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IL LAOCOONTE

Il soggetto preferito dagli scultori ellenistici, rimane la figura umana, rappresentata in tutte le
possibili condizioni fisiche e psicologiche con estremo realismo e il desiderio di riprodurre tutti i
sentimenti umani. Un esempio significativo di come l’equilibrio e la serena armonia dell’arte
classica vengano abbandonati a favore di un drammatico esprimersi dei sentimenti , è costituito
dal gruppo del Laocoonte e i figli. L’opera scolpita da Agesandro, Atanodoro e Polidoro, realizzata
verso la metà del II° sec. A. C., ma come è stato più recentemente ipotizzato, copia romana da un
originale in bronzo del I° sec. D.C., venne ritrovata a Roma nel 1506 tra le rovine del palazzo di Tito
sull’Esquilino e fu studiata da molti artisti del Rinascimento italiano, tra i quali Michelangelo. La
scultura presenta evidenti riferimenti stilistici con i fregi dell’Altare di Pergamo e narra l’episodio
della morte di Laocoonte, sacerdote di Apollo e dei suoi figli, stritolati dai serpenti marini mandati
da Atena per punirlo, colpevole di essersi opposto all’ingresso del cavallo nella città di Troia. La
scena è terrificante per l’estremo realismo: l’anatomia dei corpi è descritta con abilità e maestria
nella tensione dei muscoli che determinano un forte senso di dinamismo, particolarmente
evidente nello sforzo dell’anziano sacerdote che tenta di svincolarsi dai mostri, mentre i volti
contratti, quasi deformati esprimono angoscia e paura.

NIKE DI SAMOTRACIA

Scolpita da Pitocrito di Rodi venne ritrovata nel 1863 in una nicchia nei pressi del Santuario
nell’isola di Samotracia. La Nike conferma l’interesse ancora per lo studio della figura umana e del
suo rapporto con lo spazio circostante. La figura è rappresentata nell’atto di spiccare il volo dalla
prua di una nave. È acefala, le braccia sono andate perdute, in una mano aveva una tromba per
annunciare la vittoria e nell’altra l’insegna della nave. L’equilibrio è instabile, determinato dal
contrapporsi di due forze contrarie: la spinta in avanti del corpo e l’attrito con l’aria delle ali. Il
panneggio sbatte e si aggroviglia fra le gambe, la spinta dell’aria preme la stoffa sul corpo dando
“l’effetto bagnato”.

LA VENERE DI MILO

Venne scoperta nel 1820 nell’isola di Milo, è l’espressione di una bellezza umana, fisica, concreta,
non più idealizzata come le statue classiche. L’effetto naturalistico della figura è dato dalle
misurate proporzioni del corpo e la calma serenità del volto. Vi è una raffinata lavorazione del
marmo, da rendere la sensazione di leggerezza dell’abbondante panneggio che le avvolge le
gambe e mette in risalto nella parte nuda la morbidezza della pelle.

Ma gli scultori di questo periodo non esitarono a raffigurare anche gli aspetti più spiacevoli o
degradati della realtà come “La vecchia ubriaca”che si abbandona al suolo stringendo tra le
braccia un’anfora di vino: lo sguardo perso, la testa reclinata, la bocca socchiusa e le rughe
profonde che le scavano il volto, rendendo il viso patetico e disperato. Venne ritrovata nel 1620
durante il restauro della chiesa di Sant’Agnese sulla Momentana. Dunque non è la bellezza del
modello, ma la bravura dell’artista che fa la bellezza dell’arte. La stessa civiltà che produce
immagini di bellezza come l’Afrodite di Milo, la Nike etc..produce anche” la vecchia ubriaca”:
poichè l’arte è un modo di interpretare la realtà e gli aspetti della realtà sono infiniti, belli e brutti,
ma tutti interessano ugualmente l’artista. (questa scultura non è nel libro)

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