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Breve elaborato su “La scultura raccontata da Rudolf Wittkower -

dall’antichità al Novecento”
Sin dalla Prefazione di Margot Wittkower all’agile saggio “La scultura raccontata da Rudolf
Wittkower” (1977). intuiamo il valore eccezionale e inconsueto del libro in questione. Difatti,
la moglie del critico tedesco è responsabile della pubblicazione post-mortem del suddetto
tomo, il quale si configura come il riadattamento di un ciclo di lezioni tenute da Wittkower
presso l’Università di Cambridge intorno alla scultura nel 1970. Ciò , fin da subito, ci rende
nota la volontà del critico di “non cadere in artifici retorici”, tecnicismi e pedanti meditazioni,
nel tentativo di ricostruire i processi di pensiero e le tecniche scultoree dall’antichità sino al
XX sec. e basando le proprie riflessioni solo su fatti incontrovertibili. Il volume, che non
tradisce mai la sua natura originaria di “lezione orale” grazie alla fulgida penna che ricalca il
parlato (senza sminuire la gravità della materia), si correda di un’ampia selezione di immagini
esplicative (disegni, appunti, sculture) che rendono ancor più immediata la comprensione del
testo e travolgono l’attenzione anche del lettore più digiuno d’arte.
I temi sviluppati e gli artisti trattati sono molteplici, eppure dalla lettura emergono con forza
quelli che sembrano dei leitmotiv e che, in effetti, altri non sono che gli anelli di continuità tra
un periodo e un altro della storia.

Ne è un primo, icastico, esempio la continuità che scorre tra le logge delle cattedrali e
le botteghe a commissione privata (benché Wittkower ne sottolinei la frattura). È innegabile
che quest’ultime avessero ereditato gran parte delle tradizioni precedenti, tanto più che il loro
lavoro getta luce su convenzioni proprie anche dei “cantieri” delle cattedrali gotiche. La loro
presenza non si interromperà mai nella storia dell’arte: dal fronte ovest del Duomo di Orvieto,
ai lavori di Bernini (che si avvalse addirittura di 39 artisti per la navata di San Pietro), sino a
quelli di Canova (che si limitava a dare solo il tocco finale al lavoro già finito) e ben oltre.

Alla base di questa collaborazione non può che esserci un principio irriducibile: il
maestro di bottega e/o colui che coordina i lavori, prima dell’inizio degli stessi, deve
necessariamente produrre la bozza di un progetto, così da condividerlo con i propri
collaboratori.
Ciò apre un’altra fitta rete di rimandi all’ambito dei bozzetti preparatori (cfr. taccuino
dell’architetto medievale Villard de Honnecourt; disegni scrupolosi di Michelangelo, cfr. quelli
per il David; schizzi di Bernini) e dei modelli tridimensionali in cera, argilla, stucco, terracotta,
gesso (nel Rococò anche in porcellana), sia in scala ridotta (cfr. modello per Cupido
Minacciante di Falconet), sia in scala al vero (cfr. modelli per la Cappella Medicea di
Michelangelo; cfr. modello Firenze trionfante su Pisa di Giambologna).

Ad ogni modo, ciò che non smetterà mai di frastornare la mente degli scultori, altro fil
rouge ben esplicitato nel saggio, è il problema del trasferimento dell’idea artistica dal modello
al marmo. Risale alla Grecia probabilmente il metodo meccanico del “pantografo”, ad Alberti
appartiene il definitor, a Leonardo il non molto funzionale metodo della “cassa a bacchetta”, e
sono proprie di Michelangelo le opposizioni alla trasposizione modello – marmo di tipo
meccanico, e dello stesso avviso sarà Bernini (cfr. bozzetto di San Longino), i cui materiali
preparatori, siano essi disegni o modelli plastici, il più delle volte erano profondamente
diversi dall’opera in marmo (che solitamente si allontanava dagli stilemi classici per
raggiungere risultati più personali, spiccatamente berniniani).

Interessante, ancora, per ciò che concerne la stesura dei disegni preparatori, è
l’ulteriore funzione che assumono nell’ambito della pluri-faccialità . Mentre Leonardo, nella
sua grande collezione di annotazioni, proponeva la teoria (in verità tutta pittorica) della
duplice veduta (frontale-posteriore), già Michelangelo scolpiva le sue opere secondo una più
punti di osservazione (cfr. Bacco). Dopo di lui, sia per Cellini che per Giambologna (cfr. Ratto
delle Sabine) il problema della pluri-veduta delle statue si fa centrale, e con esso il ruolo
destinato al fruitore che da stazionario diviene cinetico. Il Bernini, al contrario, per le azioni
puntuali descritte dalle sue opere, non poteva che abbracciare la concezione (pittorica) a
veduta unica; ma si tratta di un caso quasi isolato1. Difatti, dopo di lui, Edme’ Bouchardon
rifiuterà le sue istanze immobilistiche (cfr. Cupido che sta intagliando l'arco della clava di
Ercole), e lo stesso faranno Auguste Rodin (cfr. Bacio) e Umberto Boccioni (il quale tenterà
addirittura una fusione tra scultura e ambiente).

Esemplare e non secondario, in questo intrecciarsi ed evolversi di motivi, è anche l’uso


alterno degli arnesi da lavoro. La quasi totalità di essi era già nota agli Egizi e ben pochi se ne
sono aggiunti nei secoli; eppure non sono mai stati usati tutti contemporaneamente: ogni
epoca ne ha eletti di diversi. Tra questi spicca il trapano, utilizzato sin dall’antica Grecia (cfr.
naso e orecchi della Stele di Aristone), passando per il XIV sec. con Tino da Camaino (cfr. parti
della Vergine e il Bambino in trono con la regina Sancia), sino a Michelangelo, che ne fu grande
amatore. A riprova di ciò , si osservino i fori dell’arnese nei capelli e nelle pupille del celebre
David e l’altrettanto famosa e controversa annotazione dell’artista toscano: «Davide con la sua
frombola ed io con il mio arco», ivi, secondo Charles Seymour (e lo stesso Wittkower), con
“arco” si intende il trapano a mano dello scultore. Variamente accolto durante i secoli,
l’utensile sarà usato impropriamente e ossessivamente nel XIX sec. tanto da divenire inviso a
tutta la scultura del secolo successivo.

La lunga esperienza, la forte passione, la dedizione, la familiarità con la materia: tutto traspare
da questa, non metodica, ma certamente esaustiva “storia della scultura”, che colpisce
esattamente lì dove si era prefissato di giungere il grande Maestro R. Wittkower.

Alessia Carmen Nizeti Panebianco (Y55000995) – CdL Lettere Moderne

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