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11.

1IL NEOFASCISMO DI SALÒ


La penisola italiana divisa DALLA LINEA SALERNO-BARI in due entità distinte antagoniste diventò uno dei
teatri del conflitto mondiale.
Nel REGNO DEL SUD c’era un governo presieduto da Badoglio e supportato dagli Alleati.
Nel CENTRO-NORD c’era un governo fascista con Benito Mussolini liberato dai paracadutisti tedeschi sul
Gran Sasso dove era tenuto recluso, nacque così la Repubblica di Salò, con capitale Salò sul lago di Garda.
Nelle settimane successive all’armistizio (8 SETTEMBRE 1043) la presenza tedesca del Reich si era
consolidata al Nord nelle province della Venezia Giulia (LITORALE ADRIATICO) e quelle del Trentino
(PREALPI). Sul resto del territorio occupato a settentrione della linea del fronte, l’amministrazione militare
tedesca fu organizzata e 19 comandi territoriali.
Il 23 settembre 1943 si formò il primo governo della REPUBBLICA SOCIALE (definito dagli antifascisti
repubblichino), espressione del PARTITO FASCISTA REPUBBLICANO che voleva un ritorno al fascismo delle
origini, avendo come obiettivo politico la lotta contro i traditori del 25 luglio (monarchia, badogliani e
fascisti moderati).
Comune a tutti i repubblichini era la volontà di continuare a combattere a fianco dei camerati germanici e
un esplicito filonazismo.
Il suo programma contemplava il rinnovamento sociale del paese a cominciare dalla socializzazione delle
imprese d’interesse pubblico. Si trattava tuttavia di progetti che non si tradussero in risultati concreti.
Il NEOFASCISMO DI SALÒ infatti si trovò ben presto a dover fare i conti sia con l’ostilità degli industriali e
degli ambienti conservatori, sia con la diffidenza delle autorità tedesche verso la socializzazione dei
principali stabilimenti passati sotto il loro controllo; e la generale avversione nei confronti della rinata
dittatura da parte della maggioranza dei lavoratori.
La Repubblica di Salò inasprì la politica razziale già impostata da Mussolini con le leggi del 1938,
impegnandosi nella persecuzione degli ebrei italiani e deportazione nei campi di concentramento e di
sterminio tedeschi.
Nell’intento di acquistare credito e autorevolezza agli occhi dei tedeschi venne deciso di rinviare a giudizio
quei gerarchi fascisti che votando il 25 luglio 1943 l’ordine del giorno Grandi, avevano determinato la
defenestrazione di Mussolini. Si concluse con la condanna a morte di 5 imputati tra cui anche Galeazzo
Ciano genero di Mussolini.
La Repubblica sociale italiana restava comunque debole e sotto la tutela tedesca che ne limitava
l’autonomia. Il governo di Salò procedette alla coscrizione obbligatoria per costituire una forza armata in
grado di adempiere sostanzialmente a tre funzioni:
1. fornire ai tedeschi gli ausiliari necessari ai servizi di retrovia;
2. costituire una milizia, la GUARDIA NAZIONALE REPUBBLICANA, che si sarebbe sostituita ai corpi di
polizia preesistenti;
3. formare alcune divisioni, al comando del generale Graziani, che sarebbero state addestrate in
Germania per i combattimenti in prima linea.
Ma la Repubblica sociale italiana si trovò ben presto a dover fronteggiare l’ostilità dei civili. Il governo
neofascista reagì con la loro cacciata. Falli anche il tentativo di convincere i circa 700.000 internati militari
italiani nei campi tedeschi ad arruolarsi nell’esercito di Salò e inoltre si moltiplicarono i casi di diserzione.

11.2 LA RESISTENZA
L’attività della Repubblica sociale/DI SALO’ si concentra fin da subito nella violenta repressione di tutte le
manifestazioni di dissenso.
Davanti al sostegno offerto dai repubblichini ai tedeschi in una serie di misure di azioni militari (dal
saccheggio di prodotti agricoli industriali, al reclutamento forzato di manodopera, alla deportazione) che
colpivano direttamente la vita dei civili, maturò una diffusa opposizione e nacque la RESISTENZA.
Essa era costituita da ideologie del primo antifascismo quello che si era opposto al regime mussoliniano
negli anni 20, e l’antifascismo di una nuova generazione, composta da giovani nati e cresciuti durante il
ventennio fascista che, dopo l’8 settembre 1943, con lo disgregazione dell’esercito Regio, nel tentativo di
sfuggire ai rastrellamenti nazisti, avevano cercato riparo i luoghi isolati e poco accessibili.
La RESISTENZA fu, all’inizio, un moto spontaneo per fare fronte comune alla minaccia della deportazione in
Germania, in una situazione senza alternative per chi non voleva militare nella Repubblica sociale italiana.
Successivamente, dai legami stabilitasi con gli antifascisti nacquero i primi nuclei del movimento
partigiano, dislocati in gran parte dell’Italia settentrionale e in alcune zone di quella centrale, ed ebbero
origine le prime forme di guerriglia partigiana.
La strategia messa in atto prevedeva rapide azioni di sabotaggio contro installazioni e truppe nemiche per
poi riparare nei rifugi che si trovavano quasi sempre in montagna.
Già durante i 45 giorni intercorsi fra il 25 luglio al 8 settembre 1943 le forze politiche si erano riorganizzate.
In clandestinità era nata una anche nuova formazione che non faceva parte del panorama dei partiti
prefascisti; si trattava del PARTITO D’AZIONE, il cui programma si ispirava alla formula della rivoluzione
democratica che per:
- i più moderati era finalizzata al rinnovamento politico culturale della società italiana,
- i più radicali era finalizzata ad una profonda trasformazione in chiave socialista del paese.
Dalla clandestinità era emerso il PARTITO COMUNISTA che aveva lungamente lottato contro il fascismo
attraverso l’azione di piccoli gruppi di militanti.
Si era costituito il PARTITO SOCIALISTA ITALIANO DI UNITÀ PROLETARIA. Era nata inoltre la DEMOCRAZIA
CRISTIANA che aveva recuperato le tradizioni e alcuni esponenti cattolici del partito popolare.
Anche i LIBERALI si organizzarono in un partito che si richiamava alla figura intellettuale di Benedetto
Croce.
A sua volta Bonomi aveva costituito la DEMOCRAZIA DEL LAVORO di ispirazione social-riformitsta.
I partiti antifascisti trovarono nella parola d’ordine DELL’UNITÀ DELLA RESISTENZA il comune denominatore
intorno al quale riorganizzare l’attività politica.
Il 9 settembre 1943 i loro rappresentanti si erano riuniti a Roma costituendo il COMITATO DI LIBERAZIONE
NAZIONALE (CLN): organismo politico che aveva come principale obiettivo quello di rappresentare la nuova
Italia democratica e di guidare la lotta contro il nazifascismo ma anche quello di contestare la monarchia,
considerata con responsabile della drammatica situazione in cui era precipitato il paese.
Accanto al CLN con sede a Roma si formò a Milano il CLN per l’alta Italia (CLNAI).
Entrambi dovettero operare fin da subito clandestinamente, sostenendo l’attività dei partigiani dei quali
divennero l’organismo di rappresentanza politica.
Mentre il governo Badoglio, stabilitosi prima Brindisi e poi a Salerno, il 13 ottobre 1943 aveva dichiarato
guerra alla Germania, schierando alcuni reparti militari accanto agli alleati.
Le file dei partigiani si ingrossarono con il passare dei mesi; Si andava infatti dalle BRIGATE GARIBALDI,
comunisti, alle BRIGATE MATTEOTTI composte da socialisti; le formazioni armate del partito d’azione si
battezzarono GIUSTIZIA E LIBERTÀ.
Alle BRIGATE GARIBALDI erano collegati gruppi di azione patriottica (GAP), piccole e agili cellule composte
da non più di tre o quattro persone che agivano in città per colpire con attentati mirati esponenti politici del
fascismo repubblichino, militari tedeschi o informatori al servizio della Repubblica sociale italiana.
IL movimento partigiano era costituito in prevalenza di appartenenti agli strati popolari e nel complesso
erano coinvolti attivamente circa 200.000 persone ed erano in prevalenza giovani.
Tra i partigiani i caduti e i giustiziati furono almeno 30.000 e altrettanti furono gli italiani morti
combattendo in quegli stessi mesi nei movimenti di resistenza degli altri paesi europei.
Inoltre furono più di 10.000 le vittime italiani delle rappresaglie e delle atrocità fatte dai tedeschi e fascisti
repubblichini.
A questo bilancio vanno aggiunti i deportati per motivi politici razziali: 40.000 tra donne, uomini e 33.000
militari italiani deceduti per fame e stenti nei lager tedeschi, internati dopo l’8 settembre.
LA SVOLTA DI SALERNO E IL GOVERNO DI UNITÀ NAZIONALE
L’azione del COMITATO DI LIBERAZIONE NAZIONALE (CLN) risentì fin da subito di una certa debolezza
politica dovuta soprattutto al fatto che nell’Italia liberata dalle truppe alleate, americani e inglesi avevano
scelto per interlocutore il governo Badoglio che era considerato politicamente più affidabile e moderato.
Inoltre, dopo la dichiarazione di guerra contro la Germania, gli alleati avevano riconosciuto NEL REGNO DEL
SUD lo status di paese cobelligerante e autorizzato a costituire un corpo Italiano di liberazione che, nato
sulle ceneri dell’esercito regio, si era affiancato agli anglo-americani in vari combattimenti contro i tedeschi
lungo la dorsale appenninica.
In ogni modo tra il COMITATO DI LIBERAZIONE NAZIONALE (CLN) e il Governo Badoglio scaturirono
presto tensioni e conflitti, proprio perché Badoglio legato alla monarchia e già implicato nel ventennio
fascista impersonava la continuità mentre il CLN proponeva una rifondazione democratica.
IN PARTICOLARE IL CLN CHIEDEVA L’IMMEDIATA ABDICAZIONE DEL SOVRANO.
Questo conflitto politico fu sbloccato con il contributo decisivo del leader del PCI Palmiro Togliatti appena
rientrato in Italia dopo vent’anni di esilio trascorsi in unione sovietica.
Il leader comunista assunse da subito l’iniziativa politica, pronunciandosi per il rinvio della questione
istituzionale della scelta tra monarchia o repubblica, a conflitto concluso.
Per Togliatti era prioritaria la formazione di un nuovo governo Badoglio nel quale fossero finalmente
presenti tutte le formazioni politiche che si contrapponevano al nazifascismo e in cui il PCI avrebbe
acquistato piena legittimazione agli occhi degli alleati dell’opinione pubblica.
Quella che fu chiamata la “SVOLTA DI SALERNO” (città nella quale fu annunciata) era in sintonia con le
istruzioni di Stalin.
Togliatti mirava a fare del PCI una forza in grado di esercitare un ruolo di primo ordine nel processo di
ricostruzione democratica del paese.
Il problema costituito dalla permanenza sul trono di Vittorio Emanuele III comunque rimaneva: il vecchio
sovrano infatti era una figura troppo compromessa con il regime fascista.
Il 12 aprile 1944 il re si impegnò così a trasferire i propri poteri, una volta liberata Roma, al figlio Umberto.
A quel punto la strada era spianata per procedere nel senso previsto dalla svolta di Salerno. IL 24 APRILE
NACQUE IL PRIMO GOVERNO DI UNITÀ NAZIONALE, presieduto da Badoglio ma composto dai
rappresentanti di diversi partiti che avevano costituito il CLN (ritorno al pluripartitismo).
Il 5 giugno 1944 mentre le truppe alleate erano appena entrate a Roma, Umberto di Savoia assunse la
corona succedendo al padre, mentre Badoglio si dimise dalla presidenza del consiglio sostituito da Bonomi.
Fin da subito il nuovo governo dovette misurarsi con problemi economici e sociali ma anche con le
questioni dell’epurazione dei fascisti e dei rapporti con il movimento partigiano nelle zone ancora
occupate.

11.3 LE OPERAZIONI MILITARI E LA LIBERAZIONE


Dopo che il 9 settembre 1943 gli anglo americani erano sbarcati a Salerno (operazione AVALANCHE) , la
loro avanzata verso Roma aveva incontrato diverse difficoltà.
Le forze tedesche, anche se inferiori, erano riuscite a bloccare l’iniziativa militare alleata sulla linea Gustav.
Gli Alleati si trovarono molte postazioni tedesche che, avvantaggiate dal terreno montuoso, non
consentivano una guerra di movimento.
Se Napoli venne liberata già il 1 ottobre 1943 dopo un’insurrezione popolare (4 giornate di Napoli),
l’offensiva alleata dovette ben presto arrestarsi a CASSINO.
Poche settimane dopo la conferenza di Teheran gli alleati decisero l’apertura di un ulteriore fronte in
Francia con lo sbarco in Normandia, in Italia volevano impegnare il maggior numero di truppe tedesche, per
distoglierli da altri teatri di guerra. Ma così facendo gli alleati dovettero affrontare una lunga guerra di
logoramento.
Neanche lo sbarco alleato sulla costa laziale ad Anzio riuscì a sbloccare la situazione: infatti mentre le
truppe tedesche bloccavano gli angloamericani intorno ad Anzio, il grosso delle forze della Wehrmacht in
Italia costrinse l’armata statunitense e quella britannica a terribili attacchi intorno a Cassino.
Cassino e la vicina abazia di Montecassino erano stati sottoposti a pesanti bombardamenti. Gli alleati poi
riuscirono a sfondare la linea Gustav e a ricongiungersi con il resto delle truppe ancora bloccata ad Anzio;
dopo pochi giorni giunsero a Roma, liberandola il 4 giugno 1944.
Poi il fronte raggiunse Firenze, liberandola il 31 agosto, mentre sul versante orientale le truppe alleate si
arrestarono a Pesaro. Gli alleati si trovarono infatti di fronte al nuovo sbarramento delle truppe comandate
dal feldmaresciallo KESSELRING: la linea gotica.
Fino all’aprile 1945 gli alleati si limitarono a una serie di brevi azioni offensive, mentre i tedeschi si
logoravano sia per la scarsità di rifornimenti dalla Germania sia per l’azione condotta dai partigiani.
Nei primi giorni dell’aprile 1945 gli alleati riuscirono infine a dare la spallata finale al fronte tedesco.
→ l’ armata britannica si muoveva verso Bologna l’ armata statunitense verso ovest.
→ i partigiani combattevano con successo per liberare le grandi città del nord prima che gli anglo-
americani sopraggiungessero - Torino a Genova, Bologna, Milano.
→ Mussolini fu catturato a Dongo sul Lago di Como dai partigiani, mentre tentava la fuga verso la Svizzera:
venne fucilato il 28 aprile. La stessa sorte toccò ad altri gerarchi repubblichini fuggitivi.
→ i tedeschi firmarono la resa ma i combattimenti si protrassero sino al 2 maggio.
Nel corso della campagna erano caduti 312.000 militari delle armate alleate e 536.000 tedeschi; oltre
215.000 erano i civili italiani morti nei combattimenti o per cause belliche.

12.4 LA GUERRA E LA POPOLAZIONE CIVILE


L’ITALIA OCCUPATA
Tra il 1943 e il 1945 la condizione della popolazione civile italiana fu segnata dall’estrema mancanza di cibo
e dalla distruzione delle abitazioni causata dai bombardamenti alleati sulle città.
Il razionamento colpì la quasi totalità dei prodotti di uso quotidiano cosicché nacque il mercato nero,
clandestino, in parallelo a quello ufficiale, con prezzi altissimi, fuori da ogni controllo delle autorità.
Per chi restava in città l’unica protezione dai bombardamenti era offerta da rifugi antiaerei. L’occupazione
tedesca costituì un evento drammatico con frequenti atti di violenza contro la popolazione civile.
Con il formarsi dei gruppi partigiani, furono date disposizioni di colpire tutti quei civili che erano sospettati
di connivenza con i partigiani. Il ricorso alla violenza come espressione della loro forza e per prevenire
qualsiasi attività che potesse risultare anche semplicemente non collaborativa.
Ci furono massacri della popolazione civile a Boves (Cuneo) 23 persone, a Chiazzo (Caserta). Le violenze dei
tedeschi aumentavano man mano che il conflitto era a loro svantaggio.
Il 24 marzo 1944 ebbe luogo a Roma L’ECCIDIO DELLE FOSSE ARDEATINE ai danni di 335 civili e militari
italiani, deciso come rappresaglia ad un attacco eseguito il giorno prima dai partigiani contro i tedeschi.
Altro episodio terribile fu il 12 agosto 1944 quando a Sant’Anna di Stazzema furono trucidate 560 persone
quasi tutti anziani, donne, bambini, mentre nel settembre 1944 a Marzabotto sull’Appennino bolognese
furono assassinati tutti gli abitanti del paese circa 1800 persone.
Particolarmente spietata fu la reazione dei tedeschi nel caso delle “REPUBBLICHE PARTIGIANE”, zone
temporaneamente liberate dalla presenza dei nazifascisti dove si erano sperimentate forme di autogoverno
popolare come in Valsesia, a Montefiorino, nelle Langhe e Monferrato.
Quando una di queste località ricadeva nuovamente nelle mani delle truppe tedesche gli abitanti erano
esposti a rappresaglie; a queste partecipavano anche i militi delle brigate nere della Repubblica di Salò.
La spaccatura in due dell’Italia non fu solo quella fra gli opposti fronti di combattimento, ma anche e
soprattutto quella che divise gli italiani fra quanti si identificarono con il neofascismo della Repubblica di
Salò e quanti invece si riconobbero nella resistenza, impegnandosi nelle formazioni partigiane. Questa
contrapposizione fra connazionali si tradusse anche in una GUERRA CIVILE.
In mezzo a queste due minoranze, c’era un’ampia ZONA GRIGIA che cercava di mantenere le distanze da
entrambe le parti.
Coloro che militavano nella REPUBBLICA SOCIALE/DI SALO’ (600 giorni) aderivano a principi autoritari,
volevano difendere l’Italia dagli alleati e limitare una possibile invasione bolscevica.
Coloro che militavano nella RESISTENZA pensavano che l’Italia si potesse riscattare dalla disfatta morale,
solo rovesciando il fascismo. La guerra era patriottica contro l’occupante tedesco i repubblichini.
DALLA LOTTA PARTIGIANA SONO NATE LE LIBERTA’ SANCITE DALLA COSTITUZIONE, E PER MERITO DI QUEI
GIOVANI CHE FECERO LA GIUSTA SCELTA E’ NATA LA DEMOCRAZIA.
LE FOIBE E IL DRAMMA DEI PROFUGHI
Era rimasta fuori dal controllo tedesco la zona interna dell’Istria e qui irruppero varie formazioni partigiane
slave, che assunsero il potere senza incontrare resistenza.
Già il 15 settembre tutti centri della penisola istriana erano nelle mani dei partigiani comunisti guidati da
Tito che chiamava la comunità slava alla lotta di liberazione nazionale contro gli occupanti, tra i quali
erano compresi anche molti italiani.
L’appello era dettato da molteplici ragioni.
1. Se da un lato Tito in tale modo ricompattata le fila del suo movimento,
2. dall’altro coglieva quei sentimenti di rivalsa che crescevano nelle campagne dove vivevano molti
contadini slavi, in uno stato di soggezione economica e culturale nei confronti delle aree urbane
abitate perlopiù da italiani.
L’occupazione italiana di quella parte del regno di Jugoslavia avvenuta nel 1941 aveva suscitato una catena
di conflitti con le popolazioni locali non italiane, oltre agli antagonismi preesistenti dovuti alla ventennale
politica fascista di italianizzazione (linguistica e culturale) forzata attuata nelle terre istriane e dalmate.
Ai partigiani si unì la rivolta della popolazione rurale croata.
L’italianità fu considerata a priori come indice di appartenenza ideologica al fascismo e così dopo processi
sommari, alcune centinaia di persone furono assassinate con l’accusa di essere nemici del popolo.
Per impedire qualsiasi possibilità di identificazione, i loro corpi vennero gettati nelle foibe, profonde
cavità naturali disseminate di terreni carsici istriani.
Le violenze si fermarono dopo poche settimane di fronte all’avanzata tedesca. L’inizio del periodo di
occupazione nazista diede il via ad altri massacri e deportazioni da parte dei nazifascisti.
A Trieste, fu realizzato un campo di transito e concentramento dove morirono ebrei, ma anche partigiani
sloveni e croati.
Nell’aprile 1945, dopo la fine della guerra del regime di occupazione imposto dei tedeschi, le violenze
contro gli italiani ripreso e si moltiplicarono per opera delle truppe di Tito.
Obiettivo del movimento partigiano jugoslavo era l’annessione di Trieste , nonché di varie altre zone di
confine, alla nascente Repubblica federativa di Belgrado.
Gli uomini di Tito badarono a colpire gli esponenti più in vista della comunità italiana, anche se antifascisti,
nell’intento di privarla dei suoi leader.
Durante l’occupazione Jugoslava di Trieste e Gorizia ci furono molti arresti, deportazioni ed esecuzioni,
molti gettati nelle foibe (o infoibate) mentre erano ancora vivi (tra le 4000 e 6000 persone).
Le autorità alleate non intervennero attendendo la conclusione delle trattative fra Tito e il comando
angloamericano. Il 12 giugno 1945 le forze jugoslave abbandonarono infine Trieste Gorizia e Pola, entrate
sotto controllo alleato. In quegli anni e in quelli successivi, quasi tutti i cittadini della minoranza italiana
abbandonarono la Jugoslavia in seguito a una campagna di ostilità (250.000 scapparono in Italia).
Questa ulteriore drammatica vicenda si consuma nell’imbarazzato silenzio del governo italiano dovuto ai
condizionamenti e ai compromessi politici impostisi nell’immediato dopo guerra. L’esodo infatti durò per
molto tempo concludendosi di fatto solo nella seconda metà degli anni 50.

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