1
Desidero ringraziare di cuore Carla Casagrande e Silvana Vecchio per aver letto una
precedente versione di questo articolo e per i loro preziosi consigli. Sono ovviamente da sola
responsabile di quanto qui scritto.
2
Per gli Stoici il desiderio (epithumia) è una delle quattro passioni o movimenti fonda-
mentali dell’animo, insieme a timore, piacere e dolore. I medievali latini potevano conoscere
questa classificazione almeno da Cicerone, che nelle Tusculanae Disputationes (IV, 11-22)
elenca, quali perturbationes o affectiones animi, libido e laetitia, metus e aegritudo. Cfr. A.
Garcea, Le passioni presso gli antichi: un percorso attraverso le Tusculanae Disputationes
di Cicerone, in Passioni, emozioni, affetti, a cura di C. Bazzanella – P. Kobau, Milano, Mc
Graw-Hill, 2002, pp. 1-18. Sulle emozioni in Abelardo vd. S. Knuuttila, Emotions in Ancient
and Medieval World, Oxford, Clarendon Press, 2006, pp. 180sgg. e 206-209. Sulla funzione
centrale dell’amore nel suo pensiero e in quello di Eloisa vd. almeno É. Gilson, Héloïse
et Abélard, Paris, Vrin, 19381, 19482 (tr. it. Torino, Einaudi, 1950); M. Perkams, Liebe als
Zentralbegriff der Ethik nach Peter Abaelard, Münster, Aschendorff, 2001 (BGPTMA NF,
LVIII); cfr. anche S. Vecchio, Il piacere da Abelardo a Tommaso, in Piacere e dolore. Materiali
186 luisa valente
per una storia delle passioni nel medioevo, a cura di S. Vecchio – C. Casagrande, Firenze,
SISMEL, Edizioni del Galluzzo, 2009, pp. 66-86: 67-71. Sul desiderio e sull’amore nella
tradizione monastica ancora fondamentali gli studi di Jean Leclercq, tra cui J. Leclercq,
L’Amour des lettres et le désir de Dieu. Initiation aux auteurs monastiques du Moyen Âge,
Paris, Cerf, 2008 4a ed. corr. (Paris, Cerf, 19571; tr. it. Firenze, Sansoni, 1965); Id., L’amour
vu par les moines au XIIe siècle, Paris, Cerf, 1983. Sulla teoria delle passioni in generale nella
tradizione monastica e nel medioevo cfr. I. Sciuto, Le passioni e la tradizione monastica,
«Doctor seraficus», XLV (1998), pp. 5-39; C. Casagrande – S. Vecchio, Les théories des pas-
sions dans la culture médiévale, in Le sujet des émotions au Moyen Âge, éd. par. P. Nagy – D.
Boquet, Paris, Beauchensne, 2008, pp. 107-122; D. Boquet, L’ordre des affects au Moyen-Âge.
Autour de l’anthropologie affective d’Aelred de Rievaulx, Caen, Publications du CRAHM,
2005. Sull’elemento ascetico e monastico nella vita e nella produzione di Abelardo si vedano
soprattutto J. Leclercq, Ad ipsam sophiam Christum. Le temoignage monastique d’Abélard,
«Revue d’ascetique et de mystique», XLVI (1970), pp. 161-181; J. Miethke, Abaelards Stellung
zur Kirchenreform. Eine biographische Studie, «Francia», I (1973), pp. 158-192; D. Luscombe,
Pierre Abélard et le monachisme, in Pierre Abélard Pierre le Vénérable. Les courants philoso-
phiques, littéraires et artistiques en Occident au milieu du XIIe siècle, Abbaye de Cluny 2 au 9
juillet 1972, Paris, CNRS, 1975, pp. 271-278. Cfr. anche, con ulteriori indicazioni bibliogra-
fiche, L. Valente, Exhortatio e recta vivendi ratio. Filosofi antichi e filosofia come forma di
vita in Pietro Abelardo, in L’antichità classica nel pensiero medievale. Atti del convegno della
SISPM (Società Italiana per lo Studio del Pensiero Medievale), Trento 27-29 settembre 2010,
a cura di A. Palazzo, Turnhout, Brepols, 2011, pp. 39-78; Ead., Philosophers and other Kinds
of Human Beings according to Peter Abelard and John of Salisbury, in Logic and Language in
the Middle Ages. A Volume in Honour of Sten Ebbesen, ed. by J.L. Fink – H. Hansen – A.M.
Mora-Márquez, Leiden –Boston – Brill, 2013, pp. 105-124; Ead., Happiness, contemplative
life, and the tria genera hominum in twelfth-century philosophy: Peter Abelard and John of
Salisbury, in The Pleasure of Knowledge, Atti del congresso SIEPM Freising agosto 2012, ed.
P. Porro, in stampa («Quaestio», XIV [2014]).
3
Cfr. ad es. Abaelardus, Theologia Christiana, ed. E.M. Buytaert, Turnhout, Brepols,
1969 (CCCM, XII), II, 31-34, pp. 144-146.
Il desiderio di filosofia nel pensiero di Pietro Abelardo 187
1. Di padre in figlio. Amore delle lettere, affetti familiari e scelte di vita nella
Historia calamitatum e nel Sermo XXIX.
4
Cfr. Abaelardus, Dialectica, ed. L. M. de Rijk, Assen, Van Gorcum, 1956, pp. 148sg.
e 151; Id., Glossae super Perihermeneias, edd. K. Jacobi – K. Strub, Turnhout, Brepols, 2010
(CCCM, CCVI), p. 148,22-149,56. In proposito cfr. I. Rosier-Catach, Les discussions sur le
signifié des propositions chez Abélard et ses contemporains, in Medieval Theories on Assertive
and non-Assertive Language. Acts of the 14th European Symposium on Medieval Logic and
Semantics, Rome, June 11-15, 2002, ed. by A. Maierù – L. Valente, Firenze, Olschki, 2004,
pp. 1-24; M. Lenz, Peculiar Perfection: Peter Abelard on Propositional Attitudes, «Journal of
the History of Philosophy», XLIII (2005), pp. 377-386; M. Lenz, Are Toughts and Sentences
Compositional? A Controversy between Abelard and a Pupil of Alberic on the Reconciliation of
Ancient Teses on Mind and Language, «Vivarium», XLV (2007), pp. 169-188; L. Valente, “Ali-
quid amplius audire desiderat”: desire in Abelard’s theory of non-complete and non-assertive
sentences, in preparazione per un volume dedicato ad Angel d’Ors («Vivarium»).
5
Abaelardus, Dialectica, p. 55,2-4: «Formae autem earum, quas, ut per substantias
subsistant, ipsis adhaerere desiderant, numquam circa substantias ex se, sed ex mobilitate
substantiarum mouentur”.
6
Per le datazioni degli scritti di Abelardo, quando non diversamente indicato, faccio
riferimento ad Abelardo ed Eloisa, Epistolario, a cura di I. Pagani, Torino, UTET, 2004, pp.
66-74 e a The Cambridge Companion to Abelard, ed. by G.E. Brower – K. Guifoy, Cambrid-
ge, Cambridge University Press, 2004.
188 luisa valente
7
Abaelardus, Historia Calamitatum, ed. J. Monfrin, Vrin, Paris, 1962, p. 63,13-64,30 (i
corsivi nei passi citati, qui come nel seguito, sono miei a meno che non si tratti di citazioni
interne al testo). Sulla vita di Abelardo cfr. M. Clanchy, Abelard. A Medieval Life, Oxford,
Blackwell, 1997. Sull’auto-interpretazione della propria vicenda biografica da parte di Abe-
lardo nella Historia calamitatum ancora molto utile D. De Robertis, Il senso della propria
storia ritrovato attraverso i classici nella “Historia calamitatum” di Abelardo, «Maia», XVI
(1964), pp. 6-54; su questa pagina in part. pp. 16sgg.
Il desiderio di filosofia nel pensiero di Pietro Abelardo 189
le lettere, seppur limitata, aveva fatto sì che egli da adulto le abbracciasse con
amore; infine che questo amore divenne tanto grande da spingerlo a prendere
la decisione (disponeret) di far studiare tutti i figli maschi, per quanto destinati
alla vita militare. Tra i figli per altro il padre avrebbe curato in modo partico-
lare l’istruzione proprio di Abelardo, il primogenito, che gli era il più caro –
per quanto, come primogenito, fosse prevedibile per lui una carriera secolare.
Passando poi a parlare di sé, Abelardo racconta come da ragazzo quanto più
ampiamente e facilmente progrediva nello studio delle lettere tanto più arden-
temente si attaccava ad esse e come infine fosse attratto verso di loro con un
‘amore’ talmente forte («in tanto amore illarum illectus sum»; illicio vuol dire
anche adescare) da spingerlo a preferire alla vita da cavaliere proprio le lettere
e, tra le discipline filosofiche, in particolare la logica (dialectica, all’epoca, è
sinonimo di logica): per questo Abelardo si presenta, al termine della vicenda,
come ‘emulo’ dei Peripatetici, logici per eccellenza («Peripateticorum aemu-
lator factus sum»).
Come si vede Abelardo descrive sia per il padre che per sé una esperienza
di intensificazione graduale dell’attaccamento agli studi che culmina in una
scelta di vita inattesa e gratuita, vale a dire non dettata da altro interesse se
non quello per gli studi stessi: per il padre, il quale per altro a un certo pun-
to entrò in monastero8, la decisione di fare istruire tutti i figli e di curare in
particolare l’educazione di quello non a caso più amato, Abelardo appunto;
per il figlio la scelta di abbandonare primogenitura, carriera e residenza fa-
miliare per mettersi in viaggio alla ricerca solo dei migliori maestri9.
Un parallelo della narrazione della Historia calamitatum circa gli inizi
della vita di studio di Abelardo, relativo stavolta agli studi delle lettere sa-
8
Cfr. Abaelardus, Historia calamitatum, p. 67,155-157.
9
All’occasione possiamo osservare come questa descrizione dell’avvio degli studi di
Abelardo ricordi sotto alcuni aspetti la vicenda di Agostino d’Ippona: Agostino infatti
racconta più di una volta di come, instradato verso una brillante carriera di professore di
retorica, la lettura dell’Hortensius di Cicerone abbia risvegliato in lui l’interesse per la filo-
sofia, e di come tale interesse, inizialmente contenuto, si sia trasformato cammin facendo
in un amore per questa disciplina talmente intenso da indurlo alla rinuncia al matrimonio
imminente e alla carriera. Agostino, per illustrare questo intensificarsi del suo amore per
la filosofia, usa l’immagine della fiammella gradualmente trasformatasi in fiamma viva e
infine in un incendio vero e proprio, tale da spingerlo a modificare l’intero progetto di vita.
Cfr. Agostino, De beata vita, ed. W. M. Green, Turnhout, Brepols, 1970 (CCSL, XXIX), I,
4, pp. 66,75-66,104; Contra academicos II, ii, 5, ed. W. M. Green, ivi, pp. 20,45-21,67; cfr.
Confessionum libri XIII, III, iv, ed. L. Verheijen, Turnhout, Brepols, 1981 (CCSL, XXVII),
pp. 29,29-30,32. Sull’Agostino giovane classico lo studio di J.J. O’Meara, The young Augusti-
ne. The growth of St. Augustine’s mind up to his conversion, London – New York – Toronto,
Longmans – Green, 19541.
190 luisa valente
cre, si rinviene nel sermone 29 De sancta Susanna, uno dei sermoni dedicati
da Abelardo a Eloisa e alle sue monache e databile all’incirca nel periodo
1133-113710. Abelardo loda innanzitutto la costante applicazione (zelus) de-
gli Ebrei nelle lettere sacre, per osservare poi come l’entusiasmo (ardor) col
quale essi abbracciano (amplectuntur) la Legge sia tale da indurli (tanto […]
ut) a fare istruire in essa, per quanto privi di mezzi possano essere, tutti i
loro figli. Ancora, Abelardo osserva il magnus fervor in Deum degli Ebrei
nonché il loro ‘desiderio di conoscere’ e rispettare i precetti ricevuti – pur
persistendo essi, scrive, nell’errore di considerare questo sufficiente alla sal-
vezza. Quindi il maestro si sofferma sul concetto di aemulatio (emulazione,
ma anche ambizione, desiderio di primeggiare). Si chiama aemulatio o zelus,
afferma Abelardo, un qualsiasi irruente fervore o desiderio dell’animo volto
a mettere in atto qualche azione unicamente come soddisfazione del deside-
rio stesso e non per altri fini. Peccato, si lamenta l’Abelardo predicatore a
questo punto, che presso i cristiani siano così pochi i genitori animati dalla
dedizione alla ‘perfezione della dottrina evangelica’ al punto da far istruire
i propri figli per il semplice desiderio di essa e non per fini prettamente uti-
litaristici:
Hoc adhuc sacrarum litterarum zelo judaicus populus in ipsis etiam tenebris
caecitatis suae plurimum fervens, non mediocriter nostram, id est christianorum
negligentiam accusat. Tanto quippe ardore legem amplectuntur, ut quislibet eorum
quantumcumque pauper, quotquot habeat filios, neminem diuinas litteras ignorare
permittat. Quorum tanto zelo Apostolus maxime compatiens, ait: “Fratres, volun-
tas quidem cordis mei et obsecratio ad Deum fit pro illis in salutem. Testimonium
enim perhibeo illis quod aemulationem Dei habent, sed non secundum scientiam,”
hoc est magnum fervorem in Deum, ac desiderium in mandatis eius, quae in lege
acceperant, cognoscendis atque implendis, licet in magno persistentes errore, quum
haec ad salutem sufficere credant. Aemulatio quippe seu zelus quislibet animi
fervor uehemens ad desiderium cuiuslibet nuncupatur. Unde et tam bonus quam
malus zelus dicitur uehemens scilicet commotio animi ac sollicitudo ad aliquid
agendum. Nulli uero, uel pauci christianorum sunt, qui euangelicae doctrinae per-
fectionem tanto studio uel causa amplectuntur, ut ejus desiderio filios suos sacris
imbuere litteris curent, sed temporalis tantummodo commodi causa, ut hujus vitae
necessaria sibi ipsis vel illis inde provideant aut de officiis clericorum aut de habitu
monachorum11.
Cfr. P. De Santis, I sermoni di Abelardo per le monache del Paracleto, Leuven, Leuven
10
Quello che Abelardo rappresenta nei due passaggi della Historia calami-
tatum e del Sermo XXIX è l’ideale – descritto come comunemente realizzato
presso gli Ebrei e rarissimo presso i cristiani – di una famiglia nella quale i
genitori sono in grado di suscitare nelle nuove generazioni un amore per la
conoscenza intenso, assolutamente disinteressato e capace di divenire stile
di vita. Per quanto il testo della Historia calamitatum si riferisca alle lettere
in generale e alla filosofia in particolare, e quello del Sermo XXIX alle lettere
sacre e allo studio della Legge presso gli Ebrei, tuttavia le dinamiche e i com-
portamenti descritti nei due testi sono praticamente gli stessi.
Romanos, ed. M. Buytaert, Turnhout, Brepols, 1969 (CCCM, XI), X, 2, p. 249,26-28, dove
lo zelus viene definito in modo simile.
192 luisa valente
labor coepto operi uiam negabat, animus tamen ad efficiendum quod aggressus
fuerat tui contemplatione sufficeret13.
La concezione appassionata e ‘desiderante’ che Abelardo ha dell’atti-
vità intellettuale, fermo restando il principio della natura disinteressata di
quest’ultima, non esclude ricadute positive relativamente a suoi esiti secon-
dari quali il valutare o il rispondere a interrogativi. Si veda ad esempio nelle
Collationes o Dialogo tra un Filosofo, un Ebreo e un Cristiano (ca. 1127-1132),
al termine della prima collatio, tra il Filosofo e l’Ebreo, e prima dell’avvio
della seconda, tra il Filosofo e il Cristiano, il passo in cui prende la parola il
Giudice, ossia Abelardo stesso nella finzione dialogica. L’Abelardo-Giudice
innanzitutto si autopresenta come ‘bramoso’ (cupidus) più di apprendere
che di giudicare, quindi afferma di «voler ascoltare le ragioni di tutti prima
di dare la sua valutazione» perché solo grazie alla sapienza acquisita tramite
l’ascolto di tutte le voci il giudizio potrà essere non avventato. L’intenzione
dell’Abelardo-Giudice di dare libero corso alla propria bramosia di cono-
scere e di ascoltare, più che all’urgenza di giungere a una sententia, è anche
descritta come contagiosa, proprio come è descritto come contagioso, nel-
la Historia calamitatum, l’amore per le lettere trasmesso dal padre al figlio.
Così si dice che gli interlocutori del dialogo (l’Ebreo, il Filosofo e il Cri-
stiano) assentirono concordi alle intenzioni appena dichiarate dal giudice,
«infiammati tutti dallo stesso desiderio di apprendere»:
Asserunt ambo nostri iudicii sententiam excipere. Ego uero cupidus discendi magis
quam iudicandi, omnium prius rationes me uelle audire respondeo, ut tanto essem
discretior in iudicando, quanto sapientior fierem audiendo, iuxta illud quod supra
memini, scilicet summi sapientis prouerbium: ‘Audiens sapiens sapientior erit,
et i<ntelligens> g<ubernacula> p<ossidebit>’. In quo omnes pariter assenserunt,
eodem accensi desiderio discendi14.
In altre parole: il condiviso desiderio di apprendere (cupiditas o deside-
rium discendi) fonda qui un atteggiamento di disponibilità alla conversazio-
ne e alla messa in discussione razionale degli argomenti di tutti che inizial-
mente prescinde dall’obiettivo di trovare una risposta all’interrogativo di
partenza, ma che alla fine è funzionale al perseguimento di tale obiettivo. Le
risposte e le valutazioni saranno tanto migliori, sembra dire Abelardo, quan-
to più l’atteggiamento di chi indaga è rivolto in primis non al reperimento
13
Boethius, De hypotheticis syllogismis, ed. L. Obertello, Brescia, Paideia, 1969, pp.
205-206.
14
Abaelardus, Collationes, ed. J. Marenbon – G. Orlandi, Oxford, Clarendon Press,
2001, p. 76.
194 luisa valente
16
Pensiamo alla tesi della ricerca non della verità bensì del verisimile su alcune que-
stioni teologiche (cfr. ad esempio Abaelardus, Theologia summi boni, edd. M. Buytaert – C.
Mews, Turnhout, Brepols, 1987 [CCCM, XIII], II, 26-27, p. 123,232-246. Sul metodo teo-
logico di Abelardo vedi G. Allegro, Teologia e metodo in Pietro Abelardo, Palermo, OSM,
2010, con ampia bibliografia sugli studi precedenti. Sul carattere antidogmatico del pensiero
pedagogico di Abelardo si veda in italiano lo studio di G. Ballanti, Pietro Abelardo. La rina-
scita scolastica nel XII secolo, Scandicci, La Nuova Italia, 1995.
196 luisa valente
Apud nos vero monachi, qui videlicet aut communem apostolorum vitam, aut priorem
illam et solitariam Johannis imittantur. Apud gentiles autem, ut dictum est, philosophi;
non enim sapientie vel philosophie nomen tam ad scientie perceptionem quam ad
vite religionem referebant, sicut ab ipso etiam huius nominis ortu didicimus, ipso-
rum quoque testimonio sanctorum17.
Del lungo discorso messo da Abelardo sulle labbra di Eloisa in questa
sede ci interessano tre tesi:
1) L’amore per Dio dei monaci autentici («qui vere monachi dicuntur»)
e il desiderio di filosofia dei filosofi antichi migliori («qui nobiles in gentibus
extiterunt philosophi») sono in definitiva la stessa cosa in due diversi periodi
della storia.
2) I filosofi hanno rispetto ai pagani lo stesso ruolo che hanno alcuni
gruppi di profeti rispetto agli Ebrei e gli apostoli e i monaci autentici rispet-
to ai cristiani: vivendo segregati, sono per il proprio popolo figure eminenti
e modelli di virtù – soprattutto di continenza o astinenza.
3) Come presso i Padri e i monaci, i nomi philosophia e sapientia erano
usati presso i filosofi antichi per intendere non la mera acquisizione di cono-
scenze ma il senso religioso della vita (vitae religio)18.
17
Abaelardus, Historia calamitatum, p. 77,493-509. Abelardo evidentemente non può
esimersi, nel seguito di questo testo (ll. 513-528), dal menzionare la famosa definizione di
Pitagora del filosofo come di colui che si dedica con amore alla ricerca della sapienza – «stu-
diosus uel amator sapientiae» – e dal sottolineare, ricorrendo ampiamente all’VIII libro del
De civitate Dei di Agostino, la sobrietà e la morigeratezza della vita degli antichi filosofi. Sul
tema del ruolo dei filosofi antichi nel pensiero di Abelardo cfr. soprattutto J. Jolivet, Doc-
trines et figures de philosophes chez Abélard, in Petrus Abaelardus (1079-1142). Person, Werk
und Wirkung, hrg. v. R. Thomas, Trier, Paulinus Verlag, 1980 (Trierer Theologische Studien,
XXXVIII), pp. 103-120, rist. in Id., Aspects de la pensée médiévale: Abélard, Doctrines du
langage [Reprise], Paris, Vrin, 1987; cfr. anche L. Valente, Exhortatio e recta vivendi ratio,
con bibliografia su altri studi precedenti.
18
Su Abelardo come uno dei più significativi rappresentanti dell’idea della filosofia
come una forma di vita cfr. in particolare J. Domański, La philosophie, théorie ou manière de
vivre? Les controverses de l’Antiquité à la Renaissance, Fribourg, Cerf, 1996, passim.
Il desiderio di filosofia nel pensiero di Pietro Abelardo 197
19
Abaelardus, Historia calamitatum, p. 77,483-486. La contrapposizione tra la moltepli-
cità dei beni terreni e l’unicità della felicità filosofica ricorda molto da vicino la Consolazione
della filosofia di Boezio, nella quale per altro il desiderio nelle sue diverse forme gioca un
ruolo di primissimo piano. Nel Libro III, prosa 11, ad esempio, la felicità è definita come
quello stato verso il quale tutti tendono e che consiste in quel bene posseduto il quale non
se ne desidera alcun altro. Anche qui il desiderio dell’unica beatitudine come sommo bene
è contrapposto alla molteplicità inesauribile dei falsi beni mondani e si afferma chiaramente
che tutti gli uomini naturalmente bramano (cupiditas) l’unico vero bene ma ne sono distolti
dall’errore e si rivolgono così ai molteplici beni apparenti. Ed. C. Moreschini, Monachi et
Lipsiae, K.G. Saur, 2000 (Bibliotheca Teubneriana), p. 87,8-27. Nello stesso senso vanno
alcuni passi delle Scritture, ad esempio Ps. 27, 4: «Unam petii a domino, hanc requiram, ut
inhabitem in domo Domini, et visitem templum eius».
20
J. Leclercq, Etudes sur le vocabulaire monastique du moyen age, Roma, Herder, 1961;
cfr. anche Id., L’amour des lettres et le désir de Dieu.
198 luisa valente
et terre, lucem factam esse Propheta statim commemorat. Post fidem autem spes
sequitur, que hominem prius per concupiscentiam ad terrena defluentem, dum
uariis ducitur desideriis, iam quasi a terrenis ad celestia sustollit, et in eis eius
animum ad multa primitus discurrentem firmat ac stabilit, et contra quaslibet
aduersitatum procellas quasi anchora nauem conseruat, et ad quelibet toleranda
uel aggredienda desiderio celestium corroborat. Quod bene superiorum aquarum
suspensio facta secundo die figurat, que per interpositionem celi sursum firmiter
est stabilita 21.
D’altronde, l’esaltazione da parte di Abelardo della nozione già agosti-
nana e altomedievale di vera philosophia per intendere la vita religiosa non
implica l’esclusione e l’abbandono delle discipline profane, le quali accom-
pagnano verso di essa. Così, sempre nella Historia calamitatum, laddove de-
scrive il cambiamento messo in atto nella propria vita di maestro una vol-
ta divenuto monaco, Abelardo dichiara di non aver smesso di insegnare le
arti liberali ma di aver continuato a farlo, usandole come esche per attrarre
philosophico amore gli allievi e indirizzarli verso la vera philosophia: «(…)
quod professioni mee convenientius erat, sacre plurimum lectioni studium
intendens, secularium artium disciplinam quibus amplius assuetus fueram
et quas a me plurimum requirebant non penitus abjeci, sed de his quasi
hamum quendam fabricavi, quo illos philosophico sapore inescatos ad vere
philosophie lectionem attraherem (…)»22.
La stessa convergenza di fervore ascetico di stampo monastico ed entu-
siasmo per lo studio e l’apprendimento della filosofia la troviamo, ancora
nella Historia calamitatum, nella descrizione della vita condotta all’oratorio
del Paracleto negli anni ’2023. Non a caso, infatti, Abelardo menziona an-
che in questo contesto il Contra Iovinianum di Girolamo cui aveva già fatto
ricorso Eloisa nella dehortatio a nuptiis riferita da Abelardo24. Abelardo, in
particolare, cita un passo in cui Girolamo narra che Platone avrebbe situato
la sua scuola in un luogo arido e malsano affinché lì i suoi allievi, non solle-
citati dai piaceri terreni, potessero non sentire «alcun altro piacere se non
quello solo delle cose che apprendevano»: «(…) Sed et ipse Plato, cum dives
esset et thorum ejus Diogenes lutatis pedibus conculcaret, ut posset vacare
philosophie elegit Academiam villam, ab urbe procul, non solum desertam,
sed et pestilentem: ut cura et assiduitate morborum libidinis impetus fran-
gerentur, discipulique sui nullam aliam sentirent voluptatem nisi earum rerum
quas discerent»25.
Dove troviamo ancora una volta la contrapposizione tra la molteplicità e
la dispersione dei piaceri terreni da una parte e l’unicità del vero piacere o
della unica filosofia, origine della vera felicità, dall’altra26.
P. Wipert, Berlin, de Gruyter, 1964 (Miscellanea mediaevalia, III), pp. 15-29, rist. in Id.,
Pour un autre Moyen Âge, Culture en Occident. Dix-huit essais, Paris, Gallimard, 1977, pp.
181-197: 184-185, sottolineando gli aspetti di dinamismo cittadino e critica della tradizione
certamente presenti nella storia e nel pensiero di Abelardo, riteneva che questi appartenesse
proprio all’ambiene urbano e fosse invece in contrasto sia col mondo monastico tradizionale
che col monachesimo riformato.
24
Sul ricorso agli scritti di Girolamo da parte di Abelardo cfr. C. Mews, Un lectuer de
Jérôme au XIIe siècle, Pierre Abélard, in Jérôme entre l’Occident et l’Orient. XVIe centenaire
du départ de saint Jérôme de Rome et de son installation à Bethléem (Chantilly, septembre
1986), éd. par Y.M. Duval, Paris, Études augustiniennes, 1988, pp. 492-444 (rist. in Id.,
Abelard and his Legacy, Aldershot, Ashgate, 2001); Ph. Delhaye, Le dossier anti-matrimonial
de l’Adversus Jovinianum et son influence sur quelques écrits latins du XIIe siècle, «Medieval
Studies», XIII (1951), pp. 65-86.
25
Abaelardus, Historia calamitatum, p. 93,1077-1083.
26
Tale contrapposizione ricorda molto da vicino la Consolazione della filosofia di Boe-
zio, nella quale per altro il desiderio nelle sue diverse forme gioca un ruolo di primissimo
piano. Nel Libro III, prosa 11, ad esempio, la felicità è definita come quello stato verso il
quale tutti tendono e che consiste in quel bene posseduto il quale non se ne desidera alcun
altro. Anche qui il desiderio dell’unica beatitudine come sommo bene è contrapposto alla
molteplicità inesauribile dei falsi beni mondani e si afferma chiaramente come tutti gli
uomini naturalmente bramino (cupiditas) l’unico vero bene ma ne siano distolti dall’errore e
si rivolgano così ai molteplici beni apparenti. Ed. C. Moreschini, Monachi et Lipsiae, K.G.
Saur, 2000 (Bibliotheca Teubneriana), p. 87,8-27. Nello stesso senso vanno alcuni passi delle
Scritture, ad esempio Ps. 27, 4: «Unam petii a domino, hanc requiram, ut inhabitem in domo
Domini, et visitem templum eius».
200 luisa valente
27
Abaelardus, Theologia Christiana ed. E. M. Buytaert, Turnhout, Brepols, 1969
[CCCM, XII], II, 45, p. 150,623-641.
Il desiderio di filosofia nel pensiero di Pietro Abelardo 201
28
Abaelardus, Problemata Heloissae, ed. V. Cousin, Paris, Durand, 1849 (Opera
Omnia, I), XL, pp. 237-294: 286sgg. Cfr. Sermo VI, ed. Cousin (Opera Omnia, I), p. 400sgg.,
dove i giumenti che trasportano Gesù calpestando le vesti stese per terra sono paragonati ai
cristiani che non toccano terra con i piedi in quanto «eorum desiderium conversatur in cae-
lis, eorum affectus non adhaerent terrenis». Sugli animali nel pensiero filosofico e teologico
medievale cfr. Il mondo animale, Firenze, Certosa del Galluzzo, 2000 (Micrologus, VIII) e
P.-O. Dittmar, Le seigneur des animaux entre pecus et bestia. Les animalités paradisiaques des
années 1300, in Adam, le premier homme, éd. par A. Paravicini-Bagliani, Firenze, SISMEL,
202 luisa valente
Edizioni del Galluzzo, 2012, pp. 219-254 (con indicazioni sugli studi precedenti); S. Perfetti,
Gli animali pensati tra medioevo e prima età moderna, Pisa, ETS, 2012.
29
Abaelardus, Theologia Christiana, II, 66, p. 159,919-939.
Il desiderio di filosofia nel pensiero di Pietro Abelardo 203
30
Cfr. Macrobius, Commentarii in Somnium Scipionis, ed. J. Willis, Leipzig, Teubner,
1970, I, 8, 5, p. 37,22-28.
31
Abaelardus, Theologia Christiana, II, 66-67, pp. 159,919-160,964.
204 luisa valente
Il desiderio di filosofia che abbiamo visto nel prologo al Sic et non descrit-
to come amore per l’interrogazione, il dubbio e la pratica delle rationes ha
nella Theologia Christiana una forma diversa che è di fatto quella del deside-
rio della visione di Dio – visione che è il sommo bene e la felicità dell’uomo
secondo il Cristiano delle Collationes33. Che per Abelardo la felicità possibile
sulla terra abbia la forma del desiderio e della speranza è testimoniato da
molti testi. Nel Sermone VI In septuagesima ad esempio, che si rivolge a dei
fratres molto probabilmente da intendersi come monaci e forse identificabili
con i suoi compagni al Paracleto34, è presentato come per desiderium il rag-
giungimento da parte dei fedeli dalla patria celeste una volta abbandonati i
vizi e i piaceri illeciti:
Una strada in parte diversa mi pare scelga Giovanni di Salisbury, che pure è stato allievo
32
di Abelardo, su questo punto. Giovanni di Salisbury infatti inserirà nell’orbita della filosofia
come disideranti anche quanti vivono esclusivamente una vita attiva non potendo permettersi di
dedicarsi alla contemplazione, e tuttavia desidererebbero ardentemente poter diventare filosofi.
Laddove Abelardo caratterizza come massimamente desideranti il grado più alto dei filosofi,
praticamente identificando la più alta forma di contemplazione con il desiderio (anhelitus),
inversamente, e più intuitivamente, Giovanni di Salisbury identifica il gruppo più eminente
degli uomini con i sapienti, che non hanno più da desiderare la sapienza in quanto la posseggono
già, e il grado intermedio con i filosofi, che amano e desiderano la sapienza (corrispondenti ai
philosophantes di Abelardo). A questi, poi, Giovanni aggiunge un terzo gruppo, quello di quanti
vivono la vita attiva e non se ne possono allontanare, e tuttavia desidererebbero potersi dedicare
allo studio della sapienza. Insomma quanti desiderano essere filosofi e così ‘desiderano deside-
rare’ la sapienza. Cfr. Iohannes Sarisberiensis, Policraticus, ed. C. C. J. Webb, Oxford, Clarendon
Press, 1909, VII 8, p. 119,18-25. Cfr. L. Valente, Philosophers and other Kinds of Human Beings e
Ead., Happiness, contemplative life, and the tria genera hominum.
33
Abaelardus, Collationes, pp. 158-160: «Christianus. (…) quicumque illa Dei uisione
fruuntur de qua dicit psalmista – ‘Satiabor cum apparuerit gloria tua’ (…) – tanto tunc
meliores efficiuntur, quanto amplius eum diligunt quem in semet ipso uerius intuentur, ut
uidelicet summa illa dilectio in illa summi boni fruitione, que uera est beatitudo nostra,
summum hominis bonum recte sit dicenda. Tanta quippe est illa diuine maiestatis gloria, ut
nemo eam conspicere queat qui non in ipsa eius uisione statim beatus fiat».
34
Cfr. De Santis, I sermoni di Abelardo, pp. 113sg., 131. Il sermone non presenta ele-
menti per una datazione più precisa all’interno dello spazio temporale più ampio indicato
per l’insieme della raccolta, ossia 1121-1137 (De Santis, pp. 125-167)
Il desiderio di filosofia nel pensiero di Pietro Abelardo 205
Sion mons est, in quo ciuitas Jerusalem sita est. Per hunc ergo montem celsitudo
supernae patriae, in qua est Jerusalem, id est continua visio verae pacis, exprimitur.
Cujus desiderio fideles accensi ad illam jugiter quasi flentes suspirant, et de hac ualle
lacrymarum tanquam de captivitate babylonica, quo amplius conscendere cupiunt,
differri ab illa grauius gemunt. Ordo congruus prius sedere super flumina, et post-
modum fletus referuntur lamenta, quia nemo dum vitiis subiicitur, et voluptatibus
subjugatur, erigere se per desiderium ad supernam valet civitatem: nec nisi prius a
malo declinemus, bonis faciendis operam damus35.
Nelle Collationes il Cristiano dice chiaramente che il messaggio evangeli-
co circa la beatitudine evangelica dei poveri di spirito consiste nell’invito al
disprezzo del mondo da una parte e al desiderio di felicità dall’altra, fornen-
do una interpretazione delle beatitudini ad un tempo in termini di religiosità
cristiana e di filosofia stoica:
Christianus. (…) Dominus autem Iesus, cum nouum traderet testamentum, in ipso
statim exordio tale sue doctrine fundamentum collocauit, quo et ad contemptum
mundi et ad huius beatitudinis desiderium pariter incitaret, dicens: ‘Beati pauperes
spiritu, quoniam ipsorum est regnum caelorum’; et post aliqua: ‘Beati, qui persecu-
tionem patiuntur propter iustitiam, quoniam ipsorum est regnum caelorum.’ Et si
diligenter attendamus, ad hoc uniuersa eius precepta uel exhortationes adhibentur,
ut spe illius superne et eterne uite omnia contempnantur prospera siue tolerentur
aduersa36.
E più avanti è lo stesso Filosofo a dichiarare che secondo tutti quelli che
fanno filosofia rettamente (omnes recte philosophantes) il sommo bene in sé
è Dio e il sommo bene per l’uomo è la «quiete eterna o letizia perpetua gua-
dagnata come premio di una vita giusta, sia che sia identica con la visione e
la conoscenza di Dio sia che la si ottenga in qualche altro modo»:
Philosophus. Summum utique bonum aput omnes recte philosophantes non aliud
quam Deum dici constat et credi; cuius scilicet incomparabilis et ineffabilis beati-
tudo, tam principii quam finis ignara, nec augeri potest nec minui. (…) summum
autem hominis bonum illa est perpetua quies siue letitia quam quisque pro meritis
post hanc uitam recipit siue in ipsa uisione uel cognitione Dei, ut dicitis, siue quoquo
modo aliter contingat37.
Che relazione c’è, dunque, nel pensiero di Abelardo, tra la concezione
del desiderio di filosofia come passione per l’indagine razionale condotta in
forma dialogica e dubitante da una parte, e la nozione di desiderio amoroso
35
Abaelardus, Sermones, Sermo VI, p. 401.
36
Abaelardus, Collationes, p. 110.
37
Abaelardus, Collationes, p. 150.
206 luisa valente
di beatitudine in quanto visione di Dio e premio per una vita giusta dall’al-
tra? Tra le due sembrerebbe a prima vista esserci una differenza di rilievo.
Tuttavia, il continuo intrecciarsi delle due dimensioni nei testi abelardiani
fa pensare che, agli occhi del maestro Palatino, tale differenza non fosse
così importante. Non si trattava per lui, mi pare, di una effettiva duplicità
di oggetti o di concezioni del desiderio. Piuttosto, possiamo pensare a una
stessa idea della filosofia come vita improntata all’amore per la conoscenza,
la contemplazione e la giustizia: un tipo di vita degno di essere desiderato
per se stesso da ogni uomo e donna ma che può assumere forme diverse a
seconda delle diverse persone che lo esperiscono e della loro appartenenza a
diversi popoli o a diverse fasi della storia.