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POLLOCK-KRASNER HOUSE AND STUDY
CENTER.
3. corrispondenze tra la forma dello studio e l’opera di Bacon. Rilettura dell’artista e dello spazio delle
sue opere: Francis Bacon, Logica della Sensazione (Gilles Deleuze 1981) <-> nello spazio ristretto
dello studio si muovono vari piani: il corpo dell’artista in movimento, il quadro con il telaio, i materiali
che si accumulano ai piedi dell’artista e l’involucro spaziale con le pareti usate come supporto -> i
piani interagiscono, come nei quadri, in un dialogo e non in una relazione fissa -> performance
dell’atto creativo -> corrispondenza tra studio e azione pittorica.
Cfr. Pietro Valle Aura, tracce e caos: la ricostruzione dello studio di Francis Bacon, Artland (online) agosto 2008.
Ricostruzione:!
-in mostra ci sono solo gli oggetti e gli strati visibili in
superficie, ciò che si trovava al di sotto è stato archiviato;!
-non ci sono opere;!
-vetro – vetrina.!
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Conseguenze:!
->insieme di reliquie imbalsamate;!
->feticizzazione mortuaria delle tracce di un processo
creativo vitalista;!
->pretesa di presentare lo spazio come autentico perché
realizzato con elementi originali;!
->sofisticata falsificazione.!
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Proposta di F.Poli: Artisti -> dichiarata operazione
metalinguistica, ironica citazione postmodernista,
dichiaratamente artificiosa.!
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https://www.hughlane.ie/history-of-studio-relocation
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Alcune questioni:!
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-La relazione tra l’artista, lo spazio, la
collezione e l’impatto che questa relazione
ha sul visitatore.!
-I modi attraverso i quali uno spazio di
creazione diviene uno spazio espositivo.!
-I diversi approcci di interpretazione di
questi spazi.!
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STUDIO D’ARTISTA: è lo spazio nel quale
l’artista crea, vive, presenta e archivia i suoi
lavori – è riflessione dell’artista-persona.!
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Lo studio non è solo un luogo fisico, ma
Foto: Erna e Ernst Ludwig Kirchner nello studio della Durlacher
anche spirituale e può prendere diverse
Strasse 14 Berlino 1912-14.!
identità:! !
-centro nevralgico della creazione;! Tra i pittori della Brücke, andò instaurandosi un’ideologia
-un luogo di isolamento;! comunitaria volta a superare i confini tra professione ed esistenza
-un luogo di intrattenimento o educazione e -> solo così potevano nascere opere autentiche: specchio della
conoscenza (Studio-Visit-collezionisti, più profonda sensibilità dell’autore. !
Atelier: luogo singolare in bilico tra la decadenza ed esotismo ->
stampa ecc.);!
soffitti ribassati da ombrelli cinesi di carta, luce fioca si posa su
-un luogo per l’esposizione;! mobili intagliati dagli artisti, tappeti orientali e sculture provenienti
-luogo della quotidianità-habitat;! da civiltà extraeuropee (scoperte al Museo etnografico di Dresda)
! o realizzate dagli artisti su imitazione -> moderne dee-madri.!
POST-STUDIO VISIT!
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Visitare lo studio è come incontrare l’artista, è come essere invitati a entrare in un mondo personale
intimo-un santuario;!
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La visita come esperienza conoscitiva e, allo stesso tempo, emozionale;!
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Si ricerca l’autenticità degli spazi e degli oggetti e l’esperienza di vivere una particolare atmosfera
e intimità -> lo spettatore si sente parte di un ambiente familiare che gli innesca memorie particolari
personali-> CASA DELLA MEMORIA.!
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Lo studio appare come un luogo magico dove oggetti, materiali e persone tornano in vita-
presenze metafisiche e assenza fisica dell’artista.!
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IL MUSEO è responsabile di preservare, proteggere, restaurare tali ambienti/atmosfera; di
prendersi cura dell’autenticità dell’esperienza vissuta nello studio.!
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TRE OPZIONI PER TRASFORMARE UNO STUDIO IN MUSEO:!
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• Lo studio originale: lo studio è rimasto immutato (Es. Donald Judd);!
• Lo studio ricostruito: uno studio che non esiste più, o che ha perso la sua forma originale
e del quale si è mantenuto solo l’involucro perciò è stato ricostruito (Es. Casa Mollino);!
• Lo studio “disincarnato”: lo studio che non può essere mantenuto nel suo contesto
originale e deve essere trasferito da un’altra parte e diviene parte di un nuovo museo. !
Trovare nuove vie di coinvolgere il visitatore nella storia, se il fruitore si riflette nella storia è
probabile che ritorni – non ci deve essere solo un’unica interpretazione-punto di vista. Questo è un
aspetto interessante ancora da analizzare e sviluppare in queste realtà.!
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STORYTELLING E STRUMENTI DI
INTERPRETAZIONE: !
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• oggetti biografici: gli oggetti sono esperienze
per gli umani-rapporto bidirezionale es.
collezionismo;!
• gli oggetti possono ospitare molte
interpretazioni che dipendono dalla loro
presentazione visuale e storica,
dall’ambiente a cui appartengono e dalla
relazione che hanno gli uni con gli altri.!
L’artista che dipinge se stesso nell’atto di dipingere è come un circolo chiuso in cui il pittore si
presenta come il MEZZO attraverso cui si realizza l’opera.
L’Ottocento è il secolo che prende
lo STUDIO come soggetto: atelier
come circolo sociale, incubatore di
nuove idee, chiesa di una nuova
religione, nucleo rivoluzionario,
bottega, contenitore convenzionale
delle idee dominanti, fabbrica,
cucina pulita e impersonale, tana,
soffitta disordinata ecc.
Gustave Courbet (1819-1877)
L’atelier del pittore,1855.
“la storia morale e fisica del mio
studio” – uno dei primi esempi
moderni dello studio inteso sia
come atelier, che come spazio
espositivo – luogo in cui si possono
elaborare i pensieri.
Charles Baudelaire (1821-1867).
Il pittore della vita moderna,
raccolta di brevi testi pubblicata
su “Le Figaro” ne 1863, attività di
critico e saggista.
Commento sull’opera di
Costantin Guys – alter ego di
Baudelaire.
Sguardo affascinato e
disincantato sulla modernità:
Il Dandy.
Il Flăneur è il prototipo dell’artista
del XX secolo.
Delacroix dedica al tema dello studio due tele
differenti:
1) Mito romantico (cliché) dell’eroe nel suo atelier;
-equivalente visivo della forza della mente-il
pensatore (post partum);
-la bottega (La Madonna Medici sulla ds) come
spazio di riflessione;
-il potere dell’immaginazione, l’arte può
trasformare il mondo-visione utopistica-
RETORICA DELL’ARTE ALTA.
Eugène Delacroix (1798-1863), Michelangelo nel suo studio,
1850.
2) L’artista abbassa lo sguardo verso un angolo del suo studio,
con un atto più terreno ritrae la stufa (oggetto fino ad ora
ignorato).
“[…] documenta l’esistenza dell’occupante più duraturo del
suo studio, se si esclude l’artista […]”.
Brian O’Doherty, Inside the White Cube. L’ideologia dello spazio
espositivo, p.97.
DISCORSO VERNACOLARE -> DESCRIZIONE REALISTICA -
> ATELIER come SOGGETTO
L’ARTISTA RICONOSCE IL VALORE DI CIÒ CHE È
INSIGNIFICANTE E TRASCURABILE.
Le rappresentazioni degli atelier ci consentono di accedere a
luoghi privilegiati: l’angolo di Delacroix è testimone di un’idea
romantica dell’artista che crea all’interno di un ambiente
povero e solitario; l’artista bohémien.
Eugène Delacroix, Un angolo dello studio dell’artista, la padella, 1855.
TRASFORMAZIONE DELLO STUDIO COME
LUOGO DI ORIGINE DEL PENSIERO.
Lo studio- inserito nella rivoluzione dell’arte
moderna-si incrocia con le due principali
correnti del Novecento: l’astrazione (universo
formale separato dalla realtà) e il collage
(nell’arte entrano elementi del reale, dal
quotidiano). Es. Cubismo sintetico
Alcune fotografie degli studi dei primi artisti
avanguardisti descrivono un’atmosfera
spartana, sinteticamente funzionale, gli arredi
sono limitati al necessario per vivere e lavorare.
Le immagini colgono delle testimonianze in
fieri, colte quasi di sorpresa, ancora
inconsapevoli della loro futura valenza di prova
documentale.
Picasso organizzava il suo studio come un
vero e proprio dispositivo nel quale “ognuna
delle varie stanze dove lavorava era una banca
dati visiva, un deposito di complesse
associazioni, ed egli resisteva a qualsiasi
Pablo Picasso nel suo studio al Bateau-Lavoir, 1908.
desiderio di ripulire questo prodigioso caos Appesi gli oggetti banali e artefatti etnici mescolati alle
basandosi sull’assunto che mettere le cose in opere -> tali oggetti diverranno parte delle opere da
ordine equivaleva a perderle”.
frammenti a modello riconosciuto -> college,
Pietro Valle, Aura, tracce e caos: la ricostruzione dello assemblage
studio di Francis Bacon, Artland (online) 2008.
LO STUDIO COME SPAZIO
CONCETTUALMETE AMPLIATO.
Max Ernst (1891-1976) nel suo studio in una
foto di Arnold Newman, New York, 1942.
Studio surrealista – luogo magico dell’artista
belva – object trouvé
L’insieme degli oggetti fa emergere un
linguaggio inedito fatto di feticci, simboli che
rimandano a mondi altri, luoghi legati a
pensieri di riforma sociale con basi anarchiche
che spesso si sono risolti in un blando
satanismo.
“Eccentricità, certo, riprese da surrealisti ed
espressionisti astratti i quali […] alle feste
facevano a gara nell’esibire le loro donne con
strani costumi, come fossero barboncini in
concordo: è sessismo che serpeggia
nell’avanguardia, come dimostra la presenza
della modella nello studio”.
Brian O’Doherty, Inside the White Cube. L’ideologia
dello spazio espositivo, p.101.
SPAZIO DI ACCUMULAZIONE O LUOGO MONASTICO.
Ad Hannover la vicenda dadaista è legata all’attività
solitaria di Kurt Schwitters (1887-1948): casa-studio-
santuario -> opera d’arte totale (superamento della
distinzione tra opera d’arte, oggetto importato e
ambiente).
Merzbau (Iniziata nel 1923/37-distrutta nel 1943)
Hannover. Collage vivente – valore didattico –
installazione work in progress legata al flusso dell’agire
umano -> estensione dell’opera nello spazio
Animale onnivoro bulimico che mangia i frammenti del
tempo riproponendoli in maniera caotica e informe –
apparentemente.
Schwitters – collezionista di oggetti strappati dalla
quotidianità (biglietti del tram, corde, cartoni, tappi,
carte gettate, tessuti ecc) che montava casualmente
uno sull’altro sommandosi alle pareti – assemblage
come opera della vita.
Esempio di studio inteso come opera d’accumulazione
e come proto-museo:
l’artista vi lavorava dall’interno indossandolo
(esoscheletro) e monitorandolo nelle dimensioni dopo
ogni aggiunta o modifica.
Foto Wilhelm Redemann, 1933.
Il Merzbau si sostituisce al suo creatore acquisendo
parte della sua aura.
Mark Rothko (1903-1970).
Color field Espressionismo astratto
americano anni Cinquanta -> la pittura si è
finalmente liberata da ogni intento mimetico
essa esibiva solo se stessa.
Rispetto allo spazio di Bacon lo studio
dell’artista americano sembra spoglio,
essenziale, funzionale, uno “studio povero”.
Lo spazio rifletteva la personalità
ipersensibile di Rothko (comparabile con la
vulnerabilità delle sue opere), l’attenzione
era tutta sull’osservazione della luce che
lentamente declinava con variazioni minime,
quasi impercepibili fino a coinvolgere
completamente le tele nell’oscurità.
L’artista amava guardare il cambiamento Foto: Hans Namuth; Portrait of Mark Rothko in studio,
lento della luce e gli effetti che si creavano 1958-1960.
sui suoi lavori, non apprezzava invece la
luce costante e stabile della galleria che, a East 69° Street – Manhattan, New York.
suo parere, sottraeva ai suoi dipinti la loro
gamma di umori -> lo studio li metteva in
evidenza.
“[…] Noi desideriamo riaffermare la superficie del
dipinto. Noi siamo per le forme piatte poiché esse
distruggono l’illusione e rivelano la verità”. Barnett
Newmann 1948.
LO STUDIO COME LUOGO D’ESPOSIZIONE E INDUSTRIA
DELL’ARTE.
Il Flâneur è il prototipo dell’artista del XX sec. Se ne possono
individuare molti (es. Land Art), l’attraversamento dell’ambiente
urbano è stata una modalità artistica diffusa (camminare per la
città). Si poneva l’accento sull’improduttività contro la catena di
montaggio di Taylor poi applicata da Ford. Ford affermava che
il camminare fosse nemico numero uno in fabbrica, l’uomo si
sarebbe dovuto fondere con la macchina (Andy Warhol).
Pollock ad esempio, usa la retorica della fabbrica nel suo
lavoro: la tela diventa orizzontale e l’artista assume la stessa
posizione dell’operaio sulla catena di montaggio. Inoltre Pollock
utilizza abitualmente vernice industriale per automobili.
Tutti gli artisti del Novecento dovevano fare i conti con la
catena di montaggio e con questo mutamento del modo di
produzione.
La standardizzazione è nemica dell’arte che è singolarità (aura)
-> ciò non significa recuperare la retorica dell’artista come eroe
solitario.
Negli anni sessanta del XX secolo lo studio diviene uno spazio
polifunzionale, una comune-circolo sociale, un luogo condiviso
da adepti di un particolare culto sotto la guida di un leader, ma
anche spazio per le mostre, le produzioni.
Factory Andy Warhol East 47° Street NY.
Studio di Robert Rauschenberg, Foto di Ugo Mulas.
Andy Warhol (1928-1987).
Rappresentante più tipico della cultura pop
in America.
Confronto–scontro dell’arte con l’industria.
La riproducibilità tecnica e tecnologica dei
suoi lavori si contrappone all’unicità e
all’irripetibilità della sua figura amplificata
attraverso l’uso dei media (tempi e modi di
una campagna pubblicitaria) –una strategia
dell’immagine.
Egli accetta il suo ruolo in maniera acritica
identificandosi con i valori della società dei
consumi.
L’artista rifiuta l’atteggiamento devozionale
verso l’arte, intesa come solo linguaggio alto
(prod. simboliche immaginarie). No utopia,
pragmatismo, ogni cosa, o persona vale
l’altra.
“Comprare è più americano di pensare e io
sono americano come qualsiasi altro.”
“Il mio istinto pittorico mi dice: se non pensi
fai la cosa giusta. Non appena devi decidere
e scegliere è sbagliato”
“Voglio essere una macchina”
“È un protagonista cinico e disilluso, estraneo ai valori positivi e propositivi dell’arte, che porta a estreme
conseguenze la negazione di qualsiasi forma di concettualizzazione del soggetto, registrando
passivamente l’esistente mediante tutti gli strumenti tecnologici attuali, e sottolinea l’assoluta mancanza
di progetto immaginario, tipico dei media di massa, dichiarandosi una “macchina” di registrazione sonora
e visiva, fotografica e serigrafica, televisiva e filmica, per esaltare, come tutte le società di consumo, non il
significato del prodotto, ma il tatticismo di vendita e promozione”. E gli si avvicina al pensiero della
società contemporanea ” […] che non crede più alla ricchezza del significato, ma nel potere
dell’insignificante, esalta l’immagine presente perché rinvia a una mancanza di realtà di senso, di fede e di
utopia. Questa società è consapevole dell’inutilità dell’artista, ma comprende che questa inutilità non va
rimossa […] al contrario va accettata ed enfatizzata, estesa e generalizzata”.
G. Celant, Artmix , p 13.
Nel 1962 addotta pressoché esclusivamente il procedimento della stampa serigrafica, che gli permette di
riprodurre meccanicamente l’opera in numerose copie e la massima impersonalità nell’esecuzione.
Con questa tecnica immortala soggetti presi indifferentemente dal mondo dello spettacolo, dagli scaffali
di un supermercato o dalle pagine di cronaca nera.
Oggetto di massa: 1.celebrità icone 2. astratto anonimato
Dalla metà degli anni sessanta si dedica al cinema sperimentando l’estetica della noia, nel 1972 ritorna
alla pittura ma continua a sperimentare con altri media dedicandosi anche alla televisione, all’editoria e
collabora con artisti giovani come Jean Michel Basquiat.
THE FACTORY 1964.
Loft al quinto piano di un edificio di Midtown
Manhattan (231 della East 47° Street).
Il luogo diviene epicentro della cultura
underground di New York.
“industria dell’arte” – ha come modello il
laboratorio officina sviluppatosi dalla
tradizione delle Arts and Crafts artigianali fino
al Bauhaus, la Factory si meccanizzerà, ma
rimarrà l’idea del lavoro collettivo.
Caso estremo di evoluzione dello studio
d’artista, vengono ampliate le sue funzioni
cancellando le frontiere tra vita professionale,
artistica e privata.
ANDY WARHOL. LOGO-PERSONA
OPERA D’ARTE. MERCE ASSOLUTA.
Warhol diviene progettista, con la sua immagine, di
un MARCHIO che entrerà nella storia. Lui stesso
rappresenta il brand e garantisce il valore del lavoro
svolto all’interno della sua “azienda”, sarà infatti la
sua firma a trasformarsi in logo per lanciare nuove
attività commerciali si amici e colleghi.
L’aura di ogni opera è stata disintegrata da Warhol
nella serialità dei suoi lavori e verrà recuperata e
trasformata nella forza non visibile del suo essere
“marchio” – marchio auratico.
Avvicina il concetto di arte a quello di produzione
industriale e anche ai meccanismo legati al
consumo di prodotti standardizzati.
Essere una macchina->merce assoluta come
destino dell’opera d’arte -> feticcio commerciabile
(presenza in contesti mediatici, come la televisione,
i rotocalchi, collezioni di grandi finanzieri -> stravolto
il simbolismo dell’arte che ha perso il suo potere di
filtro. (crf. pragmaticità).
Il luogo, mescolando in tipico stile pop di cultura alta
e bassa, diventa punto di ritrovo di una comunità
trasgressiva, dedita agli eccessi che hanno segnato
gli anni sessanta-settanta.
L’artista decide di rivestire gli ambienti del loft con
vernice argentata e stagnola: “[…] era il momento
perfetto per pensare argento. L’argento era il futuro
[…] e anche il passato – il silver screen [“schermo
d’argento”, espressione inglese che indica il cinema]
[…]. E forse più di ogni altra cosa, l’argento era il
narcisismo-gli specchi avevano un supporto
d’argento”.
La principale attività all’interno della Factory era la
realizzazione di serigrafie a più colori che seguono un
processo di produzione di tipo industriale, affidato ai
molti assistenti dell’artista.
Nel 1966 Warhol estende la propria pratica ad altri
campi come la musica – diviene il manager dei The
Velvet Underground, di casa alla Factory, per i quali
realizza la copertina dell’album di debutto
caratterizzato da una provocatoria banana da
sbucciare.
Ugo Mulas – La Factory di Andy
Warhol, New York 1964.
Ha preservato il suo lavoro, la sua libertà creativa, dallo spazio cristallizzato del museo, ha creato una
galleria nel suo studio, un contenuto che, come abbiamo visto, è stato trasportato, intatto in un museo
-> “attraverso un brillante negoziato, Brancusi ha fatto in modo che il suo atelier, una volta rimasto
disabitato, gli sopravvivesse. Si potrebbe dire che lo rivisiti insieme ad ogni visitatore.”
Brian O’Doherty, Inside the White Cube. L’ideologia dello spazio espositivo, p.125.
LO STUDIO COME OPERA IN MOSTRA
Lucas Samaras (1936), Room #1, Installation at
Green Gallery, New York, 1964.
Ambiente opera d’arte – cortocircuito fra spazio di
elaborazione e quello dove si espone.
Bruce Nauman (1941), Mapping the Studio I (Fat
Chance John Cage), girata nel studio a Galisteo
(New Mexico), 2001 – Dia Art Foundation di New
York. L’atelier produce l’opera diventando opera
esso stesso.