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SCHUBERT E BEETHOVEN

Il passaggio tra Classicismo e Romanticismo non è perfettamente netto e non è possibile stabilire
con precisione quando e come avvenga il passaggio da un estetica all’altra, sia perché il
Classicismo come sappiamo non si riferisce alla totalità ma più ad un gruppo di compositori ben
precisi, sia perché in alcune zone d’Europa si passa direttamente dall’estetica della sensibilità ad
una sorta di proto-Romanticismo.
Si può tuttavia cercare di identificare una sorta di “linea d’oro”, una sorta di filo conduttore che
vede il tramandarsi della stilistica e l’evolversi dell’estetica da compositore a compositore e tra
compositori che sono stati a loro volta allievi dei cosiddetti “modelli” che a loro volta si sono lasciati
ispirare da modelli precedenti.
Per esempio Schubert che è stato allievo di Salieri, da cui eredita la musica galante; Beethoven di
Haydn, ispirandosi anche a Mozart che è stato a sua volta allievo di Haydn.
Ciò ci permettere di tracciare una continuità tra lo stile galante del ‘700 adottato dal primo Haydn (e
dai vari riferimenti) e da G. B. Pergolesi, facente riferimento (almeno in parte) alla letteratura
amorosa presente nei libretti operistici.
Nell’800 arriva ad essere descritto da alcuni filosofi come stile apollineo, talvolta confrontato da
Nietsche con lo stile dionisiaco, quindi da una parte uno stile leggero e galante e dall’altra uno stile
più romantico derivato dallo Sturm und Drang, derivato da caratteri letterari pre-romantici e da
Goethe.

LUDWIG VAN BEETHOVEN

Nato nel 1770 a Bonn (Germania), proviene da una famiglia di musici (il nonno è maestro di
cappella all’interno della corte di Bonn e il padre è insegnante di violino, pianoforte nonché tenore
all’interno della stessa corte).
Il giovane quindi comincia il proprio percorso all’interno della casa di famiglia, avendo come tutore
il padre per materie come canto, pianoforte, violino, sappiamo inoltre che il padre alcolizzato e
violento fu molto duro nei confronti del figlio impartendogli lezioni.
Il musicista divenne in seguito un virtuoso del pianoforte, ciò gli consentì di mantenersi anche
come pianista in contesti cameristici e solistici nelle vesti di esecutore, oltre che grazie alle proprie
composizioni.
Si sa che egli prese lezioni di composizione con Christoph Neefe dal 1779 e che nel dicembre del
1792 ebbe dei contatti con Haydn che accettò di impartirgli lezioni, favorendo una trasmissione
dell’estetica in quanto sia Beethoven che la famiglia di lui identificavano già Haydn come un
modello musicale molto importante (come Mozart, Gluck, Salieri e in seguito Beethoven).
Nel 1783 è già maestro di cembalo e nel 1784 maestro d’organo e nel 1788 violista della corte di
Bonn, dopodiché nel 1792 a 22 si trasferisce a Vienna inserendosi in un circuito fatto di
mecenatismo e famiglie aristocratiche che di fatto detenevano il monopolio culturale, tale che
qualsiasi musicista volesse operare in tale contesto dovesse per forza entrare in questa realtà.
Nondimeno la posizione di partenza di Beethoven ebbe un peso rilevante fintantoché egli riuscì ad
inserirsi nel giro mecenatistico a soli 22 anche grazie alle proprie origini e alla fama che precedeva
il nome della sua famiglia (a differenza di Haydn che non poté beneficiare di un tale background e
difatti ruscì ad inserirsi nel giro solo all’età di 30 anni).
Durante il soggiorno Beethoven continua a studiare il contrappunto con J. C. Albrechtsberger e
canto con Antonio Salieri, contando quindi su una preparazione accademica piuttosto rilevante
(continuò infatti gli studi con Neefe) nonché un’abilità tecnica piuttosto elevata.
Entrato a Vienna egli entrò in contatto con le famiglie più importanti dell’epoca quali i Waldestein, i
Lobkowitz, Franz Swieten, Razumanowski, Fries, e K. Von Likonowski, i cui nomi si trovano nelle
dediche delle numerose composizioni da Beethoven scritte su incarico del mecenate di turno.
Dall’inizio dell’800 questi mecenati iniziarono a fornire un assegno fisso a Beethoven, determinanti
furono la fama e il prestigio da lui acquisita, che presto divennero vitalizi, i quali consentirono a
Beethoven di smarcarsi dallo status di sottoposto dipendente dai mecenati e di emanciparsi,
poiché nel ‘600 i compositori si riferivano ai relativi mecenati in toni riverenti e succubi,
sottintendendo un rapporto di esclusività, cosa che andò diminuendo con la popolarizzazione
dell’opera e quindi con l’introduzione di nuove prospettive di guadagno per i musicisti, che
poterono prendere parte a questo nuovo processo produttivo di carattere quasi pubblico, istituendo
un canale economico meno esclusivo ma comunque legato al mecenatismo.
Alla fine del ‘700 la comparsa dell’editoria musicale (spicca l’editore Artaria) nelle maggiori città
europee garantì un ulteriore introito ai compositori che, appoggiandosi sia agli aristocratici che
all’editoria, riuscivano quasi a prendere parte a quello che nell’800 economisti come Marx
identificheranno come libero mercato, seppur nella società di Antico Regime non fosse ancora
possibile parlare propriamente di libero mercato, in quanto l’aristocrazia controllava ancora una
parte della produzione artistica e quindi del canale economico legato alla cultura.

LA SORDITA’ DI BEETHOVEN

Sappiamo che la produzione artistica di Beethoven venne influenzata dalla sordità che lo colpì alla
fine del ‘700, della quale non si sa identificare l’inizio ma si che già era documentata nel 1798-99;
dal 1816 Beethoven poteva ascoltare solo tramite un cornetto acustico, attorno al 1818
comunicava tramite un quadernetto e nel 1822 aveva raggiunto la quasi totale sordità la quale, non
avendo mai avuto una famiglia, porta il compositore ad isolarsi da tutti nella propria casa portando
il dolore per la solitudine, in un momento storico in cui egli veniva omaggiato e riverito, solitudine
che influenzerà anche la sua produzione.
Ciò ci porta a suddividere la sua produzione in tre periodi
• 1° periodo (1782-1802), comprende gli anni di formazione, influenzati dall’ideale del
sublime, il quale coniuga la semplicità e la facilità rifacendosi in qualche modo allo stile
galante e apollineo, il periodo comprende le sonate “facili” per pianoforte, le sinfonie 1 e 2, i
concerti 1, 2 e 3, 8 sonate per violino e piano, 6 quartetti per archi;
• 2° periodo (1803-1815), marcato da un carattere abbastanza romantico, in anticipo al
contesto europeo (in particolare la 3 a sinfonia), il periodo include quartetti dedicati a
Razumovski, le 7 sonate pianistiche op. 53, l’opera Fidelio, le sinfonie dalla 3 alla 8, i
concerti per pianoforte 4 e 5 e il concerto per violino op 61;
• 3° periodo (1816-1826), periodo caratterizzato dalla quasi totale sordità, il repertorio è
stato quindi scritto senza sentirlo, il periodo comprende la sinfonia n°9, le ultime 5 sonate
per pianoforte, quartetti d’archi, la Grosse Fugue, le variazioni Diabelli, in questo periodo si
nota eventualmente anche un’astrazione e un certo distacco dall’estetica del Romanticismo
e del Classicismo, seppur la forma sonata sia ancora predominante, senz’altro favorito
dalla condizione di straniamento dalla realtà causata dalla sordità del compositore e
dall’isolamento;

Il processo compositivo da lui adottato, essendo figlio della scuola viennese, sarà quello
dell’elaborazione motivica basata sulla teoria della tonalità e sarà principalmente un compositore di
musica strumentale (salvo alcuni lieder e un opera).
I temi da Beethoven elaborati erano spesso scritti su questi quadernetti che lui portava appresso,
dove farà molti cambiamenti e attuerà delle scremature, dopodiché inizia l’elaborazione tematica e
in seguito l’inserimento nella griglia formale che è nella forma sonata, processo influenzato anche
dalla costruzione dei vari temi, carattere che influirà la loro posizione nella forma.
Questo principio di elaborazione formale è presente sopratutto nei compositori tedeschi
appartenenti alla scuola di Vienna, da non confondere con l’attinenza alla musica galante, cui
Beethoven aderisce, che non presuppone una particolare prassi nell’elaborazione tematica, a
prova di ciò è possibile constatare come i compositori italiani abbiano aderito allo stile galante ma
non abbiano impiegato in maniera sistematica il principio dell’elaborazione motivica formale,
principio che sarà prevalente nei “figli” della scuola di Vienna, quali, tra gli altri, Mozart e
Beethoven.
Nelle testimonianze di Louis Schlusser, egli afferma, a proposito dell’ispirazione di non sapere
precisamente da dove provenga la suddetta, e di non saperla identificare, sostenendo però di
riuscire quasi ad afferrarla allorquando egli si trovi nel mezzo di luoghi o situazioni particolarmente
ispiranti.
Quest’ultima paradigma estetico si rifà fortemente all’estetica del sublime, nello specifico si può
citare un testo del II secolo dopo Cristo denominato L’anonimo del sublime (perii ipsos)
documentante un estetica di tipo irrazionalistico, contrapponendosi ad un ideale retorico dell’arte,
estetica che acquisirà importanza dal secondo ‘600 e che dominerà l’ideale musicale dell’800 e del
‘900.
A questo punto possiamo affermare che la grandezza raggiunta da Beethoven in vita, e per
estensione il suo “genio”, non sia stata solo merito della sua innata competenza artistica (seppur
questa si sia rivelata fondamentale) ma bensì che abbia potuto beneficiare di un connubio
particolarmente azzeccato di condizioni, quali l’influenza e il nome della sua famiglia, la dura
educazione impartitagli dal padre, l’inserimento nel contesto culturale Viennese che gli vale
l’acquisizione di determinate tecniche e approcci compositivi, l’acquisizione di una indipendenza
economica non trascurabile e, nondimeno, dalla vicinanza all’estetica del sublime e degli ideali
pre-romantici che, nell’insieme, varranno al repertorio da lui composto un carattere avveniristico e
innovativo, nonché quasi spirituale ed inafferrabile.
Questa visione per così dire letteraria di Beethoven va in contrasto con la visione retorica di cui si
pregna la forma sonata, fondamentale per l’epoca classica, che per definizione è precisa, definita e
razionale e “compete” con l’ideale sfuggente, irrazionale, passionale e ineffabile del romanticismo
e del sublime.
Come già detto, la forma sonata in sé e figlia di uno sforzo retorico (comparabile ad un esercizio di
retorica classica inteso come organizzazione di un discorso, nella fattispecie musicale) atto
all’organizzazione di carattere razionale del materiale musicale preposto, retorica che influenzerà
in modo particolare il repertorio viennese del secondo ‘700 e del primo ‘800.
D’altro canto l’estetica del sublime sarà destinata a soppiantare questo tipo di concezione,
negando l’importanza della retorica e, nel caso di Beethoven, qualifica l’arte di quest’ultimo come
unicamente figlia del genio e giudica la forma sonata come espressione del genio, quando invece
le due sensibilità convivevano all’interno dell’artista, in quanto Beethoven è stato indubbiamente
influenzato dalla retorica pre-romantica, cercando anche di smarcarsi dalla concezione fortemente
razionale della musica del tempo, evadendo le ferree regole da essa imposte, ma è anche stato
indubbiamente condizionato dalla concezione illuminata del tempo, impiegando anche un
considerevole sforzo di tipo retorico e profondamente razionale nella composizione e
nell’organizzazione del proprio repertorio.

FRANZ SCHUBERT

Nato nel 1797 e morto nel 1828, cresce in un contesto borghese di tipo diverso da quello di
Beethoven, un contesto nel quale la musica è un elemento fondamentale anche nell’ambiente
borghese; il padre è un maestro elementare e il giovane studia pianoforte e violino in giovane età
in un contesto famigliare.
Dal 1808 al 1814 diventa membro del coro della cappella imperiale di Vienna e alunno del convitto
della città, approfittando, allo stesso modo di Haydn, della formazione impartitagli dal convitto,
poiché nella società di Antico Regime la Chiesa istituì un canale economico per i musicisti non
trascurabile, e allo stesso modo aveva costantemente bisogno di bambini maschi che potessero
essere istruiti sulla prassi esecutiva vocale, per ovviare alla necessità di cantare le parti di soprano
nella musica sacra, non potendo avvalersi delle donne.
A 17 anni quindi lascia il coro, successivamente egli diventa allievo di Salieri, che all’epoca
garantiva una formazione gratuita agli allievi considerati meritevoli.

Dopodiché, essendo figlio di un maestro elementare, Schubert segue le orme del padre
nell’insegnamento, poiché nella società di Antico Regime (la Rivoluzione francese non aveva
impattato in maniera significativa sulla Vienna di inizio ‘800) era prassi che i figli seguissero la
carriere dei genitori: egli inizia quindi a lavorare dal 1814 al ‘18 come assistente nella scuola del
padre ma dopo poco lascia il posto, incontrando delle difficoltà economiche, poiché inizialmente
manca di consenso pubblico (che Beethoven non incontrò poiché la famiglia di lui si era prodigata
per farlo entrare subito nel giro mecenatistico) che tarderà ad arrivare (come per Haydn).
Ne risulta che nei primi anni Schubert dovette beneficiare dell’aiuto di alcuni amici: tale Schober
dal 1816, J. M. Vogl, baritono che eseguirà molti lieder di Schubert, favorendone la diffusione; I.
Schuppanzig, violinista che promosse il genere del quartetto per cui Haydn, Beethoven e Schubert
scrissero quartetti che Schuppanzig eseguì anche presso la corte del conte Razumovski.
In seguito passa un periodo in Russia e successivamente, in seguito al ritorno a Vienna, riprenderà
il quartetto dal 1823 al 1828.
Grazie a questi contatti Schubert verrà notato nel 1818 da un ramo cadetto della famiglia
Esterhazy, di Galanta, il cui conte Johann Carl chiederà a Schubert di impartire lezioni di violino
alle figlie nella sua redidenza a Zselisz.
Nel 1819-20 si sa della composizione di diversi pezzi per pianoforte, con relative esecuzione; dal
1821 ill compositore organizzerà inoltre dei raduni di amici a casa propria in cui egli farà eseguire i
propri quartetti o in cui cantava i propri lieder accompagnandosi al piano e nello stesso anno
riuscirà ad entrare in contatto con le maggiori istituzioni viennesi (scollegate dal mecenatismo
aristocratico) quale L’associazione di amici della musica che prommuoverà l’esecuzione di alcuni
suoi quartetti.
Egli cercò anche di scrivere, nel 1922, alcune opere in lingua tedesca (come Mozart che scrisse i
cosiddetti singspiel, quali Il flauto magico), che tuttavia incontrarono non poché difficoltà nella
ricezione del pubblico, dato che il maggiore compositore d’opera del tempo era Antonio Salieri,
italiano che scriveva in italiano.
Alcune di queste opere, Alfonso un Estrella e Fierrabas, vennero rifiutate dall’impresario Barbaja, il
quale gestiva il teatro del tempo, rifiuto probabilmente dovuto al successo altalenante delle opere
di Weber, che non sempre venivano apprezzate adeguatamente.
Nel 1922 egli conosce Beethoven e Weber; nello stesso anno si ammala di una malattia venerea,
fatto che influisce sulla sua produzione e sulla carriera, dato che rimarrà ammalato per tutto
l’ultimo periodo di vita; nel 1924 poi riprende i rapporti con la famiglia Esterhazy, continuando
l’insegnamento.

Possiamo quindi riassumere che il successo di Schubert si rivolga attorno ad una promozione di
tipo famigliare e a pochi esecutori e amici che riconoscono in lui il talento, fino ad arrivare all’ultimo
anno di vita, in cui riceve un grande successo in seguito ad un concerto pubblico tenutosi a
Vienna, sfortunatamente egli morirà giovanissimo all’età di 31 anni nello stesso anno.

Successivamente verrà inserito nel canone dei compositori tedeschi da Schumann e


Mendelsshon, riconoscimento che avviene, a differenza degli altri modelli che già in vita erano
riconosciuti come geni, dopo la morte.

Il repertorio si compone di musica sacra, 20 lavori tra cui messe, un Sabat Mater e un Requiem;
troviamo poi alcune opere tra quelle già nominate e in particolare Rosamunde, Firstin von Zypern,
testo teatrale per cui Schubert ha composto musiche di scena (1823); troviamo poi 40 pezzi per
orchestra di cui 10 Sinfonie; troviamo poi 30 pezzi di musica da camera tra cui quartetti, un ottetto
di fiati, quintetti, una sonata per Arpeggione; compose poi circa 200 pezzi per pianoforte a 2 o 4
mani, pezzi che riprendono titoli preromantici come Intermezzo, Fantasia, Impromptu, Moment
Musicaux, Waltzer e ovviamente le sonate; vi sono poi 61 pezzi corali, 8 terzetti e 6 duetti e infine
gli immancabili lieder, ne compose oltre 600.

Il repertorio si rifà anche ad approcci di tipo dilettantistico e non solo professionali, approccio che
ritornerà in seguito e caratterizzerà la produzione di molti compositori del XIX secolo.

ROSAMUNDE – Musiche di scena, quartetti

Il quartetto detto Rosamunde proveniva da uno spettacolo per il quale Schubert scrisse le musiche
di scena, scritto nel 1824 ed eseguito nello stesso anno grazie alla Società degli amici della
musica.
L’organico è tipico del quartetto risalente ad Hydn ma anche prima ad alcuni compositori italiani, si
compone di 4 movimenti: un Allegro in forma sonata, un Andante, un Minuetto con Allegretto e Trio
e infine un Allegro moderato.
I temi presenti in questo quartetto verrano anche rirproposti (o riutilizza temi già proposti) in altre
sue opere, come alcuni Lieder o alcuni pezzi pianistici.
La forma sonata come già detto venne teorizzata per la prima volta nel 1791 in Elementi teorico
pratici di musica di Galeazzi, trovò poi ulteriori teorizzazione e un considerevole successo
(sopratutto nella scuola viennese) fino ad arrivare al trattato di W. A. Marx del 1848.

I Allegro ma non troppo – (la minore) (Sonata)


II Andante (Do maggiore)
III. Menuetto. Allegretto La minore e trio (La maggiore)
IV. Allegro moderato (La maggiore)

Registrazione Quatuor Mosaïques 1996

Registrazione Quartetto italiano (1946-1952)


Registrazione Quartetto Alban Berg (1975)
Registrazione Quartetto Guarnieri 1972
Registrazione Quartetto Artemis 2008

Organico: 2 violini, viola, violoncello


Composizione: Febbraio - 1 Marzo 1824
Prima esecuzione: Vienna, Musikvereinsaal, 14 Marzo 1824
Edizione: Sauer & Leidesdorf, Vienna, 1824

Schema I Allegro ma non troppo – (la minore) [Rast 2017] vedi partitura commentata

Svilup Ripres
Esposizione   po       a    
II
I tema tema T       I tema II tema  
168 222 266
1 58 59 101b 108 130 134 221 265 296
Do do sol
la m M Do M re m m m la m La M la m
i III III iv iii vii i I iVI

Schema I Allegro ma non troppo – (la minore) [Rast 2017] sviluppato

Batt. Tema Tonalità    


1 I tema la m i Esposizione
11 I tema la m i  
23 I tema La M I  
32 Transizione Modulante    
59 II tema Do M III  
69 Transizione Modulante    
81 II tema      
86 II tema      
92 II tema      
98 Transizione      
101
Do M Sviluppo
b Inizio 2 rit III
109   re m iv  
111 I tema re m iv  
130   do m iii  
134   sol m vii  
170 I tema la m i Ripresa
181 I tema La M->la m I  
191 Transizione      
225 II tema La M I  
230 II tema La M I  
235 Transizione      
247 II tema La M I  
252 II tema      
264 transizione      
269   la m i  
280 I tema la m i  

Ancora una volta un titolo, anche se non originale, e ancora una volta l'utilizzo da parte di
Schubert di materiale da lui composto in precedenza: in questo caso, un tema preso dalle

Musiche di scena per Rosamunde [1823 Theater an der Wien] di Helmina von Chézy. Il numero
6 della partitura delle musiche di scena diventa l'elemento tematico principale del secondo
movimento del quartetto D 804.

Musiche di scena per la Rosamunde n° 6

Entracte n° 3 Andantino Georg Szell - Concertgebouw Orchestra Amsterdam 1958


Entracte n° 3 Andantino -> Claudio Abbado - Chamber Orchestra of Europe 1988
Entracte n° 3 Andantino Andreas Spering Das Neue Orchester 1999 su strumenti originali

Impromptu Op.142 (D.935) No.3 in Si b Maggiore Alfred Brendel

Ma c'è un'altra importante autocitazione in questo Quartetto: il motivo principale del Menuetto.
Allegretto è infatti preso dal

Lied Die Götter Griechenlands (Gli Dei della Grecia), composto da Schubert nel 1819 su testo
di Schiller [analisi testo]

Lo stesso motivo era già stato riutilizzato nell'Ottetto, composto quasi contemporaneamente
al Quartetto in la minore.
La prima esecuzione del Quartetto avvenne subito dopo che Schubert l'ebbe completato, il 14
marzo 1824, presso il Musikverein di Vienna, a opera del Quartetto Schuppanzig. Fatto quanto mai
straordinario per Schubert, il Quartetto in la minore fu anche pubblicato, unico fra i quartetti
schubertiani, pochi mesi dopo, in settembre, con il numero d'opus 29. La partitura fu dedicata a
Ignaz Schuppanzig.

I. ESPOSIZIONE

Il primo movimento, Allegro non troppo, si apre con il primo tema due battute introduttive,
nelle quali vengono presentate le figurazioni di accompagnamento (morbidi arpeggi del violino
secondo e un ostinato ritmico, formato da una minima puntata e da una quartina di semicrome,
affidato a viola e violoncello) sulle quali il violino primo distende poi una melodia di malinconico
lirismo. Una breve divagazione, conclusa da una cadenza sospesa alla dominante [p. 235 II
sistema], conduce a una ricomparsa del primo tema: questa volta però il modo è maggiore, con un
mirabile effetto coloristico.
La transizione [verso il secondo tema] si basa su due elementi: un'energica sincope, arricchita
da un trillo (viola e violoncello), e una morbida figurazione scalare in terzine (violini). Presentati in
successione, i due elementi vengono quindi sovrapposti e combinati, con diverse distribuzioni
strumentali. Il serrato procedere del discorso rallenta, arrestandosi dopo un'ascesa del violino
primo solo:
Ecco il secondo tema, nella tonalità del relativo maggiore (Do), esposto dal violino secondo e
quindi dal primo; anche in esso ha grande rilievo un trillo (sulla seconda nota). La testa di questo
tema si combina poi con l'elemento in terzine della transizione e conduce alla breve codetta,
basata sui medesimi elementi.
L'esposizione viene quindi ripetuta.

Schema I Esposizione

batt. tema tonalità


1 I tema la m i
11 I tema la m i
23 I tema La M I
32 Transizione Modulante  
59 II tema Do M III
69 Transizione Modulante  
81 II tema    
86 II tema    
92 II tema    
98 Transizione    

II. SVILUPPO

Nello sviluppo è il materiale del primo gruppo tematico a dominare la scena. Dopo una
riproposta pressoché letterale dell'inizio, il discorso si anima con un dialogo tra violino primo e
violoncello, che porta a un punto culminante su un accordo di settima diminuita indicato fortissimo.
Rimane quindi soltanto l'ostinato ritmico a sostenere gli elementi motivici del tema, dapprima
affidati al solo violino e poi anche al violoncello, in un'ideale prosecuzione del dialogo precedente.

batt. tema tonalità    


101 Inizio 2
Do M Sviluppo
b rit III
109   re m iv  
111 I tema re m iv  
130   do m iii  
vi
134   sol m i  

III. RIPRESA

La ripresa, simmetrica all'esposizione, giunge in maniera sommessa, coerentemente con il


carattere del materiale tematico. Schubert sceglie di conservare la luminosità del modo maggiore
per tutto il secondo gruppo tematico e torna al minore soltanto nella coda, aperta da una
ricomparsa dell'intero primo tema. La conclusione è affidata ai due motivi della transizione.
batt. tema tonalità    
170 I tema la m i Ripresa
La M->la
I tema  
181 m I
Transizio
 
191 ne    
225 II tema La M I  
230 II tema La M I  
Transizio
235 ne      
247 II tema La M I  
252 II tema      
Transizio
264 ne      
269   la m i  
280 I tema la m i  

Il tema principale del secondo movimento, Andante, è una squisita melodia dal sapore
inconfondibilmente liederistico, affidata al violino primo; la cellula ritmica iniziale, dattilica come
quella del tema della morte nel secondo movimento del Quartetto in re minore, sarà oggetto, come
vedremo, di interessanti sviluppi. La tonalità d'impianto è do maggiore. Una brevissima transizione
che modula alla dominante conduce al secondo gruppo tematico, nel quale una figurazione
sincopata del violino primo si adagia su di un soffice tappeto creato da violino secondo e viola. Nel
prosieguo il discorso si fa morbidamente cromatico, con qualche improvviso scarto dinamico. La
breve riconduzione è interamente fondata sulla cellula dattilica di apertura, con il ritorno del tema
principale preceduto da una fermata sull'accordo di dominante.
Nella ripresa il tema principale ha un accompagnamento più mosso, con il secondo violino che
dipana una cantilena in semicrome e la viola che reitera ostinatamente la cellula dattilica. Nella
seconda parte del tema, una sorprendente modulazione a la bemolle maggiore conduce a un
nuovo, ampio episodio elaborativo: è ancora la cellula dattilica a informare di sé il tessuto
musicale, dando vita però a un serrato dialogo tra gli strumenti. La prevalenza del modo minore e
la concitazione del discorso fanno di questo episodio l'unica parentesi drammatica dell'intero
brano. Quando la tempesta si placa, lasciando ancora una volta sola la cellula dattilica, viene
finalmente ripreso anche il secondo gruppo tematico, ovviamente ricondotto alla tonica. Nella coda
è ancora il ritmo dattilico a dominare la scena.

Con il Menuetto torniamo al la minore. È il violoncello solo a proporre la cellula motivica


principale del tema di apertura, poi esposto dagli altri tre strumenti. L'armonia muove rapidamente
al relativo maggiore (do) e violino primo e viola dialogano su un nuovo motivo, lo stesso che, dopo
che questa prima parte è stata ritornellata, apre la seconda sezione. L'armonia si sposta a un
sorprendente la bemolle maggiore, mentre il discorso si anima anche dal punto di vista dinamico,
fino a un punto culminante (fortissimo) nel quale il la bemolle viene reinterpretato come sol diesis e
conduce alla ripresa del tema iniziale, nella lontanissima tonalità di do diesis minore. È la stessa
cellula motivica che era stata precedentemente elaborata a riportare al la minore d'impianto e alla
conclusione. Dopo il ritornello di tutta la seconda sezione il Menuetto è suggellato da una
brevissima coda, basata sul motivo di apertura. Da rimarcare in questo brano la straordinaria
abilità con la quale Schubert collega aree tonali fra loro lontanissime, senza che l'ascoltatore
avverta «scarti» o bruschi trapassi armonici. Più semplice il Trio, in la maggiore, con il suo
andamento da danza popolare. Nella seconda sezione una cellula motivica del tema principale
passa dal violino primo al violoncello e quindi al violino secondo, prima che una fermata sulla
dominante di la colleghi direttamente alla ripresa del Menuetto.
Con l'ultimo movimento, Allegro moderato, ritroviamo definitivamente la serena e gioviale
atmosfera del Trio: la tonalità di la maggiore, l'impronta popolare del materiale tematico, soprattutto
del tema principale, e il tono spensierato sono gli elementi che caratterizzano questo brillante
brano. Nella transizione, un'improvvisa ombreggiatura al modo minore sembra far da premessa
all'impianto tonale del secondo gruppo tematico, do diesis minore, la relativa della dominante (mi).
La vivacità dell'invenzione melodica e la leggerezza del tratto tolgono qualsiasi sfumatura cupa da
questo modo minore, che infatti si sposta ben presto al relativo maggiore, mi, tonalità nella quale si
svolge l'episodio conclusivo, con la viola che assume un ruolo protagonistico; il materiale è
derivato dal tema di apertura. Sapientemente camuffato il ritorno di quest'ultimo, csui segue -
ancora una volta una collocazione insolita, come nell'Andante - un ampio episodio a carattere
elaborativo. La prevalenza del modo minore sembra un'ultima eco dell'atmosfera del primo
movimento e del Menuetto. La ricomparsa della transizione, in fa diesis minore, porta alla ripresa
del secondo gruppo tematico (anch'esso in fa diesis minore) e dell'episodio conclusivo (alla
tonica). Breve e divertita la coda, basata sugli elementi del tema principale.

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