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Anno Accademico 2018/2019

Antonia Londino 186133

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Fine pena: ora!
Quando ho iniziato a leggere questo libro ancora non ero molto convinta che questa storia
fosse realmente accaduta. È stata una lettura che mi ha segnato e insegnato. Soprattutto
nella parte finale, quell’ultima lettera che non è stata mai scritta da parte di Salvatore e che
il magistrato, Elvio Fassone, ha definito come “la pagina più difficile da scrivere” in questo
libro.
Salvatore all’età di 27 anni era presente, insieme ad altri 242 imputati, al maxi-processo
catanese del 1985 a Torino, durato 2 anni, guidato dal magistrato Elvio Fassone (ora in
pensione). Salvatore viene condannato all’ergastolo! Uso il punto esclamativo per far
capire realmente la pesantezza di questa pena quello che i detenuti, la maggior parte dei
detenuti, in questo caso anche Salvatore, provano in quei 26 anni di carcere.
26 anni di carcere, significa che un individuo non ha la possibilità di vivere in modo
dignitoso, soprattutto all’interno di alcuni istituti carcerari italiani. Molte persone pensano
che chi commette dei reati, li debba pagare. Io sono d’accordo, ma non del tutto. Una
persona che entra in carcere all’età di 27, in questo caso Salvatore, che è cresciuto in una
società dove delinquere è la cosa migliore da fare, penso che non debba essere rieducato,
ma educato. Un ragazzo che non ha mai avuto modo di studiare perché veniva cacciato da
tutte le scuole per i suoi modi di fare, che è cresciuto tra rapine, spacci e così via, ha
bisogno di iniziare da zero.
La sera stessa del maxi-processo, Elvio Fassone, un giudice che in questo libro fa uscire
fuori la sua sensibilità nei confronti di Salvatore, ripensa alle parole che sono state dette
dal 27enne (“se suo figlio nasceva dove sono nato io, adesso era lui nella gabbia”) e così
pensa di scrivergli.
Quella lettera è stato solo un inizio di 26 anni di corrispondenza (“nemmeno tra due
amanti è possibile uno scambio di lettere così lunghe!”).
Queste lettere scritte dal magistrato non erano per farsi perdonare dalla condanna che
aveva pronunciato lui stesso a Salvatore, ma perché aveva capito il contesto sociale in cui
era cresciuto. Sono piene di paura, amore, odio, voglia di vivere e di conoscere il mondo
anche soltanto attraverso dei libri. Studiare non è stato facile per Salvatore, come tanti
altri ergastolani, però Fassone aveva capito molto bene le sue capacità.
All’interno del carcere molti detenuti non riescono più a percepire l’amore e l’affetto,
infatti molti di loro non riescono a vivere anche per questo motivo. Avvengono tanti suicidi
e di tutto questo non se ne discute mai.
Salvatore era innamorato di una ragazza di nome Rosi. Lei lo andava a trovare una volta al
mese, ma quando lo vedeva non poteva nemmeno abbracciarlo, perché a dividerli c’era un
vetro. Salvatore nelle sue lettere faceva trasparire tanto l’amore per questa ragazza,
pensava a quando aveva la possibilità di uscire, soltanto per un giorno, e stare con lei. Però
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purtroppo gli anni passano, e loro crescono. Crescono in ambienti diversi, Salvatore
rinchiuso in 4 mura senza aver contatti con il mondo esterno, Rosi che matura, inizia a
provare emozioni e capire che quella non era la vita che sognava di fare. Lui sta male
inizialmente, però il suo forte amore nei confronti di Rosi lo porta a pensare che se lei è
felice così, anche lui lo è.
Lui continua a studiare, però spesso capitava che per colpa di altri detenuti, perché magari
combinavano guai, non poteva studiare con l’insegnante. Questo fenomeno all’interno del
carcere capita spesso, ma non penso sia giusto.
Perché bisogna pagare per gli errori commessi degli altri? Bisogna aprire la mente e capire
che per Salvatore, quel giorno di lezione con la docente era importante. Noi siamo fuori e
pensiamo che tutto ciò sia banale, ma non lo è. Non è facile vivere chiusi in un posto dove
non conosci nessuno, dove vedi tutto buio.
Quella insegnante, per lui, era uno spiraglio di luce.
Molti ergastolani non conoscono il bene. Inizialmente è sembrato strano anche a me, però
attraverso questo libro, attraverso anche la storia di un altro ergastolano di nome Carmelo
Musumeci, ho davvero capito cosa significa vivere in una determinata società.
Personalmente, essendo abituata a vivere in un contesto sociale come quello della
Calabria, riesco a percepire meglio il concetto.
Passano gli anni, Salvatore capisce come funziona la vita all’interno del carcere. Sa che se
sbaglia il permesso per uscire non gli sarà dato. Ma lui è molto intelligente, si comporta
bene, cerca di non litigare mai con i compagni. Però, un giorno viene a sapere che il
Tribunale aveva respinto quella domanda di permesso, che lui attendeva da tanto. I motivi
sono tanti e, conoscendo Salvatore non se ne stava fermo. Decise di scrivere una lettera al
Tribunale, ma chiedendo aiuto al Magistrato Fassone. Si è affidato al Magistrato come se
fosse un suo amico da sempre. Lui stava bene perché sapeva che poteva fidarsi, si sfogava,
parlava dei suoi sentimenti, delle delusioni, di tutto.
Il Tribunale accoglie ed accetta quella lettera! “Presidente, lei mi ha dato l’ergastolo, e poi
è diventato il mio avvocato e mi ha fatto uscire per il permesso. Non è bellissimo?”. Qui
esce il vero Salvatore. Un adulto che è ancora rimasto il 27enne di un tempo.
Il 27enne di un tempo inizia ad essere stanco, stanco di queste mura, stanco di pagare per
colpa degli altri, stanco di dover rispettare tutte quelle regole.
Il Magistrato Fassone intuisce che sta per cedere. Lui parla spesso dei suoi nipoti in quelle
lettere, dice che il grande non va più a scuola.
“Non rispettano nessuno, dovrei esserci io vicino a loro, a me mi ascolterebbero per forza,
ho con le buone ho con le cattive. Ma io sono chiuso e so già che finiranno sulla cattiva
strada.”

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Questa frase mi ricorda molto Beccaria, quando ha dato una sua definizione di pena:
“pronta, pubblica, necessaria, minima, ecc”.
La pena deve essere pubblica, se il nipote di Salvatore sa quello che gli spetta, non
continuerebbe sulla cattiva strada. Per questo Salvatore userebbe anche la forza, perché
vuole per i suoi nipoti solo felicità, quello che ha sempre desiderato lui.

Passano i mesi e Fassone riceve una lettera da parte di Salvatore, però da un penitenziario
diverso. All’interno della sua cella avevano trovato un telefono, ma ha sempre giurato di
non aver violato quella regola. Si poteva benissimo analizzare la scheda del telefono e
vedere i contatti che ci stavano all’interno, ma questo non è stato fatto. Perché?
Perché ormai Salvatore era chiuso lì dentro da ormai 25 anni?
Salvatore non reagisce bene a questa notizia e viene ricoverato in un reparto psichiatrico.
“Non si può dormire né di notte né di giorno, perché urlano sempre, e mi sembra di
diventare matto anch’io.”
Salvatore non è riuscito a reggere, si è suicidato!
Il Magistrato Elvio Fassone ha ricostruito quella lettera a parole sue, proprio come faceva
Salvatore, ma secondo me quella lettera la sta ancora aspettando.

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