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CORSO DI LIS

Linguaggio Italiano dei Segni

La grammatica
Indicazioni e tratti dello spazio
Indicazioni e tratti dello
spazio

1. Lo spazio come categoria grammaticale delle lingue

segnate

Gli studi condotti fin ora sulla LIS (Volterra ed altri 1987,

Caselli ed altri 1994, Radutzky 1992, per citarne qualcuno) hanno

definito lo spazio antistante al segnante come “spazio neutro”,

vale a dire che esso non è distinto in punti specifici, come invece

lo spazio sul corpo che è stato suddiviso nei diversi punti sui

quali un segno può essere articolato. Da un punto di vista

fonologico è stato osservato (Verdirosi 1987) che non è

necessario specificare ulteriori punti dello spazio neutro perché

non esistono coppie minime di segni che, identiche negli altri

parametri formazionali (configurazione delle mani, orientamento

e movimento), si differenziano per un diverso luogo di

esecuzione nello spazio neutro. In morfologia e in sintassi però,

la distinzione si rende necessaria perchè la specificità e la

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definitezza sono legate all’individuazione di un punto dello spazio

distinguibile rispetto agli altri punti indistinti e per il fatto che i

punti specifici dello spazio equivalgono ai morfemi che

consentono ai predicati di concordare con il nome. Per questo

motivo in questa sede mi riferirò al termine “spazio non definito”

per intendere lo spazio neutro, mentre con “spazio definito” mi

riferirò al punto già citato nell’ambito di un discorso e per la cui

specificazione, viene fatto riferimento ad esso attraverso

un’indicazione o la concordanza che, ricordo, è di luogo. I segni

che concordano hanno lo stesso punto di articolazione nello

spazio.

Il riferimento allo spazio, come veicolo di specificità, non è una

peculiarità esclusiva delle lingue dei segni. Già altri autori (Quine

1960, Lyons 1975, Stokoe 1997) hanno parlato del puntamento in

uno specifico punto come forma di referenza principalmente

utilizzata dai bambini, tanto da ipotizzare che, nello sviluppo

filogenetico della lingua umana, l’indicazione sia stata un

elemento precursore dei nomi perché discrimina un elemento


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rispetto ad un altro e gli conferisce referenzialità. Lyons (1975)

afferma che articoli definiti e pronomi personali in inglese e in

altre lingue sono dimostrativi deboli e che il loro uso anaforico è

derivato dalle deissi. Vale a dire che una lingua allo “stadio

embrionale”, per esprimere referenti definiti, utilizza forme di

ostensione che successivamente evolvono in distinte categorie

grammaticali.

La definizione dei vari punti nello spazio neutro non è semplice in

quanto dipende dal contesto d’uso e dal segnante che colloca le

persone grammaticali nei diversi punti dello spazio. Per questo

motivo la determinazione dei punti specifici non è univoca. A tal

fine, per descrivere la grammatica della LIS, si rende necessaria

l’individuazione di alcune norme che identifichino i punti dello

spazio relativi al segnante.

Il problema dello status linguistico dello spazio segnico è stato

molto discusso per l’American Sign Language (Klima e Bellugi

1979, Padden 1988, Bahan 1996, Meier 1990, Liddel 1995,

2002,). Per la LIS, invece, l’argomento è stato trattato


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marginalmente in quanto lo spazio è stato analizzato

prevalentemente dal punto di vista fonologico. Tuttavia, data la

somiglianza tra molte forme flessive della LIS e dell’ASL, non si

può fare a meno di considerare gli studi realizzati per l’ASL che

hanno stimolato alcune considerazioni sull’uso in sintassi dello

spazio che verranno illustrate nel corso di questo capitolo.

Status linguistico dei punti dello spazio.

La questione della natura dei loci spaziali dell’ASL ha portato a

diverse posizioni che possono essere ricondotte a due filoni: il

primo attribuisce loro un valore grammaticale (ad esempio Klima

e Bellugi 1979, Padden 1988, 1990. Bahan 1996, Meier 1990,

Meir 2002); il secondo è discusso principalmente da Liddel

(1995, 2002) per il quale, poiché lo spazio è composto da un

numero infinito di punti, non è possibile individuarli in un modo

fonologicamente determinato, per cui egli afferma che i punti

dello spazio non possiedono il valore di loci grammaticali.

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Liddell (1995) li ritiene piuttosto dei simboli che rappresentano

un’entità mentre il puntamento verso di loro costituirebbe un

sistema pragmatico di determinazione.

Questa premessa mi porta a chiarire i fatti che mi conducono a

definire i punti dello spazio come loci grammaticali giustificando

così la condivisione con le posizioni del primo gruppo. Una prima

evidenza è costituita dagli studi sui segnanti con lesioni

cerebrali che hanno dimostrato che c’è una netta distinzione tra

capacità visivo-spaziale e uso linguistico dello spazio (ad es.

Hickok et al. 1998). Oltre a questo fatto, fenomeni puramente

linguistici conducono a corroborare l’ipotesi dei loci


grammaticali. Ad esempio un fenomeno che prova che i punti

dello spazio hanno valore grammaticale è costituito dal fatto che

nell’articolazione dei verbi flessivi il parametro del luogo

definisce i ruoli tematici del verbo. Ad esempio:

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I punti di articolazione iniziale e finale sono associati all’agente

e al paziente. In caso di argomenti manifesti i punti di

articolazione devono essere necessariamente coindicizzati con

essi, pena l’agrammaticalità della frase.

L’esplicitazione della persona verbale avviene con l’indicazione,

vale a direche l’indice punta verso i referenti, il punto di

articolazione quindi è determinato, per analogia, dalla

localizzazione del referente. L’indicazione del referente è un

ostensione, la grammaticalizzazione dei tratti dello spazio

definiti dall’ostensione è costituita dall’accordo verbale. Gli

accordi di luogo non vengono realizzati solo dai verbi ma anche

da altri tipi di predicati come gli aggettivi e i classificatori. Ad

esempio :

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Ciò conduce alla conclusione, che verrà discussa in dettaglio nel

capitolo 6, che i punti dello spazio costituiscono la forma

fonetica dell’accordo per persona e che la referenzialità dei

tratti dello spazio interessa tutta la proiezione estesa del DP.

Riguardo alla questione dei punti infiniti dello spazio discussi da

Liddel (1995, 2002), occorre chiarire due aspetti. In primo luogo

se nello spazio geometrico i punti dello spazio sono infiniti, non

vuol dire che lo siano anche nella grammatica delle lingue dei

segni: in LIS in un discorso non possono essere introdotte più di

tre (molto raramente quattro) persone. Vale a dire che oltre la

prima e la seconda persona è possibile specificare un'altra o al

massimo due persone. Introdurre più di due persone

grammaticali oltre la prima e la seconda, rende impossibile

l’associazione della flessione e soprattutto il computo mentale

che consente di associare lo spazio alla persona. In secondo

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luogo bisogna osservare che una volta stabiliti i luoghi dei

referenti, i successivi puntamenti dell’indice nella loro direzione

non hanno più valore ostensivo o deittico, bensì anaforico.

Questo aspetto verrà discusso nel dettaglio nel capitolo

seguente.

Nei paragrafi seguenti vedremo come il puntamento in uno

specifico luogo veicola definitezza e specificità, mentre la

mancanza del puntamento, insieme a specifici tratti

sovrasegmentali, è sinonimo di indefinitezza e di non specificità.

Una volta definito il luogo, l’articolazione di un nome flessivo,

vale a dire i nomi che hanno come parametro del luogo un punto

dello spazio (vedi capitolo2), in punto specificato dello spazio, lo

rende specifico e definito.

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La questione degli accordi nello spazio è un punto alquanto

controverso perché se è vero che ai punti specifici sono

associati dei referenti e qualsiasi indicazione deve concordare

con quel punto, è anche vero che nei discorsi spontanei tale

concordanza non è così marcata, vale a dire che se nel discorso

sono state introdotte più persone oltre la prima e la seconda,

per fare riferimento ad ognuna di esse non basta il semplice

puntamento ma occorre specificare un altro elemento di

discriminazione (ad esempio un aggettivo relativo alla persona

indicata) così che è possibile associare l’indicazione al referente.

Ad esempio è possibile distinguere le persone non presenti

fisicamente come quella vecchia, quella giovane, quella bionda

etc.. Quando invece la terza persona è una sola, l’indicazione

verso l’esterno è sufficiente e non è necessario nessun accordo

di luogo. A questo proposito Zimmer e Patschke (1990) segnalano

un esempio per l’ASL che è significativo anche per la LIS.

223
Nell’esempio ci si riferisce ad una terza persona che è seduta

sul sedile posteriore dell’auto; in questo caso il parlante non

utilizzerà come determinate l’indicazione dietro le proprie

spalle.

L’indicazione determinante, in questo caso, punta verso sinistra,

mentre il locativo punta dietro le spalle. Questa situazione è

riscontrabile anche per la LIS, non solo per le persone che

stanno dietro le spalle ma anche per quelle assenti. Questo

esempio chiarisce il senso di ‘referenzialità dell’indicazione’, con

la quale non intendo la coincidenza geometrica del punto indicato

con il referente ma, nel caso in cui il referente è assente,

all’inferenza che tale indicazione richiede per riconoscerlo.

224
2. I tratti dello spazio

Il problema della definizione dei punti dello spazio è una

questione che non ha ancora trovato una soluzione capace di

rispondere, con un'unica simbologia, alle esigenze di

rappresentazione fonologica, morfologica e sintattica della LIS.

In questo paragrafo tenterò di rispondere ad alcune istanze di

descrizione della sintassi delle indicazioni della LIS partendo

dagli studi compiuti sui pronomi e sui dimostrativi (Lyons 1999).

Nel primo sottoparagrafo suddivido lo spazio in tratti semantici

distintivi che individuano i riferimenti rispetto allo spazio

antistante il segnante. Lo spazio, se è neutro rispetto al

segnante e all’interlocutore, si traduce in impersonalità, non

specificità, indefinitezza. Esso è definito quando segnante e

interlocutore costituiscono dei punti di riferimento per

l’identificazione delle persone grammaticali e per le concordanze

verbali. Nel secondo sottoparagrafo specificherò i tratti relativi

al puntamento nello spazio. In esso si chiarirà come il

puntamento che veicola la funzione di pronome sia distinto


225
fonologicamente dal puntamento che veicola il significato di

dimostrativo per quanto riguarda la prima e la seconda persona

grammaticale, mentre vedremo che la terza persona non è

distinta fonologicamente dalla corrispondente coppia

dimostrativo-locativo ma lo è solo sintatticamente.

I tratti semantici

Lyons (1999) osserva che l’opposizione deittica dei dimostrativi

viene espressa dai tratti +/- prossimale. In tal senso i pronomi di

terza persona sono forme di articoli e di dimostrativi

caratterizzati dal tratto [-prox] perché non codificano qualche

grado di distanza o di prossimità. In LIS invece, come abbiamo

già specificato, è necessaria la presenza dell’interlocutore anche

quando si parla di pronomi, per cui essi possono essere

considerati deittici, e quindi è necessario disporre, sia per i

dimostrativivi sia per i pronomi, dei tratti [+/- prox]. Tale

prospettiva costituisce il punto di partenza per l’individuazione

dei punti dello spazio. Partendo dal segnante e dall’interlocutore,


226
si possono individuare i punti più o meno prossimali, o distali, al

segnante e all’interlocutore, specificati dai tratti semantici di

[+/-Prox] e [+/-Dist].

Nella figura 1 è schematizzato il segnante visto dall’alto

(elemento grigio) e lo spazio antistante (o spazio non definito)

rappresentato dal semicerchio tratteggiato. All’interno del

semicerchio ogni cerchietto scuro rappresenta un punto di

articolazione.

Il punto A è quello molto vicino al segnante e, quando

specificato, si riferisce a qualcosa di molto vicino a lui oppure al

segnante stesso (in questo caso c’è contatto con il corpo del

segnante). Il tratto semantico pertinente al punto A è [+ prox];

227
il punto B è il punto più prossimo all’interlocutore e, se

specificato, è chiaramente distante dal segnante e vicino

all’interlocutore e, per questo motivo possiede il tratto

semantico [-prox]. Di conseguenza i punti pertinenti alla prima e

alla seconda persona sono caratterizzati dai tratti [+/-prox]. Per

opposizione, i punti dello spazio specifici, che non appartengono

né alla prima né alla seconda persona, poiché possiedono evidenti

tratti semantici di luogo anche se si riferiscono alle persone,

verranno definiti come [+dist] perché sono distanti sia dalla

prima sia dalla seconda persona. Per i punti caratterizzati dal

tratto [+dist] (nello schema rappresentato dal punto C) la

localizzazione nello spazio segnico viene stabilita dal segnante. I

punti non specificati dello spazio (lo spazio racchiuso nel

semicerchio tratteggiato) semanticamente sono punti neutri e

quindi non definiti; in tal senso la distanza tra interlocutore e

segnante non è significativa, per questo motivo i punti neutri

vengono identificati negativamente come [-dist]. Occorre

precisare che gli spazi caratterizzati dal tratto [+dist] sono gli
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spazi che escono fuori dall’asse parlante-interlocutore che è

segnalato dalla direzione dello sguardo del segnante, vale a dire

che se lo sguardo del segnante è diretto verso un punto dello

spazio che non è proprio quello di fronte a lui, come

esemplificato nello schema, ma è verso un'altra direzione, quella

direzione costituisce l’asse segnante-interlocutore con i tratti

[+/- prox]. I punti che esulano da esso sono i punti

caratterizzati dai tratti [+/-dist].

Se i cerchietti rappresentano un singolo luogo, le linee

tratteggiate in corrispondenza delle lettere rappresentano un

insieme di luoghi definiti rilevati da un breve movimento nello

spazio dell’indice che traccia un arco (o una linea), oppure

rappresentano il luogo di ripetizione di un segno (per esempio i

plurali da due a quattro). Il movimento, che semanticamente

racchiude un insieme di punti in uno specifico spazio, veicola

significato di numerosità. Ad esempio il puntamento in A è legato

a significati come questo qui, io (con indice direzionato verso il

segnante), mentre il puntamento più il movimento della mano o


229
dell’avambraccio, che traccia una linea nello spazio, veicola

significati come questi, qui, noi (con indice direzionato verso il

segnante); il puntamento in B significa codesto, lì, tu (se l’indice

è direzionato verso l’interlocutore), mentre il puntamento più il

movimento significa codesti, voi (se l’indice è direzionato verso

l’interlocutore).

La tabella 1. riepiloga la corrispondenza tra la combinazione dei

tratti semantici [+/-Prox][+/-Dist] e il significato corrisponde

230
Questi tratti di luogo si combinano con altri tratti di movimento

che veicolano altri significati come aspetto di continuità,

anteriorità, posteriorità, distribuzionalità, reciprocità, che non

saranno oggetto di discussione in questa sede, e per i quali si

rimanda a Klima e Bellugi (1979) Corazza (2000b), Pizzuto ed

altri (1995).

Nel paragrafo seguente illustrerò come il puntamento dei luoghi

distinti dai tratti fonologici, sia distinto in tratti fonologici e

grammaticali.

Tratti fonologici e grammaticali dello spazio

Il puntamento in specifici luoghi semanticamente indicati dai

tratti [+/- prox] e [+/-dist] veicola la categoria del dimostrativo,

del locativo e del pronome. In questo paragrafo vedremo come la

coppia locativo-dimostrativo caratterizzata dal tratto [+/-prox]

sia distinta dal pronome di prima e di seconda persona

fonologicamente e grammaticalmente, mentre la coppia

dimostrativo-locativo caratterizzata dal tratto [+/-dist] non è


231
distinta dal pronome di terza persona fonologicamente ma solo

grammaticalmente .

I pronomi personali, esprimendo le specifiche persone

grammaticali, devono identificarle nello spazio definito. Da

questa necessità ne consegue che i tratti semantici dello spazio

che appartengono ai pronomi personali, coincidono con quelli dei

locativi e quelli dei dimostrativi (tabella 1). Il puntamento

relativo alla prima e alla seconda persona grammaticale è

fonologicamente distinto dal verso del puntamento relativo alla

coppia dimostrativo-locativo. In particolare il pronome vede la

mano parallela al piano orizzontale e l’indice che indica la

persona. Il dimostrativo e il locativo richiedono, invece, la mano

perpendicolare al piano orizzontale per cui l’indice punta verso il

basso. La terza persona grammaticale invece non è

fonologicamente distinta dal dimostrativo e dal locativo: in ogni

caso la mano è parallela al piano orizzontale e l’indice punta verso

l’esterno, mai verso il basso1.

232
Benché la prima e la seconda persona siano fonologicamente

distinte dal dimostrativo e dal locativo corrispondente,

segnando, questa differenza si perde.

Poiché il dimostrativo e il pronome di terza persona non sono

distinti fonologicamente, viene da chiedersi se lo siano anche

sintatticamente. Considerando i criteri distribuzionali

dell’indicazione con tratto [+/- prox] e dell’indicazione con

tratto [+/- dist] rispetto al sintagma nominale possiamo

verificare alcuni dati.

Come si può osservare le indicazioni nelle frasi 11 e 12, che si

riferiscono alla seconda persona plurale, possono essere sia

prenominali che postnominali. Le indicazioni delle frasi 13 e 14


233
sono dimostrativi per il fatto che a differenza di quelle delle

frasi 11 e 12 hanno l’indice che punta verso il basso. Al

dimostrativo, a differenza del pronome, è consentita solo la

posizione postnominale come si vede dalla agrammaticalità della

frase 14. Quindi sembra che il pronome abbia una posizione più

libera rispetto al dimostrativo. Ulteriori specificazioni sui

pronomi verranno fatte nei capitoli successivi.

Osserviamo ora la distribuzione dell’indicazione caratterizzata

dai tratti [+dist]. Le frasi seguenti sono caratterizzate dal

fatto che l’indicazione si riferisce al tratto [+ umano]. In esse è

possibile constatare che l’indicazione è consentita nella

posizione postnominale (frase 15), mentre nella posizione

prenominale non è consentita (frase 16), a meno che il tratto

sovrasegmentale non marchi esclusivamente l’indicazione (frase

17).

234
In sostanza il tratto sovrasegmentale della frase 17 marca il

soggetto costituito dal pronome mentre SORDO non fa parte

dello stesso costituente dell’indicazione, per cui il costituente

nominale è composto esclusivamente dall’indicazione. Nel caso in

cui l’indicazione con tratto [+dist] è caratterizzata dal tratto [-

umano], l’indicazione prenominale è esclusa come si può notare

dalla coppia minima di frasi 18 e 19.

A questo punto sembra che l’indicazione prenominale sia

riferibile solo al tratto [+ umano] mentre quella postnominale al

tratto [+/–umano]. Inoltre, l’indicazione, se è riferibile alla prima

o alla seconda persona, come avviene per i pronomi delle lingue


235
orali, seleziona un NP. La selezione dell’NP da parte

dell’indicazione alla terza persona suscita qualche riserva,

tuttavia è più accettabile dell’indicazione prenominale

caratterizzata dal tratto [+umano] (frase 16) rispetto a quelle

con tratto [-umano] (frase 19). Ulteriori approfondimenti su

questo aspetto verranno forniti nel capitolo 7.

In sintesi, questi dati ci suggeriscono che la distribuzione delle

indicazioni caratterizzate dal tratto[+dist] segue le stesse

regole dei pronomi di prima e seconda persona se hanno il tratto

[+umano]; se invece si riferiscono ad esseri inanimati seguono le

stesse regole dei dimostrativi, che come avremo modo si vedere

in seguito, hanno una posizione postnominale. Questi fatti ci

spingono a ritenere che, l’indicazione caratterizzata dal tratto

[+dist] veicola sia il pronome sia il dimostrativo.

le indicazioni come dimostrativi


236
1. Specificità e definitezza

Un referente, quando viene associato ad un punto dello spazio

stabilito dal parlante, rende quel punto specifico. La specificità

intesa in questa sede è quella delineata da Lambrecht (1994),

per la quale un sintagma nominale è specifico quando il suo

referente è identificabile dal parlante. Ad esempio è specifico

un libro che si richiede in biblioteca: la frase: sto cercando un

libro, enunciata mentre si è in biblioteca, significa che chi la


pronuncia ha in mente uno specifico libro, l’identificazione però

può non essere condivisa dall’interlocutore.

In LIS, nel momento in cui un punto dello spazio viene associato

ad un referente, il punto dello spazio diventa referenziale.

L’indicazione che punta ad esso si riferisce a quella determinata

entità e, come tale, il punto dello spazio è anche specifico.

Poiché un punto dello spazio nel momento in cui viene indicato

diventa visibile, e quindi manifesto sia al parlante sia ai suoi

interlocutori, esso diventa referenziale, specifico e

identificabile. In sostanza l’identificazione di un referente con


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un punto dello spazio fa sì che l’indicazione sia portatrice del

significato di specificità, data dal segnante, e di identificabilità,

perché tutti, parlante e interlocutori, riconoscono in quel punto

la sua referenzialità. Poiché un sintagma nominale è “definito”

quando è identificabile (Lambrecht, 1994; Lyons, 1999), in LIS

un punto dello spazio quando viene puntato è innanzitutto

“specifico” (la condivisione con i parlanti lo rende definito), se

poi durante la conversazione viene ripreso esso, diventa

anaforico. In conclusione, il puntamento in una direzione dello

spazio veicola significato sia di specificità che di definitezza.

2. Definitezza e indefinitezza

Il sintagma nominale definito è marcato dall’indicazione oppure,

più raramente, dall’articolazione del nome flessivo, o di un suo

proforma, in quello specifico punto. La definitezza è

caratterizzata da particolari espressioni del volto costituite

essenzialmente dall’inarcamento delle sopracciglia, dal

238
sollevamento della testa, dalla contrazione delle guance e da una

lieve apertura della bocca. ( figura 2 alla fine del paragrafo)

Le stesse espressioni caratterizzano anche il sintagma

topicalizzato. Ognuna di queste espressioni è coestensiva,

singolarmente o con le altre, all’intero sintagma determinante o

solo all’indicazione. La loro co-occorrenza varia in base al

segnante e al tipo di enfasi che viene data al sintagma nominale.

Occorre precisare che le espressioni del volto costituiscono una

sorta di richiamo all’argomento già citato, esse sono

un’enfatizzazione del punto individuato come referenziale. Viste

in quest’ottica non meraviglia il fatto che siano identiche alle

espressioni che caratterizzano il topic.

Poiché l’interesse principale di questo lavoro è l’analisi del

sintagma determinante, non ho focalizzato l’attenzione sulla

ricorrenza dei diversi tratti sovrasegmentali, ma mi sono

concentrata a raccogliere i dati limitatamente al fatto che esse

differenziano i diversi tipi di sintagmi. Sono necessarie analisi

più approfondite per rilevare se l’occorrenza di ognuna di queste


239
espressioni del volto si leghi a determinate circostanze

grammaticali. Ad esempio Aarons (1994) distingue per L’ASL tre

tipi di topics: uno mosso e altri due generati alla base. La loro

differenza viene rilevata dai diversi marcatori non manuali che

caratterizzano ognuno di essi.

In LIS, la definitezza è marcata da particolari espressioni del

volto che si distribuiscono sull’intero DP. Tali espressioni

caratterizzano anche i sintagmi topicalizzati. Se l’indicazione è

esplicita le espressioni possono essere limitate anche solo

all’indicazione, o addirittura essere del tutto omesse; se invece

l’indicazione viene omessa, è necessario che le espressioni del

volto marchino l’intero DP. Nella frase 1, il DP occorre senza

indicazione ed è marcato da specifiche espressioni del volto.

240
Se il puntamento in una specifica direzione dello spazio denota

definitezza (singolare in un solo punto, plurale se il puntamento

prende più punti su una linea), il segno, che semanticamente

racchiude più punti dello spazio, esprime indefinitezza:

esso è costituito dalla stessa configurazione manuale

dell’indicazione, ovvero la configurazione G, la quale, anziché

essere puntata in uno specifico punto, esegue un movimento

circolare.

Nella frase 5 la parola UNO-QUALSIASI è caratterizzata dal

movimento dell’avambraccio, mentre l’UNO indefinito della frase

4 è distinto dall’UNO numerale della frase 3 da due elementi:

241
dal movimento tremolante dell’avambraccio e da un particolare

tratto sovrasegmentale costituito da un atteggiamento delle

labbra con la rima labiale ad U rovesciata verso il basso (fig. 3

alla fine del paragrafo). Lo stesso tipo di differenza tra definito

e indefinito lo si riscontra anche per l’ASL (Mac Laughlin 1986,

Neidle ed altri 2000). Una prova a sostegno di questa

distinzione è costituita dal fatto che il numerale può ricorrere

insieme ad un’indicazione locativa definita (frase 6) mentre

l’articolo indefinito no (frase 7).

I segni che veicolano indefinitezza non vengono localizzati in uno

specifico punto, essi sono articolati in uno spazio neutro (nella

figura 1 segnalato come un cerchio grigio al centro dello spazio

segnico) che corrisponde allo spazio posizionato in un punto non

marcato, “comodo”, per chi segna.


242
Il segno di indefinito (o di numerale) può essere localizzato in

una zona distinta dalle altre nella figura 1 segnalate dai cerchi

tratteggiati (A,B,C) in tal caso il luogo, costituisce un elemento

di accordo con le persone.

L’indicazione con movimento circolare nel punto A significa in

quest’area, fra questi (con indice puntato verso il basso) oppure


uno tra noi (con indice puntato verso l’alto). L’indicazione con
movimento circolare nel punto B corrisponde al significato tra

codesti (con indice puntato verso il basso) uno di voi (con indice
puntato verso l’interlocutore), e nel punto C, con indice puntato

verso le persone, uno tra loro, uno di quelli.

243
Riepilogando
I tratti dello spazio sono riferibili a concordanze di persona, e ,

come è stato spiegato nel capitolo 5, di tempo e luogo.

Un solo punto localizzato è definito, singolare, e

necessariamente concorda.

Più punti in fila localizzati sono definiti e plurali, e concordano.

Un insieme raggruppato di punti è indefinito e può concordare.

Se non concorda è impersonale.

L’indicazione, se è orientata verso gli interlocutori, è riferibile

alle persone grammaticali (singolari o plurali); se invece è


244
orientata verso il basso, caratterizzato dai tratti [+/- prox], si

riferisce allo spazio. L’indicazione orientata verso l’esterno non è

distinta fonologicamente: essa si riferisce sia alle persone

grammaticali (singolari e plurali) sia allo spazio.

3. Sullo status grammaticale dell’ indicazione: deissi e

anafora

Da quanto detto fin ora risulta chiaro che l’interpretazione dei

vari punti dello spazio necessita di coordinate spaziali

contestuali introdotte dalla presenza del segnante e

dell’interlocutore; per questo motivo le informazioni veicolate

dallo spazio sono deittiche. Attraverso la simbologia (indicata

nell’appendice), viene specificata la localizzazione nello spazio: la

glossa IX corrisponde ad un indicazione, se marcata nello spazio,

in basso presenta degli indici che corrispondono a specifiche

persone verbali (1p, 2p, 3p, 1p-plu, 2p-plu, 3p-plu) o specifici

punti (3p/a 3p/b). I segni localizzati in un medesimo punto sono

coindicizzati con lo stesso referente.


245
L’indicazione in un determinato punto è la principale forma di

deissi, essa può riferisi a persone (deissi personale), a luoghi

(deissi spaziale) e a tempi (deissi temporale). Prima di analizzare

i vari tipi di deissi vale la pena soffermarsi sul senso di tale

termine per chiarire il suo uso in questa sede.

Lyons (1999:160) individua due sensi di deissi: il primo è dato

dalla la deissi propriamente detta che distingue un referente

per associazione o prossimità a coordinate definite dal parlante,

il secondo è costituito dall’“ostensione” il cui compito è

indirizzare l’attenzione dell’interlocutore attraverso un

riferimento. In sostanza l’ostensione definisce mostrando, la

deissi definisce con dei riferimenti.

Lyons (1999) nota che in Lyons (1975), il termine “deissi” viene

utilizzato indistintamente in entrambi i sensi, in questo modo la

deissi sarebbe alla base della definitezza della referenza:

poiché in tal senso la deissi equivale ad ostensione, sarebbero

ostensivi i dimostrativi e gli articoli, considerati invece da Lyons

246
(1999) deitticamente neutri perché non danno informazioni

riguardo ai tratti prossimaledistale.

Inoltre secondo Lyons (1975), come forma semplice di

riferimento ad un’entità presente nella situazione comunicativa,

la deissi può essere usata per riferirsi ad eventi nel presente,

nel passato e nel futuro e quindi distale o prossimale allo stesso

modo dei dimostrativi così da includere nella sua funzione anche

quella di anafora. Lyons (1999) critica questa posizione

aggiungendo che, se è l’ostensione, piuttosto che l’anafora, il tipo

i definitezza archetipica, ci si dovrebbe aspettare che esistano

lingue che hanno solo questo tipo di definitezza, in cui l’articolo

definito si riferisce unicamente a qualcosa di effettivamente

percepibile. Nel paragrafo seguente sarà possibile verificare

come in LIS l’indicazione si riferisce solo a qualcosa di

effettivamente percepibile, ma vedremo anche che, in

concordanza con le posizioni di Lyons (1999), che l’indicazione

possiede lo status di dimostrativo piuttosto che di articolo.

247
Prima di passare ad esaminare i dati della LIS, vale la pena

riconsiderare alcune argomentazioni che sulla deissi che

semanticamente illustrano bene alcuni aspetti, non solo della

LIS, ma delle lingue che utilizzano lo spazio come strumento per

la referenzialità. In primo luogo, se consideriamo la distinzione

di Hawkins (1978) tra articolo e dimostrativo, secondo la quale

l’articolo dà istruzioni per trovare i riferimenti nella situazione

comunicativa mentre il dimostrativo dà istruzioni per

identificare il referente stesso (per questo la visibilità fa parte

del suo significato) assistiamo ad una sovrapposizione, di due

piani: in LIS è evidente che i riferimenti della particolare

situazione comunicativa sono dati dallo spazio e l’indicazione su

di loro richiede visibilità. In secondo luogo la posizione di Lyons

(1975), non condivisa da Lyons (1999), che vede la deissi come

referenza anaforica, può essere applicata alla LIS, per la quale i

dimostrativi distale e prossimale si legano semanticamente

all’evento più o meno recente, come all’entità citata più o meno

recentemente. Vale a dire che la referenza anaforica impone il


248
trasferimento dei concetti deittici di base spaziale, alla

dimensione temporale del discorso2.

Ciò significa che non solo la distinzione semantica e fonologica

tra le deissi spaziale, temporale e personale è alquanto sottile

tanto che in LIS esse condividono gli stessi tratti semantici

spaziali (tabella 1 capitolo 5), ma anche la distinzione tra

ostensione e deissi, realizzata da Lyons (1999) non è molto

evidente perchè in LIS nelle situazioni in cui il referente è

presente l’indicazione equivale all’ostensione.

Solo se il referente non è fisicamente presente, l’indicazione

mostra il punto dello spazio associabile al referente, in questo

caso è la deissi definita da Lyons (1999).

Occorre osservare però che ci sono casi in cui l’indicazione punta

verso uno spazio che non necessariamente è associabile al

referente come il caso della frase 10 del capitolo 5. Inoltre

nelle conversazioni spontanee è possibile osservare che le

indicazioni non sempre concordano con lo spazio del referente.

Ciò dimostra che anche i punti dello spazio, benché costituiscano


249
lo strumento di specificazione di relazioni grammaticali, possono

subire un astrazione tale da estraniare l’indicazione da essi. Cioè

il segno dell’indicazione può arrivare ad assumere un valore

grammaticale che non necessariamente è inferibile dal luogo

puntato.

3. La deissi è anche articolo?

Gli studi sull’identificazione della definitezza (Hawkins 1978,

Christophersen 1939, Lyons 1999), hanno rilevato alcune

costanti sull’occorrenza degli articoli definiti. La prima è data

dalla familiarità del referente. Ad esempio nella frase: hai

parcheggiato l’auto? Sia il parlante che l’interlocutore sanno di


quale auto si sta parlando. Un secondo fenomeno, in presenza del

quale ritroviamo l’articolo, è l’identificabilità, in questo caso il

referente è immediatamente visibile o inferibile

dall’interlocutore. Ad esempio il parlante sta su una scala e parla

con un suo amico, nelle immediate vicinanze c’è un solo martello,

la frase: passami il martello si riferisce all’unico martello


250
individuabile in quel contesto, oppure se si arriva in ritardo ad un

appuntamento e si dice: il treno era in ritardo, l’interlocutore

deduce di quale treno si sta parlando. Un terzo elemento di

definitezza è dato dall’unicità: un elemento unico nel suo genere

è, specifico e definito, ad esempio il sole, il Papa, in un

matrimonio lo sposo è unico. Con i nomi plurali e di massa l’unicità

diventa anche inclusività, ad esempio la frase quella di Abano è

la migliore acqua termale include tutta l’acqua di Abano; oppure


I primi visitatori della biennale è l’insieme delle persone che
arrivano per prime alle biennale.

In tutte queste situazioni in LIS l’occorrenza del segno manuale

di definitezza costituito dall’indicazione non è obbligatoria.

Nelle frasi che seguono si possono osservare situazioni di

familiarità, identificabilità, unicità e inclusività che sono

grammaticali anche senza l’indicazione.

251
Nonostante le indicazioni non siano obbligatorie (come si può

notare dal fatto che sono state inserite tra parentesi), nell’uso

comune esse ricorrono molto spesso.

Osserviamo adesso le situazioni in cui è necessaria l’indicazione.

Occorrenza dell’indicazione

Prendiamo come esempio le situazioni in cui ricorre l’indicazione

con gli elementi unici.

252
Abbiamo visto nel paragrafo precedente che l’unicità non

richiede necessariamente l’indicazione; nelle frasi 13 e 14 però il

sole e il Presidente della Repubblica sono identificati in un


preciso momento, vale a dire che si tratta di un sole specifico,

quello di oggi, e del Presidente della Repubblica attualmente in

carica.

La frase 14, infatti, se intesa in senso generico non ammette

indicazione come si vede dal confronto con la frase 12.

Un altro caso in cui la deissi è obbligatoria è quella in cui

l’indicazione ha un valore anaforico, vale a dire si riferisce ad un

elemento appena citato (frase 15).

253
Le occasioni in cui le indicazioni occorrono sono comunque

riconducibili a situazioni che possono essere veicolate da un

dimostrativo (questo sole, questo Presidente della Repubblica,

quella donna).3
D’altro canto, come si può notare dalle frasi 16 e 17, i nomi

astratti non ammettono indicazione:

A meno che non vengano personificati (frase18), oppure ci si

riferisca ad essi come peculiari rispetto ad altri (frase 19).

Da quanto detto si evince che gli elementi deittici sono dei

marcatori di esistenza e di referenzialità. Essi occorrono solo se

si riferiscono a qualcosa di percepibile concretamente (la frase

254
18 infatti è possibile se c’è una personificazione di dio, ad

esempio davanti ad una sua immagine) e fungono da veicolo di

referenza specifica ad un’entità presente nella situazione

comunicativa oppure nella mente dei i membri della

conversazione. Un’ulteriore prova a sostegno di questa ipotesi è

costituita dal fatto che l’identificazione di specifiche parti del

corpo avviene attraverso l’indicazione. In altri termini

l’ostensione ha in sé i tratti di definitezza; a tal fine risulta più

economico articolare con la mano non dominante che non

specificare con tratti sovrasegmentali come è mostrato nella

frase 21.

Una situazione simile è stata già descritta per L’ASL da Zimmer

e Patschke (1990). Le due autrici rilevano che in ASL i

255
determinanti non possono occorrere con i nomi astratti e

possono riferirsi solo a situazioni concrete.

Si verifica quindi la condizione, illustrata nel paragrafo

precedente e criticata da Lyons (1999), per la quale se

l’ostensione è archetipica ci si dovrebbe aspettare che esistano

lingue in cui l’articolo definito si riferisce solo a qualcosa di

effettivamente percepibile; le situazioni descritte per la LIS

sono tutte relative a condizioni di reale percepibilità. Tuttavia,

in accordo con l’autore, tutte le situazioni in cui la deissi ricorre,

possono essere rese con un dimostrativo: in LIS, gli elementi

deittici come dimostrativi sono “matching constraints” (Hawkins

1978); vale a dire che di fatto sono delle ostensioni poiché la

situazione comunicativa richiede visibilità.

L’indicazione, associando ad un luogo specifico un NP specifico,

può avere valore pronominale o anaforico. Vale a dire che i

dimostrativi possono essere utili ad indicare i referenti

menzionati in precedenza in un discorso. Un esempio del genere

è dato dalla frase 17 nella quale l’indicazione IXi (indicata in


256
neretto) è coindicizzata con città e può essere tradotta con un

dimostrativo.

La coindicizzazione al pedice delle glosse segnala coincidenza

(non sempre geometrica) dei luoghi di articolazione. Tale

coincidenza sembra essere una regola normativa più che una

regola di tipo sintattico, infatti nei discorsi spontanei non di

rado le indicazioni puntano in un luogo diverso dal referente.

Questo fatto fa propendere per una funzione puramente

grammaticale delle deissi che, in alcuni casi, sembra prescindere

dalle ostensioni. Può darsi che l’indicazione evolva verso un

valore meno iconico e più astratto6.

Proseguendo il percorso delle frasi elicitate, continuando a

seguire il discorso critico di Lyons (1999), un altro fenomeno che

ci dovremmo aspettare nel caso in cui l’ostensione piuttosto che

l’anafora sia essenziale per la definitezza, è di trovare lingue in

cui occorrano due tipi di articoli, uno per situazioni ostensive e


257
uno per situazioni anaforiche. Le situazioni sono accomunate dal

fatto che hanno il referente immediatamente accessibile. Il

feringio (dialetto del nord della Frisia) possiede due tipi di

articoli: il primo (l’articolo D) il cui riferimento è anaforico,

cataforico e ostensivo, vale a dire che ha riferimenti nel testo

stesso o riferibile ad un contesto visivo, il secondo (l’articolo A)

il cui riferimento richiede un’inferenza cognitiva, una conoscenza

più ampia del mondo7. Aggiunge Lyons (1999) che può darsi che

la situazione in cui sia richiesto l’articolo D sia un dimostrativo e

che invece il vero articolo sia l’articolo A. In LIS abbiamo una

distinzione analoga al feringio; vale a dire che l’indicazione viene

ampiamente utilizzata sia quando ha significato anaforico e

cataforico sia quando il referente è mentalmente visibile e che

in tutte queste situazioni l’ostensione può essere resa con un

dimostrativo. Nella situazione in cui per riconoscimento del

referente è richiesta un’inferenza cognitiva, invece, l’indicazione

viene omessa anche se si tratta di referenti unici (il sole) o

familiari, conosciuti ad entrambi gli interlocutori (le scarpe). Nel


258
paragrafo 4 si chiarirà perché questo tipo di determinante non è

fonologicamente realizzato.

3.3. Criteri distribuzionali della deissi

Osservando le frasi del paragrafo precedente è possibile notare

che l’indicazione segue il nome. Dal confronto dei criteri

distribuzionali con l’ASL emergono altri dati significativi sulla

definizione del suo status.

In ASL (Neidle ed al.2000) il DP è interpretato come definito

quando viene marcato da specifici tratti sovrasegmentali e

quando l’indicazione è prenominale.

L’indicazione prenominale non è obbligatoria con il sintagma

nominale definito se la marcatura non manuale si distribuisce su

tutto il DP.

259
L’indicazione postnominale in ASL può ricorrere in sintagmi

nominali sia definiti sia indefiniti ed ha valore locativo.

L’indicazione locativa può ricorrere con il determinante.

In LIS la deissi, quando occorre con l’NP, è postnominale e può

avere entrambe le interpretazioni.

Anche in LIS possono occorrere due deissi, in questo caso una è

prenominale e l’altra è postnominale, in questo caso però la prima

indicazione è appena accennata mentre la seconda è più marcata.

La durata dell’articolazione delle indicazioni molto probabilmente

è riferibile ad indicazioni forti o deboli, sembrerebbe quindi che

esistano dei dimostrativi deboli così come i pronomi deboli che

verranno illustrati nel capitolo seguente. Non approfondirò

questo aspetto: in questa sede vengono considerate solo

260
indicazioni forti; i casi dubbi, come la prima indicazione della

frase 27 verranno solo segnalati.

Nella frase 27 occorre capire se entrambe le indicazioni

appartengono alla stessa categoria o se una di esse sia un

locativo. In ASL esiste una situazione analoga attestata da Mac

Laughlin (1997). A tal proposito la studiosa afferma che la prima

indicazione è un articolo mentre la seconda è un locativo. La

flessione per il plurale, che è possibile per la categoria degli

articoli ma non dei locativi, è ammessa solo nella prima

indicazione (frase 28) e non nella seconda (frase 29)

In LIS è vero il contrario: è più facile che concordi la seconda

indicazione piuttosto che la prima come dimostrano le frasi 30 e

261
30a, occorre però ribadire che la prima indicazione è quella che

presenta una durata più breve.

A questo punto si potrebbe ipotizzare che la prima indicazione

sia un locativo e la seconda un dimostrativo, ma è necessario che

tale ipotesi venga confermata da ulteriori dati. E’ possibile

anche che la prima indicazione sia un dimostrativo debole, visto

che la durata dell’articolazione è inferiore alla quella della

seconda indicazione, e che la seconda indicazione sia o un

dimostrativo forte.

Brugè (2000:144) analizza la sequenza dimostrativo-locativo

nello spagnolo, come ad esempio la frase 31 (42 in Brugè, 2000).

L’autrice propone che la funzione del locativo è quella di

afforzare il valore deittico del dimostrativo. Anche nello


262
spagnolo, come nella LIS (vedi frasi 26 e 27), la presenza del

locativo non incide sull’interpretazione del DP; del resto l’autrice

nota che la deissi indipendente, con valore rafforzativo, può

essere espressa anche in maniera gestuale.

Riepilogando: le indicazioni in LIS veicolano il dimostrativo, il

locativo e, vedremo nel capitolo 7, il pronome. In questa sezione

mi sono soffermata sull’indicazione postnominale ed ho chiarito

che si tratta di un dimostrativo.

Nonostante in alcuni casi essa possa sembrare un articolo, ho

dimostrato come la sua occorrenza sia dovuta più a significati

legati all’esistenza che non a situazioni in cui generalmente

ricorre l’articolo (unicità, familiarità, identificabilità, eccetera).

Nel paragrafo seguente si chiariranno alcuni elementi che

riguardano la proiezione estesa del DP riguardo alla posizione del

dimostrativo.

263
4. Il determinante vuoto

In LIS un DP senza indicazione e senza nessun tratto

sovrasegmentale è ambiguo tra l’interpretazione definita,

indefinita, generica ed esistenziale. E’ interessante notare come

anche in ASL l’assenza di indicazione, quindi il “bare noun”, possa

essere interpretato sia come definito che come indefinito e che

la sua interpretazione dipenda dal contesto .

Nel paragrafo precedente abbiamo visto come il tratto

sovrasegmentale che caratterizza il DP in LIS, in assenza di un

dimostrativo lessicale è obbligatorio con i nomi definiti. Se non

c’è nessun tratto sovrasegmentale che caratterizza il DP

nessuna localizzazione nello spazio del nome, ci sono due possibili

interpretazioni: o l’interpretazione viene definita dal contesto,

ad esempio il libro è l’argomento della conversazione per cui,

essendo conosciuto da entrambi gli interlocutori, la sua


264
interpretazione è definita; oppure, se il libro non è l’argomento

di conversazione, l’interpretazione è indefinita o generica o

esistenziale.

Ho già accennato al fatto che il tratto sovrasegmentale che

caratterizza il DP, che ho indicato come tratto DP, è lo stesso

tratto che caratterizza il topic. Per questo motivo è molto

probabile che si tratti di un topic; del resto molti

comportamenti della LIS sono caratteristici delle lingue “topic

prominent” (Huang, 1984). In LIS se l’argomento è noto ad

entrambi gli interlocutori viene localizzato nello spazio

attraverso l’indicazione o il classificatore o il nome stesso; tale

localizzazione viene accompagnata da una marcatura con i tratti

sovrasegmentali. Se non viene espresso almeno uno di questi

elementi, l’argomento può essere interpretato anche come

indefinito o generico o esistenziale. Le frasi che seguono

mostrano tre tipi di DP: un soggetto (frasi 34, 35) in cui

l’indicazione non è obbligatoria ai fini della definitezza ma è

obbligatorio il tratto sovrasegmentale; un DP oggetto in


265
posizione postverbale in cui l’indicazione è essenziale perché il

DP non venga interpretato come generico o esistenziale (frase

36); un DP oggetto in posizione preverbale in cui l’indicazione ai

fini della definitezza è opzionale ma è obbligatorio il tratto

sovrasegmentale (frase 37). Quest’ultima posizione è

sicuramente più marcata rispetto alla posizione postverbale.

Nella frase 38 CITTÀ può essere marcato per pluralità

(tratto+++)10 in questo caso l’articolazione del segno in uno

spazio specifico conferisce un’interpretazione definita e non

generica, nella frase 39 il nome città non è marcato né da un


266
indicazione né dal plurale e la sua interpretazione può essere

definita, generica o esistenziale, essa dipende dal contesto.

L’NP MILITARE della frase 40 ha un’interpretazione definita

ma non marcata.

I nomi CITTÀ, MILITARE e MELA non sono marcati per il

plurale e sono neutri riguardo alla distinzione singolare plurale

così come è neutro il nome ACQUA della frase 17 che qui

riprenderemo con il numero 41.

267
Nella figura 1 del capitolo 5, abbiamo visto che la distinzione tra

singolare e plurale nel dimostrativo è data da specifici tratti

morfologici. In questo caso vediamo che il nome è

morfologicamente neutro rispetto all’interpretazione

singolare/plurale.

Il fatto che il nome possa ricorrere anche senza un

determinante foneticamente realizzato, e in tal caso la sua

interpretazione può essere generica o esistenziale, supporta

l’assunzione di Longobardi (1994:633) circa l’esistenza di un

determinante vuoto che avrebbe la funzione di ospitare un

operatore che lega una variabile la cui estensione spesso è

costituita dal tipo di testa nominale che esso seleziona. In

particolare Longobardi (2001), partendo dai precedenti studi

sull’individuazione delle proprietà comuni delle lingue che

presentano un nome senza articolo (Longobardi 1994) distingue il

gruppo delle lingue romanze (ad eccezione del francese

moderno) da quello delle lingue germaniche e dell’inglese. I due

gruppi differiscono in distribuzione sintattica e in


268
interpretazione semantica; in particolare, nel primo gruppo i

nomi senza articolo sono solo in posizione di oggetto, non

possono essere soggetti preverbali perchè devono essere

lessicalmente governati e ricevono solo l’interpretazione

indefinita o esistenziale e, in alcuni casi, anche generica; nel

secondo gruppo invece, i nomi senza articolo ricorrono in tutte le

posizioni argomentali e, oltre alle possibilità interpretative del

primo gruppo, i nomi senza articolo sono anche riferibili al

genere o ai generici definiti. A tal proposito si osservi la

differenza tra le seguenti frasi:

Sulla base dei dati forniti nelle frasi di questo paragrafo (34-

41), in LIS ritroviamo la stessa situazione parametrizzata da

Longobardi (1994) per il gruppo delle lingue germaniche e per


269
l’inglese. Ovvero il nome senza articolo può stare in qualsiasi

posizione argomentale e la sua interpretazione è generica,

esistenziale, indefinita o definita. Nelle frasi 47 e 48 è possibile

osservare che il nome senza indicazione può stare in una

posizione lessicalmente non retta ed essere interpretato in

maniera definita.

In LIS, però, a differenza delle lingue germaniche il “bare noun”

è introdotto al singolare e non al plurale come in 44. A tal

proposito Longobardi (2001) specifica con la stessa

interpretazione dei nomi senza determinanti, come l’inglese o le

lingue germaniche. Per tali lingue, come la LIS, gli argomenti

senza articolo sarebbero parametricamente limitati ad una

forma non marcata. Come sostiene Longobardi (2001), esistono

lingue che possedendo solo l’articolo definito, il nome senza


270
articolo al singolare ha un interpretazione esclusivamente

indefinita, di conseguenza è alquanto improbabile che esistano

lingue che realizzino un insieme complementare a queste, ovvero

che possiedono solo l’articolo indefinito mentre il nome senza

articolo riceve un interpretazione definita. In questa situazione,

sostiene l’autore, è possibile concepire un nome senza articolo e

non marcato oppure un nome con articolo e marcato. In LIS il

nome senza articolo non riceve un’interpretazione marcata e,

come abbiamo già visto, essa è ambigua tra la definita e

l’indefinita.

Quando il nome è ripetuto in punti diversi dello spazio, veicola il

significato marcato di numerosità. Allo stesso modo il nome è

definito quando viene articolato in un punto specifico dello

spazio; infine sono marcate le indicazioni, sia singolari che

plurali, che accompagnano il nome e gli conferiscono il senso

della definitezza.

E’ stato chiarito che la manifestazione evidente dell’esistenza

del DP in LIS è costituita dai tratti sovrasegmentali (lievi


271
espressioni del volto o un sollevamento del mento) che occorrono

sull’intera proiezione estesa. E’ necessario un esame

approfondito dell’occorrenza di tali espressioni per escludere la

possibilità che ognuna di esse abbia altre funzioni. A questo

punto è chiaro che il DP in LIS ricorre senza che vi sia un

determinante foneticamente realizzato, esso perciò può

costituire una categoria vuota, Nel paragrafo successivo passerò

ad analizzare la struttura del DP.

5. Struttura del DP

Nei paragrafi precedenti ho affermato che l’indicazione che

accompagna un sintagma nominale ha le proprietà del

dimostrativo piuttosto che quelle dell’articolo.

Questo paragrafo sarà dedicato all’analisi della struttura in LIS.

Quadro teorico

Per l’analisi del DP in LIS, adotterò il quadro teorico sul DP di

Giusti (1993, 1994) la quale, differenziando lo statuto


272
categoriale tra articolo e dimostrativo, concepisce quest’ultimo

non come una testa ma come una proiezione massimale generata

nello specificatore di una proiezione funzionale (AgrP)

posizionata appena sotto il DP. Giusti (1993), prendendo in esame

i dati di alcune lingue in cui articolo e dimostrativo ricorrono

insieme, propone che il dimostrativo quando è post-nominale

rimanga nella posizione in cui è generato mentre l’articolo rimane

in posizione prenominale; quando invece il dimostrativo ricorre in

posizione pre-nominale e senza articolo, si sollevi dalla sua

posizione originaria e prenda il posto dello specificatore del DP.

Tuttavia Giusti (1997, 2002) e Brugè (2000, 2002) propongono

che la proiezione del dimostrativo sia generata in una posizione

molto vicina al nome per cui molto bassa; più avanti vedremo

come possono essere spiegate queste posizioni per la LIS. Giusti

(1993, 1994, 1997) propone di considerare il DP come la

proiezione funzionale più alta del nome, dove il nome risale da

una posizione più bassa per controllare i suoi tratti di accordo.

Giusti (2005), seguendo la linea di assimilazione del DP al CP,


273
assume l’analisi di Rizzi (1997) sullo split CP, proponendola per

uno split DP in cui la proiezione funzionale più alta è il DP che è

la controparte nominale di ForceP. D’altro canto la proiezione

funzionale dp è la controparte nominale di FinP. Tra le due

proiezioni ci sono le proiezioni di TopicP e FocusP:

La testa del DP controlla i tratti di caso assegnati all’NP, lo

specificatore invece ospita l’operatore che consente

l’interpretazione del sintagma nominale.

L’operatore può essere nullo oppure essere un dimostrativo che

conferisce l’interpretazione dell’NP a livello di forma logica. In

sostanza lo specificatore di DP è rilevante ai fini

dell’interpretazione in forma logica. La proiezione DP ha lo scopo

di selezionare gli elementi che marcano la classe nominale come

ad esempio gli articoli. Le due proiezioni sono disgiunte sole se le

proiezioni di TopP e FocP intermedie sono riempite, altrimenti si

presentano in un'unica proiezione DP.


274
La struttura del DP in LIS

Nei capitoli 2 e 4 abbiamo visto la modalità con la quale avviene

l’accordo tra il nome e il verbo: è stato chiarito che i punti dello

spazio fissati dal segnante sono specifici e definiti, essi perciò

costituiscono la referenzialità del nome; con questi punti

concordano nomi, indicazioni,11 nonchè i classificatori, che

costituiscono una proforma dei nomi che non consentono

variazioni di luogo perché articolati sul corpo; per questo i

classificatori accordano con i punti definiti dello spazio in luogo

del nome.

Si capisce così come il parametro del luogo costituisca un

parametro di accordo sia della morfologia verbale (capitolo 2)

sia della morfologia nominale (capitoli 3, 4, 5 e 6).

Nei paragrafi precedenti ho proposto che l’indicazione che

accompagna un sintagma nominale abbia le proprietà del

dimostrativo e non dell’articolo come avviene per l’ASL. Ho

chiarito che il nome è introdotto da una categoria funzionale

lessicalmente vuota che ho assunto essere il DP. La presenza di


275
questa categoria è dimostrata da alcuni tratti sovrasegmentali

evidenti e/o dai tratti dello spazio resi evidenti dall’indicazione

oppure dall’articolazione del nome in un punto specifico dello

spazio. Nel caso in cui il nome è sostituito da una sua proforma,

come il classificatore12, i tratti definiti dello spazio specifico,

in cui il classificatore viene articolato, costituiscono lo “spell-

out” del DP.

Considerato che in LIS la referenzialità e l’accordo per persona

è costituito dai punti specifici dello spazio, la specificazione di

un punto dello spazio potrebbe costituire la realizzazione

morfologica del caso astratto. Seguendo Giusti (2005) assumerò

che la realizzazione morfologica del caso è collocata nella testa

D°, per cui i tratti dello spazio sono generati in D° mentre la

posizione di specificatore della proiezione DP, che conferisce

valore all’interpretazione del DP, seguendo l’ipotesi di

Longobardi (1994), è disponibile per ospitare l’operatore nullo la

cui esistenza è dimostrata dalla marcatura con tratto

sovrasegmentale che, in assenza di un dimostrativo, deve


276
distribuirsi obbligatoriamente su tutto il costituente nominale.

In tal senso, la struttura del DP senza indicazione, in cui il nome

è marcato dai tratti sovrasegmentali ma non da un dimostrativo

(ad esempio quello della frase 9 che qui ripeterò con il n. 49),

considerato anche quanto spiegato nei capitoli precedenti, è la

seguente:

Una seconda ipotesi considera che la posizione di specificatore

del DP sia una posizione vuota. Ho già spiegato che quando

l’articolazione manuale del nome è localizzata in un punto

definito, conferisce all’NP interpretazione definita. In tal caso,

poiché siamo in presenza di tratti di luogo forti, è possibile

ipotizzare il sollevamento dell’NP fino alla posizione di Spec DP.

In tal senso l’NP si solleva per controllare i suoi tratti


277
morfologici di spazio in DP, prima dello “spell-out” (Chomsky

2005). Spec DP riempito dall’NP rende visibili i tratti dello

spazio e conferisce referenzialità al nome.

Ad esempio nella frase 50 il DP è caratterizzato

dall’articolazione in uno specifico punto dello spazio.

Il movimento del sintagma, MOBILE ANTICO è analogo a quello

illustrato nella figura 5 per l’NP PRESIDENTE REPUBBLICA

Il dimostrativo post nominale

In questo paragrafo osserveremo alcune frasi in cui è presente

il dimostrativo in posizione postnominale. Ho specificato che gli

elementi deittici in LIS sono dei marcatori di esistenza. Essi

infatti ricorrono solo in presenza di entità percepibili (vedi frasi

16-18). Abbiamo visto che un nome numerabile o di massa senza

278
dimostrativo non deve essere necessariamente interpretato

come esistenziale (vedi frasi 33, 39, 40 e 48). Con questi dati

sembra proprio possiamo assumere l’ipotesi di Casterns (1991):

l’autrice, presentando i dati della lingua Kiswahili, che non ha

articoli ma solo dimostrativi prenominali o postnominali, propone

che quando il dimostrativo è prenominale, si comporti da

determinante; quando invece è postnominale, poiché si colloca

dopo il nome e prima di altri elementi come i possessivi, l’unico

sistema per spiegare questa distribuzione è trattalo come un

aggettivo e quindi assumere che sia un aggiunto generato in una

posizione di specificatore di una proiezione funzionale.

In LIS il dimostrativo è postnominale ma, a differenza della

situazione appena descritta, segue anche tutti gli altri elementi

appartenenti alla proiezione del DP come gli aggettivi, i numerali

e i possessivi. Abbiamo visto che la distribuzione degli elementi

indagata nei capitoli precedenti, è: N > A > Num > Dim.

Se assumessimo la posizione di Casterns (1991) e quella di Giusti

(1993) potremmo spiegare la distribuzione degli elementi nella


279
proiezione estesa del DP ipotizzando il sollevamento dell’NP con

pied piping degli aggettivi e del numerale che, scavalcando la

proiezione di DimP posizionata appena sotto il DP, si colloca nello

specificatore del DP. In questo modo si spiega la distribuzione

speculare dell’NP con i suoi modificatori rispetto alla struttura

profonda (per ulteriori spiegazioni si rimanda al par. 5 e 5.1 del

cap.3 e al par. 5 del cap.4) e si spiega anche la posizione finale

del dimostrativo. Se invece assumiamo con Giusti (1997, 2002) e

Brugè (2000, 2002) che DimP è generato in una posizione molto

vicina al nome, possiamo dar conto della distribuzione degli

elementi ipotizzando lo stranding del dimostrativo.

Nella frase 14, che qui indico con 50, si parla di un referente

individuato in uno specifico momento. Va puntualizzato che la

situazione di momentaneità è data dall’aspettuale FATTO. Il

PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA della frase 12, qui indicata


con 52, benché unico, è riferibile ad una situazione generica.

280
In questo caso la posizione del dimostrativo rimarrebbe nello

specificatore della proiezione di AgrP immediatamente dominata

dalla proiezione del DP. In LIS abbiamo una situazione analoga

per quanto riguarda il dimostrativo post-nominale.

281
Un'altra possibile ipotesi prende in considerazione gli studi di

Tasmowsky (1990) sui dimostrativi, di Progovac (1998) sulla

definitezza e quelli di Giusti (2005). L’indicazione in LIS è il

principale veicolo della definitezza e questa può essere deittica

o anaforica, come già specificato nel paragrafo 3. Tasmowsky

(1990) individua per il francese un dimostrativo tematico

(deissi), preposto al nome, mentre per il rumeno un dimostrativo

rematico (anafora) posposto al nome. Nel quadro teorico

delineato da Giusti (2005) ambedue le situazioni trovano una

risposta, vale a dire che se l’indicazione è tematica controlla i sui

tratti nella posizione di Topic P del DP diviso, se è rematica, il

“checking” avviene nel FocusP del DP diviso. In LIS abbiamo una

deissi tematica quando l’informazione è nuova; quando invece

l’informazione non è nuova, il riferimento spaziale è anaforico e

quindi rematico.

I casi visti finora sembrerebbero essere tutti casi di indicazioni

tematiche eccetto quelli delle frasi 15, 18 e 19. In queste ultime

due, che qui riprendo rispettivamente con i n 52 e 53, occorre


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un elemento anaforico glossato come PE (perché durante la sua

articolazione viene pronunciata labilmente questa sillaba) e ha la

precipua funzione di riferimento all’elemento già citato.

Resta da stabilire dove è generato questo elemento anaforico,

sulla base degli studi di Cecchetto ed altri (2004) e Branchini e

Donati (2005), e sulla base dei dati riscontrabili nelle

conversazioni in LIS, il suo status è quello di un pronome. In

questo caso però, ricorrendo con il nome sembra trattarsi di un

elemento più simile al dimostrativo.

Il classificatore determinante

Come è già stato specificato più volte, in questa sede non

intendo esaurire l’argomento dei classificatori né fornirne una


283
descrizione completa. Come per gli aggettivi, per esigenze di

completezza della trattazione del DP mi sembra opportuno

soffermarmi su questo aspetto che fornisce alcuni dati sulla

funzione della definitezza dei tratti di luogo.

Nel capitolo 2 (paragrafo 4.1), nel capitolo 3 e nel capitolo 4 ho

spiegato che i classificatori costituiscono delle proforme del

nome e che vengono impiegati in diverse situazioni. Ho accennato

al fatto che l’articolazione del classificatore nominale in un

punto specifico dello spazio ha effetti sull’interpretazione

definita/indefinita del nome; per questo motivo una delle

modalità attraverso le quali il nome può essere specificato come

definito o indefinito è l’articolazione del classificatore nominale

in un punto definito o indefinito dello spazio. Tale modalità è

possibile solo con i nomi classificabili per forma, (cap. 4). Ad

esempio non può avvenire per i nomi astratti o per i nomi non

numerabili14 (con i liquidi, ad esempio il classificatore fa

riferimento al contenitore cf. par.1.1 cap.4). In questo caso i

tratti di luogo in cui viene articolato il classificatore, sono


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coreferenziali con il nome. In sostanza i tratti di luogo

codificano la referenza del sintagma nominale che precede il suo

classificatore.

Ad esempio in una libreria dove i libri sono disposti uno accanto

all’altro l’identificazione di uno di essi può avvenire attraverso

l’uso di un classificatore con specifici tratti di luogo.

Il classificatore, evidenziato dal carattere in neretto, definisce

la forma e il locativo. Quest’ultimo, in virtù dei suoi tratti di

luogo, costituisce la referenza del libro. Va notata anche

un’accentuazione dei tratti sovrasegmentali in corrispondenza

del classificatore.

Nei capitoli 3 (par. 6) e 4 (par.5.2 e 5.3) ho presentato due

possibili soluzioni per il movimento del classificatore, esso può

essere un movimento di testa (par. 6 del cap. 3) oppure può

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essere un movimento del sintagma (par. 5.3 cap. 4). Qui di

seguito considererò per prima il primo caso e poi il secondo.

Movimento di testa

Se consideriamo i classificatori delle teste, possiamo verificare

che nella loro risalita lungo la proiezione estesa del DP

incorporano i vari tratti morfologici come estensione, lunghezza,

dimensione, consistenza, numero e così via, fino ai tratti di luogo

che costituiscono la testa del D°. Questi ultimi potrebbero

essere considerati come i pronomi clitici perché mancano della

proiezione lessicale N, vale a dire che mancando della proiezione

lessicale, costituiscono solo una proiezione funzionale che può

ospitare il classificatore. Ad esempio prendiamo le frasi:

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In esse si può osservare che il classificatore (evidenziato in

neretto) possiede diversi tratti, quelli che veicolano la

definitezza del nome sono i tratti di luogo.

L’interpretazione definita del nome, accompagnato dal

classificatore, induce ad ipotizzare che il classificatore

incorpori i tratti referenziali della testa del DP. Poiché i tratti

di luogo sono tratti referenziali forti, tale movimento è dovuto

all’esigenza di incorporare i tratti (Baker 1988) oppure è dovuto

all’ esigenza del loro controllo (Chomsky 1995).

L’occorrenza dei classificatori come espressioni di definitezza,

non è una peculiarità esclusiva della LIS, ma anche di un

sottogruppo di lingue del sud est asiatico e del cantonese (Cheng

e Sybesma, 1999). Per queste espressioni nominali con i

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classificatori, che hanno un’interpretazione definita, Simpson

(2005) suggerisce il sollevamento della testa CL° a DP°.

In LIS, sulla base del quadro delineato, possiamo giustificare

anche le espressioni nominali che ricorrono con il classificatore

dimostrativo come la frase seguente:

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Seguendo questa ipotesi, quello del classificatore è un

movimento di testa. Il suo sollevamento avviene da testa a testa

(Travis 1984). Il classificatore controlla i sui tratti nelle teste

delle varie proiezioni che incontra, fino alla posizione finale nella

testa del DP; avendo assunto che il movimento del nome è di tipo

sintagmatico, esso non ostacola il movimento del classificatore

perché si posiziona nello specificatore delle proiezioni di AgrP

fino alla proiezione di specificatore del DP.

Movimento di sintagma

Un’altra opzione, sostenuta nel capitolo 4 e che ha maggiori

riscontri con la LIS perché a differenza della prima presenta

omogeneità dim movimento rispetto al nome, è considerare che il

classificatore si sollevi con un movimento di tipo sintagmatico.

Questa ipotesi non presenta le contraddizioni della prima la

quale ammette nel DP due tipi di movimento (sintagmatico

dell’NP e di testa del CLP).

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Nel capitolo 4 (paragrafo 5.3) sulla base dei dati del numerale ho

ipotizzato che il classificatore costituisce un sintagma generato

tra la proiezione di NumberP e NumeralP, il sintagma nominale

nel suo processo di risalita con pied piping degli aggettivi

scavalca la posizione del classificatore, che assumendo la teoria

di Simpson (2005) si trova in un unione fissa con NumeralP.

Considerando questo tipo di movimento, l’alternativa al

movimento di testa è costituita dal movimento del sintagma

nominale con pied piping anche del classificatore che risale la

proiezione estesa del DP per essere ospitato nello specificatore

del DP. Prendendo ad esempio la frase 57, i passaggi sono quelli

illustrati qui di seguito:

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