquillità ». Bruno
Keil, bravo filologo, ha mostrato che ειρήνη è lo stato di tranquillità, l'atto di pacifi
cazione è invece σπονδαί. Per Pindaro lo stato di ήσυχία è fondamentale. L'ottav
Pitica (446) comincia proprio con questa parola. Proprio noi che siamo abituati a
dire « dona nobis pacem », dovremmo tradurre non « tranquillità » ma « pace ».
La più bella invocazione che esiste della musica è quest'ode: tutti gli uomini bonae
voluntatis sono in pace quando vedono la cetra. L'armonia è molto più ' generale ' del
campo musicale: è l'armonia del cosmos. Chi si è rivoltato contro quest'ordine, non
può tollerare la musica. L' ' armoniosa pace ' è una continuazione del pensiero del
primo verso.
Torniamo a Tifeo. Perché il gigante stende le sue braccia da Etna fino a Cuma?
Si allude alla vittoria di Ierone (Pindaro gioca col mito per immettervi elementi di
storia attuale).
72: nell'edizione del 1953 Snell stampa τά invece di τάν e dice « τά
Η. Frankel ». Io dico per la presente edizione: « exit Hermann Frankel, intrat Eduard
Fraenkel ». Dunque nella seconda edizione Snell si è convinto.
75-80: questo è un documento di prim'ordine. Perché Tucidide e gli Ateniesi
pensavano in termini di guerre persiane: Erodoto e Pindaro pensano in termini anche
greco-occidentali. Pindaro, che aveva rapporti con Siracusa, Cirene ecc., era più giusto
e - cosa straordinaria per un greco - dice che è cosa importante Salamina, cosi come
la sconfitta dei Cartaginesi a Imera e degli Etruschi nella battaglia marittima di Cuma.
Gli Etruschi erano sul punto di sgominare l'Italia meridionale. Un esempio. A sud
del golfo di Napoli la città greca più importante era Posidonia. Non sono glottologo
ma sono convinto che da « Posidonia » si sia passati a « Paestum » solo tramite gli
Etruschi, che hanno tali troncamenti. E nella battaglia di Cuma era Ierone che scon
figgeva gli Etruschi e salvava i Greci di Magna Grecia. Senza Ierone la grecità occi
dentale sarebbe sparita. Ora sappiamo bene l'influenza degli Etruschi. Abbiamo due
piccole lamine d'oro (conservate a Villa Giulia) con dediche in lingua punica ed
etnisca. E purtroppo si capisce meglio la parte punica: un sovrano di Caere dedica
un oggetto alla dea Astarte fenicia ringraziandola per un aiuto. Dunque alle porte di
Roma, all'inizio del V secolo, gli Etruschi erano potenti. E allora Pindaro non parla
cosi solo per lusingare Ierone.
ziati ' ragazzi antichi ο del periodo bizantino dovevano imparare la mitologia ed
erano informati bene su tutte le genealogie. Lo scolio cita Ferecide e Acesandro
(FHG I, 72 e IV, 285).
18: la differenza tra un telaio moderno e uno antico è che quello moderno è
un gran piano, quello antico un pianino, cioè verticale. Visitavo San Gimignano e avevo
pochi soldi e avevo albergo a Siena. Era il tramonto. Là vedo una contadina che
faceva una tela grossa su un telaio mai visto. Non ero abituato al rapido tramonto
italiano e mi trovai fuori strada. Invece di andare verso Poggibonsi, andavo verso imo
strano paesaggio, e correvo come mai in vita mia. E perciò il telaio moderno mi è
rimasto impresso.
Per il telaio antico potete vedere al Museo archeologico di Oxford una tazza
del tipo dei vasi cabirici con raffigurata una parodia dell'Odissea. È un gruppo in
bianco e nero. Odisseo sta su tre lunghe anfore legate che fanno da zattera e deve
mangiare per forza pesce, altrimenti morirebbe. Al di là c'è Circe, vecchia brutta
strega, che vuol trasformarlo in uno di quegli animali e lui per difendersi tiene la
spada. Circe è al telaio: unica cosa che qui non è caricatura. La descrizione del telaio
è molto precisa.
19: οίκουριάν. Per questo termine ci sono molte varianti in Schroeder e anche in
Snell. Non si sa quale era la forma usata da Pindaro, ma il senso è chiaro. È lo stesso
dell'attico οίκουρός « che custodisce la casa ». Probabilmente - ma Pindaro non lo
dice - gli dava noia che il simposio fosse solo di donne.
24: Pindaro chiama il sonno « dolce compagno di letto »: è una spiritosaggine.
Un dio non tocca una donna se non è vergine. Cirene però riduce il σύγκοιτος
a poco, παϋρον è predicativo e γλυκύν attributivo. Una cosa comparabile è in
Agamennone 894: il tempo che dorme con Clitennestra.
27: παλαίοισαν «lottava corpo a corpo». Ricordate Eracle col leone di Nemea.
L'immagine non si deve distruggere. Peccato che non possiamo imitare nella lingua
(solo il tedesco ci riesce un po') il libero ordine delle parole greche: κίχε νιν λέοντι.
Il leone è in primo piano, non il soggetto: è una bellezza della vecchia lingua,
εύρυφαρέτρας: enorme iperbato.
29: in forma diretta avrebbe detto: « vieni fuori, ο Chiron ». Noi parliamo e
stampiamo con le virgolette, gli antichi no, e devono assoggettare tutto alla sintassi
(cf. il mio commento ad Agamennone p. 636 e nota 2). Perciò invece del vocativo
il greco ha l'accusativo.
30: Φιλλυρίδα. Pindaro usa la parola con due lambda. Avete un luogo corrispon
dente al principio della Pitica terza, dove anche la prima sillaba è lunga. Paul Maas
ne ha parlato in « Glotta » 38 (1959) p. 307. Si deve ammettere questa grafia.
32: εχοισα « tenens ». In italiano non si può rendere quest'immagine. Lei porta
il suo coraggio al di sopra, κεχείμανται è perfetto. Cf. Wackernagel, Sprachliche
Untersucbungen zu Homer, 1916, p. 100, nota.
35: γεύεται. Ricordate il proverbio in forma di paremiaco: χαλεπόν χορίου
κύνα γεύειν.
36: όσία « fasne est? » È del rito religioso. Apollo, che è un poco giovane, ha
dimenticato le buone maniere e, come si dice in tedesco, « cade con la porta nella
casa », cioè senza fare complimenti.
38 ss.: Chirone dà una lezione di buona educazione al giovane dio Apollo. La
sua professione era quella di pedagogo e tra i suoi più famosi discepoli c'è Achille.
Ne parla Stazio nella sua più bella poesia, l'incompleta Achilleide. [Dante (« cadde
con la seconda soma ») era fortunato perché non conosceva ancora le Silvae]. Apollo
tare» come anche pensano Schroeder e Wilamowitz. Cf. Olimpica I, 63: qui non c'è
il medio, ma l'attivo; ad ogni modo l'idea è simile. Non sappiamo abbastanza delle
sfumature tra attivo e medio per dire che si tratta di casi differenti.
65: la descrizione più famosa di Aristeo nella poesia antica è in Virgilio, quarta
Georgica; qui in Pindaro appare per la prima volta Aristeo.
67: πράξις «azione» non è falsa traduzione, ma è meglio «esecuzione», κείνο
κεΐν': è una tendenza delle lingue molto antiche che parole dello stesso tipo ο con
trario si mettano l'una accanto all'altra.
73: δέξεται. Il futuro l'ha spiegato bene Boeckh.
È questa una delle più belle poesie di Pindaro: la figura di Chirone e la savia
ironia. Io non volevo disturbarvi con la critica del testo che è grande nella parte
seguente e perciò ci fermiamo qui. Imparate a memoria un po' d'Omero. Non dico
Pindaro, poi qualche strofa di Sofocle che è facile perché è musicale, e anche Euripide,
Eschilo è più difficile.
Ha qualcuno letto i trentadue versi che precedono? Voi siete bravi ragazzi di
scuola. Leggete solo quello che il maestro ha detto. Si tratta di una vittoria senza
importanza di un certo Kromios di Siracusa.
33: i maestri di scuola fanno domande che non hanno un punto di partenza dal
testo. Avete negli scolii due pagine e mezza di Teubner in cui ci si chiede perché il
poeta si occupa di Eracle. Pindaro asserisce che la natura è più importante della
dottrina e dell'esercizio ed Eracle sarebbe un esempio di questo. Alcuni pensano che
sia stato qualcuno a consigliare al poeta di ricordare Eracle. Negli scolii vien fatto il
nome di famosi scienziati di Alessandria. Si cita poi Crisippo il quale pensava che
Eracle venisse menzionato per il leone di Nemea e questa è una Nemea (sempre
più buffo!). L'opinione di Didimo, non meno savio né meno sciocco degli altri,
(quante sciocchezze dicono i filologi per rispondere a problemi che non sono problemi)
è preferita dallo scoliasta. Se il principio è buono, anche il seguito è buono: siccome
Kromios è ancora giovane ed ha già vinto, ed Eracle nella narrazione appare prima
bambino contro i draghi, e poi c'è la profezia delle sue gesta, ci sarebbe un'analogia
tra lo sviluppo di Eracle e quello di Kromios. Ma se Pindaro voleva dir questo, vi
avrebbe accennato. Non abbiamo diritto di leggere nel poeta quello che il poeta non
dice. Io chiamo questa di Didimo « obscura diligentia »! Io respiro più liberamente
quando, invece delle sciocchezze degli scolii, leggo Wilamowitz, Pindaros (p. 255):
Pindaro non ha bisogno di spiegare perché salta a parlare di Eracle. Non c'è nessun
nesso tra Kromios e la vecchia storia e Pindaro stesso dice di essere guidato dalla
sua predilezione. Cf. l'Orestea di Pindaro, l'undecima Pitica, dove il ' connesso ' è
molto debole ed artificiale: Trasideo fu vincitore nei campi di Pilade, ospite del
lacone Oreste: e di qui la digressione, che però è più chiara. I tentativi di spiegazione
della filologia alessandrina sono pazzeschi. Filodemo (De Poem. V, 13, 8) diceva una
cosa che Orazio (Ars Poetica 333 ss.) ha un poco sciupato e cioè che il poeta non
scrive διδασκαλίας ϊνεκα, bensì ψυχαγωγίας ϋνεκα (parola che non si può tradurre
in lingua moderna). Quando Pindaro parla agli Americani antichi, che sono i Siracu
sani ο la gente di Cirene, parla volentieri di cose ben note in Grecia. Pindaro è di
Tebe: Eracle è l'eroe preferito.
37: χρυσόθρονον: abbiamo già visto che si tratta degli ornamenti del mantello
a fiorami.
38: le fasce sono un segno principesco: un bambino di famiglia borghese ha
fasce ordinarie ma un principe ha fasce d'oro.
39: βασιλέα nel testo di Snell. In attico abbiamo βασίλεια « regina » (invece
βασιλεία « sovranità »), quindi la forma esatta sarà in Pindaro βασίλεα. Nel testo
di Snell ci deve essere un errore di stampa, forse più vecchio di Snell.
41: prima al verso 40 dice δράκοντας e sembrerebbe che fossero una mezza
dozzina, poi τοί ci svela che sono due.
43: ò δ': Eracle. Pindaro non ha paura d'essere frainteso. Un ben educato scolaro
di un liceo classico ha l'impressione che l'ordine delle parole sia assolutamente arbi
trario. Questo è un pregiudizio. Io ho un interesse per la collocatio verborum,
legato ad un trauma che ebbi alla prima lettura della poesia latina. Leggevo il proemio
delle Metamorfosi·, i maestri di scuola fanno l'errore di far leggere cose difficili. Il
proemio di Ovidio è artificiale e ai poeti piace il τηλαυγές πρόσωπον, come dice
Pindaro (01. VI, 4). Il primo verso delle Metamorfosi è « in nova fert animus
mutatas dicere formas / corpora ». Ordo est: « animus fert dicere formas mutatas in
nova corpora ». E io ragazzo di dodici anni mi dicevo: una lingua come questa non
mi piace studiarla, e comprai un traduttore. Era un atto disonesto ma... Poi mi inte
ressai: era uno sforzo enorme del poeta per esprimere in lingua latina μεταμορφώσεις.
È esagerato, ma non innaturale. Quanto ai poeti greci, quello che segue più l'ordine
della lingua parlata, a parte Aristofane, è Omero. Wackernagel in uno degli ultimi
lavori ha detto che la collocatio è più audace nei lirici corali, come Pindaro. Nei versi
44-45 non c'è stile elevato e c'è iperbato. Un bell'articolo sulla collocatio in Plauto è
in Leo, Ausgewàhlte Kleine Scbriften, pp. 49-69. Parole dello stesso significato tendono
a premersi l'una vicino all'altra. Anche le parole di significato opposto tendono alla
collocazione vicina. Qui c'è poi un iperbato enfatico: Eracle non contento di soffo
carne uno, ne soffoca due alla volta di serpenti.
49: io penso al Ghirlandaio, Visite alla nobiltà di Firenze. Le povere donne, ap
pena nati i figli, subito fanno visita alle donne di tutta la città. Qui per la prima
volta sentiamo il nome della madre di Eracle. Quanto all'aiuto che danno le assistenti,
10 dubito che esso sia importante: esse si divertono.
50: άπεπλος. Ai filologi i paralleli sono cari. « Tanto che solo una camicia vesta »
(Dante, Inferno 23, 42): fortunatamente sappiamo che Dante non leggeva Pindaro!
51: κνώδαλα può essere bestia innocente. Qui è bestia feroce. - Quando tutto
è passato arrivano i maschi. Io ero nel '32 nella Tripolitania italiana, io andavo da
Tripoli a Siracusa, e poi all'altipiano di Gebel e ... qualche altra cosa, ho dimenticato
11 nome. Li erano bellissimi alberi e prati di grano e gli Italiani si eccitavano: « la
Toscana, la Toscana! ». Ma niente case. La gente vive da secoli nel sottosuolo. Là
una colonia ebraica espulsa dalla Spagna al tempo dell'inquisizione. Io mi interessavo
ad una sinagoga dove c'erano rotoli della Bibbia. Finalmente arrivai al domicilio d
quella gente. Tutti strillavano: un bambino era caduto in un pozzo. La nostra guida
era un bravo capitano che parlava la lingua. Disse: « sarebbe una buona idea se
qualcuno portasse una corda ». La corda arrivò e il ragazzo fu salvo. Quando tutto
era passato, arrivò il padre e al capitano, che diceva di far coprire quel pozzo, disse:
« se il ragazzo fosse morto, sarebbe nelle mani del padre eterno » (spirito orientale!).
volta provai delle cose stupide. Se posso adesso trovare la soluzione, lo debbo ad una
osservazione di Wackernagel » (Syntax I, p. 173). Wilamowitz spesso diceva « n
suno dei vivi sa tanto greco quanto Wackernagel ». Pindaro usa sempre φά e n
φάσε. Wilamowitz restituisce φά e congettura su δώσειν; Theiler restituisce δςιώσε
(non ho trovato dove l'ha fatto, ma non nel libro di metrica). Il comune viv ha sos
tuito la vecchia forma del pronome. Con questa restituzione tutto è a posto. Il prim
importante passo era però quello di Wackernagel.
69: ansioso com'è di esprimere l'eternità della beatitudine di Eracle, non
contento di τόν άπαντα χρόνον, ma aggiunge έν σχερώ.
72: νόμον ex scholiis. Abbiamo eccellenti manoscritti di Pindaro, ma se n
avessimo gli scolii, sarebbe un dibattito senza fine. I manoscritti hanno δάμο
γάμον. Nomon/domon non è errore meccanico, anche se nell'onciale delta e ni non
sono molto diversi. Nomon era difficile a capirsi, allora si pensò che Eracle e
nell'aula di Zeus e si corresse domon. Poi qualcuno più sciocco corresse in gamo
Perciò è nostra buona fortuna che abbiamo lo scolio.
La storia che Pindaro ha raccontato è un archaios logos (34). Noi filologi siamo
creature curiose, se uno ci dice cosi che cosa faremo? Diremo: ma caro mio, di dove
l'hai preso? Pindaro non dichiara mai la fonte. Dà l'ornamento, ma lo scheletro della
storia lo prende altrove. Teoricamente che sorte di fonte, di ispirazione ci si aspet
terebbe? Epica. Io non credo più a quello in cui credeva un po' leggermente Wila
mowitz, alle tradizioni orali dei miti. In un autore molto diverso, Plauto, alla fine
dell'Ampbitruo, c'è un temporale formidabile. Viene la vecchia ancella e compiange
Alcmena. Lei si lamenta. Non c'è alcuna dipendenza da Pindaro, ma è la stessa cosa.
Io ho trattato di questo nella mia dissertazione pubblicata a Gottinga nel 1912
[De media et nova comoedia quaestiones selectae, p. 66 e n. 2). Studiavo Plauto, mi
piaceva Pindaro. Le similitudini sono troppe perché sia un caso. Dietro l'Ampbitruo
di Plauto c'è una commedia nuova (il prologo, v. 59, dice che c'è una tragicommedia).
Ma un deus ex machina come è qui Giove, è improbabile in una commedia, è possi
bile solo in una tragedia. Se facciamo uno stemma abbiamo: epica —> tragedia greca
(forse Euripide, Alcmena, dove sappiamo che c'era un gran temporale. Infatti nel
Rudens v. 86 si cita il vento della Alcmena Euripidis) -> commedia nuova -> plauto.
C'è un vaso di Python al British Museum che raffigura Iuppiter e le Iadi, ninfe
della pioggia che gettano acqua su Alcmena che è sulla pira. In nessuna tragedia che
abbiamo ci sono dei ex machina. Quando in Plauto Iuppiter dice ad Anfitrione:
« ascolta me, non i profeti » è polemica contro un'altra versione del mito, quella
di Pindaro (v. 1132). Ma non abbiamo ancora il fatto comune tra Pindaro e la
tragedia: è l'epica. Il tragico non imita Pindaro, ma l'epica che parlava della nascita
di Eracle. Dunque:
POESIA EPICA
PINDARO TRAGEDIA
COMMEDIA
PLAUTO
mia dissertazione, ma quello che lui dice è molto vicino alla mia soluzione. E dunque
« non è un buon metodo separare greco e latino. Latinista è il nome di un filolo
che non ricorda più il greco! ».
Vuol scusare Clitennestra? Pindaro implica che Clitennestra temeva che Agamennon
sapesse dell'adulterio. Cf. Agamennone 861, dove Clitennestra descrive quanto h
sofferto durante l'assenza del re. Pindaro è molto più fine. Pindaro non nasconde ch
quello che ha fatto Clitennestra è orribile, ma il suo sentimento umano è tropp
forte per condannarla. Nel mondo di Pindaro i rapporti erotici sono tra ragazzo
uomini giovani. Qui Pindaro si mette al posto di una donna che è diventata un
criminale, ma solo dopo aver sofferto molto. Pindaro non entra come Sofocle n
mondo della donna, ma la sua umana simpatia è abbastanza forte per capire una tale
cosa. Lo vedremo quando leggeremo il frammento 122.
All'inizio della seconda strofa, è interessante la collocatio verborum: Άρσινό
va con τροφός. Questo iperbato è molto forte. Non è artificiale, ed è comune non sol
nel linguaggio lirico, ma anche in prosa. Se anche in latino cercate un pezzo di prosa
ritmica, di linguaggio colto ma non artificiale, cosa prendete? Epistole ad Attic
Per es. 2, 8, 1: «nulla enim abs te per hos dies epistula inanis aliqua re utili e
suavi venerai ». La bellezza è che qui avete due elementi avverbiali. Qui c'è l'ori
naria forza dell'iperbato. Tutti sentiamo che nulla esige un completamento. E l
collocatio verborum è la stessa che in Pindaro. Tale studio non è per principiant
C'è un sacco di letteratura. Su Afrodite χρυσέα tutte sciocchezze. Il bravo Dov
(bravo per le Nuvole di Aristofane) fa un libro sulle parole basandosi anche su iscri
zioni, che hanno un valore formale (Greek Word Order 1960). Spesso Pindaro es
gera, ma qui fa una cosa molto normale: vuol concentrare l'attenzione degli ascoltatori
32: con il μέν del verso 31 si è ritornati alla storia. Amicle è un villaggio vicino
a Sparta. Dice lo scoliasta all'Oreste di Euripide 46 che secondo Omero la reggia
Agamennone era in Micene, secondo Stesicoro e Simonide a Sparta.
33: άμφ'Έλένρ: si sente ancora che tutta questa guerra era intorno ad Elena
In greco più tardo si direbbe περί. Gli avverbi greci hanno grande capacità di formare
parole: un verbo greco è άμφιανακτίζειν, cantare, perché molti inni avevano un inizi
come άμφί μοι ... &ναχθ' (cf. Cratino 67).
Snell se avesse usato l'editio maior di Schroeder avrebbe trovato che πυρωθέντας
era già di Bergk. La parafrasi sembra chiarire un πυρωθέντων. Dunque c'è una co
ruzione premedievale antecedente alla parafrasi. Io credo che sia giusto l'accusativo.
Nessuna corruttela è più facile di quella dove la parola seguente influenzi la precedente
34: άβράτατος dipende da ελυσε. È il tipo di genitivo che sostituisce il caso
separativo indoeuropeo.
Adesso ci rendiamo conto dello sviluppo della storia. Nell'Odissea chi uccide
Agamennone? Egisto (11,409) con la funesta sposa. Nell'Orestea di Eschilo la pro
tagonista è la sola Clitennestra, ed Egisto arriva quando tutto è finito. In Pindar
è lo stesso che in Eschilo. Rapporti tra Pindaro ed Orestea sono stati sostenuti d
Bowra. Non so se lo creda ancora (Pindar p. 296, η. 2). Bastano i termini cronologici:
la data degli scolii è il 474 per la Pitica di Pindaro, l'Orestea è del 458 ed il fatt
che Eschilo derivi da Pindaro non ha probabilità. Chi ha cambiato il mito è Stesicoro
citato da Plutarco (Page, Poetae Melici fr. 42; l'inconveniente di Page è che ha
anche una numerazione unica, cioè il 219): ci conserva il sogno di Clitennestr
L'influsso di Stesicoro dev'essere stato enorme: già in Stesicoro è la nutrice e la
patria di Agamennone. Eschilo e Pindaro sono indipendenti come poeti, ma il grosso
lo derivano da Stesicoro.
Sei ο sette anni fa il Museo di Boston, che insieme con il Metropolitano di
New York contiene tra le più belle collezioni, comprò un grande vaso a cratere,
databile al 480/70 che Beazley identificò come del pittore della Dokimasia. Da un
lato c'è un uomo con capelli, barba e col vestito bagnato ed un altro l'uccide co
la spada. Come mai dopo Stesicoro? Io mi stupivo: non capivo Agamennone ucci
da un uomo. Ma ho consultato Paribeni e lui mi ha detto che - una cosa convin
cente - certo da un lato è l'uccisione di Agamennone, dall'altro la morte di Egisto.
Ora penso che a lato della tradizione stesicorea ce ne fossero altre minori. Chi avrà
inventato il particolare di Agamennone che esce dal bagno e poi viene ammazzato?
E vorrei sapere chi ha inventato il bagno prima del vaso. Eschilo, come grande ama
tore di Omero, è l'unico dei tragici che fa collezione di miti e ci dà condizioni di vita
omerica non attica.
Penso oggi, e mi sembra chiaro che il vaso di Boston non può rappresentare
la tradizione stesicorea.
Olimpica quattordicesima
4: έπίσκοποι è la funzione del dio greco. Del dio romano si dice « respicit » « ha
un occhio sul mortale ». Si può vedere Plauto.
6: γλυκέα è sfumatura di τερπνά. Wilamowitz si chiede (p. 153) perché le
Cariti avevano il trono vicino ad Apollo. Di solito le Cariti sono in posizione molto
più modesta. Ma è Apollo che va dalle Cariti perché non vuol annoiarsi: esse sono
graziose, non sono sposate. Io sono un peccatore e perciò non vedo problemi.
16: κώμον: dove siamo? Ad Orcomeno. La processione parte dal santuario delle
Cariti. Pindaro ha preso il nome delle Grazie da Esiodo, Teogonia 907 e separa Talia
dalle altre perché Talia protegge la gioventù e il vincitore era un ragazzo.
17: Asopico viene da Asopo in Beozia, dove sono comuni i nomi derivati dai
fiumi; per es. Cefisodoro.
22-24: avete un iperbato enorme in νέαν/χαίταν ed enfasi.
24: έστεφάνωσε: il soggetto non è il vincitore, perché il verbo dovrebbe essere
al medio. Una vecchia ipotesi è che fosse Talia. Ma è impossibile, prorsus incredibile.
Con σεϋ έκατι il poeta prende congedo da Talia. E mi sembra un errore di richiamare
qui Talia. Schroeder mi convince dicendo che il soggetto dev'essere quello che ha la
funzione di dare la corona (Olimpica III, 12). È norma del greco arcaico che la
persona sia riconosciuta dal contenuto. Schroeder rimanda alla Pitica IV, 164 dove chi
ότρύνει è Apollo. Meglio dunque prendersi una libertà sintattica che trasferire Talia
dove non ha niente a che fare.
Pindaro vuol bene al vincitore, ma il suo interesse è il culto di Orcomeno che
conosceva come Tebano. Le Cariti sono di casa ad Orcomeno e di li sono migrate ad
Atene. Pindaro esprime il culto locale e più di quello: con « Cariti » esprime tutto
ciò che un greco sente che fa la vita bella e dolce.
Pitica terza
Filira è un nome comune, non è solo il nome del padre di Chirone. Il significato
è ' tiglio Qui parte dei manoscritti hanno la doppia lambda, altri la semplice. Voi
siete esperti non dico di metrica greca, ma di dattilo-epitriti. In Φιλυρίδαν abbiamo
iota lungo ο doppia lambda. Ne ha parlato in « Glotta » 1959, p. 307 Paul Maas, il
quale ha dimostrato che la parte dei manoscritti che aveva la doppia lambda dà la
lezione esatta. Cf. Aristofane, Uccelli 1377: Cinesia appare e l'Ateniese dice: «salu
tiamo il Cinesia di tiglio ». Ma la quantità in Aristofane non è chiara.
È molto frequente in prosa e poesia incominciare un'orazione con ' vorrei ', for
mula di modestia. Ne ho parlato in Beobachtungen p. 188. Pindaro dice sempre
έθέλω; una sola volta lo scolio alla Pitica II, 39 parla di un encomio il cui principio è
βούλομαι (è il frammento 118). Se quel frammento non esistesse tutti direbbero che
Pindaro usa solo έθέλω. Io non so quale differenza ci sia tra i due verbi.
9-11: qui c'è una certa difficoltà. Commoventi sono gli sforzi degli interpreti
antichi. Cf. lo scolio 18a. Mettere δαμεϊσα con έν θαλάμω ? Ma è violenza strappare
un colon in questo modo! L'osservazione dello scolio è giusta, ma la soluzione è
impossibile. Il Wilamowitz (p. 282, η. 1) osserva che c'è una vecchia corruttela irri
mediabile, due varianti di ugual valore: εις Άίδαο δόμον e εις Άίδα θάλαμο ν. È cor
ruttela ο no? Qui vuol dire « scese nella casa di Ade ». È una semplice perifrasi per
« mori ». « Nella sua camera scese alla casa di Ade ». È di tutte le lingue. Quello che
offende il commentatore è che ci siano due avverbi locali. Non mi meraviglio dello
scoliasta, ma di Wilamowitz.
16: νυμφίαν è di Moscopulo. Io ho scritto a Ruth e le ho detto: « ora sanno
chi è Moscopulo » e lei mi ha risposto: « e chi è Moscopulo, come posso saperlo io? ».
Lo scolio 32a cita versi delle Danaidi di Eschilo. Bei versi, ma non hanno niente
a che fare con ύποκουρίζεσθ'.
Al v. 22 lo scolio cita un frammento di Esiodo. È il frammento 219.
24: Ate si trova per la prima volta in Omero. Prendiamo il libro 19, 86-91
dell'Iliade: riconciliazione di Agamennone e Achille. Agamennone si scusa di quello
che ha fatto e dice: « Io non sono colpevole. Sono Zeus il Destino l'Erinni che mi
hanno messo nell'animo un folle errore (Ate) che tutti fa errare... ». Ate è difficile da
rendere: la sua funzione è di « dementare ». Rammenta molto quello che succede
nel nono libro dell'Iliade (Fenice ad Achille, v. 502 ss.): « le Preghiere (Litai) sono
figlie del gran Zeus... e si affannano a correre dietro ad Ate ». E dopo una lunga ora
zione narra la storia di Meleagro. Dunque abbiamo lo stesso tipo di composizione.
Se io potessi commuovere le Litai, direi: « care Litai, date a questi poveri ragazze e
ragazzi poche settimane per imparare Omero ».
28: tutto questo non si capisce se non si sa che è polemica contro Esiodo.
L'epoca esiodea era contenta con una tale cecità del dio. Ma Pindaro non può ammet
tere che il dio non veda, né che il dio di Delfi possa essere macchiato. E dunque qui
si polemizza acerbamente con Esiodo, senza però nominarlo. Difficile è l'uso della
preposizione locale κοινάνι παρ': « in the courts of » Gildersleeve. Non sopprimere,
non dire « imparava da », ma « era insieme, si consigliava con il νόος ». Qui il
νόος ha il valore omerico. Pindaro non tollerava l'idea che Apollo avesse bisogno del
corvo: « tamquam in Consilio una cum ilio corvo vel internuncio sederei »; nella Pitica
terza Apollo sa tutto.
Vorrei fare una digressione che è molto illuminante sulla religione di Pindaro
e cioè sulla prima Olimpica, vv. 25 e ss. Li c'è ima polemica acerba contro l'usuale
versione del mito di Pelope, perché è impossibile per Pindaro che gli dei, anche
se ingannati, mangino carne umana. Pindaro purifica la religione tradizionale. Cosi nel
Vecchio Testamento viene purificata la concezione di Jahvé, potente conduttore di
popoli.
29: la stessa idea che avete sentito nella Pitica nona, v. 42.
31: viene nominato solo ora Ischi, prima era citato per perifrasi. - Se voi
potete trovare un esemplare dell 'Atlas antiquus di Kiepert, è una meraviglia!
81 ss.: « gli dei largiscono ai mortali un bene e due mali ». Lo scoliaste cit
Omero, Iliade 24,527 « due vasi stanno sulla porta di Zeus che danno doni, < l'uno >
cattivi, l'altro buoni ». Come interpreta Pindaro? Per dirla in modo moderno, Pind
elimina la virgola in Omero (gli antichi non avevano punteggiatura e la cosa
affidata al lettore), e capisce: « ci sono due vasi per le cose cattive ed uno per
buone ». Ora viene il problema che pongo e che non posso risolvere. Ha Pinda
frainteso Omero ο ha cambiato quello che dice Omero? Perché tra Omero e Pindaro
c'è un abisso? Nel frattempo si è inventato il pessimismo. Ma non bisogna esaspera
il pessimismo. Per la mia generazione faceva molta impressione il libro di Nietzsch
sulla tragedia. Egli ha visto che al di là della concezione ottimistica borghese
l'Ottocento che glorificava i Greci c'è il lato tragico, e comincia con la storia
Mida e Sileno (p. 58). La cosa migliore sarebbe non essere nati affatto: cf. L'Ed
a Colono 1125. Nietzsche aveva esagerato. Per Pindaro io non credo che fosse c
sciocco da fraintendere Omero. Invece io penso, ma non posso provarlo, che leggev
in Omero la sua concezione malinconica della vita umana. Pindaro dice cosi p
confortare Ierone malato: come uomini dobbiamo essere contenti.
83: τα καλά τρέψαντες έξω per l'Italia non è il caso, ma in Inghilterra e
Germania una fruttivendola fa cosi.
86: Πάτμος? I Greci avevano tutte maiuscole e non si tormentavano come noi.
Wilamowitz nel suo libro su Pindaro (p. 283, n. 2) dice che è personificazione, il ch
migliora il senso.
Pindaro, come sapete, ha grande predilezione per la storia dell'Eacide e de
sua discendenza. Ne parla nelle odi a Egina, per esempio nella Pitica ottava,
anche altrove. Si dice che Cadmos sarebbe lo stesso di Cosmos [Schulze Kl. Sch. 698]
e l'unificazione di Cosmos e Armonia sarebbe una gran bella cosa. Le nozze di Cadm
e Armonia alla presenza degli dei erano molto famose: cf. Teognide, elegia I, vv. 15-1
103: finisce il mito. Pindaro è religioso e mite, non accusa gli dei. Alla fine d
secondo libro della Politela Platone attacca Eschilo: è il più bel pezzo di Eschilo
possediamo, sfortunatamente non conosciamo la tragedia. « Nemmeno approveremo
Eschilo quando Tetis dice che Apollo cantando alle nozze di Tetis profetò a lei u
buona discendenza » ... « E io - dice Teti - pensavo che dicesse il vero. E invece
stesso cantando quelle cose, lui stesso è lui che ha ucciso mio figlio » (lo dice il ciclo
È la polemica del teologo Platone contro Eschilo. Platone menziona spesso Pind
ma non lo condanna mai, perché è un poeta, condanna invece Eschilo perché è teolo
anch'esso e dunque pericoloso. Se ci doveva esser posto per la religione di Platone, s
doveva eliminare quello che per i Greci del quinto secolo era il grande profeta reli
gioso. Platone usa per combattere il mezzo che tutti i teologi usano: la falsificazion
« malignitas theologorum ». Platone prende il frammento che gli serve e lascia andar
il resto. Eschilo intensifica il contrasto tra Apollo che canta e le sue azioni di dopo.
Pindaro conosce la storia di Apollo alle nozze, ma non la sfrutta come fa Eschilo.
106: σάος è una delle più belle congetture fatte in Pindaro.
108-109: Δαίμων è spesso Πάτμος / Τύχη. Nel mio esemplare io ho scritto
accanto un passo di Antifonte (B 49 Diels). Prendiamo il commento di Agamennone
devo averlo detto in qualche posto del mio Agamennone (nel collegio di Oxford
primo volume è sempre fuori posto perché c'è la traduzione). Al v. 1341 s. άσιν
δαίμονι « con una fortuna senza danno ». È chiaro che in questa frase il termine h
perduto molto del suo carattere personale ed è sulla strada di diventare idea astratt
Ancora cf. Persiani 824 s. Sono molti i passi che troverete nella nota di Agamennon
Frammento 122
Mio vero scopo era non di darvi questi pochi frammenti, ma incoraggiarvi a
leggere Pindaro, e non solo il Pindaro solenne, ma il Pindaro umano. E vi sarà
più facile leggerlo con gli scolii. Vi sono due strati diversi negli scolii: la parafrasi
per le scuole che non contiene elementi di dottrina, e poi notizie che poteva dare s
uno che aveva a disposizione la grande edizione alessandrina. E inoltre gli scolii asso
bono commenti ormai perduti. Fortunatamente l'edizione di Drachmann è buo
Io direi che se leggete una ο due odi con gli scolii intendete meglio Pindaro e avete
un'idea della dottrina antica. So che non avete tempo perché a Bari Pindaro ούδ
λίγιρ, ούδ'έν άριθμω. Certo il problema della difficoltà di Pindaro si riduce spesso
vedere se un elemento sta con ciò che precede ο con ciò che segue. E voi direte: car
mio, non abbiamo tempo!
a cura di Renata Roncali
[Eduard Fraenkel]
HENRI WEIL
Madame
Entretien avec Dufour
Madame Dufour '■
En juin 1971, l'aìnée des petites-filles d'Henri Weil (1818-1909), Madame Dufou
a bien voulu m'accorder une entrevue. Elle est un témoin exceptionnel pour plusi
raisons. D'une part, elle a vécu de 1892 à 1909 dans l'intimité de son grand-père,
était venu habiter chez ses parents. D'autre part, le grand savant qui, à un age avan
avait cessé de produire, pouvait se consacrer à la formation de ses petits-enfants,
elle en a pleinement profité.
Elle m'apprend qu'Anatole France (1844-1924) a connu Henri Weil au co
d'une excursion dans le Hohwald. Le lys rouge (1894) est un roman à clef où Henr
Weil figure sous le nom de Joseph Schmoll, de l'Académie des Inscriptions.
Il est exact, répond Madame Dufour à l'une de mes questions, qu'Henri W
a été l'élève d'August Boeckh (1785-1867) à l'Université de Berlin. Il avait mè
un portrait d'August Boeckh dans son bureau. [C'est à August Boeckh qu'H
Weil et Louis Benloew (1818-1900) dédient leur Théorie Générale de I'Accentua
Latine (Paris, 1855):