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La definizione più celebre deriva dallo studioso Havighurst, secondo cui un compito di sviluppo è un
compito che si presenta in un determinato periodo della vita di un individuo e il cui esito positivo conduce
alla felicità e al successo nell’affrontare problematiche successive, mentre il fallimento comporta infelicità,
disapprovazione della società e difficoltà di fronte ad altri compiti che si presentano in seguito. I compiti di
sviluppo accompagnano l’intero ciclo di vita e si collocano come ambiti in cui la persona si impegna al fine
di raggiungere competenze (di tipo cognitivo, affettivo e relazionale) che le consentono di superare la fase
che sta vivendo ed entrare in quella successiva. Essi si distinguono inoltre in ‘’ricorrenti’’ e ‘’non ricorrenti’’:
i compiti ricorrenti si presentano in più fasi del ciclo di vita, con sfumature e intensità diverse e vengono
affrontati a partire dalle esperienze pregresse (es: sviluppare competenze intellettuali e acquisire un
sistema di valori), i non ricorrenti riguardano una fase specifica e devono essere affrontati nel momento in
cui si presentano e godono pertanto di un ruolo di cruciale importanza (es: la trasformazione del corpo
nella pubertà). Riguardo l’adolescenza vi sono dei compiti di sviluppo universali, quali compiti legati allo
sviluppo fisico e sessuale, quello relativo allo sviluppo cognitivo e all’acquisizione del pensiero ipotetico-
deduttivo, il quale consente la formazione di interessi personali e sociali, quelli riguardanti la dimensione
relazionale che comprende i luoghi significativi per l’adolescente (famiglia, scuola, gruppo dei pari). Infine vi
sono compiti legati all’evoluzione identitaria e alla riorganizzazione del sé; a tal proposito è rilevante
evidenziare che i percorsi identitari sono soggettivi, sono vissuti in maniera distinta da ciascun adolescente
e influenzati da innumerevoli fattori, tra cui la cultura, il gruppo sociale d’appartenenza e la storia
autobiografica della persona.
Marcia
A partire dal modello evolutivo eriksoniano e dalla sua prospettiva psicosociale, Marcia ha definito l’identità
come una struttura del sé che prende forma in relazione alle risposte che l’individuo darà in base alle
problematiche delle diverse fasi della vita, costituisce pertanto un’organizzazione autocostruita e dinamica.
Gli stati d’identità si definiscono a partire da due dimensioni: l’esplorazione delle possibili alternative e
scelte che l’individuo compie in contesti differenti e l’impegno che consente di perseguire l’alternativa
individuata. L’autore individua quattro stati d’identità in particolare:
1) In che modo Bruner parla della ricerca del significato? (rivoluzione cognitiva + differenza
pensiero logico e narrativo)
Jerome Bruner rientra nel panorama novecentesco, durante il quale si cercava di costruire una
cosiddetta ‘’psicologia scientifica’’. Agli inizi dei suoi studi la ricerca psicologica era centrata sul
paradigma comportamentista, da cui tuttavia egli si discosta al fine di approdare ad una
rivoluzione cognitiva che non ponesse al centro gli stimoli, il comportamento osservabile e le
pulsioni biologiche, bensì il significato che gli esseri umani creano per dare un senso al mondo
esterno e a se stessi e le attività simboliche che costruiscono. La rivoluzione cognitiva
originariamente concepita non mirava di certo a contrastare a priori il comportamentismo,
quanto piuttosto a trovarvi un’alternativa. Ciononostante, in contemporanea all’introduzione
della computazione come metafora dominante, l’interesse si sposta dal significato
all’informazione e dalla costruzione del significato all’elaborazione dell’informazione: secondo il
modello computazionale l’informazione contiene un messaggio precodificato nel sistema e il
significato è assegnato a priori ai messaggi. Bruner, a tal proposito, afferma che l’elaborazione
dell’informazione non può trattare nulla che vada oltre dei dati organizzati in modo definito e
arbitrario e che vengono controllate rigorosamente da programmi di operazioni elementari.; la
mente è pertanto equiparata ad un computer e la capacità di memorizzare e comprendere a
quella di simulare realisticamente, tramite un software, l’elaborazione. Si può dunque
affermare che la psicologia cognitivista avesse di gran lunga svalutato il concetto di agente, di
scelta: la scelta dell’essere umano si manifesta non solo in funzione degli stati intenzionali, ma
anche a partire dal contesto ed è in tal senso che Bruner critica, in maniera risoluta, la
dominanza dell’atteggiamento computazionale, che eclissa ogni ricerca di significati che hanno
a che fare con le più profonde istanze psicologiche. A partire da tali affermazioni, egli
argomenta in favore di una rifondazione dell’originaria rivoluzione cognitiva, ispirata al
riconoscimento che il concetto basilare della psicologia è la ricerca del significato, definito come
principio strutturale dei processi e delle vicissitudini umane. In tal senso propone una psicologia
culturale che ha come elemento essenziale la circolarità del pensiero narrativo; esso fa
riferimento ad una funzione intrinseca all’essere umano, la quale approda a fornire un senso e
un significato che non siano universalmente accettabili ma soggettivamente significanti,
interiorizzando le esperienze come parti di vissuto e di identità. Il pensiero narrativo è
ideografico nella misura in cui ricerca leggi relative al caso singolo secondo un quadro unitario,
producendo enciclopedie di temi, situazioni e casi; esso si contrappone al pensiero logico o
paradigmatico, tipico del ragionamento scientifico, che mira a costruire categorie e
proposizione libere dal contesto. La particolarità di questo pensiero è il processo di
categorizzazione che applica, difatti viene definito come produttore di dizionari ( le
informazioni accumulate sotto forma di pensiero logico vengono circoscritte all’interno di
un’identità appartenente a questo tipo di informazioni e limitate a ciò proprio come in un
dizionario sono presenti tante parole tra loro indipendenti e con il proprio significato). Il
pensiero narrativo è concepito al contrario come un modo di intendere il sociale ed è anche per
tale ragione che gode di un’importanza significativa per gli adolescenti: la fase adolescenziale
implica la progressiva separazione dalle figure genitoriali che attribuiscono un copione e una
storia già scritti che, tuttavia, tramite la narrazione (strumento principale di espressione e
comunicazione) possono essere trasformati e adattati al vero sé e alla propria identità, creando
una sorta di autobiografia.
2) La psicologia culturale
La psicologia culturale formulata da Bruner non si limita a trattare le asserzioni degli esseri
umani come indicatori predittivi del comportamento manifesto, ma considera il principio
secondo cui il rapporto tra l’azione e l’esperienza risulta interpretabile nel normale
comportamento quotidiano. Difatti tale orientamento psicologico non si occupa di
comportamento ma di azione (intesa come controparte intenzionale del comportamento) e più
nello specifico, di azione nella situazione, un’azione situata in un particolare scenario culturale.
Secondo l’autore i sistemi simbolici di cui gli individui si servono per costruire significato sono
profondamente radicati nella cultura e nel linguaggio. Le culture mettono in moto dei
meccanismi-protesi che ci rendono possibile trascendere i ‘puri e semplici’ limiti biologici: se ci
si trova in una cultura che riconosce le specificità degli individui e non le considera dei disvalori
e che ha la duttilità per proporre altre strade, si hanno buone possibilità di andare oltre i propri
ostacoli). I concetti base della psicologia culturale sono: valorizzazione della nozione di
soggettività: l’uomo è un essere riflessivo che formula scopi e piani, che anticipa le
conseguenze delle proprie azioni, che è in grado di influenzare il proprio ambiente (agency).
L’azione è la controparte intenzionale del comportamento ed è sempre azione nella situazione
(scenario culturale e interazioni reciproche) approccio epistemologico non riduzionistico: il
processo di conoscenza è un atto di interpretazione attuato da un attore che è intimamente
coinvolto nel processo che osserva (implicazione); prospettiva monistica: mente e cultura
non sono separabili, ciò ha forti connotazioni evolutive. Esempio: studiare nello sviluppo come
il bambino diventa in grado di coordinarsi ai genitori, di tenere conto delle specifiche
aspettative della sua famiglia, di usare strumenti del suo ambiente, etc. rifiuto del postulato
dell’unità psichica: non è vero che i processi psicologici sono uguali in tutti gli individui a
prescindere dalla loro cultura di riferimento; per spiegare lo sviluppo abbiamo bisogno di teorie
esplicative differenziate in base alla cultura. La prospettiva culturale non nega che possano
esistere processi psicologici universali, solo che, quando questi “universali” esistono, essi sono
dovuti al fatto che gli individui attribuiscono significati culturali simili e utilizzano pratiche
culturali simili. È possibile generalizzare solo all’interno della stessa cultura o di culture simili.
enfasi sul linguaggio e sull’interazione: linguaggio e interazione sono i veicoli attraverso i quali i
significati sono creati, comunicati, mantenuti e trasformati. I medesimi atti comunicativi
linguistici e interattivi portano alla costruzione di regole comuni del modo di pensare.
3) Soliloqui di Emily
Si tratta di uno studio longitudinale che Bruner analizza e descrive, ascoltando i soliloqui di una
bambina, Emily, dai 18 mesi ai 3 anni. Fu scelta Emily in quanto si trovava in una fase che egli
definisce narratogena: in una situazione non canonica data dall’arrivo di un fratello, l’inizio
dell’asilo e il subentrare di babysitter nella quotidianità. Questo studio consentì di osservare lo
sviluppo del suo linguaggio, non utilizzato solo come strumento comunicativo, ma anche come
veicolo per riflettere ad alta voce, alla fine delle sue giornate piene di impegni. Circa un quarto
dei suoi soliloqui erano resoconti narrativi di tipo autobiografico su quello che aveva fatto o su
quello che pensava avrebbe fatto l’indomani. Emily non si limitava a riferire: cercava di dare un
senso alla propria vita quotidiana, alla ricerca di una struttura globale che comprendesse le
cose che aveva fatto, le cose che sentiva e le cose in cui credeva. I progressi nel linguaggio di
Emily parevano essere alimentati dal bisogno di costruire significati narrativi, di organizzare le
cose in ordine seriale, di distinguerle in base alle loro peculiarità. A prova di questo si può
osservare che forme gestuali per esprimere richieste e indicare oggetti esistono da molto prima
della comparsa del discorso lessicale grammaticale per esprimere tali funzioni, sono proprio
questi bisogni che spingono il bambino all’acquisizione della padronanza di forme linguistiche
appropriate. Dalla ricerca sono emersi tre risultati importanti: Anzitutto si manifestò una
solida padronanza delle forme linguistiche volte ad acquisire una sequenzialità più lineare nei
suoi racconti (i resoconti si evolvevano, prima semplici congiunzioni per legare gli avvenimenti,
poi locuzioni temporali, infine causali), Emily era alla ricerca del significato di quanto accaduto e
questo dipendeva dall’ordine e dalla forma della sua sequenza. In secondo luogo, aumentò il
suo interesse per distinguere il canonico o l’ordinario dall’insolito; tutto ciò che era stabile,
affidabile e normale la interessava e serviva per spiegare l’eccezionale. Infine, Emily iniziò a
introdurre nei suoi resoconti narrativi una prospettiva ed una valutazione personale, quasi
sempre nella forma di esprimere i suoi sentimenti a proposito di ciò che stava raccontando.
Prima ancora di poter determinare le caratteristiche dell’attuale funzione paterna, si può effettuare una
premessa su come fosse quest’ultima precedentemente. Essa costituisce, insieme alla madre e al bambino,
il luogo tridimensionale dell’origine: la madre concepita come il fondamento inconscio di emozioni, pensieri
e sentimenti, improntata all’accudimento, alla cura, alla protezione: è una figura che contiene il bambino e
che al contempo fornisce un supporto e un aiuto al fine di fronteggiare le angosce. Il padre, d’altra parte, si
propone invece come matrice di separazione-individuazione del bambino dalla madre e dunque, favorisce il
distacco, l’autonomia e l’indipendenza, importando i concetti di misura e di norma in un eccesso di richieste
affettive. Tuttavia, attualmente sembra essere emerso un mutamento strutturale della figura paterna e del
nucleo familiare stesso, derivante dalle innumerevoli trasformazioni che hanno caratterizzato la fine del
secolo scorso, quali emancipazione femminile, maggiore libertà sessuale, l’incremento dei divorzi, la parità
dei sessi, il tramonto del pater familias che chiama entrambi i genitori a farsi valere come modelli di
identificazione per i propri figli. In tal senso, nei padri contemporanei viene meno non solo quel carattere
virile e rigido, ma anche il tentativo di offrirsi come ideale esemplare abdicando dalla propria parte
femminile: difatti le funzioni genitoriali paterna e materna non coincidono necessariamente con il genere
maschile e femminile, ma consistono in astrazioni intrinseche a ciascun individuo e devono essere entrambi
presenti in ambito familiare affinché il bambino cresca nella maniera più equilibrata e armoniosa possibile e
che riesca ad integrare il modo maschile e femminile di pensare il mondo. Pertanto il padre è senza dubbio
più affettivo, amichevole, partecipativo e coinvolto e si propone come una vera e propria figura di
attaccamento che non è più ostacolante ma alleato; a tal proposito, si parla infatti di preoccupazione
paterna primaria, per rifarsi alla definizione di Winnicott. La rivisitazione della figura paterna è inoltre
intrinsecamente connessa con il clima dell’istituzione scolastica nella misura in cui i modelli materno e
paterno sono codici salienti anche per la scuola: il codice materno punta alla solidarietà e al soccorso per un
allievo portatore di bisogni e cura, il codice paterno mira invece alla prestazione e all’efficienza,
concependo l’allievo capace di fronteggiare le difficoltà. La scuola contemporanea, tuttavia, rispecchia in
toto le trasformazioni familiari, in quanto proprio come nella famiglia, traspare uno sconfinamento del
materno nel paterno che sfocia in una cosiddetta affettivizzazione del clima educativo: i docenti non
approdano a divenire modelli adulti autorevoli, stimati ed influenti e in tal senso, l’assenza di un codice
paterno adeguato confluisce in forme di autoritarismo pedagogico. A tal proposito si assiste ad un profondo
disagio della scuola, che insieme ad altre istituzioni democratiche e ai garanti metasociali, è in piena crisi: i
docenti, spesso, tendono a conformarsi alle richieste istituzionali a discapito del coinvolgimento relazionale
con i ragazzi, opponendosi ad una strategia comunicativa e costruttivista che favorisce la creatività e la
riflessione, ancora adottata da pochissimi insegnanti. Naturalmente tale atteggiamento porta alla luce
diverse problematiche, tra cui il rischio di isolamento culturale e svalutazione sociale e la concomitanza del
burnout, un meccanismo di difesa messo in atto al fine di fronteggiare lo squilibrio nato dalla discrepanza
tra esigenze e risorse lavorative e che comporta cinismo, distacco emotivo e depersonalizzazione. A
manifestarsi è pertanto un indebolimento della cultura dell’educazione, che dovrebbe proporsi come
garante metasociale ma che in realtà è immersa in un’insicurezza e decadenza significative. I garanti
costituiscono un sistema di rappresentazione, formato da narrazioni collettive, ideologie e valori, valori nei
quali gli adulti non nutrono più la stessa fiducia. I garanti che godevano di un’inestimabile virtù, quali la
Religione, la Legge, la Scienza e la Civiltà sono ormai fragili e hanno causato un disorientamento del singolo
e dell’impresa educativa. E’ in tal senso che la scuola simboleggia un bacino di risonanza nella misura in cui
giunge a colmare il vuoto lasciato da questi garanti, avvertendo un enorme peso e responsabilità. Di fronte
a tale esigenza subentra in aggiunta lo sdoganamento del narcisismo dell’adolescente argomentato da
Pietropolli Charmet, il quale prevede un allievo affamato di successo e poco tollerante nei confronti dei
fallimenti e delle sconfitte. L’adolescente contemporaneo, definito metaforicamente Narciso, opponendosi
alle richieste che ostacolano la piena espressione della propria individualità e del proprio sé, non dipinge
l’adulto come garante e tutore di una verità assoluta ed universale a cui inchinarsi ma al contrario,
consente al proprio sé di esprimersi naturalmente e liberamente; il suo fine ultimo è il successo e si servirà
di qualunque risorsa pur di raggiungerlo. Il peso della frustrazione e della mortificazione scaturite
dall’insuccesso grava sul sistema scolastico e sugli insegnanti, spesso capri espiatori dell’impotenza di tale
istituzione. E’ rilevante sottolineare, tuttavia, che l’adolescente in questione non risponde all’istituzione
scolastica con violenza e trasgressione, ma sminuendone l’importanza e il prestigio che, a parer suo, ha
acquistato abusivamente. Egli pertanto attribuisce all’autorità una scarsa considerazione ed è in tal senso
che può essere raffigurato come spavaldo interiormente, nella misura in cui scaglia un’audacia presuntuosa
e arrogante nei confronti del mondo degli adulti e delle istituzioni, sottraendone il potere simbolico di cui
nutrivano in passato. Tale spavalderia accompagnata da un rigetto scolastico, è strettamente connessa alla
crisi dell’autorità familiare, artefice del passaggio dalla famiglia delle regole a quella degli affetti.
Un’ulteriore causa e, potremmo dire, anche conseguenza della metamorfosi della figura paterna è la
trasformazione della famiglia, che da Famiglia delle Regole si tramuta in Famiglia degli Affetti. La prima, la
famiglia Edipica, è caratterizzata dalla trasmissione di valori, norme e atteggiamenti dai genitori ai figli,
senza che questi ultimi possano mettere in discussione i principi e gli stili di vita acquisiti dalla famiglia di
origine; la seconda, la famiglia di Narciso, si propone di basare la relazione genitori-figli sugli affetti più che
sulle regole e sulle sanzioni. Al riguardo Pietropolli Charmet sostiene che, mentre nella famiglia etica la
preoccupazione dei genitori è fornire principi e indicazioni per la crescita, nella famiglia affettiva il genitore
svolge una sorta di funzione “ostetrica”, ossia di valorizzazione dei figli non tanto per prepararli ad
affrontare la vita, ma per renderli felici e realizzati. In essa l’educazione dei figli è impostata essenzialmente
sull’asse di un’etica dell’autorealizzazione, a spese di un’etica della responsabilizzazione. Emergono sempre
più spesso figure quali il “genitore-amico”, che spesso manifesta atteggiamenti e comportamenti
accondiscendenti, con cui è possibile parlare, confrontarsi, fare esperienze. Traspare in tal senso il
tramonto del castigo e del senso di colpa, tipico di Edipo, e alla rigidità si sostituisce un tentativo di
negoziazione. In passato le regole erano sempre le stesse per ogni famiglia a prescindere dal ceto, mentre
ora vi è un familismo morale: ogni famiglia struttura le proprie regole sulla base delle proprie esigenze, non
sono universali e valgono solo nell’ambiente domestico; tale riforma ha anche a che fare con la crisi dei
garanti metasociali e la conseguente perdita di fiducia degli adulti nei valori del passato. Si può inoltre
sostenere che la famiglia degli affetti sia una conseguenza della famiglia delle regole, in quanto i figli di
quest’ultima l’hanno avvertita come una profonda costrizione e una privazione della propria essenza.
L’attuale famiglia, difatti, non si serve dell’affetto come minaccia o ritorsione, esso è sempre garantito e
corrisposto ai fini di un ambiente sereno e armonioso. Ciascun ambiente familiare gode senz’altro di
dinamiche più o meno tipiche, più o meno sane, ma non viene mai utilizzato l’affetto come deterrente per
ottenere quello che si desidera dal figlio, ma è, anzi, il figlio stesso ad ottenere il deterrente nei confronti
dei genitori nei termini in cui incarna l’amore rinato da parte del genitore in chiave narcisistica e
quell’investimento nei confronti dei figli rappresenta la mancanza attuata dai genitori. Sono pertanto i
genitori stessi a temere di perdere l’amore dei figli ed è in tal senso che nasce il progetto educativo e
relazionale di farsi obbedire per amore e non per paura del castigo, del dolore fisico o psichico. A mutare è
il modello educativo che in passato prevedeva la rappresentazione del bambino come piccolo selvaggio da
civilizzare e che adesso concepisce come un cucciolo d’oro, come un piccolo messia ricco di attitudini, un
animale sociale, programmato per la bontà e la capacità di costruire legami e vincoli d’amore. Tale
caratteristiche sono in netto contrasto con l’adolescente Edipo, polimorfo perverso da civilizzare,
appartenente ad un mondo in cui trasgredire significava attaccare l’autorità in senso lato, lo spirito della
comunità o Dio, terrorizzato dai propri impulsi e dalla minaccia di castrazione, destinato ad una crescita che
si concretizzerà solo dopo l’uccisione simbolica del padre. Malgrado gli innumerevoli cambiamenti di cui è
protagonista, anche Narciso si ritrova a fronteggiare dei rischi e delle possibili ma non certe conseguenze
negative, scaturite dalla sua fragilità, dalla sua spavalderia, dalla noia e la vergogna. Sono molto fragili
perché esposti al rischio di sentirsi poco apprezzati, umiliati e mortificati da un ambiente che non fornisce il
giusto riconoscimento, delusi dal divario fra aspettative di riconoscimento e trattamento da parte di
insegnanti, coetanei e genitori. Anche la spavalderia comporta, purtroppo, dei rischi e dei pericoli piuttosto
seri: un eccesso di spavalderia li rende troppo sicuri di sé, temerari, incauti e inclini all’imprudenza,
profondamente legati alle loro aspettative ideali di realizzazione che, però, se non vengono soddisfatte
sfociano in una passione sofferta e dolorosa, ossia la vergogna del proprio fallimento. La vergogna
tormenta Narciso come il senso di colpa tormentava Edipo; tuttavia, se la colpa poteva essere compensata
con l’accettazione del castigo, la vergogna diventa pervasiva, penetrante e induce chi la prova a mettere in
atto imprese esagerate al fine di riscattare l’onore e riconquistare la bellezza della propria immagine; u
degno esempio di tale fenomeno è la dismorfofobia o l’autolesionismo, in cui il corpo viene attaccato come
fonte di vergogna e turbamento. Pur di evitare vissuti di vergogna, infatti, Narciso evita le esperienze sociali
in cui possano verificarsi incidenti e sperimenta distretti sociali con un pubblico facilmente controllabile; un
alto rischio è in tal senso rappresentato dal vero e proprio ritiro sociale che si concretizza nella definizione
di Hikikomori, termine giapponese che indica un fenomeno di isolamento sociale, ritiro dalla vita scolastica
che prevede vissuti di ansia e preoccupazione. Per quanto concerne la noia, quest’ultima sembra essere
figlia della svalutazione dell’altro. L’adolescente di oggi per un certo periodo è condannato a rimanere solo
e a non desiderare nulla in modo intenso, perciò si annoia (si dedica alle attività che una volta lo
appassionavano ma adesso non hanno più significato). Narciso trasforma il mondo di Edipo che viveva di
sotterfugi e verità nascoste (impastata di sessualità e aggressività) in spudoratezza: abbatte la barriera del
pudore e vive una sessualità abbastanza spensierata e comunque non minacciata dalla paura della
punizione che era presente in Edipo. Narciso semmai fatica ad accettare che la spinta sessuale sia una
faccenda importante, veramente desiderabile e quindi incerto sulla veridicità del proprio desiderio
sessuale, è indotto ad interrogarlo per potersi fornire di una risposta che lo aiuti ad intraprendere
un’azione;. Può anche rimanere passivamente catturato nel regno della noia priva di azioni, poiché orfano
di motivazione e attanagliato dall’insoddisfazione che si accumula nella sua mente. La prima parte
dell’adolescenza di Narciso è normalmente dominata dalla noia perché ragazzi e ragazze non osano ancora
avventarsi sulle attività sessuali e trasgressive, inoltre Narciso è costretto a disprezzare tutto ciò che la
realtà gli propone purché richieda un minimo di dipendenza. In questo periodo Narciso è impegnato nei
tentativi di creare i primi abbozzi del nuovo mondo in un continuo processo creativo, di cui uno dei primi
oggetti d’amore sarà l’amico del cuore. Narciso considera l’amico del cuore un’opera d’arte, molti
adolescenti non sono creativi e non riescono in questa creazione, quindi si accompagnano nel corso di
questa età da compagni di classe o di squadra. La creazione del migliore amico è ispirata dalla noia, che ha
spinto l’adolescente a trovare una soluzione intelligente e straordinaria, infatti il migliore amico accende le
luci del nuovo mondo e risveglia l’interesse per la scoperta del desiderio favorendo un investimento delle
iniziative specifiche della fase pre-adolescenziale e adolescenziale. Il migliore amico è quindi una creazione
specifica dell’adolescenza promossa dal rischio della noia che funge da “protesi mentale” e che aiuti a
nascere come nuovo soggetto sociale e sessuato.
-Contributi Psicoanalitici
Meltzer
Donald Meltzer (1922-2004) è uno psicanalista di formazione kleiniana secondo cui lo sviluppo
adolescenziale si caratterizza non tanto per la ricerca della soddisfazione sessuale (come affermava Freud),
ma piuttosto per l’imprescindibile bisogno di trasformare la confusione in conoscenza. L’adolescente vive
una situazione di precarietà e di tormento dovuta al fatto che non trova una precisa collocazione nel
mondo degli adulti, ma nemmeno nel mondo dei bambini o fra gli stessi adolescenti. Le esperienze di
consultazione e psicoterapia con gli adolescenti confermano questo bisogno di comprensione e
simbolizzazione di sé e del mondo: l’adolescente è affamato di verità, è proteso ad affermare teorie sulla
mente e sul mondo, alla ricerca dei misteri della vita, le differenze tra i sessi e l’origine della vita.
Confusione e conoscenza sono i termini chiave intono ai quali si sviluppa il pensiero di Meltzer
sull’adolescenza: ciò che accade in adolescenza è un progressivo processo di disillusione e de-idealizzazione
delle figure infantili di riferimento, i genitori, che ora non appaiono più né onnipotenti né onniscienti.
Nell’affrontare questa realtà l’adolescente sperimenta profondi vissuti depressivi ed una consapevolezza
della propria impotenza e debolezza. Secondo Meltzer, la grande confusione tra sé e l’altro, tra oggetto
buono e oggetto cattivo, che caratterizzava la prima infanzia, sembra riattivarsi durante la pubertà, in
connessione con l’identità sessuale dell’individuo e con la distinzione tra il proprio corpo con quello dei
genitori. Il riemergere in questo periodo di tensioni bisessuali inibite durante la latenza, amplifica
ulteriormente il costituirsi della confusione tra femminile e maschile. L’adolescente deve cercare di
riscoprire l’oggetto parentale e la sua generosità e bellezza all’interno della propria mente; il soggetto può
quindi istaurare un rapporto diverso con il suo oggetto interno, identificandosi con esso in modo nuovo,
introiettivamente. Si tratta quindi di identificazione introiettiva, ispirata dalle vere qualità parentali quali la
forza, la generosità, la bontà e la bellezza (e procede lentamente) e non di identificazione proiettiva,
tendenzialmente narcisistica e onnipotente (con modalità immediate). Lo stato di enorme incertezza lo
porta anche a riattivare fantasie riguardanti l’origine della propria persona, spingendolo pure a dubitare di
essere realmente figlio dei propri genitori: teoria di essere genitore di se stesso oppure figlio di un’entità
astratta (genitori ideali, Dio, o qualcun altro). L’adolescente può così sperimentarsi o come soggetto isolato
che pensa di essersi autogenerato e di avere da compiere una missione unica al mondo o come soggetto
che, accettando di essere un adolescente come gli altri, può accedere e partecipare alla comunità dei propri
coetanei. In età puberale la comunità di giovani ha caratteristiche tendenzialmente monosessuali (individui
dello stesso sesso) e solo successivamente si trasformerà in gruppo eterosessuale. Meltzer arriva così a
descrivere quattro comunità differenti, tra cui il ragazzo oscilla effettuando continuamente movimenti
progressivi e regressivi (i movimenti oscillatori lo portano da un lato alla ricerca di un’identificazione con i
genitori onnipotenti e onniscienti sperimentando valori come invidia, egocentrismo, indipendenza;
dall’altro sperimentare esperienze di debolezza e impotenza infantile che lo spingono a interessarsi al
mondo e al mondo delle arti): Il bambino nella famiglia: quando gli adolescenti permangono in famiglia in
una sorta di latenza prolungata e restano ancorati, nelle loro idee e scelte, ad un processo passivamente
imitativo dei genitori. Domande esame Sviluppo 2 2018/2019 Aurora Parlati e Naomi Cipolla 15 Il mondo
degli adulti: riguarda gli adolescenti propensi alla realizzazione schematica di uno scopo sociale che è però
fortemente orientato dalle ambizioni irrealizzate dei genitori. Il mondo degli adolescenti: categoria che
più si riferisce al normale andamento; il giovane, incerto e confuso, condivide questa infelice condizione
con i coetanei, insieme ai quali tenderà a ricercare la verità. Il risultato sarà l’ingresso nel mondo degli
adulti e della sessualità. L’adolescente isolato: si caratterizza per il ritiro in un’organizzazione narcisista
adibita alla creazione di un’illusoria sensazione di onnipotenza e straordinaria originalità a cui si associa la
convinzione di dover compiere una missione unica nel mondo.
-Blos
Peter Blos ha contribuito in modo decisivo allo sviluppo di una cultura psicoanalitica dell’adolescenza
attraverso una trattazione del funzionamento della mente e dello sviluppo psicosessuale in questa fase di
vita, che definisce come “secondo processo di individuazione”. Blos inquadra lo sviluppo adolescenziale in
cinque fasi secondo una sequenza evolutiva che segna il passaggio dal periodo di latenza, che conclude
l’infanzia, alla vita adulta: preadolescenza, prima adolescenza, adolescenza vera e propria, tarda
adolescenza e post-adolescenza. L’adolescenza viene messa in relazione all’infanzia, collocando le due fasi
lungo un continuum che rappresenta lo sviluppo psicosessuale dell’individuo. Il periodo di latenza assume
particolare rilevanza poiché costituisce la premessa necessaria per una positiva risoluzione della fase
adolescenziale; in questa fase sia genitori che ambiente sociale svolgono una funzione significativa. Nella
fase di latenza si manifestano differenze significative tra maschi e femmine; la regressione a livello
pregenitale all’inizio della latenza sembra una forma di difesa più tipica del maschio che della femmina. Nel
maschio la tendenza aggressiva pre-adombra il suo sviluppo adolescenziale. Il fatto che il maschio
abbandoni la fase edipica in modo più rigido e netto della bambina gli rende estremamente difficile la prima
parte della latenza, invece la bambina entra in questa fase in modo meno conflittuale e anzi mantiene con
una certa libertà alcuni aspetti fallici del suo passato pre-edipico. Per la bambina inizia un periodo più
conflittuale negli ultimi anni di latenza quando è imminente l’erompere delle pulsioni e il Super-Io risulto
inadeguato. L’adolescenza è definita da Blos come la fase in cui il ragazzo e la ragazza elaborano la totalità
delle loro esperienze di vita per raggiungere un’organizzazione stabile dell’Io; questa fase è caratterizzata
da turbolenze e ansietà che dipendono non solo dal primato della genitalità e dalla lotta dell’Io, ma anche
dall’attivazione dei processi di separazione e individuazione, che conducono alla costituzione del senso di
identità. Preadolescenza: l’individuo viene investito da una forte quantità pulsionale a cui fa fronte
attraverso modalità di gratificazione di tipo libidico e aggressivo tipiche dell’infanzia; in questa fase il
soggetto è impossibilitato a discernere sia un nuovo oggetto di amore sia un nuovo scopo istintuale (non vi
è ancora il primato della genitalità, ma si ha una reviviscenza della pre-genitalità). Pertanto si hanno
comportamenti diversi nei due sessi: nel ragazzo si osserva una riattivazione dell’immagine infantile della
madre minacciosa, castrante e fallica e vissuti di paura e invidia per il sesso femminile. Questo determina
l’evitamento delle coetanee e un rafforzamento dei legami con il gruppo dei pari che presenta
caratteristiche di esclusività e condotte omosessuali. Nelle ragazze si evidenzia un atteggiamento opposto:
interessamento dell’altro sesso a scopo difensivo contro la madre pre-edipica; inoltre il loro compito
consiste nella rimozione della pre-genitalità per acquisire la femminilità. In Domande esame Sviluppo 2
2018/2019 Aurora Parlati e Naomi Cipolla 13 questa fase compare per gli adolescenti una nuova modalità di
gratificazione istintuale che è la socializzazione della colpa (l’adolescente scarica il proprio senso di colpa sul
gruppo o sul suo leader evitando l’attivazione di meccanismi di difesa personali). Prima adolescenza: in
questa fase viene acquisita la capacità di abbandonare le relazioni oggettuali infantili con un parallelo
rafforzamento dell’Io e indebolimento del Super-Io e un investimento affettivo nei confronti di nuovi oggetti
extra-familiari. Anche in questo caso compaiono modalità differenti nei due sessi: nel maschio l’importanza
cruciale viene assunta dall’amico del cuore, che possiede le caratteristiche e qualità sognate
dall’adolescente. Questa fase ha un ruolo fondamentale per la formazione dell’Ideale dell’Io che assorbe la
libido narcisistica e omosessuale favorendo uno sviluppo eterosessuale. Anche per le ragazze è importante
il ruolo svolto dall’amica del cuore (la cui perdita può portare a stati depressivi e sensazioni di inutilità) e
delle “cotte”, con tratti di bisessualità e di passività nei confronti dell’oggetto amato che spesso presenta
delle parziali somiglianze alle figure genitoriali. Adolescenza vera e propria: declino del narcisismo e della
bisessualità, si concretizza la ricerca dell’oggetto d’amore eterosessuale che richiede l’identificazione
positiva o negativa con il genitore dello stesso sesso. I due avvenimenti principali di questa fase sono il lutto
e l’innamoramento: il primo riguarda il graduale processo di separazione dalle figure genitoriali che porta
ad un profondo senso di vuoto interiore e promuove la tensione creativa e artistica; il secondo è
espressione del processo di individuazione e quindi di reinvestimento della libido verso nuovi oggetti
d’amore. Tarda adolescenza: fase di consolidamento in cui si giunge alla formazione di un nuovo
principio organizzatore definito “Sé”. Per consolidamento si intende: - una sistemazione stabile delle
funzioni e degli interessi dell’Io; - Un ampliamento della sfera dell’Io libera da conflitti; - Una posizione
sessuale irreversibile; - Un investimento relativamente costante delle rappresentazioni degli oggetti e del
sé; - Stabilizzazione degli apparati che salvaguardano l’integrità dell’organismo psichico. Post-
adolescenza: il soggetto in questa fase non possiede ancora tutte le caratteristiche dell’individuo adulto, ma
trovano pieno compimento quei processi avviatisi nell’adolescenza che grazie ad un’armonizzazione dei
desideri pulsionali e dell’Io, portano all’elaborazione di una personale modalità di vita. La fiducia una volta
riposta nel genitore idealizzato dell’infanzia, viene collocata nel Sé; la maturità si raggiunge solo tramite la
pacificazione del maschio con la propria imago paterna e la femmina con la propria imago materna. Blos
prova a classificare ulteriormente lo sviluppo adolescenziale ricorrendo a categorie cliniche individuando la
normalità nei primi tre casi e definendo patologici gli altri quattro: Adolescenza tipica; Adolescenza
protratta (prolungamento dell’adolescenza dovuto a condizioni culturali); Adolescenza abbreviata
(accorciamento dell’adolescenza che sfocia prima nell’età adulta a scapito della differenziazione della
personalità); Adolescenza simulata (riedizioni di antiche organizzazioni pulsionali); Adolescenza
traumatica; Adolescenza prolungata (perseveranza allo stato adolescenziale) Adolescenza abortiva
(perdita dell’esame di realtà e psicosi).
-Winnicott
Donald Woods Winnicott è uno dei rappresentanti più significativi del gruppo degli indipendenti, il middle
group che prese le distanze dai due gruppi che si stavano formando in quegli anni in Inghilterra dallo
scontro teorico e clinico tra Melanie Klein e Anna Freud. Con Winnicott si assiste ad una sostituzione del
concetto di pulsione con il concetto di bisogno e quindi al passaggio da una prospettiva biologica ad una
prospettiva psicologica con l’intento di sottolineare l’importanza di una relazione diadica madre-bambino in
cui la madre deve essere in grado di sintonizzarsi con le richieste del bambino, soddisfacendone i bisogni.
Questo approccio psicoanalitico è quindi prettamente focalizzato sulla dimensione dell’interazione, sulla
centralità del contesto sociale e affettivo e sul ruolo delle figure di riferimento, in particolare la madre che
deve assolvere 3 compiti per poter essere considerata sufficientemente buona (preoccupazione materna
primaria): holding (sostegno e contenimento mentale), handling (manipolazione del bambino che favorisce
la personalizzazione, l’insediamento della psiche nel soma per garantire salute mentale) e object presenting
(presentazione del mondo al bambino da parte della madre). I primi sei mesi di vita del nascituro
rappresentano il periodo dello sviluppo emozionale primario e risultano essere centrali per l’intera vita
dell’individuo; in questa fase si avvia un processo che si basa su 3 concetti: dipendenza (passaggio da
dipendenza assoluta a relativa che solo in adolescenza si trasformerà in indipendenza), organizzazione
(passaggio da nonorganizzazione a organizzazione) e integrazione (passaggio da uno stato di non
integrazione, in cui il bambino non possiede un’unità corporea ad una integrazione). Per Winnicott
l’adolescenza si caratterizza si caratterizza per l’angosciante alternanza di stati in cui prevale lo spirito di
indipendenza e stati di regressione verso la dipendenza. L’angoscia adolescenziale è determinata anche
dall’acquisita capacità di dare la morte oltre che di generare la vita. Il nuovo modo di pensare alla propria
mortalità spinge a dimostrare a se stessi di saper sfidare la paura della morte e di essere in grado di
affrontarla più da vicino; gli adolescenti sono inevitabilmente portati a costruire idee intorno alla morte, ma
anche di andarla a cercare attraverso esperienze che consento di sfidarla, batterla simbolicamente per
proseguire nel proprio percorso di crescita nonostante questa nuova e dolorosa scoperta. Un’altra
esperienza fondamentale è la scoperta e il debutto della sessualità che si contrappone allo stato di
isolamento in cui l’adolescente si ritrova. La costituzione di gruppi tra adolescenti può essere ritenuta una
specie di formazione reattiva. Per Winnicott inoltre l’adolescenza è un momento di scoperta personale in
cui l’influenza materna e il contesto sociale in cui il soggetto è inserito svolgono una funzione incisiva.
Domande esame Sviluppo 2 2018/2019 Aurora Parlati e Naomi Cipolla 16 L’adolescente winnicottiano è
impegnato a trovare il proprio sé, desidera sentirsi reale in nome della propria moralità, sfidare l’ambiente
genitoriale e pungolare la società di appartenenza. Il giovane nel tentativo di non accettare soluzioni false,
tende ad assumere atteggiamenti provocatori verso gli adulti di riferimento, basandosi sulla fantasia
inconscia che la propria crescita debba coincidere con la vittoria personale ai danni dell’altro (morte per
prendere il posto dei genitori). Maturazione e trascorrere del tempo porteranno alla nascita dell’individuo
adulto, ma l’adolescente deve prima attraversare la “zona di bonaccia”, in cui inutilità, isolamento e
rivisitazione dei propri punti di riferimento, risultano indispensabili. Questo sentimento di inutilità e ricerca
di se stesso sono gli elementi chiave per comprendere questa fase. Solo quando il soggetto sarà in grado di
identificarsi con i genitori e altri senza che vi sia una percezione di annullamento della persona, si potrà
affermare che l’uscita dalla bonaccia si è conclusa con esito positivo. I tre bisogni necessari per
l’adolescente sono: evitare false soluzioni, la necessità di sfidare l’ambiente da cui dipende (famiglia) e
pungolare continuamente la società. Gli adulti in questa fase non possono e non devono sottrarsi alle
proprie responsabilità abbandonando i giovani in balia dei cambiamenti, né devono spingere i ragazzi verso
l’assunzione di un ruolo prematuramente equilibrato; devono solo attendere il trascorrere del tempo. Il
contributo di Winnicott è arricchito anche da un’approfondita analisi delle condotte antisociali, con
particolare attenzione ai furti e ai comportamenti distruttivi. Alla base di ogni tendenza antisociale ci
sarebbe una deprivazione, la tendenza antisociale viene vista come unica soluzione che il giovane è in grado
di attuare nel tentativo di compensare questa mancanza che il giovane percepisce venire dall’esterno e non
dall’interno (ciò provoca una distorsione della personalità e la spinta a cercare un rimedio in un nuovo
apporto all’ambiente piuttosto che la formazione di una psicosi). Nel furto, l’oggetto ricercato va ricondotto
alla figura materna e non all’oggetto realmente rubato (il giovane cerca la madre). Winnicott spinge inoltre
la comunità psicoanalitica a distinguere i comportamenti fisiologicamente ambivalenti tipici di questa fase
da quelli di un adulto affetto da forme psicopatologiche. Nel pensiero di Winnicott infine assume una
particolare rilevanza il concetto di oggetto transizionale che tra i 4 e 12 mesi fa da ponte tra il soggetto
(mondo interno, realtà psichica) e oggetto (mondo esterno, realtà esterna). Questi oggetti non fanno parte
del corpo del bambino ma allo stesso tempo non sono completamente collocabili nel mondo esterno,
quindi mediano il rapporto madre-ambiente, dentro-fuori, me e non me. Gli amici e il gruppo si
costituiscono in adolescenza come spazi transizionali utili alla definizione del vero sé e gli oggetti di
consumo investiti affettivamente sembrano svolgere funzione simile all’oggetto transizionale dell’infanzia.
-Anna Freud
La prima analisi sistematica dell’adolescenza si deve ad Anna Freud (1936) che riprende alcuni aspetti della
teoria pulsionale del padre, definendo l’adolescenza come periodo i cui esplodono i conflitti a causa
dell’aumento delle pulsioni, contro le quali l’adolescente si protegge utilizzando alcuni meccanismi di
difesa.I meccanismi di difesa sono strategie - che derivano dalla parte inconscia dell’Io – che approdano a
proteggere il soggetto dall’angoscia derivante da un conflitto (interno o esterno) fra istanze (angoscia di
fronte alle pulsioni, angoscia reale, angoscia morale), escludendo dalla consapevolezza ciò che risulta
inaccettabile.I meccanismi di difesa strutturano la personalità del soggetto e nello sviluppo tipico servono per
affrontare le difficoltà. Senza i meccanismi di difesa l’individuo sarebbe in balia di pulsioni e pericoli e
l’unico esito sarebbe l’annientamento .Quando il loro funzionamento diventa pervasivo, rigido e globale c’è
il rischio di un’evoluzione patogena. In tal caso devono essere demoliti con cautela, in modo da non privare
l’Io di un sostegno prima che sia pronto a rinunciarvi: il soggetto deve essere aiutato a sostituirli con altri più
funzionali.Durante l’adolescenza esplode il conflitto tra Es e Super Io, che di conseguenza provoca una forte
angoscia, pertanto l’Io mette in atto tali meccanismi al fine di respingere I contenuti psichici in contrasto con
il Super Io e l’Ideale dell’io. I principali in adolescenza sono: l’ascetismo, l’intellettualizzazione, la messa in
atto, la formazione reattiva e la regressione .Ascetismo: NEGAZIONE DEI BISOGNI DEL CORPO volta a
proteggere dalla forza degli istinti puberali: l’adolescente ‘non sente’ la sete, la fame, il freddo, la pulsione
sessuale e si ritira nel suo mondo interiore. L’ascetismo tende a negare e sopprimere i bisogni corporei e il
soggetto tenta di controllare le pulsioni che affiorano finendo per diffidare del soddisfacimento in senso
ampio e aderendo ad un divieto assoluto di soddisfazione di bisogni primari
Intellettualizzazione: SOSTITUZIONE DEL SENTIRE COL PENSARE (febbrile attività del pensiero che
non si traduce in azione); le attività intellettuali vengono usate per esercitare un controllo sui contenuti
affettivo-istintuali e ridurre così ansia e tensione, minimizzando l'importanza soggettiva dei problemi della
propria vita affettiva. Gli elementi cognitivi restano consci, anche se in modo generalizzato o impersonale: di
solito infatti il soggetto si riferisce alla propria esperienza in termini generali oppure in seconda o terza
persona.
MESSA IN ATTO o ACTING OUT: l'individuo affronta conflitti emotivi e fonti interne o esterne di stress
agendo senza riflettere o senza preoccuparsi delle possibili conseguenze negative a livello personale o
sociale. Solitamente si verifica in risposta ad eventi interpersonali che coinvolgono persone significative
nella vita del soggetto, come genitori, figure dotate di autorità, amici o partner. L'acting out è un
comportamento indotto dal bisogno inconscio di padroneggiare l'ansia associata sentimenti e desideri ritenuti
internamente proibiti; sentimenti e impulsi insopportabili sono ‘scaricati’ nell’azione anziché ‘essere
pensati’.
Inversione dell’affetto o formazione reattiva: trasformazione (inconscia) di un desiderio o impulso
inaccettabile nel suo opposto, ad esempio l’odio in amore o l’attrazione nel disprezzo. Es: un bambino, che
ha appena avuto un fratellino, può convertire rabbia e gelosia in premura anche eccessiva, salvo poi tradire
la vera natura dei suoi sentimenti attraverso pericolose sbadataggini; oppure un adolescente che è attratto
da una coetanea può essere aggressivo e sprezzante con lei, oppure può mostrare odio verso il genitore
amato da cui si sente dipendente.
Regressione: difesa da un’angoscia del presente mediante modalità di gratificazione libidica che
appartengono ad uno stadio psichico precedente o infantile; ritorno a un livello di sviluppo e di
funzionamento mentale più antico e primitivo. Il ritorno simbolico a periodi in cui ci sono state esperienze
piacevoli e soddisfacenti permette al soggetto di evitare la situazione critica. La regressione è essenziale
anche nel trattamento psicoanalitico poiché consente di ritornare alle fasi più primitive dello sviluppo per
rivivere e poi elaborare i conflitti non risolti nella relazione transferale con il terapeuta.