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Storia della musica moderna e contemporanea

Prof. Cesare Fertonani


Corso 2009-2010
Always Let Me Go: storia e fenomenologia della musica di Keith Jarrett

ELENCO DELLE MUSICHE E DEI VIDEO

MODULO B

* Keith Jarrett - The Art of Improvisation [84’ + 24’ bonus]


DVD Video, Directed and narrated by Mike Dibb
EuroArts 2054119 2005

* Miles Electric. A Different Kind of Blue


DVD Video, Murray Lerner Producer/Director
Eagle Rock EREDV 263, 2003

Track 11 - Call It Anything [38’]


Isle of Wight, 29 agosto 1970.
Miles Davis, tp
Gary Bartz, as, ss
Chick Corea, ep
Keith Jarrett, org
Dave Holland, b
Jack DeJohnette, d
Airto Moreira, perc

Dopo il successo di Bitches Brew (1969), con 500.000 copie vendute e l’album di maggior successo
commerciale della storia del jazz (ma si trattava poi in effetti di jazz?) ecco la partecipazione al
grande concerto rock e pop dell’isola di Wight. Davanti a 600.000 persone. Eccitazione elettrica.
Miles leader nel senso che detta il groove, i tempi, le svolte di un discorso improvvisativo molto
fluido e libero in cui tutti sono protagonisti (ma le tastiere suonano sempre con un contributo
ritmico). Beat, impulso rock al di sopra del quale si sviluppa l’improvvisazione (quasi free):
caleidoscopio di colori e atmosfere con enfasi posta su ritmo e melodia. Interplay basato
sull’ascolto e sull’attenzione dell’ascolto degli altri che si trasforma in suono (intuizione,
anticipazione, sollecitazione, imitazione e ripresa di gesti, motivi, figure eccetera), cooperazione
improvvisativa guidata ma non controllata da Miles che non voleva che i musicisti della band
sapessero prima o pensassero a ciò che avrebbero suonato dopo. Inoltre, comunicazione verbale tra
Miles e i musicisti ridotta al minimo, spesso a brevi indicazioni allusive. Comunque, a ogni
intervento, a ogni entrata di Miles succede qualcosa. L’impressione è che i musicisti della band,
tutti di formazione e provenienza jazzistica, partecipino affascinati ma anche un poco spaesati
all’impresa a causa di Miles e del suo carisma: musicisti jazz che, sperimentando e mettendosi alla
prova ma anche snaturandosi, suonano rock o funky (emblematico ed estremo il caso di Jarrett, che
detestava già da allora gli strumenti elettrici e suonò l’organo elettrico soltanto per compiacere
Miles).
Finale simbolico: Miles lascia il palco prima della fine del pezzo lasciando alla band il compito di
chiedere, a quel punto la musica va avanti ancora per un po’, ma non si sa dove e la conclusione

1
resta sospesa. Il pezzo finisce perché Miles se n’è andato e la sua musica è già da qualche altra
parte.
Importanza dell’esperienza per Jarrett: continua tensione innovativa di Miles, libertà
nell’organizzazione di grandi arcate musicali sulla base del timing. Il timing costituisce qui infatti il
principio primo organizzatore del set e degli eventi sonori che lo sostanziano: alternanza di grooves
e sezioni ritmicamente libere, assoli “entrate” e “uscite” degli strumenti

43:20 Groove 1 – Miles


45:51 Bartz (ss), passaggio bebop con i due fiati
47:28 Sezione ritmica senza i fiati – Corea, Jarrett
48:33 Rientra Miles
50:25 Tempo lento, episodio della sezione ritmica
51:53 Groove 2 – Miles
53:50 Break, tempo lento rubato, episodio statico
54:35 Groove 3 – Miles
55:18 Bartz (as)
57:18 Episodio ritmicamente libero
58:18 Groove 4
58:32 Miles
1:00:01 Episodio ritmicamente libero
1:00:38 Groove 5 – Miles. Passaggio di grande tensione ed energia; verso la
conclusione Jarrett in evidenza
1:05:07 Attenuarsi della forza del groove e Miles lirico; poi il groove riprende vigore
e consistenza
1:06:51 Il groove scompare, tempo lento ed episodio contemplativo
1:08:02 Groove 6 – Miles
1:09:03 Bartz (as), poi sezione ritmica sola con Jarrett in evidenza
1:13:04 Miles
1:16:35 Miles prende la borsa e se ne va. La sezione ritmica resta sola: finale aperto?
finale sospeso?

* Four Tenors
Charles Lloyd Quartet

Charles Lloyd (ts), Keith Jarrett (p, d, ss), Ron McClure (b), Jack De Johnette (d) – 1968 (DVD
idem 779-2002) Puntata di una serie di trasmissioni televisive.

Love Ship [6:39]

Tagore/Passing Through [20:14]

Forest Flower [1:44]

* The Mourning Of A Star


New York, luglio-agosto 1971 (Atlantic, 8122-75355-2, 1971)

Standing Outside [3:21]

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Pezzo quasi di fusion, con ritmi latini e accattivante melodia country-pop del tema. Jarrett suona
anche le congas.

00:00 Intro, rullo di piatti (d), accompagnamento del tema (p) - 8 battute
00:22 Tema, song: ABAB dove A = 8, B = 4
01:09 Due chorus
02:45 Ripresa del tema A B + Coda a sfumare

All I Want [2:20]


Cover, per così dire, di Joni Mitchell. Canzone dell’album Blue (1971), che contiene anche A Case
of You, e che fu un grande successo anche commerciale. Su YouTube si possono ascoltare un paio
di versioni d’annata di Joni Mitchell (1972, 1974).
Registro country-pop, Jarrett suona anche il flauto diritto, con echi che ricordano le sonorità del
quartetto con Charles Lloyd; Motian suona anche le congas. Ricreazione delle sonorità originaria
del song, proposto due volte (verse-refrain) anziché tre come nell’originale.

00:00 Intro
00:13 Song

* Facing You
Oslo, novembre 1971 (ECM 1017 827 132-2, 1972)

In Front [10:05] Trascrizione


Esuberante alternanza e successione di sezioni diverse. A ogni volta variato, come refrain di un
rondò, che assicura coesione a un brano di fantasia spumeggiante per il numero delle idee e il loro
svolgimento in cui si coglie la ricchezza degli echi e la connessione del jazz con altre musiche
americane.

00:00 A tema sghembo, varietà metrica, accentuazioni irregolari quasi cubiste nel gioco tra le mani
00:30 B sviluppo melodico, echi country o pop
00:51 A
01:01 C vamp ritmico, funky → impro
01:37 A …
01:47 … e impro
02:31 A
02:41 C → impro estesa sul vamp: momento centrale dal punto di vista propriamente impro (poco
meno di 4’), a 03:40 si afferma un accompagnamento ostinato boogie, con echi del pianismo stride
06:11 D episodio melodico
07:01 ripresa del grove fondamentale → impro
07:44 E attenuazione della pulsazione e nuovo episodio melodico, quasi valzer
08:43 A in tempo molto più lento, in addolcita versione melodica (ballad) ed epilogo

Lalene [8:29] Trascrizione


Ballad, vena lirica quasi pop (se questo termine non implicasse un coefficiente di banalità che qui è
del tutto assente). Forma di song variato, in 4/4. Gioco tra sezioni dalla metrica regolare e sezioni
metricamente libere. Il tema del song è costituito di 3 parti:
A – 16 bb.
A’ – 16 bb.
B – 4 bb.

3
00:00 Tema: A di 16 bb.
00:59 Tema: A’ di 16 bb.
01:57 Tema: B di 4 bb. quasi ritornello (chitarra) se non fosse che non ricompare più e ritransizione
da A
02:18 A var, dopo 9 bb. si rompe la regolare scansione metrica
03:10 A var, dopo 4 bb. si rompe la regolare scansione metrica
03:46 A var, regolare scansione metrica
04:44 impro inizialmente chorus, poi libera che sospende il grove iniziale: momento centrale dal
punto di vista propriamente impro
06:12 A var → impro
07:15 A var, tempo più lento e libertà metrica
07:59 epilogo

Starbright [5:01] Trascrizione


Serie di chorus a partire da un tema che è occasione per una carrellata sugli stili pianistici della
storia del jazz. Virtuosismo estremo, cultura storica concentrata nei 5’ (in certo senso quasi
un’anticipazione ideale di Tribute…) di un pezzo che ha la struttura formale più semplice che possa
darsi e che conserva la struttura metrica del tema (sempre percepibile agli accordi della mano
sinistra). La regolarità dell’articolazione interna si coglie facilmente dal minutaggio (a ogni chorus
corrispondono 30’’ circa). Allusioni a blues, Art Tatum, Bud Powell sino a citazioni stride e
ragtime.
Tema di 8 bb., con accento sui nuclei di 2 bb.: 2 + 2 + 2 + 2.
00:00 Tema
00:30 Ch 1, blues mano ds
01:00 Ch 2
01:32 Ch 3
02:03 Ch 4
02: 35 Ch 5
03: 06 Ch 6
03:20 a metà del Ch 6 iniziano velocissimi passaggi virtuosistici che proseguono nel Ch 7
03:37 Ch 7
04:08 Ch 8 ridotto a metà chorus
04:23 Tema

* The Köln Concert Trascrizione

La data di un mito, 24 gennaio 1975 (2 cd ECM 1064/65 810 067-2, 1975). La storia del concerto e
della registrazione: Carr, pp. 90-93. Le condizioni psicofisiche di Jarrett, la modestia dello
strumento e la necessità di restare entro i limiti ristretti di uno strumento mediocre. Rapporto
difficile di Jarrett con questa registrazione che pure gli ha dato celebrità planetaria (e ricchezza).
Il concerto è diviso in due parti: la prima (I) coincide con un’arcata unica (26:02); la seconda è
articolata in due pannelli (IIa e IIb) ed è leggermente più lunga rispetto alla prima (14:54 + 18:13).
Alla seconda parte segue un’appendice come bis (IIc) (6:59). In totale 66:10.
Grandi arcate, grande forma basata sulla successione di pannelli, connotati in relazione alla
configurazione e alla tessitura compositiva che coincidono con delle idee o in cui accadono degli
‘eventi’ (propriamente tematici, armonici, timbrici). Processo improvvisativo sottratto ai vincoli
armonici, melodici e ritmici di un materiale pre-composto (dunque molto diverso rispetto a quello
basato su forme modulari di 12/32 battute) e che ha dunque la possibilità di svolgersi liberamente

4
(decisiva al riguardo l’esperienza del free) proponendo, modificando, aggregando, estendendo o
sviluppando in vario modo le idee.
Ancoraggio ad aree tonali o modali (nell’ordine delle grandi arcate oppure delle sezioni più brevi), e
linguaggio tendenzialmente consonante e diatonico che – a differenza di altri concerti di piano solo
di Jarrett – costituisce una delle cifre distintive del Concerto e ne ha contribuito al successo, insieme
con gli aspetti mutiformi tipici del pianismo di Jarrett: qui moduli di ostinato, che possono essere
anche la risultante della stratificazione orizzontale di molteplici figure ritmiche (3 diverse oltre alla
linea melodica per esempio in Groove 4 della Parte I), come fondamento per l’improvvisazione e di
cadenze plagali che mettono in luce i rapporti con il jazz-rock; filatura di lunghe e fluide linee
melodiche in valori ritmici molto fitti alla mano destra su lunghe note tenute, corde di recita della
mano sinistra; strutture melodiche e armoniche improntate all’innodia protestante; tratti della
canzone popular e della musica country & western. Si tratta, d’altra parte, delle stesse cifre che
hanno fatto sì che esso fosse criticato aspramente, anche e forse soprattutto dal versante jazzistico
della critica, come manifestazione di una musica neo-romantica, new age, segnata dalla
contaminazione e dal compromesso.
Diversificazione formale delle parti del concerto: la Parte I alterna sezioni Groove e sezioni Rubato;
le Parti IIa e la IIb si fondano sulla successione di ampi blocchi di Groove e di sezioni dalla
condotta ritmica più libera; la Parte IIc ha la struttura di song.
Trascrizione originale, Schott, 1991. Leggere la prefazione di Jarrett. L’improvvisazione, il formato
permanente (registrazione), e la trascrizione (che è soltanto una “rappresentazione” della musica,
anche se talora incredibilmente prossima alla musica stessa). I limiti notazionali e grafici della
trascrizione in rapporto all’improvvisazione e alla sua natura (i problemi dell’impossibilità di
rendere il reale senso ritmico di certi passaggi, della resa del “going on” dell’improvvisazione, i
problemi dati dalla necessità di scegliere, nel momento di trascrivere, se le note sono dedotte dal
loro senso ritmico, dagli armonici oppure dall’attacco della nota o delle note immediatamente
precedenti). La trascrizione è come “un’immagine di un’improvvisazione (un po’ come la stampa di
un dipinto”, in cui non si può vedere la profondità ma soltanto la superficie: per
un’improvvisazione, “l’ascolto è ciò che determina la forza della musica” e così il riferimento
ultimo deve essere dato dalla registrazione.

Part I [26:02]

Predominano sezioni di circa 1’ o 4’, due archetipi di timing. La relazione tra timing e intensità è
data dalla simmetria: le sezioni più lunghe sono anche le più estese. Alternanza tra sezioni con
texture groove e rubato, con equilibrio tra tensione e rilassamento.

¬ ¬ ¬ ¬
Proporzioni: 1-2 - 3-4 - 5-6-7 - 8- 9-10
¬ ¬

Particolare enfasi attribuita alla metà del percorso: dopo 13’ ca., abbandono del centro tonale della
prima metà (la minore/sol maggiore) con armonie cromatiche; quindi riaffermazione di la (la
maggiore) come centro tonale a 20:06.

Struttura Tonalità Eventi


00:00 Intro la (SOL)
02:14 Groove 1 la
02:52 Rubato 1 la (SOL)
07:13 Groove 2 la (SOL) tema
08:58 Rubato 2 la (SOL)

5
09:40 Groove 3 (cfr. Groove 2) SOL (o la dorico) tema (cfr. Groove 2)
12:51 tema
14:10 Rubato 3
15:06 Slow Rubato
20:06 Arpeggi LA
21:10 Groove 4, Finale LA

Part IIa [14:54]


Due campate.

Struttura Tonalità Eventi


00:00 Groove 1 RE
05:50 arresto-interpunzione
07:57 Accordi, richiami
mi 12:12 tema
LA bemolle 12:53 tema

Dopo le concrezioni tematiche dell’ultima arcata, la conclusione è interlocutoria, tanto da


connettersi direttamente, quasi senza soluzione di continuità con la Parte IIb.

Part IIb [18:13]


Forma più articolata e più varia della Parte IIa, meno articolata della Parte I.

Struttura Tonalità Eventi


00:00 Groove 1 fa diesis
06:37 Groove 2 frequenti cambi di metro
11:31 Barcarola LA bemolle tema
LA bemolle 13:34 tema
14.08 Inno LA bemolle
15:21 Rubato

Part IIc [6.59]


Struttura di song, come spesso accadrà anche nei concerti a venire per i bis (brani propri o
standards).
Tema che fa riferimento (ideale) a una forma di 12 bb., articolata in tre frasi di 4 battute ciascuna
più una coda-ritransizione
a b c d
4 4 4 ½ (= 1 b. 2/4)

A ogni apparizione il tema è però leggermente ritoccato nelle minute inflessioni e variazioni
ritmico-melodiche (per esempio, nell’enunciazione iniziale T1 c’è una misura di 5/4).

00:00 T 1
00:36 T 2
01:13 Chorus impro
01:50 Chorus impro
02:27 Ripresa T 3 (ab…

6
02:52 Rubato … c)
03:17 Lento T4 (abc, dissolvenza)

* My Song
Keith Jarrett (p, perc), Jan Garbarek (ts, ss), Palle Danielsson (b), Jon Christensen (d)
Oslo, novembre 1977 (ECM 1115 821 406-2, 1978). Album pervaso da una delicata poetica e
romantica con inflessioni etniche, anche se alcuni brani (Tabarka e Mandala) presentano una libertà
d’improvvisazione tematica e di condotta propria del free. Cfr. Ake e l’ideale rurale e pastorale
della musica americana.

My Song [ 6:09] Trascrizione


Ballad e vena lirica e romantica, forma regolare di song (tema AABA 16x4). Azzeramento o quasi
dell’improvvisazione, limitata all’esecuzione di Intro e Tema ma privata di uno spazio formale
dedicato. Costruzione molto attenta e funzione di integrazione di Intro

Intro (16)
i 8 (||:4:||) + ii 8 (||:4:||)

Tema (64)
AA B A
w (8) + x (8) :|| y (8) + z (8) w (8) + x (8)

00:00 Intro (i + ii)


00:34 Tema AABA, ts con accompagnamento p da Intro i
02:41 Intro (ii)
02:56 Tema AA, pf solo, in tempo più lento e senza scansione ritmica
04:09 Tema BA, pf e ts, riprende la scansione di d
05:15 Intro (ii) come Coda

Country [5:00] Trascrizione


Motivo “pastorale” del titolo: tutto, dai temi all’armonia fino all’approccio performativo dei
musicisti indica che si ha a che fare con un brano improntato alla musica rurale nordamericana.
Forma: Introduzione (8) piano solo - AABB 16x4, mi bemolle maggiore.

AA BB
x (8) + x1 (8) :||: y (8) + zx1 (8) :||

Schema armonico basato su I, IV, V e vi, modulazione a la bemolle maggiore nella sezione B prima
di rientrare alla tonica.
Melodia compresa nelle note della scala di mi bemolle maggiore, voicings semplici e privi delle
alterazioni tipiche del jazz, condotta ritmica piana e regolare (basso e batteria). A parte
l’introduzione del piano, gli unici assoli sono un’incursione di 32 bb del bassista Danielsson e una
di 16 bb sempre molto legata alla melodia di Jarrett.

* Setting Standards
Keit Jarrett (p), Gary Peacock (b), Jack DeJohnette (d)
Gennaio 1983 (2 cd ECM 2030-32, 1983, 2008)
I due set fondativi del trio. Un solo giorno di lavoro, tutte registrazioni dirette, senza preparazione o
arrangiamenti. Entrati in studio per registrare un album, i tre ne uscirono con materiale per tre (due
di standards, uno di libera improvvisazione).
7
Meaning Of The Blues [9:23]
Celebre versione di Miles Davis con Gil Evans. Cfr. una versione di Jarrett per piano solo
(Amburgo, 1982) disponibile su YouTube. Versione che aderisce al tono introspettivo e
malinconico del song: tema ABAC 8x4. Da elementi di A (note ribattute) e di B (scala minore
discendente) è estratto un materiale che serve come integrazione nella costruzione della
performance (materiale impiegato come Intro, come collegamento, articolazione e interpunzione tra
i chorus e poi ancora come Coda).

00:00 Intro, materiale integrativo (nota ribattuta, re, scale minore naturale discendente e ascendente)
00:25 Tema ABAC
02:12 Chorus p
04:00 Chorus b
05:50 Ripresa del tema
07:34 Coda su vamp, con un accordo (re) →

God Bless The Child [15:30]


Cfr. Billie Holiday. Al p note fondamentali con la mano sinistra, scansione ritmica che DeJohnette
interpreta con un ritmo rockeggiante e funky, di sapore gospel, mantenuto lungo l’intero corso del
brano: da cui scaturisce il senso della versione, connotata da un lirismo caricato di energia nuova,
eccitazione e tensione prolungata per 15’.

00:00 Intro p, note mano sin e scansione ritmica fondamentale dell’accompagnamento


00:15 Tema AABA: in B DeJohnette inizia a interpretare la scansione della mano sin con il ritmo
caratterizzante
02: 21 Chorus p
04:45 Chorus b
06:57 Interludio 1, vamp su un accordo→
07:55 Break e assolo d
08:21 Interludio 2, vamp su un accordo, p, b, d →
09:52 Ripresa, molto libera del tema
11:50 Coda su vamp →

* Standards Live
Parigi, 2 giugno 1985 (ECM 1317 177 5847, 1986)

Too Young To Go Steady [10:10]


Cfr. John Coltrane. Graduale intensificazione della pulsazione ritmica sino a trasformare la ballad
sentimentale del tema in qualcosa di completamente diverso… brano molto ritmico: percorso dalla
melodia quasi invertebrata di ritmo o comunque articolata sullo sfondo dalla batteria a un pezzo in
cui la melodia finisce per essere ridotta a elementi piccolissimi, a schegge di impulsi ritmici, ed è
quindi ricostruita. Ruolo decisivo della batteria impiegata con grande finezza timbrica. Lunga fase
improvvisativa di Jarrett (6’). Significativa la presenza di un assolo della batteria come punto
culminante di questo processo.

00:00 Intro p, tempo medio


00:36 Tema AABA – tocchi di piatti
02:09 Inizio del ciclo di chorus, p ma tempo incalzante scandito da DeJohnette …
08:12 … Break, d e ritransizione

8
09:18 Tema abbreviato AA

* Spirits
Maggio-luglio 1985 (2 cd ECM 1333/34 829 467-2, 1986), Carr pp. 204-212.
Volume 1, Spirits 1-12
Volume 2, Spirits, 13-26

Citazione come epigrafe: XIX dei Sonetti a Orfeo di Rilke.


Testo introduttivo di Jarrett:
- arte come ricordo, “rimemorazione di relazioni dimenticate o che stanno per essere
dimenticate”;
- il silenzio come potenziale da cui può scaturire la musica;
- “fare musica” non coincide con l’impiego della tecnica e il valore del “far musica” sta nel
produrre significato, nella necessità interiore di ciò che si fa:
- la musica come vita, “non un evento separato [dalla vita], controllato in cui un musicista
presenta qualcosa a un pubblico passivo”. “La musica non dovrebbe ricordarci del controllo
che sembriamo avere sulle nostre vite. Dovrebbe ricordarci la necessità di arrendersi, la
capacità dell’uomo di capire la necessità di questa “resa”, le condizioni che sono necessarie
per questo, cià che è necessario per questo”
Registrazione realizzata senza alcun programma preordinato, semplicemente registrando, senza
scrivere la musica da suonare, senza regole nella sequenza delle sovraincisioni, nell’arrangiamento
dei brani.
Forte componente esistenziale e al contempo antropologica. “Sto cercando di risalire alle sorgenti
della musica – la voce, un flauto un tamburo – i suoni primari. Registro da solo. Sono la sola
persona in grado di suonare quello che voglio sentire e che sa quando devo tacere ”. Esperienza
cruciale, irripetibile e liberatoria oltre che terapeutica (cfr. The Melody At Night, With You). Jarrett
suona tutti gli strumenti (flauti di vario tipo ed etnici, strumenti a percussione, chitarra, sax,
pianoforte, voce); massima distanza dal jazz come dalla musica eurocolta. Il “suono essenziale”,
primordiale: le percussioni, la voce, il flauto e il suono dell’ancia di canna del sax soprano.
Unica guida, l’intuizione: viaggio alla riscoperta delle fonti originarie della musica, con riferimenti
più o meno cercati o consapevoli alla musica etnica di ogni continente.
Registrazione in casa, con due registratori e due microfoni.
Impressione di una moltitudine di stili e di riferimenti (in particolare di musica etnica), ma secondo
Jarrett nessuna intenzione di realizzare una sorta di world music. I pezzi hanno le dimensioni,
collettive e sacrali. proprie della musica etnica: inno, rito, danza, estasi. Si tratta di musica che ha
una connotazione antropologica molto forte. Il che se si vuole è paradossale dato che Jarrett suona
da solo, utilizzando la sovraincisione: alla connotazione antropologica si somma e s’intreccia alla
qualità individuale, perfino solipsistica, appunto esistenziale di questa musica. Forse invece il
paradosso è solo apparente, perché l’espressione individuale di questa musica aspira ad acquisire
una dimensione sociale.
Le forme dei brani sono minimali e comunque, in ultima analisi, inessenziali: ciò che conta è il
gesto performativo che prende corpo in microstrutture melodiche e ritmiche, grooves.
Composizione per sovrapposizione di strati successivi
Lavoro sugli archetipi che si possono poi ritrovare nella musica di Jarrett: inno, danza, musica
incantatoria, song.
Elenco degli strumenti:
- voce
- flauti etnici (Pakistan, Vermont), set completo di flauti diritti, sax soprano
- piano
- chitarra, saz [liuto turco]

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- percussioni: 3 set di tablas [tamburi indiani con unica pelle, cassa di legno o terracotta], shakers
del Sud America, glockenspiel in miniatura, tamburino piccolo, doppio campanaccio (Africa).

2 [1:37]
Flauti, pianoforte. Inno, con frasi ben articolate.
01:04 Ripresa

4 [5:56]
Flauto, chitarra, glockenspiel (uno strumento giocattolo). Idillio, timbro determinante come
individuazione di un immaginario pastorale e idillico. Andamento metrico libero, flessibile, che si
sottrae all’articolazione in battute. Eterofonia, tipico procedimento della musica etnica. Versione
orginale (flauto o chitarra?) e varianti degli altri strumenti.

5 [4:10]
Flauto, percussioni (tablas, shakers). Danza, riferimento al metro di 3/4.
00:00 Inizio
00:53 Ripresa variata
01:45 Ripresa variata
03:02 Sole percussioni, flauto a sfumare

11 [2:36]
Flauti, piano. Musica incantatoria. Riduzione ai minimi termini del materiale e dei gesti strumentali;
tutto nasce dalla risonanza delle note gravi e dei rintocchi, quasi campane, del pianoforte (musica
circolare, e spiraliforme, che ruota su se stessa). Si gira sempre intorno alla triade e alla scala di
DO: musica rilassata, molto consonante, aproblematica. È certo per brani come questo che si è
alimentato l’equivoco di Jarrett come autore di musica New Age. Eppure questo piccolo brano
riesce in poco più di 2’ a concentrare un processo di riappropriazione di senso di figure e gesti
minimali, utilizzando pochi accordi essenziali, poche figure melodiche e ritmiche: dai rintocchi
iniziali, ripetitivi e come bloccati su se stessi, la musica dà l’impressione di un’incredibile apertura
ed espansione con il semplice utilizzo dell’accordo di SD.

00:00 Sezione iniziale tutta su pedale di T


01:18 Espansione melodica, grande senso di apertura quando si toccano accordi di IV alternati con
moto pendolare ad accordi di I e si profila una sorta di cadenza primordiale I-II-III-IV che porta
alla…
01:53 … Ripresa della sezione iniziale

12 [4:47]
Flauto sopranino, percussioni (tablas, shakers). Accento etnico molto forte, di atmosfera orientale e
arabeggiante: libere evoluzioni del flautino e vocalizzazioni sul groove delle percussioni
04:03 Cambio di groove

15 (CD 2, track 3) [2:26] - Trascrizione


Flauti, piano. Inno + musica etnica (musica degli Amerindi). Melodia, scala pentafonica: re-mi-fa-
sol-la-do. Armonie diatoniche. Tema ostinato del pianoforte di 8 battute (||:4 :||: 4 :||) con variazioni
dei flauti, eterofonia.
00:00 Intro
00:07 Tema
00:34 Ripresa
01:19 Ripresa

10
17 (CD 2, track 5) [2:57]
Polifonia vocale, sax soprano. Polifonia a più strati vocali che ricorda il canto dei monaci tibetani
come tappeto per la libera improvvisazione del sax.

23 (CD 2, track 11) [4:04]


Sax, piano, percussioni, voce. Song in fa maggiore, 3/4, recupero di un miminale procedimento
jazzistico. Struttura articolata: da tranquilla ballad a un andamento più mosso con l’entrata delle
percussioni nel corso del terzo chorus. Intro (8) – Tema 8 + 8, poi serie di chorus.

00:00 Intro piano


00:18 Tema, Chorus 0, sax
00:54 Chorus 1
01:28 Chorus 2
02:00 Chorus 3 02:03 Entrano gli shakers, piano
02:22 Shakers forte

02:30 Chorus 4
03:00 Chorus 5
03:30 Vamp conclusivo

* Tokyo ’96
Tokyo, 30 marzo 1996
Impiego del DVD e del CD per fare apprezzare la dimensione audiovisiva rispetto alla sola
dimensione audio. Poco prima della sindrome da affaticamento cronico.
(Cd, ECM 1666 539 955-2, 1998)
(Live in Japan 93/96, Dvd, ECM 177 2710): rispetto al cd il dvd contiene due brani in più: All The
Things You Are e Tonk.

It Could Happen To You [11:20]

Never Let Me Go [6:28]

Billie’s Bounce [7:52]

Summer Night [7:25]

I’ll Remember April [10:10]


Reinvenzione di uno standard celeberrimo conseguita anche grazie all’introduzione di motivi
tematici originali, che sul piano complessivo segnano una forte impronta ritmica ma anche melodica
e indirizzano l’interpretazione in senso gospel e caraibico.
Intro costituita da un lungo assolo di DeJohnette, poi entrano il piano con figure tematiche
percussive (materiale originale) che alludono un po’ al gospel e un po’ a ritmi caraibici (38:38) e il
basso e di qui sino al tema (38:55); le figure tematiche percussive ricompaiono (39:26) come stacco.
Ripresa del tema (39:41) e inizio di una serie di chorus, dove sono utilizzate anche le figure
tematiche percussive in intreccio con il materiale dello standard. Ripresa del tema (42:13), ma
ritorno anche dei motivi originali percussivi (42:57) da cui trae origine la coda, sempre più
connotata da una vena gospel e innodica, con l’armonia che si semplifica in senso diatonico, ma sul

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complesso e articolato pulsare caraibico di b e d. Poi nella coda resta solo DeJohnette (44:53),
Jarrett e Peacock si limitano a tocchi leggeri (Peacock armonici), e conclude in diminuendo e in
dissolvenza, chiudendo il cerchio formale del pezzo. Straordinario.

Fine primo set.

Mona Lisa [4:50]

Autumn Leaves [7:45]


Tema, poi inizio dei chorus (53:50) con impro virtuosistica, inventiva e di inarrestabile eloquenza: b
e d macchina perfetta che sostiene lo scatenarsi del piano. Assolo del b (58:06), poi chorus di
gruppo con break ripetuti di d (58:49). A un certo punto (59:44-59:50), si gioca con le aspettative
generate dal ritorno conclusivo del tema: la musica resta sospesa e sembra perdersi in un’incertezza
collettiva, ma si tratta soltanto di uno scherzo, perché la ripresa conclusiva del tema è soltanto
differita ad arte (59:51). E lo scherzo si ripercuote sull’epilogo: il tema di fatto non conclude,
prende un giro strano e imprevedibile e di fatto il pezzo s’interrompe d’improvviso come un
frammento.

Last Night When We Were Young - Caribbean Sky [9:36]


La ballad di Arlen risolta quasi in ritmo di bossa nova con appendice originale pop-etnico dal
sapore caraibico. Dopo il tema, ecco i chorus (1:02:18); chorus del b (1:04:58), poi ripresa
conclusiva del tema (1:05:51). Caribbean Sky (1:06:42) s’innesta fuidamente sulla conclusione del
tema, ma il cambio di orizzonte e prospettiva è, si direbbe, radicale. Da notare, oltre al semplificarsi
delle armonie tradiche (si tratta di un modulo su cui si potrebbe continuare a improvvisare
all’infinito) il cambio di ritmo al d e al b e l’incantatorio passo di danza caraibico che prende piede
sull’elegante ballad con magnifico effetto di magica diversità-continuità. Epilogo in diminuendo e
in dissolvenza (solo d).

John’s Abbey [5:37]

My Funny Valentine - Song [6:59]


Altra ballad, risolta con splendida, trasognata vena romantica e coronata da una coda intensamente
lirica. Il tono è prossimo alla musica pop, ma estrema finezza e sottigliezza della costruzione
formale in cui Jarrett intreccia motivi originali allo standard. Capolavoro.
Intro del p con motivi tematici originali, poi tema all’inizio del p solo (1:18:25) cui s’aggiungono
con discrezione b e d (bacchette di feltro).
I motivi tematici originali ritornano (1:18:49) per portare al chorus del p (1:18:17).
Chorus del b (1:20:35), in cui ricompaiono i motivi tematici originali (1:21:20)
Chorus del p (1:21:54) che svela in modo palese le affinità tra il materiale tematico originale e
quello dello standard, che poi trascolora nel→
Song (1:23:13), armonie triadiche e diatoniche che configurano una semplice struttura cadenzale,
inno di disarmante dolcezza, poi
Reminescenza conclusiva, quasi un riaffiorare alla memoria di My Funny Valentine (1:24:30).

All The Things You Are [5:22]


Fine secondo set.

Tonk [6:54]
Brano bluesy del pianista Ray Bryant. Lungo tema, chorus p (13:33:52), chorus b (1:36:44), ripresa
del tema (1:38:05).

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* The Melody At Night, With You
1999 (1675 547 949-2, 1999)
Diario della malattia e della guarigione, dedicato alla seconda moglie Rose Anne. Dieci standard –
di cui due pezzi tradizionali – e una semplice appendice di propria composizione Meditation a
seguito di Blame It On My Youth dai titoli significativamente evocativi di una grande intensità
affettiva (amore, cura, richiesta di perdono ecc.) per una nuova rinascita alla musica e alla vita,
partendo dal grado zero della melodia e della (relativa) semplicità.
Diario intimo, fortemente autobiografico e terapeutico (per questo, e per la dedica alla moglie di
recente Jarrett ha parlato recentemente dell’album con un certo distacco, per non dire disprezzo, a
differenza di Spirits) Niente virtuosismo, nessuna sperimentazione, nessuna ambizione in un certo
senso, ma soltanto grande umiltà di approccio e ritorno alla radici della musica, alle origini del
proprio sentire e delle proprie capacità, a lungo provate dalla malattia. Ricerca dell’essenza delle
cose, un po’ com’era accaduto con Spirits, e ricerca di se stesso, della propria identità perduta, del
proprio modo di pensare e fare musica.

Someone To Watch Over Me [ 4:59] Trascrizione


Tema AABA, impressione di un incantamento spiraliforme per il continuo ritorno del periodo
principale, ogni volta variato dal punto di vista armonico (accordi sostitutivi) e melodico.

00:00 AABA
02:09 AABA, dove B (03:11) in tempo molto libero e A conclusivo (03:38) in tempo
04:07 Coda

Shenandoah [5:46] Trascrizione


Brano tradizionale popolare, celeberrimo (anche Bruce Springsteen, su YouTube). La valle del
fiume Shenandoah è in Virginia, il termine deriva dalla lingua dei nativi americani (“bella figlia
delle stelle”). Tema: A (10) + B (6). Jarrett organizza una struttura strofica in cui la sezione B viene
ogni volta modificata nella sua durata; elaborazione che conferisce alla melodia un andamento
innodico e quasi sacrale, con un’armonizzazione pronunciatamente modale. La tecnica pianistica è
quasi di tipo ottocentesco (ottave) e il canto cresce a poco a poco in un climax all’inizio della terza
strofa prima dell’epilogo sommesso (anche questo rimanda alla musica dell’Ottocento).

00:00 A (10) A(10) B (5 per elisione)


02:12 A (10) B (8 per estensione)
03:41 A (10) B (6)
05:06 Coda

* The Carnegie Hall Concert


26 settembre 2005 (2 cd ECM 1989/90 985 6224, 2006)

Part VI [6:27]
Improvvisazione free, informale e atonale, colata incandescente di scatti, impennate, scarti, pause.
Ma nondimeno struttura chiaramente intelligibile, con interludi in cui si delineano spunti melodici
che sono poi elaborati.
00:00 Inizio
03:00 Interludio 1. Sequenza cromatica discendente.
03:33 Elaborazione della sequenza discendente in un contrappunto
04:04 Ritorno al cima iniziale

13
04:19 Interludio 2. Motivo cromatico discendente
4:54 Sezione cantabile
5:16 Ritorno al clima iniziale

Part VII [7:31]


Gospel, variazioni su ostinato. Struttura semplice e complessa a un tempo, basata su moduli di 16
(8+8 battute) corrispondenti a circa 25’’ (dopo il primo di 34’’) a loro volta articolati internamente
in due unità tendenzialmente simmetriche. Modulo basato su un giro d’accordi (funzioni)
fondamentali I, IV, I, IV, V.

00:00 I
00:20

00:34 II
00:47

01:00 III
01:14

01:27 IV
01:40

01:53 V
02:07

02:20 VI
02:33

02:46 VII
02:59

03:13 VIII
03:26

03:39 IX
03:53

04:05 X
04:18

04:31 XI
04:45

04:57 XII
05:10

05:22 XIII
05:35

05:50 XIV

14
06:13 → vamp

07:07 epilogo

Part VIII [4:43]


Notturno-ballad, arte della miniatura. Forma a ondate successive, ma continuità del registro lirico.
Tratto unificante: successioni di note discendenti, armonie allusive ed elusive, strutture cadenzali.

00:00 A, sezione iniziale


00:44 A’, ripresa variata
01:18 B, nuova sezione e prosecuzione
01:54 C, espansione
03:08 D, culmine lirico
03:47 E, epilogo

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MODULO C

* Bridge of Light
(1993, ECM 1450 445 350-2, 1994)

Jarrett: “In realtà, tutti questi pezzi sono nati dal desiderio di glorificare e contemplare piuttosto che
da quello di ‘fare’ o ‘mostrare’ o ‘dimostrare’ qualcosa di unico. Essi sono, in un certo modo,
preghiere che la bellezza possa rimanere percepibile a dispetto di mode, intelletto, analisi,
progresso, tecnologia, distrazioni, ‘argomenti scottanti’ del giorno, inattualità del credo o della fede,
programmazione di concerti e innaturale ‘scena’ dell’‘arte’, mercato, stili di vita ecc. ecc. ecc. Non
sto tentando di essere ‘intelligente’ in questi pezzi (o in queste note). Non sto tentando di essere un
compositore. Sto cercando di rivelare uno stato che penso sia smarrito nel modo d’oggi (tranne che,
forse, nel privato): un certo stato di resa; resa nei confronti di un’armonia dell’universo in pieno
sviluppo che esiste con o senza di noi. Entriamoci”.
Linguaggio compositivo che ricorda quello di compositori come Samuel Barber e David Diamond e
al clima neoclassico della musica americana dell’East Coast. Linguaggio riferito a un campo tonale
(tonalità allargata), armonie diatoniche.

Elegy for Violin and String Orchestra [14:50]


Michelle Makarski, The Fairfield Orchestra, dir. Thomas Crawford
1984. Dedica alla nonna materna, di origine ungherese.

Prima parte (bb. 1-141).


Tema. Alternanza do/DO, varietà metrica.

Parte centrale (bb. 142-244)


Tema secondario, pensive singing. Cadenza e Cadenza II.

Ripresa abbreviata della prima parte (bb. 245-280)

Bridge of Light for Viola and Orchestra [17:01]


Patricia McCarty, The Fairfield Orchestra, dir. Thomas Crawford
1990. Commissionato da Patricia McCarty. Prima esecuzione: 23 febbraio 1991, Norwalk (Conn.),
Patricia McCarty, Fairfield Orchestra, dir. Thomas Crawford.
Organico: flauto, oboe, corno, tromba, archi.
Epigrafe: “The Seed of Sorrow in Joy / The Seed of Joy in Sorrow”
Jarrett: “La viola ha un grande cuore e merita maggiori occasioni di manifestarlo. Il pezzo è una
sorta di inno multi-culturale e per inciso dimostra il mio amore per tromba e archi”.
L’indicazione di tempo è: Regal, hymnlike. Inno di ampie dimensioni, continuo, con arcate che si
innestano l’una sull’altra.

Prima parte (bb. 1-292)


Tema
Seconda parte (bb. 293-470)
Tema secondario, Cadenza, Tema secondario
Ripresa abbreviata della prima parte (471-539)

* Arvo Pärt, Tabula Rasa


(1983, ECM 1275 817 764-2, 1984)

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Fratres [11:24]
Arvo Pärt (1935-), dagli esordi con la dodecafonia e la tecnica del collage al minimalismo.
Riduzione al minimo dei materiali compositivi, massima semplicità e accessibilità associata a ideali
religiosi o spirituali. Dal 1976, “tintinnabulazione” (da “tinnabulae”, campane), stile influenzato
dalle esperienze mistiche con il canto religioso ortodosso e con la ricerca di una massima
essenzialità: “Tintinnabulazione è un luogo in cui talvolta mi aggiro quando sono in cerca di una
soluzione – nella mia vita, nella mia musica, nel mio lavoro. Nelle ore difficili ho la certezza che
tutto ciò che sta al di fuori di una certa cosa non ha alcun significato. Ciò che è molteplice e
sfaccettato mi confonde soltanto e debbo cercare l’unità. Che cos’è questa unità e come posso
trovare l’accesso a essa? Si danno molte manifestazioni di perfezione: tutto ciò che non è
importante cade. Lo stile Tintinnabuli è qualcosa di simile. Lì sono solo col silenzio. Ho scoperto
che è sufficiente se un singolo suono è suonato bene. Questo singolo suono, una pausa o il silenzio
mi confortano. Lavoro con pochi elementi, con una voce, con due voci. Costruisco con i materiali
più primitivi, con una triade, con una specifica tonalità. Le tre note di un accordo sono come
campane. Così ho chiamato questo tintinnabulazione”.
Frequente riduzione dell’ordito a due parti: una funge da accompagnamento, ripetendo o
arpeggiando le note di un accordo tonale o modale – è la “tintinnabulazione” –, l’altra è la melodia
che costituisce la parte principale e si muove diatonicamente per gradi congiunti. Il tempo è lento e
meditativo e comporta un approccio minimalista alla notazione e all’esecuzione.

Fratres per ensemble da camera (1977) ha poi generato diverse versioni per vari organici. Versione
per violino e pianoforte del 1980 (Salisburgo, 17 agosto 1980), per Gidon ed Elena Kremer: tema
con variazioni. Il tema ritorna 9 volte, secondo una catena di terze discendenti. Il ritorno periodico
del tema di 6 battute viene interpolato da sezioni con accordi percussivi. Ruolo melodico del
violino, il pianoforte ha una parte accordale.

Preludio (vl solo)


Mi 1 [Tema] note legate tenute (mi-la)
Do 2 armonici
La 3 arpeggi
Fa 4 figure di accordo spezzato
Re 5 controcanto espressivo
SIb 6 doppie corde, drammaticità
Sol 7 doppie corde, controcanto espressivo
Mi 8 arpeggi, quasi improvvisazione
Do# 9 armonici

* Lou Harrison, Works by Lou Harrison


(1986, New World Records 366-2, 1988)

A ripercorrere l’esperienza biografica e artistica di Lou Harrison (1917-2003) s’incontra un


protagonista del Novecento musicale americano. Della sua importanza sono già indicativi gli studi
con Henry Cowell e Arnold Schoenberg, gli stretti rapporti con Charles Ives, la lunga e fruttuosa
amicizia con John Cage; ma Harrison non fu soltanto compositore e critico musicale, bensì un
artista poliedrico (pittore, calligrafo, poeta), un intellettuale sensibile ai problemi politici e sociali e
impegnato in prima persona nelle lotte per i diritti civili, l’ecologia e il pacifismo. Ciò che più
caratterizza la vasta e variegata produzione musicale di Harrison sono: l’integrazione di elementi
delle culture orientali o comunque non occidentali; la sperimentazione con sistemi di intonazione
diversi da quello del temperamento equabile e con i microintervalli; la ricerca timbrica, specie
nell’ambito degli strumenti a percussione. Per quanto riguarda lo stile, contraddistingue la sua

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musica un personale eclettismo che percorre con libertà trasversale il tempo e lo spazio nel segno di
un atteggiamento prevalentemente eufonico e lirico, improntato, nelle opere delle maturità, a un
linguaggio sostanzialmente modale. Una parte cospicua delle composizioni di Harrison è per
esempio destinata a vari tipi di gamelan (il complesso di strumenti a percussione tipico di Giava e
Bali) oppure a organici che uniscono strumenti occidentali, asiatici e africani. Altre composizioni
sono invece scritte per organici che comprendono strumenti inventati dallo stesso Harrison, come
l’american gamelan costruito nel 1971 in collaborazione con l’amico William Colvig mettendo
insieme oggetti e materiali metallici facilmente reperibili (tubi, lastre, bombole e così via).
L’interesse per l’alterità è vissuta da Harrison come apertura necessaria e vitale dell’artista nei
confronti del mondo che lo circonda, e il suo spirito multiculturale lo induce a incrociare e integrare
organici, generi, forme, tecniche compositive e di scrittura delle più diverse tradizioni.

Piano Concerto [32:04]

1. Allegro [11:40]
2. Stampede [9:37]
3. Largo [8:34]
4. Allegro moderato [2:53]

Keith Jarrett, New Japan Philharmonic, dir. Naoto Otomo - Tokyo, 30 gennaio 1986

Il Concerto per pianoforte (1983-85) è un lavoro di ampio formato che in qualche modo costituisce
una sintesi del pensiero compositivo di Harrison. Scritto per Keith Jarrett, il concerto richiede un
pianoforte accordato secondo un temperamento non equabile, il Kirnberger n°2, 1771: le
prerogative del sistema sono le tre terze pure, non ampliate come nel sistema temperato, do-mi, sol-
si, re-fa diesis, e le dieci quinte perfette; così come le tre terze pitagoriche, super-ampie, si-mi
bemolle, fa diesis-si bemolle, do diesis-fa, e le due strette quinte, mezze quinte “del lupo”, re-la, la-
mi): insomma, i tasti neri sono intonati per produrre gli intervalli di quarta e di quinta secondo le
esatte proporzioni matematiche del periodo medioevale, mentre i tasti bianchi sono intonati per
produrre la “giusta intonazione” del periodo rinascimentale e barocco. Di conseguenza, l’orchestra
seleziona gli strumenti in grado di adeguarsi a tale sistema: niente legni e ottoni a pistoni dunque,
ma tre tromboni a coulisse, due arpe, nutrita sezioni di percussioni e archi. Ogni sezione orchestrale,
inoltre, è intonata facendo riferimento ai diversi aspetti del sistema. Rispetto all’intonazione
tradizionale, l’esito sonoro genera un’iridescente e fascinosa oscillazione intervallare che non dà
mai l’impressione di una musica, per così dire, stonata.
Il concerto è in quattro movimenti. Il primo, un Allegro di largo respiro, sembra a tratti richiamarsi
a un’eloquenza sinfonica brahmsiana, intrecciata a echi di Copland e della musica popolare
americana, con estesi passaggi lirici per il solista che evocano la risonanza di campane orientali.
Il titolo del secondo movimento, Stampede, è un gioco di parole con estampie, composizione
medievale ispirata alla danza (stampede è la corsa disordinata e precipitosa di un gruppo di animali
nonché una specie di rodeo). Dal modello dell’estampie Harrison trae la forma, costituita da più
sezioni ognuna delle quali viene ripetuta concludendosi la seconda volta in modo diverso dalla
prima, ma in effetti il movimento delinea una corsa a perdifiato, dal ritmo percussivo e
accentuatamente irregolare, inframmezzata, verso la conclusione, da una cadenza.
Il Largo seguente è un’onirica e rarefatta divagazione condotta dal pianoforte sullo sfondo delle
distese volute melodiche degli archi mentre il breve finale, Allegro moderato, s’ispira al gamelan ed
è animato dal gioco aereo dei rintocchi e delle ripetizioni di una melodia incessante come quella di
un carillon.

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* Dmitri Šostakovic, 24 Preludes and Fugues op. 87
Luglio 1991 (2 cd ECM New Series 1469/70 437 189-2, 1992)
Composizione: 1950-1951. Omaggio al Clavicembalo ben temperato, con alcune divergenze (1)
ordine secondo il circolo delle quinte; 2) non-autonomia formale dei preludi, introduzioni alle fughe
che talvolta anticipano il materiale poi sviluppato nelle fughe; 3) senso di continuità drammatica
che percorre il ciclo dall’inizio alla fine: culmine rappresentato dalla grande Fuga in re minore).

Preludio e Fuga n° 1 in do maggiore [8:11]


Preludio: tempo di Sarabanda, armonizzazione a cinque parti, eufonia
Fuga: senza un solo accidente, modo ionio e modalità fluttuante, ambiguità tra tonalità e modalità

Preludio e Fuga n° 2 in la minore [2:10]


Preludio: moto perpetuo in ottave all’unisono
Fuga: effetto ironico di costante instabilità e ambiguità tonale

* Johann Sebastian Bach, The French Suites


Settembre 1991 (2 cd ECM New Series 1513/14 437 955-2, 1993)
Le Suite francesi BWV 812-817 al clavicembalo. Databili al periodo di Köthen (1717-23), devono
forse l’appellativo all’integrazione, nello schema più frequente della suite, di tempi di danza
francesi o forse all’influsso dei contemporanei compositori francesi per cembalo.

Suite n° 5 BWV 816 in sol maggiore


Allemande [3:52]
Courante [2:03]
Sarabande [4 :40]
Gavotte [1 :25]
Bourrée [1 :37]
Loure [2 :13]
Gigue [3:52]

* Georg Friedrich Händel, Suites for Keyboard


Settembre 1993 (ECM New Series 1530 445 298-2, 1995)
Intenzione di suonare anche la musica meno conosciuta di Händel, della quale Jarrett apprezza
anzitutto “la temperatura lirica e la ricchezza testurale nascosta nella semplicità” e fiducia nelle
possibilità del pianoforte per esprimere queste e altre qualità della musica di Händel. In effetti la
registrazione include alcune delle suites meno frequentate del compositore, in cui tra l’altro non vi
sono i celebri movimenti con variazioni. Accento sulla qualità affettiva e affettuosa, cantabile della
musica.

Suites II / n° 7 HWV 440 in si bemolle maggiore


Forma originale, 1704-1705 ; ed. a stampa 1733.

Allemande [2:00]
Courante [2:05]
Sarabande [2:38]
Gigue [1:22]

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Suites I/ n° 8 HWV 443 in fa minore
Ed. a stampa 1720.
Prélude- Fuga [5:03]
Allemande [2:54]
Courante [2:39]
Gigue [2:09]

* Wolfgang Amadeus Mozart, Piano Concertos K. 271, 453, 466 / Adagio and Fugue K. 546
1996 (2 cd ECM New Series 1624/25 462 651-2, 1999)
Stuttgarter Kammerorchester, dir. Dennis Russel Davies

Concerto per pianoforte KV 271 «Jenamy»


Salisburgo, aprile o autunno? 1777. Capolavoro nel campo del concerto del giovane Mozart, che
fissa le coordinate per tutti i concerti a venire. Da «Jeunhomme» a «Jenamy» (2005): Louise-
Victoire Noverre, figlia del coreografo Jean-Georges (incontrato dai Mozart a Vienna nel 1773),
che aveva sposato il commerciante Joseph Jenamy.
1) Rapporto Solo / Tutti: libera relazione di dialogo e di interazione, in funzione strutturale, che
va oltre la distinzione tra ritornelli ed episodi.
2) Sperimentazione formale ed espressiva, imprevedibilità + dimensione drammaturgica e
narrativa impressa alla struttura musicale e al suo svolgimento.

Concerto di notevole impegno virtuosistico. Ruolo di nuova importanza dei fiati. Esistenza di
diverse cadenze originali di Mozart (differenza tra quelle più antiche e quelle composte quando
Mozart eseguì il concerto a Vienna, nel 1784: dalla fioritura ornamentale a un vero e proprio nuovo
svolgimento del materiale tematico). Grande freschezza e senso di sperimentazione come i concerti
per violino del 1775 ma in un formato più ampio e con maggiore varietà espressiva.

1. Allegro
2. Andantino
3. Rondeau. Presto.

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