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DI ANTICHITÀ
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AQVILEIA
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TRIESTE 2013
«Antichità Altoadriatiche»
© Centro di Antichità Altoadriatiche
Via Patriarca Poppone 6 - 33053 Aquileia (UD)
www.aaadaquileia.it; e-mail:info@aaadaquileia.it
Direttore responsabile: Giuseppe Cuscito
Autorizzazione del Tribunale di Udine n. 318 del 27 ottobre 1973
ISSN 1972-9758
Le immagini di proprietà dello Stato italiano sono state pubblicate su concessione del MiBACT - Dipartimento per i Beni Culturali e
Paesaggistici - Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Friuli Venezia Giulia - Soprintendenza per i Beni archeo-
logici del Friuli Venezia Giulia ed è vietata l’ulteriore riproduzione e duplicazione con ogni mezzo senza l’autorizzazione della
Soprintendenza.
Premessa
5
INDICE
Studi
Serena Vitri, Giovanni Tasca, Alessandro Fontana, Il Basso Friuli tra età del
bronzo ed età del ferro .............................................................................................. » 31
Guido Rosada, Fonti e confronti. Regionis forma e loca voluptatis, quasi amunia » 51
7
Gian Pietro Brogiolo, Marco Nebbia, Francesca Benetti, Ricerche sul pae-
saggio dell’isola di Arbe ........................................................................................... p. 217
Poster
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Jacopo Bonetto, Caterina Previato
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Jacopo Bonetto, Caterina Previato
sione di pali di legno verticali alla base di strutture o edifici, per consentire la trasmissione
dei carichi su strati più profondi e affidabili 8. Questo tipo di apprestamento, descritto anche
da Vitruvio 9 e impiegato largamente fino alla piena età altomedievale in area veneta 10, era
utilizzato in zone paludose, nei casi in cui il terreno sodo si trovava ad un livello troppo pro-
fondo o in presenza di una falda acquifera molto alta. Esso poteva interessare solo i fondi
delle trincee di fondazione dei muri o l’intera area su cui veniva costruito l’edificio.
Ad Aquileia questo sistema, già utilizzato in età protostorica 11, in età romana trovò
diffusione soprattutto alla base di strutture ed edifici situati in prossimità del fiume e nella
zona centrale della città. Palificate lignee sono state infatti individuate nell’area del porto
fluviale 12, alla base dei piloni di alcuni ponti 13, sotto la basilica forense 14, nella p.c. 523
(fondo Tuzet) 15, sotto l’edificio della p.c. 555/1 16, e nella necropoli di Ponte Rosso 17.
Un altro sistema che in età romana, come noto, fu ampiamente utilizzato in Italia set-
tentrionale per migliorare le condizioni del suolo su cui si andava a costruire e per risolvere
il problema della risalita dell’acqua di falda, fu quello di porre, al di sotto delle strutture,
insiemi di anfore funzionali allo smaltimento delle acque 18. I sistemi di bonifica con anfore
conobbero un enorme successo anche ad Aquileia 19, dove questo sistema è documentato
soprattutto sotto strade e pavimentazioni. Le anfore potevano essere disposte in verticale,
per impedire la risalita capillare dell’acqua 20, come riscontrato sotto il basolato del decu-
mano di Aratria Galla 21, lungo il cardine massimo, nella zona sud-ovest della città 22, nella
8 Cartapati 2004, p. 161. Questo sistema di sottofondazione, ampiamente utilizzato nel mondo
antico, prevedeva molte varianti. In alcuni casi i pali venivano infissi a distanze ravvicinate, in modo tale da
costituire una sorta di piattaforma lignea, e al di sopra venivano costruite le strutture. In altri casi sui pali,
infissi nel terreno fino ad avere le teste allo stesso livello, venivano disposti dei tavolati lignei a formare una
sorta di graticcio utilizzato come piano di posa per le strutture. A proposito delle fondazioni su pali e del
loro funzionamento, cfr. Antico Gallina 2011, pp. 107-124.
9 Vitr., III, 4, 2.
10 Vedi il caso presentato recentemente da Bortoletto 2012 per gli edifici religiosi veneziani di X
e XI sec.
11 Cfr. Maselli Scotti 2004.
12 Sotto le banchine occidentale e orientale (Brusin 1930b, c. 55; Brusin 1934, pp. 23 e 26; Carre,
Maselli Scotti 2001, p. 222), sotto i magazzini (Brusin 1934, p. 37), sotto alcuni tratti delle mura M2
(Brusin 1934, pp. 19 e 52; Brusin 1937-38, c. 48; Bonetto 2009, p. 88) e delle mura M3 (Brusin 1933,
c. 46; Brusin 1934, p. 43; Brusin 1957, cc. 14-15). In altri casi i pali verticali/palafitte sono sostituite da
travi lignee disposte in senso orizzontale alla base delle strutture, come riscontrato in località Santo Stefano
(Tiussi 1997) e sotto i torrioni TT2 e TT3 delle mura M2 (Bonetto 2004, p. 185).
13 Il ponte della p.c. 441 (Brusin 1931, c. 57; Brusin 1934, p. 24); il ponte della p.c. 281 (Brusin
1939, c. 71); il ponte del Cristo (Brusin 1947, c. 51).
14 Bertacchi 1989, cc. 43 e 52.
15 Brusin 1934, pp. 238-239; Bertacchi 1968.
16 Brusin 1934-1935, c. 64.
17 Brusin 1930a, p. 448.
18 A proposito delle “bonifiche” con anfore, cfr. Antico Gallina 1996 e Pesavento Mattioli 1998.
19 Le bonifiche con anfore sono documentate sia in ambito urbano sia in ambito periurbano. Esse
trovarono diffusione soprattutto tra l’età repubblicana e l’inizio del I secolo d.C., anche se non mancano
casi riferibili all’età imperiale. (Cfr. Maselli Scotti 1998b).
20 Questa tipologia di intervento poteva interessare l’intero edificio o trovarsi solo in corrispon-
denza delle fondazioni delle strutture murarie; in quest’ultimo caso le anfore avevano il preciso scopo di
alleggerire il terreno di fondazione (Lunardi 1998).
21 Lopreato 1980, c. 24; Maselli Scotti 1998b, p. 107.
22 Maselli Scotti 1998b, p. 107.
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Le sottofondazioni a sedimenti nella Cisalpina e nel Mediterraneo
zona orientale del porto 23, nella domus centrale del fondo ex Beneficio Rizzi 24, in località
Santo Stefano 25 e in località Palude di S. Antonio 26, oppure in orizzontale. In questo caso
i contenitori fittili erano disposti con il puntale dell’una spezzato e infilato nel collo di
quella successiva, così da creare dei canali di drenaggio. Apprestamenti di questo tipo sono
stati individuati in località Dorida e in località Bacchina, ad ovest della città, e in località
Colombara, in prossimità della via Gemina 27.
Infine, un altro sistema funzionale al miglioramento delle condizioni del terreno su
cui si andava a costruire, sicuramente meno noto ma ampiamente diffuso ad Aquileia, è
quello delle sottofondazioni pluristratificate 28. Si tratta di un particolare apprestamento che
prevede la posa, alla base delle strutture, di livelli alternati di materiale selezionato, nella
maggior parte dei casi ghiaia e strati a matrice limo-argillosa, con andamento sub-orizzon-
tale e spessore centimetrico (fig. 1). Questo sistema di sottofondazione svolge una duplice
funzione: i livelli alternati di ghiaia e limo infatti, rispettivamente drenando e trattenendo
l’acqua, permettono da un lato di stabilizzare i terreni, dall’altro di preservare le strutture
dalla risalita dell’acqua per capillarità 29.
Ad Aquileia sottofondazioni di questo tipo sono state individuate in più parti della
città, sia in contesti pubblici che privati 30. Sono documentate infatti alla base del tratto
occidentale delle mura repubblicane 31, alla base del cunicolo dell’acquedotto posto sotto il
lastricato del foro 32, sotto l’edificio a pianta basilicale ad est del foro 33, nella domus cen-
trale dei fondi ex Cossar, nella domus delle Bestie ferite 34, nella domus ad est del foro 35,
nell’area dei magazzini a nord del porto fluviale 36 e presso l’Essicatoio nord 37.
Questo particolare sistema venne utilizzato soprattutto come sottofondazione di strut-
ture murarie (domus dei fondi ex Cossar, domus delle Bestie ferite, magazzini a nord del
porto fluviale, Essicatoio nord), ma è documentato anche al di sotto di pavimentazioni (area
ad est del foro) e condotti idraulici (Essicatoio nord; acquedotto del foro).
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Fig. 1. Aquileia. Sezione della sottofondazione pluristratificata presso la domus dei fondi ex Cossar.
Nei casi esaminati, i materiali utilizzati sono quasi sempre gli stessi, e cioè ghiaia e
strati a matrice limo-argillosa 38. Vi sono però due eccezioni, rappresentate dalla sottofonda-
zione individuata sotto un pavimento di età augustea nella domus ad est del foro, costituita
da livelli di materiale sabbioso e “sassi” alternati a cenere mista a carboni 39, e da quella
sotto il pavimento dell’edificio a pianta basilicale, sempre ad est del foro, composta da strati
di ciottoli di varie dimensioni alternati a strati di sabbia e argilla 40. Il numero dei livelli uti-
lizzati in queste sottofondazioni è variabile, e non viene sempre specificato nelle relazioni
di scavo. Nella domus dei fondi ex Cossar, in un sondaggio effettuato in prossimità della
base di una struttura muraria, sono stati contati 7 livelli di ghiaie e limi, prima di raggiun-
38 In taluni casi si parla di argilla, in altri di limo. Si può ipotizzare che questa distinzione termi-
nologica nasca forse dalla difficoltà degli scavatori a riconoscere e distinguere in quale percentuale questi
materiali, spesso mescolati tra loro, siano presenti nel terreno, più che a reali differenze.
39 Buora et alii 1995, p. 95.
40 Verzar Bass 1993, p. 291.
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Le sottofondazioni a sedimenti nella Cisalpina e nel Mediterraneo
41 Il numero dei livelli è sicuramente maggiore di 7. A proposito dei sondaggi effettuati presso i
fondi ex Cossar cfr. Previato 2012, pp. 167-172.
42 Bertacchi 1989.
43 La conformazione “tronco-piramidale” è stata finora osservata solo nella domus centrale dei fon-
di ex Cossar.
44 Brusin 1956, p. 36. La datazione di questa cinta muraria non è ancora stata definita in modo
puntuale, ma si ritiene che essa sia stata completata entro la metà del II secolo a.C. (cfr. Bonetto 2004, pp.
167-170).
45 Maselli Scotti et alii 1999, cc. 329-334.
46 Carre, Zaccaria 2002, cc. 691-692; Carre, Zaccaria 2003, pp. 472-474.
47 Buora et alii 1995, p. 95.
48 La cronologia proposta si basa sullo studio dei materiali ritrovati nei livelli di ghiaia e limo
scavati (a proposito di un contesto studiato relativo alla domus dei fondi ex Cossar cfr. Dobreva 2012, pp.
384-387), su dati stratigrafici e su considerazioni circa l’articolazione planimetrica e le fasi edilizie delle
due domus.
49 Verzar Bass 1993, p. 291.
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individuate in più parti della città. Nel corso di uno scavo in prossimità di via dei Mosaici
(area Rampa) è stata messa in luce una “linea di fondazione muraria” realizzata con livelli
di argilla limosa alternati a strati di ciottoli misti a sabbia e ghiaino, datata al III-II secolo
a.C. 50. In un edificio residenziale sito in via san Martino sono presenti strutture murarie
con sottofondazioni stratificate, caratterizzate da livelli alternati di ghiaia e limo argillo-
so 51. Alla generica categoria delle “fondazioni in terra” appartengono invece le fondazioni
in argilla di alcune strutture murarie con alzato a telaio ligneo appartenenti ad un edificio a
destinazione abitativa di III secolo a.C., situato in via delle Grazie 52. Anche in altri contesti
opitergini sono state individuate sottofondazioni pluristratificate. Nella zona del foro, sotto
i perimetrali dei lati lunghi della piazza, sono presenti due trincee riempite da livelli tabu-
lari alternati di ghiaia e argilla. Le trincee presentano lo stesso orientamento delle strutture
soprastanti, ma risultano disassate verso l’esterno di 60 cm rispetto ad esse 53. Anche sotto
il lastricato forense è presente una sequenza di riporti alternati e selezionati di sabbia limo-
sa, ghiaia e argilla, sterile di materiali ma strutturata antropicamente 54. Entrambe queste
evidenze sono state attribuite ad una fase edilizia precedente la costruzione del foro di età
cesariano-augustea, e sono ritenute la prova dell’esistenza di una più antica area forense 55.
Tra gli esempi più antichi vi è anche il caso delle mura di Ravenna, datate alla fine del III
secolo a.C., che poggiano su un livello di ghiaia misto a sabbia 56.
Sottofondazioni a sedimenti si ritrovano anche a Verona, presso il Capitolium. In
questo complesso infatti sotto alcune strutture murarie in pietra tenera locale sono state
individuate trincee riempite da strati alternati di ghiaia, sabbia, argilla, polvere e scarti
di lavorazione di tufo, scavate entro i limi sabbiosi fino a raggiungere il livello di ghiaie
sottostante 57.
Un altro centro urbano dove questi sistemi di sottofondazione sono ampiamente dif-
fusi è Padova. All’interno della città le sottofondazioni pluristatificate si ritrovano sia in
contesti pubblici che privati, alla base di numerose strutture murarie 58. Le sottofondazioni
esaminate consistono in trincee regolari con pareti verticali e fondo piatto, riempite da
livelli alternati di materiale selezionato. Nella maggior parte dei casi si ritrovano livelli
alternati di limo e frammenti di laterizi, di solito posti di taglio, ma sono documentati,
soprattutto nelle strutture più antiche, casi in cui i laterizi sono sostituiti da altri materiali,
quali mattoni crudi, scapoli o blocchi lapidei, frammenti ceramici.
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argilloso. Il numero dei livelli varia da 6 a 12, a seconda della profondità delle trincee. Alla
seconda fase (I secolo a.C.) risalgono trincee riempite da strati alternati di limo argilloso e
blocchetti di pietra calcarea di dimensioni centimetriche. Alla terza fase, databile entro il
I secolo d.C., è attribuita invece una trincea che ha sul fondo una fitta stesura di pezzame
laterizio di dimensioni centimetriche, coperto da successivi apporti orizzontali e compressi
di limo argilloso misto a scarsa quantità di frammenti minuti. Anche in questo caso non si
conosce nulla circa l’alzato delle strutture che poggiavano su questi apprestamenti.
Infine, sottofondazioni pluristratificate sono state individuate anche in aree funerarie,
come documentato nella necropoli di via Montona. Alla prima metà del I secolo a.C. risale
la sottofondazione di un recinto funerario con alzato in sesquipedali, costituita da trincee
riempite, dal basso verso l’alto, da strati di frammenti di laterizi alternati a livelli di limo-
argilloso. Poco più recente è la trincea di sottofondazione situata alla base di un monumen-
to funerario, riempita da almeno tre strati di frammenti laterizi disposti di taglio alternati a
livelli di limo-argilloso 70.
Sottofondazioni analoghe a quelle patavine sono state individuate anche a Treviso.
Alcuni pilastri in sesquipedali appartenenti alla prima fase edilizia della domus di via
Manin e realizzati dopo la prima metà del I secolo a.C. poggiano infatti su fosse a sezione
quadrangolare, riempite da livelli tabulari alterni di limi argillosi, in un caso intervallati da
strati di frammenti di tegole e coppi 71.
Una sottofondazione muraria costituita da una trincea larga circa m 0,80 riempita di
frammenti laterizi è stata individuata ad Altino, in località Fornasotti 72. Purtroppo non vi
sono dati circa il contesto di appartenenza di tale evidenza, datata genericamente all’età
romana imperiale. Sempre ad Altino, anche il muro meridionale della porta-approdo, data-
ta ai decenni centrali del I secolo a.C., presenta una sottofondazione pluristratificata. La
struttura poggia infatti su un terrapieno formato da piani di argilla alternati a livelli tabulari
di limo scottato, cenere, carboni ed elementi vegetali, sotto cui vi è un livello di pezzame
laterizio posto di taglio poggiante su uno strato di grossi frammenti di arenaria. La sequen-
za riempie un ampio taglio realizzato nell’argilla naturale 73.
Un altro centro urbano dove le sottofondazioni pluristratificate in terra sono ampia-
mente diffuse è Milano. I casi documentati prevedono la realizzazione di trincee con
profondità variabile da 0,5 a 1 m e fino a 2 m di larghezza, poste alla base delle strutture
murarie. Le trincee, scavate nel substrato o in depositi archeologici preesistenti, sono nella
maggior parte dei casi riempite da livelli alternati di ghiaia e limo, anche se sono documen-
tate anche altre varianti; ad esse sono frequentemente associate strutture murarie in terra e
materiale deperibile 74.
Sottofondazioni pluristratificate sono state individuate alla base di un tratto delle
mura repubblicane, forse una porta, in corso Porta romana n. 2 75. In occasione di un recen-
te scavo infatti è stata individuata una trincea riempita da strati alterni di sabbia e ghiaia,
su cui poggiava un alzato costituito da 8 corsi di mattoni sovrapposti e legati da malta.
Analoga è la trincea di sottofondazione del muro di un edificio databile all’età augustea e
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affacciato sulla strada glareata qui situata 76. Si tratta infatti di una fossa con pareti verticali,
larga circa 0,70 m e profonda 1,20 m, riempita da livelli alternati di sabbia giallo-marrone e
ghiaia, con andamento orizzontale. Sottofondazioni murarie pluristratificate caratterizzano
anche l’edificio di fase successiva, datato al I secolo d.C., qui situato 77. Si tratta di trincee
riempite con livelli alternati di sabbia rossiccia e macerie (grossi frammenti di mattoni,
grumi di malta), con andamento orizzontale. Una delle trincee individuate aveva una pro-
fondità di circa 1 m e una larghezza di m 1,80, e si estendeva quindi sia sotto il muro sia
sotto il pavimento dell’ambiente da esso delimitato.
Sottofondazioni a sedimenti contraddistinguono anche un edificio realizzato tra il 100
a.C. e il 50 a.C., individuato in via Tommaso Grossi. Si tratta di trincee riempite di terra su
cui poggiano basi di strutture murarie costituite da mattoni non legati da malta 78. Ad una
fase successiva (15-200 d.C.) risalgono altre trincee di sottofondazione riempite una da
livelli alternati di ghiaia e limo compatto (larga almeno m 2,3), l’altra da strati di sabbia e
ghiaia, alternati ad alcuni più sottili di limo compatto. Su di esse poggiavano muri in terra
su basi in laterizi. Altre trincee di sottofondazione pluristratificate sono state individuate
in via Romagnosi 79. Ad un edificio realizzato tra la fine del I secolo d.C. e l’inizio del II
secolo d.C. appartiene una trincea di sottofondazione profonda m 0,40 e larga m 0,60 alla
base e m 1 alla sommità, riempita, dal basso verso l’altro, da uno strato di ghiaia sabbiosa
spesso cm 28, da un livello di argilla plastica verdastra spesso cm 10, e infine da uno strato
di sabbia compatta di colore arancione, spesso 2-3 cm. Su tale trincea poggiava un muro
largo cm 45, di cui si conservava solo un corso di frammenti di laterizi non legati da malta.
Allo stesso periodo si data un’altra trincea profonda m 0,50 e riempita con uno strato di
ciottoli coperto da un livello compatto di argilla sabbiosa e limosa mattone.
Di particolare interesse risulta il sistema costruttivo dell’edificio individuato in piazza
Duomo, datato al 50-30 a.C., che prevede la realizzazione di trincee di sottofondazione
riempite di limo o di livelli alternati di limo e ghiaia, che definiscono gli allineamenti mura-
ri, coperte da riporti di sabbia e ghiaia estesi su tutta l’area occupata dall’edificio. Su questa
“piattaforma” di sabbia e ghiaia vengono quindi costruiti pavimenti e muri, che seguono
l’andamento delle trincee sottostanti 80. Per quanto riguarda gli alzati delle strutture poste
al di sopra delle trincee, è stato ipotizzato che si trattasse di muri costruiti in terra 81. In una
seconda fase, databile al I secolo d.C., questo edificio viene sostituito da un altro comples-
so, di maggiori dimensioni. Di esso si conservano varie trincee di sottofondazione riempite
da strati di materiali edilizi sbriciolati o ghiaia alternati a limo. Anche in questo caso al di
sopra delle trincee vennero riportati una serie di livelli di limi e ghiaie, per elevare la quota
del piano di calpestio, sopra i quali poggiavano le strutture murarie, con base in ciottoli.
Sottofondazioni in terra sono state individuate nel corso di uno scavo in via Santa Maria
Podone n. 5 82. Si tratta di trincee, in due casi riempite da livelli alternati di ghiaia e limo,
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in un altro caso riempita da dieci livelli di limo sabbioso, l’ultimo dei quali contenente
frammenti di anfore.
Anche nel corso dello scavo presso la stazione Missori sono emerse delle trincee di
sottofondazione di strutture murarie disposte lungo una strada glareata e databili all’età
augustea, riempite da strati alternati di ghiaia e limo sabbioso 83. Varie trincee di sottofon-
dazione di muri attribuibili ad edifici realizzati tra la fine del I secolo a.C. e l’inizio del I
secolo d.C. sono state individuate anche in via S. Maria Fulcorina 84. Sottofondazioni plu-
ristratificate caratterizzano anche un edificio costruito tra la fine del I secolo a.C. e l’inizio
del I secolo d.C. in via Moneta. Anche in questo caso si tratta di trincee riempite da livelli
alternati di limo e ghiaia 85. Uno strato di limo e ghiaia fungeva da preparazione anche per
il lastricato forense, realizzato nel I secolo d.C. 86. Anche il porticato che limitava la piazza
verso ovest poggiava su una trincea, larga m 2,20 e riempita da livelli alternati di argilla,
ghiaia e frammenti ceramici, datata al I secolo d.C. 87. Trincee larghe m 1 e profonde circa
m 0,40-0,50 riempite di strati di limo, ghiaino e tritumi laterizi sono state individuate in
via Cesare Correnti n. 24; esse costituiscono la base di strutture murarie appartenenti ad un
edificio residenziale 88. Trincee con livelli alternati di limo e ghiaia sono state individuate
anche in via Valpetrosa n. 10 89 e nel Palazzo dell’Arcivescovado 90.
Sottofondazioni pluristratificate sono attestate anche a Cremona, come riscontrato
nella domus di piazza Marconi 91, e a Concordia Sagittaria, dove furono utilizzate alla base
di strutture murarie, nell’area alle spalle del teatro 92. In questo settore della città antica
infatti sono state individuate alcune trincee riempite da livelli di frammenti di mattoni
disposti di taglio intervallati da argilla sabbiosa. Due delle trincee individuate (M1 e M2)
hanno una larghezza di m 0,90, e si estendono per almeno m 12; in esse il livello di argilla
ha uno spessore di m 0,15. Purtroppo non disponiamo di dati circa l’alzato delle strutture
poste sopra le trincee, non conservatisi, né conosciamo la loro cronologia e contesto di
appartenenza, anche se è probabile che siano da mettere in relazione con il teatro.
Sottofondazioni assimilabili a quelle finora descritte, che rientrano nella più vasta
categoria delle “sottofondazioni in terra”, sono state individuate anche a Bedriacum. Due
edifici del vicus infatti, l’edificio 2 (II-I secolo a.C.) e l’edificio 3 (I secolo d.C., età tibe-
riana), sono caratterizzati da strutture murarie poggianti su trincee riempite da sabbia mista
a limo compatti 93. Per quanto riguarda gli alzati ad esse associati, lo stato di conservazione
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Sottofondazioni in sabbia aveva anche il Tesoro dei Sibariti di Olimpia, realizzato nel
510 a.C. 100. I muri dell’edificio infatti, costruiti in pietra, poggiano su fosse profonde m
0,30 riempite di sabbia e ghiaia fine.
Simili apprestamenti sono stati individuati nel teatro di Magnesia al Meandro, di età
ellenistica 101.
Trincee riempite di sabbia utilizzate come sottofondazioni murarie sono attestate
anche in Cirenaica, nella città di Euesperides/Berenice 102. In questo sito le più antiche
attestazioni relative a questa tecnica risalgono all’età ellenistica, ma è in età romana che
essa assume caratteri più definiti e dimensioni più consistenti. A questo periodo risalgono
trincee profonde m 1,5 riempite da sabbia compattata, su cui poggiano muri costituiti da
uno zoccolo in blocchi di pietra e un alzato in mattoni crudi.
A Troia ad esempio, nel Tempio di Atena Ilias, datato all’età ellenistica, i muri pog-
giavano su trincee profonde m 3,5 riempite da un’alternanza di livelli di sabbia di diverso
colore (fig. 3) 103. Le trincee, che formavano un rettangolo coincidente con il perimetro del
tempio, avevano pareti rinforzate con pali di legno verticali. Anche in questo caso la scelta
di realizzare sottofondazioni di questo tipo fu determinata dalle caratteristiche del terreno
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La documentazione degli oltre 70 casi fin qui presentata e discussa (fig. 4) dimostra
che gli apprestamenti edilizi a sedimenti omogenei o stratificati sottoposti alle strutture
murarie sono attestati in zone assai diverse del Mediterraneo antico. Inoltre è accertato
che, nonostante probabili (e comprensibili) lacune di documentazione per le varie epoche,
la loro distribuzione cronologica è assai ampia e pressoché ininterrotta, potendosi allineare
alcuni eclatanti esempi databili tra l’epoca arcaica e l’età tardo-ellenistica, come numerosi
altri casi che, praticamente in continuità con i precedenti, segnano la cultura edilizia italica
tra le fasi romane repubblicane e la media età imperiale.
La lettura tecnico-funzionale di apprestamenti così diffusi nel tempo e nello spazio
trova un primo basilare spunto di riferimento nell’esame dei contesti ambientali in cui essi
furono realizzati. A fronte di alcune sensibili differenze nella realizzazione e nella funzione
di tale opere, su cui si tornerà più avanti, essi infatti mostrano un significativo comune
denominatore costituito dall’ambito geomorfologico e geopedologico in cui vennero costi-
tuite, a tal punto simile da rappresentare la prima e più importante chiave di lettura delle
opere in oggetto. Tanto nei contesti greci quanto in quelli padani queste risultano infatti
attuate sistematicamente in aree planiziarie di media e bassa pianura formatesi per progres-
sivi episodi alluvionali determinati da esondazioni di corsi d’acqua, che risultano spesso
(anche se non sempre) prossimi o contigui alle loro foci. Per tali caratteri dei luoghi, nella
maggior parte dei casi i suoli sono formati da sedimenti fini, come argille o limi, connotati
da forte impermeabilità e forte imbibizione causata sia dalle acque meteoriche superficiali
trattenute, sia dallo scorrere delle acque di falda o dalla loro risalita per capillarità dal basso.
Infatti caratterizza frequentemente le aree di interesse di tali apprestamenti anche la presen-
za di falde acquifere a bassa profondità.
Pur nella variabilità di alcuni dettagli locali, questo stato fisico del terreno appare
sostanzialmente comune a tutti i siti esaminati e determina una tendenza dei suoli ad assumere
connotazioni di bassa compattezza e quindi una condizione di tenuta alla compressione molto
modesta. La capacità portante (detta portanza) per i sedimenti fini umidi e molli risulta infatti
prossima al livello più basso della scala di valori che dalla peggiore situazione, rappresen-
tata dai terreni paludosi, giunge alla migliore condizione della roccia in posto, teoricamente
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Jacopo Bonetto, Caterina Previato
ottimale per l’impianto degli edifici 107. Tuttavia, a causa dell’elevato spessore dei sedimenti
alluvionali (pari talvolta a molti metri), in aree di pianura è raramente possibile raggiungere,
con scavi manuali, profondità alla quale si renda disponibile un’adeguata capacità portante 108
e le scelte progettuali devono quindi confrontarsi con una realtà pedologica non favorevole.
In questi contesti il peso degli edifici può dar inoltre luogo a cedimenti differenziali e dissesti
dell’opera non solo per la bassa tenuta del terreno, ma anche per la particolare sensibilità
al mutamento delle tensioni del suolo, che potevano essere alterate anche da imposizione o
eliminazione di modesti carichi in fase post-costruttiva (ampliamenti, ristrutturazioni, demo-
lizioni). Ad accrescere le difficoltà di appoggio dei carichi dell’edificato nei siti in cui gli
apprestamenti a sedimenti sono realizzati, va annoverata anche la diffusa presenza, a fianco
o in sovrapposizione ai suoli umidi limacciosi, di corposi sedimenti antropici antichi, frutto
di riporti e distinti da bassa coesione e quindi bassa portanza 109. In nessun caso, invece, le
opere edilizie considerate furono realizzate in aree dove fosse possibile reperire roccia in
posto come base per lo scarico dei pesi degli elevati tramite porzioni strutturali di fondazione,
secondo quanto auspicato ripetutamente dalle fonti antiche 110.
Gli apprestamenti a sedimenti grossolani e fini stratificati sottoposti agli edifici
appaiono quindi impiegati in aree geografiche del tutto diverse e in epoche assai lontane
dell’età antica, ma trovano un’applicazione in contesti ambientali che presentano comuni
e sistematiche connotazioni negative dal punto di vista della portanza dei suoli. Da questa
prima annotazione generale sulla relazione tra aree a suoli cedevoli e sottofondazioni a
sedimenti, è chiaro che il loro impiego va in qualche modo collegato sul piano funzionale
ad un preciso obbiettivo progettuale di contrastare la cattiva natura geotecnica di suoli
viziati dalla presenza diffusa di acqua.
Di seguito saranno esaminate le caratteristiche funzionali, tecnico-strutturali e mate-
riche che connotano questi apprestamenti e che conferiscono ad essi le potenzialità per
ovviare alle cattive condizioni ambientali e per fornire un adeguato sistema di configura-
zione della base del costruito.
250
Le sottofondazioni a sedimenti nella Cisalpina e nel Mediterraneo
della struttura che ha il compito di trasferire al terreno naturale i carichi della costruzio-
ne” 111, nel caso delle realtà qui esaminate non si è in presenza di opere strutturali, ma di
riporti di materiali selezionati e sedimenti sciolti a varia granulometria che, svolgendo
solo in parte funzioni di trasferimento di carico imposto, agivano piuttosto come corpi che
accolgono il piano di appoggio delle fondazioni vere e proprie degli edifici soprastanti, e
ne assorbono in sè il peso.
Per il corretto inquadramento terminologico e funzionale di tali opere nel quadro dei
sistemi edilizi è opportuno anche ricordare che, per quanto comprensibile dalla documenta-
zione e con qualche dubbio di interpretazione dei dati, la posizione del loro piano superiore
non sembra mai raggiungere il piano di spiccato dell’elevato e di calpestio dell’edificio, ma
si mantiene sempre al di sotto di esso; né sembra costituire l’appoggio diretto dell’elevato,
poiché è sempre diviso da questo tramite livelli strutturali diversi per misure e natura che
costituiscono la vera fondazione 112.
Un’altra caratteristica di cui tenere conto è costituita dall’andamento in pianta di que-
ste opere, che vengono realizzate nella maggioranza dei casi seguendo la traccia lineare dei
muri o delle opere soprastanti, senza allargarsi a platea come avviene talvolta con opere di
bonifica o di preparazione dei suoli.
In sintesi sembra chiaro che le opere di cui si discute non sono opere fondali, ma pur
sempre strettamente legate per funzione e andamento planimetrico alle fondazioni vere e
proprie degli edifici e che, pertanto, pare opportuno definire “sottofondazioni”.
251
Jacopo Bonetto, Caterina Previato
inferiore al futuro piano d’uso dell’edificio di ben 8,16 m (cfr. fig. 3). Sebbene nemme-
no a tale profondità fu raggiunto un livello sterile a buona portanza, la profonda trincea
viene ad accogliere per 3,7 m livelli compatti di sottofondazioni in sabbia e per i restanti
4,5 m blocchi lapidei di fondazione: in tal modo il piano di appoggio della fondazione
si trovava a scaricare il peso dell’edificio su banchi sabbiosi ad elevata portanza posti a
oltre 4 m dal piano d’uso. Un secondo contesto indicativo è quello del criptoportico del
Capitolium a Verona, dove uno scavo di modesta profondità, che intacca i suoli di limo
sabbioso imbibito, raggiunge immediatamente la testa del livello di ghiaie alluvionali in
posto, caratterizzate naturalmente da un’alta tenuta.
La larghezza di questi cavi per le sottofondazioni risulta pure assai variabile e dipen-
de in genere dalla natura dell’opera di fondazione ad esse sovrapposta. Nella maggior
parte dei casi le trincee hanno una larghezza maggiore delle soprastanti strutture murarie.
Pertanto le loro dimensioni non superano in pianta la larghezza di 1 m nel caso della mag-
gior parte degli edifici privati dell’area Cisalpina, ma si ampliano fino ad oltre 3 m nei casi
delle grandi realizzazioni templari greche, dove i rilevanti carichi erano accolti in forme
stabili da un ampliamento in orizzontale delle superfici di scarico.
Nei casi di sottofondazioni entro trincee la realizzazione dei cavi di alloggiamento
del materiale mirava in primo luogo a fornire una sede “chiusa”, volta a contenere il
materiale incoerente e a conferire ad esso solidità e coesione interna; ma è forse possibile
che con la realizzazione delle fosse si puntasse anche, particolarmente nei casi dove è
riscontrato maggiore approfondimento delle stesse, ad intercettare e rompere la linea sot-
terranea di scorrimento delle acque, così da indurre artificialmente l’abbassamento della
linea di falda con evidente beneficio in termini di riduzione dell’imbibizione superficiale
dei suoli 113.
A fronte del prevalere della tecnica dell’alloggiamento in trincea delle sottofon-
dazioni a sedimenti, il censimento e le ricerche più recenti hanno documentato anche
un sistema di loro esecuzione “in elevato” a partire da un piano di cantiere che veniva
rialzato al termine dell’intervento per la stesura del definitivo piano d’uso, portato a
ricoprire le stesse sottofondazioni. In questo caso, noto soprattutto dai recenti scavi di
Aquileia (fondi ex Cossar), le sottofondazioni seguono la traccia dei muri e costituisco-
no nei piani edilizi una trama reticolare che nella grande opera areale di riporto e rialzo
dei piani d’uso andava di fatto a sostituire, esclusivamente al di sotto delle strutture, il
materiale spesso incoerente o mal compattato di origine antropica 114. In questi casi la
strutturazione delle opere di sottofondazione “in elevato”, senza l’ausilio contenitivo
delle pareti delle fosse, determinò una loro morfologia a sezione troncopiramidale, che
risultava particolarmente utile anche all’assorbimento e allo scarico dei pesi su superfici
più ampie alla base. Maggiore risultava la base di appoggio delle sottofondazioni e più
distribuito risultava il peso proveniente dall’alto, con benefici in termini di minor impatto
di carico sul livello sottostante.
252
Le sottofondazioni a sedimenti nella Cisalpina e nel Mediterraneo
A fronte di una certa omogeneità del contesto (suoli alluvionali o malfermi) e del
modo di messa in opera (cavi di alloggiamento) delle sottofondazioni a sedimenti sciolti, si
registrano sensibili differenze nella scelta dei materiali impiegati per la loro realizzazione
e nella disposizione di questi; ciò dovette determinare ripercussioni anche sensibili sulla
funzionalità ed utilità delle opere che in questo paragrafo saranno discusse (fig. 5).
Nella vasta documentazione raccolta si notano sostanzialmente due gruppi molto
omogenei dal punto di vista della scelta dei materiali e della loro messa in opera. Il primo
gruppo è costituito principalmente da esempi di ambito greco e magnogreco, che si situano
tra l’età arcaica e l’epoca ellenistica, e da pochi esempi di area cisalpina. Il secondo gruppo
è costituito invece da una serie di casi documentati in area italica, e padana in particolare,
collocabili tra l’epoca tardoellenistica e l’età imperiale romana.
Fig. 5. Schema ricostruttivo delle più comuni tipologie di sottofondazioni a sedimenti riscontrate in Italia
settentrionale.
115 La sezione dello scavo delle sottofondazioni del Tempio di Atena Ilias a Troia (Dörpfeld 1902,
p. 219, fig. 85) mostra l’uso di sabbie diversificate dal punto di vista cromatico (e verosimilmente granulo-
metrico).
253
Jacopo Bonetto, Caterina Previato
infatti noto che la capacità portante della sabbia compatta ed omogenea risulta superiore di
circa 3-6 volte rispetto a quella dell’argilla (o del limo) molle o a media compattezza 116.
L’asporto dei sedimenti fini e la loro sostituzione con sedimenti a granulometria maggiore
doveva così in primo luogo contribuire a costituire una base stabile su cui le fondazioni
venivano a scaricare il peso dell’alzato. Questo obiettivo di garantire appoggio solido alle
strutture sembra prioritario sulla pur certa e non trascurabile intenzione di garantire dre-
naggio ai terreni sottofondali attraverso l’uso di un sedimento altamente permeabile come
la sabbia.
Rispetto a questo panorama di ambito greco, sostanzialmente omogeneo e coerente
sul piano tecnico-funzionale, lo scenario italico e padano si presenta per certi versi assai
più articolato e differenziato.
Tra le esperienze che richiamano quelle greche un accenno merita il caso del rinforzo
del piano di sostegno delle fondazioni delle difese repubblicane di Aquileia (decenni cen-
trali del II sec. a.C.), lungo il settore occidentale della cinta esteso su terreni soggetti ad
impaludamento (località Marignane), e quello più tardo di Bedriacum.
Trincee riempite di sedimenti sciolti omogenei sono documentate quindi a Milano,
nell’edificio di via Tommaso Grossi (100-50 a.C.), dove le strutture murarie poggiano su
trincee riempite di terra 117 e nell’edificio di Piazza Duomo (50-30 a.C.), dove una delle
trincee individuate è riempita di limo sabbioso 118.
Simile per cronologia, concezione e funzione appare l’unico caso documentato in area
italica presso il Tempio di Portunus (detto della Fortuna Virile) a Roma, la cui sistemazione
visibile (pseudoperiptero tetrastilo) è datata nella prima metà del II sec. a.C. o nella prima
metà del I sec. a.C. 119; qui, al posto della sabbia e della ghiaia, è utilizzato un ammasso di
3 m di spessore di tufo frantumato che sostituisce il terreno di sponda del Tevere per soste-
nere i blocchi di fondazione realizzati con la medesima pietra lavorata in blocchi. Non è
probabilmente casuale che tale isolato documento di area centro-italica si ponga in un con-
testo ambientale (sponda fluviale) caratterizzato da suoli alluvionali a marcata instabilità.
Indipendentemente dalle varie forme di articolazione, nel caso del Tempio di Portunus
a Roma e nei molti casi padani la logica funzionale dell’impiego del tritume lapideo, della
sabbia e della ghiaia è sempre la medesima, già sperimentata in ambito greco e magnogre-
co, e appare rivolta, come detto, ad accrescere la capacità di resistenza dei suoli umidi o
cedevoli sostituendo i sedimenti fini ad alta potenzialità di imbibizione e a bassa portanza
con sedimenti grossolani ad alta tenuta alla compressione. Come già notato per gli ambiti
greci, anche in questi contesti l’uso di sedimenti grossolani ad alta permeabilità mirava a
facilitare il rapido deflusso delle acque e l’asciugatura delle fondazioni in caso di momen-
tanee condizioni di saturazione o di ristagno. Rispetto al quadro di impiego documentato
nel mondo greco, dove le sottofondazioni in sabbia sono impiegate per edilizia pubblica di
grande carico statico, in ambito padano esse appaiono funzionali anche a garantire sostegno
statico ad edifici di modesto impegno edilizio e peso.
116 Sulla qualità dei suoli e l’ottima capacità portante della sabbia vedi alcune note in Giuliani 2012,
pp. 163-164.
117 Perring 1991b, pp. 211-215.
118 Perring 1991a, fig. 99. Sembra trattarsi in questo caso di un sistema particolarmente accurato
e di complessa realizzazione sul piano operativo, che viene a sovrapporre funzionalmente il sistema delle
trincee lineari con quello delle platee estese.
119 Sull’edificio e le ipotesi di datazione vedi Buzzetti 1999 con bibl. prec.
254
Le sottofondazioni a sedimenti nella Cisalpina e nel Mediterraneo
120 Il caso più antico sembra essere quello dell’abitato di Oderzo, che vede impiegate già nel III sec.
a.C., e poi ancora in età romana repubblicana, sottofondazioni con sabbia associata ad un altro sedimento
grossolano ad ottima portanza come la ghiaia. Cfr. infra.
121 In alcuni edifici di età greca (Martin 1965, pp. 312-314) è documentata, a livello di sottofonda-
zioni, la presenza di riporti di “terra” e sedimenti grossolani (ghiaia, ciottoli) che sembra indicare una già
acquisita conoscenza della tecnica e delle funzioni della miscela di sedimenti a granulometria diversificata.
122 Nel caso di Aquileia, Fondi ex Cossar (cfr. infra).
123 Sotto al pavimento a mosaico di un’abitazione di Aquileia è documentata la presenza di cenere e
carbone, le cui proprietà di assorbire l’umidità è nota da Vitruvio e da altre fonti. Vedi, per es., Vitr. 5, 9, 7
per il carbone sotto il pavimento delle ambulationes e ancora Vitr. 7, 4, 4-5 (ripreso da Plin. Nat. XXXVI,
188) per il carbone nelle miscele per realizzare i piani in cementizio.
255
Jacopo Bonetto, Caterina Previato
124 Sembra trattarsi di un sistema fisico resiliente, in grado cioè di non subire passivamente le sol-
lecitazioni meccaniche ma di rispondere ad esse con adeguamento del proprio assetto alle nuove esigenze
imposte.
125 Purtroppo le scarse conoscenze esistenti circa gli alzati delle strutture murarie della Cisalpina,
spesso non conservatisi, non permette di verificare quest’ipotesi. Circa il tipo di strutture sorrette dalle
sottofondazioni a sedimenti, va ricordato che sia per Milano sia per Bedriacum è stato ipotizzato trattarsi di
muri in materiale deperibile (legno e argilla), poggianti su zoccoli in laterizi o pietra.
126 Su questi aspetti vedi Previato 2012.
256
Le sottofondazioni a sedimenti nella Cisalpina e nel Mediterraneo
L’esame fin qui condotto del contesto ambientale, delle tecniche di esecuzione e della
natura e forme di impiego dei materiali che caratterizzano le sottofondazioni a sedimenti
sciolti permette di giungere ad alcune prime considerazioni d’insieme sul significato tecni-
co del loro impiego in età antica, nell’attesa che altri documenti pertinenti a tale soluzione
(e ignoti a chi scrive) emergano dal terreno o dalla documentazione di scavo e consentano
più ampie sintesi.
Dal complesso dei dati appare chiaro che il loro uso è ideato e messo in atto sostan-
zialmente per sostituire in toto o in parte i terreni alluvionali naturali o antropici a bassa
portanza attraverso l’utilizzo di sedimenti omogenei o stratificati a diversa granulometria
che garantivano la costituzione di “strutture” compatte ed elastiche ad un tempo, dotate di
proprietà drenanti, a basso peso specifico per non sovraccaricare suoli già deboli e connotate
da una filiera produttiva poco onerosa e a bassa specializzazione della manodopera. Il fine
del loro uso era quindi rappresentato dalla creazione di un nuovo, stabile, elastico, drenante
ed economico corpo di assorbimento del carico delle strutture di fondazione e d’alzato ad
esso sovrapposti. Va anche notato che, considerato il contesto ambientale e deposizionale
in cui gli edifici studiati sono realizzati, tale soluzione progettuale risultava quasi una scelta
obbligata, o, come minimo, largamente preferibile: l’alternativa di realizzare fondazioni in
pietra da taglio, in laterizio o in calcestruzzo doveva apparire largamente più onerosa sul
piano dell’acquisizione del materiale e della sua preparazione, così come meno funzionale
sul piano della durata (nel caso dei laterizi) o della statica, sia in ragione della rigidità di
tali materiali sia del notevole peso da loro imposto su terreni alluvionali cedevoli.
257
Jacopo Bonetto, Caterina Previato
In estrema sintesi, pur con le varianti dei singoli contesti, di fronte a terreni malfermi
la via tecnologica percorsa fu radicale ed utilitaria: non consolidare i terreni deboli, ma
rimpiazzarli, sostituendo limi e argille impermeabili e imbibiti con sedimenti puri o misce-
lati, che una cultura edilizia già greca e poi italica aveva imparato ed insegnato ad usare in
quanto stabili ed elastici, leggeri, permeabili, economici e facili da impiegare.
Un problema assai più complesso da affrontare, almeno allo stato attuale della docu-
mentazione, è quello che interessa la diffusione nel tempo e nei diversi ambiti mediterranei
delle conoscenze tecniche relative a questo tipo di sottofondazioni.
Si è visto infatti che i primi documenti appaiono e si concentrano in una fase che
corrisponde quasi all’intero arco del VI sec. a.C., con casi diffusi tra il settore orientale e
occidentale del Mediterraneo di radicata cultura architettonica greca. La continuità di atte-
stazione nel tempo risulta da altri isolati documenti di V sec. a.C., che vanno ad infittirsi
nella piena e tarda epoca ellenistica. Da questo momento il sistema delle sottofondazioni a
sedimenti inizia ad essere documentato con una certa frequenza anche all’esterno dell’uni-
verso geografico e culturale greco con una serie di esemplificazioni che si riscontrano però
praticamente nel solo quadro geografico della Pianura padana, in progressiva diffusione da
est verso ovest.
Tali primi esempi, databili tra III e II sec. a.C., si trovano infatti in un centro veneto
di precoce urbanizzazione come Oderzo e nella colonia latina di Aquileia del 181 a.C.,
mentre successivamente le sottofondazioni del tipo qui discusso conoscono un’enorme e
radicata 127 diffusione in vari centri di area transpadana orientale e centrale, e compaiono,
almeno allo stato delle nostre conoscenze, in un solo caso (Ravenna) in ambito cispadano
e padano occidentale. Come notato, del tutto marginale appare la presenza del sistema
edilizio in ambito italico romanizzato.
Tale quadro di distribuzione cronologica e geografica lascia supporre che la diffu-
sione del sistema delle sottofondazioni a sedimenti possa essere avvenuto in quel quadro
composito di relazioni tra Mediterraneo orientale e mondo occidentale che, dall’epoca
arcaica e fino alla piena età romana, fecero del canale adriatico una delle via preferenziali
e talvolta del tutto indipendente dai più noti e conosciuti transiti commerciali e culturali
attraverso il cuore della penisola e il centro emergente di Roma. È naturale credere così che
nel quadro della ben nota “grecità adriatica” 128, maturata dall’epoca della fondazione di
Adria e protrattasi con i frequenti contatti orientali del mondo veneto, il transito di merci e
uomini che distingue la fase ellenistica non sia stato disgiunto dal passaggio di conoscenze
tecnologiche legate all’edilizia. In questo scenario ricostruttivo va tenuto presente come la
127 La massima diffusione avviene tra la fine del I sec. a.C. e la metà del I sec. d.C., nel corso cioè
della più intensa fase di urbanizzazione della regione, che conoscerà poi epoche di trasformazione e ripen-
samento senza ulteriori episodi di “boom edilizio” come quello vissuto allora. È significativo notare che in
questo periodo altoimperiale la strutturazione di sottofondazioni a sedimenti si ripeta costantemente anche
all’interno dei medesimi contesti edilizi nel susseguirsi di interventi di ristrutturazione a distanza di vari de-
cenni (come nel caso dell’edificio pubblico di Padova tra via S. Francesco e via del Santo), prova tangibile
di saperi tecnici ben codificati e trasmessi di generazione in generazione di architetti e maestranze.
128 Braccesi 1977.
258
Le sottofondazioni a sedimenti nella Cisalpina e nel Mediterraneo
regione del Caput Adriae possedesse vocazione di contatti con l’Oriente già da prima della
fondazione di Aquileia, e come la colonia latina sembri aver ereditato dal mondo veneto
altoadriatrico la funzione di polo attrattivo e di transito per le relazioni tra il Mediterraneo,
l’alta pianura padana e l’Europa continentale 129.
Si può quindi supporre che la specifica tecnica delle sottofondazioni a sedimenti si sia
diffusa in Italia settentrionale proprio attraverso il quadrante nord-orientale dell’Italia quale
portato del processo diretto di ellenizzazione, che trova molteplici riferimenti confermativi
non solo nelle dinamiche commerciali note per queste regioni, ma pure nello specifico
quadro della loro cultura architettonica ed edilizia.
A corroborare questa idea di un importante ruolo svolto da Aquileia nella diffusione
in Italia settentrionale di pratiche, conoscenze e materiali costruttivi tipici del Mediterraneo
greco si potrà anche richiamare un documento di notevole significato recentemente emerso
dalle indagini archeologiche condotte nell’area dei fondi ex Cossar della colonia latina.
Qui infatti gli scavi 130 hanno interessato proprio un tratto di quelle mura repubblicane,
che, come detto, sono tra i primi complessi in cui vennero usate le sottofondazioni a sedi-
menti stratificati; tali ricerche hanno potuto riscontrare l’uso per le difese (angolo sud-est
della cinta) di un tipo molto particolare di laterizi (pentadoron), ignoto alla cultura edilizia
romano-italica e ricordato invece da Vitruvio 131 come caratteristico delle opere pubbliche
greche 132. A supportare l’ipotesi, che già il testo vitruviano suggerisce, di una forte pre-
senza di cultura o di maestanze greche all’epoca in città basterà ricordare che il pentado-
ron è similmente usato nelle fortificazioni di età ellenistica di un centro greco del canale
ionico-adriatico come Apollonia d’Illiria 133, così da rafforzare l’idea di più che probabili
trasferimenti di saperi e di progettisti in via diretta tra il Mediterraneo orientale, l’Adriati-
co e il Caput Adriae nell’età dell’ellenizzazione più intensa. Né in età anche di molto più
tarda questo legame appare interrotto, come appare, per esempio, dallo studio recentemente
condotto da C. Previato e N. Mareso sui marmi utilizzati in alcune residenze imperiali della
città che dimostra come questi siano per il 66% direttamente importati dalle regioni del
Mediterraneo orientale (Asia Minore e Grecia) 134.
Per mettere meglio a fuoco questo processo di ellenizzazione, che si riflette chiaro
anche nel campo dell’edilizia, è molto interessante ribadire come la tecnica delle sotto-
fondazioni non conosca diffusione in area centro-italica, probabilmente per la natura dei
suoli prevalentemente diversi da quelli alluvionali, tipici invece dell’Italia del nord, che
ne costituivano la ragione d’essere e di applicazione. Questo ci permette di annoverare la
specifica metodologia costruttiva tra quelle esperienze architettoniche che non conobbero
una mediazione urbana nel passaggio dal mondo greco a quello romano cisalpino e che
129 Si veda in proposito la fondamentale raccolta di studi «Antichità Altoadriatiche», 12, 1977, al cui
interno un saggio di riferimento per l’architettura è quello di Cavalieri Manasse 1977.
130 Bonetto, Pajaro 2012.
131 Si tratta di un laterizio di forma quadrata con lato di 5 palmi, pari quindi a 0,375 m. Così l’archi-
tetto latino: Ceteris duobus Graecorum aedificia struuntur; ex his unum pentadoron, alterum tetradoron
dicitur... Ita quod est quoquoversus quinque palmorum, pentadoron, quod quattuor, tetradoron dicitur, et
quae sunt publica opera, pentadoros, quae privata tetradoros struuntur (Vitr., 2, 3, 3).
132 Sui mattoni usati nel mondo greco e sul pentadoron vedi Martin 1965, pp. 54-57.
133 Vedi Balandier, Koço, Lenhardt 2007 per le mura di questa città, in cui, oltre alla particolare
tipologia di laterizi, si ritrova del tutto identico a quello impiegato ad Aquileia (lato ovest della città, Mari-
gnane), l’utilizzo della base in grandi blocchi calcarei.
134 Previato, Mareso c.s.
259
Jacopo Bonetto, Caterina Previato
risultano quindi non tanto frutto di un processo di romanizzazione, quanto, come detto, il
prodotto di parallele forme di trasmissione culturale ascrivibili a processi di ellenizzazione
dirette delle aree periferiche del Mediterraneo che da secoli intrattenevano contatti con
l’Oriente. Ciò fa naturalmente anche comprendere le sfaccettate modalità dei processi di
acculturazione delle regioni cisalpine, spesso ascritte ad una troppo monolitica visione
della romanizzazione quale fenomeno unico di trasferimento culturale dal centro di potere
alle periferie, ma da comprendere invece come frutto di una più articolata rete di contatti e
di relazioni tra le varie regioni del Mediterraneo.
Jacopo Bonetto
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