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I primi carichi di tentative sono quelli teorici che si ipotizzano all’inizio dello studio.
• Telaio (chassis): è la struttura portante della moto, la quale sostiene le due ruote e il motore
La differenza tra i primi ed i secondi, è che quelli degli enduro sono leggeri ma non hanno resistenza
alle sollecitazioni come flessione e torsione (ossia si “piegano” fino al termine della sollecitazione),
mentre quelli delle stradali pesano di più ma non si piegano.
• Coda (tail): è la parte posteriore del telaio sulla quale viene montata la sella, che è l’elemento che
sostiene il pilota ed il passeggero, e le relative carene.
• Forcelle: Anteriore (fork) e posteriore (forcellone o swingarm).
Il forcellone è costituito da due bracci solidali che da una parte sono fulcrati nel telaio e dall’altra
sostengono la ruota. Tra il forcellone ed il telaio viene fissata la sospensione. Le sospensioni collegano
quindi telaio e forcellone consentendo la trasmissione dei carichi. Un forcellone robusto, aiuta a
migliorare la rigidità generale della moto
La forcella anteriore è costituita da due tubi dentro i quali scorrono altri due tubi dentro i quali si
trovano due o più molle che non sono altro che le sospensioni. Tramite due placche di acciaio vengono
rese solidali fra di loro e con l’estremità superiore del telaio, andando così a costituire il piantone di
sterzo.
• Ruote (wheels): sono le parti rotanti della ciclistica e sono costituite da cerchione e pneumatico. Il
cerchione sorregge lo pneumatico, con parte del sistema frenante e/o del sistema di trasmissione; i
cerchioni possono essere costituiti da raggi o da razze di lega leggera. Lo pneumatico è l’elemento
fondamentale per garantire la tenuta del mezzo. Le mescole determinato la capacità di tenuta dei
pneumatici (detto anche grip): più è tenera più il grip sarà elevato e la durata del pneumatico limitata.
• Freni (brakes): ne esistono di due tipi, a tamburo e a disco.
I primi sono ormai poco impiegati: sono costituiti da da un cilindro solidale con il cerchione, dentro
il quale c’è un braccio che sostiene la pastiglia frenante, solidale con la forcella. Al momento della
frenata tramite apposite leve, questo braccio viene spinto verso il tamburo che, per attrito, rallenta la
sua rotazione.
I freni a disco sono costituiti da un disco di acciaio solidale con il cerchione e da una pinza solidale
con la forcella. Al momento della frenata la pinza che contiene al suo interno le pastiglie, si stringe
obbligando le pastiglie (una su di una faccia e l’altra sulla faccia opposta del disco) a strisciare contro
il disco che quindi rallenta la sua rotazione.
• Ammortizzatori (shock absorbers): sono una parte fondamentale della moto. La loro regolazione
permette di variare completamente lo stile di guida del mezzo. L’ammortizzatore anteriore risiede
nella forcella anteriore, della quale fa parte integrante; quello posteriore è applicato tra il telaio e la
forcella posteriore.
• Pedalini (footrests): sono le pedane dove si appoggiano i piedi.
• Carenatura: sono tutte le parti di plastica che completano la linea della moto, che svolgono anche la
funzione di proteggere il pilota dal vento ed eventualmente dal calore del motore.
Il telaio, gli ammortizzatori e le forcelle possono essere considerati un sistema unico che si influenzano in
termini di carico.
2. Carichi ed energie
I carichi che agiscono sul sistema sono distinguibili in statici e dinamici.
o Il principale carico statico è costituito dal peso e non varia nel tempo.
o I carichi dinamici agenti sono invece di varia natura e sono variabili nel tempo. Spesso si considera una
variazione sinusoidale dei carichi dinamici, sebbene questa sia solo un’approssimazione che può applicarsi
alle grandezze che variano periodicamente e sono scomponibili in sinusoidi in serie; per i carichi random il
problema è più complesso.
1
Oltre che la resistenza ai carichi degli elementi costituenti un motociclo, è necessario considerarne anche la
rigidezza. In particolare, forcellone, telaio e forcella possono essere considerate come tre molle disposte in
1 1 1 1
serie, di cui si può trovare la rigidezza equivalente come segue: = + + .
K eq K Fork KChassis K Swingarm
Le energie di cui tenere conto sono:
o l’energia cinetica dovuta al moto del motociclo di massa m (il 25% del carico dipende dal motore) con
1
velocità v: EK = mv 2 ;
2
1
o le inerzie dovute a tutte le parti rotanti, come ruote e motore: EI n = I nn2 . Le forze rotanti del motore
2
sono molto importanti nel funzionamento di un motociclo e in particolare nel suo equilibrio, poiché si
oppongono alla tendenza dello sterzo di cambiare direzione (ecco perché in una discesa a motore spento si
avverte il manubrio molto più instabile).
In totale, l’energia cinetica da considerare è:
1 1 1
EK = mv 2 + I112 + ... + I nn2
2 2 2
2
Forze di resistenza agenti su un motoveicolo
Il comportamento di un motoveicolo durante il moto, dipende dalle forze scambiare tra gli pneumatici e la
strada, dalle forze aerodinamiche indotte dal moto e dalla pendenza del piano stradale.
Conoscere le forze che si oppongo al moto è importante poiché, per permettere il moto, il veicolo dovrà
superare tali forze tramite la forza di spinta, dovuta alla coppia e alla velocità che derivano dalla potenza
erogata dal motore. Qualunque sia il tipo di moto, è dunque di primaria importanza studiare le forze che vis i
oppongono.
Durante il moto uniforme, la spinta prodotta dal
motore è uguagliata dalle forze che si oppongono
all’avanzamento del veicolo, che sono
principalmente:
• Forza di resistenza al rotolamento Fw (che si
ripartisce sulle due ruote come Fw /2);
• Forze aerodinamiche di lift FL e drag FD;
• La componente della forza peso FP=mg⸱sinα
causata dalla pendenza della strada e
funzione dell’angolo.
Le componenti più importanti, di cui si terrà conto nella trattazione successiva, sono quelle di drag e lift.
Le forze aerodinamiche sono applicare al centro di pressione del corpo, che non coincide con il centro di
gravità, ma è spostato più avanti e più in alto. Di conseguenza, la risultate delle due forze aerodinamiche genera
un momento di beccheggio (pitch) attorno all’asse y.
Poiché è difficile determinare il centro di pressione, per semplicità lo si considera coincidente con il centro di
gravità.
Forza di drag
3
Il valore del coefficiente di drag, è fortemente influenzato da due fattori: la forma (in
particolare dalla presenza o meno della carenatura) e le dimensioni dell’oggetto.
Dalla forma dipende, ad esempio, la formazione di vortici e la capacità di penetrazione
dell’aria (a tal proposito la forma con la miglior capacità di penetrazione è quella della
goccia d’acqua).
Le dimensioni hanno una notevole importanza, poiché anche da esse, e non solo dalla
forma, dipende il numero di Reynolds.
Gli studi aerodinamici sono importanti anche nei riguardi della circolazione interna, studiata ad esempio per il
raffreddamento e per evitare fenomeni di vibrazione quado l’aria impatta con il mezzo.
Uno dei metodi con cui può essere valutato il comportamento aerodinamico di un mezzo, oltre alle prove
sperimentali, è rappresentato dalle simulazioni con solutori numerici.
Forza di lift
L’interazione del motoveicolo con l’aria genera anche una forza di lift, che riduce il carico sulla ruota frontale
e, in alcuni casi, anche sulla posteriore.
La forza di lift è definita come segue:
1
FL = CL AV 2 ___(2)
2
n cui CL è il coefficiente di lift, per cui valgono le stesse considerazioni di quello di drag (tale coefficiente è di
fondamentale importanza per gli aerei).
Il lift agente su una moto può essere pericoloso, poiché riduce il carico sulle
ruote e di conseguenza l’aderenza.
Le moto generano una forza di lift positiva, dunque verso l’alto, ma per
contrastarla e aumentare il carico sulle ruote, potrebbe essere necessario
inserire delle alette sul frontale della moto, come nelle auto da corsa. Le
moderne carenature sono infatti progettate per minimizzare il lift.
Considerazioni
CD⸱A
La determinazione del coefficiente di drag, come detto, è complesso. Spesso, dunque, si valuta il prodotto
CD⸱A. Da questo, se si risale all’area frontale, pur tenendo conto che questa varia continuamente, è possibile
ricavare il valore del coefficiente. I valori tipicamente assunti da tale prodotto, sono:
0,18m 2 CD A 0, 7m 2
e in particolare:
• 0,30-0,35 m2 per le Superbike;
• <0,22 m2 per le Grand Prix;
• 0,40-0,20 m2 per le Touring.
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velocità, l’effetto dell’area diventa sempre più significativo e la moto con l’area frontale maggiore risulta
sottoposta a una forza di drag significativamente maggiore rispetto a quella con l’area frontale minore. Di
conseguenza, ad alte velocità è più importante che il pilota stia in carena.
Beccheggio
Il momento di beccheggio (pitch) dovuto alle forze aerodinamiche, può essere pericoloso, poiché determina
und decremento del carico sulla ruota frontale e un incremento sulla posteriore. Queste variazioni possono
modificare significativamente il comportamento dinamico del motoveicolo.
Posizione asimmetrica
Nel caso di moto rettilineo, se non è presente vento laterale, il piano x-z della moto con il pilota è quello di
simmetria, e la velocità giace su tale piano. In tali condizioni la forza aerodinamica laterale e i momenti di
rollio (roll) e imbardata (yaw) sono nulli.
Tuttavia, se il pilota si sposta in una posizione non simmetrica, se
è presente vento laterale o se gli angoli di deriva (sideslip angles)
delle ruote non sono nulli, la forza aerodinamica laterale e i
momenti di rollio e imbardata non sono nulli.
In particolare, quando il pilota entra in curva e si sposta dalla
posizione simmetrica (anche staccando la gamba), insorge una
forza dove c’è lo squilibrio, che a sua volta genera un momento
di imbardata, dovuto alla non simmetria, che favorisce l’ingresso
in curva. Di conseguenza, ciò consente anche un minor
sfruttamento degli pneumatici e la possibilità di frenare meno,
data l’opposizione aerodinamica che il pilota crea aumentando
l’area frontale.
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Cinematica di un motoveicolo
7. Gradi di libertà di un motoveicolo in condizioni ideali
Un motoveicolo può essere definito con un meccanismo spaziale composto da quattro corpi rigidi
(considerando che le sospensioni siano rigide):
• l’insieme posteriore, costituito da telaio, serbatoio, gruppo motore e di trasmissione e sella;
• l’insieme anteriore, costituito da forcella, piastre di sterzo e manubrio;
• la ruota anteriore;
• la ruota posteriore.
I corpi rigidi sono collegati da tre giunti rotoidali e sono in contatto col terreno in corrispondenza dei due punti
di contatto con le ruote.
Ogni elemento, considerato come un corpo rigido nello spazio, ha 6 gdl: essendo 4 i componenti, in totale si
avranno 24 gdl. Per tenere insieme i quattro corpi, sono però necessari tre vincoli, che lasciano libero sono 1
gdl (quello delle ruote permette solo la rotazione così come quello del manubrio), eliminando i restanti 5: si
avranno quindi 3*5=15 gdl in meno.
Inoltre, se si considera valida l’ipotesi di puro rotolamento
delle ruote, si osserva che ciascuna ruota, rispetto alla
strada, può solo ruotare attorno: al punto di contato sul
piano della ruota (moto di avanzamento; all’asse di
intersezione della moto e del piano stradale (rotolamento);
all’asse passante per il punto di contatto e il centro della
ruota (rotazione curva). Ogni ruota ha quindi 3 gdl e non 6,
come considerato in precedenza, bisogna allora eliminare
altri 3*2=6 gdl.
In conclusione, in condizioni ideali, un motoveicoli è dotato
di 3 gdl.
Si consideri un motoveicolo rigido, senza sospensioni con le ruote fissate a pneumatici non deformabili.
I parametri geometrici presi in esame sono i seguenti:
In generale, un aumento del passo, considerando che gli altri parametri restino costanti, determina:
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• un aumento non favorevole della deformabilità flessionale e torsionale del telaio, influenzando la
manovrabilità;
• un aumento del raggio minimo di curvatura, rendendo più difficile l’esecuzione delle curve con piccolo
raggio di curvatura;
• un aumento del carico che il pilota deve applicare affinché vi sia la torsione del manubrio;
• una diminuzione del trasferimento di carico tra le due ruote durante le fasi di accelerazione e frenata,
con conseguente diminuzione del momento di pitch;
• una riduzione del movimento generato dal pitch generato dalle asperità della strada;
• un aumento nella stabilità direzionale del motoveicolo, quindi in un percorso rettilineo c’è più stabilità
(per questo i chopper hanno un passo elevato).
Caster angle
Da un punto di vista strutturale, un piccolo caster angle determina notevoli tensioni sulla forcella durante la
frenata.
Il valore del caster angle è fortemente dipendente dal valore del trail. In generale, per avere una sensazione di
buona manovrabilità, un aumento del caster angle deve essere accompagnato da un corrispondente aumento
del trail.
Trail
Il valore del trail dipende dal tipo di motoveicolo e dal suo passo:
le moto da touring quindi sono quelle con i valori più altri di p, ε e a. Infatti, con queste moto si ha una migliore
manovrabilità.
Il sistema di sterzata del motoveicolo ha la funzione di produrre una variazione della forza laterale necessaria,
ad esempio, di cambiare la direzione del motoveicolo o di assicurarne l’equilibrio.
Da un punto di vista geometrico, un tradizionale sistema di sterzata è descritto da tre
parametri:
• il caster angle,
• il fork offset,
• il raggio della ruota.
Il valore dell’avancorsa è importante per la stabilità del motoveicolo, specialmente
durante il moto rettilineo.
Quando il punto di contatto della ruota precede il punto di itnersezione tra il
prolungamento dell’asse dela forcella e il piano stradale, il trail è positivo.
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In seguito alla rotazione, è possibile scomporre il vettore velocità:
nasce una velocità di scivolamento Vslide (che nasce a causa
dell’attrito) e una componente che rappresenta la velocità vera della
ruota pari a ωfRf.
La velocità di slide genera una forza F che si oppone allo
scivolamento. Essendo il trail positivo e tale forza moltiplicata per un
braccio, fornirà un momento positivo che tende a riportare la ruota in
posizione allineata. L’intensità di questo momento è proporzionale al
valore del trail normalizzato.
Quindi un’avancorsa positiva fa sì che il manubrio si autoregoli nel
moto rettilineo.
Nel caso delle moto da enduro, invece, l’avancorsa non è positiva
perché l’obiettivo è quello di superare gli ostacoli, per cui avere un
momento che si oppone al movimento sterzante del manubrio è
penalizzante, è necessario infatti avere una libertà di movimento del manubrio, non che torni nella posizione
di stabilità. Una soluzione che può far cambiare l’avancorsa è la seguente:
se il valore del trail è negativo, e
considerando che la forza di attrito è sempre
nella direzione opposta della velocità di
scivolamento, un momento attorno all’asse
della forcella tende ad aumentare la
rotazione, si ottiene cioè un momento
autosterzante che favorisce il movimento
del manubrio.
10
Pneumatici
10. Introduzione
Gli pneumatici sono uno dei componenti principali di un motoveicolo ai fini dell’equilibrio e del moto.
La loro caratteristica principale è la deformabilità, che consente di mantenere il contatto tra la ruota e la strada
anche quando vengono incontrati piccoli ostacoli.
Le prestazioni di una moto sono fortemente influenzate dalle caratteristiche degli pneumatici. Per comprendere
l’importanza degli pneumatici, si consideri che il controllo dell’equilibrio del veicolo avviene attraverso la
generazione di forze longitudinali e laterali che agiscono proprio tra le superfici di contatto degli pneumatici
col piano stradale. Tali forze si originano come conseguenza dell’azione del pilota sul manubrio, l’acceleratore
e i freni.
I materiali di cui sono costituiti gli pneumatici sono principalmente gomme, anche se queste non si trovano
più da sole, ma grazie alle innovazioni tecnologiche e scientifiche si hanno ormai dei veri e propri compositi.
Sono infatti presenti dei reticoli in polimeri, uniti ad elementi di altra natura, come materiali metallici che
hanno lo scopo di rinforzare lo pneumatico.
Le fonti di incertezza legate allo studio degli pneumatici sono numerose: i materiali compositi sono più
difficilmente caratterizzabili, le geometrie sono complesse e, inoltre, gli pneumatici devono essere messi in
pressione. Esiste, dunque, una componente pressoria che viene alterata in funzione dell’utilizzo della gomma
(dipende ad esempio dalla temperatura), il quale determina anche una graduale perdita del materiale e
variazioni delle caratteristiche originali.
Il problema della temperatura è significativo, soprattutto per applicazioni particolari, come il settore delle corse
o in condizioni di freddo e neve. Ad esempio, negli pneumatici da neve vengono realizzati con materiali che
riducono l’influenza della temperatura esterna sulla pressione interna e, inoltre, hanno reticoli geometrici che
sono simili alle molecole del ghiaccio per garantire una maggiore compenetrazione con il suolo innevato.
Si può concludere che le caratteristiche degli pneumatici sono fortemente variabili e difficilmente esprimibili
tramite espressioni teoriche.
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Si ricordi che, anche se stiamo considerando un punto di contatto per semplicità, in realtà il contatto avviene
su un’area di attrito.
Le forze davvero importanti per lo studio degli pneumatici sono quella longitudinale quella laterale.
Resistenza al rotolamento
Come detto, gli pneumatici sono costituiti da materiali compositi formati principalmente da polimeri, che
hanno un’elevata capacità di immagazzinare energia elastica, ovvero hanno capacità di isteresi e
smorzamento. Inoltre all’interno agisce una certa pressione. Sotto l’azione della forza peso si verifica
un’evidente deformazione, con conseguente variazione delle geometrie.
La risposta alla deformazione, proprio a causa del comportamento smorzante del materiale, è più lenta della
sollecitazione: rimosso il carico, infatti, il ripristino della configurazione iniziale avviene con un certo ritardo.
Lo pneumatico non subisce solo una deformazione statica, ma bisogna considerare anche un fattore tempo e
un fattore velocità, legati al rotolamento.
Per descrivere geometricamente uno pneumatico, considerando la sua continua deformazione, è possibile
considerare i seguenti parametri:
• altezza dal terreno h, che
rappresenta il raggio della ruota
quando è caricata, ovvero è il
raggio minimo;
• raggio della ruota non caricata R: è
il raggio massimo, presente perché
la ruota rotola, quindi nella zona
opposta al contatto sarà questo il
raggio dello pneumatico;
• raggio idealizzato R0 (o altezza di
rotolamento), che è usato per
calcolare la velocità lineare (come V=ωR0). Questo raggio è calcolato come:
R−h
R0 = R − e sarà: R<R0<h
3
Alla luce di queste informazioni, per un corretto studio del comportamento del motoveicolo, non è sufficiente
conoscere il raggio dello pneumatico, ma si deve valutare la deformazione massima subita sotto carico, quella
da scarica e trovare il raggio idealizzato.
Come detto, a causa dell’isteresi del materiale degli pneumatici, parte dell’energia spesa nella deformazione
dello pneumatico non è recuperata nella successiva fase di rilassamento, o è recuperata con un certo ritardo.
Tali fenomeni determino una variazione nella distribuzione delle pressioni di contatto che non è simmetrica,
bensì è maggiore nell’area di fronte all’asse della ruota, cioè in ingresso, e minore in uscita, dove si sta
perdendo il carico ma c’è un certo ritardo nel recupero.
Essendo la distribuzione delle pressioni asimmetrica, anche il carico sarà squilibrato: ne segue che la
sommatoria delle forze non può passare per l’asse centrale della ruota, ma si troverà ad una certa distanza d.
Diretta conseguenza di ciò è l’esistenza di un momento di
resistenza, pari a: M w = d N
In cui N è la forza calcolata tramite il trasferimento di carico.
La forza che si oppone al rotolamento, è pari al rapporto tra
il momento e il raggio, per cui si trova:
Mw d
Fw = = N = f w N ___(1)
R R
d
in cui il rapporto = f w rappresenta il coefficiente di
R
attrito. Valori tipici del coefficiente di attrito in una moto
sono di 0,02.
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I fattori da cui dipende il coefficienti di attrito sono numerosi: il tipo di pneumatico, le sue dimensioni, le sue
caratteristiche, la temperatura le condizioni di utilizzo, ma soprattutto la velocità (che è legata alla temperatura
e quindi alla pressione) e la pressione a cui è sottoposta la gomma (che influenza la capacità di deformazione).
Formula di Cooper
Esiste una formula empirica, proposta da Cooper per calcolare le perdite di resistenza dovute al rotolamento
della ruota, in funzione della temperatura e della pressione. Non esiste invece una formula basata su principi
fisici che leghi coefficiente di attrito a pressione e velocità.
La formula di Cooper è la seguente:
0, 018 1,59 10−6 2
f w = 0, 0085 + + V _ per _V 165 km/ h
p p
___(2)
0, 018 2,91 10−6 2
fw = + V _ per _V 165 km/ h
p p
N.B.: affinché la formula sia applicabile, la velocità deve essere espressa in km/h e la pressione in bar.
y ( x ) = D sin C arctan Bx − E ( Bx − arctan ( Bx ) )
Y ( x) = y ( x) + Sv ___(3)
X ( x) = x + S h
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Forza longitudinale
Per valutare la forza longitudinale si può ricorrere sia ad un modello lineare che a uno non lineare.
Il rapporto μ tra la forza longitudinale e il carico è chiamato coefficiente della forza longitudinale.
Secondo il modello non lineare, la forza longitudinale può essere determinata tramite la magic formula:
F ( braking )
= D sin C arctan B − E ( B − arctan ( B ) ) N ___(5)
S ( thrusting )
In cui D = p rappresenta il picco del coefficiente della forza longitudinale (di accelerazione o di frenata) e
il prodotto D C B è la rigidezza di deriva longitudinale.
Modello lineare
Il modello lineare è stato già incontrato quando è stato trattato l’angolo di deriva.
Il modello lineare si esprime come di seguito indicato:
F
= k N ___(6)
S
in cui la rigidezza longitudinale kk ha in genere valori compresi tra 12 e 30. (Tale parametro è stato incontrato
nella parte relativa alla dinamica)
Si noti che il prodotto kkk restituisce in genere valori di circa 0,02, ovvero i caratteristici valori del coefficiente
di attrito: in effetti tale prodotto rappresenta il coefficiente fw (che varia in funzione delle pressioni e delle
velocità e fino a 100 km/h vale 0,02).
Si osserva che esiste un legame tra il modello lineare e quello non lineare: infatti, l’arcotangente della zona
iniziale della funzione ottenuta con la magic formula, è pari a kx.
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Forza laterale
La forza laterale che lo pneumatico esercita sulla strada, dipende sia dall’angolo di deriva λ che dal camber
angle φ.
L’angolo di deriva è definito come l’angolo misurato sul piano stradale tra la direzione di avanzamento e
l’intersezione tra il piano della strada e quello che taglia la ruota a metà longitudinalmente, è dunque legato
alla capacità di distorsione della ruota.
L’angolo di camber è legato alla geometria della ruota.
Le forze di deriva dipendono dalla distorsione dello pneumatico mentre le forze di camber (rollio) dipendono
principalmente dalla geometria.
( )
FS = DS N sin C arctan B − E ( B − arctan ( B ) ) + sin C arctan B − E B − arctan ( B ) _(7)
Modello lineare
Il modello lineare ha la seguente espressione (vista nella parte di dinamica):
FS = ( k + k ) N ___(8)
Si osserva dunque che le forze di contatto tra lo pneumatico e la strada dipendo dall’angolo di deriva e da
quello di camber.
I valori tipici dei coefficienti di rigidezza sono:
10 rad −1 k 25rad −1
0, 7 rad −1 k 1,5rad −1
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Sospensioni
13. Introduzione
Tutti i veicoli ricevono sollecitazioni dal terreno, ciò significa che la trasmissione delle forze è fortemente
influenzata dal contatto tra il terreno e il veicolo, è infatti la strada a determinare le sollecitazioni nel tempo.
Un motoveicolo senza sospensione presenterebbe notevoli difficoltà nella guida a causa della perdita di
aderenza delle ruote sulla strada e a causa dello scarso comfort per il pilota.
Piccoli sobbalzi sulla strada possono essere facilmente assorbiti dagli pneumatici, ma per un adeguato
assorbimento di sollecitazioni di maggiore entità è necessario un adeguato sistema di sospensioni.
Le sospensioni devono soddisfare i seguenti requisiti:
• Consentire alle ruote di seguire il profilo stradale senza trasmettere vibrazioni eccessive al guidatore;
• Assicurare l’aderenza sul piano stradale per trasmettere le necessarie forze di spinta, frenata e laterali;
• Assicurare l’assetto desiderato del veicolo in diverse condizioni.
Il grado di comfort richiesto varia in funzione dell’uso, e quindi del tipo di veicolo, in base al quale si scelgono
opportunamente le sospensioni (e i parametri di rigidezza k e smorzamento c che le caratterizzano) e i leveraggi
L’assetto in particolar modo, dipende dalla rigidezza delle sospensioni e dai carichi.
In generale, una sospensione “morbida” riesce a seguire il profilo delle irregolarità, ma questo fa sì che venga
trasferita tutta la sollecitazione all’utente. Sospensioni più rigide, invece, fanno sì che le sollecitazioni siano
gravose per il motoveicolo e non è possibile seguire il profilo delle irregolarità, cosa che determina un’assenza
di grip. In corsa si preferisce una maggiore rigidezza perché ciò consente di mantenere l’assetto.
Bisogna evidenziare che le sospensioni hanno rigidezze 10-16 volte inferiori rispetto a quelle degli pneumatici.
La combinazione della distanza tra i colpi subiti dalla moto sul piano stradale e della velocità di avanzamento,
determinano delle eccitazioni sul veicolo in un range di frequenze tra 0,25 e 20 Hz. È dunque necessario
valutare le frequenze proprie dei motoveicoli in questo intervallo.
Ovviamente, sospensioni con valori di rigidezza modesti fanno sì che si abbiano bassi valori delle prime
frequenze proprie, cosa che è positiva, in quanto tali frequenze possono essere facilmente assorbite dal sistema.
In generale, una valutazione approssimativa delle frequenze proprie e dell’influenza che su di esse hanno i
k
parametri delle sospensioni e degli elementi strutturali, può essere fatta ricordando la relazione: f = .
m
Esempio 1: si consideri un albero in rotazione. Le frequenze proprie si possono distinguere in flessionali e
torsionali (a seconda di ciò che si sta progettando, se alberi tozzi o alberi snelli, si presenta uno dei due casi).
Nel caso degli alberi in turbina, il progettista sa quale sia la frequenza propria del sistema. In questo modo,
all’avvio, quando si dovrà superare il transitorio per raggiungere il regime, si passerà dalle condizioni di
risonanza, determinate da una certa velocità di rotazione,
il più velocemente possibile. Più basse sono le frequenze
proprie, più facile è superarle.
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L 1 V
T= da cui si ricava la frequenza: f = = .
V T L
Dalla frequenza si può ricavare la velocità critica alla quale si raggiungono i valori della frequenza di risonanza:
Vc = Lf n
15. Schematizzazione
È possibile schematizzare un motoveicolo distinguendo:
• masse sospese (sprung masses): telaio, pilota manubrio, ecc, ovveto tutto ciò che si trova al di sopra
delle sospensioni;
• masse non sospese (unsprung masses): sono quelle che si
trovano al di sotto delle sospensioni, ovvero le ruote, il
forcellone, ecc.
Considerando la moto come una trave in cui sono concentrati tutte le masse, al di sotto della quale si trovano
molle e smorzatori che collegano il tutto al terreno, i due modi di vibrare sono rappresentati da un’oscillazione
verticale e dal beccheggio.
Questa schematizzazione rappresenta una significativa semplificazione, in quanto qualunque motociclo
presenta in realtà modi combinati e non disaccoppiati. Infatti, se un motoveicolo munito di sospensioni viene
precaricato e poi lasciato oscillare, avrà un modo di vibrare combinato di oscillazione con una componente
verticale e una di beccheggio.
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Per superare i difetti tipici della forcella telescopica, sono stati sviluppati diversi tipi di sospensione anteriore,
che possono essere classificati da un punto di vista cinematico in:
• Push arm: è una soluzione antiquata, usata anche da BMW,
che permette di avere una forcella progressiva; in figura, in
rosso sono rappresentati gli elementi strutturali, in blu gli
elementi molla;
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• Pro-Link di Honda: è simile al caso precedente, in quanto, anche in questo sistema il telaio assorbe le
sollecitazioni provenienti dal terreno; è utilizzata una biella;
xv = x cos
Sostituendo l’espressione precedente dello spostamento:
N f cos 2
xv =
k
Questo spostamento è quello del sistema equivalente.
Essendo Nf sempre la stessa, bisogna trovare una rigidezza k che sia equivalente. Essendo:
Nf
xv = , sostituendo l’espressione di xv trovata, si definisce la rigidezza equivalente:
kf
k
kf = ___(1)
cos 2
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È dunque determinante, oltre k, anche il valore assunto da ε. Il valore trovato di rigidezza equivalente è
associato ad una sola molla, ma essendo una forcella costituita da due molle in parallelo, tale valore deve essere
diviso per le due molle.
In maniera analoga, è possibile trovare lo smorzamento equivalente:
c
cf = ___(2)
cos 2
Rigidezza e smorzamento equivalenti della sospensione posteriore
Si consideri una classica sospensione posteriore, come quella
mostrata in figura.
• θ è l’angolo di inclinazione del forcellone; preso positivo
in senso antiorario;
• Fe è la forza elastica generata dalla molla.
La forza elastica è proporzionale alla deformazione della molla
secondo la seguente relazione:
(
Fe = k Lm − Lm0 )
In cui: Lm0 è la lunghezza iniziale della molla e Lm è la lunghezza
della molla deformata, funzione dell’angolo θ, Lm=f(θ).
Il momento elastico esercitato sul forcellone, è dato dal prodotto della forza elastica per il rapporto delle
velocità:
M e = Fe m ,
in cui τm,θ è il rapporto tra la velocità di deformazione della molla e la velocità angolare del forcellone:
Lm
m, =
Si può considerare che il forcellone abbia, anziché l’effettiva molla, una
molla torsionale a spirale, come quella rappresentata in figura, che generi
un momento analogo a quello applicato dalla molla reale.
La rigidezza equivalente della molla a spirale è data dalla derivata del
momento rispetto all’angolo di rotazione del forcellone:
M e
k = ___(3)
(Ricordiamo sempre che k = F / x o, come in questo caso k = M / )
Sostituendo l’espressione del momento precedentemente trovata e derivando:
( Fe m, ) Fe
k = = m, + Fe m,
Considerando la derivata della forza rispetto all’angolo del forcellone:
=
(
Fe k Lm − Lm0 L )
= k m = k m,
Sostituendo nella precedente:
Fe
k = m, + Fe m, = k m2 , + Fe m,
in cui si è trascurata la variazione del secondo termine, perché piccola rispetto al primo. Dunque, la rigidezza
equivalente della molla a spirale vale:
k = k m2 , ___(4)
Tuttavia il problema non è ancora risolto, poiché il sistema equivalente
richiede la presenza di una molla verticale.
Si introduce lo spostamento verticale:
yc = − L sin
Si definisce il rapporto τm,yC tra la velocità di deformazione della molla
(che è uguale alla velocità dello smorzatore) e la velocità verticale della
ruota:
20
Lm Lm m,
m, y = = =
c
yc − L cos − L cos
La forza elastica equivalente della molla verticale è pari, analogamente a quanto visto in precedenza, al
prodotto della forza elastica esercitata dalla molla e il rapporto delle velocità appena definito:
F = Fe m , yc
La rigidezza equivalente, in questo caso, è pari alla derivata della forza applicata alla ruota, rispetto allo
spostamento verticale della ruota:
F
kr = k m2 , yc ___(5)
In maniera analoga, si può definire lo smorzamento equivalente:
cr = c m2 , yc ___(6)
Per migliorare il comfort, sarebbe opportuno che la rigidezza fosse più bassa possibile, per minimizzare le
frequenza naturali dei modi di vibrare del motoveicolo, in relazione alle frequenze di eccitazione imposte sulle
ruote dalle irregolarità del piano stradale.
Tuttavia, molle morbide determinano ampie variazioni nell’altezza del veicolo ogni volta che varia il carico,
così come delle significative variazioni dell’assetto, nel passaggio dal moto rettilineo al moto in curva, e
durante le fasi di accelerazione e frenata. Dunque, per piccoli spostamenti, gli pneumatici sono in grado di
sopperire alla bassa rigidezza delle molle, ma per spostamenti maggiori è necessaria una reazione delle
sospensioni.
Di contro, molle molto rigide possono determinare, a causa delle irregolarità della strada, un peggioramento
del comfort, problemi di aderenza della zona posteriore durante le accelerazioni e della parte anteriore durante
le frenate.
Per evitare tali problemi, sono impiegati sistemi di sospensione progressive, a seconda anche del tipo di
veicolo.
I vantaggi nell’impiego di sospensioni progressive sono:
• Aumento della rigidezza insieme all’aumento della deformazione, che consente di mantenere più o
meno costante la frequenza dei modi di vibrare quando aumenta la massa (a causa ad esempio di un
passeggero o di bagagli);
• La sospensione è morbida nel caso di piccolo disturbi e quindi nel caso di piccoli spostamenti della
ruota, mentre è rigida nel caso di elevati spostamenti della ruota dovuti a disturbi più gravosi. Il
comfort alla guida è quindi migliorato.
20. Precarico
Per regolare l’assetto del motoveicolo quando è sottoposto ad un carico, è possibile impiegare il precarico.
Il precarico consiste nell’applicazione di una pre-compressione della molla.
21
Se la molla è sollecitata con forze che sono minori o uguali al precarico, essa non subisce deformazioni. Quindi,
se si precarica la molla con un carico pari al peso del veicolo stesso, la molla non si sposta col solo peso del
veicolo
Il precarico serve a limitare le capacità sospensive dell’ammortizzatore, in quanto, in alcuni casi, il movimento
delle sospensioni deve essere bloccato (ad esempio, per grandi spostamenti e rigidezza basse, che darebbero
basso comfort).
Il precarico viene praticamente applicato tramite l’impiego di ghiere, grazie alle quali si impone uno
spostamento alla molla.
La forza esercitata dalla molla con il precarico è pari a:
F = k y + ky ___(7)
Il grafico seguente mostra che con il precarico si ha uno spostamento della caratteristica della molla:
Si osserva, dunque, che applicando un precarico, per ottenere la massima ampiezza è necessario applicare forze
maggiori o, da un altro punto di vista, che applicando la stessa forza, l’ampiezza della deformazione sarà
minore.
In figura è mostrata una sospensione non
precaricata. Il carico statico della massa sospesa
comprime la sospensione di una quantità che
dipende dalla rigidezza della molla, assumendo
che durante il moto di avanzamento la massa
sospesa non subisca spostamenti nella direzione
verticale, ovvero che idealmente non incontri
irregolarità.
Affinché la ruota possa seguire il profilo stradale
quando passa su una buca, la sospensione deve
essere in grado di estendersi di una quantità pari alla profondità della buca. Nel caso in cui la sospensione non
sia precaricata, l’estensione, o meglio la profondità della buca, può essere al massimo pari al rapporto tra la
forza peso delle masse sospese e la rigidezza della sospensione. Tuttavia, nel caso in cui la sospensione sia
precaricata, come mostrato nella seguente
figura, la massima estensione della
sospensione è inferiore, di una quantità pari
al precarico.
22
Si consideri il grafico seguente:
quando il precarico aumenta, il campo di ampiezze della sospensione per le irregolarità negative diminuisce.
Si considerino tre sospensioni uguali ma con caratteristiche differenti: k2=2 k1 e k3=3k1.
Se per un certo valore del carico, si vuole che si abbia la stessa ampiezza, essendo la legge lineare il precarico
sarà pari a ½ e 1/3. Lo scopo è che il punto di incontro di tutte le rette sia sempre lo stesso, quindi affinché ciò
avvenga serviranno precarichi diversi.
Per poter valutare le prime frequenze proprie, in modo da evitare le condizioni di risonanza, è necessario
effettuare delle semplificazioni. In particolare, si ignorano le masse non sospese e si considera il sistema a due
gradi di libertà come disaccoppiato. In questo modo, si può trattare il motoveicolo nel piano considerando due
modelli distinti, ciascuno a un grado di libertà, per ognuno dei due possibili moti.
Con questa semplificazione si considera un sistema di 2 equazioni disaccoppiate, ciascuna a un grado di libertà.
Studiare il sistema come se fosse disaccoppiato, si assume che, se viene imposto uno spostamento verticale
del telaio, il conseguente movimento sarà dato solo da oscillazioni verticali, mentre se viene imposta una
rotazione del telaio attorno all’asse passante per il centro di gravità, il moto risultante sia di puro beccheggio.
Nella realtà, ciò non si verifica perché i moti sono sempre composti.
Si può allora considerare il motociclo nel piano come composto solo da un’unica massa sospesa, sostenuta
da due molle, che rappresentano ognuna l’azione delle sospensioni e degli pneumatici.
Indichiamo con:
• z lo spostamento verticale;
• θ la rotazione;
• kf la rigidezza della sospensione anteriore (si
trascura lo smorzamento per semplicità);
• kr la rigidezza della sospensione posteriore (si
trascura lo smorzamento per semplicità);
• kpf la rigidezza dello pneumatico anteriore;
• kpr la rigidezza dello pneumatico posteriore (non si
possono trascurare gli pneumatici perché, come
detto, la loro rigidezza è 10-16 volte maggiore delle sospensioni, quindi non considerarle porterebbe
a una non corretta valutazione delle frequenze proprie);
k f kpf
• Kf la rigidezza equivalente delle molle all’anteriore (sono molle in serie): K f = ;
k f + kpf
kr k pr
• Kr la rigidezza equivalente delle molle al posteriore: K r = .
kr + k pr
23
Si applicano allora le equazioni di equilibrio delle forze verticali e del momento attorno all’asse orizzontale:
mz + ( K r + K f ) z = 0
I yG + K r b + K f ( p − b ) = 0
2 2
Nella seconda espressione, il momento di inerzia è stato espresso in funzione del raggio giratore di inerzia (è
il raggio fittizio a cui si pone la massa per avere una certa inerzia): 2 = mI .
In generale, il raggio giratore di inerzia è minore della distanza b e della distanza (p-b), di conseguenza la
frequenza f2 associata al moto di pitching è maggiore di quella associata al moto verticale, e rappresenta quindi
la seconda frequenza propria.
Alle frequenze proprie sono associati i modi di vibrare del sistema.
Conoscere le frequenze proprie di un motoveicolo è di fondamentale importanza, ancor più che negli
autoveicoli poiché il problema delle vibrazioni infatti è molto accentuato: le sollecitazioni variabili nel tempo,
dovute alle asperità del terreno, (scomposte ad esempio in serie di Fourier) possono contenere delle frequenze
coincidenti con quelle proprie del sistema, mandandolo in risonanza.
24
L’energia dissipata dagli smorzatori è proporzionale all’area del ciclo di isteresi. Si osserva che il
comportamento in estensione e compressione è differente: l’area relativa alla zona di compressione, al di sotto
della linea orizzontale, è minore di quella associata alla zona di estensione.
Il valore dell’energia totale dissipata da uno smorzatore a doppio effetto (cioè con comportamento diverso in
compressione ed estensione) è proporzionale alla frequenza e al quadrato dell’ampiezza del moto armonico
1
imposto: E = 2 2 ( ce + cc ) ___(2)
2
in cui Δ rappresenta lo spostamento, ce è lo smorzamento in fase di estensione e cc quello in fase di
compressione.
Così come nel caso delle molle, anche gli smorzatori possono avere diverso tipo di comportamento: lineare,
progressivo, non progressivo. In generale, i motocicli stradali hanno smorzatori a comportamento lineare,
mentre gli smorzatori con altro tipo di comportamento sono destinati alle corse. In particolare, gli smorzatori
progressivi sono impiegati per superare lo smorzamento critico.
25
Assetto del veicolo e tiro catena in moto uniforme
23. Introduzione
L’assetto del veicolo tiene in considerazione la configurazione geometrica che un motoveicolo assume in
differenti condizioni, e in particolare verrà trattato il caso di moto uniforme. A tale fine, è importante
considerare l’influenza del tiro catena.
L’assetto di un motoveicolo dipende dalla caratteristica delle sospensioni posteriore e anteriore, dalle forze
agenti sul motociclo e dall’angolo di inclinazione della catena e del forcellone.
Il tiro catena è una forza che squilibra il forcellone, e quindi tutto il sistema; in alcuni casi può non essere
presente, anche se nella maggior parte dei casi è necessario considerarlo. Il tiro catena è la forza che esercita
la catena sulla parte posteriore della moto, con l’accoppiamento a rocchetto sul motore. Se il sistema fosse
fisso, la coppia esercitata dal motore e trasformata dal rocchetto in una forza, viene esplicata sula ruota grazie
ad una cinghia o una catena. Tuttavia il forcellone non è un elemento fisso, ma ha una cinematica, la cui
variazione determina una variazione delle distanze: di conseguenza, il tiro catena varia istantaneamente.
Rocchetto
Ruota su cui ingrana
la catena di raggio rc
Il riferimento cartesiano con gli assi x e y è preso con origine coincidente con il punto di collegamento tra
forcellone e telaio (pivot del forcellone). Con L è stata indicata la lunghezza del forcellone e con Rr il raggio
della ruota posteriore. Si osservano in particolare due parametri:
• φ che è l’angolo di inclinazione del forcellone;
• η che è l’angolo di inclinazione della catena.
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Le forze applicate a questo sistema sono:
• la spinta S;
• il carico verticale dinamico Nr=Nsr+Ntr;
• il momento elastico M esplicato dalla
sospensione;
• il tiro catena T.
Il problema principale è quello dell’identificazione
di T istante per istante: infatti quando il forcellone
cambia la sua posizione, ovvero cambia φ,
cambierà anche η e quindi T e anche S.
Se non è presente la spinta, cioè in condizioni
statiche, il tiro catena e il trasferimento di carico
sono nulli, quindi il momento esercitato, che
rappresenta il carico statico, bilancia il momento
elastico:
M = M s = N sr L cos ___(1)
Se si considera il moto, invece, nascono un momento dovuto al trasferimento di carico Mv, una spinta, un
trasferimento di carico e un tiro catena.
Prendendo in esame le condizioni di moto rettilineo uniforme, facendo l’equilibrio dei momenti attorno al
Trc
centro della ruota si trova: S =
Rr
Facendo l’equilibrio attorno all’origine del sistema di riferimento si trova:
M s + M v = N sr L cos + Ntr L cos − S ( Rr + L sin ) + T rc − L sin ( − )
Vista l’uguaglianza espressa nell’equazione (1) si può semplificare l’espressione:
M v = Ntr L cos − S ( Rr + L sin ) + T rc − L sin ( − ) ___(2)
Il momento che nasce per il trasferimento di carico è funzione della forza di trasferimento di carico, del tiro
catena e della spinta.
Si osserva che il contributo dovuto al tiro catena è nullo nel caso di scooter, quando il punto di accoppiamento
del rocchetto coincide con il punto di collegamento del telaio.
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Nel caso degli scooter, non ci sarà una variabilità di questi elementi e quindi il trasferimento del tiro catena
potrà essere trascurato.
Il tiro catena, essendo il forcellone disposto su un lato delle moto, sarà esso stesso applicato su un lato, quindi
determina un effetto torsionale sul forcellone: è dunque fondamentale la conoscenza di T, che in generale è
grande perché rappresenta il carico necessario a far muovere il motoveicolo. La conoscenza di T è quindi un
problema strutturale e non bisogna mai dimenticare che esso sia variabile nel tempo: ad esempio varia con la
spinta S o con la geometria del piano stradale (quando si incontra una cunetta, ad esempio, T varia istante per
istante).
Il rapporto di tiro catena varia in funzione della variazione dell’angolo di inclinazione del forcellone e dipende
dalla differenza tra l’angolo di inclinazione del forcellone e della catena.
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Il rapporto di tiro carena può assumere tre diversi valori:
• R=1, quando τ=σ, durante la fase si
spinta non ci sono momenti aggiuntivi
che agiscono sul forcellone, quindi la
sospensione non è ulteriormente
sollecitata rispetto alle condizioni
statiche, cioè non subisce
compressione ed estensione; R dà
un’idea di come la T risponda al
trasferimento di carico e in questo
caso si osserva che non si hanno
variazioni;
• R>1, quando τ>σ, il momento
generato dalla Fr determina una compressione della sospensione che si aggiunge a quella determinata
dal carico statico;
• R<1, quando τ<σ, il il momento generato dalla Fr determina un’estensione della sospensione.
Una sospensione ha comportamenti diversi in compressione ed estensione, sia per quanto riguarda la molla
che per lo smorzatore. Senza conoscere la cinematica, dunque, non è possibile scegliere una sospensione
corretta.
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