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DIRITTO DELL’AMBIENTE

Prof. Alessandro Mazzitelli

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1) La Tutela dell'Ambiente
2) La Funzione Amministrativa
3) Rapporto Stato e Regione – (Riforma Titolo V)
4) Tutela paesaggistica - (Legge Galasso 1985)
5) Ministero dell’Ambiente - (Legge 349/1986)
Il Danno Ambientale
6) Le Aree Naturali Protette (ENTI)
6.1) (Legge394/1991)
7) I Rifiuti - (Decreto Ronchi) - (SISTRI)
8) V.I.A.
9) Gli Idrocarburi
10) Le Fonti del Diritto

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La tutela dell’ambiente
L’AMBIENTE COSTITUISCE UN BENE GIURIDICO UNITARIO DI VALORE COSTITUZIONALE PRIMARIO
L’evoluzione della giurisprudenza costituzionale con il confronto di numerose pronunce della corte costituzionale ha
definito la “Materia Ambiente” come tale capace di considerare :

- Tutela dei beni culturali e paesaggistici (Ambiente culturale)


- Disciplina contro l’inquinamento (Ambiente ecologico)
- Governo del territorio (Ambiente urbanistico)

Questa disciplina unitaria fa riferimento ad un interesse pubblico di valore costituzionale primario ed assoluto, e deve
garantire un elevato livello di tutela , come tale inderogabile dalle altre discipline di settore. (Corte Cost., sentenza n.
151 del 1986 e n. 641 del 1987)
Nonostante ciò la Costituzione non menziona l’ambiente fra i principi fondamentali e fra i diritti dei cittadini.
tranne che nell’art.9, comma 2 e art.32 Cost
Art. 9
La repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.
Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.
Art. 32
La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure
gratuite agli indigenti… … …

L’interpretazione evolutiva a riguardo ha decretato che la “TUTELA DEL PAESAGGIO” (art.9) deve essere intesa nel
senso lato di tutela ecologica, dunque anche come “interesse alla conservazione dell’ambiente”.
Mentre la “TUTELA DELLA SALUTE” (art. 32) vale come “tutela dell’ambiente in cui l’uomo vive”.

Ed è proprio in ragione di una lettura congiunta dei 2 art che la Consulta afferma la concezione “Unitaria”
dell’ambiente, che comprende : La conservazione, la razionale gestione ed il miglioramento delle condizioni naturali
(aria, acque, suolo e territorio in tutte le sue componenti), l’esistenza e la preservazione dei patrimoni genetici
terrestri e marini, di tutte le specie animali e vegetali che in essi vivono allo stato naturale ed in definitiva la
persone umana in tutte le sue estrinsecazioni. (Cort Cost, 22 Magg 1987, n°210)

Ciò ha delle ricadute sulla competenza legislativa tra Stato e Regioni nella “Materia ambiente”
A seguito della riforma del Titolo V della Parte II della costituzione, L’ambiente ha per la prima volta una menzione
nella Carta Fondamentale, in particolare :
Art. 117

Comma 2, ove si prevede la potestà legislativa esclusiva statale in materia di “Tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e
dei beni Culturali"
Comma 3, si stabilisce la competenza fra Stato e Regione, con riguardo alla “Valorizzazione dei beni culturali e
ambientali”.
Si parla dell’ambiente come “Materia Trasversale” nel senso che ci sono diversi interessi a riguardo:
<< conservazione e utilizzo dell’ambiente >>

In tali circostanze La disciplina unitaria di tutela del bene complessivo ambiente dettata dallo Stato, prevale su quella
dettata dalle Regioni o dalle Province autonome.

Lo stato ha il potere di fissare gli standard minimi ed uniformi di tutela dell’ambiente sull’intero territorio nazionale.
Questo,tuttavia, non esclude la possibilità che le regioni prevedano una tutela più rigorosa rispetto a quella statale
rispetto a (Governo del territorio, agricoltura, caccia, pesca, tutela della salute, grandi reti di trasporto, protezione
civile ecc…).

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Funzione Amministrativa
Legge 241/1990 "Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai
documenti amministrativi"

Questa Legge disciplina i procedimenti e i provvedimenti amm., in particolar modo questa legge a
profondamente rinnovato ed innovato il rapporto tra i cittadini e la p.a. trasformandolo da un rapporto di
tipo autoritativo ad un rapporto paritario-collaborativo.

In linea di massima, la legge introduce il Diritto di accesso, Il principio di partecipazione, L’obbligo di


provvedere e L’obbligo di motivazione

• Diritto di accesso : Ai cittadini viene data la possibilità di accedere agli atti pubblicati dalla P.A.

• Principio di Partecipazione : Ai cittadini viene data la possibilità di intervenire all’interno del


procedimento amministrativo (sia soggetti direttamente interessati che indirettamente interessati)
L’amministrazione pubblica innanzi tutto ha l’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento a tutti
gli interessati (diretti/indiretti), inoltre ha l’obbligo di individuare la figura del responsabile del
procedimento amm che sia di riferimento per i soggetti interessati (diretti/indiretti).

• Obbligo di provvedere : Una volta iniziato il procedimento, la P.A. ha l’obbligo di portarlo a


termine mediante l’adozione di un provvedimento espresso.

• Obbligo di motivazione : Una volta adottato un provvedimento la P.A. ha l’obbligo di motivarlo

PROCEDIMENTI AMMINISTRATIVI

La P.A. è un singolo ente pubblico facente parte della P.A. che svolge una determinata funzione
pubblica per il perseguimento di un certo interesse pubblico (es. l’università è un’amministrazione
pubblica e la sua funzione è quella di perseguire la Ricerca e la Didattica).
L’amministrazione Pubblica parla attraverso degli atti scritti che sono la sua manifestazione di volontà..
In generale, si può dire che l’amministrazione pubblica svolge la propria funzione pubblica seguendo dei
“procedimenti amministrativi”.
Tutte le funzioni pubbliche si dicono PROCEDIMENTALIZZATE, ovvero sono svolte mediante un
procedimento. (iter)(una sequenza ordinata di atti scritti, finalizzata all’emanazione di un atto finale,
ovvero un provvedimento amm. mediante il quale, l’amministrazione pubblica manifesta la propria
volontà).

Il procedimento è caratterizzato da un AVVIO e una CHIUSURA.


L’avvio può essere un “Avvio d’Ufficio” se è deciso dall’amministrazione pubblica stessa, oppure ad
“Istanza di Parte” se è avviato da un soggetto privato oppure da altro organo.
Quando l’amm. pubb. avvia un procedimento, questo deve essere comunicato a tutti i soggetti a cui
l’adozione del provvedimento produrrà effetti diretti oppure indiretti (secondo il principio di
partecipazione sancito dalla L.241/92)

Essendo frutto dell’amministrazione pubblica, i provvedimenti e i procedimenti amministrativi devono


rispondere ai criteri dettati dall’art 97 della cost.
I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge,in modo che siano assicurati il buon
andamento e “l’imparziabilità dell’amministrazione”.
Per buon andamento s’intende il soddisfacimento dei criteri di economicità, rapidità, efficacia ed
efficienza.
L’imparziabilità sta nel divieto di qualsiasi forma di favoritismo. Inoltre deve essere chiaramente
rispettato il “Principio di legalià”.
Essendo un procedimento una sequenza ordinata di atti, è ovvio che la validità di un atto è condizionata
dalla validità di quelli che lo precedono.
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La riforma costituzionale del 2001

Riforma del titolo V

Con la legge costituzionale n° 3 del 18 ottobre 2001 è stato completamente riformato il Capo V, parte seconda della
Costituzione italiana, recante norme sulle Regioni, le Province e i Comuni.
La riforma assume un carattere essenziale in quanto giunge a conclusione di un lungo cammino verso il decentramento
amministrativo e legislativo avviato con la Legge n° 59 del 1997 (Legge Bassanini).
Il nuovo testo istituzionale, infatti, opera una nuova e diversa ripartizione delle competenze normative tra Stato, Regioni ed Enti
locali, promovendo un modello meno verticistico e centralizzato, in favore di una maggiore apertura a diversi soggetti nel
processo di elaborazione delle politiche, così da garantire una partecipazione più ampia delle istituzioni e dei cittadini, alla
definizione e presentazione di tali politiche.

Citando un passo del (Libro Bianco sulla Governance), questo modello incoraggia ad una maggiore apertura e
responsabilizzazione di tutte le parti in causa, e rappresenta un presupposto indispensabile per rendere le politiche
più efficaci e più adeguate ai bisogni di un dato contesto.

La riforma costituzionale, riconosce alle Regioni e agli Enti locali la potestà legislativa concorrente con quello dello Stato, per
poter progettare e implementare delle nuove e più efficaci soluzioni di politica attiva del lavoro.
In modo particolare le competenze in materia di lavoro, formazione professionale e istruzione risultano totalmente ridisegnate.

Mentre resta di competenza esclusiva dello Stato la determinazione degli ordinamenti programmatici e legislativi nazionali.

Ciò significa che, comunque, le Regioni in virtù della riforma costituzionale, potranno concludere, nelle materie di loro
competenza, accordi con Stati ed intese con enti territoriali interni ad un altro Stato.

Si tratta, dunque, di importanti novità sia a livello politico-istituzionale sia a livello culturale.
Pur nel rispetto del principio secondo il quale, in materie di competenza concorrente, spetta allo Stato il compito di dettare
con legge i principi fondamentali, l'affidamento alle Regioni della piena responsabilità di legiferare in tali materie rappresenta
una potenzialità enorme per
migliorare le possibilità occupazionali nel nostro Paese.

Il principio di sussidiarietà, infatti, al quale si ispira l'intera riforma del titolo V, e che aumenta l'autonomia in capo alle
amministrazioni locali, può favorire l'implementazione di interventi di politica attiva mirati alle singole realtà regionali e/o
provinciali.

Una riforma costituzionale siffatta, dunque, permette di governare e di valorizzare al meglio le diversità territoriali del nostro
Paese

In particolare , ora , secondo il nuovo art. 114 “ La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città
metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i
principi fissati dalla Costituzione.
Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento.”

I punti piu’ importanti della riforma costituzionale possono essere cosi sintetizzati :

La funzione legislativa attribuita alle regioni risulta fortemente ampliata.


Infatti ,mentre in precedenza la costituzione indicava le aree di competenza, in materia legislativa, attribuite alle
regioni, ora la costituzione definisce , in modo analitico, le aree nelle quali lo Stato ha potere legislativo esclusivo ( ad
es. in materia di politica estera) e quelle nelle quali Stato e regione concorrono insieme . In tutte le materie non
espressamente indicate dalla costituzione vale il seguente nuovo principio secondo cui “Spetta alle Regioni la potestà
legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato” ;

Le funzioni amministrative, organizzative e finanziarie degli enti locali sono state anch’esse ampliate con l’attribuzione
, a questi enti, di maggiori poteri, autonomie e responsabilita’ ;

E’ stato introdotto il cd.”federalismo fiscale” poiche’ art. 119 afferma che “I Comuni, le Province, le Città metropolitane
e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa”.
Gli enti locali possono dunque stabilire e applicare tributi propri e sono chiamati a compartecipare al gettito di tributi
erariali riferibili al loro territorio.
E’ tuttavia previsto che sia introdotto un fondo perequativo , ossia finalizzato a riequilibrare le differenze tra regioni, per
le zone più svantaggiate.
Allo Stato e’ comunque attribuito il compito di rimuovere gli squilibri sociali ed economici, destinando risorse aggiuntive
in favore di determinati enti locali;
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Infine, i rapporti tra stato e enti locali risultato ridistribuiti anche mediante un minore potere di controllo sulle regioni
da parte dello Stato e l’ampliamento dei poteri di intervento normativi delle regioni in alcuni settori fondamentali , come
tutela ambientale e istruzione .

Le modifiche costituzionali del 2001 sono state sottoposte a referendum confermativo e i cittadini italiani hanno espresso la
loro volonta’ a favore dell’introduzione di questa rilevante riforma il 7 ottobre 2001.

Le Regioni. Alle Regioni è stata riconosciuta l’autonomia legislativa, ovvero la potestà di dettare
norme di rango primario, articolata sui 3 livelli di competenza: esclusiva o piena (le Regioni sono
equiparate allo Stato nella facoltà di legiferare); concorrente o ripartita (le Regioni legiferano con
leggi vincolate al rispetto dei principi fondamentali, dettati in singole materie, dalle leggi dello
Stato); di attuazione delle leggi dello Stato (le Regioni legiferano nel rispetto sia dei principi sia
delle disposizioni di dettaglio contenute nelle leggi statali, adattandole alle esigenze locali).

Lo Stato. Allo Stato compete solo un potere esclusivo e pieno, circoscritto alle materie di cui
all’elenco del 2° co. dell’art. 117 della Costituzione. Il 3° co. dell’art. 117 Cost. individua i casi di
potestà legislativa concorrente tra lo Stato e le Regioni. Per tutte le altre materie, non indicate e
non rientranti in quelle indicate nel 2° e 3° co. dell’art.117 Cost., le Regioni hanno potestà
legislativa piena.

I Comuni. Sono enti territoriali di base, con autonomia statutaria, organizzativa, amministrativa,
impositiva e finanziaria. Essi rappresentano, curano e promuovono lo sviluppo della comunità
locale e sono i principali destinatari delle funzioni amministrative, in quanto più vicini al cittadino
e ritenuti più idonei a esercitare i compiti amministrativi (municipalismo d’esecuzione).

Le Province. Sono enti intermedi tra i Comuni e le Regioni, rappresentativi di proprie comunità,
con funzioni di cura degli interessi, ma anche di programmazione delle attività delle comunità
locali che rientrano nel proprio territorio.

Le Città metropolitane. Sono tipi speciali di Province, con poteri notevolmente più ampi e molto
vicini a quelli comunali, soprattutto in ambito urbanistico. Sono istituite, su iniziativa dei Comuni
interessati, in aree metropolitane individuate nelle zone comprendenti i Comuni di Torino,
Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari, Napoli, Reggio Calabria, Cagliari,
Catania, Messina, Palermo, Trieste. Con la costituzione della Città metropolitana, la città originaria
cessa di esistere.

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Forme di collaborazione e di coordinamento con altri enti
L’accresciuta importanza delle Regioni e l’estendersi delle competenze loro attribuite in seguito alla riforma costituzionale del
Titolo V, Parte II, della Carta costituzionale, avvenuta nel 2001, comportano inevitabilmente l’esigenza di creare delle forme
di collaborazione e di coordinamento con altri enti con cui devono necessariamente «dialogare» per esercitare al meglio le
loro attribuzioni.
La necessità di tale coordinamento nasce in primo luogo dalla posizione stessa della Regione, ente che si colloca in una
posizione intermedia tra gli altri enti locali e lo Stato; è in primo luogo, quindi, con questi soggetti che devono essere
istituite e portate avanti forme di collaborazione e di coordinamento.
La riforma costituzionale del 2001 ha valorizzato il ruolo delle Regioni sulla scena internazionale, attribuendo una
significativa potestà estera.

Le Regioni e lo Stato: il cd. regionalismo cooperativo


Il primo soggetto con il quale le Regioni devono costantemente confrontarsi e coordinare la loro attività è lo Stato :
quest’ultimo, infatti,
condivide con gli enti regionali una potestà legislativa concorrente in
numerose materie, controlla ancora oggi gran parte delle fonti di finanziamento delle Regioni etc.

L’art. 118, comma 3, della Costituzione prevede, anzi, esplicitamente forme di coordinamento fra lo Stato e le Regioni in
settori particolari che sono di esclusiva competenza statale: l’immigrazione e l’ordine pubblico e la sicurezza.
(Si tratta di materie che presentano problematiche differenziate da una realtà territoriale all’altra e che, quindi, impongono
interventi diversi da parte delle autorità centrali.)

Le sedi in cui Stato e autonomie territoriali si incontrano per definire linee


politico-amministrative, contemperando interessi che possono
essere contrastanti, sono le Conferenze permanenti, cui deve aggiungersi
la Commissione bicamerale per le questioni regionali; sono organismi
che hanno il fondamentale compito di dare attuazione alla riforma della L. cost. 3/2001 e di realizzare, un proficuo
coordinamento tra i diversi livelli di governo (cd. regionalismo cooperativo)

La conferenza Stato-Regioni
La Conferenza permanente Stato-Regioni e Province autonome è un organo collegiale, istituito nel 1988 nel quale sono
presenti lo Stato e le Regioni, sia a Statuto ordinario che a Statuto speciale, nonché le Province autonome di Trento e di
Bolzano.
Ha compiti di consultazione, informazione, raccordo e concertazione sulle materie e sulle attività politico-
amministrative regionali.

Secondo la definizione della Corte costituzionale, la Conferenza è :


«la sede privilegiata del confronto e della negoziazione politica fra lo Stato e le Regioni (e le Province autonome) su
argomenti che investono in via generale la materia regionale».
La Conferenza è presieduta dal :

• Presidente del Consiglio


• Presidenti delle Regioni
• Presidenti delle Province autonome di Trento e di Bolzano
• Ministri interessati agli argomenti trattati nelle singole sedute

Il Presidente può decidere di invitare anche rappresentanti di amministrazioni centrali dello Stato e di enti pubblici (cd.
composizione flessibile).

Quanto alle funzioni, la Conferenza:


promuove e stipula intese, nei casi previsti dalla legge, ed accordi fra Governo e Regioni.
È dunque una «stanza di compensazione» dove lo Stato e le Regioni si incontrano per definire linee politiche e scelte comuni,
contemperando interessi che possono anche essere contrastanti.

La Conferenza Stato-città ed autonomie locali


E’ stata istituita, nel 1996, ed ha compiti di :
coordinamento, studio, informazione e confronto sulle problematiche connesse agli indirizzi di politica generale che
possono incidere sulle funzioni
proprie di Province e Comuni e su quelle delegate da leggi dello Stato.

Essa è inoltre chiamata a svolgere un ruolo importante per quanto riguarda la partecipazione degli enti locali alla formazione
degli atti normativi dell’Unione europea.

La Conferenza Stato-città è presieduta dal Presidente del Consiglio dei Ministri


o, per sua delega, dal Ministro dell’interno o dal Ministro per i rapporti con le Regioni.

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La Conferenza unificata
La Conferenza unificata è stata istituita dal D.Lgs. 281/1997, per la trattazione delle «materie ed i compiti di interesse
comune delle Regioni, delle Province e dei Comuni».

Essa è costituita da membri di entrambe le Conferenze permanenti (la Stato-


Regioni e la Stato-città).

I poteri sostitutivi dello Stato


Con L’art. 120 Cost. si disciplina un meccanismo particolarmente delicato nei rapporti fra i diversi livelli di governo:
l’esercizio dei poteri sostitutivi da parte del livello centrale di fronte alle inadempienze delle autonomie territoriali.

È, infatti, previsto che il Governo possa sostituirsi a organi delle Regioni (nonché delle Città metropolitane, delle Province e
dei Comuni) qualora ricorrano i seguenti presupposti:

— nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria;

— oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica;

— ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.

La norma costituzionale affida ad una legge statale il compito di definire le


procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto
di due principi : quello di sussidiarietà e quello di leale collaborazione

L’art. 8 della L. 131/2003 disciplina la procedura generale per l’esercizio del potere sostitutivo dello Stato, nonché la
procedura da applicarsi in caso di inadempimento delle Regioni rispetto alla normativa comunitaria.

Rappresentante dello Stato per i rapporti con il sistema delle autonomie


Esiste un’altra figura importante, cioè il Rappresentante dello Stato per i rapporti con il sistema delle autonomie, cui sono stati
attribuiti tutti i compiti di raccordo tra lo Stato e le Regioni;
la carica è ricoperta dal Prefetto avente sede nel capoluogo della Regione.

Nello svolgere tali compiti, il Prefetto si avvale delle strutture e del personale dell’Ufficio territoriale del Governo.

Regioni e Corte dei Conti


Al fine di garantire il coordinamento della finanza pubblica, la Corte dei conti ha il potere di verifica del rispetto degli
equilibri di bilancio da parte delle Regioni (oltre che di Comuni, Province e Città metropolitane), in relazione al patto di
stabilità interno
e ai vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea.
È poi previsto che, nell’ambito di ciascuna Regione, le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti verificano, il
perseguimento degli obiettivi posti dalle leggi statali o regionali di principio e di programma.

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Art. 114 è stato interamente riscritto si compone di tre commi, prima la repubblica si ripartiva in regioni provincie e
comuni, oggi il
Comma 1 stabilisce che la “repubblica è costituita da comuni provincie città metropolitane, regioni e stato”.
Tale modifica mette in evidenza che i vari enti sono organi essenziali della repubblica.
Gli organi sono elencati in ordine crescente e tale modo ascendente è espressione del principio di sussidiarietà
(verticale) implica che le decisioni devono essere adottate dal soggetto istituzionale più vicino ai cittadini, a patto che
tale soggetto svolga l’attività in maniera efficiente e efficace.
Comma 2 questo comma esiste perché è stato abrogato l’art. 115, tale comma conferma il principio di sussidiarietà
e di gradualità degli enti e ne sottolinea la loro autonomia.
Comma 3 è un comma anomalo in quanto costituzionalizza la capitale della nazione:”roma è la capitale della
repubblica. La legge dello stato disciplina il suo ordinamento”.

Art. 117 (pilastro della riforma) riguarda la potestà legislativa, è stato completamente riscritto, prima si componeva di due
commi, conteneva un’elencazione tassativa delle materie in cui le regioni potevano legiferare, nei limiti dei principi
fondamentali.
Il nuovo art. si compone di 9 commi, e contiene un elenco tassativo delle materie di competenza dello stato, perché la
potestà legislativa generale è delle regioni.
Comma 1 l’art. si apre proclamando pari dignità, concernente la potestà legislativa tra stato e regioni, sono inoltre
elencati i limiti alla potestà legislativa sia dello stato che delle regioni.
Comma 2, elenco tassativo delle materie in cui lo stato ha legislazione esclusiva (politica estera, immigrazione,
ordine pubblico, difesa..).
Comma 3 potestà legislativa concorrente: lo stato fissa in principi fondamentali e rinvia alla legislazione regionale
le norme specifiche nelle seguenti materie: tutela del lavoro, sanità, protezione civile..
Comma 4 spetta alle regioni la potestà legislativa generale, salvo le materie in cui lo stato ha legislazione esclusiva,
e quelle in cui le regioni hanno potestà legislativa concorrenti.
Comma 5 e 9 trattano il tema dell’internazionalizzazione delle regioni, queste infatti possono concludere accordi
con stati, intese con enti locali intereni ad un altro stato.
Comma 6 parallelismo tra potestà regolamentare e potestà legislativa, cioè lo stato ha la potestà regolamentare,
nelle materie in cui ha la potestà legislativa esclusiva riservando alle regioni il potere regolamentare, in tutte le altre
materie.
Comma 7 è un comma anomalo, riguarda la piena parità tra uomini e donne, nella vita sociale culturale ed
economica.

Art. 119 Autonomia finanziaria delle regioni. Si può intendere in 2 diverse accezioni:
1) in autonomia d’entrata, cioè l’ente può scegliere i mezzi necessari per far fronte alle proprie necessità
amministrative; 2) autonomia di spesa l’ente ha la libertà di scegliere i modi e gli strumenti attraverso i quali gestire il
proprio reddito e quindi spendere. L’ente dotato di autonomia finanziaria, è un ente che impone tributi e che spende in
modo autonomo il gettito fiscale.
Il vecchio testo dell’art. 119 riconosceva autonomia finanziaria solo alle regioni, autonomia però solo in termini di
spazio (le regioni non godevano di autonomia di entrata). ----------------
In tema di autonomia finanziaria, il decreto legislativo 56 del 2000 introdusse per la prima volta in italia, delle regole
in tema di federalismo fiscale introducendo regole volte ad ampliare l’autonomia finanziaria delle regioni e di renderla
maggiormente autonoma e svincolata dallo stato. L’articolo 119 prevede che le regioni e gli enti locali hanno risorse
autonome, questi stabiliscono e applicano tributi propri ed entrate proprie; sono inoltre previste risorse aggiuntive ed
interventi speciali da parte dello stato per scopi determinati

Art. 116 regioni a statuto speciale:


Comma 1 il vecchio articolo era riferito esclusivamente alle 5 regioni a statuto speciale (Sicilia, Sardegna,
trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, valle D’Aosta), i cui statuti sono da adattarsi con legge costituzionale.
Nel nuovo articolo invece sono state ribadite quelle che sono le regioni speciali, però si è valuto anche individuare la
diversità di tali regioni e le ragioni di tali diversità. La motivazione di tali diversità è che si tratta di regioni di confine o
isole, in cui vige per esempio il bilinguismo, oppure in cui sono tutelati anche i costumi stranieri.
Comma 2 è un comma anomalo, qui si fa una precisazione: la regione trentino è costituita dalle provincie autonome
di Trento e Bolzano.
Comma 3 prevede la possibilità che nel nostro ordinamento le regioni ordinarie possano chiedere si usufruire di
forme particolari di autonomia.

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Art. 118 trasferimento della funzione amministrativa a provincie e comuni: il vecchio affermava che le funzioni
amministrative spettano alle regioni per le materie di loro competenza e quindi qui abbiamo un parallelismo tra
funzione amministrativa e legislativa. L’art. inoltre prevedeva che lo stato potesse delegare alle regioni l’esercizio di
altre funzioni amministrativa che a loro volta anche le regioni potessero delegare le proprie funzioni amministrativa alle
provincie, ai comuni o ad altri enti locali.
Il nuovo considera nel :
Comma 1: la funzione amministrativa che è attribuita ai comuni salvo che, per assicurare l’esercizio unitario siano
conferite a provincie città metropolitane, regioni e stato sulla base di requisiti di sussidiarietà, differenziazione e
adeguatezza quindi qui viene meno il parallelismo.
Il principio di sussidiarietà ha due profili: uno verticale, dove le decisioni devono essere effettuate dal soggetto
istituzionale più vicino al cittadino; in senso orizzontale dove si ritiene che si debba promuovere l’iniziativa dei privati,
perché lo stato interverrà sussidiariamente ad aiutare i cittadini ove questo non siano in grado di operare. Principio di
differenziazione ed adeguatezza, le funzioni amministrative devono essere svolte in maniera diversa in base alle
differenze storiche, artistiche, culturali. La riforma del titolo V tende dunque ad accentuare l’autonomia delle regioni
anche nella logica che tutte le regioni sono sempre state e sono diverse.

Art. 120: potere sostitutivo dello stato:


Comma 1, stabilisce il divieto per le regioni di adottare provvedimenti che ostacolino la libertà di
circolazione(questo sarebbe il vecchio testo). Il nuovo testo prevede inoltre altri commi, come il
Comma 2 che prevede un potere sostitutivo del governo. Si parla di un governo non di stato perché di quest’ultimo si
vuole chiamare in causa l’organo esecutivo sia per l’urgenza di provvedere, sia per la possibilità di provvedere in
maniera tecnica attraverso i decreti legislativi e i decreti legge.
Il governo si può sostituire a regioni, città metropolitane, provincie e comuni per tre motivi: 1) mancato rispetto di
norme, trattati o della normativa comunitari. 2) pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica. 3) tutela
dell’unità giuridica ed economica, qui è possibile intravedere un richiamo all’interesse nazionale.
Il potere sostitutivo esercitato nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione.
Il principio di leale collaborazione, lo si attuava nel nostro ordinamento con il sistema delle conferenze (conferenze
sono degli strumenti di raccordo). La costituzione del 48 non prevedeva nessun organo di raccordo salvo il CPQR
commissione parlamentare per le questioni regionali.
Questa commissione per molto tempo ha costituito l’unico organo di raccordo. Con una legge del 63(legge ponte) tale
commissione è stata riorganizzata lasciandone però inalterata la composizione e confermandone la presenza. In seguito i
regolamenti hanno stabilito che bisogna consultare la CPQR in sede di procedimento legislativo quando una legge
riguardava questioni di carattere strettamente regionale.
Nel 2001 in sede di riforma del titolo V il legislatore non ha ritenuto di costituzionalizzare le conferenze, ma ha
previsto l’introduzione di un organo di raccordo il CAL consiglio autonomie locali.

Art. 11 della legge costituzionale 3/2001 chiude la riforma del titolo V si tratta di un art. transitorio in quanto vi è la presa
d’atto della consapevolezza della necessità che si metta mano ad un’altra parte della costituzione.
Si compone di due commi.
Comma 1 l’obbiettivo immediato è quello di modificare il nostro sistema bicamerale in quanto si vuole transitare
verso un sistema con la maggiore presenza delle regioni. Questo comma stabilisce infatti che i regolamenti parlamentari
possano prevedere la partecipazione dei rappresentanti delle regioni, delle provincie autonome e degli enti locali alla
CPQR.
Comma 2 quando un progetto di legge riguardante le materie in regime di competenza legislativa concorrente,
ovvero relativo all’autonomia finanziaria di entrate e di spesa, contengono disposizioni sulle quali la CPQR abbia
espresso parere contrario o favorevole condizionato all’introduzione di modificazioni specificamente formulate. Queste
parti del progetto possono essere approvate solo se l’assemblea delibera con maggioranza assoluta.

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Riforma del Titolo V (maggio 2016)
Dopo un lungo iter legislativo, il 12 aprile 2016 è stato approvato dal Parlamento a maggioranza assoluta, ma inferiore ai due
terzi dei membri di ciascuna
Camera, il testo definitivo della Legge costituzionale recante: "Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la
riduzione del numero dei
parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V
della parte seconda della
Costituzione".
Il testo è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 88 del 15 aprile 2016.
Entro tre mesi dalla pubblicazione, un quinto dei membri di una Camera, o cinquecentomila elettori, o cinque Consigli
regionali possono richiedere che si proceda al referendum
popolare.
Con Ordinanza 4 agosto 2016 la Corte di Cassazione ha dichiarato legittima la richiesta di referendum popolare confermativo,
che avrà luogo il 4 dicembre 2016, come da
Comunicato della Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 132/2016. Il testo del quesito referendario è stato pubblicato con
Decreto del Presidente della Repubblica 27 settembre
2016. (G.U. n. 227 del 28/09/2016). Il referendum confermativo del 4 dicembre 2016 non ha approvato il processo di riforma
costituzionale.

La riforma dispone il superamento dell'attuale sistema di bicameralismo paritario e la contestuale trasformazione del Senato in
organo di rappresentanza delle istituzioni
territoriali; introduce modifiche alla disciplina del procedimento legislativo e interviene sul Titolo V della Parte seconda della
Costituzione, eliminando la competenza legislativa
concorrente e sopprimendo ogni riferimento alle province nella Costituzione; dispone inoltre la soppressione del CNEL.

Il Titolo V parte seconda della Costituzione (articoli da 114 al 133) regola i rapporti tra lo Stato e gli enti locali (Regioni, città
metropolitane e comuni).
L’attuale riforma, eliminando la competenza legislativa concorrente delle Regioni, e sopprimendo ogni riferimento alle
province nel testo costituzionale, incide profondamente
sull’assetto istituzionale della nostra Repubblica.
Queste le principali modifiche apportate ai singoli articoli:

Art. 114 Sono soppressi i riferimenti costituzionali relativi alle province, quali enti costitutivi della Repubblica.

Art. 116 L’articolo in questione disciplina il c.d. “regionalismo differenziato”. In particolare viene ridefinito l'ambito delle
materie nelle quali possono essere attribuite particolari forme di
autonomia alle Regioni, e ai fini dell’attribuzione, viene introdotta la necessaria condizione di equilibrio tra entrate e spese di
bilancio della Regione. L’attribuzione delle forme
speciali di autonomia avverrà con legge "approvata da entrambe le Camere", senza però richiedere la maggioranza assoluta dei
componenti, ferma restando la necessità dell'intesa
tra lo Stato e la Regione interessata.

Art. 117 Viene rivisto profondamente il riparto di competenza legislativa e regolamentare tra Stato e Regioni. In particolare
viene soppressa la competenza concorrente, con una
redistribuzione delle materie tra competenza legislativa statale e competenza regionale.
Tra le materie attribuite alla competenza esclusiva statale si richiamano, in particolare:
politica estera, difesa dello Stato, ordine pubblico e sicurezza, coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario;
disposizioni generali per la tutela della salute, la
sicurezza alimentare, l'ordinamento scolastico, l'istruzione universitaria e la programmazione strategica della ricerca scientifica
e tecnologica.
Tra quelle attribuite alle Regioni:
pianificazione territoriale, infrastrutture e mobilità; organizzazione servizi sanitari e sociali; formazione professionale e diritto
allo studio; promozione dei beni culturali,
valorizzazione e organizzazione del turismo. Inoltre “ogni materia non espressamente riservata alla competenza esclusiva dello
Stato”.

Viene inoltre introdotta la c.d. "clausola di supremazia", in base alla quale la legge statale - su proposta del Governo - può
intervenire in materie non riservate alla legislazione
esclusiva, quando lo richieda la tutela dell'unità giuridica o economica della Repubblica ovvero al tutela dell'interesse
nazionale.

Art. 118 Tutte le f unzioni amministrative dovranno essere improntate alla semplificazione e alla trasparenza, secondo criteri di
efficienza e di responsabilità degli amministratori.

Art. 119 Comuni, Città metropolitane e Regioni avranno autonomia finanziaria di entrata e di spesa; le risorse dovranno
assicurare il finanziamento integrale delle loro funzioni pubbliche.

10
Tutela Paesaggistica
Con la sentenza del 21 Dicembre 1985 della corte costituzionale, viene più volte ribadito il significato della
parola “PAESAGGIO” inteso come sinonimo di “AMBIENTE” e non di bellezza naturale.
E quindi con il termine Ambiente si identificano tutte le condizioni naturali e artificiali che circondano l’uomo.

LEGGE GALASSO 1985


È la prima legge organica sulla tutela paesaggistica.
Si preoccupa di classificare le bellezze naturalistiche in base alle loro caratteristiche peculiari suddividendole in classi
morfologiche .
Questa legge sostanzialmente obbliga le Regioni a redigere i cosiddetti “piani paesaggistici” con lo scopo di
individuare determinate zone da sottoporre a vincoli paesaggistici.
Quindi si determinano dei vincoli che in un certo senso esercitano una tutela nei confronti dell’ambiente.
Es.
• Inedificabilità sulle aree alpine sopra i 1600 m.
• // sulle aree appenniniche sopra i 1200 m.
• // a meno di 300 m dalla riva dei mari e laghi, e 150 m dalla riva dei fiumi e torrenti.
• // nelle zone vulcaniche e archeologiche
Prima della legge Galasso, ci fu un’altra legge nel 42 che però effettuava soltanto una zonizzazione del territorio, e
quindi non un effettiva tutela del territorio.
La legge Galasso comunque non trova applicazione però per molti anni, nel 2004 è stata integrata con decreto
legislativo.

11
Ministero dell’ambiente
Il Ministero dell'ambiente ha funzioni in materia di ambiente, ecosistema, tutela del patrimonio marino, atmosferico, nonché
sulla valutazione di impatto ambientale (VIA), valutazione ambientale strategica (VAS) e per l'autorizzazione ambientale integrata (IPPC).
Ha competenze in materia di tutela del suolo dalla desertificazione nonché del patrimonio idrogeologico. Coordina e sovraintende alle
funzioni del cosiddetto Codice dell'ambiente, ossia il D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, recante Norme in materia ambientale, che ha accorpato le
precedenti normative.
Prima del 1986 il Ministero dell’Ambiente era chiamato Ministero dell’Ecologia che tuttavia era solo un dipartimento facente parte
dell’organizzazione interna della Presidenza del Consiglio dei Ministri e che impropriamente era definito Ministero.

In pratica era un Ministero senza portafoglio che non aveva poteri propri, ma solo quelli che gli potevano essere delegati dalla Presidenza
del Consiglio dei Ministri. Un Ministero con portafoglio possiede invece dei poteri attribuitigli per legge.

Il Ministero dell’Ambiente al pari degli altri Ministeri è costituito da una serie di dipartimenti e servizi a capo di ognuno dei quali vi è un
dirigente che risponde a sua volta ad un dirigente generale a capo del Ministero.

La L.349/86 oltre ad istituire il Ministero dell’Ambiente, gli attribuisce un a serie di competenze generali.

La legge istitutiva afferma che è compito del Ministero promuovere, conservare e recuperare le condizioni ambientali conformi agli
interessi della collettività e alla qualità della vita ma anche conservare e valorizzare il patrimonio naturale nazionale e tutelare le risorse
naturali dall’inquinamento.

Da questa legge dunque traspare il fatto che il Ministero ha il compito di tutelare l’ambiente in virtù di una visione antropocentrica ovvero
in funzione della salute umana. Dal comma 2 sarà, dunque, evidente l’importanza di tale legge.

Prima del 1986 non esisteva una figura pubblica che avesse il compito di promuovere, conservare e recuperare le condizioni ambientali
conformi con la vita umana. Con questa legge dunque viene introdotta per la prima volta una responsabilità giuridica in materia
ambientale.
La legge istituisce un organo pubblico che ha il compito di vigilare sull’ambiente, perciò il soggetto è consapevole del fatto che se non si
attiene ad un determinato comportamento andrà incontro a delle sanzioni.

La responsabilità giuridica esiste se vi è una norma che limita la libertà del soggetto.

Il MdA diventa il titolare dell’imputabilità del Danno Ambientale (il MdA ha il compito di recuperare le condizioni ambientali conformi con
la salute umana e a monte di un recupero vi è un Danno Ambientale.

L.349/86:
Nel 1986 con la legge 349, viene istituito il Ministero dell’Ambiente. Tale legge rappresenta un vero punto di svolta per quanto riguarda la
Tutela dell’Ambiente.
Istituire un Ministero specifico che si occupa della Tutela dell’Ambiente, significa infatti riconoscere la Tutela dell’Ambiente tra gli
interessi pubblici e quindi l’importanza di questa disciplina.
Fino al 1986 non esisteva un Ministero specifico dell’Ambiente, questo era incorporato nel cosiddetto “Ministero dei beni culturali ad
ambientali” ed era un Ministero senza portafoglio (non aveva dei poteri specifici che gli fossero stati attribuiti per legge ma soltanto quelli
che gli potessero essere delegati dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri). La legge 349 invece istituisce il Ministero dell’ambiente e gli
attribuisce dei poteri specifici.
Sempre in tale legge trovano spunto la definizione di AMBIENTE (l’insieme delle condizioni naturali e artificiali che circondano l’uomo) e
la nozione di VIA (Valutazione di Impatto Ambientale). Per la prima volta si parla inoltre di Danno Ambientale.
Da qui nascono i seguenti principi :

• Principio dell’Azione preventiva: introdotto con la VIA (in quanto strumento volto a prevedere in largo anticipo una
possibile dannosità per l’Ambiente.

• Principio di “Chi inquina paga”: derivante dal Danno Ambientale.

Da una parte si cerca di prevedere e ridurre in via preventiva il Danno Ambientale e dall’altra si va a sanzionare i soggetti ai quali è
imputato il danno.

12
Il danno Amb. e le recenti modifiche legislative
• Danno Evento: Immediata correlazione causa-effetto.

• Danno Conseguenza: non vi è un’immediata correlazione causa-effetto.

Principio di Precauzione: in mancanza di conoscenza tecnico-scientifica, che produrrà una determinata azione, quell’azione non va
compiuta.
Il danno ambientale consiste nella distruzione o nel deterioramento dell’ambiente naturale considerato in sé e per sé, e cioè a prescindere
dall’esistenza di pregiudizi ai singoli beni che lo compongono (aria, acqua, terra, fauna, clima, ecc.). La distruzione dell’ambiente costituisce
un danno per la collettività; tuttavia non essendo quest’ultima, in quanto tale, soggetto di diritto, la legittimazione a domandare il risarcimento
spetta agli enti esponenziali di essa, e quindi alla pubblica amministrazione. La nozione di danno ambientale, secondo parte della dottrina, è
stata introdotta nel nostro ordinamento dall’art. 18 della legge 8 luglio 1986, n. 349 (oggi abrogato).

IL PERIMETRO DI DEFINIZIONE DEL DANNO


Attualmente, in ogni caso, la nozione di danno ambientale è prevista e disciplinata dall’art. 300 del d. lgs. 3.4.2006 n.152 (c.d. Codice
dell’Ambiente, recante “Norme in materia ambientale”), il quale definisce:

“danno ambientale” qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o
dell’utilità assicurata da quest’ultima.

La stessa norma prevede poi (al comma secondo) alcune ipotesi specifiche di danno ambientale, richiamando la direttiva europea in
materia (direttiva 2004/35/CE), per cui in ogni caso: “costituisce danno ambientale il deterioramento, in confronto alle condizioni
originarie, provocato”:
(a) alle specie e agli habitat naturali protetti dalla normativa nazionale e comunitaria;
(b) alle acque interne, mediante azioni che incidano in modo significativamente negativo sullo stato ecologico, chimico e/o
quantitativo oppure sul potenziale ecologico delle acque interessate;
(c) al terreno, mediante qualsiasi contaminazione che crei un rischio significativo di effetti nocivi, anche indiretti, sulla salute umana a
seguito dell’introduzione nel suolo, sul suolo o nel sottosuolo di sostanze, preparati, organismi o microrganismi nocivi per l’ambiente.

LA LEGITTIMITA’ ALLE AZIONI DI RISARCIMENTO


Presupposto per il risarcimento del danno ambientale è innanzitutto la compromissione dell’ambiente, la quale non si identifica con il
mero pregiudizio patrimoniale derivato ai singoli beni che ne fanno parte, perché il bene pubblico (che comprende l’assetto del
territorio, la ricchezza di risorse naturali, il paesaggio come valore estetico e culturale e come condizione di vita salubre in tutte le sue
componenti) deve essere considerato unitariamente per il valore d’uso da parte della collettività quale elemento determinante della
qualità della vita della persona, quale singolo e nella sua aggregazione sociale.
La legittimazione ad agire per il risarcimento spetta pertanto innanzitutto agli enti locali nel cui territorio si è verificato il danno. Anche
le associazioni ambientaliste sono legittimate in via autonoma

IL RISARCIMENTO DEL DANNO AMBIENTALE


Il risarcimento del danno ambientale deve comprendere sia il pregiudizio prettamente patrimoniale arrecato a beni pubblici o privati,
sia quello (avente anche funzione sanzionatoria) non patrimoniale
Ne consegue che la condanna del responsabile sia al ripristino dello stato dei luoghi e al pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento

La suprema corte ha spesso sostenuto che per integrare il fatto che obbliga al risarcimento del danno, non è
necessario che l'ambiente in tutto o in parte venga alterato, deteriorato o distrutto, ma è sufficiente una condotta
sia pure soltanto colposa "in violazione di disposizioni di legge o di provvedimenti adottati in base a legge". Questo
orientamento giurisprudenziale prende in considerazione il fatto che in caso di violazioni di norme di legge poste a
tutela dell'ambiente possono sussistere sia danni istantanei, sia danni futuri anche legati a sequele di effetti lesivi
permanenti.

Responsabilità ambientale
L’Unione europea (UE) stabilisce una quadro comune di responsabilità al fine di prevenire e riparare i danni causati agli animali, alle piante, agli habitat naturali e
alle risorse idriche, nonché i danni arrecati ai suoli.
ATTO -----------------------------------------------------------------------------------
Direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione
del danno ambientale.
SINTESI -----------------------------------------------------------------------------------
La direttiva istituisce un quadro di responsabilità ambientale basato sul principio chi inquina paga per prevenire e riparare i danni ambientali.
Danni ambientali
Ai sensi della direttiva, i danni ambientali sono definiti nel modo seguente:
• i danni, diretti o indiretti, arrecati all'ambiente acquatico coperti dalla legislazione comunitaria in materia di gestione delle acque e dalla direttiva
quadro relativa alla strategia per l'ambiente marino;
• i danni, diretti o indiretti, arrecati alle specie e agli habitat naturali protetti a livello comunitario dalla direttiva Uccelli selvatici e dalla direttiva Habitat;
• la contaminazione, diretta o indiretta, dei terreni che crea un rischio significativo per la salute umana.

Campo di applicazione del principio di responsabilità


Il principio di responsabilità si applica ai danni ambientali e alle minacce imminenti di danni qualora risultino da attività professionali, laddove sia possibile stabilire
un rapporto di causalità tra il danno e l'attività in questione.
La direttiva distingue due situazioni complementari cui si applica un regime di responsabilità diverso: da una parte, le attività professionali elencate nella direttiva
stessa, e dall'altra parte, altre attività professionali. 12
ENTE PARCO
È un ente pubblico autonomo, dotato di personalità giuridica.
Quindi può far valere i propri diritti e interessi come se fosse un soggetto privato.
Ha una sede legale e amministrativa sul territorio.
È sottoposto alla vigilanza del Ministero dell’ambiente.

La sua struttura amministrativa è così costituita:

PRESIDENTE :
Nominato con decreto del Ministero Amb. Insieme ai presidenti delle regioni interessate.
A lui è affidata la rappresentanza legale del parco, deve coordinare le attività dell’ente parco, esplicare le funzioni che gli sono state
delegate dal consiglio direttivo e adottare provvedimenti urgenti.

CONSIGLIO DIRETTIVO :
È l’organo dell’ente parco a cui sono affidate tutte le funzioni. Amministrative
più importanti. Costituito dal presidente e da 8 membri nominati con decreto del
Ministero:
4 Membri designati dalla comunità del parco
1 Membro designato dal Ministro dell’ambiente
1 Membro designato del Ministro delle politiche Agricole
1 Membro designato dall’ISPRA. (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca)
1 Membro designato dalle ass. ambientaliste.
Tutti i membri devono essere competenti in materia di aree protette e biodiversità.
Il Consiglio delibera lo statuto dell’ente parco, ha voce in capitolo sui regolamenti e sui bilanci ed esprime parere vincolante sui piani
pluriennali economico e sociale del parco.

GIUNTA ESECUTIVA :
Ha il compito di svolgere le funzioni più urgenti.
È un nucleo di 3 persone :
Presidente.
Vice-Presidente (eletto tra i componenti del Consiglio designati dalla Comunità del Parco).
3°Componente (eletto dal consiglio).

COMUNITA’ DEL PARCO :


È costituita da:
Presidenti Regioni, Presidenti Province e Sindaci dei Comuni i cui territorio ricadono nelle are di competenza dell’ente parco.
Svolge una funzione consultiva che serve in pratica a dare pareri sulle attività e sulle questioni più rilevanti.
Deve esprimere parere obbligatorio sul regolamento dell’ente parco, sul piano per il parco e sul bilancio
Delibera il piano economico pluriennale e sociale.
Viene convocato almeno 2 volte all’anno

COLLEGIO DEI REVISORI DEI CONTI :


Ha il compito di vigilare sulla regolarità contabile del ente parco.
Formato da 3 Membri: (Scelti tra i funzionari della Ragioneria Generale dello Stato)
2 Membri designati dal Ministro del Tesoro.
1 Membro designato dalle regioni interessate.
Il Collegio partecipa alle riunioni del consiglio.

DIRETTORE DEL PARCO :


Nominato con decreto del Ministro dell’ambiente e scelto tra 3 candidati designati a loro volta dal Consiglio Direttivo e iscritti all’albo di
soggetti idonei all’esercizio delle attività di direttore, al quale si accede per concorso.

Tutti i membri degli organi del parco durano in carica per 5 anni, ad eccezione dei Membri della Comunità del Parco.
(Quando questi perdono la loro carica politica perdono anche la carica di Membro della Comunità del Parco).

STATUTO ENTE PARCO


È la legge fondamentale dell’ente parco, a cui sono subordinati il Regolamento, il Piano del Parco e il Piano pluriennale economico e sociale.
Nello statuto sono indicati :
Il Nome e l’emblema del Parco.
I territori interessati.
Le finalità del Parco e la sua organizzazione (quindi vengono descritti i vari organi e i loro compiti).

Lo Statuto viene deliberato dal Consiglio Direttivo, viene trasmesso al Ministro dell’Ambiente che poi lo adotta con un decreto.

13
REGOLAMENTO DEL PARCO
Disciplina le attività consentite nel territorio del parco.
Ha una duplice finalità:
Valorizzare Usi, Costumi, e Attività Tradizionali locali.
Vieta tutte quelle attività che potrebbero compromettere il quadro amb. esistente.
In generale definisce le tipologie di opere che possono essere realizzate, disciplina lo svolgimento delle attività artigianali, commerciali, di servizio,
sportive, la circolazione, ricerca scientifica ecc ecc.
Vieta la cattura e l’uccisione degli animali, il prelievo di specie animali e vegetali, l’introduzione di nuove specie.
Lo stesso regolamento specifica quando è possibile derogare tali divieti.

Viene adottato dal consiglio direttivo, una volta approvato dal Ministro dell’ambiente viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale

PIANO DEL PARCO


Rappresenta uno strumento di gestione del territorio a cui è affidata la tutela dei valori naturali e ambientali.
Definisce l’organizzazione generale del territorio. (es. aree uso pubblico, percorsi disabili, aree per svolgimento funz sociali ecc.)

Suddivide il Parco in 4 diverse tipologie di aree:


RISERVE INTEGRALI : aree dove l’amb naturale è conservato nella sua integrità, ed è proibita qualsiasi forma di antropizzazione.
RISERVE GENERALI ORIENTATE : caratterizzate da basso livello di antropizzazione, ed è vietata la costruzione di nuove opere
È consentita solo la costruzione di opere strettamente necessarie,.
Possono essere autorizzate attività produttive tradizionali.
AREE DI PROTEZIONE : sono consentite le attività produttive tradizionali come agricolture, pesca, artigianato e attività
agrosilvopastorali.
AREE DI PROMOZIONE ECONOMICA E SOCIALE : caratterizzata da un grado di antropizzazione significativo, in queste
Aree sono consentite tutte le attività compatibili con le finalità del parco.

Il Piano del Parco si sostituisce a tutti i Piani paesaggistici e urbanistici vigenti sul territorio, tranne che al piano di bacino.
Viene predisposto dal Consiglio Direttivo e dalla Comunità del Parco. Inoltre deve essere adottato dalle regioni entro 90 giorni.

PIANO PLURIENNALE ECONOMICO E SOCIALE


Strumento utilizzato dalla comunità del Parco per promuovere le attività compatibili con le finalità del parco, in particolar modo quelle atte allo
sviluppo economico e sociale per le popolazioni residenti.
Si articola sostanzialmente in diversi progetti che possono avere delle sovvenzioni, realizzazioni di opere per lo sviluppo turistico, restauri, servizi
socialmente utili, attività culturali ecc ecc.

Ha valenza quadriennale, e viene realizzato dalla Comunità del Parco con parere vincolante obbligatorio del Consiglio Direttivo, viene poi approvato
dalle regioni.

NULLA OSTA :
E’ uno strumento mediante il quale l’ente parco verifica la conformità tra le disposizioni del piano del parco, il regolamento e un determinato
intervento .

Sul regolamento viene descritta la procedure per il suo rilascio, la documentazione necessaria e le sedi presso il quale è possibile fare richiesta.
A seguito di un esame tecnico effettuato da diverse commissioni , il direttore rilascia o meno in nulla osta entro 60 giorni.

POTERE ESPROPRIATIVO E DIRITTO DI PRELAZIONE :


Nei territori di sua competenza, l’Ente Parco esercita :

POTERE SPROPRIATIVO : Facoltà di acquistare forzatamente per esigenze di interesse pubblico le proprietà di un soggetto
privato o pubblico.
Non può essere esercitato in maniera incondizionata ma va sempre motivato il suo esercizio.
Le terre espropriate sono sempre indennizzate secondo il loro valore di mercato (principio equo-ristoro).

DIRITTO DI PRELAZIONE : Prevede che nel momento in cui un privato abbia intenzione di vendere un bene immobile o un territorio
situato nel parco, il proprietario deve prima proporlo in vendita all’ente parco, se quest’ultimo non è
interessato all’acquisto allora lo si può mettere sul mercato.

Inoltre vale il diritto di riscatto, ovvero : L’ente parco può comunque acquistare il bene in un secondo
momento se il privato ha precedentemente ignorato il diritto di prelazione o se ha venduto il bene ad un
terzo soggetto ad un prezzo inferiore da quello proposto all’ente parco.

14
Legge 394 / 1991
La prima disciplina organica relativa al sistema delle aree naturali protette è quella relativa alla legge 194/91.
Prima di allora esistevano delle leggi specifiche sull’istituzione e la gestione delle aree naturali protette.

L’obbiettivo della legge 394 è quello di creare un modello unico di istituzione e gestione delle aree nat. prot.,
specificare le finalità generali delle aree naturali protette. , i criteri da rispettare per poter istituire un’area nat.
prot.
Questa Legge è divisa in 4 Titoli:

TITOLO I : Principi Generali


Art. 1 - Finalità e ambito della legge
Afferma che le aree naturali protette vengono istituite al fine di garantire la CONSERVAZIONE e
la VALORIZZAZIONE del patrimonio naturale (formazioni fisiche, geologiche, morfologiche,
ideologiche e biologiche con rilevante valore naturalistico e che quindi hanno caratteristiche non comuni
(rare) )
Tali formazioni dunque sono sottoposte a forme di tutela e di gestione speciali, diverse rispetto al resto del
territorio
Sempre secondo l’art. 1, garantire CONSERVAZIONE e VALORIZZAZIONE di tali formazioni,
significa anche :
• La Conservazione delle specie Animali e Vegetali, singolarità geologiche e paleontologiche,
equilibri idraulici e idrogeologici ecc ecc. Opportunamente individuati da esperti e tecnici.
• Il Ripristino Ambientale, ovvero creare un integrazione equilibrata tra uomo ed ambiente
attraverso la salvaguardia delle tradizioni Agro-Pastorali e dei Valori Storici e Architettonici.
• La Promozione di attività educative e di ricerca scientifica: ad esempio nelle Riserve Integrali.
• La Difesa e Ricostruzione degli Equilibri Idraulici e Idrogeologici.

Tutte queste forme di tutela e di gestione vanno attuate secondo la 394 in forma cooperativa fra Stato, Regione,
Enti Locali e Comunità del Parco.

Art. 2 - Classificazioni delle Aree Naturali Protette


È presente una classificazione delle aree nat. prot. di natura scientifica e di derivazione internazionale
(quindi riconosciuta a livello internazionale).
E quindi distinguiamo:
• I Parchi Nazionali : Sono aree protette dotate di caratteristiche naturali di interesse nazionale o
internazionale
• I Parchi Regionali : Sono aree protette dotate di caratteristiche naturali di interesse locale, quindi aree
dove è forte l’interazione fra patrimonio naturale e tradizioni culturali delle
popolazioni locali.
• Le Riserve (Naturali / Marine) : Sono aree terrestri, fluviali, lacuali o marine in cui è presente una o
piu specie naturalisticamente rilevante di flora o di fauna.

Il TITOLO I continua spiegando il Piano Triennale per il Parco, la sua attuazione e le misure di salvaguardia e
incentivazione per il Parco stesso.

TITOLO II : Aree Naturali Protette Nazionali


Spiega : come si istituisce un area protetta a livello nazionale, Ente Parco, Comunità del Parco, i relativi
regolamenti e piani per il parco.
Spiega : le iniziative per la promozione economica e sociale, le riserve naturali statali, aree protette marine e la
loro gestione.
Spiega : Acquisti, espropriazioni ed indennizzi, Entrate ed agevolazioni fiscali
infine spiega anche la vigilanza e la sorveglianza delle aree naturali nazionali.

TITOLO III : Aree Naturali Protette Regionali


Spiega : Norme quadro, Parchi nat. regionali., la loro organizzazione amministrativa, gli strumenti di attuazione, il
coordinamento degli interventi e anche la vigilanza e la sorveglianza.

TITOLO IV : Disposizioni Finali e Transitorie


Spiega : I poteri dell’organismo di gestione delle aree, le sanzioni, i beni di proprietà dello stato destinati a riserva
naturale, le aree contigue ecc ecc…
15
I RIFIUTI
Diritto Ambientale : E’ un diritto di pertinenza comunitaria che deriva dalla competenza piena della C.E. in materia economica.
Fino al 1986 nei trattati europei non vi era cenno di una specifica competenza della comunità europea in materia ambientale.

La disciplina economica Europea si fonda su 3 pilastri : (Pilastri della politica economica europea)

• Libertà Economica
• Mercato
• Concorrenza Leale

L’esercizio di questi 3 pilastri può essere garantito solo attraverso un espansione della sfera di competenza in altre materie , tra
cui quella ambientale.
Di conseguenza se la disciplina ambientale influenza quella economica, allora la Comunità Europea si assume la competenza per
via implicita.
La materia Ambientale dunque diventa una competenza implicita della Comunità Europea.

ATTO UNICO EUROPEO : Introduce 4 Principi :


1) Principio di Azione Preventiva
2) Chi Inquina Paga
3) Integrazione dell’Ambiente in altre Politiche
4) Principio di Precauzione
Con la disciplina sui rifiuti si parla di RIFIUTI per la prima volta in Europa

DISCIPLINA SUI RIFIUTI : Viene introdotta prima a livello comunitario attraverso 3 direttive…

1975 / 442 / CEE – RIFIUTI IN GENERALE


1976 / 403 / CEE – RIFIUTI SPECIALI (Piliclorodifenili, Policlorotrifenili)
1978 / 319 / CEE – RIFIUTI TOSSICI E NOCIVI

Direttiva 1975 / 442 / CEE – RIFIUTI IN GENERALE


È la direttiva quadro sui rifiuti in generalesche in Italia viene recepita con il D.P.R. 915/82.
La suddetta direttiva chiarisce per prima cosa il concetto di rifiuto come:

” Qualunque Sostanza o Oggetto di cui il detentore si disfi o abbia


l’obbligo di disfarsi ai sensi delle disposizioni vigenti. ”
Secondo tale definizione tutto può diventare Rifiuto.
Il detentore di un rifiuto non è per forza chi ne ha la proprietà, ma colui che lo ha utilizzato

La direttiva pone 5 obblighi a carico degli stati membri:

1) Stabilire le Autorità Competenti.


2) Redazione dei Piani di Gestione dei Rifiuti.
3) Realizzare un Sistema di Autorizzazione e Controllo.
4) Rispetto del principio : “ Chi Inquina Paga ” .
5) Relazione Previsionale Periodica sullo smaltimento dei Rifiuti più quella relativa alla raccolta differenziata.

NOTA. La direttiva è stata modificata diverse volte.


Innanzitutto con la direttiva 1991/1560/CEE dove viene introdotto il Catalogo Europeo dei Rifiuti (C.E.R.) che
identifica i rifiuti mediante una sequenza numerica (Codice CER) sulla base del processo produttivo da cui ha avuto
origine.

16
In Italia . . . (Decreto Presidente Repubblica) D.P.R. 915 / 82
I contenuti delle 3 direttive europee vengono recepiti in Italia dal D.P.R. 915/82.
Per prima cosa si da una nuova definizione di Rifiuto :

Qualsiasi Oggetto o Sostanza derivante da attività umane o


da cicli naturali, abbandonato o destinato all’abbandono.
Tale definizione va in contrasto con la definizione comunitaria, secondo la quale il termine “DISFARSI” significa liberarsi
definitivamente della sostanza/oggetto, mentre “ABBANDONARE” non esclude la reversibilità.

Il decreto inoltre effettua una classificazione dei rifiuti in :

❖ R.S.U. (Rifiuti Solidi Urbani) : Rifiuti Ingombranti e non, provenienti da luoghi di civile abitazione, rifiuti giacenti nelle
strade o aree pubbliche, sulle spiagge, sulle rive dei laghi o fiumi, rifiuti provenienti dalla
pulitura delle strade o aree verdi.

❖ R.S. (Rifiuti Speciali) : Rifiuti provenienti da attività industriali, agricole, artigianali, rifiuti ospedalieri, materiale
proveniente da scavi, costruzioni, demolizioni, fanghi di depurazione.

❖ R.T.N. (Rifiuti Tossici e Nocivi) : Rifiuti Radioattivi, pile o anche batterie delle auto.

Inoltre il decreto definisce le competenze dello stato, regioni, province e comuni relativi alla gestione dei rifiuti :

STATO Definire i criteri generali di gestione dei rifiuti, in particolare :


• Stabilire la concentrazione delle sostanze che rendono nocive un rifiuto.
• Individuare le metodologia adatte per trattare e smaltire i rifiuti.
• Stabilire i criteri per l’individuazione delle aree più idonee per il trattamento e smaltimento.
• Coordinare i piani regionali per la gestione dei rifiuti.

REGIONE Realizzare i piani regionali per la gestione dei rifiuti


• Individuare zone adatte per la realizzazione di impianti per lo smaltimento o trattamento di
rifiuti.
• Rilasciare autorizzazioni a Enti o Imprese per effettuare lo Smaltimento, Trattamento,
Eliminazione di RSU, RS o RTN.
• Promuovere iniziative atte a ridurre la produzione dei rifiuti.
• Favorire il Recupero e il Riciclaggio.

PROVINCE Svolgono una funzione di controllo sullo smaltimento dei rifiuti attraverso agenzie igienico-sanitarie
locali, laboratori provinciali ecc. ecc…

COMUNI Si occupano dello smaltimento dei rifiuti.


Hanno il compito di realizzare i regolamenti comunali per la gestione dei rifiuti.

17
D. Lgs. 22 / 1997 (Decreto Ronchi)
HA VALORE DI LEGGE QUADRO PER LA GESTIONE DEI RIFIUTI.

Con tali decreto vengono recepiti i contenuti di tutte le direttive europee relative ai rifiuti, rifiuti pericolosi e i rifiuti da
imballaggio, nonché i rifiuti speciali.

NUOVA DEFINIZIONE DI RIFIUTO :

Qualsiasi Oggetto o Sostanza di cui il detentore si disfi,


abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi.

• Effettua una nuova classificazione dei rifiuti : RIFIUTI URBANI , RIFIUTI SPECIALI , RIFIUTI PERICOLOSI.

• Fissa le competenze di STATO , REGIONE , PROVINCIA E COMUNI.

• Stabilisce la Prevenzione dei rifiuti e favorisce il Riciclaggio e il recupero rispetto allo smaltimento.

• Introduce alcune norme come i REGISTRI DI CARICO E SCARICO.

• Viene introdotto il concetto di RACCOLTA DIFFERENZIATA.

Il Decreto Ronchi introduce ulteriori 3 strumenti di controllo della gestione dei rifiuti :

Registro Carico/Scarico : E’ un documento in cui vengono registrati tutti i carichi e gli scarichi dei rifiuti e
che deve essere presente presso qualsiasi impianto di Produzione, Stoccaggio,
Recupero e Smaltimento, e deve essere presente anche presso la sede delle imprese
che effettuano la raccolta e il trasporto.

Nei registri si annota : Origine, Quantità e caratteristiche del rifiuto,


Data di carico e scarico, Mezzo di trasporto,
Tipo di trattamento impiegato.

Modello Unico di Dichiarazione : E’ l’insieme delle dichiarazioni attraverso le quali viene comunicata
alla camera di commercio la quantità e la tipologia di rifiuti prodotti o
gestiti.
E’ in pratica un bilancio annuale dei singoli registri di carico/scarico.

Formulario di Trasporto : E’ il documento che accompagna il trasporto dei rifiuti.


In esso sono indicate :
 Le Informazioni sui rifiuti trasportati (Tipo, quantità ecc.),

 I Soggetti coinvolti, (Produttore, Detentore, Trasportatore,


Destinatario)

 I Tempi e i Luoghi delle varie operazioni.

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Direttiva 2008 / 98 / CEE (Nuovo Quadro Normativo) (Ultima Direttiva)

Stabilisce le gerarchie sulla gestione dei rifiuti, e prevede in particolar modo :

La Prevenzione - La Preparazione per il Riciclaggio - Il Riciclaggio - Il Recupero - Lo Smaltimento Finale

Vengono dunque chiariti i significati dei termini :

❖ SOTTOPRODOTTO : Sostanza o oggetto derivante da un processo di produzione il cui scopo primario non è la sua
realizzazione e viene definita tale se soddisfa i seguenti criteri :

 La sostanza sarà sicuramente riutilizzata.


 Può essere riutilizzata senza ulteriori trattamenti.
 Non ha impatti negativi sull’ambiente e sulla salute umana.

❖ RECUPERO : Qualsiasi operazione che permette ai rifiuti di svolgere una nuova funzione utile,
in modo da sostituire altri materiali che sarebbero stati altrimenti utilizzati.

❖ RICICLAGGIO : Qualsiasi operazione di recupero finalizzata al RIPRISTINO DELLA FUNZIONE ORIGINARIA


del rifiuto, o altre funzioni.

❖ SMALTIMENTO : Qualsiasi operazione diversa dal RECUPERO o dal RICICLAGGIO.

La Direttiva introduce inoltre :

RESPONSABILITA’ ESTESA DEL PRODUTTORE

Si estende la responsabilità sul rifiuto al Produttore all’intero ciclo di vita del prodotto.
In questo modo il produttore diventa proprietario del rifiuto ancor prima che questo diventi tale.
Si impone dunque al produttore l’obbligo di ritirare i prodotti non più utilizzati o restituiti, e di assicurarne la successiva
gestione assumendosi tutti gli oneri che ne derivano.

Lo scopo è quello di ridurre la produzione di rifiuti e incentivare la produzione di prodotti a ridotto impatto ambientale.

Vengono anche introdotti il principio di AUTOSUFFICIENZA DEI RIFIUTI e di PROSSIMITA’.

SISTRI (Sistema di Tracciabilità dei Rifiuti)


Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti, finalizzato alla tutela dell’ambiente e della salute unama.
Non è altro che una Digitalizzazione del sistema tradizionale di controllo (Registri Carico/Scarico, Formulario di
Identificazione e M.U.D. Modello Unico di Dichiarazione).

Il sistema informatico viene gestito dall’Arma dei Carabinieri, si utilizza anche un sistema (GPS) per un controllo preciso.

L’adesione al sistema è volontaria, tranne che per le Imprese che producono o trasportano rifiuti.

Gli enti e i comuni della regione Campania hanno l’obbligo di aderire al SISTRI.

Inoltre sono previste delle incentivazioni economiche per chi aderisce volontariamente al sistema, come riduzione del costo
tipico per la gestione dei rifiuti.

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Valutazione di impatto ambientale VIA
La valutazione di impatto ambientale (VIA) è una procedura amministrativa di supporto per l'autorità competente (come Ministero dell'Ambiente o
Regione) finalizzata ad individuare, descrivere e valutare gli impatti ambientali di un'opera, il cui progetto è sottoposto ad approvazione o
autorizzazione.

Storia
La VIA nasce alla fine degli anni sessanta negli Stati Uniti d'America, introduce le prime forme di controllo sulle attività interagenti con l'ambiente (sia
in modo diretto che indiretto), mediante strumenti e procedure finalizzate a prevedere e valutare le conseguenze di determinati interventi. Il tutto per
evitare, ridurre e mitigare gli impatti.

Caratteristiche
La procedura di VIA è normata come strumento di supporto decisionale tecnico-amministrativo. Nella procedura di VIA la valutazione sulla
compatibilità ambientale di un determinato progetto è svolta dalla pubblica amministrazione, che si basa sia sulle informazioni fornite dal proponente
del progetto, sia sulla consulenza data da altre strutture della pubblica amministrazione, sia sulla partecipazione della gente e dei gruppi sociali.
La valutazione di impatto ambientale mostra quali modifiche di stato ambientale possono produrre le azioni e le pressioni antropiche, sia sull'ambiente
antropizzato, sia sull'ambiente naturale. Nella VIA si cerca quindi di stimare quali sono gli impatti, cioè le modifiche, positive o negative, degli stati
ambientali di fatto, indotti dall'attuazione di un determinato progetto. Un obiettivo importante delle procedure di VIA è quello di favorire la
partecipazione della gente nei processi decisionali sull'approvazione dei progetti.

Le fasi del procedimento


La procedura di VIA è un insieme di:

• dati tecnico-scientifici su stato, struttura e funzionamento dell'ambiente;


• dati su caratteristiche economiche e tecnologiche dei progetti;
• previsioni sul comportamento dell'ambiente e interazioni tra progetto e componenti ambientali;
• procedure tecnico-amministrative;
• istanze partecipative e decisionali (partecipazione pubblica);
• sintesi e confronto fra costo del progetto e dei suoi impatti e benefici diretti/indiretti del progetto.
Nella VIA sono valutati e computati impatti ambientali diretti o indiretti, a breve o lungo termine, permanenti o temporanei, singoli o cumulativi.
La VIA viene effettuata considerando i seguenti fattori ambientali, anche in correlazione tra di loro:

• essere umano, fauna e flora;


• suolo, acqua, aria, fattori climatici e paesaggio;
• beni materiali e patrimonio culturale.
La normativa italiana sulla VIA è particolarmente complessa ed articolata anche a scala regionale. La complessità della normativa è legata anche alla
predisposizione di frequenti modifiche al Codice dell'ambiente, che prevedono spesso revisioni di parti significative dell'articolato sulla VIA. Questa
complessità normativa è d'ostacolo all'efficacia ed all'efficienza delle procedure di VIA in Italia.
La valutazione d'impatto ambientale comprende, secondo le disposizioni normative italiane:

a) lo svolgimento di una verifica di assoggettabilità (screening);


b) la definizione dei contenuti dello studio di impatto ambientale (scoping); SIA
c) la presentazione e la pubblicazione del progetto;
d) lo svolgimento di consultazioni;
e) la valutazione dello studio ambientale e degli esiti delle consultazioni;
f) la decisione;
g) l'informazione sulla decisione;
h) il monitoraggio ambientale.
Per i progetti inseriti in piani o programmi per i quali si è conclusa positivamente la procedura di Valutazione ambientale strategica (VAS), il giudizio di
VIA negativo ovvero il contrasto di valutazione su elementi già oggetto della VAS deve essere adeguatamente motivato.

Verifica (screening)
La procedura di verifica preliminare o screening è una procedura tecnico - amministrativa volta ad effettuare una valutazione preliminare della significatività
dell'impatto ambientale di un progetto, determinando se lo stesso richieda, in relazione alle possibili ripercussioni sull'ambiente, lo svolgimento successivo della
procedura di valutazione dell'impatto ambientale.

Delimitazione del campo d'indagine (scoping) SIA


Il S.I.A. è lo strumento centrale della VIA che fornisce gli elementi tecnici sugli impatti ambientali dell'opera pertinenti a valutare la sua compatibilità
con il contesto ambientale. Secondo quanto previsto dalla normativa il S.I.A. si articola in tre “quadri”: Quadro di Riferimento Programmatico, Quadro
di Riferimento Progettuale, Quadro di Riferimento Ambientale
La procedura di delimitazione del campo d'indagine o scoping è una procedura tecnico - amministrativa volta a valutare la proposta dei contenuti
del successivo Studio di Impatto Ambientale (in sigla S.I.A.) al fine di indirizzare il proponente di un'opera alla completa e sufficiente analisi delle
componenti ambientali interessate dal progetto.

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Decisione e informazione sulla decisione
Le decisioni di VIA si basano soprattutto sui contenuti del S.I.A. e delle osservazioni pervenute. Qualora il S.I.A. risulti inadeguato si richiedono
integrazioni. Entro i termini predefiniti dalla normativa.
Le decisioni sulla compatibilità ambientale e le informazioni relative al progetto devono essere diffuse e pubblicate, a cura del proponente, su
quotidiani, bollettini e su organi ufficiali delle amministrazioni.

Monitoraggio ambientale
Obiettivi del monitoraggio ambientale sono valutare l'accuratezza delle stime preliminari e assicurarsi che non si verifichino impatti imprevisti. In
sostanza il monitoraggio serve per tenere sotto controllo la situazione durante le varie fasi di vita degli interventi

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Prevenzione e riparazione dei danni


Quando emerge una minaccia imminente di danno ambientale, l'autorità competente designata da ciascuno Stato membro può:
• imporre all'operatore (inquinatore potenziale) di adottare le misure preventive idonee;
• adottarle essa stessa recuperando successivamente le spese relative a queste misure.
Quando si verifica un danno, l'autorità competente può:
• imporre all'operatore interessato di adottare le misure di riparazione idonee (determinate sulla base delle regole e dei principi enunciati all'allegato II della
direttiva); o
• adottare misure preventive essa stessa recuperando successivamente le spese relative a queste misure. In caso di più danni verificatisi, l'autorità competente
può decidere l'ordine di priorità per il loro risarcimento.
La riparazione dei danni ambientali assume diverse forme secondo il tipo di danno:
• per i danni che interessano i suoli, la direttiva impone che i suoli in questione siano decontaminati fino ad eliminare qualsiasi rischio significativo di causare
effetti nocivi sulla salute umana;
• per i danni che interessano l'acqua o le specie e gli habitat naturali protetti, la direttiva mira a ripristinare le condizioni originarie dell’ambiente precedenti al
danno. A tal fine, le risorse naturali danneggiate o i servizi danneggiati dovrebbero essere ripristinati o sostituiti da elementi naturali identici, simili o
equivalenti, o nel luogo dell'incidente o, se necessario, in un sito alternativo.
Maggiori dettagli sul metodo da adottare per la riparazione del danno ambientale sono riportati nell'allegato II della dirett iva.

Costi di prevenzione e di riparazione


Nel caso in cui l'autorità competente stessa abbia attuato misure di prevenzione o riparazione, tale autorità copre i costi sostenuti dall'operatore
responsabile del danno o della minaccia imminente di danno. Lo stesso principio si applica in relazione alle valutazioni ambi entali per determinare
l'entità dei danni e alle misure da adottare per risolvere il problema. L'autorità competente è legittimata ad avviare i procedimenti per il r ecupero entro
cinque anni dalla data di completamento delle misure di prevenzione o riparazione oppure dalla data in cui l'operator e responsabile o il terzo sono
stati identificati, a seconda di quale data sia posteriore.
Qualora più operatori siano solidalmente responsabili del danno, essi devono sostenere i costi di riparazione o solidalmente o su base proporzionale.
La direttiva non obbliga gli operatori a fornire una garanzia finanziaria, come un'assicurazione, per coprire la loro potenziale insolvenza. Tuttavia, gli
Stati membri sono tenuti a incoraggiare gli operatori a utilizzare tali meccanismi.

Richiesta di azione
Le persone fisiche o giuridiche che potrebbero essere colpite dal danno ambientale, nonché le organizzazioni il cui scopo è la protezion e
dell'ambiente possono, a determinate condizioni, chiedere alle autorità competenti di intervenire rispetto ad un danno. Le pe rsone e le organizzazioni
che hanno presentato una richiesta di azione possono avviare un ricorso presso un tribunale o una organizzazione specifica al fine di valutare la
legittimità delle decisioni, azioni o omissioni dell'autorità competente.

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Delega

È uno strumento amministrativo (un atto) mediante il quale un soggetto oppure un organo delegante trasferisce ad un altro
soggetto o organo l’esercizio di poteri e facoltà che rientrano nella sua sfera di competenza.
La delega proietta la volontà del soggetto/organo delegante attraverso un altro soggetto/organo delegato. Il delegato quindi
non può esercitare il potere che gli è stato delegato in maniera incondizionata.
La delega non può essere a sua volta delegata dal soggetto/organo delegato e può essere esercitata in un determinato
ambito entro un tempo limitato che devono essere specificati dal delegante. Il delegante può ritirare la delega in qualsiasi
momento.

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