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Elettronica

Si definisce elettronica in senso stretto quella scienza che ha come oggetto lo studio del movimento
di elettroni, generato dalla loro emissione e dalla conseguente propagazione. Dalla sua definizione
si comprende quindi che essa si basa sulle proprietà fisiche della materia e in particolare sui principi
fondamentali dell’elettromagnetismo. La sua applicazione pratica costituisce l’elettrotecnica, che
riguarda i dispositivi e gli apparati per la generazione e il trasporto dell’elettricità. In senso
generale, l’elettricità è il complesso di fenomeni fisici che sono coinvolti nel movimento di cariche
elettriche, siano queste negative (elettroni) o positive (ioni positivi).
L’elettronica moderna si divide in elettronica analogica, che studia i segnali elettrici analogici, cioè
continui nel tempo, ed elettronica digitale, avente come oggetto i segnali elettrici digitali, cioè
quelli che possono assumere solo un insieme discreto e finito di valori (tipicamente due, in modo
che possano rappresentare le informazioni binarie 0 e 1). L’elettronica digitale è particolarmente
utile per la realizzazione di circuiti e dispositivi per l’informatica.
Un’ulteriore distinzione può essere fatta in base al campo d’applicazione.
L’elettronica di potenza studia in particolare le proprietà dei convertitori di potenza per realizzare
in modo efficiente il trasporto e la conversione della potenza tra sistemi diversi.
L’optoelettronica invece studia come i sistemi elettronici possono interagire con le radiazioni
elettromagnetiche (di cui la luce visibile è solo una piccola parte).
Si distingue, infine, anche l’elettronica delle telecomunicazioni, che studia i sistemi in grado di
comunicare a distanza mediante segnali elettrici. Quest’ultimo settore dell’elettronica è spesso
messo in relazione con l’informatica e forma, con quest’ultima, l’ITC (acronimo dei termini inglesi
Information and Communications Technology, tecnologie della comunicazione e
dell’informazione), considerato uno dei settori più importanti nella moderna società
dell’informazione.
Alla base di tutte queste branche dell’elettronica vi sono la trasmissione della corrente elettrica nei
circuiti e le relative leggi fisiche che governano tale fenomeno.

Corrente e tensione
Dal punto di vista fisico, la corrente elettrica è lo spostamento a livello microscopico di cariche
elettriche. La carica elettrica si misura in coulomb (indicato con il simbolo C); un coulomb
corrisponde a un numero molto elevato di elettroni (dell’ordine di 1018). Tale spostamento avviene
in un verso in modo ordinato e la quantità di cariche che attraversa l’unità di superficie è detta
intensità di corrente elettrica. Tale grandezza viene indicata con il simbolo I e si misura in
ampere. La relazione tra ampere e coulomb è molto semplice: si definisce una corrente di un
ampere quella che riesce a trasportare in un secondo attraverso la sezione di un circuito la carica di
un coulomb. Si ha quindi la relazione:
1 C=  A·1 sec.
L’intensità di corrente si misura con uno strumento detto amperometro. In un sistema, l’intensità di
corrente (o più sinteticamente, la corrente) è una funzione del tempo. Si distingue la corrente
alternata, in cui la variazione nel tempo del segnale elettrico è rappresentabile da un’onda
periodica, sinusoidale, di una data frequenza (misurata in Hz) e valore massimo prefissati. La
corrente alternata è indicata anche dal simbolo AC (dall’acronimo inglese Alternating Current) e
quella comunemente presente nelle nostre case ha una frequenza di 50 Hz.
La corrente continua invece ha un valore e una direzione costanti nel tempo. La corrente continua
indicata anche dal simbolo DC (dall’acronimo inglese Direct Current) si trova, per esempio, negli
impianti fotovoltaici. Un esempio di sistema in grado di generare una corrente continua è la
dinamo, mentre la corrente alternata può essere prodotta da un generatore chiamato appunto
alternatore.
Accanto alla corrente elettrica si può definire la tensione elettrica. Questa viene misurata a due
capi (morsetti) di un circuito elettrico. La differenza di tensione ai due capi del circuito (differenza
di potenziale elettrico; dalla fisica: il potenziale elettrico è il rapporto tra l’energia potenziale
elettrica, ossia il lavoro che deve compiere la forza dovuta al campo elettrico per spostare una o più
cariche da quel punto fino all’infinito, ove si assume potenziale nullo) provoca lo spostamento delle
cariche elettriche e, di conseguenza, la presenza di corrente. La tensione elettrica si indica con il
simbolo V e si misura in volt, in onore di Alessandro Volta che inventò la pila, il primo sistema in
grado di generare energia elettrica in base alle proprietà elettrochimiche degli elementi utilizzati.
Nei sistemi che possiamo incontrare tutti i giorni si possono avere diversi livelli di tensione, da
quella bassa (da 50 a 1.000 V per la corrente alternata o da 120 a 1500 V per quella continua), a
quella media (inferiore a 30 KV) fino a quella alta (>30 KV). Alcuni valori sono stati standardizzati
e, nelle nostre case, la maggior parte dei sistemi funzionano a 220 o 230 V.

La legge di Ohm
Tra tensione e corrente esiste una relazione ben precisa, detta prima legge di Ohm: ai capi di un
circuito elettrico, la differenza di potenziale elettrico è direttamente proporzionale all’intensità della
corrente che l’attraversa (a temperatura costante). La costante di proporzionalità è detta resistenza
elettrica. La legge di Ohm si può scrivere quindi con la formula
V= R·I.
La resistenza si misura in ohm: si definisce 1 ohm la resistenza elettrica fra due punti di un
conduttore, attraverso il quale passa una corrente di 1 ampere, quando gli viene applicata una
differenza di potenziale di 1 volt. Il termine resistenza si riferisce appunto all’ostacolo (resistenza)
che il materiale conduttore oppone alla circolazione della corrente, quando ai suoi capi viene
applicata una differenza di tensione. Tale capacità di opporsi allo spostamento delle cariche dipende
dalle proprietà fisiche del materiale con cui è costruito il filo elettrico o, più precisamente, dalla sua
struttura atomica e dalla temperatura. Questo concetto è espresso dalla resistività del materiale. A
seconda di tali proprietà, si possono distinguere materiali isolanti, semiconduttori, conduttori o
superconduttori. Tra i principali materiali isolanti vi sono il polietilene, la ceramica, il vetro, la
mica. Esempi di semiconduttori sono il silicio e il germanio. I conduttori sono quasi tutti i principali
metalli, come l’argento, il rame, l’oro o il tungsteno. I superconduttori presentano una resistività
bassissima, al diminuire della temperatura: gli esempi più noti sono il gallio e il mercurio.
Dalla legge di Ohm si deduce che se la differenza di tensione (potenziale elettrico) è nulla, non ci
può essere corrente. Questa legge è fondamentale in tutti i circuiti elettrici studiati in elettrotecnica.
I circuiti elettronici sono un particolare tipo di circuiti elettrici in cui lo scopo del segnale è quello di
trasportare informazione (analogica o digitale).

Circuiti e componenti elettronici


Nei circuiti elettronici, collegando opportunamente elementi (componenti) lungo un percorso
chiuso, si può ottenere lo scopo fondamentale, ovvero lo scorrere di corrente elettrica. I più comuni
elementi che si possono trovare in un circuito elettronico sono i seguenti:
• generatori (di tensione o corrente)
• resistori (chiamati impropriamente resistenze)
• condensatori
• transistor
• diodi e porte logiche digitali (per realizzare gli operatori dell’algebra di Boole usati in
informatica)
• amplificatori operazionali.
A seconda del numero di morsetti (estremi) con cui un componente è collegabile ad altri
componenti, si distinguono i bipoli (due poli), i tripoli (tre poli) ecc. I componenti elettronici
vengono raffigurati nei circuiti da simboli grafici standard e sono caratterizzati da grandezze
elettriche, specifiche di ogni elemento.
I componenti elettronici possono essere collegati tra loro in due modalità: collegamento in serie e
collegamento in parallelo. Nel collegamento in serie, i componenti sono collegati in modo che la
corrente possa scorrere lungo un solo percorso, nel collegamento in parallelo tutti i componenti
sono soggetti, ai loro poli, alla stessa differenza di tensione.

I componenti elettronici bipolari


Ecco di seguito una breve descrizione dei principali componenti bipolari presenti nei circuiti
elettronici.
Un generatore (ideale) di corrente è un componente in grado di generare una corrente elettrica con
le caratteristiche costanti nel tempo, indipendentemente dal suo carico, ovvero da ciò che si trova
nella parte rimanente del circuito che insiste sui suoi morsetti. Il simbolo di un generatore ideale di
corrente è un cerchio con all’interno una freccia. Il verso della freccia indica il flusso della corrente,
opposta al moto degli elettroni.
Un generatore (ideale) di tensione è un componente in grado di generare una tensione elettrica ai
suoi poli con le caratteristiche costanti nel tempo, indipendentemente dal suo carico, ovvero da ciò
che si trova nella parte rimanente del circuito che insiste sui suoi morsetti. Il simbolo di un
generatore di tensione è raffigurato da un cerchio con all’interno i simboli + e -, che indicano la
polarità della tensione (+ il punto a tensione più alta, – quello a tensione più bassa).
Un resistore è il componente che oppone una determinata resistenza al passaggio della corrente tra i
suoi due estremi (poli). Poiché la grandezza a esso associata è appunto la resistenza elettrica, viene
spesso impropriamente indicato con il termine resistenza. Il simbolo grafico di un resistore è il
seguente:
Generalmente nei circuiti elettronici, accanto al resistore viene indicato un numero che indica la sua
resistenza.
I generatori di corrente e tensioni reali sono schematizzati da un generatore di corrente e tensioni
ideali rispettivamente in serie o in parallelo con una resistenza:

Il condensatore è un componente costituito da due piastre, o armature, di materiale conduttore,


separato da un materiale isolante (detto dielettrico). Applicando una differenza di tensione alle due
armature, si crea un campo elettrico. L’energia elettrostatica generata si “accumula” o condensa
all’interno del dielettrico, in quanto la carica elettrica si dispone sulle due superfici interne delle
piastre a contatto con il dielettrico. La carica è proporzionale alla tensione applicata e la costante di
proporzionalità è una caratteristica di quel particolare condensatore che si chiama capacità elettrica
e si misura in farad (cioè un farad è la capacità elettrica di un condensatore che ha carica di un
coulomb quando si applica una differenza di potenziale di un volt; da un punto di vista delle unità di
misura, farad=coulomb/volt).
Il simbolo grafico di un condensatore è il seguente:
Il diodo è un componente elettronico in grado di far passare la corrente solamente in un verso,
dall’anodo (il suo polo positivo) al catodo (quello negativo). Il suo simbolo grafico è infatti una
freccia stilizzata che indica la direzione della corrente: quando il diodo conduce la corrente (se la
tensione è positiva o maggiore di una soglia) si dice che è polarizzato.
Esistono vari tipi di diodi, ma il più conosciuto è il diodo a emissione di luce, o LED (acronimo
dell’inglese Light Emitting Diode). Quest’ ultimo è in grado di illuminarsi quando è polarizzato. Il
colore della luce emessa dipende dalla tensione applicata, che di solito è dell’ordine di pochi volt.
Diodi a luce infrarossa sono invece i costituenti principali della maggior parte dei telecomandi. Il
LED non deve essere confuso con il fotodiodo, che ha invece la funzione opposta: cattura la luce e
la trasforma in segnale elettrico.

I transistor
Il transistor è un componente fondamentale dell’elettronica, sia di quella analogica, dove è usato
per amplificare i segnali, sia di quella digitale, in cui è usato per controllare il passaggio della
corrente, secondo la logica “binaria” ON-OFF (ON, la corrente passa; OFF, la corrente non passa).
Inventato all’incirca a metà del secolo scorso, ha sostituito le vecchie valvole (per esempio quelle
presenti nelle radio) ed è diventato il componente principale dei circuiti integrati moderni.
Internamente, il transistor è fatto da tre strati di materiale semiconduttore, diversamente polarizzati.
Un semiconduttore (come, per esempio, il silicio, il germanio e l’arseniuro di gallio) ha proprietà di
conducibilità elettrica intermedie tra quelle di un conduttore e un isolante.
L’interesse suscitato da alcuni materiali semiconduttori nelle applicazioni dell’elettronica consiste
nel fatto che le loro proprietà possono essere modificate in modo controllato aggiungendo piccole
quantità di impurità, chiamate droganti. Le impurità possono essere di due tipi: quelle che generano
nel materiale un eccesso di cariche elettriche negative (elettroni) e quelle che forniscono un eccesso
di cariche elettriche positive (uguali come valore a quelle dell’elettrone, ma di carica opposta). Un
semiconduttore con eccesso di elettroni è detto semiconduttore tipo n, mentre un semiconduttore
con un eccesso di cariche positive è detto semiconduttore tipo p.
A differenza dei componenti visti precedentemente, che sono bipoli, il transistor è un tripolo. Ciò
significa che i suoi morsetti (poli) sono tre: il collettore, la base e l’emettitore. Essi sono
contrassegnati dalle lettere C, B ed E e i simboli usati per indicare il transistor in un circuito
elettronico sono i seguenti:
Nella figura, accanto ai simboli circuitali, viene raffigurata la struttura interna di un transistor, come
concatenazione delle giunzioni n e p. Ogni giunzione rappresenta uno “strato” di materiale
semiconduttore di cui è costituito il transistor, e le lettere n e p identificano il verso della
polarizzazione. Nel transistor n-p-n la corrente fluisce dal collettore all’emettitore; nel caso del
transistor p-n-p fluisce nel senso opposto.
I transistor possono essere usati come elemento fondamentale di amplificatori di tensione, buffer di
tensione, interruttori, semplicemente collegando, in modo opportuno, secondo schemi circuitali
standard, la base, il collettore e l’emettitore a carichi di resistori o imponendo tensioni di
alimentazione.
Infine, esiste un terzo tipo di transistor, detto transistor MOS o a effetto di campo, più comune
nell’elettronica digitale che in quella analogica, in quanto permette una minor dissipazione di
potenza. Inoltre, la moderna tecnologia dei circuiti integrati, indicata con il termine CMOS, è
basata proprio sul transistor a effetto di campo.
Nel corso dei decenni, il perfezionamento della tecnologia CMOS ha permesso la realizzazione di
circuiti integrati (indicati anche con la sigla IC dall’inglese Integrated Circuit) sempre più piccoli
(come dimensioni), giungendo alla loro miniaturizzazione e la produzione di chip.
Un chip è un componente elettronico che comprende al suo interno un intero circuito elettronico,
anche molto complesso, come il microprocessore o le memorie RAM di un computer.
La scala di integrazione che la tecnologia utilizza per la produzione industriale di chip indica
l’ordine di grandezza del numero di transistor in esso contenuti. Per esempio, la scala VLSI (Very
Large Scale Integration) prevede fino a 100.000 transistor in un chip, mentre la massima scala oggi
possibile, la ULSI (Ultra Large Scale Integration), fino a 10 milioni di transistor.
I chip sono alla base di tutti i moderni sistemi e il crescente livello della scala di integrazione ha
permesso la creazione di sistemi sempre più piccoli e più potenti; si pensi, per esempio,
all’evoluzione dei telefoni cellulari o dei personal computer, la cui fortuna si basa anche sul
crescente livello di integrazione dei circuiti integrati.

Gli amplificatori operazionali


Come visto, il transistor è alla base di molti schemi circuitali per amplificare i segnali di tensione;
tuttavia, esiste un circuito dedicato a questo scopo, utilizzato principalmente nell’elettronica
analogica, chiamato amplificatore operazionale. La peculiarità di tale circuito è il guadagno di
tensione molto elevato (dell’ordine di 106), intendendo come guadagno il rapporto tra il segnale di
uscita e la differenza dei segnali di ingresso.
L’amplificatore operazionale ha due ingressi detti ingresso non invertente e ingresso invertente, di
solito indicati con i simboli Vin+ e Vin-. Il dispositivo è dotato di un’unica uscita Vout.
L’alimentazione è in genere duale con due tensioni di alimentazione simmetriche a +Vcc e -Vcc, i
cui valori generalmente sono compresi tra 12 e 15 Volt. Il simbolo dell’amplificatore operazionale è
un triangolo, come quello qui raffigurato:

Un amplificatore operazionale ideale ha un guadagno infinito, ma, in realtà, per un intervallo di


tensioni di ingresso limitato, presenta un guadagno A, limitato e costante, definito come

A=Vout/(Vin+ -Vin–)
Per tale intervallo, di solito di pochi Volt, delle due tensioni di ingresso, l’amplificatore si comporta
come un dispositivo lineare, con A costante.
Un’importante configurazione di utilizzo di un amplificatore operazionale è con anello di
retroazione, in cui l’uscita viene riportata su uno dei due ingressi, quello negativo, per mezzo di un
resistore. Questo realizza una retroazione negativa. La retroazione negativa ha lo scopo di
smorzare il funzionamento del sistema stabilizzandolo. Per esempio, gli amplificatori audio, di
segnale o di potenza, stabilizzano autonomamente il proprio guadagno, con una funzione
automatica, del tutto trasparente all’utente.
L’amplificatore operazionale è alla base di moltissimi circuiti analogici che permettono di eseguire
tutte le principali operazioni matematiche su segnali analogici. Si avranno quindi sommatori,
sottrattori, integratori, derivatori, moltiplicatori ecc.
Un’altra applicazione molto importante degli amplificatori operazionali è la realizzazione di filtri
(lineari e no). Un filtro è un circuito elettrico che permette solo il passaggio di frequenze al di sopra
o al di sotto di un valore, detto “frequenza di taglio“, oppure comprese tra due frequenze. I filtri si
dicono quindi rispettivamente passa-alto, passa-basso e passa-banda.
Altre applicazioni sono la realizzazione di comparatori, per confrontare due segnali e i
convertitori analogici-digitali.
I convertitori analogici-digitali sono circuiti elettronici complessi che consentono di trasformare
un segnale analogico, continuo nel tempo (una corrente, una tensione, una temperatura, una
pressione, ecc.), in uno digitale, ovvero in una sequenza di numeri, in grado di rappresentare in
modo fedele il segnale analogico, continuo nel tempo. La conversione analogica-digitale, realizzata
da circuiti elettronici, concettualmente è costituita da due passi in sequenza: campionatura e
quantizzazione. La campionatura consiste nel considerare i valori del segnale analogico a intervalli
di tempo regolare, estraendo un sottoinsieme di valori della grandezza in questione. Tali valori
vengono successivamente quantizzati, cioè trasformati in numeri di un intervallo prefissato, ovvero
esprimibile da un numero di bit voluto. I valori quantizzati sono poi codificati mediante algoritmi
opportuni, allo scopo di rendere la sequenza di numeri più adatta alla memorizzazione compressa o
alla trasmissione. La conversione analogica-digitale è alla base dell’affermazione della moderna
elettronica digitale e della trasformazione in “digitale” di molti sistemi analogici come nel caso, per
esempio, del passaggio dal lettore di cassette musicali al lettore Mp3.

Elettronica digitale
Alcuni circuiti digitali sono particolarmente importanti nella realizzazione dei sistemi per
l’informatica, ma anche per oggetti di uso quotidiano, come un orologio o un termometro digitali.
Per confrontare, sommare, memorizzare i segnali digitali si usano componenti elettronici dedicati, il
cui studio e la cui realizzazione fanno parte dell’elettronica digitale.
I circuiti digitali si distinguono in due grandi classi: i circuiti combinatori e quelli sequenziali. Un
circuito si dice combinatorio se i valori delle uscite, in ogni istante, dipendono esclusivamente dai
valori in ingresso. Un circuito combinatorio, per definizione, non può contenere anelli di
retroazione (feedback). Un circuito sequenziale è tale se i segnali di uscita, in un determinato
istante, dipendono non solo dai segnali di ingresso allo stesso istante, ma anche dalla storia
precedente del circuito (cioè dai valori di ingresso-uscita degli istanti precedenti). Un circuito
sequenziale ha bisogno quindi di segnali di temporizzazione e può presentare retroazioni.

Le porte logiche
L’algebra di Boole è alla base del trattamento delle informazioni digitali della moderna informatica.
In elettronica, esistono dei circuiti corrispondenti a ognuno degli operatori logici, ovvero NOT,
AND, OR, XOR ecc. Essi sono chiamati porte logiche. Al loro interno sono presenti i componenti
attivi (transistor) che, alimentati opportunamente o messi in serie o in parallelo, permettono di
realizzare inverter (per l’operatore NOT), AND e OR logici. Circuiti più complessi realizzano tutte
le altre porte logiche e anche altre funzioni logiche. Un esempio molto familiare di circuito digitale
è il display a LED in grado di visualizzare cifre e lettere, come quelle che si vedono in un orologio
digitale, in un termometro digitale o in un timer di un forno a microonde. Le cifre del display sono
comandate da circuiti logici che accendono o spengono i singoli tratti che compongono la lettera o il
numero.

I circuiti per operazioni aritmetiche


Combinando opportunamente le porte logiche, è possibile realizzare circuiti più complessi per le
operazioni aritmetiche.
Lo shifter (o traslatore) è un circuito che permette di copiare esattamente in uscita i bit del segnale
in ingresso, ma traslati di una posizione verso destra o sinistra. Per esempio, se l’ingresso a 8 bit è il
seguente:
01001010
l’uscita di un traslatore a destra sarà:
00100101
ovvero il nuovo bit che entra nella parola è convenzionalmente posto a zero. Il verso della
traslazione è comandato da un bit di controllo.
È possibile anche realizzare circuiti digitali per sommare, sottrarre, moltiplicare due parole che
rappresentano numeri secondo la codifica e l’aritmetica dei numeri binari, ma anche per confrontare
due numeri, fino a realizzare circuiti complessi come la ALU (Arithmetic and Logic Unit) interna ai
microprocessori dei computer.

Sistemi sequenziali fondamentali: flip-flop e


registri
Nei sistemi sequenziali, come detto in precedenza, le uscite sono funzione degli ingressi e di un
certo sottoinsieme degli ingressi che si sono avuti negli istanti precedenti. Il sistema quindi
“ricorda” la sequenza degli ingressi per un certo periodo, e si dice quindi che ha una “memoria” del
passato.
I sistemi sequenziali si distinguono in asincroni e sincroni. Nei sistemi asincroni la transizione a un
nuovo insieme di valori delle uscite avviene con un certo ritardo rispetto ai segnali di ingresso,
trascorso il quale il sistema ritorna stabile. I circuiti asincroni diventano molto difficili da
controllare al crescere della complessità dell’elaborazione dei segnali che si vogliono realizzare
mediante il circuito. Risulta pertanto più semplice ricorrere a sistemi sequenziali sincroni, in cui le
transizioni tra ingressi e uscite sono sincronizzate con un segnale prefissato, il segnale di clock,
generato da un oscillatore al cristallo (per esempio un oscillatore al quarzo). Sfruttando le
caratteristiche piezoelettriche del cristallo, l’oscillatore è in grado di generare un segnale molto
stabile, con una frequenza predefinita. Il segnale digitale corrispondente è raffigurabile da un’onda
quadra, generalmente prodotta da un segnale di tensione. Nei sistemi sequenziali sincroni, le
transizioni dei circuiti di memoria interni avvengono su uno dei fronti del segnale di clock (la salita
o la discesa dell’onda quadra). Il clock ha una durata (periodo) il cui inverso costituisce la
frequenza di funzionamento dell’intero circuito digitale.
Il segnale di sincronizzazione è usato nei principali circuiti sequenziali fondamentali, come i flip-
flop e i registri. Un flip-flop (detto anche bistabile) è un dispositivo di memorizzazione
elementare, in quanto è in grado di conservare al suo interno il valore di un bit, precedentemente
scritto. Le operazioni che si possono fare su un flip-flop sono infatti: scrittura, lettura, reset
(azzeramento), set (impostazione a uno) o toggle (commutazione, ovvero se il precedente valore è 0
quello nuovo è uno e viceversa). Queste operazioni sono impostate dalla configurazione dei bit di
ingresso e avvengono in modo sincrono con il segnale di clock.
Collegando opportunamente sequenze di flip-flop, è possibile costruire registri in grado di
memorizzare parole con un numero voluto di bit. I registri a scorrimento sono in grado inoltre di
far scorrere il contenuto a destra o a sinistra in modo sincrono con il segnale di clock. Aumentando
la complessità del circuito digitale, si arriva a memorizzare banchi di parole, realizzando così i vari
tipi di memorie di un computer (memorie cache, RAM, ROM ecc.).
Esistono dispositivi elettronici formati da matrici di porte logiche (tipicamente AND e OR logici)
programmabili, detti PLA (acronimo dell’inglese Programmable Logic Array), che possono essere
programmati per realizzare un dato circuito combinatorio. Una versione più complessa sono le
FPGA (Field Programmable Gate Array), che possono essere programmate via software per
realizzare un circuito elettronico digitale voluto. In alternativa agli array programmabili, si possono
realizzare componenti ASIC (acronimo di Application Specific Integrated Circuit) ovvero circuiti
integrati creati ad hoc per risolvere un’applicazione di calcolo ben precisa. Esempi di ASIC si
trovano su tutti i principali sistemi elettronici moderni, come schede madri di computer, schede
video di televisori ecc.

Elettronica di potenza
Mentre l’obiettivo dell’elettronica circuitale digitale e analogica è l’elaborazione dell’informazione
associata al segnale, nel caso dell’elettronica di potenza lo scopo è la gestione dell’energia elettrica,
rendendola disponibile (trasporto e conversione) ai diversi sistemi per una loro corretta
alimentazione; pertanto l’elettronica di potenza è fondamentale in tutte le applicazioni industriali.
Una delle operazioni fondamentali nell’elettronica di potenza è la trasformazione dell’energia
elettrica da una forma a un’altra, a seconda delle esigenze del sistema elettrico che la utilizza
(carico). Durante questa trasformazione si verifica una perdita di potenza, che deve essere
minimizzata. L’energia elettrica può essere trasportata in due forme: continua (DC), con un segnale
di tensione costante nel tempo, o alternata (AC), con un segnale di corrente alternato, a valore
medio nullo (tipicamente una sinusoide). Le operazioni base dell’elettronica di potenza sono la
conversione da un tipo a un altro, (DC-AC e viceversa) o la trasformazione da bassa ad alta potenza
(o viceversa) per segnali dello stesso tipo (conversioni AC-AC o DC-DC). Un sistema elettrico può
essere schematizzato e semplificato con due elementi: il generatore (per esempio di tensione) e il
carico. La potenza è il prodotto tra la tensione erogata dal generatore e la corrente che arriva al
carico, secondo la formula:
P=V˙I.

La potenza elettrica si esprime in watt, quindi in 1 watt=1 volt˙1 ampere. Il trasformatore che si
usa spesso nelle nostre case per collegare alla rete elettrica dispositivi che necessitano di una
tensione inferiore (per esempio quando si usa un caricabatterie) è un esempio di un tipico
convertitore, che consente di trasformare una determinata tensione in un’altra più bassa.
Per quanto riguarda il suo trasporto, l’energia elettrica portata a una casa o a un impianto industriale
può essere di due tipi: monofase o trifase. Per capire la differenza si ricorda che un segnale
alternato (tensione o corrente) varia nel tempo in modo periodico, e la costante di fase indica la
traslazione rispetto all’istante iniziale del segnale. Nel caso dell’energia elettrica trifase, l’energia è
trasportata da tre fili (indicati con i simboli R-S-T), su cui viaggiano tre segnali di uguale frequenza,
ma sfasati di 120 gradi. Se i tre cavi sono collegati a triangolo, è presente anche il cavo di neutro
(N).
Questa forma è quella in cui viene distribuita l’energia dalle centrali elettriche lungo tutto il
territorio. Il trasporto dell’energia nella forma trifase è infatti più economico e affidabile e consente
una minore dissipazione (perdita) di energia. In Italia, la differenza di tensione tra le fasi è 400 volt,
mentre tra fase e neutro è di 230 volt. Tuttavia, nelle utenze domestiche dove non sono necessarie
grandi potenze, la forma più adatta è l’energia monofase, ricavata dalla trifase usando
semplicemente solo due cavi, una fase e il neutro. Quest’ultima è quella più adatta per
l’illuminazione e il riscaldamento, dove generalmente la potenza impiegata è inferiore a 6-10 kW.
Per potenze superiori, come negli impianti artigianali e industriali, la forma di trasporto più adatta è
quella trifase.
La trasmissione dell’energia è fondamentale per il funzionamento dei motori elettrici, macchine in
grado di trasformare l’energia elettrica in ingresso in energia meccanica. Ciò è possibile sfruttando
le leggi dell’elettromagnetismo, che governano fenomeni che accadono quando le correnti elettriche
interagiscono con un campo magnetico. Anche i motori si distinguono in motori in continua e
alternata, monofase o trifase a seconda della natura del segnale elettrico che li alimenta.
La funzione opposta, ovvero la conversione da energia meccanica a elettrica, è invece realizzata
dalla macchina detta alternatore, nel caso in cui il segnale elettrico sia di natura alternata, o dalla
dinamo, nel caso in cui il segnale sia continuo. L’accoppiamento tra una dinamo e una turbina
idraulica ha reso possibile, alla fine dell’Ottocento, l’inizio della produzione e della distribuzione
industriale dell’energia elettrica.

Elettronica ed effetto fotoelettronico


Una parte dell’elettronica studia le tecnologie e i sistemi che utilizzano l’effetto fotoelettronico.
L’effetto fotoelettronico è un fenomeno fisico noto dalla fine dell’Ottocento: alcuni materiali, se
bombardati da una luce monocromatica di una data frequenza, sono in grado di emettere elettroni
(detti fotoelettroni). Le sostanze maggiormente utilizzate sono alcuni metalli e semiconduttori. Da
questo semplice principio della fisica, si è riusciti a perfezionare sistemi elettronici (studiati in
fotoelettronica) in grado di produrre energia elettrica dalla radiazione solare. Componente
fondamentale di tali sistemi è la cella fotovoltaica o, più comunemente, cella solare. Il materiale
più usato è il silicio, ma ci sono soluzioni a base di rame, indio, selenio e gallio. La tecnologia
fotovoltaica è sempre in evoluzione, alla ricerca di nuove soluzioni e nuovi materiali, e studi
promettenti derivano dall’applicazione delle nanotecnologie.
Più celle vengono assemblate in pannelli solari, come quelli che si trovano nei sistemi si
generazione di energia che si possono installare sul tetto delle abitazioni. L’energia prodotta
dall’interazione tra la radiazione solare e il materiale della cella può essere usta solo per scaldare un
liquido (tipicamente l’acqua di casa,) e allora si parla di pannelli solari termici o per produrre vera
e propria energia elettrica (pannelli fotovoltaici propriamente detti).
Caratteristica fondamentale dei pannelli solari è l’efficienza, ovvero quanto energia (in watt) sono
in grado di generare per metro quadrato di pannello, in condizioni di irraggiamento nominali (25
gradi centigradi di temperatura e direzione dei raggi solari perpendicolari alla cella). I valori
correnti di efficienza sono intorno al 10-15%, ma c’è una ricerca continua di soluzioni che
migliorino queste prestazioni.
Un concetto importante è che le cellule fotovoltaiche producono corrente continua in bassa
tensione, generalmente inferiore a 12-14 Volt. Il pannello solare può essere collegato direttamente
alla rete di alimentazione della casa, utilizzando un convertitore per trasformare la corrente continua
in alternata; in tal modo non è necessario usare l’energia elettrica fornita dal gestore di rete. La
soluzione più comune però è che la corrente generata dal pannello non sia usata direttamente, ma
venga sfruttata per caricare una batteria che, a sua volta, alimenta gli apparecchi elettrici collegati.
La presenza della corrente continua è uno degli aspetti che complicano l’uso dei pannelli solari in
ambito domestico, in quanto, in caso d’incendio, le procedure per l’estinzione sono più complesse
di quanto non lo siano nel caso di presenza di corrente alternata (quella usualmente utilizzata per la
distribuzione dell’energia elettrica nelle abitazioni civili).

L'optoelettronica
Una branca dell’elettronica, l’optoelettronica, studia i sistemi elettronici che interagiscono con la
radiazione elettromagnetica, generalmente non nel campo del visibile (come lo è parte della
radiazione solare), ma nelle bande di raggi X e raggi gamma e nelle bande attigue al visibile
(infrarosso e ultravioletto).
Particolare importanza hanno i sistemi a emissione stimolata, comunemente detti laser. Il termine
laser è l’acronimo di Light Amplification by Stimulated Emission of Radiation. In base all’energia
della radiazione incidente e alla conformazione atomica del materiale (cioè in base a come si
distribuiscono gli elettroni e su quali livelli di energia), il fotone che incide un materiale ne stimola
l’emissione di un altro, per effetto della transizione degli elettroni da un livello all’altro.
A seconda di come si spostano gli elettroni, la luce del laser è visibile, oppure ricade nella banda
dell’ultravioletto o dell’infrarosso. Si tratta di una luce che possiede un intervallo spettrale molto
limitato, generalmente monocromatica (blu, rossa ecc.). Inoltre possiede la caratteristica di essere
luce coerente, ovvero di conservare la fase costante nella propagazione. La coerenza è la proprietà
fisica che consente di focalizzare con altissima precisione la direzione del fascio laser e ciò ha
aperto la strada alle innumerevoli applicazioni della luce laser da semplice puntatore ottico per le
presentazioni a sistemi in grado di incidere metalli, stoffe per eseguire tagli e incisioni con una
precisione mai raggiunta prima. Importanti sono anche le applicazioni dei laser in ambito medico,
per esempio in chirurgia e dermatologia.
Siccome il laser è in grado di interagire con i tessuti biologici, in primo luogo con pelle e occhi, i
fasci laser sono stati classificati in 5 classi, con indice di pericolosità crescente con il numero della
classe: 1, 2, 3A, 3B e 4. Passando da una classe all’altra cresce la potenza del segnale laser e,
conseguentemente, la sua pericolosità. Pertanto devono essere prese opportune precauzioni d’uso,
dal semplice evitare di fissare il fascio (come nei laser di classe 2, quelli di un comune puntatore per
le presentazioni), fino all’uso di occhiali e dispositivi di protezione opportuni. Su ogni dispositivo in
grado di generare un fascio laser, la normativa di sicurezza vigente in Italia impone di riportare la
classe di pericolosità.

Le telecomunicazioni
L’elettronica delle telecomunicazioni si occupa di progettare sistemi per la trasmissione delle
informazioni a distanza. Oltre ad avvantaggiarsi dei progressi di altri settori dell’elettronica (come i
circuiti digitali) e dell’informatica, si basa sui principi della teoria dell’informazione e delle
comunicazioni elettriche.
Le prime applicazioni dell’elettronica delle telecomunicazioni si ebbero con l’avvento della radio,
del telefono e della televisione. La progressiva digitalizzazione dell’informazione ha dato origine
alla progressiva convergenza tra tecnologie delle telecomunicazioni e informatica: così oggi è
comune vedere un canale televisivo su Internet dal PC o dallo schermo del proprio cellulare.
Un altro settore applicativo oggetto dell’elettronica delle telecomunicazioni è quello relativo ai
telefoni cellulari, la cui evoluzione è stata resa possibile dalla crescente miniaturizzazione dei
circuiti digitali e dalla creazione di reti di trasmissione sempre più veloci.
Il termine cellulare deriva dal fatto che nell’architettura di queste reti il territorio viene diviso in
celle, contenenti ognuna un’antenna, in grado di trasferire l’informazione digitale trasmessa dal
cellulare all’antenna della cella vicina, in base al collegamento impostato dall’utente, sia che stia
facendo una chiamata vocale o che stia navigando su Internet.
Tali reti sono contraddistinte dall’intervallo di frequenza in cui trasmettono il segnale. Inizialmente
la rete più “lenta” è stata la rete GSM (acronimo di Group Special Mobile, il nome del gruppo
francese che la ha inventata e realizzata per primo), ovvero lo standard 2G; la lettera “G” sta per
generazione. In seguito si sono affermati altri protocolli di rete (UMTS e il suo derivato LTE) con
l’obiettivo di aumentare sempre più la velocità di trasmissione dei bit o la possibilità di comunicare
su più bande di frequenza. La rete di quarta generazione (4G) permette una trasmissione a velocità
massima (teorica) di 42 Mbit/sec, anche se il prossimo obiettivo sarà il raggiungimento dei 100
Mbit/sec.
Tra le applicazioni più moderne dell’elettronica delle telecomunicazioni vi sono la progettazione e
la realizzazione dei satelliti artificiali. Questi, ruotando nello spazio attorno alla Terra, permettono
di trasmettere le informazioni tra punti diversi. I satelliti si distinguono in tanti tipi a seconda delle
applicazioni.
I satelliti per telecomunicazioni servono per permettere la comunicazione in radiofrequenza tra
punti diversi della superficie terrestre e sono alla base delle comunicazioni cellulari e televisive.
Essi sono spesso posizionati in un’orbita geostazionaria, ovvero in un’orbita che si trova a una
distanza tale dalla Terra per cui il satellite impiega, per compiere un giro attorno al nostro pianeta
(rivoluzione), un tempo pari al periodo di rotazione della Terra stessa. Uno degli esempi più noti di
satellite di questa classe è il satellite Eutelsat per le comunicazioni televisive.
I satelliti per la navigazione permettono di avere un sistema di riferimento di coordinate
geografiche e stabilire quindi in che punto del globo terrestre è posizionato il sistema. Essi sono alla
base della rete GPS (Global Positioning System), sulla quale si fondano gli odierni navigatori a
bordo di automobili, imbarcazioni, aerei o i semplici orologi GPS.
Il GPS fu creato dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti intorno al 1970 per scopi militari e
solo nel 1991 il governo americano decise di consentirne l’uso anche per usi civili, di fatto
rivoluzionando il sistema delle comunicazioni e spostamenti dei veicoli civili in tutto il mondo.
I satelliti per il telerilevamento servono per la generazione di mappe della superficie terrestre in
varie bande (del visibile, ma anche dell’infrarosso e ultravioletto). Il più famoso è il satellite
Landsat.
I satelliti meteorologici (come i satelliti della serie MeteoSat) permettono di raccogliere dati utili ai
modelli matematici che generano le previsioni del tempo.
La progettazione dei satelliti è una notevole sfida per l’elettronica perché i sistemi elettronici a
bordo di un corpo che si muove nello spazio e i protocolli di comunicazione devono essere
particolarmente resistenti al rumore causato dalle radiazioni ionizzanti, dall’attività del Sole (vento
e tempeste solari) e dalle condizioni di funzionamento (per esempio la temperatura) molto diverse
da quelle presenti sulla superficie della Terra.

Il futuro dell'elettronica
Si pensa che, in futuro, l’elettronica potrà sfruttare le conquiste e i risultati della ricerca in altri
campi scientifici, al fine di progettare sistemi sempre più veloci, miniaturizzati e dalle prestazioni
più elevate. In particolare, il campo delle nanotecnologie sembra essere molto promettente perché lo
studio o la scoperta di nuovi materiali sono alla base della produzione di sistemi le cui dimensioni
sono dell’ordine dei nanometri (da cui il termine nanotecnologie).
I primi risultati si sono già avuti nella produzione di MEMS (acronimo di Micro Electro-
Mechanical Systems), dispositivi in grado di sfruttare contemporaneamente proprietà meccaniche ed
elettriche dei semiconduttori. Da questa branca è nata la nanoelettronica, che studia quindi questi
circuiti sperimentali in grado di sviluppare, con ridottissimi consumi di potenza, circuiti elettronici
di piccolissime dimensioni.
Altro settore in notevole espansione è l’elettronica quantistica, non solo nelle applicazioni della
tecnologia dei laser, ma anche nell’elettronica molecolare. Uno dei settori più interessanti e
futuribili studia come sfruttare le leggi della fisica quantistica e le proprietà di materiali organici (a
base di carbonio) per memorizzare la classica informazione binaria a due stadi (0 e 1) in una
molecola, invece che su un substrato di materiale ferromagnetico. Lo scopo è la produzione di
nuovi circuiti molecolari, fino all’estensione della possibilità di rappresentazione dell’informazione
non limitandosi solo ai due livelli binari, ma a più livelli, portando così alla creazione dei primi
computer quantistici. La realizzazione di un prototipo di computer quantistico è stata annunciata
per la prima volta dall’IBM nel 2017.

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