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Dalle centrali atomiche francesi l’Italia importa solo l’uno per cento dell’elettricità
totale che consuma
In tutto, nel 2009, sempre secondo i dati di Terna, abbiamo acquistato dall’estero circa
44.000 Gwh di energia, al netto dei 2.100 circa che abbiamo esportato. 10.701 Gwh ce
li ha ceduti la Francia, 24.473 la Svizzera e 6.712 la Slovenia. Tre paesi ai nostri
confini che producono elettricità anche con centrali nucleari. In base ai dati pubblicati
dalla Iaea (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica), la Francia produce il
75,17% dell’elettricità con il nucleare, la Svizzera il 39,50% e la Slovenia circa il 38%.
In termini di Gwh questo significa che importiamo circa 8.000 Gwh di energia elettrica
prodotta dalle centrali nucleari francesi, 9.700 Gwh dalle centrali svizzere e 2.550 Gwh
dall’unica centrale slovena. Quanto pesa quindi il nucleare estero sul fabbisogno
italiano? Il conto è presto fatto. Basta dividere i Gwh nucleari importati mettendo a
denominatore il fabbisogno nazionale lordo. Si scopre così che solo il 2,5% del
fabbisogno nazionale è coperto dal nucleare francese, il 3,05% dal nucleare svizzero e
lo 0,8% da quello sloveno.
“E se dovesse succedere un incidente in una delle centrali dei paesi confinanti?”. Beh,
non ci sarebbe da rallegrarsi, ma ancora una volta i dati possono esserci (un po’) di
conforto. Le tre centrali nucleari più vicine all’Italia sono in Francia a Creys-Malville
(regione dell’Isère), in Svizzera a Mühleberg (vicino a Berna) e in Slovenia a Krško,
verso il confine con la Croazia. Creys-Malville è a circa 100 Km in linea d’aria dalla
Valle d’Aosta, a 250 Km da Torino e a 350 Km da Milano. Mühleberg dista circa 100 Km
dal confine piemontese e 220 Km da Milano. Krško è a 140 Km da Trieste. Ammesso
che si possa usare come riferimento il disastro di Černobyl’, in caso di incidente
sembra che la più alta esposizione alle radiazioni si verifichi nel raggio di 30-35
chilometri dal reattore. Quindi, nelle nostre valli alpine e nelle grandi città del nord si
possono dormire ancora sonni abbastanza tranquilli rispetto all’eventualità che si
costruisca un reattore dentro i confini nazionali.