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E L'ANTROPOLOGIA ESISTENZIALE
Vita e opere
S0ren Kierkegaard è nato a Copenhagen nel 1813, ultimo di sette figli,
da un padre vecchio e malinconico, angosciato dal pensiero dei propri
peccati. Così il piccolo S0ren trascorre un'infanzia priva di spensieratez-
za e sana vitalità. Nel 1830 si iscrive all'università di Copenhagen, nella
facoltà di teologia e si interessa vivamente anche di filosofia e di lettera-
tura. Solo nel 1840 sostiene gli esami di teologia per diventare pastore.
Nello stesso anno si fidanza con Regina Olsen, ma dopo poco tempo in-
terrompe il fidanzamento, forse per essere più libero di adempiere la
missione religiosa a cui si sentiva chiamato. Nel 1841 è a Berlino, dove
ascolta le lezioni di Schelling, che da principio lo entusiasmano ma poi
lo deludono.
Durante gli ultimi anni della sua breve esistenza Kierkegaard lotta a
fondo contro la Chiesa ufficiale, colpevole, a suo dire, di aver tradito il
cristianesimo riducendolo a mero convenzionalismo e a formalismo
104 Kierkegaard
La critica dell'hegelismo
Il punto di partenza del pensiero di Kierkegaard è la filosofia siste-
matica di Hegel, una filosofia in cui il singolo, l'individuo è preso e di-
vorato da quell'idra ingorda e vorace che è il sistema onnicomprensivo
di Hegel. Il sistema hegeliano è il bersaglio costante delle critiche acute,
miste di ironia e di dialettica pungente, di Kierkegaard.
Le critiche alla speculazione sistematica hegeliana sono più compiu-
tamente espresse da Kierkegaard nella Postilla conclusiva non scientifica,
cioè nell'opera che ha più scopertamente l'ambizione di erigersi a difesa
della grande Logica di Hegel. Da questo punto di vista, le proposizioni
fondamentali e fondamentalmente antihegeliane della Postilla possono
sintetizzarsi in due tesi: a) speculazione è astrazione; b) l'esistenza è il
Primum: l'inizio è il salto. L'astrattività del sistema hegeliano come spe-
culativo fa capo, infatti, secondo Kierkegaard, al suo iniziare-esaurirsi
nel pensiero puro, il postulato della filosofia che pretende di costituirsi
nel suo rigore come autonomia da ogni postulato, mentre il postulato
della filosofia è !'esistenza, prima e al di là della possibilità per la filoso-
fia di costituirsi come filosofia:
«per il fatto che il pensare e !'esistere sono coesistenti nell'esistenza,
in quanto un soggetto esistente è un soggetto pensante, esistono allo-
ra due medi: l'astrazione e la realtà. Ma il pensiero puro è qui un
terzo medio e costituisce un'invenzione nuova. Esso comincia in
seguito all'astrazione più spossante. Circa il rapporto che l'astrazione
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1j S. Kierkegaard, Postilla conclusiva non scientifica alle "Briciole filosofiche", tr. it.,
O Bologna 1962, p. 122.
2) Diario II, A 678.
3) Postilla conclusiva non scientifica..., cit. p. 321.
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Le linee fondamentali
di un'antropologia esistenziale cristiana
Alla pars destruens Kierkegaard associa la pars construens dove presen-
ta la sua filosofia dell'esistente nella sua concretezza e individualità.
I cardini su cui si regge la sua antropologia esistenziale cristiana sono
cinque: il Singolo, !'esistenza, la libertà, l'angoscia (il peccato), la fede.
Vediamoli uno per uno.
Anzitutto viene il Singolo, e per "Singolo" Kierkegaard non intende
l'uomo in quanto animale ragionevole, come individuo dotato di anima
e corpo, come membro della famiglia umana, ma il credente che ha ope-
rato, nella fede, la sua scelta per Dio, ottenendo così la salvezza del suo
essere - della sua libertà - con l'inserzione dell'onnipotente che salva.
II Singolo è la specificazione "positiva" di quello che Kierkegaard chia-
ma anche «l'uomo essenziale» in quanto ogni uomo ha, nel fondo onto-
logico della sua natura ragionevole, la capacità di scelta dell׳Assoluto e
di rivolgersi a Dio per divenire "spirito". Quella del Singolo non è una
categoria elitaria, ma è la condizione comune di tutti gli uomini. È ima
dottrina imparziale che
«non offende nessuno, neppure uno, che non fa distinzione neppure
per uno. La moltitudine è formata di singoli: deve quindi essere in
potere di ognuno di divenire ciò che egli è: un Singolo. Dall'essere un
singolo, nessuno, nessunissimo è escluso, se non colui che si esclude
da sé - col divenire molti».4
Nel Singolo, ciò che conta per Kierkegaard non è l'essenza, che egli
ritiene una categoria astratta, vuota, ma l'esistenza: è proprio grazie albe-
sistenza che egli diviene singolo. L'esistenza è intesa sia in senso ontolo-
gico, come collocazione nel mondo della storia; sia in senso teologico
come inserimento nel mondo della fede. L'essenza costituisce la sfera del
necessario nella quale nulla diviene, ma tutto è e in esso la scienza cerca
le sue leggi. L'esistenza è invece la sfera del divenire e del contingente e
quindi della storia. L'esistenza riguarda la realtà di fatto, ovvero la sfera
delle cose che possono non essere e tuttavia esistono, dove la possibilità
ha preceduto la realtà. Per Kierkegaard fra possibilità e realtà non c'è
rapporto di causa, ma esse indicano due "stati" dell'essere stesso che
sono separati come non-essere ed essere e quindi dall'infinito. In questa
incommensurabilità di possibilità e realtà che il divenire "trascende"
nell'attuazione della storia consiste l'originalità della "fede".
L'angoscia e la fede
Dalla presa di coscienza della propria fallibile libertà nasce nel Singolo
]'angoscia circa le sorti del proprio essere e del proprio destino. In tale
angoscia - che può essere eliminata soltanto dalla fede - Kierkegaard
fa consistere !'essenza del peccato, la malattia mortale.
Kierkegaard distingue l'angoscia dalla paura: diversamente da que-
sta, quella non ha un oggetto determinato esterno a se stessa. NeU'ango-
scia l'uomo teme per se stesso. L'angoscia è strettamente legata alla li-
bertà: essa esplode proprio nel momento in cui l'uomo scopre di essere
arbitro di se stesso e si rende conto del rìschio tremendo che tale privile
«Così è la serietà della fede, la cui vera lotta è lottare con Dio; la lotta
col mondo, i suoi dolori e le sue gioie, sono come imo scherzo. Per
questo la fede è la vittoria che vince il mondo; anzi fa più che vincere,
perché riduce questa lotta a qualcosa di trascurabile».18
«Il credente non solo possiede ma usa la ragione... Per quello che
riguarda la religione cristiana egli crede contro la ragione e in questo
caso usa la ragione per accertarsi che crede contro la ragione... Il cri-
stiano non può accettare l'assurdo contro la ragione perché questa si
accorgerebbe che è assurdo e lo respingerebbe. Egli adopera quindi la
ragione, per diventare consapevole deU'incomprensibile e poi si at-
tacca ad esso e crede anche contro ragione».21
22) Cf. On Authority and Revelation, tr. ingl. di Autorità e Rivelazione, Princeton 1955,
p. 112.
23I Cf. Postilla conclusiva non scientifica, cit, voi. II, p. 219.
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Conclusione
Kierkegaard è l'antimoderno per antonomasia, ed è sicuramente per
questo motivo che egli non fu né compreso né accettato dai suoi contem-
poranei. Egli è antimoderno in modo non meno radicale di Nietzsche,
ma mentre questi combatte la modernità in nome di Dioniso e dell'Anti-
cristo, Kierkegaard la combatte in nome di Cristo.
La passione per l'uomo collega il geniale pensatore danese alla mo-
demità, ma allo stesso tempo fa di lui il critico più severo, il nemico più
irriducibile della modernità. Mentre infatti il vessillo della modernità è
!'immanenza, il vessillo di Kierkegaard è la trascendenza; la bandiera
della modernità è la secolarizzazione, la bandiera di Kierkegaard è il cri-
stianesimo. La modernità è l'esaltazione esasperata dell'uomo "senza
Dio"; Kierkegaard è la meditazione incessante e profonda dell'uomo da-
vanti a Dio.
Kierkegaard è stato definito il padre dell'esistenzialismo sia filosofico
che teologico, ma questo titolo non rende pienamente giustizia al suo
pensiero, perché il suo esistenzialismo è estraneo sia alla sistematicità
dell'esistenzialismo teologico di Barth e Tillich, ed anche alla laicità del-
!׳esistenzialismo filosofico di Heidegger e Sartre. L'esistente, il Singolo
di cui si occupa Kierkegaard con tanta passione in tutti i suoi scritti è
l'uomo, il Singolo davanti a Dio. Per questo il suo uomo non ha nulla a
che vedere con l'uomo della modernità. L'uomo di cui si occupa il filo-
sofo danese non è l'uomo della soggettività e dell'immanenza, l'uomo
sovrano di se stesso e del mondo (il microcosmo) degli umanisti, l'uomo
miscredente degli illuministi, l'uomo maturo e autonomo di Kant. Que-
sto per Kierkegaard non è il vero uomo, ma l'uomo decaduto, l'uomo
peccatore. Su questo punto la sua dissociazione da Schleiermacher e dal-
la teologia liberale del suo tempo è totale. La loro preoccupazione era
identica: rendere comprensibile il rinnovamento dell'uomo per opera di
Dio ai propri contemporanei. Ma mentre Schleiermacher cerca di conse-
guire questo risultato percorrendo la strada dell'armonia, Kierkegaard
lo fa percorrendo la strada del conflitto.
La dialettica di Kierkegaard non è una dialettica pasticciata come
quella di Hegel, dove presto o tardi tutti finiscono per trovarsi d'accordo
grazie ad una sintesi superiore. Quello di Kierkegaard è un autentico
Aut-Aut: o fede o ragione, o filosofia o cristianesimo. Per Kierkegaard è
impossibile servire due padroni: Dio e il mondo, la verità e la menzogna,
Cristo e Hegel. E la sua scelta rischiosa e coraggiosa, in un mondo che
aveva già abbandonato Cristo e che si avviava alla "morte di Dio", è sta-
ta per la via «che è Cristo, questa via stretta: essa è stretta sin dall'inizio».
Così la sua è una antropologia esistenziale radicalmente cristiana.
-li
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Suggerimenti bibliografici
f. Colette, Histoire et absolu. Essai sur Kierkegaard, Paris 1962.
C. Fabro, Kierkegaard critico di Hegel, in Incidenza di Hegel, a cura di E Tessi-
tore, Napoli 1970, pp. 497-563.
M. Gigante, Religiosità di Kierkegaard, Napoli 1972.
D. J. Gouwens, Kierkegaard as a religious Thinker, Cambridge, New York 1996.
M. Heymel, Das Humane Lernen. Glaube und Erziehung bei S. Kierkegaard,
1 Gottingen 1988.
R. Jolivet, Aux sources de l'existentialisme chrétien. Kierkegaard, Paris 1958.
J. Kelleberger, Kierkegaard and Nietzsche. Faith and eternai acceptance,
f New York 1997.
M. Nicoletti, La dialettica dell'incarnazione. Soggettività e storia nel pensiero
di Kierkegaard, Bologna 1983.
S. Spera, Introduzione a Kierkegaard, Bari 1983.
J. Wahl, Etudes kierkegaardiennes, Paris 1938.