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MODULO B
Dopo il successo di Bitches Brew (1969), con 500.000 copie vendute e l’album di maggior successo
commerciale della storia del jazz (ma si trattava poi in effetti di jazz?) ecco la partecipazione al
grande concerto rock e pop dell’isola di Wight. Davanti a 600.000 persone. Eccitazione elettrica.
Miles leader nel senso che detta il groove, i tempi, le svolte di un discorso improvvisativo molto
fluido e libero in cui tutti sono protagonisti (ma le tastiere suonano sempre con un contributo
ritmico). Beat, impulso rock al di sopra del quale si sviluppa l’improvvisazione (quasi free):
caleidoscopio di colori e atmosfere con enfasi posta su ritmo e melodia. Interplay basato
sull’ascolto e sull’attenzione dell’ascolto degli altri che si trasforma in suono (intuizione,
anticipazione, sollecitazione, imitazione e ripresa di gesti, motivi, figure eccetera), cooperazione
improvvisativa guidata ma non controllata da Miles che non voleva che i musicisti della band
sapessero prima o pensassero a ciò che avrebbero suonato dopo. Inoltre, comunicazione verbale tra
Miles e i musicisti ridotta al minimo, spesso a brevi indicazioni allusive. Comunque, a ogni
intervento, a ogni entrata di Miles succede qualcosa. L’impressione è che i musicisti della band,
tutti di formazione e provenienza jazzistica, partecipino affascinati ma anche un poco spaesati
all’impresa a causa di Miles e del suo carisma: musicisti jazz che, sperimentando e mettendosi alla
prova ma anche snaturandosi, suonano rock o funky (emblematico ed estremo il caso di Jarrett, che
detestava già da allora gli strumenti elettrici e suonò l’organo elettrico soltanto per compiacere
Miles).
Finale simbolico: Miles lascia il palco prima della fine del pezzo lasciando alla band il compito di
chiedere, a quel punto la musica va avanti ancora per un po’, ma non si sa dove e la conclusione
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resta sospesa. Il pezzo finisce perché Miles se n’è andato e la sua musica è già da qualche altra
parte.
Importanza dell’esperienza per Jarrett: continua tensione innovativa di Miles, libertà
nell’organizzazione di grandi arcate musicali sulla base del timing. Il timing costituisce qui infatti il
principio primo organizzatore del set e degli eventi sonori che lo sostanziano: alternanza di grooves
e sezioni ritmicamente libere, assoli “entrate” e “uscite” degli strumenti
* Four Tenors
Charles Lloyd Quartet
Charles Lloyd (ts), Keith Jarrett (p, d, ss), Ron McClure (b), Jack De Johnette (d) – 1968 (DVD
idem 779-2002) Puntata di una serie di trasmissioni televisive.
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Pezzo quasi di fusion, con ritmi latini e accattivante melodia country-pop del tema. Jarrett suona
anche le congas.
00:00 Intro, rullo di piatti (d), accompagnamento del tema (p) - 8 battute
00:22 Tema, song: ABAB dove A = 8, B = 4
01:09 Due chorus
02:45 Ripresa del tema A B + Coda a sfumare
00:00 Intro
00:13 Song
* Facing You
Oslo, novembre 1971 (ECM 1017 827 132-2, 1972)
00:00 A tema sghembo, varietà metrica, accentuazioni irregolari quasi cubiste nel gioco tra le mani
00:30 B sviluppo melodico, echi country o pop
00:51 A
01:01 C vamp ritmico, funky → impro
01:37 A …
01:47 … e impro
02:31 A
02:41 C → impro estesa sul vamp: momento centrale dal punto di vista propriamente impro (poco
meno di 4’), a 03:40 si afferma un accompagnamento ostinato boogie, con echi del pianismo stride
06:11 D episodio melodico
07:01 ripresa del grove fondamentale → impro
07:44 E attenuazione della pulsazione e nuovo episodio melodico, quasi valzer
08:43 A in tempo molto più lento, in addolcita versione melodica (ballad) ed epilogo
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00:00 Tema: A di 16 bb.
00:59 Tema: A’ di 16 bb.
01:57 Tema: B di 4 bb. quasi ritornello (chitarra) se non fosse che non ricompare più e ritransizione
da A
02:18 A var, dopo 9 bb. si rompe la regolare scansione metrica
03:10 A var, dopo 4 bb. si rompe la regolare scansione metrica
03:46 A var, regolare scansione metrica
04:44 impro inizialmente chorus, poi libera che sospende il grove iniziale: momento centrale dal
punto di vista propriamente impro
06:12 A var → impro
07:15 A var, tempo più lento e libertà metrica
07:59 epilogo
La data di un mito, 24 gennaio 1975 (2 cd ECM 1064/65 810 067-2, 1975). La storia del concerto e
della registrazione: Carr, pp. 90-93. Le condizioni psicofisiche di Jarrett, la modestia dello
strumento e la necessità di restare entro i limiti ristretti di uno strumento mediocre. Rapporto
difficile di Jarrett con questa registrazione che pure gli ha dato celebrità planetaria (e ricchezza).
Il concerto è diviso in due parti: la prima (I) coincide con un’arcata unica (26:02); la seconda è
articolata in due pannelli (IIa e IIb) ed è leggermente più lunga rispetto alla prima (14:54 + 18:13).
Alla seconda parte segue un’appendice come bis (IIc) (6:59). In totale 66:10.
Grandi arcate, grande forma basata sulla successione di pannelli, connotati in relazione alla
configurazione e alla tessitura compositiva che coincidono con delle idee o in cui accadono degli
‘eventi’ (propriamente tematici, armonici, timbrici). Processo improvvisativo sottratto ai vincoli
armonici, melodici e ritmici di un materiale pre-composto (dunque molto diverso rispetto a quello
basato su forme modulari di 12/32 battute) e che ha dunque la possibilità di svolgersi liberamente
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(decisiva al riguardo l’esperienza del free) proponendo, modificando, aggregando, estendendo o
sviluppando in vario modo le idee.
Ancoraggio ad aree tonali o modali (nell’ordine delle grandi arcate oppure delle sezioni più brevi), e
linguaggio tendenzialmente consonante e diatonico che – a differenza di altri concerti di piano solo
di Jarrett – costituisce una delle cifre distintive del Concerto e ne ha contribuito al successo, insieme
con gli aspetti mutiformi tipici del pianismo di Jarrett: qui moduli di ostinato, che possono essere
anche la risultante della stratificazione orizzontale di molteplici figure ritmiche (3 diverse oltre alla
linea melodica per esempio in Groove 4 della Parte I), come fondamento per l’improvvisazione e di
cadenze plagali che mettono in luce i rapporti con il jazz-rock; filatura di lunghe e fluide linee
melodiche in valori ritmici molto fitti alla mano destra su lunghe note tenute, corde di recita della
mano sinistra; strutture melodiche e armoniche improntate all’innodia protestante; tratti della
canzone popular e della musica country & western. Si tratta, d’altra parte, delle stesse cifre che
hanno fatto sì che esso fosse criticato aspramente, anche e forse soprattutto dal versante jazzistico
della critica, come manifestazione di una musica neo-romantica, new age, segnata dalla
contaminazione e dal compromesso.
Diversificazione formale delle parti del concerto: la Parte I alterna sezioni Groove e sezioni Rubato;
le Parti IIa e la IIb si fondano sulla successione di ampi blocchi di Groove e di sezioni dalla
condotta ritmica più libera; la Parte IIc ha la struttura di song.
Trascrizione originale, Schott, 1991. Leggere la prefazione di Jarrett. L’improvvisazione, il formato
permanente (registrazione), e la trascrizione (che è soltanto una “rappresentazione” della musica,
anche se talora incredibilmente prossima alla musica stessa). I limiti notazionali e grafici della
trascrizione in rapporto all’improvvisazione e alla sua natura (i problemi dell’impossibilità di
rendere il reale senso ritmico di certi passaggi, della resa del “going on” dell’improvvisazione, i
problemi dati dalla necessità di scegliere, nel momento di trascrivere, se le note sono dedotte dal
loro senso ritmico, dagli armonici oppure dall’attacco della nota o delle note immediatamente
precedenti). La trascrizione è come “un’immagine di un’improvvisazione (un po’ come la stampa di
un dipinto”, in cui non si può vedere la profondità ma soltanto la superficie: per
un’improvvisazione, “l’ascolto è ciò che determina la forza della musica” e così il riferimento
ultimo deve essere dato dalla registrazione.
Part I [26:02]
Predominano sezioni di circa 1’ o 4’, due archetipi di timing. La relazione tra timing e intensità è
data dalla simmetria: le sezioni più lunghe sono anche le più estese. Alternanza tra sezioni con
texture groove e rubato, con equilibrio tra tensione e rilassamento.
¬ ¬ ¬ ¬
Proporzioni: 1-2 - 3-4 - 5-6-7 - 8- 9-10
¬ ¬
Particolare enfasi attribuita alla metà del percorso: dopo 13’ ca., abbandono del centro tonale della
prima metà (la minore/sol maggiore) con armonie cromatiche; quindi riaffermazione di la (la
maggiore) come centro tonale a 20:06.
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09:40 Groove 3 (cfr. Groove 2) SOL (o la dorico) tema (cfr. Groove 2)
12:51 tema
14:10 Rubato 3
15:06 Slow Rubato
20:06 Arpeggi LA
21:10 Groove 4, Finale LA
A ogni apparizione il tema è però leggermente ritoccato nelle minute inflessioni e variazioni
ritmico-melodiche (per esempio, nell’enunciazione iniziale T1 c’è una misura di 5/4).
00:00 T 1
00:36 T 2
01:13 Chorus impro
01:50 Chorus impro
02:27 Ripresa T 3 (ab…
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02:52 Rubato … c)
03:17 Lento T4 (abc, dissolvenza)
* My Song
Keith Jarrett (p, perc), Jan Garbarek (ts, ss), Palle Danielsson (b), Jon Christensen (d)
Oslo, novembre 1977 (ECM 1115 821 406-2, 1978). Album pervaso da una delicata poetica e
romantica con inflessioni etniche, anche se alcuni brani (Tabarka e Mandala) presentano una libertà
d’improvvisazione tematica e di condotta propria del free. Cfr. Ake e l’ideale rurale e pastorale
della musica americana.
Intro (16)
i 8 (||:4:||) + ii 8 (||:4:||)
Tema (64)
AA B A
w (8) + x (8) :|| y (8) + z (8) w (8) + x (8)
AA BB
x (8) + x1 (8) :||: y (8) + zx1 (8) :||
Schema armonico basato su I, IV, V e vi, modulazione a la bemolle maggiore nella sezione B prima
di rientrare alla tonica.
Melodia compresa nelle note della scala di mi bemolle maggiore, voicings semplici e privi delle
alterazioni tipiche del jazz, condotta ritmica piana e regolare (basso e batteria). A parte
l’introduzione del piano, gli unici assoli sono un’incursione di 32 bb del bassista Danielsson e una
di 16 bb sempre molto legata alla melodia di Jarrett.
* Setting Standards
Keit Jarrett (p), Gary Peacock (b), Jack DeJohnette (d)
Gennaio 1983 (2 cd ECM 2030-32, 1983, 2008)
I due set fondativi del trio. Un solo giorno di lavoro, tutte registrazioni dirette, senza preparazione o
arrangiamenti. Entrati in studio per registrare un album, i tre ne uscirono con materiale per tre (due
di standards, uno di libera improvvisazione).
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Meaning Of The Blues [9:23]
Celebre versione di Miles Davis con Gil Evans. Cfr. una versione di Jarrett per piano solo
(Amburgo, 1982) disponibile su YouTube. Versione che aderisce al tono introspettivo e
malinconico del song: tema ABAC 8x4. Da elementi di A (note ribattute) e di B (scala minore
discendente) è estratto un materiale che serve come integrazione nella costruzione della
performance (materiale impiegato come Intro, come collegamento, articolazione e interpunzione tra
i chorus e poi ancora come Coda).
00:00 Intro, materiale integrativo (nota ribattuta, re, scale minore naturale discendente e ascendente)
00:25 Tema ABAC
02:12 Chorus p
04:00 Chorus b
05:50 Ripresa del tema
07:34 Coda su vamp, con un accordo (re) →
* Standards Live
Parigi, 2 giugno 1985 (ECM 1317 177 5847, 1986)
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09:18 Tema abbreviato AA
* Spirits
Maggio-luglio 1985 (2 cd ECM 1333/34 829 467-2, 1986), Carr pp. 204-212.
Volume 1, Spirits 1-12
Volume 2, Spirits, 13-26
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- percussioni: 3 set di tablas [tamburi indiani con unica pelle, cassa di legno o terracotta], shakers
del Sud America, glockenspiel in miniatura, tamburino piccolo, doppio campanaccio (Africa).
2 [1:37]
Flauti, pianoforte. Inno, con frasi ben articolate.
01:04 Ripresa
4 [5:56]
Flauto, chitarra, glockenspiel (uno strumento giocattolo). Idillio, timbro determinante come
individuazione di un immaginario pastorale e idillico. Andamento metrico libero, flessibile, che si
sottrae all’articolazione in battute. Eterofonia, tipico procedimento della musica etnica. Versione
orginale (flauto o chitarra?) e varianti degli altri strumenti.
5 [4:10]
Flauto, percussioni (tablas, shakers). Danza, riferimento al metro di 3/4.
00:00 Inizio
00:53 Ripresa variata
01:45 Ripresa variata
03:02 Sole percussioni, flauto a sfumare
11 [2:36]
Flauti, piano. Musica incantatoria. Riduzione ai minimi termini del materiale e dei gesti strumentali;
tutto nasce dalla risonanza delle note gravi e dei rintocchi, quasi campane, del pianoforte (musica
circolare, e spiraliforme, che ruota su se stessa). Si gira sempre intorno alla triade e alla scala di
DO: musica rilassata, molto consonante, aproblematica. È certo per brani come questo che si è
alimentato l’equivoco di Jarrett come autore di musica New Age. Eppure questo piccolo brano
riesce in poco più di 2’ a concentrare un processo di riappropriazione di senso di figure e gesti
minimali, utilizzando pochi accordi essenziali, poche figure melodiche e ritmiche: dai rintocchi
iniziali, ripetitivi e come bloccati su se stessi, la musica dà l’impressione di un’incredibile apertura
ed espansione con il semplice utilizzo dell’accordo di SD.
12 [4:47]
Flauto sopranino, percussioni (tablas, shakers). Accento etnico molto forte, di atmosfera orientale e
arabeggiante: libere evoluzioni del flautino e vocalizzazioni sul groove delle percussioni
04:03 Cambio di groove
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17 (CD 2, track 5) [2:57]
Polifonia vocale, sax soprano. Polifonia a più strati vocali che ricorda il canto dei monaci tibetani
come tappeto per la libera improvvisazione del sax.
02:30 Chorus 4
03:00 Chorus 5
03:30 Vamp conclusivo
* Tokyo ’96
Tokyo, 30 marzo 1996
Impiego del DVD e del CD per fare apprezzare la dimensione audiovisiva rispetto alla sola
dimensione audio. Poco prima della sindrome da affaticamento cronico.
(Cd, ECM 1666 539 955-2, 1998)
(Live in Japan 93/96, Dvd, ECM 177 2710): rispetto al cd il dvd contiene due brani in più: All The
Things You Are e Tonk.
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complesso e articolato pulsare caraibico di b e d. Poi nella coda resta solo DeJohnette (44:53),
Jarrett e Peacock si limitano a tocchi leggeri (Peacock armonici), e conclude in diminuendo e in
dissolvenza, chiudendo il cerchio formale del pezzo. Straordinario.
Tonk [6:54]
Brano bluesy del pianista Ray Bryant. Lungo tema, chorus p (13:33:52), chorus b (1:36:44), ripresa
del tema (1:38:05).
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* The Melody At Night, With You
1999 (1675 547 949-2, 1999)
Diario della malattia e della guarigione, dedicato alla seconda moglie Rose Anne. Dieci standard –
di cui due pezzi tradizionali – e una semplice appendice di propria composizione Meditation a
seguito di Blame It On My Youth dai titoli significativamente evocativi di una grande intensità
affettiva (amore, cura, richiesta di perdono ecc.) per una nuova rinascita alla musica e alla vita,
partendo dal grado zero della melodia e della (relativa) semplicità.
Diario intimo, fortemente autobiografico e terapeutico (per questo, e per la dedica alla moglie di
recente Jarrett ha parlato recentemente dell’album con un certo distacco, per non dire disprezzo, a
differenza di Spirits) Niente virtuosismo, nessuna sperimentazione, nessuna ambizione in un certo
senso, ma soltanto grande umiltà di approccio e ritorno alla radici della musica, alle origini del
proprio sentire e delle proprie capacità, a lungo provate dalla malattia. Ricerca dell’essenza delle
cose, un po’ com’era accaduto con Spirits, e ricerca di se stesso, della propria identità perduta, del
proprio modo di pensare e fare musica.
00:00 AABA
02:09 AABA, dove B (03:11) in tempo molto libero e A conclusivo (03:38) in tempo
04:07 Coda
Part VI [6:27]
Improvvisazione free, informale e atonale, colata incandescente di scatti, impennate, scarti, pause.
Ma nondimeno struttura chiaramente intelligibile, con interludi in cui si delineano spunti melodici
che sono poi elaborati.
00:00 Inizio
03:00 Interludio 1. Sequenza cromatica discendente.
03:33 Elaborazione della sequenza discendente in un contrappunto
04:04 Ritorno al cima iniziale
13
04:19 Interludio 2. Motivo cromatico discendente
4:54 Sezione cantabile
5:16 Ritorno al clima iniziale
00:00 I
00:20
00:34 II
00:47
01:00 III
01:14
01:27 IV
01:40
01:53 V
02:07
02:20 VI
02:33
02:46 VII
02:59
03:13 VIII
03:26
03:39 IX
03:53
04:05 X
04:18
04:31 XI
04:45
04:57 XII
05:10
05:22 XIII
05:35
05:50 XIV
14
06:13 → vamp
07:07 epilogo
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MODULO C
* Bridge of Light
(1993, ECM 1450 445 350-2, 1994)
Jarrett: “In realtà, tutti questi pezzi sono nati dal desiderio di glorificare e contemplare piuttosto che
da quello di ‘fare’ o ‘mostrare’ o ‘dimostrare’ qualcosa di unico. Essi sono, in un certo modo,
preghiere che la bellezza possa rimanere percepibile a dispetto di mode, intelletto, analisi,
progresso, tecnologia, distrazioni, ‘argomenti scottanti’ del giorno, inattualità del credo o della fede,
programmazione di concerti e innaturale ‘scena’ dell’‘arte’, mercato, stili di vita ecc. ecc. ecc. Non
sto tentando di essere ‘intelligente’ in questi pezzi (o in queste note). Non sto tentando di essere un
compositore. Sto cercando di rivelare uno stato che penso sia smarrito nel modo d’oggi (tranne che,
forse, nel privato): un certo stato di resa; resa nei confronti di un’armonia dell’universo in pieno
sviluppo che esiste con o senza di noi. Entriamoci”.
Linguaggio compositivo che ricorda quello di compositori come Samuel Barber e David Diamond e
al clima neoclassico della musica americana dell’East Coast. Linguaggio riferito a un campo tonale
(tonalità allargata), armonie diatoniche.
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Fratres [11:24]
Arvo Pärt (1935-), dagli esordi con la dodecafonia e la tecnica del collage al minimalismo.
Riduzione al minimo dei materiali compositivi, massima semplicità e accessibilità associata a ideali
religiosi o spirituali. Dal 1976, “tintinnabulazione” (da “tinnabulae”, campane), stile influenzato
dalle esperienze mistiche con il canto religioso ortodosso e con la ricerca di una massima
essenzialità: “Tintinnabulazione è un luogo in cui talvolta mi aggiro quando sono in cerca di una
soluzione – nella mia vita, nella mia musica, nel mio lavoro. Nelle ore difficili ho la certezza che
tutto ciò che sta al di fuori di una certa cosa non ha alcun significato. Ciò che è molteplice e
sfaccettato mi confonde soltanto e debbo cercare l’unità. Che cos’è questa unità e come posso
trovare l’accesso a essa? Si danno molte manifestazioni di perfezione: tutto ciò che non è
importante cade. Lo stile Tintinnabuli è qualcosa di simile. Lì sono solo col silenzio. Ho scoperto
che è sufficiente se un singolo suono è suonato bene. Questo singolo suono, una pausa o il silenzio
mi confortano. Lavoro con pochi elementi, con una voce, con due voci. Costruisco con i materiali
più primitivi, con una triade, con una specifica tonalità. Le tre note di un accordo sono come
campane. Così ho chiamato questo tintinnabulazione”.
Frequente riduzione dell’ordito a due parti: una funge da accompagnamento, ripetendo o
arpeggiando le note di un accordo tonale o modale – è la “tintinnabulazione” –, l’altra è la melodia
che costituisce la parte principale e si muove diatonicamente per gradi congiunti. Il tempo è lento e
meditativo e comporta un approccio minimalista alla notazione e all’esecuzione.
Fratres per ensemble da camera (1977) ha poi generato diverse versioni per vari organici. Versione
per violino e pianoforte del 1980 (Salisburgo, 17 agosto 1980), per Gidon ed Elena Kremer: tema
con variazioni. Il tema ritorna 9 volte, secondo una catena di terze discendenti. Il ritorno periodico
del tema di 6 battute viene interpolato da sezioni con accordi percussivi. Ruolo melodico del
violino, il pianoforte ha una parte accordale.
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musica un personale eclettismo che percorre con libertà trasversale il tempo e lo spazio nel segno di
un atteggiamento prevalentemente eufonico e lirico, improntato, nelle opere delle maturità, a un
linguaggio sostanzialmente modale. Una parte cospicua delle composizioni di Harrison è per
esempio destinata a vari tipi di gamelan (il complesso di strumenti a percussione tipico di Giava e
Bali) oppure a organici che uniscono strumenti occidentali, asiatici e africani. Altre composizioni
sono invece scritte per organici che comprendono strumenti inventati dallo stesso Harrison, come
l’american gamelan costruito nel 1971 in collaborazione con l’amico William Colvig mettendo
insieme oggetti e materiali metallici facilmente reperibili (tubi, lastre, bombole e così via).
L’interesse per l’alterità è vissuta da Harrison come apertura necessaria e vitale dell’artista nei
confronti del mondo che lo circonda, e il suo spirito multiculturale lo induce a incrociare e integrare
organici, generi, forme, tecniche compositive e di scrittura delle più diverse tradizioni.
1. Allegro [11:40]
2. Stampede [9:37]
3. Largo [8:34]
4. Allegro moderato [2:53]
Keith Jarrett, New Japan Philharmonic, dir. Naoto Otomo - Tokyo, 30 gennaio 1986
Il Concerto per pianoforte (1983-85) è un lavoro di ampio formato che in qualche modo costituisce
una sintesi del pensiero compositivo di Harrison. Scritto per Keith Jarrett, il concerto richiede un
pianoforte accordato secondo un temperamento non equabile, il Kirnberger n°2, 1771: le
prerogative del sistema sono le tre terze pure, non ampliate come nel sistema temperato, do-mi, sol-
si, re-fa diesis, e le dieci quinte perfette; così come le tre terze pitagoriche, super-ampie, si-mi
bemolle, fa diesis-si bemolle, do diesis-fa, e le due strette quinte, mezze quinte “del lupo”, re-la, la-
mi): insomma, i tasti neri sono intonati per produrre gli intervalli di quarta e di quinta secondo le
esatte proporzioni matematiche del periodo medioevale, mentre i tasti bianchi sono intonati per
produrre la “giusta intonazione” del periodo rinascimentale e barocco. Di conseguenza, l’orchestra
seleziona gli strumenti in grado di adeguarsi a tale sistema: niente legni e ottoni a pistoni dunque,
ma tre tromboni a coulisse, due arpe, nutrita sezioni di percussioni e archi. Ogni sezione orchestrale,
inoltre, è intonata facendo riferimento ai diversi aspetti del sistema. Rispetto all’intonazione
tradizionale, l’esito sonoro genera un’iridescente e fascinosa oscillazione intervallare che non dà
mai l’impressione di una musica, per così dire, stonata.
Il concerto è in quattro movimenti. Il primo, un Allegro di largo respiro, sembra a tratti richiamarsi
a un’eloquenza sinfonica brahmsiana, intrecciata a echi di Copland e della musica popolare
americana, con estesi passaggi lirici per il solista che evocano la risonanza di campane orientali.
Il titolo del secondo movimento, Stampede, è un gioco di parole con estampie, composizione
medievale ispirata alla danza (stampede è la corsa disordinata e precipitosa di un gruppo di animali
nonché una specie di rodeo). Dal modello dell’estampie Harrison trae la forma, costituita da più
sezioni ognuna delle quali viene ripetuta concludendosi la seconda volta in modo diverso dalla
prima, ma in effetti il movimento delinea una corsa a perdifiato, dal ritmo percussivo e
accentuatamente irregolare, inframmezzata, verso la conclusione, da una cadenza.
Il Largo seguente è un’onirica e rarefatta divagazione condotta dal pianoforte sullo sfondo delle
distese volute melodiche degli archi mentre il breve finale, Allegro moderato, s’ispira al gamelan ed
è animato dal gioco aereo dei rintocchi e delle ripetizioni di una melodia incessante come quella di
un carillon.
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* Dmitri Šostakovic, 24 Preludes and Fugues op. 87
Luglio 1991 (2 cd ECM New Series 1469/70 437 189-2, 1992)
Composizione: 1950-1951. Omaggio al Clavicembalo ben temperato, con alcune divergenze (1)
ordine secondo il circolo delle quinte; 2) non-autonomia formale dei preludi, introduzioni alle fughe
che talvolta anticipano il materiale poi sviluppato nelle fughe; 3) senso di continuità drammatica
che percorre il ciclo dall’inizio alla fine: culmine rappresentato dalla grande Fuga in re minore).
Allemande [2:00]
Courante [2:05]
Sarabande [2:38]
Gigue [1:22]
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Suites I/ n° 8 HWV 443 in fa minore
Ed. a stampa 1720.
Prélude- Fuga [5:03]
Allemande [2:54]
Courante [2:39]
Gigue [2:09]
* Wolfgang Amadeus Mozart, Piano Concertos K. 271, 453, 466 / Adagio and Fugue K. 546
1996 (2 cd ECM New Series 1624/25 462 651-2, 1999)
Stuttgarter Kammerorchester, dir. Dennis Russel Davies
Concerto di notevole impegno virtuosistico. Ruolo di nuova importanza dei fiati. Esistenza di
diverse cadenze originali di Mozart (differenza tra quelle più antiche e quelle composte quando
Mozart eseguì il concerto a Vienna, nel 1784: dalla fioritura ornamentale a un vero e proprio nuovo
svolgimento del materiale tematico). Grande freschezza e senso di sperimentazione come i concerti
per violino del 1775 ma in un formato più ampio e con maggiore varietà espressiva.
1. Allegro
2. Andantino
3. Rondeau. Presto.
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